Gualtiero Strano, Ricordo della Pensione Garra a Milano, 2013. La
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Gualtiero Strano, Ricordo della Pensione Garra a Milano, 2013. La
Gualtiero Strano, Ricordo della Pensione Garra a Milano, 2013. La Pensione Garra, attiva approssimativamente dalla fine del 1939 all’inizio del 1946, era di mia nonna Concetta Garra che la gestiva insieme a mia madre Rosa Buscaglia. Fu la dimora di molti attori che lavoravano nelle compagnie teatrali dei vari teatri di Milano e del Nord. Era in via del Lauro 2, in una zona molto centrale di Milano, nel crocicchio di strade in cui convergono via Cusani, via Broletto di via dell’Orso, via Ponte Vetero, a cento metri dai tre teatri che ancora allora erano attivi in Largo Cairoli. Oltre a Vittorio Gassman, che ha poi ricordato la pensione nel suo libro autobiografico Un grande avvenire dietro le spalle, vivevano in via del Lauro 2, Ernesto Calindri con la moglie e i due figli, Gianni Agus, Gianni Santuccio, Nora Ricci, Laura Adani, Ernesto Sabbatini, Roberto Villa – un attore cinematografico che ebbe poi una certa notorietà e il cui vero nome era Giulio Sabetta – Carlo Hintermann, Lilla Brignone, Franco Volpi, Giulio Donadio con la moglie e altri di cui mia madre mi ha raccontato quando ero bambino ma di cui ne ho perso il ricordo. Le camere, circa otto su due piani (il terzo e il quarto), ospitavano di tanto in tanto anche orchestrali e coriste del Teatro alla Scala. Nella pensione, che era vagamente bohémienne e a prezzi accessibili (“alla moda” si direbbe ora), abitavano anche pittori di fama come il grande maestro Gino Severini con la moglie. Severini, un giorno, mentre attendeva il pranzo, disegnò la tavola con alcuni pesci avvolti in carta da giornale che vi erano appoggiati in attesa di essere cucinati. Un’opera che poi regalò a mia nonna con una affettuosa dedica. Gli attori erano molto esigenti a tavola e mia nonna, Concetta Garra, siciliana, era una grande cuoca. Mia madre Rosa Buscaglia, con la cugina Rina Buscaglia e la sorella Anna che la aiutavano, erano in grado di procurarsi al mercato nero molti cibi che era quasi impossibile trovare in tempo di guerra: farina bianca, pesci e carni, vino e formaggi, olio e burro. Spesso, per rifornirsi, mia madre andava a piedi o in bicicletta al suo paese tra le colline dell'Oltrepò Pavese (180 chilometri tra andata e ritorno). Se aveva problemi con i posti di blocco o con le ispezioni nella pensione, mia madre, mi disse, a volte si rivolgeva a Renzo Ricci o a Calindri (quest’ultimo aveva delle entrature tra i repubblichini tramite il fratello), ma anche agli altri attori che recitavano a Milano e che, per il loro lavoro, avevano normalmente a che fare con i piccoli gerarchi fascisti di Milano a cui poi, per sdebitarsi, regalavano qualche biglietto omaggio per le rappresentazioni. Ci si arrangiava, insomma. Negli anni Cinquanta,quando la mia famiglia si trasferì a gestire un grande bar a Busto Arsizio, ricordo che un giorno arrivò, senza preavviso, Gianni Santuccio. Santuccio era un grande attore drammatico (lavorava nel dopoguerra al Piccolo Teatro, come d’altronde altri attori che durante il conflitto vivevano nella pensione Garra) e, sebbene a quell'epoca fossi un ragazzino, ho un ricordo vivido di quell'incontro molto teatrale e scenografico, quasi da pièce Anni Venti. Ricordo un elegantissimo signore con una giacca di velluto nero dai risvolti di raso che sfolgoravano al sole e sulla quale spiccava una sciarpa di seta bianca. Aveva una rosa rossa all’occhiello e ai piedi indossava scarpe di pelle di serpente con la fibbia d’oro. I capelli erano impomatati e risplendevano come asfalto fresco; tra le labbra teneva un lungo bocchino di madreperla su cui era inastata una sigaretta nera. Entrò nel bar facendosi largo tra gli avventori con passo gigionesco. Stava vivendo una parte e quello era il suo palcoscenico. Quando vide mia nonna si gettò teatralmente in ginocchio abbracciandole le gambe ed esclamando “Mamma, mamma!”. Sempre in quegli anni mia madre volle portarmi a conoscere Vittorio Gassman che era in tournée con l’Adelchi e faceva tappa a Busto Arsizio o a Saronno, ora non ricordo. Gassman, all’apice del suo successo ci ricevette nel camerino ma, ricordo, fu molto freddo e sussiegoso, quasi infastidito. Probabilmente la visita di mia madre gli faceva tornare alla mente anni poveri e difficili della sua vita e, probabilmente, precedenti legami affettivi di cui mia madre ne aveva perfetta conoscenza e che lo mettevano in imbarazzo. Nella pensione Garra di via del Lauro, infatti, Gassman, almeno nei primi tempi, viveva in ristrettezze economiche, a volte senza disporre dei soldi necessari per pagare i pranzi ma solo per saldare l’affitto della stanza dove dormiva, la prima a destra entrando dalla porta d'ingresso: di fronte stava Calindri che, con la moglie e i due figli piccoli, si arrangiava in una sola camera. In tutta la pensione c’era un unico, grande bagno che gli attori usavano a turno. Spesso, mi raccontava mia madre, quando si avvicinava l’ora di pranzo o di cena, Gassman spariva dalla circolazione. Era molto orgoglioso e non aveva il coraggio di dire che non aveva soldi. Iniziava così la solita ricerca di Vittorio. Come sempre accadeva perché questo siparietto si ripeteva spesso, mia nonna lo trovava seduto in terrazzo (c’era un vasto terrazzo al quarto piano poi distrutto dai bombardamenti) a leggere un libro o un copione. “Dai vieni Vittorio, c’è già la pasta in tavola”, diceva mia nonna. Lui resisteva qualche minuto dicendo che non aveva fame, ma poi accettava. Era un’amabile schermaglia: mia nonna Concetta Garra vedeva in Gassman solo un ragazzo con pochi soldi e poco lavoro, da aiutare. Probabilmente gli ricordava suo figlio assente, mio padre Luigi, deportato in Germania nel lager di Bergen-Belsen. Vittorio e Nora lavoravano, allora, nella compagnia di Laura Adani. Non rivelo nulla se dico che Gassman sposò Nora Ricci per introdursi, attraverso il suocero, nella cerchia degli attori che contavano, ma non la amava. Anzi, la odiava. Nella pensione Garra erano famose le scenate che fino a notte fonda animavano il silenzio di via del Lauro. Gassman, inoltre, soffriva di sonnambulismo e questo inconveniente, unito alla depressione che lo affliggeva e ai dissidi con la moglie, ne faceva un personaggio esplosivo, a volte irrefrenabile. Una notte, tornato da una recita al teatro Lirico dove lo avevano fischiato e qualcuno anche insultato, si bevve un intero fiasco di vino e poi iniziò a deambulare per la pensione gridando: “Mi hanno fischiato e mi hanno detto anche finocchio: a me! Dire finocchio proprio a me, a me! Nessuno mi aveva insultato così prima d’ora”. In preda ad un’ira funesta iniziò a rompere metodicamente specchi e porte. Si ferì anche ad una mano e gli altri attori dovettero accorrere per calmarlo. Fu una notte di grande trambusto. Nei primi tempi dopo il matrimonio con Nora Ricci, Gassman e la moglie vissero nella pensione, in una camera più grande e lì, forse ma non ne sono sicuro, nacque anche la loro figlia Paola, proprio nei giorni della Liberazione di Milano. Poi la guerra finì, la pensione tirò avanti fino ai primi mesi del 1946 per poi chiudere definitivamente i battenti. Arrivarono gli americani e a Milano, come da altre parti, iniziarono gli sventramenti edilizi. Molti teatri furono cancellati, nacquero nuovi hotel, le compagnie reiniziarono le loro tournèe in giro per l’Italia liberata. Finì anche quel particolare mondo teatrale milanese in bianco e nero che gravitava attorno alle pensioni e agli affittacamere del centro.