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BAND: I REFUSE IT!
TITLE: CRONACHE DEL
VIDEOTOPO
LABEL: WIDE RECORDS
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ONDAROCK
http://www.ondarock.it/recensioni/2005/irefuseit.html
"Fra il 1982 e il 1983 il punk italiano finì sulla mappa. Anche se prima vi erano stati gruppi punk italiani, fu con
l'affermarsi della scena hardcore che si cominciò a parlare di un'autentica "scena" italiana o, per meglio dire, di molte
scene locali. E, naturalmente, non si trattò di una questione semplicemente musicale. L'hardcore-punk in quegli anni
rappresentò infatti per molti di noi un'attitudine e un modo di vivere. In Toscana la scena nella sua globalità divenne
nota con la sigla GDHC che sta per Granducato Hardcore e gli I Refuse It (insieme ai CCM; ai Traumatic, ai Putrid Fever,
agli Juggernaut e vari altri) ne furono uno dei gruppi più significativi".
A parlare è Stefano Bettini, che degli I Refuse It fu voce e leader carismatico, nonché promotore della fanzine "Nuove
Dal Fronte", voce narrante di quei tempi eroici. Di quella storica formazione (che inizialmente vedeva tra le sue fila anche
J. Zarko alla chitarra, Sandro al basso, Wally Dread alla batteria e Boz Lapinski alle tastiere), la benemerita Wide Records
riporta oggi alla luce l'intera discografia, in un'edizione corredata di un bel booklet con tanto di storia, foto d'epoca e
testi sparsi. Anche se la proposta della band fiorentina prendeva le mosse dal più recente hardcore americano, non pochi
erano gli elementi (quali ad esempio l'uso delle tastiere) che li posero nel solco di certa new wave radicale e dall'elevato
tasso isterico (Pere Ubu, Debris, Butthole Surfers). Il loro assunto iniziale, infatti, fu quello di suonare una musica "tesa e
nervosa", scolpita con improvvise accelerazioni e lavorata dentro strutture che non disdegnavano la carta della
complessità.
I primi 11 brani qui raccolti uscirono originariamente nel 1983 su una cassetta autoprodotta condivisa con i CCM, dal
titolo "Permanent Scar/Sfregio Permanente", arrivata anche sul mercato americano grazie alla Affirmation Records di
Indianapolis. Per chi scrive, è in questi brani che gli I Refuse It danno la loro migliore prova di sempre. L'iniziale "Nuove
Dal Fronte" è uno dei loro classici, con indemoniate dinamiche batteria/basso, su cui svettano la voce di Bettini (molto
simile nelle sue evoluzioni grottesche a quella di Jello Biafra) e la chitarra di Zarko, tirata per la gola dentro calderoni
noise. "Hit'N'Run Attack", cantata in una lingua inventata, è introdotta da un martello pneumatico e tratteggiata con
buona maestria al passo di un ritmo ferroviario.
Il saliscendi irresistibile di "Chocu Umeret" (poi ripresa in chiusura), le urla scatenate e le progressioni psichedeliche di
"Fall Down" e la danza convulsa di "Mannikin" impongono una voce potente, ricca di sfumature e carica di passione. E'
un suono che riesce a conservare integra quella carica dirompente che Bettini & co. avevano durante le loro prove in
cantina.
Altrove, tenendo fede al loro carattere eterodosso, propongono la loro versione dello psicodramma in stile Black Flag:
basso melmoso, chitarrismo acido e rumoroso, voce narrante e sinistra, in una spettrale voragine di misterioso
abbandono ("Josephine (The Camel Girl)". "Sacrifici Umani" scivola via in neanche un minuto di tinte western. Legate
alle cadenze nevrotiche dei Killdozer, troviamo, invece, "The Story Of My House" e "Spread Of Disease (Contagio)",
mentre quello di "Mira Il Tuo Popolo" è un esempio di "sacralità desacralizzata" che, con piglio irresistibilmente
sardonico, si fa beffe di quello che sembra essere un tema popolare. Compatta e ispirata, lirica e creativa, questa prima
prova della band si impone, in definitva, come una delle vette dell'hardcore italico.
Registrati tra il 1982 e il 1985, i brani 12-20 uscirono su 7'', 12'' e su compilation. Il livello è qui molto più altalenante, tra
momenti interlocutori ("Fuggi Fuggi", "Agguato", "Ricatti" e "Frecce Avvelenate Sul Comitato Disastri") e nuovi
concentrati di creatività ("Noi Vi Odiamo", "Sogni A Doppie Vie" - che vanta, grazie al sax di tal Vincenzo 33%, un aroma
Mx-80 Sound -, "Cronache Del Videotopo", "M" - che, nel citare Fritz Lang, si diletta con gingilli spacey, scivolando
indietro fino ai Debris più schizoidi - e la lunga agonia di "Questo è l'inferno… Questa è Eleusi", apice emotivo della band,
lungo un ponte sovrastante Flipper, Germs e Negative Trend.
Ecco quanto racconta Bettini: "Chi ha visto gli I Refuse It dal vivo si ricorderà che durante quel pezzo mi toglievo la
cintura dei pantaloni e mi frustavo. E facevo sul serio: i segni rimanevano per giorni. Perché lo facevo? Un po' perché
trovavo il pezzo pieno di sacralità, un po' per dimostrare a tutti che l'hardcore era vero, autentico, e che questa era la
cosa più importante di tutte."
Ciò che resta, con la sola esclusione dell'inedito di "Tele Urna 9000" (uno scalcinato punk'a'billy) proviene da uno split
album condiviso con gli Ultima Thule, pubblicato nel 1986 nel Regno Unito dalla Inward Collapse e in seguito ristampato
dalla Wide Records sul mini Lp "Mind The Gap". Dalla cavalcata fumigante di "Che Cosa Posso Fare Di Erotico (Per Non
Diventare Nevrotico"), passando per la matrice post-punk di "Paradiso Zero" e l'enfasi assordante de "Il Gatto", risulta
evidente che, pur essendo ancora di buon livello, la proposta della band era ormai priva di nerbo e senza una direzione
precisa, in balia degli eventi che avevano portato al superamento dell'originario background su cui era germogliato
l'hardcore.
Terminata l'avventura, Bettini si avvicinò al reggae, diventando uno dei personaggi chiave del giro "ragamuffin" con il
monicker "Il Generale". Ma per il momento, tralasciando altre storie e altri ricordi, il consiglio è quello di mettervi in casa
questo pezzo di storia del rock italiano. Giusto per non far finta che gli I Refuse It, e tutti quelli che come loro operarono
in tempi non sospetti, abbiano urlato, martoriato chitarre e sfondato batterie invano…
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KDCOBAIN
http://www.kdcobain.it/pagine/recensioni/irefuseit.htm
Era il lontano 1982 ed anche in Italia ormai da qualche anno era esploso il fenomeno punk e grazie anche
all'affermazione dell'hardcore, si iniziò a parlare di una scena italiana. Tra le band più underground dell'epoca non si può
non ricordare gli I Refuse It!, che da Pisa hanno a loro modo rivoluzionato una scena ancora in fase di crescita.
"Cronache del videotopo" si prefissa come una retrospettiva su questa band, presentando brani dal 1982 al 1987,
registrati nei modi più disparati, dai 4 piste ai registratori casalinghi, da studi di registrazione sparsi in giro per l'Italia ai
mitici Arkantide Studios di Londra da Mike Spencer dei Jam.
Lo stile degli I Refuse It! non si limita al punkrock ma sperimenta nel rock con sonorità noise, decisamente
intraprendenti per l'epoca. Questo disco raccoglie ben 25 brani, tra cui è presente un inedito ("Tele Urna 9000"),
registrato nel 1987 in una cantina/sala prove di Firenze. Il garage si fonde al punkrock, al noise e all'hardcore grazie ad
una vasta gamma di ritmiche e di cacofonie, perfettamente deliranti. Il booklet consente a chi non conoscesse questa
band di immergersi nell'atmosfera dell'epoca e ripercorrere le tappe fondamentali della storia degli I Refuse It!.
Insomma "Cronache del videotopo" è una valida raccolta che mette insieme materiale davvero irrintracciabile tra cui
anche la versione blasfema di "Mira il tuo popolo", noto brano religioso. L'impegno sociale e la voglia di sperimentare
hanno sicuramente costituito gli elementi fondamentali sui quali si basa tutta la carriera di questa band toscana, ora
celebrata in questo disco, impedibile per chiunque ami le radici del vero punkrock nostrano.
ULTRASONICA
http://www.ultrasonica.it/modules/lykos_reviews/index.php?op=r&rev_id=172&cat_id=1&sort_by
Esce per la Wide rec., etichetta fondata da Sandro, bassista degli IRI, questa raccolta di uno dei gruppi più significativi
della scena hardcore italiana anni 80. Come buona parte dei gruppi nostrani, influenzati dall’
allora nascente scena
americana che trovava nei nomi dei Dead Kennedys e dei Black Flag i suoi principali punti di riferimento, gli IRI seppero
distinguersi tra i gruppi che formarono il GDHC (Granducato Hardcore). Nome che venne coniato per quelle band
appartenenti al circuito punx toscano. Non si trattava di un movimento solamente musicale, ma di un modo di vivere,
completamente immersi in una realtà fatta di centri sociali e militanza ancora agli albori. Di una lotta quotidiana per
poter cambiare realmente il corso delle cose. Un mondo nel quale i punks venivano visti come corpi estranei da
soffocare, da rifuggire, per il loro coraggio e la loro sfrontata “
violenza”pronta a denunciare gli abusi di un mondo
soffocante. Precursori di quella alternatività che influenzerà le generazioni future e si concretizzerà nelle autoproduzioni e
autogestioni che saranno il segno distintivo di tutto il movimento punk, il cd in questione ripercorre le tappe principali
degli IRI, facendoci rivivere sensazioni che ancor oggi restano drammaticamente attuali e delle quali si sente un certo
bisogno. Non solo per quella voglia di lottare che si è istituzionalizzata ma anche per quella creatività che non è
riscontrabile nelle “
nuove”leve. Creatività che appunto come dicevo all’
inizio ha distinto gli IRI dalle formazioni dedite ad
un hardcore canonico. Volgendo uno sguardo alla stagione no wave, le canzoni proposte si distinguono completamente
l’
una dall’
altra, vuoi per l’
uso di ritmi, strumenti (sax) e rumori che non proprio appartenevano all’
universo Hardcore.
Saranno infatti proprio questi dettagli a cambiare il futuro dei componenti. Stefano diventa Ludus Pinski che insieme a
Wally Dread formerà il gruppo multi etnico Village Cryers, anticipando il fenomeno delle posse. A riprova della volontà di
non assestarsi su posizioni certe, ma di dare continuità alla loro ricerca. Non mancano nei testi la rabbia e l’
ironia classica
dei punk. Non a caso l’
uso della lingua italiana è stata al centro di discussioni, critiche e riflessioni che lo stesso Stefano
(cantante degli IRI) ben esplicita nella presentazione del Cd. Testi contenuti nel booklet alcuni dei quali divennero
“
popolari”: “
Icone che spesso trovavi scritte sui muri”(Stefano). Nel dettaglio “
Mira il tuo popolo”(“
Il mio senno è
vietato per legge, la mia vita è attaccata ad un filo, posso tagliarlo e poi farla finita con ogni residuo di sanità); il
ritornello di “
Cronache del videotopo”(“
Scrutiamo con occhi di cavia impazziti la nostra fugace realtà”
) o il passo di
“
Contagio”(“
Ancora pochi passi e sarebbe capitato a te”
). Il primo atto che porterà verso lo scioglimento della band ma
anche verso nuove soluzioni è assestato dalla Polizia fiorentina che allontana con un foglio di via il bassista Sandro
colpevole di essere al posto sbagliato nel momento sbagliato. Di qui un avvicendarsi di formazioni (altre due) che
indeboliscono la creatività e forse la forza di continuare sfociando nel litigio che sigilla la fine della band. Ludus e Wally
daranno vita alla Ludus Dub Band che accompagnerà il Generale nelle sue prime apparizioni e Sandro fonderà la Wide
Rec. Si presenta, con questo disco, la possibilità di riscoprire il meglio della musica punk nostrana che non merita di
essere dimenticata, che nonostante gli anni non ha perso il suo smalto e la sua carica e che può essere sempre portata
da esempio a tutti coloro che amano fare le cose con la testa e con il cuore.
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MUSICA PER DROGATI
http://www.musicaperdrogati.blogspot.com/
Erano gli anni ottanta. Esplosivi anni per l'underground italiano. Gli anni dell'hardcore. Del Grand Ducato Hardcore, della
scena toscana e di una miriade di realtà esaltanti ed eccitanti che arrivarono persino alle orecchie d'oltreoceano. Anni da
ricordare con orgoglio. Ed ecco questa ristampa degli adrenalinici I Refuse It!. Gente che sperimentava, che costruiva il
proprio concetto di sperimentazione sull'eccesso, il rifiuto e l'autonomia. Gente con la testa sulle spalle, anche se vedersi
Stefano su un palco mentre si frustava con la propria cintura mentre cantava "Questo è L'Inferno" (partite da qui)
poteva far venire dei dubbi. Era ricerca. Era consapevolezza ed espressione di autenticità. Ora gente come i With Love o
i Death of Anna Karina non ci sarebbero senza gli I Refuse It! Era un periodo in cui l'adrenalina si trasformava in musica
eccitante e veloce, ma non chiusa in se stessa. Costantemente aperta alla ricerca, senza preclusioni di sorta. Tant'è vero
che parte degli I Refuse It! si diedero al reggae (Ludus Pinski, Il Generale, Village Criers) mentre gli altri si diressero
verso atmosfere più rock'n'roll (il mini "Mind The Gap!" con la semi demenziale "Che Cosa Posso fare di Erotico...", era
piuttosto angosciante piuttosto che divertente...). Quindi non una questione di durie puri, ma una questione di
attitudine. E questi 25 pezzi sono qui a dimostrarci che quel rumore aveva un senso, ma soprattutto ce l'ha oggi, dove le
critiche mosse da Stefano nei suoi testi all'alienazione individuale, al potere inibitorio dei mass media e al
rimbambimento culturale sono più che attuali. E ci ricordano le urla di altri grandi come Negazione, Raw Power, Peggio
Punx (poi diventati solamente Peggio), Upset Noise, Indigesti, fino ad arrivare a Sotto Pressione e Bellicosi: un percorso
e un energia che ancora serpeggia per le vie della penisola, per fortuna, in corpi come quelli di Infarto Sheisse!, La Crisi,
Gerda, Inferno, Hell Demonio!, Agatha e molti altri.
HMP
http://www.hmp.it/modules.php?name=Reviews&rop=showcontent&id=4962
La storia degli I Refuse It! è quella di una formazione attiva nella prima metà degli anni ottanta e legata al Granducato
Hardcore, ovvero una delle realtà più caratteristiche e peculiari dell'intera scena nazionale. Originari di Firenze, gli I
Refuse It! sono entrati nella storia con uno split in compagnia dei leggendari C.C.M. e una manciata di singoli, una
discografia scarna eppure in grado di diffondere un sound originale e contaminato, in cui alla base di chiara matrice
hardcore punk si affiancava un gusto unico per partiture jazz e noise. Precursori dei tempi e anticipatori di sviluppi a
venire, gli I Refuse It! sono ancora oggi ricordati come una delle formazioni più interessanti e valide di quel periodo,
riuscendo a risultare attuali nonostante il lungo tempo trascorso. Da quella esperienza sono scaturite diverse realtà, tra
cui la stessa Wide Records, che oggi ha finalmente deciso di condividere sotto forma di compilazione filologica tutte le
registrazioni legate alla band pisana, compresi inediti, live e demo, fissando nel tempo e nella memoria una delle realtà
più significative di un'epoca. L'uscita viene accompagnata da un ricco booklet contenente testi, foto e note biografiche
curate dal cantante della band (oggi conosciuto come Il Generale) e ci presenta i brani completamente rimasterizzati per
l'occasione. Un altro tassello si va inserire nell'archivio storico della scena hardcore punk italiana, non si può evitare di
gioirne.
Hardcore sincopato dal Granducato
TRIPPASHAKE
http://www.trippashake.com/Recensioni.htm
Fantastico!!! Non trovo aggettivo migliore, erano anni che aspettavo qualcosa del genere, ben 25 pezzi di quella band
hardcore fiorentina spaccacula, gli I Refuse It! Qui c'è tutta la loro storia, dal 1982 al 1987. Chocu Umeret è uno dei
pezzi più belli che si possano sentire, Frecce Avvelenate sul Comitato Disastri, Mind the Gap sono solo alcuni dei brani
riproposti di quella splendida epoca. Ora ovviamente non ci sono più, il Generale è dedito alla Fiorentina come del resto il
sottoscritto, degli altri so veramente poco o nulla, ricordo solo Fernando nelle mie ultime scappate al CPA. Complimenti a
chi ha avuto l'idea, non sarà un disco che venderà 10.000 copie, per questo spero che prima o poi succeda qualcosa di
simile con i CCM ed altri. IMMENSO!!!
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FREAKOUT
http://www.freakout-online.com/album.aspx?idalbum=762
La storia, la cronaca, la critica: tre elementi che sono ben condensati nelle note iniziali del booklet di questo “
Cronache
del videotopo”edito da Wide records di Pisa per la neonata collana “
Document series”
. Il gruppo, con ogni probabilità,
non era tra i più noti della famosa scena hard-core italiana di inizio anni ottanta; in quell periodo Negazione, Raw Power,
Indigesti, Kina e varianti come CCM e Not Moving; ma aveva il fregio di costituire il Gran Ducato Harcore sigla sotto la
quale si celavano le bands toscane. Come tanti gruppi italiani IRI! giravano in tour in Italia quanto in Europa e per altri
anche gli States dove, almeno per Raw Power e Negazione ci fu un “
vero”riconoscimento artistico grazie al quale è
ancora oggi noto l’
italian-hard-core. I membri storici di Refuse It! rappresentano concretamente il d.i.y. italiano (fanzine,
musica, discografia/distribuzione indipendente) e se da un punto di vista strettamente musicale possiamo trovare brani
discutibili per esecuzione, arrangiamento e testi non possiamo affermare che lo spirito che ha portato avanti la “
scena”
travalicava queste esigenze di stampo commerciale.
“
Cronache del videotopo”è una raccolta di ben 25 tracce, scritte e composte dall’
82 all’
87, con un lavoro certosino. I
protagonisti di allora hanno raccolto il materiale audio dandogli nuova vita e infatti il disco suona molto bene. E’
importante che operazioni di “
recupero”come questa siano fatte, è importante per le nuove generazioni di punkers ma
anche per coloro che hanno vissuto quel periodo ricco di ricordi, positivi e negativi ma che sicuramente ci hanno
permesso di crescere ed essere quello che si è oggi.
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HMP (intervista)
http://www.hmp.it/modules.php?name=Interviews&rop=showcontent&id=692
Anni ottanta, Italia, Toscana, Granducato Hardcore, I Refuse It!. Luoghi, nomi, anni impressi a fuoco nella memoria
collettiva della scena hardcore nazionale e non. Oggi, gli I Refuse It! tornano a vivere grazie ad una raccolta
monografica curata dalla Wide Records e nelle parole introduttive dell'allora cantante Stefano Bettini. Abbiamo cercato
di capire con lui i perché di un momento irripetibile nella scena musicale italiana: gli anni in cui un manipolo di persone
creò una delle realtà più interessanti a livello mondiale.
Non c'era internet, non c'erano i CD, non c'era il cellulare né gli SMS, eppure in breve tempo si costruì un network
incredibile fatto di cassette registrate in cantina, concerti pubblicizzati con volantini sparsi un po' ovunque e telefonate
tra amici, zine fatte con macchina da scrivere, foto ritagliate, sudore e tanta pazienza. Ma come è stato possibile
arrivare a tanto con così pochi mezzi?
Anzitutto, c'era un background non da poco. Tieni presente tutta l'esperienza del movimento degli anni 70 basata sull'organizzazione,
sui ciclostili, sui volantini, sui collettivi. Tutta roba bene o male ereditata, con in più una passione che muoveva montagne e che era
resa ancora più forte dal fatto che si trattava di uno scambio di dimensioni internazionali. Io ricevevo lettere, cassette, plichi, fanzine
tutti i giorni e come me c'era tutta una rete di persone che faceva altrettanto. Ho ricevuto lettere dalla Malesia, dal Giappone, dal
Brasile, dal Perù... Certo Maximum r'n'r aiutava molto nel congiungere le varie scene ma poi l'interscambio funzionava davvero perché
c'erano molti singoli individui che si davano da fare.
In quegli anni la pratica del "do it yourself" e dell'autogestione erano più una necessità che un vezzo artistico. Non
credi che questo abbia in qualche modo stimolato la creatività, dando l'impressione che tutti potessero realmente
arrivare a creare qualcosa con le proprie forze piuttosto che limitarsi a cercare con ogni forza il contratto con la grossa
label o il passaggio in televisione?
Il punto è che c'era un circuito in cui certe cose avevano la loro visibilità e fondamentalmente non ci interessava uscire da quel circuito.
Andare in Tv era proprio all'opposto dei nostri desideri. Questo era il pro e il contro, il bello e il limite. Le scene locali avevano una
esposizione globale e il meccanismo era fondato sul DIY, certo alla lunga (cioè dopo gli anni magici che vanno dall'82 all'86 al massimo)
cominciò a diventare un po' autoghettizzante, e questo fu il limite.
Anche il far parte di una scena era sicuramente un processo non privo di difficoltà, essere un punk non era socialmente
accettato come oggi e i pregiudizi giocavano un ruolo maggiore di oggi. Cosa spinse allora molti ragazzi a fregarsene
dei rischi e dell'emarginazione per costruire la scena hardcore italiana?
Boh, Sinceramente non ho mai pensato ai rischi. C'era l'entusiasmo di fare. Per di più devi pensare che erano gli anni 80 e (anche in
relazione a quello che ti ho risposto nella prima domanda) si veniva da una situazione in cui, fra arresti, fughe all'estero ed eroina, di
rischi ce n'erano veramente molti di più. Quelli un po' più anziani come me c'erano passati direttamente, altri magari avevano avuto
coinvolti i fratelli più grandi ma non potevi non fare i conti con l'eredità del '77 né personalmente né tanto meno a livello di situazione
sociale.
Questa famosa scena italiana prendeva innegabilmente spunto dai fermenti maturati negli USA, ma portava con sé dei
germi unici e del tutto peculiari. Germi che rendono tuttora uniche, pur nelle loro diverse scelte attitudinali e stilistiche,
le prove delle band coinvolte e che ne hanno proiettato il ricordo e l'influenza al di fuori del tempo e dello spazio
geografico. Ma quali erano questi germi e quali furono i motivi per cui ciò accadde proprio in Italia e non in altri paesi
che si sforzarono di dare una propria interpretazione del lessico hardcore punk?
Be', in Italia fu particolarmente "peculiare" ma non è vero che negli altri paesi non c'era qualcosa di interessante. Per esempio nella exYugoslavia c'erano dei gruppi molto interessanti e delle situazioni molto particolari. In Italia c'era un clima particolare in un momento
storico particolare e molta gente in gamba che si dedicò all'hc producendo della musica molto originale o, in ogni caso, autentica perché
priva di compromessi con i gusti di qualsiasi industria discografica inclusa quella delle prime etichette indipendenti indirizzate verso la
new wave più danzereccia o verso il dark.
A fianco delle grosse città (Milano, Torino, Roma), fiorirono scene decentrate ma non per questo meno capaci di
contribuire alla causa. Una delle realtà più incisive rispondeva al nome di Granducato Hardcore e vi vedeva coinvolti in
prima persona: puoi spiegarci come è nata l'idea del granducato e cosa si proponeva?
Il nome fu utilizzato ufficialmente per la prima volta in occasione della compilation senza tregua. L'idea era che la costa ovest toscana
dell'Italia fosse una specie di California locale, un laboratorio di idee e di realtà attive fatto anzitutto di individui e, quindi, di band, di
produzioni su cassetta o vinile, di fanzine e via dicendo. Alla fine ci fu anche un locale autogestito, il Victor Charlie, che rappresentò il
punto d'incontro per tutte le band italiane e estere del giro hc che venivano a suonare dalle nostre parti.
I Refuse It!, CCM, Putrid Fever, Juggernaut, Wardogs, Traumatic... Come è possibile che tanti gruppi riuscissero a
convivere senza invidie e malumori? È davvero tutto oro quel che luccica?
Più o meno direi proprio di si, a parte qualche piccolo scazzetto personale ogni tanto, cose di normale amministrazione. C'era
un'attitudine comune che univa ed era molto forte. Univa persino pisani e livornesi, figurati un po' te.
Gli I Refuse It! seguirono una propria interpretazione del suono hardcore che spesso li vedeva contaminare la trama e
deviarne più o meno palesemente il percorso, creando alla fine un trademark unico e inconfondibile. Come lo spieghi col
senno di poi?
Era nostra intenzione andare controcorrente anche rispetto al senso della controcorrente, sicché si voleva avere un sound distintivo, l'hc
quello "thuncha thuncha" ci sembrava obsoleto. Il nostro primo obiettivo era sperimentare, andare al di là degli schemi, rompere anche
(e in un certo senso soprattutto) con quegli schemi che ci erano più vicini.
>>>segue
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Una stagione unica e irripetibile nata come i funghi e come i funghi ad un tratto rientrata in sordina, o è meglio dire
mutata in qualcosa di diverso?
Normale che certe cose alla lunga si logorino. C'era entusiasmo e creatività ma gli individui crescono e le cose si evolvono, normale che
le cose cambino. Ci sono i vari percorsi individuali, mentre per quel che riguarda il punk c'è stata un'accettazione da parte del
mainstream con gruppi che passano regolarmente su MTV e una frammentazione in generi, sottogeneri, sotto-sotto-generi. Le cose che
dividono sono diventate di più, come dire quello è un emo, quello è un'altra cosa. Troppe questioni di etichetta e, forse, meno sostanza.
Però è un giudizio puramente individuale.
Nonostante gli anni passati, basta che due persone attive in quegli anni si incontrino e tutto sembra sparire (nuove vie,
scelte di vita, mutati interessi) per lasciare il posto a ricordi, aneddoti, momenti condivisi. Dobbiamo desumere che
quegli anni formarono e forgiarono le persone coinvolte tanto da restare una sorta di tatuaggio permanente nelle loro
vite?
In linea di massima direi proprio di si. È stato un periodo importante, certo da non esagerare come proporzioni. Tieni presente che la
scena non coinvolgeva un numero enorme di persone. In Toscana per esempio si sarà stati qualche centinaio e ci si conosceva più o
meno tutti. L'importante però era questa dinamica fra l'agire localmente e l'avere un riscontro in una scena e in un movimento che era
globale/internazionale, con tutta una rete di contatti, con la possibilità di trovare ospitalità o qualcuno in grado di organizzare concerti o
di distribuirti le cose un po' dappertutto. La cosa grande era che non c'erano gli "artisti" e il seguito, ognuno a modo suo era un
protagonista attivo, o perché suonava o perché collaborava alla fanzine, o perché si dava da fare in qualche altro modo, la cosa
straordinaria è proprio che non si era tanti ma si era molto attivi. Alla lunga è stato probabilmente anche il limite implicando un po' di
autoghettizzazione, ma in ogni caso c'è stata evidentemente una forte unione fra coloro che erano attivi in quegli anni.
Tu stesso hai deciso di intraprendere nuove strade ma hai voluto firmare le note e l'introduzione alla ristampa su CD
degli I Refuse It!, come è nata questa idea e che effetto ti ha fatto rimettere mano al materiale dell'epoca?
Be', era tanto che questa raccolta era pronta e doveva uscire. Per me e per gli altri gli I Refuse It! sono stati un capitolo assolutamente
essenziale. Quello che abbiamo fatto dopo rappresenta un'evoluzione non una rottura. Semplicemente le cose cambiano e, come ti ho
già detto, noi tutti negli I Refuse It! abbiamo da sempre avuto una grande voglia di sperimentare. Così, per esempio, già all'epoca degli
I Refuse It! (con la grande fortuna di avere un posto nostro dove provare e di frequentarlo praticamente 7 giorni su 7, una cosa che
oggi nessuno di noi potrebbe più praticamente permettersi di fare) tenevamo in piedi altri progetti paralleli con nomi quali Brood o
Maionese Boys. Sentivamo anche molto reggae (sulla nostra fanzine, Nuove dal Fronte, alcune pagine erano dedicate proprio al
reggae). Per cui per me e almeno altri due altri degli ex-I Refuse It! (e anche per vari altri del giro hc fiorentino) l'evoluzione nel reggae
e nella world music è stata piuttosto naturale. Poi ci sono i fatti contingenti, come l'incontro con vari musicisti africani che risiedevano a
Firenze, uno scambio importante da cui nacquero il disco di Ludus Pinski Village Criers e i primi concerti della Ludus Dub Band in cui
cantavamo a metà io e l'algerino Smail Aissa Kouider. L'unica considerazione che mi viene da aggiungere è che, così come per gli I
Refuse It!, anche in questo siamo arrivati troppo presto, troppi anni prima che la fusione fra "rock" e "etnico" diventasse una cosa
comune e che tutte quelle esperienze siano rimaste per lo più sconosciute con l'eccezione di quelle che poi sono state "scoperte"
quando, d'improvviso, tutti sembrarono scoprire il sound delle cosiddette "posse italiane". Ma se ci pensi bene, i concetti fondamentali
del primo raggamuffin e del hip hop italiano dei primi 90 vengono dall'hc: cantare in italiano, autoprodursi la propria musica, suonare
nei centri sociali e comunque avere controllo delle proprie attività. È vero anche, in parte, che a più di 30 anni, ti viene anche l'esigenza
di fare cose meno nichiliste e, magari, perché no, di provare a campare con la tua musica, visto che devi fare i conti sul serio con il fatto
di campare e auto sostenerti. Per un po' ci siamo anche riusciti, ma secondo me siamo sempre rimasti piuttosto coerenti anche se il tipo
di musica era un altro e qualche giornalista, fissato col fatto di voler inquadrare a tutti i costi un certo "fenomeno", non capiva un cazzo
come al suo solito.
Tutti concordano nel dire che l'hardcore è finito negli anni ottanta, ma in realtà basta andare sotto la corteccia per
trovare ancora oggi centinaia di band, label e 'zine intente a mantenere vivo come possono quello spirito. Ma allora,
dove si trova la verità: non è che alla fine è come per il rock che tutti dichiarano morto anzitempo?
Te l'ho detto sopra. oggi secondo me ci sono troppi sotto-sotto-generi, troppe etichette, troppi rancori fra ambienti limitrofi. Però non
sono la persona più indicata per dare un giudizio. Dei fatto oramai sono un esterno e non me la sento di criticare. Posso solo dire che
ancora oggi ascolto un po' di tutto, punk compreso. Non il metal perché l'ho sempre detestato (odio gli assoli di chitarra auto
celebrativi) con la sola eventuale eccezione dei Venom. Ascolto reggae, soul, R&B, Banghara, hiphop specialmente se viene dall'Africa o
dall'Asia, e poi ancora sento sia il punk che certe cose ancora precedenti come Wyatt o altra musica di Canterbury che ho sempre
amato. Uno dei messaggi più importanti dei primi anni ottanta era avere la mente aperta e non farsi condizionare dalle scelte altrui. Io
ho sempre pensato che questo valesse anche per il "credo" del punk, almeno quando questo di portava ad essere chiuso verso altre
possibilità. Da questo punto di vista continuo a pensarla come allora e desidero continuare a sperimentare senza avere schemi
precostituiti.