Dipartimento di Economia e Diritto Sez. Diritto dell‟economia

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Dipartimento di Economia e Diritto Sez. Diritto dell‟economia
Dipartimento di Economia e Diritto
Sez. Diritto dell‟economia
Facoltà di Economia
Dottorato di ricerca in Diritto pubblico
dell‟economia
Osservatorio sulla giurisprudenza comunitaria
Anno accademico 2010/2011
Decisioni della Corte di Giustizia delle comunità Europee
Marzo 2011
Elenco procedimenti
C-236/09
01/03/11
C-235/10
03/03/11
C-34/09
08/03/11
C-109/09
10/03/11
C-29/10
15/03/11
C-326/09
17/03/11
C-400/08
24/03/11
C-565/08
29/03/11
C-407/09
31/03/11
Estensore scheda
Causa
Ambito tematico
Parole chiave
Oggetto
Parametro
Esito
Sintesi
Causa C-326/09 del 01.03.2011
Ilda HASANBELLIU
Causa: C- 236/09
Pubblicazione (causa): GU C 205 del 29.8.2009
Parti: Association belge des Consommateurs Test-Achats ASBL+ sigg. van Vugt e
Basselier contro Conseil des ministres del Regno del Belgio
Giudice relatore: sigg. E. Juhász Avvocato generale: sig.ra J. Kokott
Politica sociale
Diritti fondamentali - Lotta contro le discriminazioni - Parità di trattamento tra
uomini e donne - Accesso a beni e servizi e loro fornitura - Premi e prestazioni
assicurative
Rinvio pregiudiziale
Direttiva 2004/113, Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - Artt. 21 e
23
Il principio della parità di trattamento impone che situazioni paragonabili non
siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in
maniera uguale a meno che tale trattamento non sia obiettivamente
giustificato. Per garantire la parità di trattamento tra donne e uomini, il fattore
sesso non dovrebbe comportare differenze nei premi e nelle prestazioni
individuali unisex.
Prendere in considerazione il sesso dell‟assicurato come fattore di rischio per
quanto riguarda i contratti di assicurazione costituisce una discriminazione. La
Corte di Giustizia Europea con la sentenza del 1 marzo 2011 ha deciso lo stop ai
premi differenziati per la RC Auto per le clausole sul sesso dell‟assicurato –
conducente; tali premi, infatti, dovranno essere gli stessi sia per le donne che
per gli uomini. La regola dei premi e delle prestazioni unisex verrà applicata a
partire dalla data del 21 dicembre 2012, per dare tempo a governi e
assicurazioni di adeguarsi. Nella sentenza che qui si commenta i giudici della
Corte hanno stabilito che a partire dalla sopra menzionata data non sarà più
valida alcuna deroga alla regola generale introdotta con la Direttiva 113/2004,
la quale vieta ogni discriminazione fondata sul sesso del cliente in materia di
accesso a beni e servizi, nonché alla loro fornitura. Essa vieta di prendere in
considerazione il criterio del sesso ai fini del calcolo dei premi e delle prestazioni
assicurative dei contratti di assicurazione conclusi dopo la data del 21 dicembre
2007 (ossia il termine ultimo per la trasposizione della direttiva). Prevede, però,
una eccezione in virtù della quale gli Stati membri possono (a partire da tale
data) autorizzare delle deroghe alla regola dei premi e delle prestazioni unisex,
a condizione che possano garantire che i dati attuariali e statistici su cui si
basano i loro calcoli sono: affidabili, regolarmente aggiornati e a disposizione
del pubblico. Le deroghe sono consentite solamente nel caso in cui la
legislazione nazionale non abbia già applicato la regola dei premi e delle
prestazioni unisex.
Ed è proprio in riferimento allo speciale regime derogatorio consentito dall‟art.
5, par. 2 (non anche alla generale deroga portata dall‟art. 4, par.5) che
interviene la Corte di Giustizia, in relazione a previsione della legge belga che
ha trasposto la direttiva valendosi – al pari della legge italiana – della facoltà di
deroga.
Afferma la Corte: “Una disposizione siffatta, la quale consente agli Stati membri
interessati di mantenere senza limiti di tempo una deroga alla regola dei premi
e delle prestazioni unisex, è contraria alla realizzazione dell‟obiettivo della parità
di trattamento tra donne e uomini perseguito dalla direttiva 2004/113 ed è
incompatibile con gli artt. 21 e 23 della Carta. Di conseguenza, la disposizione
suddetta deve essere considerata invalida alla scadenza di un adeguato
periodo transitorio”.
Note
La decisione, pur riferita alla legge belga, ricade su tutti gli ordinamenti, incluso
quello italiano, che si erano valsi della deroga. Mentre l‟associazione italiana
delle imprese di assicurazione (ANIA) non ha fatto cifre, quella inglese (ABI News
Release, 01 March 2011) ha prontamente pubblicizzato stime di consistente
aumento nei premi versati dalle donne per le polizze vita e, in particolare, per la
r.c. auto. Al di fuori della vulgata, infatti, i dati statistici univocamente mostrano
che gli incidenti automobilistici gravi sono causati più frequentemente dagli
uomini che dalle donne. L‟auspicio è che l‟aggravio tariffario per le donne non
venga riassorbito nella dinamica - che appare „invincibile‟ - di aumenti dei
premi r.c.a., ma costituisca occasione di una redistribuzione del vantaggio in
favore della generalità dei premi, versati dagli appartenenti a tutti i sessi.
Bibliografia
Causa C 235/10 del 3 Marzo 2011
Estensore scheda
DANIELE STANZIONE
Causa
Causa: C- 235/10 (Terza Sezione) - procedimenti riuniti da C-235/10 a
C-239/10.
Pubblicazione (causa): in GUCE C 209 del 31 luglio 2010, p. 22
Parti: David Claes e a. contro Landsbanki Luxembourg SA in liquidazione.
Giudice relatore: Juhász ; Avvocato generale: Sig.ra V. Trstenjak
Ambito tematico
POLITICA SOCIALE
Parole chiave
Licenziamenti collettivi. Direttiva 98/59/CE. Mancata consultazione dei
rappresentanti dei lavoratori - Equiparazione del liquidatore al datore di
lavoro.
Oggetto
Domande di pronuncia pregiudiziale presentate dalla Cour de cassation
(Lussemburgo) ex art. 267 TFUE.
Parametro
Interpretazione degli artt. 1-3 della direttiva del Consiglio 20 luglio 1998,
98/59/CE.
Esito
Gli artt. 1 e 3 della direttiva 98/59/CE si applicano anche alla cessazione
dell‟attività di un datore di lavoro seguita ad una decisione giurisdizionale
che ne ordina lo scioglimento e la liquidazione; ciò anche in presenza di una
norma nazionale che preveda la risoluzione, con effetto immediato, dei
contratti di lavoro dei dipendenti. Il commissario liquidatore che assuma
integralmente la gestione dell‟ente in scioglimento ha l‟obbligo di adempiere
a quanto disposto dagli artt. 2 e 3 della direttiva 98/59/CE, inclusi quelli di
informazione e consultazione dei lavoratori.
Sintesi
La Landsbanki Luxembourg SA è un ente creditizio con sede a Lussemburgo. Il
Tribunal d’arrondissement de Luxembourg, accertata l‟insolvenza della
società, ne ha disposto lo scioglimento, la messa in liquidazione e la nomina
di due commissari liquidatori che, nel comunicare ai dipendenti della
Landsbanki lo scioglimento della società, li informavano della risoluzione dei
loro contratti di lavoro in conformità dell‟art. L. 125-1 del codice del lavoro
lussemburghese. I dipendenti in questione hanno adito dapprima il Tribunal
du Travail perché dichiarasse nullo il loro licenziamento e ne disponesse
l‟immediata reintegrazione e, successivamente, hanno presentato ricorso
dinanzi alla sezione competente della Cour d’appel. Le istanze dei ricorrenti
sono state dichiarate infondate, anche in base al rilievo che l‟art. L. 125-1 del
codice del lavoro lussemburghese prevede la risoluzione con effetto
immediato dei contratti di lavoro qualora la cessazione delle attività sia
conseguente alla dichiarazione di fallimento del datore di lavoro. Poiché la
cessazione delle attività della Landsbanki è stata provocata da uno stato di
fatto assimilabile al fallimento, la liquidazione giudiziaria deve
conseguentemente essere assimilata al fallimento previsto al detto
art. L. 125-1.
I ricorrenti hanno quindi proposto ricorso dinanzi alla Cour de cassation, che
ha ritenuto necessaria l‟interpretazione in via pregiudiziale degli artt. 1-3 della
direttiva 98/59 ed ha deciso di sospendere il giudizio al fine sottoporre alla
Corte due questioni pregiudiziali: 1) se gli artt. 1, 2 e 3 della direttiva 98/59 CE
siano applicabili alla cessazione delle attività a seguito di fallimento del
datore di lavoro o per effetto di una decisione giudiziaria che ordini lo
scioglimento e liquidazione del datore di lavoro insolvente, posto che la
legge nazionale in simili casi prevede la risoluzione con effetto immediato dei
contratti di lavoro; 2) in caso di soluzione affermativa della prima questione,
se, ai sensi dei medesimi artt. 1, 2 e 3 della direttiva 98/59 CE, il curatore o il
liquidatore vada assimilato al datore di lavoro e possa quindi procedere ai
licenziamenti collettivi e compiere gli atti ad essi connessi, inclusi gli obblighi
di informazione e comunicazione ai lavoratori.
La Corte, con riferimento alla Direttiva 98/59/CE, concernente il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti
collettivi, ha affermato che la procedura per i licenziamenti collettivi prevista
dalla direttiva in parola, compreso l‟obbligo di informazione e consultazione,
va applicata anche in caso di scioglimento e liquidazione giudiziaria per
insolvenza ed anche qualora la normativa nazionale, nel caso di tale
cessazione, preveda la risoluzione con effetto immediato dei contratti di
lavoro dei dipendenti; la Corte di Giustizia precisa inoltre che se pure è vero
che la Direttiva n. 75/129/CEE all‟ art. 1, n. 2, lett. d), escludeva dal proprio
ambito di applicazione i lavoratori di un ente la cui attività è cessata a
seguito di decisione giurisdizionale, la successiva direttiva 92/56/CEE ha
soppresso tale previsione. Inoltre, a seguito della modifica della direttiva
75/129 CE, in caso di licenziamento collettivo per effetto di una decisione
giurisdizionale, il datore di lavoro ha l‟obbligo di informare e consultare i
lavoratori.
Riguardo al secondo quesito pregiudiziale, osserva la Corte che se la
gestione dell‟ente scioltosi a seguito di decisione giurisdizionale è affidata
integralmente da un commissario liquidatore, a quest‟ultimo spettano gli
obblighi derivanti dagli artt. 2 e 3 della direttiva 98/59/CE fino all‟estinzione
definitiva della personalità giuridica dell‟ente, incluso l‟obbligo di
informazione e consultazione.
Note
In Italia la legge 223/91 che disciplina i licenziamenti collettivi è stata
modificata dal D.Lgs dell'8 aprile 2004, n. 110, a seguito di una sentenza di
condanna della Corte di Giustizia Europea (causa C-32/02) nei confronti
dell'Italia in quanto la normativa nazionale non aveva rispettato la Direttiva
98/59 non includendo tra i destinatari tutti i datori di lavoro (ossia quelli non
imprenditori, quali i sindacati, le fondazioni, i partiti ecc. purché occupino più
di 15 dipendenti e che intendono procedere alla risoluzione del rapporto di
lavoro). I datori di lavoro devono produrre comunicazione scritta circa le
ragioni dei licenziamenti ed avviare le procedure prima in sede sindacale e
poi dinanzi alla Direzione Provinciale del lavoro di appartenenza.
Altresì, nella recente sentenza del 16 luglio 2009, causa C-12/08, Monocar
Styling SA contro il Tribunal du travail de Liège, la Corte ha constatato che la
procedura di informazione e di consultazione era stata rispettata, ma ha
invitato il giudice nazionale ad applicare il diritto interno quanto più possibile,
alla luce della lettera e dello scopo della direttiva 98/59.
Bibliografia
Sentenza 12 ottobre 2004, causa C-55/02, Commissione/Portogallo,
Racc. pag. I-9387, punto 55; sentenza 7 settembre 2006, cause riunite da
C-187/05 a C-190/05, Agorastoudis e a., Racc. pag. I-7775, punto 33;
sentenza 10 settembre 2009, causa C-44/08, Akavan Erityisalojen Keskusliitto
AEK e a., Racc. pag. I-8163, punto 64; www.ipsoa.it; http://eur-lex.europa.eu.
Estensore scheda
Causa
Ambito tematico
Parole chiave
Oggetto
Parametro
Esito
Sintesi
Note
Causa C-34/09 del 8 marzo 2011
Laura Muzi
Causa: C-34/09
Pubblicazione (causa): GUCE 90, 18 aprile 2009
Parti: Gerardo Ruiz Zambrano vs. Office national de l'emploi (ONEm)
Giudice relatore: J. N. Cunha Rodriguez; Avvocato generale: sig.ra E. Sharpston
Cittadinanza UE
Diritto di soggiorno di un minore cittadino UE; concessione di un diritto di
soggiorno derivato all'ascendente
Domanda di pronuncia pregiudiziale
Artt. 18, 20, 21 TFUE; artt. 21, 24, 34 della Carta dei diritti fondamentali UE; direttiva
2004/38/CE
L'art. 20 TFUE dev'essere interpretato nel senso che uno Stato membro non possa
negare al cittadino di uno Stato terzo, che si faccia carico dei propri figli in
tenera età né il soggiorno nello Stato membro di residenza di questi ultimi, di cui
essi abbiano la cittadinanza, né un permesso di lavoro, qualora tali decisioni
possano privare detti figli del godimento reale ed effettivo dei diritti connessi allo
status di cittadino dell'Unione.
La domanda di pronuncia pregiudiziale è proposta nell'ambito di una
controversia che vede contrapposti il sig. Ruiz Zambrano, cittadino colombiano,
e l'Ufficio nazionale di collocamento belga in merito al diniego di quest'ultimo di
riconoscergli il diritto all'indennità di disoccupazione. Infatti, il sig. Ruiz Zambrano e
sua moglie, entrambi cittadini colombiani, hanno infatti più volte presentato
domanda per ottenere un titolo di regolarizzazione del proprio soggiorno in Belgio
senza risultato positivo. In queste occasioni hanno invocato non solo la titolarità,
da parte del sig. Ruiz Zambrano, di un regolare contratto di lavoro a tempo pieno
ed indeterminato, efficace sin dall'ottobre 2001, ma anche la nascita di un
secondo e terzo genito, aventi entrambe cittadinanza belga. Essi hanno quindi
fatto appello all'art. 3 del protocollo n. 4 della Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ma anche all'art. 40 della legge
belga 15 dicembre 1980, in quanto ascendenti di cittadino belga. Tuttavia, si
vedono respinta la propria domanda: essi infatti non avrebbero rispettato le leggi
del proprio paese, avendo preferito usare direttamente le procedure a loro
disposizione per ottenere la cittadinanza belga dei figli al fine di cercare, su tale
base, la regolarizzazione del proprio soggiorno. Nel frattempo, il sig. Ruiz
Zambrano, dapprima viene collocato in disoccupazione temporanea e poi
perde definitivamente il proprio lavoro; in queste due circostanze egli presenta
domanda per ottenere un'indennità di disoccupazione, che viene a sua volta
respinta dall'ONEm, decisione avverso la quale viene presentato ricorso. Il giudice
del rinvio ritiene che i due provvedimenti oggetto della causa principale,
mediante i quali è stato negato il diritto all'indennità di disoccupazione, si basano
esclusivamente sulla costatazione i giorni di lavoro denunciati a titolo di tirocinio
obbligatorio per i lavoratori disoccupati, non sono conformi alla normativa in
materia di occupazione di manodopera straniera. Il sig. Ruiz Zambrano rifiuta tale
argomento sostenendo di godere di un diritto di soggiorno derivato in capo al
figlio – minore di età e cittadino di uno stato membro – e che per tale motivo egli
sia esonerato dall'obbligo di possedere un permesso di lavoro. Per questo motivo
il Tribunal du travail de Bruxelles ha deciso di sospendere il giudizio affinché sia
accertato se le disposizioni del Trattato FUE sulla cittadinanza debbano essere
interpretate nel senso che esse attribuiscano all'ascendente, cittadino di uno
stato terzo, che si faccia carico dei propri figli di tenera età, cittadini dell'Unione,
un diritto di soggiorno nello stato membro di cui questi abbiano la cittadinanza e
dove essi risiedono, così come un'esenzione dal permesso di lavoro in detto stato
membro.
Il diritto di soggiorno derivato è stato per la prima volta riconosciuto nella
sentenza 19 ottobre 2004, causa C-200/02, Zhu Chen.
Bibliografia
Si confrontino anche le cause C-148/02, Garcia Avello e C-135/08, Rottman.
Causa C-109/09 del 10 marzo 2011
Estensore scheda
Sokol Bana
Causa
Causa C-109/09 Seconda Sezione
Non ancora pubblicata. Domanda pubblicata in - GU C 141 dell'20.6.2009
Parti: Deutsche Lufthansa AG (ricorrente) Gertraud Kumpan (convenuta)
Giudice relatore: P. Lindh Avvocato generale: V. Trstenjak
Ambito tematico
Politica sociale
Parole chiave
Contratto di lavoro a tempo determinato – Direttiva 1999/70/CE – Parità di
trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Ruolo del
giudice nazionale
Oggetto
Domanda di pronuncia pregiudiziale
Parametro
Direttiva 1999/70/CE - Direttiva 2000/78/CE
Esito
La clausola 5, punto 1, dell‟accordo quadro sul lavoro a tempo determinato,
concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva del Consiglio 28
giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all‟accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul
lavoro a tempo determinato, dev‟essere interpretata nel senso che la
nozione di «stretta connessione oggettiva con un precedente contratto di
lavoro a tempo indeterminato con il medesimo datore di lavoro», di cui
all‟art. 14, n. 3, della legge sul lavoro a tempo parziale e sui contratti di lavoro
a tempo determinato (Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete
Arbeitsverträge), del 21 dicembre 2000, dev‟essere applicata alle fattispecie
in cui un contratto a tempo determinato non sia stato immediatamente
preceduto da un contratto a tempo indeterminato concluso con lo stesso
datore di lavoro ed un intervallo di vari anni separi tali contratti, qualora, per
tutto il corso di tale periodo, il rapporto di lavoro iniziale sia stato proseguito
per la stessa attività e con lo stesso datore di lavoro mediante una
successione ininterrotta di contratti a tempo determinato. Spetta al giudice
del rinvio interpretare le pertinenti disposizioni di diritto nazionale in modo
quanto più possibile conforme a detta clausola 5, punto 1.
Sintesi
Una normativa nazionale, che ammette una successione di contratti a
tempo determinato senza esigere una ragione oggettiva, né imporre una
durata massima complessiva di successivi contratti a tempo determinato
ovvero imporre un numero di rinnovi, può essere considerata conforme
all‟accordo quadro qualora l‟ordinamento giuridico interno dello Stato
membro interessato preveda un‟altra misura efficace equivalente per evitare
e, all‟occorrenza, sanzionare l‟utilizzazione abusiva di contratti a tempo
determinato ripetuti. l‟art. 14, n. 3, del TzBfG fissa un limite al ricorso ai contratti
a tempo determinato per le persone che abbiano raggiunto la soglia di età
prescritta. Tale disposizione esclude, infatti, la fissazione di una durata
determinata «qualora sussista una stretta connessione oggettiva con un
precedente contratto di lavoro a tempo indeterminato con il medesimo
datore di lavoro», precisando che «tale stretta connessione oggettiva deve,
in particolare, presumersi qualora tra i due contratti di lavoro sussista un
intervallo di tempo inferiore ai sei mesi». Tale limite dev‟essere interpretato in
modo conforme alla finalità dell‟accordo quadro ed in modo tale da non
svuotare di contenuto il principio secondo il quale i contratti a tempo
indeterminato costituiscono la forma generale dei rapporti di lavoro. tale
limite, previsto dall‟art. 14, n. 3, del TzBfG, non può essere applicato al
contratto controverso. Tale interpretazione si risolverebbe nel ridurre la sfera
di applicazione dell‟unica restrizione alla possibilità, prevista all‟art. 14, n. 3,
del TzBfG, di concludere un numero illimitato di contratti a tempo
determinato successivi in assenza di ragioni oggettive. Infatti, tale limite
sarebbe inapplicabile alle fattispecie in cui un contratto di lavoro a tempo
determinato non sia stato immediatamente preceduto da un contratto a
tempo indeterminato concluso con lo stesso datore di lavoro ed un intervallo
di vari anni separi tali contratti, anche qualora, per tutto il corso di tale
periodo, il rapporto di lavoro iniziale sia stato proseguito per la stessa attività e
con lo stesso datore di lavoro, mediante una successione ininterrotta di
contratti a tempo determinato. Tale interpretazione si risolverebbe parimenti
nel legittimare una situazione di fatto come quella oggetto della causa
principale, per il solo motivo che un lasso di tempo di quattro anni separa la
conclusione del contratto controverso da quella del primo contratto a tempo
determinato. Tale interpretazione è contraria alla finalità dell‟accordo
quadro e della clausola 5, punto 1, del medesimo, consistente nel tutelare i
lavoratori contro l‟instabilità dell‟occupazione e di prevenire gli abusi risultanti
dal ripetuto ricorso a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. la
Corte ha già avuto modo di affermare che la clausola 5, punto 1,
dell‟accordo quadro non appare, sotto il profilo del suo contenuto,
incondizionata e sufficientemente precisa da poter essere invocata da un
singolo dinanzi ad un giudice nazionale. Infatti, ai sensi di tale disposizione,
rientra nel potere discrezionale degli Stati membri ricorrere, al fine di
prevenire l‟utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato, ad una
o più tra le misure enunciate in tale clausola o, ancora, a norme equivalenti
in vigore, purché tengano conto delle esigenze di settori specifici e/o di
categorie di lavoratori. Inoltre, non è possibile determinare in maniera
sufficiente la protezione minima che dovrebbe comunque essere attuata in
virtù della clausola 5, punto 1, dell‟accordo quadro. La clausola 5, punto 1,
dell‟accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo
1999, che figura in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999,
1999/70/CE, relativa all‟accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a
tempo determinato, dev‟essere interpretata nel senso che la nozione di
«stretta connessione oggettiva con un precedente contratto di lavoro a
tempo indeterminato con il medesimo datore di lavoro», di cui all‟art. 14, n. 3,
della legge sul lavoro a tempo parziale e sui contratti di lavoro a tempo
determinato (Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Arbeitsverträge), del 21
dicembre 2000, dev‟essere applicata alle fattispecie in cui un contratto a
tempo determinato non sia stato immediatamente preceduto da un
contratto a tempo indeterminato concluso con lo stesso datore di lavoro ed
un intervallo di vari anni separi tali contratti, qualora, per tutto il corso di tale
periodo, il rapporto di lavoro iniziale sia stato proseguito per la stessa attività e
con lo stesso datore di lavoro mediante una successione ininterrotta di
contratti a tempo determinato. Spetta al giudice del rinvio interpretare le
pertinenti disposizioni di diritto nazionale in modo quanto più possibile
conforme a detta clausola 5, punto 1.
Note
Bibliografia
Causa C 29 del 2011
Estensore scheda
Chiara Feliziani
Causa
Causa: C-29/2010, Grande sezione
Parti: Heiko Koelzsch c. Etat du Grand-Duché de Luxembourg
Giudice relatore: C. Toader
Avvocato generale: V. Trstenjak
Ambito tematico
Spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
Parole chiave
Contratto di lavoro, lavoratore, licenziamento, “legge del paese in cui il
lavoratore compie abitualmente il suo lavoro”.
Oggetto
Domanda di pronuncia pregiudiziale sull‟interpretazione dell‟art. 6, n. 2, lett.
a), della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.
Parametro
Artt. 3, n. 1, e 6 della Convenzione di Roma;
Art. 2 del Primo protocollo relativo all‟interpretazione da parte della Corte di
Giustizia delle Comunità europee della Convenzione sulla legge applicabile
alle obbligazioni contrattuali;
Art. 8 del regolamento (CE) n. 593/2008;
Art. 5 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968;
Art. 19 del Regolamento (CE) n. 44/2001;
Art. 34 n. 1 della legge lussemburghese 18 maggio 1979;
art. 15 n. 1 della legge tedesca sulla tutela contro il licenziamento.
Esito
L‟art. 6 n. 2 lett. a) della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni
contrattuali deve essere interpretato nel senso che, nell‟ipotesi in cui il
lavoratore svolga le sue attività in più di uno Stato contraente, il paese in cui il
lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro, ai
sensi di tale disposizione, è quello in cui o a partire dal quale, tenuto conto di
tutti gli elementi che caratterizzano detta attività, il lavoratore adempie la
parte sostanziale delle sue obbligazioni nei confronti del suo datore di lavoro.
Sintesi
Il sig. Koelzsch il 16 ottobre 1998 è stato assunto, come conducente di
automezzi pesanti, dalla Gasa, filiale di una società danese il cui oggetto
consiste nel trasporto di fiori e piante dalla Danimarca verso altri paesi
europei, in specie verso la Germania. Con lettera datata 13 marzo 2001,
il direttore della Gasa ha risolto il contratto di lavoro con il sig. Koelzsch.
Dopo aver esperito senza successo l‟azione di annullamento avverso il
licenziamento e il ricorso per risarcimenti danni contro la Gasa, il sig.
Koelzsch avanza un ricorso volto ad acclarare la responsabilità dello
Stato (Lussemburgo) per violazione della Convenzione di Roma da parte
degli organi giudiziari. Segnatamente, il ricorrente lamenta l‟erronea
interpretazione ed applicazione dell‟art. 6 n. 2 lett. a) della citata
convenzione. Tale giudizio giunge sino in grado di appello, dove il
giudice ritiene di dover rimettere alla Corte di Giustizia la questione
relativa all‟esatta interpretazione della norma.
In proposito la Corte ricorda innanzitutto che l’art. 6 è stato concepito al fine
di “assicurare una migliore tutela a quella parte che, sotto l’aspetto
socio-economico, dev’essere considerata come la più debole nel
rapporto contrattuale”. Da ciò consegue che “il criterio del paese in cui
il lavoratore compie abitualmente il suo lavoro deve essere interpretato
in senso ampio”. Con esso, infatti, si fa riferimento “al luogo in cui o a
partire dal quale il lavoratore esercita effettivamente le proprie attività
professionali e al luogo in cui il medesimo svolge la maggior parte delle
sue attività”.
Note
La pronuncia si mostra in linea con altri precedenti della Corte di Giustizia,
oltre che conforme a quanto sottolineato dalla Commissione, secondo cui la
norma in esame deve essere interpretata in base a criteri uniformi ed
autonomi al fine di assicurare la piena efficacia della Convenzione di Roma.
In particolare, è significativo che la Corte fondi la propria pronuncia sulla
ratio della norma de qua e da ciò tragga la conseguenza che “tale
disposizione deve essere intesa nel senso che essa garantisce l‟applicabilità
della legge dello Stato in cui egli svolge le sue attività professionali piuttosto
che di quella dello Stato della sede del datore di lavoro”.
Bibliografia
CGCE 6 ottobre 2009, ICF, C-133/08;
CGCE 10 aprile 2003, Pugliese, C-437/00;
CGCE 27 febbraio 2002, Weber, C-37/00;
CGCE 9 gennaio 1997, Rutten, C-383/95;
CGCE 13 luglio 1993, Mulox IBC, C-125/92.
Estensore scheda
Causa
Ambito tematico
Parole chiave
Oggetto
Parametro
Esito
Sintesi
Causa C-34/09 del 8 marzo 2011
Laura Muzi
Causa: C-34/09
Pubblicazione (causa): GUCE 90, 18 aprile 2009
Parti: Gerardo Ruiz Zambrano vs. Office national de l'emploi (ONEm)
Giudice relatore: J. N. Cunha Rodriguez; Avvocato generale: sig.ra E. Sharpston
Cittadinanza UE
Diritto di soggiorno di un minore cittadino UE; concessione di un diritto di
soggiorno derivato all'ascendente
Domanda di pronuncia pregiudiziale
Artt. 18, 20, 21 TFUE; artt. 21, 24, 34 della Carta dei diritti fondamentali UE; direttiva
2004/38/CE
L'art. 20 TFUE dev'essere interpretato nel senso che uno Stato membro non possa
negare al cittadino di uno Stato terzo, che si faccia carico dei propri figli in
tenera età né il soggiorno nello Stato membro di residenza di questi ultimi, di cui
essi abbiano la cittadinanza, né un permesso di lavoro, qualora tali decisioni
possano privare detti figli del godimento reale ed effettivo dei diritti connessi allo
status di cittadino dell'Unione.
La domanda di pronuncia pregiudiziale è proposta nell'ambito di una
controversia che vede contrapposti il sig. Ruiz Zambrano, cittadino colombiano,
e l'Ufficio nazionale di collocamento belga in merito al diniego di quest'ultimo di
riconoscergli il diritto all'indennità di disoccupazione. Infatti, il sig. Ruiz Zambrano e
sua moglie, entrambi cittadini colombiani, hanno infatti più volte presentato
domanda per ottenere un titolo di regolarizzazione del proprio soggiorno in Belgio
senza risultato positivo. In queste occasioni hanno invocato non solo la titolarità,
da parte del sig. Ruiz Zambrano, di un regolare contratto di lavoro a tempo pieno
ed indeterminato, efficace sin dall'ottobre 2001, ma anche la nascita di un
secondo e terzo genito, aventi entrambe cittadinanza belga. Essi hanno quindi
fatto appello all'art. 3 del protocollo n. 4 della Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ma anche all'art. 40 della legge
belga 15 dicembre 1980, in quanto ascendenti di cittadino belga. Tuttavia, si
vedono respinta la propria domanda: essi infatti non avrebbero rispettato le leggi
del proprio paese, avendo preferito usare direttamente le procedure a loro
disposizione per ottenere la cittadinanza belga dei figli al fine di cercare, su tale
base, la regolarizzazione del proprio soggiorno. Nel frattempo, il sig. Ruiz
Zambrano, dapprima viene collocato in disoccupazione temporanea e poi
perde definitivamente il proprio lavoro; in queste due circostanze egli presenta
domanda per ottenere un'indennità di disoccupazione, che viene a sua volta
respinta dall'ONEm, decisione avverso la quale viene presentato ricorso. Il giudice
del rinvio ritiene che i due provvedimenti oggetto della causa principale,
mediante i quali è stato negato il diritto all'indennità di disoccupazione, si basano
esclusivamente sulla costatazione i giorni di lavoro denunciati a titolo di tirocinio
obbligatorio per i lavoratori disoccupati, non sono conformi alla normativa in
materia di occupazione di manodopera straniera. Il sig. Ruiz Zambrano rifiuta tale
argomento sostenendo di godere di un diritto di soggiorno derivato in capo al
figlio – minore di età e cittadino di uno stato membro – e che per tale motivo egli
sia esonerato dall'obbligo di possedere un permesso di lavoro. Per questo motivo
il Tribunal du travail de Bruxelles ha deciso di sospendere il giudizio affinché sia
accertato se le disposizioni del Trattato FUE sulla cittadinanza debbano essere
interpretate nel senso che esse attribuiscano all'ascendente, cittadino di uno
Note
Bibliografia
stato terzo, che si faccia carico dei propri figli di tenera età, cittadini dell'Unione,
un diritto di soggiorno nello stato membro di cui questi abbiano la cittadinanza e
dove essi risiedono, così come un'esenzione dal permesso di lavoro in detto stato
membro.
Il diritto di soggiorno derivato è stato per la prima volta riconosciuto nella
sentenza 19 ottobre 2004, causa C-200/02, Zhu Chen.
Si confrontino anche le cause C-148/02, Garcia Avello e C-135/08, Rottman.
Causa C-400/08 del 24/03/11
ESTENSORE SCHEDA
Michele Miraglia
CAUSA
Causa: C-400/08
Pubblicazione (causa): GU C 301 del 22.11.2008.
Parti: Commissione europea / Regno di Spagna
Giudice relatore: A. Rosas
Avvocato generale: E. Sharpston
AMBITO TEMATICO
Libertà di stabilimento
PAROLE CHIAVE
Inadempimento di uno Stato - Esercizi e centri commerciali – Restrizioni alla
libertà di stabilimento – Giustificazioni - Proporzionalità
OGGETTO
Ricorso per inadempimento, ai sensi dell‟art. 226 TCE, proposto alla Corte in
data 16 settembre 2008
PARAMETRO
Art. 43 CE
ESITO
Il Regno di Spagna è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi
dell‟art. 43 CE avendo adottato e/o mantenendo in vigore disposizioni
normative, le quali:
- vietano l‟insediamento di grandi esercizi commerciali al di fuori
dell‟agglomerato urbano di un numero limitato di comuni;
- limitano l‟insediamento di nuovi ipermercati ad un numero ristretto di
province ed impongono che tali nuovi ipermercati non assorbano
oltre il 9% della spesa per beni di largo consumo o oltre il 7% della
spesa per beni non di uso corrente;
- richiedono l‟applicazione di soglie massime attinenti al livello di
insediamento e all‟incidenza sugli esercizi commerciali al dettaglio
preesistenti, al di là delle quali è impossibile aprire nuovi grandi
esercizi commerciali e/o nuovi esercizi commerciali di medie
dimensioni;
- disciplinano la composizione del “Comitato per le strutture
commerciali” (comitato da consultare sui problemi connessi alla
decisione circa una richiesta di autorizzazione) in modo tale che
risulta garantita la rappresentanza degli interessi del commercio al
dettaglio preesistente mentre non è prevista la rappresentanza di
associazioni attive nel settore della protezione dell‟ambiente e dei
gruppi di interesse per la tutela dei consumatori.
SINTESI
A seguito della denuncia presentata da varie imprese del settore della
grande distribuzione, la Commissione contestava la compatibilità con l‟art.
43 CE della normativa relativa alle condizioni di insediamento di grandi
centri commerciali in Catalogna, e, pertanto, diffidava il Regno di Spagna.
A seguito dell‟adozione di provvedimenti normativi spagnoli non ritenuti
compatibili, la Commissione, dopo ulteriore diffida ed emissione di parere
motivato e senza riscontro, presentava ricorso per inadempimento ex art.
226 CE. A sostegno del Regno di Spagna interveniva il Regno di Danimarca.
Il ricorso comportava, in sostanza, tre censure attinenti all‟incompatibilità
con l‟art. 43 CE, rispettivamente, quanto alla prima, delle limitazioni relative
all‟ubicazione e alla dimensione dei grandi esercizi commerciali; quanto alla
seconda, delle condizioni per ottenere la specifica autorizzazione
commerciale richiesta per l‟insediamento di tali esercizi (comprese la
necessità di consultare il Tribunale per la tutela della concorrenza ed il
Comitato per le strutture commerciali) e, quanto alla terza, di taluni aspetti
della procedura di rilascio dell‟autorizzazione (regime del cosiddetto
“silenzio-diniego” e regime tributario).
NOTE
La sentenza ripercorre la giurisprudenza della CGCE in merito alle restrizioni
alla libertà di stabilimento ed alle relative giustificazioni, con particolare
riguardo alla protezione dell‟ambiente, alla razionale gestione del territorio
ed alla tutela dei consumatori.
BIBLIOGRAFIA
Giurisprudenza CGCE:
a) sulle restrizioni alla libertà di stabilimento:
- sentenza 1 giugno 2010, cause riunite C-570/07 e C-571/07, Blanco
Pèrez e Chao Gòmez;
- sentenza 28 aprile 2009, causa-518-06, Commissione/Italia;
- sentenza 10 febbraio 2009, causa C-110/05, Commissione/Italia;
- sentenza 21 aprile 2005, causa C-140/03, Commissione/Grecia;
- sentenza 14 ottobre 2004, causa C-299/02, Commissione /Paesi Bassi;
- sentenza 5 ottobre 2004, causa C-442/02, CaixaBank France;
b) sulle giustificazioni delle restrizioni alla libertà di stabilimento:
- sentenza 16 dicembre 2010, causa C-137/09, Josemans;
- sentenza 15 aprile 2010, causa C-96/08, CIBA;
- sentenza 19 maggio 2009, cause riunite C-171/07 e C-172/07,
Apothekerkammer des Saarlandes;
- sentenza 10 marzo 2009, causa C-169/07, Hartlauer;
- sentenza 22 dicembre 2008, causa C-161/07, Commissione/Austria;
b1) sulla protezione dell‟ambiente:
- sentenza 11 marzo 2010, causa C-384/08, Attanasio Group;
b2) sulla razionale gestione del territorio:
- sentenza 1 ottobre 2009, causa C-567/07, Woningstichting Sint
Servatius;
b3) sulla tutela dei consumatori:
- sentenza 13 settembre 2007, causa C-260/04, Commissione/Italia.
Estensore scheda
Causa
Ambito tematico
Parole chiave
Oggetto
Parametro
Esito
Sintesi
Causa
C-565/08 del 29/03/2011
Ardit Collaku
Causa: c-565/08
Pubblicazione (causa):29/03/2011
Parti: Commissione contro Repubblica Italiana
Giudice relatore: U. Lòhmus
Libertà di stabilimento
Inadempimento di uno Stato – Artt. 43 CE e 49 CE – Avvocati – Obbligo di
rispettare le tariffe massime in materia di onorari – Ostacolo all‟accesso al
mercato – Insussistenza.
Ricorso per inadempimento, ai sensi dell‟art. 226 CE, proposto il 19 dicembre
2008
Artt. 43 CE e 49 CE
La Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:
1) Il ricorso è respinto.
2) La Commissione Europea e la Repubblica Italiana sopportano le proprie
spese.
Con il suo ricorso la Commissione addebita alla Repubblica italiana di aver
previsto, in violazione degli artt. 43 CE e 49 CE, disposizioni che impongono agli
avvocati l‟obbligo di rispettare tariffe massime per la determinazione dei propri
onorari. A giudizio della Commissione, tali restrizioni derivano, in primo luogo,
dall‟obbligo imposto agli avvocati di calcolare i propri onorari in base ad un
tariffario estremamente complesso che genera un costo aggiuntivo, in
particolare per gli avvocati stabiliti fuori dell‟Italia. Nel caso in cui questi
avvocati avessero utilizzato fino ad allora un diverso sistema di calcolo dei loro
onorari, essi sarebbero obbligati ad abbandonarlo per adeguarsi al sistema
italiano. In secondo luogo, l‟esistenza di tariffe massime applicabili agli onorari
degli avvocati impedirebbe che i servizi degli avvocati stabiliti in Stati membri
diversi dalla Repubblica italiana siano correttamente remunerati dissuadendo
taluni avvocati, i quali chiedono onorari più elevati di quelli stabiliti dalle
disposizioni controverse, dal prestare temporaneamente i propri servizi in Italia,
ovvero dallo stabilirsi in tale Stato membro. La Commissione considera, in terzo
luogo, che il sistema di tariffazione italiano pregiudichi la libertà contrattuale
dell‟avvocato impedendogli di fare offerte ad hoc in determinate situazioni
e/o a clienti particolari. Le disposizioni controverse potrebbero dunque
comportare una perdita di competitività per gli avvocati stabiliti in altri Stati
membri perché esse privano gli stessi di efficaci tecniche di penetrazione nel
mercato legale italiano. Di conseguenza, la Commissione ritiene che le
disposizioni controverse costituiscano un ostacolo all‟accesso al mercato
italiano dei servizi legali per gli avvocati stabiliti in altri Stati membri.
In via principale, la Repubblica italiana contesta non l‟esistenza,
nell‟ordinamento giuridico italiano, di dette tariffe massime, bensì il carattere
vincolante delle medesime, sostenendo che esistono numerose deroghe per
superare tali limiti, o per volontà degli avvocati e dei loro clienti, o tramite
l‟intervento del giudice. Secondo tale Stato membro, il criterio principale che
consente di fissare gli onorari degli avvocati risiede, a norma dell‟art. 2233 del
codice civile italiano, nel contratto concluso tra l‟avvocato e il suo cliente,
mentre il ricorso alle tariffe applicabili agli onorari degli avvocati costituisce
soltanto un criterio sussidiario, utilizzabile in mancanza di compenso
liberamente fissato dalle parti contrattuali nell‟esercizio della loro autonomia
contrattuale. Del pari, in seguito all‟adozione del decreto Bersani, il divieto di
concludere un accordo tra cliente ed avvocato, che preveda un compenso
dipendente dall‟esito della controversia, sarebbe stato definitivamente abolito
dall‟ordinamento giuridico italiano.
Giudizio della Corte In via preliminare,
va constatato come dall‟insieme delle disposizioni controverse emerga che le
tariffe massime applicabili agli onorari degli avvocati costituiscono norme
giuridicamente vincolanti in quanto sono previste da un testo di legge.
Peraltro, la Commissione ha giustamente considerato che l‟esistenza di
deroghe che consentano di superare, in presenza di determinate condizioni, i
limiti massimi dell‟importo degli onorari portandoli al doppio o al quadruplo o
addirittura oltre, conferma che le tariffe massime degli onorari si applicano in
via generale. A tal riguardo, giova ricordare anzitutto che una normativa di
uno Stato membro non costituisce una restrizione ai sensi del Trattato CE per il
solo fatto che altri Stati membri applichino regole meno severe o
economicamente più vantaggiose ai prestatori di servizi simili stabiliti sul loro
territorio (v. sentenza 28 aprile 2009, Commissione/Italia, cit., punto 63 e
giurisprudenza ivi citata).L‟esistenza di una restrizione ai sensi del Trattato non
può dunque essere desunta dalla mera circostanza che gli avvocati stabiliti in
Stati membri diversi dalla Repubblica italiana devono, per il calcolo dei loro
onorari per prestazioni fornite in Italia, abituarsi alle norme applicabili in tale
Stato membro. Orbene, è giocoforza constatare che la Commissione non ha
dimostrato che le disposizioni controverse abbiano un tale scopo o effetto.
Infatti, essa non è riuscita a dimostrare che la normativa in discussione è
concepita in modo da pregiudicare l‟accesso, in condizioni di concorrenza
normali ed efficaci, al mercato italiano dei servizi di cui trattasi. Va rilevato, al
riguardo, che la normativa italiana sugli onorari è caratterizzata da una
flessibilità che sembra permettere un corretto compenso per qualsiasi tipo di
prestazione fornita dagli avvocati. Pertanto, non avendo dimostrato che le
disposizioni controverse ostacolano l‟accesso degli avvocati provenienti dagli
altri Stati membri al mercato italiano di cui trattasi, l‟argomentazione della
Commissione, diretta alla constatazione dell‟esistenza di una restrizione ai sensi
degli artt. 43 CE e 49 CE, non può essere accolta. Ne consegue che il ricorso
dev‟essere respinto.
Note
Bibliografia
Estensore scheda
Causa
Ambito tematico
Parole chiave
Oggetto
Parametro
Esito
Sintesi
sentenze 15 gennaio 2002, causa C-439/99, Commissione/Italia, Racc. pag.
I-305, punto 22; 5 ottobre 2004, causa C-442/02, CaixaBank France, Racc. pag.
I-8961, punto 11; 30 marzo 2006, causa C-451/03, Servizi Ausiliari Dottori
Commercialisti, Racc. pag. I-2941, punto 31, e 4 dicembre 2008, causa
C-330/07, Jobra, Racc. pag. I-9099, punto 19). sentenze CaixaBank France,
cit., punto 12, e 28 aprile 2009, causa C-518/06, Commissione/Italia, Racc.
pag. I-3491, punto 64).
art. 2233 del codice civile italiano, punto 10 del capitolo III della deliberazione
del CNF, direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998,
77/249 e 98/5/CE,
Causa C-407/09 del 31/03/2011
Elona Doko
Causa: Causa C-407/09 del 31/03/2011
Pubblicazione (causa):
Parti: Commissione contro Grecia
Giudice relatore: sigg. J.-J. Kasel
Spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
«Inadempimento di uno Stato – Inadempimento dell‟obbligo di eseguire una
sentenza della Corte – Sanzioni pecuniarie – Imposizione di una somma
forfettaria»
Ricorso per inadempimento
Art. 228, n. 1, CE; Direttiva 2004/80/C; ‟esecuzione della sentenza 18 luglio 2007,
causa C-26/07
la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:
1) La Repubblica ellenica, non avendo adottato, alla data in cui è scaduto il
termine, le misure necessarie ai fini dell‟esecuzione della sentenza 18 luglio 2007,
causa C-26/07, Commissione/Grecia, è venuta meno agli obblighi ad essa
incombenti in forza del n. 1 di tale articolo.
2) La Repubblica ellenica è condannata a versare alla Commissione europea,
sul conto «Risorse proprie dell‟Unione europea», una somma forfettaria di tre
milioni di euro.
3) La Repubblica ellenica è condannata alle spese.
Il 25 gennaio 2007, la Commissione, ha proposto un ricorso per inadempimento
contro la Repubblica ellenica in quanto quest‟ultima non aveva effettuato la
trasposizione nel suo ordinamento giuridico della direttiva, il cui termine di
trasposizione inizialmente impartito era fissato al 1° luglio 2005. Il 29 febbraio
2008, la Commissione ha inviato alla Repubblica ellenica una lettera di diffida in
cui chiedeva a quest‟ultima di informarla in merito alle misure da essa adottate
per conformarsi alla citata sentenza Commissione/Grecia.Nella sua risposta del
10 settembre 2008, tale Stato membro ha indicato che un progetto di legge
che doveva porre fine all‟inadempimento accertato era in fase di elaborazione
finale. La Commissione, il 23 settembre 2008, ha inviato un parere motivato a
tale Stato membro con il quale invitava quest‟ultimo ad adottare le misure
necessarie per conformarsi alla detta sentenza entro un termine di due mesi a
decorrere dalla ricezione di tale parere motivato. Nel medesimo, la
Commissione, inoltre, attirava l‟attenzione della Repubblica ellenica sulle
sanzioni pecuniarie che la Corte può infliggere, conformemente all‟art. 228, n. 2,
CE, ad uno Stato membro che non si conformi ad una sentenza della Corte di
giustizia dell‟Unione europea con cui viene constatato un inadempimento. Il 10
settembre 2009, in seguito ad uno scambio di diverse lettere, la Repubblica
ellenica ha informato la Commissione del fatto che, a causa di elezioni
legislative anticipate, il Parlamento greco, il 7 settembre 2009, ha dovuto
interrompere i lavori di adozione della legge diretta ad assicurare la
trasposizione della direttiva. In tale contesto, la Commissione ha deciso di
proporre il presente ricorso.
Note
Bibliografia
causa C-475/08, Commissione/Belgio, e causa C-340/09, Commissione/Spagna,