Cade il mito franco-tedesco - S.Montefiori

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Cade il mito franco-tedesco - S.Montefiori
DISPUTE UN SAGGIO METTE IN DISCUSSIONE L' AMICIZIA FRA I DUE POPOLI, SIMBOLEGGIATA DA
KOHL E MITTERRAND
Cade il mito franco-tedesco – S.Montefiori – Corriere della Sera – 31-12-08
Il filosofo Sloterdijk attacca Parigi: solo economia e turismo ci uniscono Non ha mai fatto autocritica, il
suo sciovinismo è un pericolo per l' Europa
Traumatizzate dalla campagna napoleonica del 1813, dalla guerra franco-prussiana e da un paio di
conflitti mondiali, dal 1945 Francia e Germania hanno intrapreso un lento cammino di riconciliazione,
sfociato in alti momenti simbolici come la messa dell' 8 luglio 1962 con De Gaulle e Adenauer insieme
nella cattedrale di Reims, o la commemorazione della battaglia di Verdun del 22 settembre 1984, attesa
da Mitterrand e Kohl mano nella mano. L' asse franco-tedesco ha prodotto Consigli dei ministri allargati
semestrali, manuali scolastici di storia unificati, un canale televisivo bilingue non seguitissimo ma molto
chic (Arte), e una quantità di incontri accademici. Proprio durante una di queste conferenze, il sesto
incontro culturale all' università di Friburgo, il filosofo tedesco Peter Sloterdijk ha osato pronunciare l'
indicibile: «La famosa amicizia franco-tedesca è un fantasma inventato dai professionisti dei summit
ufficiali. Ho il dovere di rompere con questa routine autoconsolatoria». A seguire una serie di frasi
provocatorie che qualche settimana fa sono diventate un libro edito in Francia da Libella-Maren Sell
Editions, Théorie des après-guerres. Nella «teoria dei dopoguerra» Peter Sloterdijk espone in maniera più
articolata il suo pensiero fondamentale sui rapporti tra Francia e Germania: «Scambi economici, un po' di
turismo e una grande indifferenza reciproca». Il 61enne Sloterdijk, oggi professore di filosofia ed estetica
a Karlsruhe e docente all' accademia di Belle Arti di Vienna, è abituato a fare parlare di sé sin dagli
esordi. Nel 1983 il suo Critica della ragion cinica (Garzanti) ha battuto il record di vendite per la filosofia
tedesca, e soprattutto è stato salutato da Jürgen Habermas come «l' avvenimento più importante dal
1945».
Il sodalizio con Habermas si è rotto nel 1999, quando Sloterdijk ha pubblicato Regole per il parco umano.
Una replica alle ultime lettere di Heidegger, nel quale il filosofo ha auspicato il ricorso alle nuove tecniche
di ingegneria genetica rese possibili dalla scienza, aprendo alla clonazione e guadagnandosi accuse di
cedimento all' eugenetica nazista. A quasi dieci anni dal primo «caso Sloterdijk» che scosse il mondo
intellettuale europeo, la sua analisi dei rapporti al di qua e al di là del Reno mette sotto accusa la Francia
- «abituata a impartire lezioni evitando l' autocritica», «affossatrice dell' Europa con il suo no nel
referendum sul Trattato» -, proprio nel momento in cui le fredde relazioni tra Nicolas Sarkozy e Angela
Merkel e le opposte visioni su come affrontare la crisi economica sembrano già mettere in discussione i
presupposti politici dell' amicizia tra Parigi e Berlino. A questa crisi politica Sloterdijk pare voler dare un
sostegno ideologico. Citando i lavori di René Girard e di Heiner Mühlmann, sostiene che il dopoguerra
sarebbe - per vincitori e vinti - il momento propizio per la «valutazione delle loro premesse culturali alla
luce dei risultati dei combattimenti». Chi vince tende all' affermazione dei suoi valori fondamentali, chi
perde può avviare il benefico processo di metanoia per trasformare le sue regole culturali di base. Vincere
o perdere una guerra, e soprattutto saperlo riconoscere, diventa decisivo per l' evoluzione di un popolo. E
qui arriva l' esempio del 1918 italiano, quello della «falsificazione dei risultati della guerra». «Si è parlato
all' epoca di vittoria mutilata - scrive Sloterdijk -, ma la prova dell' Italia è stata una sconfitta travestita
da vittoria». Il nostro Paese non ha potuto quindi percorrere il travaglio della metanoia, e la menzogna è
sfociata nella tragedia del fascismo. Allo stesso modo, secondo Sloterdijk, la Francia è stata chiaramente
sconfitta nella Seconda guerra mondiale, ma si è ritrovata in modo totalmente ingiustificato nel campo
dei vincitori.
Anche qui, il necessario lavoro di ripensamento ne è stato inibito e - con enorme fortuna dei francesi questo non ha portato al fascismo, ma a Charles De Gaulle. «In Germania e in Francia esiste una
tendenza diametralmente opposta quanto alla politica della verità: in Germania, la sconfitta si chiama
sconfitta, e il crimine, crimine, ed è in base a questo metro semantico che si misurano anche le altre
parole». All' obiezione di Elisabeth Levy, su Le Point, che la Francia sembra tuttavia attraversata da
momenti di autoflagellazione generalizzata (su Vichy, il colonialismo, lo schiavismo, l' Algeria), Sloterdijk
risponde che «l' autocritica alla francese è una commedia superficiale, lo sciovinismo di base non è mai
stato sradicato». Lo storico Alexandre Adler, indignato per le critiche mosse a Sarkozy sullo Spiegel da
Ullrich Fichtner e per l' «ondata d' odio anti-francese», si è scagliato contro Sloterdijk definendolo «un
altro cripto-nazista, un filosofo proletaroide». Per Sloterdijk la grandeur francese, da Napoleone in poi,
resta un pericolo per l' Europa. Mentre cominciano i preparativi per il cinquantenario della riconciliazione
dell' 8 luglio, la solenne amicizia non è più un sacro dogma. L' autore della rottura Nato nel 1947, il
filosofo Peter Sloterdijk (nella foto) è noto per le sue tesi favorevoli all' ingegneria genetica. Tra le sue
opere: «Critica della ragion cinica» (Garzanti)