RAKU - Cascina Macondo

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RAKU - Cascina Macondo
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Haiku Poesia del Futuro - Seconda Conferenza Italiana Haiku
domenica 28 giugno 2009, Circolo dei Lettori, Torino - Italy
RAKU
di Anna Maria Verrastro
La cerimonia del thè in Giappone è legata alla filosofia zen. La sua precisa e puntuale
ritualità, il suo uso, si diffusero così tanto in Giappone presso i sovrani, i nobili, i militari,
i mercanti, i monasteri, che nacque l’esigenza di chiamare e coinvolgere artigiani del legno,
del bambù, delle fibre vegetali, della lacca, della cera, del metallo, dell’avorio, della ceramica,
per produrre oggetti di qualità estetiche essenziali da usare nelle cerimonie del thè.
La ceramica assunse un valore particolare in quanto di ceramica erano fatte le ciotole che
contenevano il thè.
I maestri vasai si tramandavano di padre in figlio oralmente l’arte della lavorazione e della
manipolazione degli smalti, delle argille, delle cotture. Rikyu era un valente artigiano, maestro
della Cerimonia del Thè, vissuto in Giappone nel XVI secolo. La ceramica RAKU prende il
nome da Rikyu, la prima famiglia di vasai che ebbe la concessione feudale per produrre i
tipici manufatti di terracotta destinati alle cerimonie del thè.
I collezionisti cominciarono a raccogliere e conservare le ciotole Raku. Divennero così
preziose che molti prìncipi preferivano, come regalo dai loro sudditi, una ciotola Raku
prodotta da un artigiano famoso, piuttosto che un appezzamento di terra.
Un’aria di misticismo e religiosità circondava gli oggetti Raku destinati alla cerimonia del thè.
La caratteristica più importante della ceramica Raku è quella di togliere dal fuoco il
manufatto ancora incandescente e riversarlo nell’acqua per un repentino raffreddamento,
senza ovviamente che il pezzo si rompa per l’elevato shock termico cui è sottoposto.
La tecnica fu scoperta e usata da un vasaio giapponese del XVI secolo rimasto anonimo.
Per poter realizzare la ceramica Raku occorre un’argilla molto refrattaria (in grado di
sopportare gli elevati sbalzi di temperatura nel processo di raffreddamento).
In Giappone due sono i tipi di Raku tradizionale:
il Raku rosso
si ottiene ingobbiando le ciotole allo stato crudo con un’argilla molto ricca di
ferro. Cotto a circa 800/850 gradi il pezzo viene ricoperto con una vetrina a
base di piombo e cotto di nuovo ad una temperatura di 900/1000 gradi
.
Il Raku nero
si ottiene ricoprendo la ciotola, già cotta a 800/850 gradi, con uno smalto a
base di silice, ferro e manganese, mescolati con una percentuale di ossido di
piombo. Il manufatto viene cotto di nuovo a circa 1100 gradi e, quando la
vetrina comincia a fondere, si estrae incandescente e si lascia raffreddare
all’aria.
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Il Raku come tecnica di cottura degli smalti sulla ceramica si è molto diffuso in
occidente, particolarmente negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova
Zelanda e, negli ultimi anni, anche in Italia, Francia, Germania, Olanda.
Iniziatore della diffusione della cermica Raku in occidente è il ceramista inglese Bernard
Leach che scoprì la tecnica nel 1911 a Tokio. Il suo libro “Potter’s Book” svela le tecniche
Raku apprese in nove anni vissuti tra Cina e Giappone a fare sperimentazione, ricerche,
apprendistato. Bernard Leach è morto nel 1979 all’età di 92 anni.
Negli anni 60 alcuni ceramisti americani, per primo Paul Soldner, cominciarono
nuove sperimentazioni del Raku scoprendo tecniche di ossidazione con il fumo di materiali
organici: foglie secche o umide, erbe, carta, trucioli di legno, segatura, stracci, paglia, letame.
Sperimentarono diverse modalità di raffreddamento repentino nell’acqua, nel thè, nel sale,
nella sabbia. Sperimentarono nuovi impasti di ceramiche, aggiungendo materiali come la
Chamotte, la sabbia silicea, la cenere vulcanica (pomice), il talco, l’allumina, il Ball Cay, la
bentonite (materiali che si possono trovare facilmente presso i rivenditori di prodotti ceramici)
al fine di far diventare le argille più refrattarie. Sperimentarono nuovi smalti, nuove
decorazioni e forme, nuovi effetti di craclè. La cottura Raku realizzava non solo oggetti
funzionali, ma apriva la strada alla produzione di particolarissimi oggetti d’arte, e divenne un
happening pubblico di grande suggestione.
Raku vuol dire “gioire il giorno”. La ciotola, oggetto d’arte da cui si beve il thè con
profonda religiosità, scaturita dalle mani esperte di un artigiano che in essa ha riversato tutti i
segreti della sua arte e la cui fama di bocca in bocca si è diffusa in ogni regione, mette in
risalto la bellezza, l’evento particolarissimo di bere il thè in modo ceriomoniale circondati da
ospiti di riguardo. Il fuoco, l’acqua, l’aria, la terra, il thè, e l’uomo con le sua mani di
artigiano, simbolicamente e fisicamente si mescolano nella ciotola che diventa nella
cerimonia una sorta di inno alla vita: gioire il giorno appunto.
Si narra che imperatori, principi, militari avessero l’usanza di usare una ciotola Raku solo una
volta nella cerimonia del thè. I vasai furono coinvolti a costruirne a migliaia per poter
soddisfare questa richiesta. Un oggetto d’arte usato soltanto una volta, solo per una precisa
occasione, e poi distrutto o messo da parte, ricercato da collezionisti e amatori, non può che
aumentare di preziosità e valore.
Ciò che rende prezioso il manufatto Raku è anche la sua unicità. Non esitono infatti due pezzi
“uguali” tante sono le varianti che possono intervenire nel processo di lavorazione, di cottura,
di raffreddamento (spessori, forme, tipi di argilla, smalti, effetti craclè, umidità,
ossidazione…). Finché il pezzo non è stato tolto dal fuoco, raffreddato, lavato, pulito,
asciugato, non si può prevedere esattamente come sarà. Questa “alea”, e l’unicità che ne
deriva, rende la ceramica Raku, e la sua cottura, un happening affascinante contribuendo
all’aumento della sua preziosità.
Una storia zen narra di un bambino di nome Ikkyu che viveva in un monastero per
diventare monaco. Era molto intelligente. Il suo insegnante aveva una preziosa tazza da thè;
un oggetto di ceramica molto antico. Sfortunatamente Ikkyu ruppe questa tazza. Ne fu molto
imbarazzato. Sentendo i passi dell’insegnante giungere dal corridoio nascose i cocci della
tazza dietro la schiena. Quando il maestro comparve, il bambino gli domandò:
“Perché, maestro, la gente deve morire?”
“Questo è naturale - spiegò il vecchio - ogni cosa deve morire, e deve vivere per il tempo che
le è stato destinato”.
Ikkyu mostrando la tazza rotta disse:
“Per la tua tazza era venuto il tempo di morire”.
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RAKUHAIKU di Cascina Macondo
Da quindici anni nei laboratori di Cascina Macondo si sperimenta la ceramica Raku.
Tre ciotole Raku, cotte il giorno della premiazione, sono il riconoscimento spettante ai primi
tre classificati del Concorso Internazionale di Poesia Haiku in Lingua Italiana che Cascina
Macondo bandisce ogni anno.
Il Rakuhaiku è un manufatto tipico di Macondo, risultato di una sperimentazione strettamente
connessa con la poetica Haiku. E’ una ciotola. Un Haiku interpretato con l’arte della ceramica
Raku o, meglio, un Haiga dove l’immagine a cui viene abbinato l’Haiku è un’immagine che
consiste in un manufatto Raku tridimensionale, con le sue forme, le sue macchie di colore,
i suoi effetti craclè, i suoi smalti, il suo rituale.
Nella produzione di ciotole Rakuhaiku sono coinvolti i canoni estetici della poesia Haiku
(semplicità, essenzialità, concentrazione…) e i canoni estetici del Raku (unicità, colore,
forma, manufatto…). L’artigiano entra in comunicazione ideale e profonda con l’Haijin per
trasformare l’Haiku da lui prodotto in un piccolo oggetto d’arte, unico e irripetibile.
E’ un passaggio: il testo haiku viene reinterpretato, rivisitato, trasformato dalla libertà, dalla
visione, dalla sensibilità del vasaio in forma, colore, oggetto Un Haiku che gioisce al giorno.
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