Graziano Meneghin, Anyone but here. Conversazione con Robert

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Graziano Meneghin, Anyone but here. Conversazione con Robert
All the things I know but of which i am not at the moment thinking
All the things I know but of which i am not at the moment thinking
ANYONE BUT HERE
CONVERSAZIONE CON ROBERT FOWLER E MATT SANDERS
S
e Fowler con la sua
operazione
stabiliva
una sorta di negazione
dell’io autoriale, Sanders, attraverso il suo atto di appropriazione e riproposizione, mirava a
sottolineare l’ambiguità e l’arbitrarietà dell’originale, sottolineando la centralità del suo ruolo
d’autore.
La trasposizione originale della conversazione, avvenuta su
Skype, è qui tradotta e trascritta
senza editing.
Matt Sanders
Anyone but here
2015
Fotografia a muro, dettaglio
Dimensioni variabili
I
n concomitanza con il percorso di riscoperta delle opere
progettate e poi nascoste dall’artista americana Grace
Crawford, che stiamo portando avanti durante la nostra
residenza in Piazza +, abbiamo deciso di realizzare una serie di
approfondimenti e di interviste a degli operatori del sistema dell’arte
contemporaneo che hanno realizzato operazioni concettuali simili,
in cui la definizione d’opera d’arte viene ripensata a partire dalla sua
negazione. Per il primo numero di All the things I know but of which
i am not at the moment thinking abbiamo deciso di dar vita ad una
tavola rotonda insieme a Robert Fowler, che nel 2002 diede vita a
Anyone but here, mostra in cui tutti gli artisti del mondo, con almeno
un’esposizione pubblica all’attivo, venivano citati attraverso dei
transfer segnaletici a muro e divenivano così contemporaneamente
compresenti all’interno dello spazio espositivo, e Matt Sanders che
fotografò quella stessa mostra, attraverso l’utilizzo di una macchina
a grande formato, riproponendo tredici anni dopo un simulacro
dell’originale, basato sulla trasposizione a muro della mostra di
Fowler in formato 1:1.
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Graziano Meneghin: Buongiorno
a tutti e grazie per aver preso
parte a questa conversazione a 3
via Skype.
Per iniziare, che ora sono lì da
voi? Non vorrei avervi disturbato
in un orario poco consono.
Matt Sanders: Qui sono le due
meno un quarto di notte. (a.m.
nell’audio originale).
G.M. di notte?
M.S. Sì certo, ma non ti
preoccupare, sono a casa da
pochi minuti.
Robert Fowler: Ciao Graziano.
Qui le nove del mattino, come
credo anche lì da te.
G.M. In realtà qui sono le dieci di
una giornata invernale particolarmente soleggiata. Forse era
un orario particolarmente consono solo per me.
Robert Fowler
Anyone but here
2002
Poster originale
70x50 cm
Non so se Jacopo vi ha già spiegato per mail la natura
della nostra intervista. Per un progetto di riscoperta
delle opere di Grace Crawford, artista americana
recentemente scomparsa, stiamo facendo una serie
di approfondimenti su artisti che si sono occupati di
negare o di mettere in discussione il rapporto che si
instaura tra opera, artista e spettatore.
R.F. Opera, artista e istituzione, vorrai dire.
M.S. Perché non artista, spettatore e istituzione?
R.F. Diciamo che ognuno di noi sembra voler
eliminare qualcuno, credo che ci sia una matrice
freudiana in tutto questo.
G.M. Chi la madre e chi il padre?
R.F. Io penserei all’artista come la madre e
l’istituzione come il padre.
M.S. L’importante è che tutti noi abbiamo negato
da subito la presenza del curatore nel nostro
personale triangolo lacaniano.
R.F. Ancora con Lacan, Matt? Guarda che Craig
Owens è morto da diversi anni e nemmeno
Rosalind se la passa così bene. (breve attimo di
silenzio).
G.M. Ovviamente io e Jacopo abbiamo deciso
di contattarvi in contemporanea con l’intento di
occuparci di Anyone but here.
A me sembra, se me lo consenti Robert, che
nei vostri lavori si esalti la matrice del medium
utilizzato, o per meglio dire, che le vostre opere ne
sottolineino soprattutto i limiti.
Se vogliamo nel tuo lavoro c’era una difficoltà
nell’interpretazione temporale dell’opera.
Al momento del suo allestimento immagino che
gli artisti inseriti a parete fossero effettivamente
gli artisti che avevano realizzato un esposizione
in quel dato momento storico ma, nel corso
dell’esposizione, nuovi nomi avrebbero dovuto
trovare spazio fra quelle mure. Trovo in tal senso
molto più efficace il lavoro di Matt, in quanto il
mezzo fotografico è di per sè il medium che più si
presta a cristalizzare il tempo.
M.S. Totalmente d’accordo con te, Graziano
(Risate).
R.F. Ovviamente io no (altre risate). Il mio era in
primis un omaggio ai vari monumenti ai caduti
che trovano locazione nelle maggiori città
occidentali. In questi monumenti c’è una vera
esigenza di fermare e di cristallizzare il tempo
e per questo ho pensato a questo lungo elenco
di nomi. C’è in questo un effettivo richiamo a “la
morte dell’autore”. Eravamo nel 2002, le questioni
sull’autorialità in ballo erano molte, ricordi? Era il
momento in cui esplodeva Napster e si iniziava a
parlare di intelligenza collettiva e condivisa.
Per questo non ho mai capito del tutto l’operazione
portata avanti da Matt.
M.S. Nel mio caso c’è stato un lungo periodo di
gestazione.
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All the things I know but of which i am not at the moment thinking
All the things I know but of which i am not at the moment thinking
L’
A
vevo questi negativi a
casa da parecchi anni
ormai e, ogni tanto,
saltavano fuori. Non sapevo
esattamente cosa farne. Credo
che un po’ tutti noi ci ritroviamo
spesso ad aver progetti che non
capiamo in pieno e restano lì,
per anni, a prendere polvere nei
cassetti. Tutto è rimasto fermo
fino al 2012, quando per il mio
compleanno, mio figlio Lou,
all’epoca sedicenne, mi regalò
due biglietti per andare a vedere
Oneohtrix Point Never all’Echo
Park, qui a L.A. Sottolineo che
quando ricevetti i biglietti non
avevo la minima idea di chi fosse
O.N.P. e capii immediatamente
che Lou aveva trovato un bel
modo per fare a se stesso un
regalo con i soldi della mamma.
Ovviamente, quando vide la mia
esitazione, esclamò: “babbo
vedrai che ti piacerà un sacco,
lui è qualcosa di terribilmente
nuovo, altro che tutta quella
merda punk che ti ostini ancora
ad ascoltare”. Incassai il colpo e
lo accompagnai. Fu comunque
un bel gesto da parte sua:
quando hai sedici anni tutto
quello che cerchi di evitare è
di farti vedere in giro con i tuoi
genitori. Per lui era diverso e
questo mi rese orgoglioso: forse
non avevo fallito del tutto come
padre. Fallì però quella sera: tutte
le volte che mio figlio si fermava
a parlare con degli amici o con
delle ragazze, io sparivo per farmi
qualche drink. A fine serata ero
piuttosto ubriaco, provocando la
sua giusta vergogna. Mi accorsi,
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Sandro Chia
See thru trombone
2006
Olio su tela, dettaglio
162x130 cm
tra l’altro, che appena io sparivo, Lou ne approfittava per fumarsi
qualche spinello con Abbie, ‘la ragazzina dai capelli blu’, che in
breve tempo diventò la sua prima ragazza. Immaginatevi una Grimes
quindicenne che ha un opinione su qualsiasi argomento ti aspetti
che una quindicenne non abbia un opinione. Davvero divertente. Su
una cosa però Lou aveva ragione, O.P.N. mi piacque un sacco. Dentro
la sua musica c’era qualsiasi cosa io avessi ascoltato nella mia vita, e
il tutto veniva centrifugato con apparente noncuranza. Mi riportò alla
mente quell’articolo di Buchloh, in cui si attuava una netta distinzione
tra un postmodernismo neo-conservatore e un postmodernismo
post-strutturalista. Diciamo che O.P.N. utilizzava la citazione,
svuotandola di significato, con una valenza soprattutto estetica, un pò
come facevano i primi. Però c’era in lui una totale presa di coscienza
di tutto questo, e l’effetto finale sembrava soprattutto un attacco
diretto alla stessa idea di estetica musicale, apparendo di fatto più
simile ai secondi. Un po’ come se Sherrie Levine avesse realizzato
un ‘After Stefano Chia’, fotografando un dipinto dell’artista italiano.
R.F. (accendendosi una sigaretta) Molto bello e toccante tutto questo
Matt, però non ho capito cosa c’entri con Anyone but here.
M.S. Semplicemente ho capito quella sera che le problematiche che
tu sottolineavi con il tuo lavoro, erano ritornate ad essere centrali. Per
meglio dire, quel tipo di estetica, che recuperava i dogmi del poststrutturalismo, del post-modernismo e se vuoi dell’ermeneutica
tout-court in chiave 2.0, era già storicizzata e poteva essere riletta
come semplice epitaffio della nostra storia recente.
Sherrie Levine
After Walker Evans
1981
Fotografia
16x24 cm
D
io è morto, Marx è morto, io sono morto e
nemmeno il mio “je est un autre” se la passa
così bene.
Quell’utopia, sulle possibilità di condivisione
della cultura, così forte e radicata nell’estetica di
inizio secolo, per un ragazzino di 16 anni è oggi
consuetudine e in qualche modo è diventata quella
“cultura dei padri” che cerchi di abbattere a partire
dai suoi stessi limiti strutturali. Io, che sono padre
ma vorrei essere figlio, ho dovuto fare i conti con la
perdita della nostra ultima ideologia, della nostra
ultima utopia. Tutti noi abbiamo sperato che il web
fosse il lascia passare per un mondo in cui la cultura
sarebbe stata ridistribuita a partire da quella forma
rizomatica cara a Deleuze. Invece sbagliavamo. Tu
con il tuo lavoro sbagliavi.
impero ha vinto di nuovo, l’impero
vince sempre. In quel momento a me
non rimasse che fare l’epitaffio del tuo
epitaffio e per farlo decisi di dare vita al doppio della
tua forma, riproponendo la tua mostra in chiave
totalmente astratta e congelata, cristallizzata
dall’unico mezzo che ancora si suppone abbia una
sua obbiettività intrinseca, ovvero la fotografia.
R.F. (spegnendo la sigaretta) Molto bello e
toccante tutto questo Matt, però se nel 2017
mi parli di obbiettività intrinseca del mezzo
fotografico forse sei tu in primis a non aver capito
il tuo lavoro. Il tuo lavoro non congela proprio un
cazzo, dato che metà degli artisti presenti - non
presenti - nella mia mostra, sono morti, hanno
smesso di realizzare opere, o forse ora fanno
l’aiuto designer, che prepara il caffè, piuttosto
putrido, a qualche checca isterica, in qualche
studio di fashion design, che realizza abiti, che
nessuno mai indosserà.
Parli di vittoria dell’impero, di sconfitta dell’arte
come mezzo di espressione rizomatico, e poi
fai in mostra in cui il tuo nome appare scritto in
maiuscolo e grassetto, con font di dimensione
48, in stupidi flyer in cui fai esattamente ciò che
faceva la Levine 35 anni fa, solo che facendolo
tu, su una mostra che portava già ai suoi estremi
massimi tutto il discorso sull’autorialità, ti senti
l’artista più cool del mondo. Beh, lascia che ti dica
una cosa, non c’è niente di cool in tutto questo e io
mi preoccuperei se mio figlio di 16 anni ascoltasse
Oneohtrix Point Never, invece di ascoltare qualche
stronzate in stile Skrillex, farsi di MD, e scoparsi
qualsiasi essere umano gli si presenti accanto.
Ora vi lascio, buona giornata Graziano (interrompe
la conversazione skype).
G.M. Beh credo che la tavola rotonda sia finita qui.
(Risata di Matt Sanders). Buonanotte Matt e grazie
per il tempo che mi hai concesso. Sai che se passi
a Venezia per la Biennale, io e Jacopo siamo felici
di ospitare te e tua moglie.
M.S. Figurati Graziano, conosco Robert da
vent’anni, è sempre stato così. Grazie a te e
salutami Jacopo.
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