Sentenza del Tribunale di Firenze - 7 gennaio 2008

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Sentenza del Tribunale di Firenze - 7 gennaio 2008
Tribunale di Firenze, in composizione monocratica in funzione di giudice del lavoro
Nella persona del giudice dott. Vincenzo Nuvoli ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 2959 R.G. 2005, discussa all'udienza del giorno 7.11.2007, promossa da
XY Ricorrente
Contro
Z Convenuto
Fatto e diritto
Con ricorso al Tribunale di Firenze, in funzione di giudice del lavoro, il sig XY ha convenuto in giudizio Z
Cooperativa a r.l. impugnando il licenziamento disciplinare intimatogli con lettera 28.10.2004 dalla datrice
di lavoro e chiedendone la condanna al pagamento di complessivi euro 90.000.000 a titolo di risarcimento
del danno biologico, esistenziale, all'immagine, da dequalificazione; costituitasi in giudizio, parte convenuta
ha contestato la domanda, chiedendone il rigetto.
Escussi testi, ed espletata c.t.u. tecnica, all'odierna udienza la causa è stata discussa e decisa come da
separato dispositivo, del quale è stata data lettura
Impugnazione del licenziamento 10.11.2004
Con lettera 28.10.2004Z Cooperativa a r.l. . ha contestato al ricorrente il seguente addebito disciplinare: Dal
mese di gennaio 2004 Lei ha quotidianamente usato in modo improprio e per fini ed interessi personali gli
strumenti informatici aziendali in Sua dotazione accedendo, durante l'orario di lavoro, a diversi siti non
attinenti alla sua attività lavorativa. A titolo meramente esemplificativo citiamo qui alcuni dei siti che Lei ha
aperto e visionato e dai quali, in alcuni casi, ha scaricato dati ... omissis ..... A seguito di tale contestazione, il
ricorrente è stato licenziato con lettera in data 15.11.2004.
Ad avviso del giudicante, parte convenuta non ha provato la sussistenza di giusta causa di recesso, per le
seguenti considerazioni:
· la consulenza tecnica espletata, sulla base dei dati raccolti in sede di accertamento tecnico preventivo, ha
concluso, se pure con il margine di approssimazione che deriva dalla difficoltà di distinguere con esattezza i
siti internet attinenti all' attività lavorativa da quelli a essa estranei, che il ricorrente ha utilizzato il
computer a lui assegnato per accedere alla rete internet per complessive 276,53 ore, su 163 giorni nei quali
ha effettuato almeno un collegamento;
· per il 70% circa tali accessi sono stati relativi a siti non attinenti l'attività lavorativa;
· considerato che il tempo medio di accesso alla rete internet ammonta, per il ricorrente, a circa 80 minuti
giornalieri (cfr. supplemento relazione depositato in data 1.10.2007), l'utilizzo del computer per ragioni
extralavorative può essere mediamente determinato in circa 56 minuti giornalieri
· peraltro, è emerso dall'istruttoria espletata che era consentito un accesso alla rete internet per motivi
extralavorativi, sia pure nei limiti della ragionevolezza e purchè il sistema non fosse tenuto occupato per
tempi eccessivi;
· peraltro è emerso dall'istruttoria espletata che era consentito un accesso alla rete internet per motivi
extralavorativi, sia pure nei limiti della ragionevolezza e purché il sistema non fosse tenuto occupato per
tempi eccessivi
· in tale contesto, benché gli accessi del ricorrente siano stati superiori a quelli di colleghi assegnati a
mansioni affini (cfr. relazione peritale integrativa), non può ritenersi la proporzionalità della sanzione
espulsiva (cfr., da ultimo, Cass. 30.3.2006 n. 7543), in quanto l'intensità dell' elemento soggettivo della
condotta del lavoratore è sminuito dalla tolleranza aziendale all'accesso, da parte dei dipendenti, alla rete
internet anche per motivi extralavorativi;
· va inoltre rilevato che è estranea alla contestazione disciplinare la questione circa la mancata prestazione
lavorativa del ricorrente durante l'accesso alla rete internet, in quanto il licenziamento è motivato con l'uso
improprio degli strumenti informatici aziendali;
· tale fattispecie è assimilabile al danneggiamento di beni aziendali, per il quale l'art. 81 ccln prevede la
sanzione conservativa della sospensione, e anche sotto tale profilo va ritenuta la carenza di proporzionalità
della sanzione espulsiva.
Ne consegue l'annullamento del licenziamento, con la condanna della convenuta alla reintegrazione nel
posto di lavoro e al risarcimento del danno ex art. 18 l. 300/1970, in difetto di prova circa l' aliunde
perceptum (cfr. dichiarazione Agenzia delle Entrate in atti).
Domanda di condanna al risarcimento del danno
Il ricorrente deduce di aver subito un danno derivante da reiterati mutamenti di mansioni e di ufficio, e da
una situazione di sostanziale inattività iniziata a partire dal gennaio- febbraio 2004.
E' inammissibile la domanda di risarcimento del danno biologico, trattandosi di fattispecie successiva al
25.7.2000, e quindi compresa nella assicurazione INAIL ex art. 13 d. 19s. 23.2.2000 n. 38.
Per quanto concerne il dedotto danno da dequalificazione, la recente giurisprudenza di legittimità ha
ritenuto che L'assegnazione dei dipendenti a mansioni inferiori rispetto a quelle proprie del loro livello
contrattuale non determina di per se' un danno risarcibile ulteriore rispetto a quello costituito dal
trattamento retributivo inferiore cui provvede, in funzione compensatoria, l'art. 2103 cod. civ., il quale
stabilisce il principio della irriducibilità della retribuzione, nonostante l'assegnazione e lo svolgimento di
mansioni inferiori e meno pregia te di quelle già attribuite, giacché deve escludersi che ogni modificazione
delle mansioni in senso riduttivo comporti una automatica dequalificazione professionale, connotandosi
quest'ultima, per· sua natura, per l'abbassamento del globale livello delle prestazioni del lavoratore con una
sottoutilizzazione delle sue capacità e una consequenziale apprezzabile menomazione - non transeunte della sua professionalità, nonché con perdita di chance ovvero di ulteriori potenzialità occupazionali o di
ulteriori possibilità di guadagno. Ne consegue che grava sul lavoratore l'onere di fornire la prova, anche
attraverso presunzioni, dell'ulteriore danno risarcibile, mentre resta affidato al giudice del merito - le cui
valutazioni, se sorrette da congrua motivazione, sono incensurabili in sede di legittimità - il compito di
verificare di volta in volta se, in concreto, il suddetto danno sussista, individuandone la specie e
determinandone l'ammontare, eventualmente con liquidazione in via equitativa. (In applicazione di tale
principio, la Corte. Cass. ha cassato la sentenza impugnata che, accertato il demansionamento dei
lavoratori, aveva perciò solo ritenuto sussistente un danno risarcibile ulteriore rispetto a quello costituito
dalla diminuzione della retribuzione, liquidandolo in via equitativa.(Cass. 8.11.2003 n. 16792); mentre Il
prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno (anche nella sua
eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della
lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita,
lesione idonea a determinare la dequalificazione del dipendente stesso, deve fornire la prova dell'esistenza
di tale danno e del nesso di causalità con l'inadempimento, prova che costituisce presupposto
indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa. Tale danno non si pone, infatti, quale
conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché
non e' sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo al lavoratore
che denunzi il danno subito di fornire la prova in base alla regola generale di cui all'art. 2697 cod civ. (Nella
specie, la S. C. ha cassato la sentenza di merito sul punto in quanto il giudice invece di verificare se il
prestatore di lavoro aveva nella specie provato, conformemente all'onere probatorio da cui era gravato, il
danno ed il nesso di causalità con l'inadempimento datoriale, aveva affermato che al demansionamento
professionale andava riconosciuta una indubbia dimensione patrimoniale, suscettibile di risarcimento e di
valutazione anche equitativa, pur in mancanza della dimostrazione di un effettivo pregiudizio). (Cass.
28.5.2004 n. 10361).
Alla stregua di tali principi, non può ritenersi provato un danno patrimoniale alla professionalità, tenuto
anche, conto della brevità del periodo di demansionamento dedotto da parte attrice; del tutto generiche
sono allegazioni circa l'esistenza di danno esistenziale e all'immagine.
La domanda risarcitoria proposta da parte attrice è quindi infondata
Ne consegue la pronuncia di cui al dispositivo
Considerato il parziale accoglimento della domanda, si ravvisano giusti motivi ex a.92 c.p.c. per la
compensazione per ½ delle spese processuali, e parte convenuta va condannata al pagamento del residuo
½ , liquidato per tale quota come da dispositivo.
Vanno poste a carico di Z Cooperativa a r.l. le spese di c.t.u. liquidate come da separati decreti.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da XY con atto depositato in data
22.9.2005, respinta ogni diversa istanza, eccezione e deduzione:
annulla il licenziamento intimato da Z Cooperativa a r.l. al ricorrente con lettera in data 15.11.2004; o
ordina a Z Cooperativa a r.l. di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro;
condanna Z Cooperativa a r.l. al pagamento a favore del ricorrente a titolo di risarcimento del danno, di una
indennità pari alla retribuzione globale di fatto maturata dal 15.11.2004 alla data della reintegrazione, oltre
rivalutazione monetaria ed interessi legali, nonché al versamento del Contributi previdenziali ed
assistenziali dovuti per il ricorrente per il periodo dal 15.11.2004 alla data della reintegrazione;
compensa per 11 le spese processuali, e condanna Z Società Cooperativa a r.l. al pagamento, a favore di
parte ricorrente, del residuo , liquidato per tale quota in € 900,00 per diritti, € 1.100,00 per onorari, oltre
spese generali ex art. 14 tariffa forense, IVA e CAP;
pone a carico di Z Società Cooperativa a r.1. le spese di c.t.u., liquidate come da separati decreti.
Firenze, 7 novembre 2007