EMILIANI Colpevole
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EMILIANI Colpevole
Colpevole A volte si svegliava di soprassalto e stava ancora singhiozzando. Sua sorella era morta. Poi ricordava: non era un sogno, ma non riusciva più a piangere. – Domattina dico tutto, promesso – sussurrò alla lapide bianca. Si coprì le spalle con la camicia, di notte iniziava a rinfrescare o forse era la paura a farla tremare. Ricordava distintamente la prima notte al cimitero, era luglio, c'era odore di gelsomino. Ormai quell'odore era inciso nei suoi neuroni assieme alla morte, all'amore e alla colpa. Con dita tremanti posò un bacio sulla tomba. – Buonanotte, sorella. La ghiaia del vialetto scricchiolò alle sue spalle e un brivido ghiacciato le corse sulla pelle. A quell'ora non doveva esserci nessuno. Fece per voltarsi ma venne scaraventata a terra, cercò di gridare ma si trovò la bocca imbottita di stoffa e tappata con lo scotch. L'aria entrava e usciva frenetica dal naso, quasi le scoppiavano le vene del collo, tremava come una pazza, non poteva muovere le braccia. Qualche ora prima... La vide entrare di pomeriggio, con il sole di fine estate che si specchiava nel mazzolino di fiori gialli. Lei si chiamava Nadia, l'aveva scoperto facendo delle ricerche su internet. La seguì di nascosto fino alla tomba della sorella, che era morta giovane. Ufficialmente era stato un incidente ma tutti pensavano che si fosse suicidata. Nadia posò i fiori e sedette, poi iniziò a parlare piano. Non era mai riuscito a capire cosa dicesse, si sarebbe dovuto avvicinare troppo e non voleva essere scoperto. Il suo era un amore segreto e così doveva rimanere. Infatti, pensava, non avrebbe mai funzionato. Lei era una ragazza bella e ben vestita che faceva l'università. Lui era un becchino che non aveva finito le superiori. E poi era socialmente inetto. Lo dicevano tutti, o almeno sua madre. Per questo stava sempre su internet. O al cimitero. Sentiva di appartenere al cimitero, ci stava bene. E ora anche lei, Nadia, apparteneva al cimitero. Delle volte si fermava anche a dormire lì. Finalmente, dopo tempo immemorabile, tutto fu buio e cipressi e grilli. Lei non era uscita, così era andato a comprarsi un panino ed era rientrato anche lui. Per guardarla. Era molto bella, di notte, e quella notte c'era la luna. Lui sapeva benissimo che non avrebbe dovuto pensarlo, ma a volte era felice che le fosse morta la sorella. Era successo un paio di mesi prima. Non era sicuro di essersi accorto subito che Nadia rimaneva al cimitero tutta la notte. Forse si era perso una notte, forse di più. Però non gli importava molto perché le notti diventavano sempre più frequenti. Lei si nascondeva in uno sgabuzzino e usciva di nuovo quando era tutto buio e tranquillo, si accoccolava vicino alla tomba, sussurrava un po' e poi dormiva. Stava mangiando il suo panino, assorto in frammentari pensieri d'amore, quando vide che qualcuno si avvicinava a Nadia. Eppure il cimitero era chiuso. Per un secondo non lo riconobbe, quel mosaico spezzato di lineamenti che si contorcevano. Poi con uno spasmo il cervello scattò avanti. Smise di respirare, l'aria stagnante nei polmoni le fece venire da vomitare. Ebbe un conato, aveva la bocca tappata. Se vomito soffoco, pensò. Respirò. Lui la fissava con quel volto estraneo. – Nadia amore, ho una sola domanda da farti. Chiamala pure una domanda retorica, visto che non potrai rispondere, ma sono curioso di vedere che faccia farai – tacque un attimo e sorrise. Aveva un bel sorriso, come sempre, un sorriso da far innamorare. – Dunque – continuò, – la domanda è: perché mai, mio ingenuo tesoro, mi hai scritto di voler confessare? Nadia era paralizzata. Aveva già visto quella maschera mostruosa. Il giorno che era morta sua sorella, perché non voleva accettare che lui avesse scelto Nadia. Una fitta di rimorso la costrinse in posizione fetale. – Devo proprio dirti, amore, che non hai gestito tutta questa faccenda in modo molto razionale. Sembrava che io fossi l'unica tua ragione di vita, tanto hai fatto che mi hai sedotto nonostante stessi con tua sorella. Mi hai fatto innamorare, mi hai fatto uccidere tua sorella, la mia ragazza, io l'amavo, sai? Ma l'ho uccisa per te, il delitto perfetto, pillole a una con tendenze suicide, e tu che fai? Diventi la damina del cimitero, ci passi le notti per la miseria, e ora vuoi confessare? Come pensavi, no dico, come pensavi che avrei reagito? Era vero, era tutto vero. Era colpevole. Chiuse gli occhi. Erano bagnati. Quando li riaprì lui non c'era più. Cercò di muoversi ma era inutile. Cercò di respirare regolarmente, ma quando lo vide tornare con un sacco e una pala perse ogni controllo sul proprio corpo. – Così ho pensato, perché sai, ho pensato molto dopo aver letto la tua lettera, bella davvero, l'ho letta un migliaio di volte. Insomma ho pensato, visto che a quanto pare, contro ogni previsione, sembra amare sua sorella alla follia. Visto che passa tutto questo tempo al cimitero, perché non seppellirle insieme? Stava nascosto dietro una colonna nella zona dei loculi e aveva una paura terribile. Avrebbe potuto urlare ma il cimitero era molto, molto grande e probabilmente nessuno avrebbe sentito. Poteva chiamare la polizia ma non aveva un cellulare, stupido stupido stupido e temeva che nei dieci minuti ad andare e dieci a tornare dall'ufficio potesse succedere qualcosa di irreparabile. A dire il vero, dal momento in cui era apparsa quella figura alle spalle di Nadia, aveva saputo cosa avrebbe dovuto fare. Salvarla. Purtroppo era un nerd di cinquanta chili che aveva lasciato la scuola prima del tempo a causa dei bulli che lo pestavano all'intervallo. Dentro il sacco c'era caldo e puzza, dalla sua gola usciva un lungo gemito, tremava, non riusciva a pensare. Sentiva la vanga che si piantava a terra, il piede che la spingeva a fondo. Il rumore della terra smossa. Ora mi mette dentro, pensava ogni volta, ma ogni volta la vanga tornava a piantarsi nel terreno e lei deglutiva bile. Poi tutto si fermò, l'unico suono era il suo respiro frenetico. – È ora tesoro, sei pronta? Una spinta e rotolò, cercò di opporsi con tutte le forze ma rotolò ancora e poi cadde. La spalla le fece un male cane e prese a fare urli strozzati sotto il bavaglio. Non vedeva niente ma una gragnola di terra le finì addosso, lo capiva bene, era terra, era nel buco. Sotto era liscio, doveva essere la bara di sua sorella. Gridò ancora, niente, un'altra palata di terra sul petto, in faccia, sulle gambe. Contrasse tutti i muscoli, iniziò a scossare. Altra terra, poi un rumore secco. Silenzio. Un tonfo, un altro. – Nadia? – una voce nuova. – L'ho colpito alla testa con un palo di ferro. Credo che sia morto. Vado a chiamare la polizia. Trattenne il fiato. – Forse prima è meglio se ti tiro fuori? Terriccio che rotolava, un corpo goffo che le atterrava accanto. Il sacco che si strappava. Aria! Delle mani tremanti le strapparono il bavaglio. – Ecco, meglio? Mise a fuoco. Era un ragazzo giovane con un sorriso timido. – Meglio – bisbigliò Nadia. – Vado a chiamare la polizia – disse il suo salvatore quando ebbe finito. Sembrava imbarazzato. Nadia gli prese la mano e lo fissò negli occhi. – Mi verrai a trovare in prigione? – chiese. Lui sorrise. Annuì. Sorrise di nuovo.