Seppellire i morti

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Seppellire i morti
Seppellire i morti
«Occorre preoccuparsi di non essere morti,
anziché preoccuparsi di seppellire i morti»
"Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia,
di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che
rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio
ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni
persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della
vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di
essere
amati
per
sempre
nonostante
il
limite
del
nostro
peccato."
Papa
Francesco, Bolla Misericordiae Vultus, 2.
Le opere di misericordia corporale: breve spiegazione
San Matteo riporta il racconto del Giudizio Finale (Mt 25,31-46): «Quando il Figlio
dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua
gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri,
come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le
capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: "Venite,
benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla
creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto
sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete
vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi". Allora i
giusti gli risponderanno: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato
da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto
straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo
visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?". E il re risponderà loro: "In verità io
vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l'avete fatto a me". Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: "Via, lontano da
me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho
avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da
bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in
carcere e non mi avete visitato". Anch'essi allora risponderanno: "Signore, quando ti
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abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti
abbiamo servito?". Allora egli risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che non
avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me". E se ne andranno:
questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Exercise n. 1
Dividetevi di gruppetti e condividete una situazione nella quale vi è capitato di
‘seppellire’ un rapporto, un pezzo della vostra vita, un’esperienza dolorosa
Exercise n. 2
Provate a riflettere su queste tre ‘situazioni di dolore e di morte’ e provate a chiedervi
come voi vivreste il giorno del funerale. Quali sentimenti, quali pensieri, quali ‘risposte’
dalla fede cristiana.
Messaggero Veneto, 5 settembre 2015
TARCENTO. Il rombo dei motori ha accompagnato sabato pomeriggio il feretro di
Manuel Graziani durante il suo ultimo viaggio. Circa 200 centauri hanno deciso di
manifestare tutto il loro affetto nei confronti del giovane partecipando al funerale e
percorrendo insieme a lui gli ultimi chilometri di strada, precedendo il carro funebre
lungo le vie del centro.
Dando gas alle loro due ruote gli amici hanno fatto traspirare tutta la passione che
Manuel ad appena 26 anni, scomparso in un incidente stradale martedì sera a
Trasaghis, aveva per le moto e in particolare per la sua Honda R1.
L’incidente era avvenuto lungo una strada maledetta per gli amanti delle due ruote,
che tanto piace ai motociclisti per le sue curve alternate ai lunghi rettilinei che
costeggiano il lago di Cavazzo, ma che ogni anno registra incidenti, alcune volte, come
in questa occasione, mortali.
In sella alla prima moto che ha passato il sagrato della chiesa c’era anche la fidanzata
di Manuel, Sara Pavonello, e poi dietro al primo mezzo tutti gli altri che hanno cercato
di posizionarsi ordinatamente sul piazzale antistante la chiesa, fino a quando è riuscito
a contenerle, per poi disporle altrove.
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Alcuni di loro hanno anche voluto portare il feretro all’interno del duomo, gremito di
giovani con gli occhi lucidi. La maggior parte con un casco in mano, addosso le
saponette e i giubbotti in pelle e nel cuore una sola domanda, quella di come sia
possibile perdere la vita in questo modo e a soli 26 anni.
Un interrogativo che si è posta anche mamma Silvia insieme a papà Luciano e ai due
fratelli di Manuel a cui ha cercato di dare una risposta Monsignor Duilio Corgnali
invitando tutti ad avere fede. A piangere per la prematura dipartita di Manuel, ma
soprattutto a ringraziare il Signore per aver goduto della sua presenza, della sua
compagnia, della sua disponibilità. Alla cerimonia nessuno degli amici ha voluto
prendere la parola: l’ha fatto don Michele, prete centauro a Madonna Missionaria, che
ha ricordato come non ci si possa nascondere dietro un dito, quello della passione per
le due ruote, dimenticandosi il valore della vita.
Alla conclusione della celebrazione gli amici di sempre hanno esposto dalla finestre del
palazzo comunale, posizionato di fronte al duomo, uno striscione con la scritta “Sarai
sempre accanto a noi, see you on the road”, firmato a penna da ognuno di loro. Un
gesto che ha raccolto un lungo applauso dai tanti presenti e che per un momento ha
dato un po’ di conforto ai familiari del giovane.
Per l’ultimo saluto solo l’odore della benzina passata nel carburatore, delle gomme che
girano con i freni tesi, della pelle dei giubbotti dei motociclisti. Un odore che chi va in
moto conosce perfettamente, che si porta addosso un po’ come la passione per le due
ruote che non finisce mai.
Gazzettino, 1 maggio 2014
CERVARESE SANTA CROCE (PADOVA) - Il male incurabile che l'aveva colpita un anno
fa l'ha sopraffatta. Ha lottato con tutte le sue forze contro la malattia. Ha cercato in
tutti i modi di tenersi aggrappata alla vita, ma purtroppo per la quarantunenne
Antonella Marangon, mamma di due bambini Francesco e Giovanni di 9 e 6 anni non
c'è stato nulla da fare. La donna si è spenta martedì sera circondata dall'affetto del
marito Federico Turetta, tipografo a Saccolongo, e dei suoi familiare.
Una morte che ha colpito profondamente la comunità di Cervarese Santa Croce, dove
la famiglia è molto conosciuta. Il paese perde una giovane mamma che la malattia ha
purtroppo strappato precocemente all'amore dei suoi piccoli figli.
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La quarantunenne lavorava come infermiera nel reparto di pediatria dell'ospedale di
Padova, dove accudiva i bambini che troppo presto si ritrovano a combattere contro la
stessa malattia con cui, purtroppo, si è ritrovata a lottare anche lei.
Mamma amorevole e donna dedita al suo lavoro, dove cercava di portare un pò di
sollievo alla sofferenza dei piccoli del reparto di rianimazione. Ieri la notizia della morte
della quarantunenne ha fatto rapidamente il giro del paese. Un dolore troppo grande
per le famiglie colpite dal grave lutto, e per l'intera comunità di Cervarese e della
frazione di Fossona dove la giovane coppia, e i loro familiari sono conosciuti. Attivi
nella comunità erano impegnati anche nel sociale.
Antonella si dedicava anche a cantare nel coro della parrocchia e nell'organizzare
diverse iniziative. «Una donna forte, che fino all'ultimo momento ha cercato di fare
coraggio ai suoi familiari» è il ricordo di chi la conosceva. Oltre al marito Federico,
conosciuto anche per aver militato nel calcio Abano, e ai suoi bambini, la donna lascia
il papà Udino, la mamma Imelda e i quattro fratelli. La quarantunenne era anche la
cognata dei titolari del noto ristorante al Bosco di Cervarese Santa Croce. Stasera alle
21 il rosario verrà recitato nella chiesa parrocchiale di Fossona, mentre i funerali di
celebreranno domani pomeriggio alle 16 nella chiesa di Cervarese Santa Croce.
Lettera ad un nonno che non c’è più
Caro nonno, siamo noi a scriverti, i tuoi nipoti, perchè il bisogno di farlo è così
forte che non riuscivamo a farne a meno. Il tempo trascorso insieme a te è stato per
molti di noi breve e per altri ancora troppo breve ma allo stesso tempo abbastanza per
conoscere
la
tua
persona.
Ti ricorderemo sempre perchè un uomo come te è semplicemente un grande uomo.
Oggi ci hai lasciato un vuoto immenso dentro che sicuramente sarà colmato dai valori
che ci hai trasmesso e dal tuo indelebile ricordo. Importante sei stato per me, Piero e
Francesco, che quando un giorno tutto ci è crollato addosso sei stato tu a prenderci
per mano e insieme ai tuoi figli Giacomo e Matilde ci hai accompagnato
premurosamente nel percorso della nostra vita, amandoci e sostenendoci sempre,
senza
mai
pretendere
nulla
in
cambio.
Lavoravi giorno e notte, hai sacrificato la tua vita per noi senza mai cedere alla
debolezza. Il tuo cuore forte ha resistito al passare delle stagioni, al freddo, alla
pioggia, al dolore di mille delusioni, all'indifferenza fredda e atroce di molti, quel cuore
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forte che fino all'ultimo respiro batteva scandito dagli ultimi secondi della tua vita.
Un cuore forte e grande da essere riuscito ad accogliere tra le tue braccia l'amore
di un tenero bambino, Ignazio, e della sua mamma che come degli angeli sono entrati
in
punta
di
piedi
nella
tua
difficile
ma
bellissima
vita.
Grazie per quello che sei stato e per quello che continuerai ad essere per noi, una
persona
buona
che
poche
ne
esistono
al
mondo.
Ciao Nonno.
Rosy, Piero, Massimo, Francesco, Anna, Ignazio, Federico, Vincenzo, Salvatore, Claudia e
Marika.
Exercise n. 3
Perché seppelliamo i morti? Quali valore gli dai?
Strano ma vero…
Davvero è così scontato ‘seppellire i morti’?
Due personaggi si stagliano all’orizzonte della nostra memoria storica per la loro pietà
verso i morti. Dalla Grecia del V secolo avanti Cristo ci viene la splendida figura di
Antigone, la quale va incontro alla morte per aver trasgredito la legge del re di Tebe
che le proibiva di dare sepoltura al fratello. Dalla Bibbia invece ci giunge la memoria di
Tobi, che dall’esilio ci racconta nel suo diario: «Io facevo spesso l’elemosina a quelli
della mia gente; donavo il pane agli affamati, gli abiti agli ignudi e, se vedevo qualcuno
dei miei connazionali morto e gettato dietro le mura di Ninive, io lo seppellivo». Ma
anche in questo caso il gesto di pietà verso i morti disturba il re: «Quando seppi che il
re conosceva il fatto e che mi si cercava per essere messo a morte, colto da paura, mi
diedi alla fuga. I miei beni furono confiscati e passarono tutti al tesoro del re. Mi restò
solo la moglie Anna e il figlio Tobia...». Tutto questo può anche sembrare insensato: ad
Antigone che si propone di violare l’ordine del re, la sorella Ismene obietta, con molto
buon senso: «Se le cose stanno così, in che cosa potrei cambiarle io, sia che rifiuti, sia
che obbedisca?». Da cristiani, poi, noi crediamo nella risurrezione: la sorte del corpo
morto, quindi, è del tutto, giacché attendiamo da Dio la creazione nuova che sarà –
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direbbe san Paolo – come il fresco germoglio che spunta dal chicco di grano che si sta
macerando nella terra. Eppure anche la tradizione cristiana ha sempre onorato il corpo
dei morti. Non lo si fa in nome della morte, ma della vita: è per questo che sia Creonte
che Sennacherib, i re dei nostri due eroi, proibivano la sepoltura dei morti di cui non
volevano si onorasse la memoria. Rendere onore ai morti è onorare la loro vita,
riconoscere il debito per il bene che ci hanno fatto, per i valori che ci lasciano in
eredità e di cui diventiamo responsabili.
La morte è l’estremo gesto del dono; per questo il funerale cristiano è soprattutto la
messa, l’offerta a Dio del sacrificio di Cristo. Celebrare l’ultima messa dei nostri cari – e
un giorno la nostra – significa guardare alla morte come a una riconsegna a Dio di
tutto ciò che siamo e siamo stati. Offrire il proprio corpo a Dio insieme con Gesù è
allora quel morire con lui che prelude alla risurrezione: «Se muoriamo con lui, con lui
anche vivremo» (2Tim 2,11).
Seppellire i morti sembra un comandamento superfluo, perché -di fatto- tutti vengono
sepolti. Tuttavia, per esempio in tempo di guerra, può essere una comando molto
esigente. Perché è importante dare degna sepoltura al corpo umano? Perché il corpo
umano è stato dimora dello Spirito Santo. Siamo "tempi dello Spirito Santo" (1Cor
6,19).
Un gesto coraggioso:
Tu ti sei preso cura di me tutta la vita e io mi prendo cura di te dopo la morte
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per
timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse.
Allora egli andò e prese il corpo di Gesù.
39Vi
andò anche Nicodèmo - quello che in
precedenza era andato da lui di notte - e portò circa trenta chili di una mistura di
mirra e di àloe.
40Essi
presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad
aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura.
41Ora,
nel luogo dove era
stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno
era stato ancora posto.
42Là
dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e
dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.
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La deposizione
Una rappresentazione della ‘Deposizione’ dove i personaggi sono tutti assiepati, stretti l’uno
all’altro, da una inquadratura che lo spigolo della lastra tombale ci lascia intuire, ribadita dallo
sguardo di Nicodemo che chinandosi ad appoggiare delicatamente il corpo di Gesù a noi
rivolge lo sguardo, a noi che siamo all’altezza della mensa dell’altare, e che abbiamo al di
sopra della mensa dell’altare questo grande dipinto con Nicodemo che guarda esattamente
nella nostra direzione. E sembra riecheggiare quello che dice l’evangelista Giovanni subito
dopo che il corpo di Gesù in croce è stato trafitto dalla lancia: “Volgeranno lo sguardo a colui
che hanno trafitto”. Perché l’amore non corrisposto, l’inizio della storia che stiamo ora
ricostruendo, la maledizione che aveva condannato Eco a vagare infelice per le valli solitarie
per il rifiuto sprezzante di Narciso, è la stessa pena che affligge Dio nei nostri confronti: Dio ci
guarda con amore infinito, e non viene corrisposto. Molti non si accorgono che Lui ci ama, altri
lo sanno e se ne dimenticano, altri lo sanno e tuttavia lo deludono o lo tradiscono, o lo
rinnegano.
Alla fine nessuno gli era rimasto fedele fino in fondo. E a questo Figlio di Dio, che ci ama di
amore infinito, che perfino a quello che sa, che sta andando a venderlo porge un boccone,
come farebbe un papà con il suo bambino, con una tenerezza infinita, che persino quando
quello lì torna per dargli un bacio che è il segnale falso e disgustoso per le guardie che
dovranno catturare Gesù, perfino in quel momento Gesù a costui dice: “Amico, con un bacio
tradisci il Figlio dell’Uomo?”. E Gesù sa che cosa c’è dentro Giuda, e cosa sta per capitare e
cosa c’è alle spalle di quell’incontro e di quel falso bacio, eppure lo chiama ‘amico’. Beh, un
amore così grande non si era mai visto sulla faccia della terra. E davanti ad un amore così
grande, anche i più ciechi ed i più chiusi aprono gli occhi.
Allora se all’inizio è “io mi guardo”, e davanti alla vocazione di Matteo è “tu mi guardi”, qui
comincia a capitare qualcosa di nuovo, è: “Io ti guardo!”, perché “davanti a te che ti offri inerte,
e dolcissimo, fino a morire per amore del tuo amore, io a te rivolgo lo sguardo”. Caravaggio
sottolinea con le varie sfumature, più composte, il dolore e la commozione che circondano il
corpo abbandonato alla morte di Gesù, con Maria di Cleofa che solleva le mani come gli
antichi oranti nelle iscrizioni delle lapidi paleocristiane, come anche oggi fa il sacerdote quando
solleva le mani in gesto di preghiera. Al dolore molto più sfuggente e intimo di Maria di
magdala che china il capo in pianto silenzioso, a quello senza parole di Maria, la Madre di
Gesù, che dietro è vestita con il suo abito blu e la mano stesa ad accompagnare con un ultimo
sguardo di dolcezza il figlio che viene deposto nella tomba, a Giovanni che è rivestito dei suoi
abiti verde scuro e rosso sta accompagnando il corpo del Signore e il braccio del figlio di Dio
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è ancora una volta il braccio dell’Onnipotente del Michelangelo, che tocca il regno della morte,
laddove bisogna dare la vita ad Adamo che là dentro, nella penombra, aspettava da secoli
questo incontro, nella speranza che un bel giorno venisse l’ora del riscatto. E con il terzo dito
Gesù tocca la lastra tombale, quasi a lasciarci intendere per quanto tempo dovrà restare in
lotta là dentro, per cambiare la condizione di tutti i morti che lui ha voluto conoscere
direttamente. E in quell’istante mentre ancora parlava un gallo cantò, diceva poco prima il
Vangelo, allora il Signore voltatosi guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore
gli aveva detto: “prima che il gallo canti oggi mi rinnegherai tre volte”, e uscito pianse
amaramente. E quelle lacrime sono l’inizio della salvezza, la grande differenza tra Pietro e
Giuda, Giuda continua come Narciso a guardare solo sé, Pietro rivolge lo sguardo a Gesù e
incrociando negli occhi, non può fare a meno di scoppiare in lacrime e di trovare la via della
salvezza.
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