II bambino che morde il seno. Appunti su

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II bambino che morde il seno. Appunti su
II bambino che morde il
seno. Appunti su:
aggressione, morte, male
Clementina Pavoni, Milano
Queste note rappresentano il tentativo di fare ordine intorno a considerazioni sorte in modo frammentario e
spontaneo nel corso del training di baby-observation.
Durante quella esperienza mi sono trovata spesso di
fronte a due tipi di problemi: ad un livello emotivo la
comprensione di quanto preferisco esprimere con un'immagine: «il dramma del bambino che morde il seno che
lo allatta», in altre parole il peso della distruttività; e a un
livello razionale le difficolta poste dalla teoria della pulsione
di morte nei modelli interpretativi freudiani, kleiniano e il
confronto con il pensiero di Jung. Solo al termine
dell'esperienza mi sono resa conto che le problematiche
sollevate dalla baby-observation sono precisamente
quegli aspetti poco chiari, e io credo tuttora aperti,
indagati da Freud con la messa a punto della
metapsicologia. Ciò che costituisce, in gran parte, la materia di analisi di Freud, cioè le vicissitudini delle pulsioni in
una psiche al suo formarsi, è precisamente I'oggetto di
studio, colto nel suo divenire, della baby-observation.
Questo è il terreno da cui partono le riflessioni della Klein
e intorno a questi temi il pensiero di Jung raggiunge un
livello di grande astrazione e complessità attraverso I'elaborazione di suggestivi modelli di interpretazione.
L'attenzione verra incentrata sulle connessioni che intercorrono tra aggressività e pulsione di morte, problematiche
che si sono poste nel lavoro interpretativo sui protocolli
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dell'osservazione diretta del bambino nei suoi primi contatti con le difficolta della vita.
Si fara riferimento dapprima alla lettura kleiniano, così
come si è sviluppata negli incontri con la dott.ssa Magagna. In seguito si cercherà di sviluppare il tema nei termini metapsicologici di Freud, per arrivare a proporre il
discorso in campo junghiano.
1. // punto di vista kleiniano
Durante I'analisi dei protocolli è stato costante il riferimento a coppie antinomiche (per esempio: buono-cattivo) che costituiscono la struttura portante dell'impianto
kleiniano. I gesti, gli sguardi, le posture, gli atteggiamenti
del neonato, e poi del bambino nella relazione con la
mamma e con I'adulto che si prende cura di lui, sono letti
e interpretati come segni in grado di aprire un varco nella
comprensione della sua vita fantasmatica e nella strutturazione in fieri della sua psiche. Ogni elemento preso in
considerazione viene calato in una griglia i cui principali
elementi
sono:
buono/cattivo,
integrazione/disintegrazione.
I quattro poli assumono una dimensione spaziale dove il
meccanismo della scissione regola i territori «interno»/
«esterno». Si tratta di uno spazio metaforico, privo di
significato geometrico: «esterno» non implica alcuna distanza reale, tutto si svolge all'interno della vita fantasmatica e i contenuti allontanati permangono operanti nei
soggetto grazie al processo della identificazione.
E’ possibile segmentare la griglia interpretativa in due
territori: un territorio «buono» retto dal principio dell'integrazione, «interno» al soggetto, e un territorio «cattivo»,
retto dal principio della disintegrazione e della scissione,
«esterno» al soggetto.
II primo regolato dal processo della identificazione
introiettiva, ha come meta la costituzione dell'oggetto interno buono, in quanto catalizzatore e serbatoio della
libido, il secondo territorio è presieduto dal meccanismo
della identificazione proiettiva che impedisce I'integrazione del senso di ansia e distruzione interna e sospinge
verso il caos.
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Nei termini della metapsicologia di Freud si tratta di impasto e disimpasto di libido e pulsione di morte: viene
introiettato I'eros e scissa ed espulsa all'esterno la pulsione
di morte che, non riconosciuta, continua ad agire all'interno, per esempio nel meccanismo della azione a ripetere.
II legame che Freud postula, ma tratteggia come debole,
tra pulsione di morte e aggressività, assume funzione
strutturante nella griglia interpretativa della Klein che
ipotizza il seguente percorso: ansia autodistruttiva - scissione come difesa - proiezione sul seno e sua aggressione - ritorno del seno danneggiato - caos e disgregazione
interna come precursori dell'oggetto cattivo interno quale
rappresentante della pulsione di morte. L'esperienza
della baby-observation permette di constatare come, in
gran parte, il valore del ruolo materno consiste nel
saper contenere I'ansia di disgregazione e nella capacità
di restituire il significato di un seno, cioè di un nutrimento
in senso lato, integro e vivo. II bambino gioca «alla
morte», cioè all'aggressione, perchè ciò costituisce una
valvola di sfogo dell'ansia interna, ma il ritorno al calore
dell'abbracciò protettivo deve poter sempre avvenire per
vanificare le fantasie di distruzione. In altre parole, per
usare la metafora iniziale, il seno deve poter tornare al
piccolo senza i segni dei morsi che la sua fantasia gli ha
inferto.
Vorrei proporre dai protocolli della osservazione diretta
due sequenze che si riferiscono ai tentativi di controllo
dell'ansia per il momentaneo distacco dalla madre:
II bambino ha due mesi e lo osservo durante una poppata, la mamma
tlene il piccolo tra le braccia, e seduta sul divano, io le sono accanto,
il bambino ritmicamente dondola la testa avanti e indietro, ogni tanto fa
qualche versetto, diventa leggermente rosso, si allontana per qualche
istante dal capezzolo, dopo un piccolo strillo, con un'espressione
corrucciata, ricerca il capezzolo...la mamma gli porge il seno, ma il
piccolo non stringe subito la bocca, si allontana un po', poi riprende il
capezzolo con le labbra spalancate, senza serrarle, si avvicina, si allontana dal seno, poi da due o tre poppate forti ed energiche, ma ritorna
subito ai suoi movimenti di presa di distanza e avvicinamento al
seno...suona il telefono, la mamma risponde, I'apparecchio e sul divano, il piccolo perde il capezzolo e strilla violentemente.
Si può arguire che il bambino è alle prese con I'ansia di
perdere il nutrimento vitale del latte, cerca quindi di esse-
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re lui a controllare la distanza dal seno, come se dicesse:
«sono io che lasciò il capezzolo». Questo gli è utile per
controllare I'ansia dell'abbandono, difesa che crolla al
momento della telefonata. II piccolo si permette solo due
o tre energiche poppate, teme di poter danneggiare il
seno con la propria voracita e la sua ingordigia dura
poco.
II bambino ha un anno e quattro mesi, ha schizzato la pappa dappertutto, la nonna e il papa sono occupati a pulire la cucina, la mamma e
fuori.
Si è fatto dare il guinzaglio del cane, accovacciato cerca di agganciare
il guinzaglio al collare, non ci riesce, si alza come se niente fosse,
anche il cane Io segue come se I'operazione fosse riuscita. insieme si
avvicinano alla porta. II bimbo saluta tutti con la mano e il cane scodinzola felice.. .il papà passa davanti al gruppo per andare in bagno, il
piccolo non appena capisce che il padre e chiuso in bagno si appoggia
con le manine alla porta e si mette a strillare disperatamente.
Vediamo che il bambino è rimasto un po' solo: la mamma
è al lavoro, gli adulti si occupano dei suoi disastri, recita
la parte del bambino che abbandona tutti e se ne va con
il cane. Attraverso il meccanismo della identificazione
proiettiva rifiuta il sentimento sgradevole di essere il bambino abbandonato e rigetta sugli altri i suoi contenuti
dolorosi. Ma I'assenza del padre rompe le sue difese e il
bambino non riesce più a portare avanti le sue proiezioni
e si attacca alla figura del papa. II piccolo gioca al suo
interno di volta in volta più parti per tenere a bada il
groviglio dei suoi sentimenti contrastanti: desidera
disperatamente il buon latte materno, ma teme la
distruttivita della sua ingordigia. L'abbandono dei capezzolo Io fa sentire totalmente perso nel mondo. Recita
la parte dell'adulto che se ne va di casa con il cane e
saluta tutti, perchè non riesce a contenere dentro di se il
dolore dell'essere abbandonato e Io «introduce» negli
altri, ma è costretto a sussumere tutta la sua disperazione quando il carico dei suoi sentimenti è troppo
gravoso.
Nei due episodi il momento del massimo dolore coincide
con la presa di contatto con la verità, da qui la funzione
di integrazione della depressione. Williams (1), riprendendo il pensiero della Klein e di Bion, opera un'interessante
distinzione tra ansia depressiva che
120
A.H.Williams,Nevrosi e
delinquenza.Roma, Borla,
1983
consente la preoccupazione per la sofferenza dell'altro e
ansia persecutoria, più arcaica, tipica del mondo animale,
che tende esclusivamente al danneggiamento dell'altro.
2. // nipotino di Freud
(2) Freud, «AI di la del prin cipio di piacere», Opere, vo'.
9, Torino, Boringhieri, 1977.
Osservando il nipotino che con il gioco del rocchetto
evoca I'esperienza dolorosa dell'abbandono della madre,
Freud postula (2) I'esistenza di pulsioni di altra natura
accanto alla libido, e precisamente: «una coazione a ripetere la quale afferma anche a prescindere dal principio
di piacere» e che appare: «più originale, più elementare,
più pulsionale di quel principio di piacere di cui non tiene
alcun conto» (pag. 209).
II piccolo sembra manifestare un attaccamento al dolore
che contraddice vistosamente il principio di piacere: ogni
trauma lascia dietro di se un seme di morte che chiede
di proliferare nel tempo.
La storia della composizione di «AI di la del principio di
piacere», le vicende personali che vi sono intrecciate, la
complessità della scrittura, danno la misura della fatica
incontrata da Freud di fronte alla necessita di rivedere la
teoria delle pulsioni e il primato del principio stesso. Un
occhio kleiniano che avesse osservato il medesimo
gioco, avrebbe intravisto la proiezione da parte del bambino sulla mamma della sua distruttivita e conseguente
identificazione. Freud nota che il gesto del bambino:
«costituisce il soddisfacimento di un impulso che ha represso nella vita reale, I'impulso di vendicarsi della madre che se ne e andata». Ma da questo punto lo schema
di interpretazione kleiniano offre gli strumenti per indagare i desideri fantasmatici del bambino di aggressione alla
madre che potrebbero seguire il percorso: - la mamma
abbandona il bambino -- il bambino odia e vuole distruggere la mamma - il bambino/mamma caccia lontano (fa
morire) con soddisfazione il rocchetto/mamma. II rocchetto
rappresenta la mamma su cui vendicarsi facendone il
contenitore dei sentimenti di abbandono che fanno sentire il bambino distrutto, perso. E’ contemporaneamente
mamma e bambino. E il bambino è insieme bambino/
rocchetto/mamma.
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Ogni tanto appare la seconda parte del gioco con la felicità
del ritrovato incontro di rocchetto - bambino - mamma e
conseguente dissolvimento dei fantasmi di aggressione.
Freud ha sempre parlato di ambivalenza, ma qui si tratta
di un odio che si declina sul versante di pulsioni del tutto
estranee alle pulsioni sessuali, precisamente di «campo
avverso».
II tema della distruttività dell'odio e qualcosa che ha sempre costituito problema per Freud, perchè in netta
contrapposizione con la concezione di un'unica libido
sessuale. A partire dal 1914, dagli studi sul narcisismo (3)
la teoria della unicità della libido, su cui si era giocato lo
scontro e la rottura con Jung, subisce attacchi sempre
più serrati.
Nel testo citato Freud (1914) postula la possibilità della
libido di ritirarsi dagli oggetti per rivolgersi all'lo, ripercorrendo i modi dell'interesse primario per se. Accanto, o
all'interno delle pulsioni erotiche, della capacita cioè delI'individuo di entrare in relazione con I'oggetto, Freud
scorge sempre qualcosa di diverso: «tutto ciò che ci veniva
fatto di notare erano le emanazioni di questa libido, gli
investimenti oggettuali suscettibili di essere esternati e
poi di nuovo tirati indietro. Grosso modo osserviamo anche
una contrapposizione tra libido dell'lo e libido oggettuale»
(pag. 446).
In questo ambito il narcisismo rappresenta la difficoltà
contro cui si scontrano le pulsioni erotiche, un rifiuto del
mondo che può essere derealizzante. Con il ricorso al
narcisismo si fa riferimento ad uno sdoppiamento della
libido (sessuale e non) che rende meno differenziata la
teoria della libido di Freud e Jung, elemento su cui porta
I'attenzione A. Green: «come è noto, fra le ragioni che
spinsero Freud ad abbandonare le sue vedute sulia
ripartizione delle pulsioni in libido dell'lo e libido oggettuale,
una, e non la meno importante, riguarda il fatto che egli
giudico questa concezione - elaborata dopo la rottura
con Jung - troppo vicina alle idee di chi, per conquistarsi
la sua immortalita, aveva preferito la dissidenza» (4). In
«Pulsioni e loro destini» (1915) Freud ipotizza una
derivazione delle pulsioni sessuali dalle pulsioni di
autoconservazione dell'lo. Per ora non viene ancora espli122
(3) Freud, «lntroduzione a!
narcisismo, Opere, vol. 7,
Torino, Boringhieri, 1975.
(4) Andre Green, Narcisismo
di vita e narcisismo di morte.
Roma, Borla, 1985.
(5) Freud, «Pulsioni e loro
destini», Opere, vol. 8, Torino, Boringhieri, 1976, p. 16.
(6) Freud, «AI di la del principio di piacere», op, cit.
citato il nesso tra le pulsioni di autoconservazione e il
principio di costanza, su cui però, viene detto, è regolato
il funzionamento dell'apparato del sistema nervoso: «che
vorrebbe, sol che ciò fosse possibile, serbare uno stato
del tutto esente da stimoli» (5).
Intorno alle pulsioni dell'lo si profila un nodo intricato che
ostacola la realizzazione di felici relazioni d'oggetto. Se,
come per altro risulta evidente nella osservazione diretta,
nel narcisismo primario I'interno è I'oggetto d'amore,
mentre I'esterno instaura I'odio: «con la comparsa delI'oggetto nello stadio del narcisismo primario si sviluppa
anche (...) il significato opposto all'amore, ossia I'odiare
(...) I'esterno, I'oggetto, I'odiato sarebbero a tutta prima
identici» (pag. 31).
Questo odio «può quindi accentuarsi fino a diventare
inclinazione aggressiva verso I'oggetto, proposito di annientarlo» (pag. 32); nel narcisismo è forte I'ambivalenza
verso I'oggetto, scandita sul principio del piacere/dispiacere, perchè I'amore narcisistico non può scorgere che le
proprie esigenze sulle quali in seguito si innestano, quasi
in un intrecciò, le esigenze della sessualita. Per cui, a
seconda della fase dello sviluppo sessuale, I'oggetto diventa qualcosa da «incorporare in se o divorare, una
specie di amore compatibile con I'abolizione dell'esistenza separata del!'oggetto», «nella fase dell'organizzazione
pregenitale sadico-anale, I'impulso verso I'oggetto si presenta come spinta ad appropriarsene e non importa se
I'oggetto viene danneggiato o annientato» (pag. 34). Ne
consegue che I'amore ha origine da un viluppo tra
pulsioni di autoconservazione, odio e aggressivita: «l'odio
come relazione nei confronti dell'oggetto e più antico
dell'amore; esso scaturisce dal ripudio primordiale che
I'lo narcisistico oppone al mondo esterno come sorgente
di stimoli (...) I'odio si mantiene sempre in intimo rapporto
con le pulsioni di conservazione dell'lo e le pulsioni sessuali pervengono facilmente a un'antitesi che riproduce
I'antitesi odio-amore» (pag. 34). Ma è con «AI di la del
principio di piacere» (6) che Freud esplicita, nell'ipotesi
della presenza della pulsione di morte, il lato oscuro del
rifiuto del mondo operato da una parte delle pulsioni
dell'io.
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I! concetto viene introdotto con cauteia, la pulsione di
morte viene definita come quella forza che si oppone ad
ogni felice relazione con I'esterno per risospingere il soggetto allo zero assoluto della quiete totale, interrotta dal
«rumore della vita». Le analisi, in seguito abbandonate,
sul narcisismo ne ponevano necessariamente I'esistenza.
La vita, in quanto antitesi di morte, e caotico intrecciarsi
di contatti, un lavorio confuso di cellule tese alla propria
perpetuazione. II ritiro dal mondo del narcisista, con il
fare di se I'oggetto privilegiato di interesse libidico, seppure
a differenti livelli di intensita, rappresenta una rinuncia al
mondo che sospinge verso la morte.
Freud non solleva il problema dei legami aggressivita e
perversione dalla aggressivita (sadismo e masochismo),
che alla luce della teoria della pulsione di morte acquisterebbero grande chiarezza. In questo ambito si situano le
indagini della Klein, che prendono origine dal suo lavoro
con i bambini, in cui più forti e attive sono le componenti
distruttive, prima del raggiungimento del primato della
genitalita.
Freud parla di impasto e disimpasto per fare riferimento
alla capacita delle pulsioni (dell'lo e sessuali) di integrare
al loro interno la pulsione di morte e ridurre al silenzio
i'aspirazione alla quiete mortale o alla distruttivita cieca.
Ma nella sistematizzazione della teoria delle pulsioni svolta
in «L'lo e l'Es» (7), Freud attenua la contrapposizione tra
le pulsioni dell'lo e pulsioni sessuali. Ipotizza I'esistenza
di una libido come «energia spostabile» e nello stesso
tempo prende le distanze dalla teoria della enantiodromia
di Jung rifiutando la possibilità della trasformazione nel
proprio opposto di uno stesso investimento libidico.
3. Pulsione di morte e male
I termini che si riferiscono direttamente all'esperienza
dell'aggressività: sadismo, masochismo, pulsioni di morte, sono rari negli scritti di Jung. Ma I'interesse portato
allo studio della mitologia e delle religioni, ricco serbatoio
di aggressioni e crudeltà, per rinvenirne le forme dell'organizzazione psichica è prova della centralità del tema
anche in Jung.
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(7) Freud, “L’Io e l’Es”, Opere, vol.9, Torino, Boringhieri,
1977
(8) C.G. Jung, «Aion», Opere, vol. 9, tomo 2, Torino,
Boringhieri, 1982.
(9) Ibidem, p. 40.
La lettura negli scritti di Jung dei contenuti che in altri
vengono descritti abitualmente come pulsione di morte,
distruttivita, disgregazione, comporta un doppio lavoro di
traduzione: di rappresentazioni in termini morali e in seguito in contenuti psichici. Questa lettura permette di
seguire a ritroso la modalità di sviluppo del suo pensiero:
«...consapevolmente e intenzionalmente io preferisco il
modo di vedere e di esprimersi mitologico e drammatizzante, poichè esso, in considerazione del suo oggetto,
costituito dai viventi processi della psiche, e non soltanto
molto più espressivo, ma anche più preciso di una astratta terminologia scientifica, solita baloccarsi con I'idea che
i suoi concetti potrebbero essere sostituiti un bel giorno
da equazioni algebriche» (Pag. 13) (8). In altre parole ciò
che sembra che Jung allontani dalla dimensione umana,
per proiettarlo nella dimensione Iontana del mito o della
religione, e invece tutto immanente nella psiche. II mito,
la religione, I'alchimia offrono semplicemente le forme di
spiegazione e i modelli dei processi psichici. Questo per
dire che se Jung sceglie di parlare di Dio e di Satana per
trattare del Bene e del Male (primo livello di traduzione), e
per significare il conflitto tra libido e distruttività (pulsione
di morte) o in altri termini tra coesione e disintegrazione
(secondo livello di traduzione). Quindi «il dramma del
bambino che morde il seno che Io allatta» non è
qualcosa di estraneo o taciuto negli scritti di Jung.
Per non perdermi nella complessità del tema, sapendo di
ridurre inesorabilmente la profondita e ricchezza che questi
aspetti assumono nelle opere di Jung, mi limito alle considerazioni suggeritemi dalla lettura di «Risposta a Giobbe»
e «Aion», fissando I'attenzione sull'immagine delle figure
di Dio e di Cristo.
In queste opere Jung critica alla radice la teoria cristiana
della privatio boni, in favore di una presenza massiccia e
sostanziale del Male presente nella persona stessa di
Dio. «Ma il male dev'essere concepito in maniera un po'
più sostanziale quando Io si incontra al livello della psicologia empirica: qui esso è decisamente I'opposto del
bene» (9). Si tratta di un forte dualismo i cui poli Bene
e Male (in
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altre parole Eros e Morte) strutturano I'impianto teorico di
Jung.
In «Aion» a Cristo, quale «ombra recisa» viene contrapposto I'Anticristo, all'Agnello I'Ariete dell'Apocalisse: «ciò
dimostra chiaramente come ranima cristiana non solo sia
consapevole dell'esistenza di un avversario, ma abbia
altresi la certezza del suo futuro sopravvento» (Aion
pag. 36).
Da qui I'interesse per la gnosi, perchè: «...vede il bene e
il male come la mano destra e la sinistra di Dio, e concepisce la creazione in generate in termini di sigizie o
coppie di opposti» (Aion pag. 52). II discorso diventa
ancora più radicale in «Risposta a Giobbe»: Dio, secondo
la lettura di Jung, non esita ad affiancarsi a Satana nel
perseguitare il giusto. Qui la coscienza morale dell'uomo
Giobbe pone Dio di fronte al problema del male e fa
compiere a Dio quel processo di riflessione sul proprio
operato che lo motivera a sacrificare il Figlio per redimere
I'uomo. Ma la spietatezza e crudelta di Yahweh non
fanno che ripetersi nella accettazione del sacrificio della
croce: le sofferenze del Figlio per la remissione delle
colpe del Padre: «Che genere di padre è questo che
preferisce massacrare il figlio piuttosto che perdonare
magnanimamente alle sue creature mal consigliate e
pervertite dal suo Satana» (Risposta a Giobbe pag. 96).
Yahweh appare dominato dall'ambivalenza è attratto dalI'odio: «...quel particolare rapporto che potrebbe essere
indicato con il nome di Eros rimane escluso. L'assenza di
Eros, vale a dire di un rapporto basato su di un sentimento di valori, appare in Giobbe del tutto chiaramente: va
notato pero che è I'ammirabile paradigma della creazione
che è un mostro, e non I'Uomo! Yahweh non prova alcun
Eros, non ha alcuna relazione con I'uomo, ma mira soltanto ad un fine, al raggiungimento del quale I'uomo deve
aiutarlo» (Risposta a Giobbe pag. 56). La colpa del
peccato originale è fatta risalire al carattere contradittorio
di Yahweh: elemento che differenzia radicalmente
I'impostazione di Freud, che intravvede nel peccato
originale le tracce del parricidio: «Se il Figlio di Dio ha
dovuto offrire in sacrificio la propria vita per libe-
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rare I'umanità dal peccato originale, questo peccato, secondo la legge del taglione, e cioè dell'espiazione mediante una pena uguale alla colpa, deve essere stato
un'uccisione, un crimine di morte. E se il peccato originale fu una colpa contro Dio padre, il più antico delitto
dell’umanità deve essere stato un parricidio, I'uccisione di
quel padre primordiale della primitiva orda umana la cui
immagine mnestica è stata successivamente trasfigurata
in Divinità» (Freud «Considerazioni attuali sulla guerra e
la morte pag. 140). Non potrebbero apparire più diverse
le posizioni di Jung e Freud rispetto alla Legge e alla
colpa.
Ecco, questo per dire che se I'idea stessa di Bene Dio è
attraversata dal male, a maggior ragione il male cioè
I'aggressione, la crudeltà, il sadismo, il masochismo ed
altro, sono presenze tangibili in noi, anche se spesso
rifiutate e rigettate nell'Ombra.
Ne consegue che I'Ombra, come serbatoio di contenuti
minacciòsi pone all'individuo il problema morale dell'integrazione degli aspetti oscuri: «l'Ombra è un problema
morale che mette alla prova I'intera personalità dell'lo»
(Aion pag. 8). E dove questo non e possibile subentra il
meccanismo della proiezione: «le proiezioni prestano al
mondo esterno il proprio volto, che pero è sconosciuto»
(Aion pag. 10). Ad un livello più profondo Animus e Anima accolgono gli aspetti più lontani dalla coscienza per
cui: «rlentra nell'ambito delle possibilità di un uomo riconoscere il male relativo della propria natura, e invece
un'esperienza rara quanto conturbante guardare in faccia
il male assoluto» (Aion pag. 10). In altri termini esistono
proiezioni a capo delle quali è possibile pervenire e altre,
cosi profondamente radicate in noi, che e arduo risolvere.
Cioè esistono aspetti del male che è possibile integrare
e risolvere in una prospettiva morale, nel linguaggio
freudiano: elementi della pulsione di morte che possono
«impastarsi» con le pulsioni libidiche, e nuclei di «male
assoluto» quasi irrisolvibili. Ne emerge una visione molto
pessimistica che pone in crisi i fondamenti della teoria
cristiana del bene basati su un Dio essenzialmente d'amore, precisamente I'assenza di Eros nel Padre, una caren127
za nei suoi compiti genitoriali, sono le cause delle sofferenze delle sue creature. La funzione dell'ordine è riposta
in mani incapaci di accogliere e contenere. Jung postula
il male la dove c'era solo il bene. Ma tutto questo è
dentro la psiche dell'individuo: accanto ad un primo livello
di ambivalenza si scopre un nucleo di distruttività cieca,
il «male assoluto» che, proiettato o negato intralcia le
relazioni oggettuali.
II mistero inquietante della distruttività del neonato ritorna
in un linguaggio che ne ingigantisce i contorni.
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