LE SCUOLE DI WILLEM MARINUS DUDOK AD HILVERSUM

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LE SCUOLE DI WILLEM MARINUS DUDOK AD HILVERSUM
Prefazione
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A lessandro Dalla Caneva
LE SCUOLE DI WILLEM MARINUS DUDOK
AD HILVERSUM
Progetti di un’architettura civile
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Le scuole di Willem Marinus Dudok ad Hilversum
Fonti delle illustrazioni
Gooi en Vecht Historish, 1, 2, 3, 4, 5.
Le illustrazioni non espressamente indicate appartengono all’autore.
Prima edizione: gennaio 2014
ISBN 978 88 6787 155 1
© 2014 by Alessandro Dalla Caneva
CLEUP Sc
“Coop. Libraria Editrice Università di Padova”
Via G. Belzoni, 118/3 – Padova (Tel. 049/8753496)
www.cleup.it
www.facebook.com/cleup
Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adattamento,
totale o parziale, con qualsiasi mezzo
(comprese le copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati.
In copertina: Alessandro Dalla Caneva, Jan van Heyden School e Minckeler School,
1925, immagine prospettica.
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Prefazione
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Sommario
7Premessa
9Introduzione
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La città e la memoria
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Struttura e forma della città
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La scuola nella città
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Permanente ed effimero del paesaggio
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Tavole
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Bibliografia
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a mio figlio
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Prefazione
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Premessa
Il contributo di questo saggio è volto ad aprire una riflessione sull’opera dell’architetto olandese Willem Marinus Dudok la cui figura appare oggi dimenticata dalla critica contemporanea. Eppure la sua statura può essere affiancata, senza temere, al prestigio di architetti come
Hendrik Petrus Berlage, padre della cultura architettonica razionalista
olandese, o Michel de Klerk, massimo esponente della nota Scuola di
Amsterdam. Si potrebbe dire, non a torto, che Dudok rappresenta il
superamento delle posizioni antitetiche di Hendrik Petrus Berlage e
Michel de Klerk portandole a compimento in una sintesi tra oggettivo e soggettivo, tra classico e romantico, nella consapevolezza che,
tuttavia, l’eccesso di schematismo non è mai adeguato e sufficiente a
spiegare le molteplici sfumature o sfacettature dell’esperienza. Questo
scritto, non a caso, conclude le fatiche di un percorso di ricerca che
ha attraversato, affrontandole, tanto l’opera di Hendrik Petrus Berlage
quanto l’opera di Michel de Klerk1 e si pone pertanto a coronamento
di una trilogia incentrata sull’esemplarità di figure che hanno occupato
un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’architettura razionale, oltre
i confini della patria, con un afflato di ampio respiro internazionale.
Cfr. Alessandro Dalla Caneva, Le origini della forma. Il museo municipale a Den
Haag di Hendrik Petrus Berlage, Cleup, Padova, 2011 e Progetti Urbani. L’immagine della
città nell’invenzione dell’edificio di massa da Hendrik Petrus Berlage a Michel de Klerk, Cleup,
Padova, 2012.
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Le scuole di Willem Marinus Dudok ad Hilversum
Il presente saggio è in parte la conclusione degli studi intrapresi
all’interno del Dottorato di Ricerca in Composizione Architettonica dell’Università iuav di Venezia, coordinati dal professor Gino
Malacarne a cui rivolgo un sentito grazie per aver saputo dare, anche in questa occasione, consigli e suggerimenti preziosi al perfezionamento del testo.
Ringrazio inoltre il Gooi en Vecht Historisch, archivio storico
pubblico di Hilversum, per aver messo a disposizione i disegni originali delle scuole in forma digitalizzata che hanno costituito il materiale indispensabile per la stesura delle tavole presentate nel libro.
Un ringraziamento particolare viene espresso anche a Sandro
Bortot per il contributo determinante nella renderizzazione delle
immagini prospettiche.
Infine, a mia moglie rivolgo un grazie speciale.
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Prefazione
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Introduzione
L’architetto olandese Willem Marinus Dudok realizza ad Hilversum, nella seconda e terza decade del novecento, una serie di
edifici o complessi scolastici dal valore esemplare per il ruolo urbano che svolgono all’interno di un più ampio piano di espansione
della città, centro urbano destinato a diventare un importante polo
nell’entroterra olandese. Poco più di una quindicina di scuole sorgono in rapida progressione, costellando il panorama urbano di
una serie di complessi architettonici, poco conosciuti da un pubblico vasto, ma il cui valore non è inferiore al più noto Municipio
realizzato che ha consacrato Dudok oltre i confini nazionali della
patria olandese, nell’olimpo degli architetti di fama internazionale.
Una parte importante del testo è accompagnata da inediti ridisegni di una serie di scuole che, scelte in modo discrezionale, hanno la pretesa non solo di arricchire il già ampio ed esaustivo quadro
unitario dei disegni delle scuole inserite nell’opera monografica di
Paola Japelli e Giovanni Menna1, ma di celebrare il valore dell’edificio pubblico per il ruolo centrale occupato nella costruzione dello
spazio urbano.
Cfr. Paola Japelli, Giovanni Menna, Willem Marinus Dudok, Architetture e città
1884-1974, Clean Edizioni, Napoli, 1997.
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Vero è che il carattere unitario del piano di espansione di Hilversum si riferisce ad un processo di appropriazione del suolo in
cui la singolarità non è mai disgiunta da una visione della totalità, cosicchè il singolo edificio si lega in maniera indissolubile e
non indifferente alle altre parti di città. Per questo, prima ancora
di valutare il prestigio architettonico della singola scuola, diventa
preminente riconoscerne l’appartenenza e coerenza all’interno di
una più generale idea di città, in cui la forma sia custode e memoria di una identità e lo stile il prodotto della cultura dominante di
un’intera comunità2. Ovvero, nella diretta partecipazione e condivisione di un paesaggio urbano la cui bellezza origina da una
meditata dialettica tra i valori della tradizione e della modernità,
dove il nuovo non è mai inteso come un’appropriazione indebita
del suolo secondo modi avulsi dall’identità culturale della città e
del suo territorio, ma si realizza nella capacità di riattualizzare, in
modo critico3, le energie vitali della tradizione. Pertanto, l’invenzione della forma urbana muove dal presupposto di valorizzare le
preesistenze ambientali e storiche, ovvero origina dalla consapevolezza di rispettare i valori suggeriti tanto dall’ambiente naturale,
quanto dall’ambiente artificiale4. In questo senso la città nuova si
Vale la pena, riguardo lo stile, ricordare le parole di Antonio Monestiroli: “Lo
stile di cui voglio parlare non può essere confuso con il linguaggio, non può essere
personale. Lo stile, raggiunto anche da un solo artista, per esistere, deve diventare patrimonio collettivo. Ciò vuol dire che l’architetto deve sempre aspirare alla
definizione di uno stile, ma non è lui che lo definisce. È solo la collettività per
cui l’architetto opera che riconosce nel suo lavoro uno stile raggiunto”. Antonio
Monestiroli, Cinque note sullo stile, in Elio Franzini, Vittorio Ugo, (a cura di), Stile,
Edizioni Angelo Guerini e Associati, Milano, 1997, p. 97.
3“
La tradizione non va negata astrattamente, ma criticata senza ingenuità in base
alla situazione presente: quindi il presente istituisce il passato. Niente va accettato
ad occhi chiusi solo perchè è qui davanti e una volta ha avuto qualche valore, niente
però va liquidato solo perchè appartiene al passato”. Theodor W. Adorno, Teoria
estetica, Giulio Einaudi, Torino, 2009, p. 56.
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“Malgrado l’importanza dei fenomeni di traslazione, sembra difficile concepire
l’architettura al di fuori d’un ambiente. Nelle sue forme originali, quest’arte è fortemente ancorata alla terra, sottomessa all’ordinazione, fedele ad un programma.
Innalza i suoi monumenti in un cielo e clima definiti; su una terra che le fornisce i
suoi materiali, e non altri; in un luogo d’un certo carattere; in una città più o meno
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Introduzione
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innesta sulle forme della città storica tradizionale, conservandone
memoria e significati. Tuttavia ciò non deve essere inteso come una
riproposizione o mimesi dell’antico, ma una sua reinterpretazione
alla luce delle esigenze imposte dalla società moderna.
Dunque, la prefigurazione del futuro attraverso il piano non appare il risultato di un’ingenua reiterazione delle forme del passato.
Tanto meno le pretese di novità appaiono risolversi nella radicalità
di forme che non hanno alcun legame con la tradizione. Piuttosto
la forma sembra proporre una terza alternativa. Quella conciliante
che si riferisce alla capacità del progetto di interpretare in senso
nuovo e non formale le energie vitali della tradizione.
In tutto questo, il valore identitario dell’ambiente naturale, nel
quale si riconosce fortemente la comunità olandese, si impone
come deterrente ad uno sviluppo illimitato sul territorio, orientando gli interessi al modello della città giardino che, assunto come
modello ideologico ma secondo un’interpretazione del tutto peculiare rispetto all’originaria idea howardiana, preferisce alla concezione satellitare e alla nostalgica retorica del verde distribuito all’interno dei quartieri, una reale dialettica tensione tra città e natura,
dove ciascuno mantiene una propria coerenza interna, identitaria,
agli interventi che operano sul territorio.
L’inviolabilità della natura in nome di una falsa e romantica
ideologia della conservazione è sostituita da una consapevole concezione del paesaggio come luogo della produzione, ambito antropizzato in continuo divenire al cui interno opera attivamente la
comunità5.
ricca, più o meno popolata, più o meno abbondante di mano d’opera. Risponde
a bisogni collettivi, anche quando costruisce abitazioni private”. Henri focillon,
Vita delle forme, Giulio Enaudi, Torino, 2002, p. 94.
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Il filosofo Massimo Venturi Ferriolo indica nella nozione di paesaggio la possibilità di una sua trasformazione compatibile con l’idea di una preservazione dei
luoghi e della loro identità. Se l’agire (progetto) è legato al pensare (teoria), allora
il paesaggio è il luogo di un continuo divenire, in cui le trasformazioni agiscono
in continuità con il pensiero, producendo cultura: “L’esperienza estetica dimostra
l’inseparabilità della contemplazione dal suo vivere in un paesaggio. È un assioma
importante che rende affine l’esperienza estetica del paesaggio a quella dell’archi-
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Dal punto di vista formale, si riconosce il riferimento ad una
consolidata tradizione della città medievale6. Ovvero ai modi del
farsi e prodursi della forma secondo i principi del pittoresco. Altrettanto vero è che la tradizione non si esaurisce sulle tracce di un
passato medievale, ma recepisce le ragioni di una cultura ideologica
classica che si impone nel mondo olandese agli inizi del ventesimo
secolo ed ha il suo più alto riferimento nella realizzazione del piano
di espansione di Amsterdam Sud, opera dell’architetto Hendrik Petrus Berlage, padre del razionalismo olandese: disegno urbano in
tre dimensioni, chiara orditura dei tracciati, equilibrio gerarchico
tra edifici pubblici e privati. Dunque quel principio di compiutezza
formale che avvicina l’opera dudokiana allo stile classico si lega
in modo indissolubile a quel carattere e temperamento romaniconordico, esempio di libertà espressivo-figurativa che, meno rigorosa del mondo latino, trova pieno riconoscimento nel “pittoresco
romanticismo” della scuola Amstellodiana. Pertanto, la dialettica
tensione tra classico e romantico, tra permanente ed effimero, avvertita nella forma del piano, si inserisce nella più genuina tradizione olandese.
Il riferimento al classico indirizza ad un’interpretazione della
natura che diviene secondo principi intellegibili, celati oltre l’aspetto mutevole del reale. Per questo, l’ambizione ad un principio di
compostezza e chiarezza che supera l’urgenza del pittoresco muove
verso un’interpretazione monumentale che vorrebbe metaforicatettura, della città: entrambe non possono separare, se non attraverso un atto di
astrazione a posteriori, la contemplazione dell’ambiente in cui viviamo dal dimorarvi, con tutte le sue implicazioni. Il contenuto s’indentifica col vivere in ciò che
osserviamo”. Massimo Venturi Ferriolo, Percepire Paesaggi. La potenza dello sguardo,
Bollati Boringhieri editore, Torino, 2009, p. 208.
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Il Medioevo assume nella coscienza dei pionieri dell’architettura moderna olandese una forte valenza mistico-religiosa, tanto che non può essere letto come semplice revival stilistico o meta di evasione verso una mitica epoca d’oro, ma “l’esempio di una società integrata in cui l’arte non si isola orgogliosamente dal contesto
sociale, ma risponde con umiltà e sincerità alle richieste della vita collettiva”. In
questo senso si radica nella coscienza dell’artista una ineludibile verità: quella di
una responsabilità morale e civile nei confronti della società. Menna Filiberto,
Mondrian. Cultura e poesia, Editore Riuniti, Roma, 1999, p. 17.
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mente suggerire l’aspirazione ad una città ideale dove la comunità
intera condivide una stessa passione civica.
Dunque, al fine di promuovere una crescita controllata della
città, il piano si muove all’interno di un metodo operativo7 che,
sensibile alle esigenze della comunità, si rivela rispettoso dei valori
ambientali e storici. Vero è che, nella logica di una pianificazione
programmatica estremamente flessibile, gli edifici pubblici, fatti
urbani primari nella composizione della città, assumono un ruolo decisivo nell’interpretare l’impianto dei quartieri residenziali. I
numerosi edifici scolastici che Dudok realizza per la città di Hilversum possono essere davvero intesi come il ritrovato di una “invenzione progettuale” che misura, di volta in volta, la capacità del
progetto a costruire forme e luoghi urbani adeguati alla vita della
comunità. Non riferimento ad una consolidata forma tipologica,
inadeguata ad esprimere i mutamenti sociali e politici, produttivi e
costruttivi in atto, ma interpretazione delle forme antiche ritenute
ancora valide a prefigurare la città del proprio tempo. Difatti, appare del tutto impraticabile ridurre le molteplici scuole ad una rigorosa interpretazione del concetto di tipo (Quatremere De Quincy).
Le soluzioni planimetriche sono quanto di più lontano da un tipo
esemplare di scuola e si pongono piuttosto all’interno di un metodo sperimentale che impone la risoluzione della forma a partire da
una concezione funzionale (Jean Nicolas Louis Durand), nell’ambito di una posizione ideologica che ha nello spazio la sua massima
interpretazione (Hendrik Petrus Berlage), dove il valore estetico
ed i contenuti della forma superano l’urgenza delle necessità materiali, collocando, in tal modo, la figura di Dudok oltre il dogma
di un ingenuo funzionalismo proposto dallo Stile Internazionale.
Tutto lascia presagire come il peso del pensiero berlgiano aleggi
nelle scelte compositive dudokiane, soprattutto quando considera
l’architettura come l’arte di concepire lo spazio attraverso le forme
A tal proposito, per un esauriente comprensione del metodo dudokiano, si legga
lo scritto di Giovanni Menna: La bella città. Casa città e natura nell’opera di Dudok, in:
Paola Japelli, Giovanni Menna, Willem Marinus Dudok, Architetture e città 1884-1974,
Clean Edizioni, Napoli, 1997, pp. 75-140.
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semplici dell’architettura. Si perviene al raggiungimento di un traguardo ineludibile che considera il decoro come il risultato ottenuto
dalla rigorosa e sapiente disposizione dei volumi nello spazio, rivelati nella loro nuda espressività attraverso la chiara esposizione degli
archetipi costruttivi. Allineandosi al pensiero berlagiano, espresso
prima nel gesto esemplare della Borsa di Amsterdam, poi nel magistrale museo municipale a Den Haag, Dudok fa propria quell’idea
secondo cui la bellezza non può che riflettersi nelle forme semplici
e il monumentale può nascere solo nello stretto rapporto con le
forme della costruzione8. Dunque, l’architettura riscopre le proprie
origini sublimando a bellezza pochi elementi essenziali, facendoci
avvertire nella forma, per questo, il ritrovato senso di una cifratura
simbolica. Che trasfigura il reale nell’ideale e proietta la forma nella
sfera di una nobile tradizione. Quella monumentale.
Hendrik Petrus Berlage negli scritti teorici, cfr. Architettura come arte sociale, non
manca di ricordarci quanto le grandi epoche architettoniche hanno perseguito lo
stile perché orientate da una coscienza unificatrice collettiva. In nome di questo
obiettivo comune l’arte ha potuto diventare monumentale e non semplicemente
bella poiché animata dalla scoperta dei veri principi costruttivi: “Ora, l’architettura
è e rimane l’arte del costruire, l’unione di vari elementi in un intero per chiudere
lo spazio. (…). Allo scopo di fare ciò in modo alquanto libero, dobbiamo farlo nel
modo più semplice.” Che significa affermare come lo spazio consegua dall’onesta esposizione delle forme costruttive. H.P. Berlage, Pensieri di stile in architettura,
1905, dal testo Hendrik Petrus Berlage-Thoughts on style 1886-1909, The Getty Center
for the history of art and humanities, Santa Monica, 1996, traduzione italiana a cura di
Alessandro Dalla Caneva.
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