Dipartimento di Economia e Diritto Sez. Diritto dell‟economia
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Dipartimento di Economia e Diritto Sez. Diritto dell‟economia Facoltà di Economia Dottorato di ricerca in Diritto pubblico dell‟economia Osservatorio sulla giurisprudenza comunitaria Anno accademico 2010/2011 Decisioni della Corte di Giustizia delle comunità Europee Marzo 2011 Elenco procedimenti C-236/09 01/03/11 C-235/10 03/03/11 C-34/09 08/03/11 C-109/09 10/03/11 C-29/10 15/03/11 C-326/09 17/03/11 C-400/08 24/03/11 C-565/08 29/03/11 C-407/09 31/03/11 Estensore scheda Causa Ambito tematico Parole chiave Oggetto Parametro Esito Sintesi Causa C-326/09 del 01.03.2011 Ilda HASANBELLIU Causa: C- 236/09 Pubblicazione (causa): GU C 205 del 29.8.2009 Parti: Association belge des Consommateurs Test-Achats ASBL+ sigg. van Vugt e Basselier contro Conseil des ministres del Regno del Belgio Giudice relatore: sigg. E. Juhász Avvocato generale: sig.ra J. Kokott Politica sociale Diritti fondamentali - Lotta contro le discriminazioni - Parità di trattamento tra uomini e donne - Accesso a beni e servizi e loro fornitura - Premi e prestazioni assicurative Rinvio pregiudiziale Direttiva 2004/113, Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - Artt. 21 e 23 Il principio della parità di trattamento impone che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato. Per garantire la parità di trattamento tra donne e uomini, il fattore sesso non dovrebbe comportare differenze nei premi e nelle prestazioni individuali unisex. Prendere in considerazione il sesso dell‟assicurato come fattore di rischio per quanto riguarda i contratti di assicurazione costituisce una discriminazione. La Corte di Giustizia Europea con la sentenza del 1 marzo 2011 ha deciso lo stop ai premi differenziati per la RC Auto per le clausole sul sesso dell‟assicurato – conducente; tali premi, infatti, dovranno essere gli stessi sia per le donne che per gli uomini. La regola dei premi e delle prestazioni unisex verrà applicata a partire dalla data del 21 dicembre 2012, per dare tempo a governi e assicurazioni di adeguarsi. Nella sentenza che qui si commenta i giudici della Corte hanno stabilito che a partire dalla sopra menzionata data non sarà più valida alcuna deroga alla regola generale introdotta con la Direttiva 113/2004, la quale vieta ogni discriminazione fondata sul sesso del cliente in materia di accesso a beni e servizi, nonché alla loro fornitura. Essa vieta di prendere in considerazione il criterio del sesso ai fini del calcolo dei premi e delle prestazioni assicurative dei contratti di assicurazione conclusi dopo la data del 21 dicembre 2007 (ossia il termine ultimo per la trasposizione della direttiva). Prevede, però, una eccezione in virtù della quale gli Stati membri possono (a partire da tale data) autorizzare delle deroghe alla regola dei premi e delle prestazioni unisex, a condizione che possano garantire che i dati attuariali e statistici su cui si basano i loro calcoli sono: affidabili, regolarmente aggiornati e a disposizione del pubblico. Le deroghe sono consentite solamente nel caso in cui la legislazione nazionale non abbia già applicato la regola dei premi e delle prestazioni unisex. Ed è proprio in riferimento allo speciale regime derogatorio consentito dall‟art. 5, par. 2 (non anche alla generale deroga portata dall‟art. 4, par.5) che interviene la Corte di Giustizia, in relazione a previsione della legge belga che ha trasposto la direttiva valendosi – al pari della legge italiana – della facoltà di deroga. Afferma la Corte: “Una disposizione siffatta, la quale consente agli Stati membri interessati di mantenere senza limiti di tempo una deroga alla regola dei premi e delle prestazioni unisex, è contraria alla realizzazione dell‟obiettivo della parità di trattamento tra donne e uomini perseguito dalla direttiva 2004/113 ed è incompatibile con gli artt. 21 e 23 della Carta. Di conseguenza, la disposizione suddetta deve essere considerata invalida alla scadenza di un adeguato periodo transitorio”. Note La decisione, pur riferita alla legge belga, ricade su tutti gli ordinamenti, incluso quello italiano, che si erano valsi della deroga. Mentre l‟associazione italiana delle imprese di assicurazione (ANIA) non ha fatto cifre, quella inglese (ABI News Release, 01 March 2011) ha prontamente pubblicizzato stime di consistente aumento nei premi versati dalle donne per le polizze vita e, in particolare, per la r.c. auto. Al di fuori della vulgata, infatti, i dati statistici univocamente mostrano che gli incidenti automobilistici gravi sono causati più frequentemente dagli uomini che dalle donne. L‟auspicio è che l‟aggravio tariffario per le donne non venga riassorbito nella dinamica - che appare „invincibile‟ - di aumenti dei premi r.c.a., ma costituisca occasione di una redistribuzione del vantaggio in favore della generalità dei premi, versati dagli appartenenti a tutti i sessi. Bibliografia Causa C 235/10 del 3 Marzo 2011 Estensore scheda DANIELE STANZIONE Causa Causa: C- 235/10 (Terza Sezione) - procedimenti riuniti da C-235/10 a C-239/10. Pubblicazione (causa): in GUCE C 209 del 31 luglio 2010, p. 22 Parti: David Claes e a. contro Landsbanki Luxembourg SA in liquidazione. Giudice relatore: Juhász ; Avvocato generale: Sig.ra V. Trstenjak Ambito tematico POLITICA SOCIALE Parole chiave Licenziamenti collettivi. Direttiva 98/59/CE. Mancata consultazione dei rappresentanti dei lavoratori - Equiparazione del liquidatore al datore di lavoro. Oggetto Domande di pronuncia pregiudiziale presentate dalla Cour de cassation (Lussemburgo) ex art. 267 TFUE. Parametro Interpretazione degli artt. 1-3 della direttiva del Consiglio 20 luglio 1998, 98/59/CE. Esito Gli artt. 1 e 3 della direttiva 98/59/CE si applicano anche alla cessazione dell‟attività di un datore di lavoro seguita ad una decisione giurisdizionale che ne ordina lo scioglimento e la liquidazione; ciò anche in presenza di una norma nazionale che preveda la risoluzione, con effetto immediato, dei contratti di lavoro dei dipendenti. Il commissario liquidatore che assuma integralmente la gestione dell‟ente in scioglimento ha l‟obbligo di adempiere a quanto disposto dagli artt. 2 e 3 della direttiva 98/59/CE, inclusi quelli di informazione e consultazione dei lavoratori. Sintesi La Landsbanki Luxembourg SA è un ente creditizio con sede a Lussemburgo. Il Tribunal d’arrondissement de Luxembourg, accertata l‟insolvenza della società, ne ha disposto lo scioglimento, la messa in liquidazione e la nomina di due commissari liquidatori che, nel comunicare ai dipendenti della Landsbanki lo scioglimento della società, li informavano della risoluzione dei loro contratti di lavoro in conformità dell‟art. L. 125-1 del codice del lavoro lussemburghese. I dipendenti in questione hanno adito dapprima il Tribunal du Travail perché dichiarasse nullo il loro licenziamento e ne disponesse l‟immediata reintegrazione e, successivamente, hanno presentato ricorso dinanzi alla sezione competente della Cour d’appel. Le istanze dei ricorrenti sono state dichiarate infondate, anche in base al rilievo che l‟art. L. 125-1 del codice del lavoro lussemburghese prevede la risoluzione con effetto immediato dei contratti di lavoro qualora la cessazione delle attività sia conseguente alla dichiarazione di fallimento del datore di lavoro. Poiché la cessazione delle attività della Landsbanki è stata provocata da uno stato di fatto assimilabile al fallimento, la liquidazione giudiziaria deve conseguentemente essere assimilata al fallimento previsto al detto art. L. 125-1. I ricorrenti hanno quindi proposto ricorso dinanzi alla Cour de cassation, che ha ritenuto necessaria l‟interpretazione in via pregiudiziale degli artt. 1-3 della direttiva 98/59 ed ha deciso di sospendere il giudizio al fine sottoporre alla Corte due questioni pregiudiziali: 1) se gli artt. 1, 2 e 3 della direttiva 98/59 CE siano applicabili alla cessazione delle attività a seguito di fallimento del datore di lavoro o per effetto di una decisione giudiziaria che ordini lo scioglimento e liquidazione del datore di lavoro insolvente, posto che la legge nazionale in simili casi prevede la risoluzione con effetto immediato dei contratti di lavoro; 2) in caso di soluzione affermativa della prima questione, se, ai sensi dei medesimi artt. 1, 2 e 3 della direttiva 98/59 CE, il curatore o il liquidatore vada assimilato al datore di lavoro e possa quindi procedere ai licenziamenti collettivi e compiere gli atti ad essi connessi, inclusi gli obblighi di informazione e comunicazione ai lavoratori. La Corte, con riferimento alla Direttiva 98/59/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, ha affermato che la procedura per i licenziamenti collettivi prevista dalla direttiva in parola, compreso l‟obbligo di informazione e consultazione, va applicata anche in caso di scioglimento e liquidazione giudiziaria per insolvenza ed anche qualora la normativa nazionale, nel caso di tale cessazione, preveda la risoluzione con effetto immediato dei contratti di lavoro dei dipendenti; la Corte di Giustizia precisa inoltre che se pure è vero che la Direttiva n. 75/129/CEE all‟ art. 1, n. 2, lett. d), escludeva dal proprio ambito di applicazione i lavoratori di un ente la cui attività è cessata a seguito di decisione giurisdizionale, la successiva direttiva 92/56/CEE ha soppresso tale previsione. Inoltre, a seguito della modifica della direttiva 75/129 CE, in caso di licenziamento collettivo per effetto di una decisione giurisdizionale, il datore di lavoro ha l‟obbligo di informare e consultare i lavoratori. Riguardo al secondo quesito pregiudiziale, osserva la Corte che se la gestione dell‟ente scioltosi a seguito di decisione giurisdizionale è affidata integralmente da un commissario liquidatore, a quest‟ultimo spettano gli obblighi derivanti dagli artt. 2 e 3 della direttiva 98/59/CE fino all‟estinzione definitiva della personalità giuridica dell‟ente, incluso l‟obbligo di informazione e consultazione. Note In Italia la legge 223/91 che disciplina i licenziamenti collettivi è stata modificata dal D.Lgs dell'8 aprile 2004, n. 110, a seguito di una sentenza di condanna della Corte di Giustizia Europea (causa C-32/02) nei confronti dell'Italia in quanto la normativa nazionale non aveva rispettato la Direttiva 98/59 non includendo tra i destinatari tutti i datori di lavoro (ossia quelli non imprenditori, quali i sindacati, le fondazioni, i partiti ecc. purché occupino più di 15 dipendenti e che intendono procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro). I datori di lavoro devono produrre comunicazione scritta circa le ragioni dei licenziamenti ed avviare le procedure prima in sede sindacale e poi dinanzi alla Direzione Provinciale del lavoro di appartenenza. Altresì, nella recente sentenza del 16 luglio 2009, causa C-12/08, Monocar Styling SA contro il Tribunal du travail de Liège, la Corte ha constatato che la procedura di informazione e di consultazione era stata rispettata, ma ha invitato il giudice nazionale ad applicare il diritto interno quanto più possibile, alla luce della lettera e dello scopo della direttiva 98/59. Bibliografia Sentenza 12 ottobre 2004, causa C-55/02, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I-9387, punto 55; sentenza 7 settembre 2006, cause riunite da C-187/05 a C-190/05, Agorastoudis e a., Racc. pag. I-7775, punto 33; sentenza 10 settembre 2009, causa C-44/08, Akavan Erityisalojen Keskusliitto AEK e a., Racc. pag. I-8163, punto 64; www.ipsoa.it; http://eur-lex.europa.eu. Estensore scheda Causa Ambito tematico Parole chiave Oggetto Parametro Esito Sintesi Note Causa C-34/09 del 8 marzo 2011 Laura Muzi Causa: C-34/09 Pubblicazione (causa): GUCE 90, 18 aprile 2009 Parti: Gerardo Ruiz Zambrano vs. Office national de l'emploi (ONEm) Giudice relatore: J. N. Cunha Rodriguez; Avvocato generale: sig.ra E. Sharpston Cittadinanza UE Diritto di soggiorno di un minore cittadino UE; concessione di un diritto di soggiorno derivato all'ascendente Domanda di pronuncia pregiudiziale Artt. 18, 20, 21 TFUE; artt. 21, 24, 34 della Carta dei diritti fondamentali UE; direttiva 2004/38/CE L'art. 20 TFUE dev'essere interpretato nel senso che uno Stato membro non possa negare al cittadino di uno Stato terzo, che si faccia carico dei propri figli in tenera età né il soggiorno nello Stato membro di residenza di questi ultimi, di cui essi abbiano la cittadinanza, né un permesso di lavoro, qualora tali decisioni possano privare detti figli del godimento reale ed effettivo dei diritti connessi allo status di cittadino dell'Unione. La domanda di pronuncia pregiudiziale è proposta nell'ambito di una controversia che vede contrapposti il sig. Ruiz Zambrano, cittadino colombiano, e l'Ufficio nazionale di collocamento belga in merito al diniego di quest'ultimo di riconoscergli il diritto all'indennità di disoccupazione. Infatti, il sig. Ruiz Zambrano e sua moglie, entrambi cittadini colombiani, hanno infatti più volte presentato domanda per ottenere un titolo di regolarizzazione del proprio soggiorno in Belgio senza risultato positivo. In queste occasioni hanno invocato non solo la titolarità, da parte del sig. Ruiz Zambrano, di un regolare contratto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato, efficace sin dall'ottobre 2001, ma anche la nascita di un secondo e terzo genito, aventi entrambe cittadinanza belga. Essi hanno quindi fatto appello all'art. 3 del protocollo n. 4 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ma anche all'art. 40 della legge belga 15 dicembre 1980, in quanto ascendenti di cittadino belga. Tuttavia, si vedono respinta la propria domanda: essi infatti non avrebbero rispettato le leggi del proprio paese, avendo preferito usare direttamente le procedure a loro disposizione per ottenere la cittadinanza belga dei figli al fine di cercare, su tale base, la regolarizzazione del proprio soggiorno. Nel frattempo, il sig. Ruiz Zambrano, dapprima viene collocato in disoccupazione temporanea e poi perde definitivamente il proprio lavoro; in queste due circostanze egli presenta domanda per ottenere un'indennità di disoccupazione, che viene a sua volta respinta dall'ONEm, decisione avverso la quale viene presentato ricorso. Il giudice del rinvio ritiene che i due provvedimenti oggetto della causa principale, mediante i quali è stato negato il diritto all'indennità di disoccupazione, si basano esclusivamente sulla costatazione i giorni di lavoro denunciati a titolo di tirocinio obbligatorio per i lavoratori disoccupati, non sono conformi alla normativa in materia di occupazione di manodopera straniera. Il sig. Ruiz Zambrano rifiuta tale argomento sostenendo di godere di un diritto di soggiorno derivato in capo al figlio – minore di età e cittadino di uno stato membro – e che per tale motivo egli sia esonerato dall'obbligo di possedere un permesso di lavoro. Per questo motivo il Tribunal du travail de Bruxelles ha deciso di sospendere il giudizio affinché sia accertato se le disposizioni del Trattato FUE sulla cittadinanza debbano essere interpretate nel senso che esse attribuiscano all'ascendente, cittadino di uno stato terzo, che si faccia carico dei propri figli di tenera età, cittadini dell'Unione, un diritto di soggiorno nello stato membro di cui questi abbiano la cittadinanza e dove essi risiedono, così come un'esenzione dal permesso di lavoro in detto stato membro. Il diritto di soggiorno derivato è stato per la prima volta riconosciuto nella sentenza 19 ottobre 2004, causa C-200/02, Zhu Chen. Bibliografia Si confrontino anche le cause C-148/02, Garcia Avello e C-135/08, Rottman. Causa C-109/09 del 10 marzo 2011 Estensore scheda Sokol Bana Causa Causa C-109/09 Seconda Sezione Non ancora pubblicata. Domanda pubblicata in - GU C 141 dell'20.6.2009 Parti: Deutsche Lufthansa AG (ricorrente) Gertraud Kumpan (convenuta) Giudice relatore: P. Lindh Avvocato generale: V. Trstenjak Ambito tematico Politica sociale Parole chiave Contratto di lavoro a tempo determinato – Direttiva 1999/70/CE – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Ruolo del giudice nazionale Oggetto Domanda di pronuncia pregiudiziale Parametro Direttiva 1999/70/CE - Direttiva 2000/78/CE Esito La clausola 5, punto 1, dell‟accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all‟accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev‟essere interpretata nel senso che la nozione di «stretta connessione oggettiva con un precedente contratto di lavoro a tempo indeterminato con il medesimo datore di lavoro», di cui all‟art. 14, n. 3, della legge sul lavoro a tempo parziale e sui contratti di lavoro a tempo determinato (Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Arbeitsverträge), del 21 dicembre 2000, dev‟essere applicata alle fattispecie in cui un contratto a tempo determinato non sia stato immediatamente preceduto da un contratto a tempo indeterminato concluso con lo stesso datore di lavoro ed un intervallo di vari anni separi tali contratti, qualora, per tutto il corso di tale periodo, il rapporto di lavoro iniziale sia stato proseguito per la stessa attività e con lo stesso datore di lavoro mediante una successione ininterrotta di contratti a tempo determinato. Spetta al giudice del rinvio interpretare le pertinenti disposizioni di diritto nazionale in modo quanto più possibile conforme a detta clausola 5, punto 1. Sintesi Una normativa nazionale, che ammette una successione di contratti a tempo determinato senza esigere una ragione oggettiva, né imporre una durata massima complessiva di successivi contratti a tempo determinato ovvero imporre un numero di rinnovi, può essere considerata conforme all‟accordo quadro qualora l‟ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato preveda un‟altra misura efficace equivalente per evitare e, all‟occorrenza, sanzionare l‟utilizzazione abusiva di contratti a tempo determinato ripetuti. l‟art. 14, n. 3, del TzBfG fissa un limite al ricorso ai contratti a tempo determinato per le persone che abbiano raggiunto la soglia di età prescritta. Tale disposizione esclude, infatti, la fissazione di una durata determinata «qualora sussista una stretta connessione oggettiva con un precedente contratto di lavoro a tempo indeterminato con il medesimo datore di lavoro», precisando che «tale stretta connessione oggettiva deve, in particolare, presumersi qualora tra i due contratti di lavoro sussista un intervallo di tempo inferiore ai sei mesi». Tale limite dev‟essere interpretato in modo conforme alla finalità dell‟accordo quadro ed in modo tale da non svuotare di contenuto il principio secondo il quale i contratti a tempo indeterminato costituiscono la forma generale dei rapporti di lavoro. tale limite, previsto dall‟art. 14, n. 3, del TzBfG, non può essere applicato al contratto controverso. Tale interpretazione si risolverebbe nel ridurre la sfera di applicazione dell‟unica restrizione alla possibilità, prevista all‟art. 14, n. 3, del TzBfG, di concludere un numero illimitato di contratti a tempo determinato successivi in assenza di ragioni oggettive. Infatti, tale limite sarebbe inapplicabile alle fattispecie in cui un contratto di lavoro a tempo determinato non sia stato immediatamente preceduto da un contratto a tempo indeterminato concluso con lo stesso datore di lavoro ed un intervallo di vari anni separi tali contratti, anche qualora, per tutto il corso di tale periodo, il rapporto di lavoro iniziale sia stato proseguito per la stessa attività e con lo stesso datore di lavoro, mediante una successione ininterrotta di contratti a tempo determinato. Tale interpretazione si risolverebbe parimenti nel legittimare una situazione di fatto come quella oggetto della causa principale, per il solo motivo che un lasso di tempo di quattro anni separa la conclusione del contratto controverso da quella del primo contratto a tempo determinato. Tale interpretazione è contraria alla finalità dell‟accordo quadro e della clausola 5, punto 1, del medesimo, consistente nel tutelare i lavoratori contro l‟instabilità dell‟occupazione e di prevenire gli abusi risultanti dal ripetuto ricorso a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. la Corte ha già avuto modo di affermare che la clausola 5, punto 1, dell‟accordo quadro non appare, sotto il profilo del suo contenuto, incondizionata e sufficientemente precisa da poter essere invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale. Infatti, ai sensi di tale disposizione, rientra nel potere discrezionale degli Stati membri ricorrere, al fine di prevenire l‟utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato, ad una o più tra le misure enunciate in tale clausola o, ancora, a norme equivalenti in vigore, purché tengano conto delle esigenze di settori specifici e/o di categorie di lavoratori. Inoltre, non è possibile determinare in maniera sufficiente la protezione minima che dovrebbe comunque essere attuata in virtù della clausola 5, punto 1, dell‟accordo quadro. La clausola 5, punto 1, dell‟accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all‟accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev‟essere interpretata nel senso che la nozione di «stretta connessione oggettiva con un precedente contratto di lavoro a tempo indeterminato con il medesimo datore di lavoro», di cui all‟art. 14, n. 3, della legge sul lavoro a tempo parziale e sui contratti di lavoro a tempo determinato (Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Arbeitsverträge), del 21 dicembre 2000, dev‟essere applicata alle fattispecie in cui un contratto a tempo determinato non sia stato immediatamente preceduto da un contratto a tempo indeterminato concluso con lo stesso datore di lavoro ed un intervallo di vari anni separi tali contratti, qualora, per tutto il corso di tale periodo, il rapporto di lavoro iniziale sia stato proseguito per la stessa attività e con lo stesso datore di lavoro mediante una successione ininterrotta di contratti a tempo determinato. Spetta al giudice del rinvio interpretare le pertinenti disposizioni di diritto nazionale in modo quanto più possibile conforme a detta clausola 5, punto 1. Note Bibliografia Causa C 29 del 2011 Estensore scheda Chiara Feliziani Causa Causa: C-29/2010, Grande sezione Parti: Heiko Koelzsch c. Etat du Grand-Duché de Luxembourg Giudice relatore: C. Toader Avvocato generale: V. Trstenjak Ambito tematico Spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Parole chiave Contratto di lavoro, lavoratore, licenziamento, “legge del paese in cui il lavoratore compie abitualmente il suo lavoro”. Oggetto Domanda di pronuncia pregiudiziale sull‟interpretazione dell‟art. 6, n. 2, lett. a), della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. Parametro Artt. 3, n. 1, e 6 della Convenzione di Roma; Art. 2 del Primo protocollo relativo all‟interpretazione da parte della Corte di Giustizia delle Comunità europee della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali; Art. 8 del regolamento (CE) n. 593/2008; Art. 5 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968; Art. 19 del Regolamento (CE) n. 44/2001; Art. 34 n. 1 della legge lussemburghese 18 maggio 1979; art. 15 n. 1 della legge tedesca sulla tutela contro il licenziamento. Esito L‟art. 6 n. 2 lett. a) della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali deve essere interpretato nel senso che, nell‟ipotesi in cui il lavoratore svolga le sue attività in più di uno Stato contraente, il paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro, ai sensi di tale disposizione, è quello in cui o a partire dal quale, tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano detta attività, il lavoratore adempie la parte sostanziale delle sue obbligazioni nei confronti del suo datore di lavoro. Sintesi Il sig. Koelzsch il 16 ottobre 1998 è stato assunto, come conducente di automezzi pesanti, dalla Gasa, filiale di una società danese il cui oggetto consiste nel trasporto di fiori e piante dalla Danimarca verso altri paesi europei, in specie verso la Germania. Con lettera datata 13 marzo 2001, il direttore della Gasa ha risolto il contratto di lavoro con il sig. Koelzsch. Dopo aver esperito senza successo l‟azione di annullamento avverso il licenziamento e il ricorso per risarcimenti danni contro la Gasa, il sig. Koelzsch avanza un ricorso volto ad acclarare la responsabilità dello Stato (Lussemburgo) per violazione della Convenzione di Roma da parte degli organi giudiziari. Segnatamente, il ricorrente lamenta l‟erronea interpretazione ed applicazione dell‟art. 6 n. 2 lett. a) della citata convenzione. Tale giudizio giunge sino in grado di appello, dove il giudice ritiene di dover rimettere alla Corte di Giustizia la questione relativa all‟esatta interpretazione della norma. In proposito la Corte ricorda innanzitutto che l’art. 6 è stato concepito al fine di “assicurare una migliore tutela a quella parte che, sotto l’aspetto socio-economico, dev’essere considerata come la più debole nel rapporto contrattuale”. Da ciò consegue che “il criterio del paese in cui il lavoratore compie abitualmente il suo lavoro deve essere interpretato in senso ampio”. Con esso, infatti, si fa riferimento “al luogo in cui o a partire dal quale il lavoratore esercita effettivamente le proprie attività professionali e al luogo in cui il medesimo svolge la maggior parte delle sue attività”. Note La pronuncia si mostra in linea con altri precedenti della Corte di Giustizia, oltre che conforme a quanto sottolineato dalla Commissione, secondo cui la norma in esame deve essere interpretata in base a criteri uniformi ed autonomi al fine di assicurare la piena efficacia della Convenzione di Roma. In particolare, è significativo che la Corte fondi la propria pronuncia sulla ratio della norma de qua e da ciò tragga la conseguenza che “tale disposizione deve essere intesa nel senso che essa garantisce l‟applicabilità della legge dello Stato in cui egli svolge le sue attività professionali piuttosto che di quella dello Stato della sede del datore di lavoro”. Bibliografia CGCE 6 ottobre 2009, ICF, C-133/08; CGCE 10 aprile 2003, Pugliese, C-437/00; CGCE 27 febbraio 2002, Weber, C-37/00; CGCE 9 gennaio 1997, Rutten, C-383/95; CGCE 13 luglio 1993, Mulox IBC, C-125/92. Estensore scheda Causa Ambito tematico Parole chiave Oggetto Parametro Esito Sintesi Causa C-34/09 del 8 marzo 2011 Laura Muzi Causa: C-34/09 Pubblicazione (causa): GUCE 90, 18 aprile 2009 Parti: Gerardo Ruiz Zambrano vs. Office national de l'emploi (ONEm) Giudice relatore: J. N. Cunha Rodriguez; Avvocato generale: sig.ra E. Sharpston Cittadinanza UE Diritto di soggiorno di un minore cittadino UE; concessione di un diritto di soggiorno derivato all'ascendente Domanda di pronuncia pregiudiziale Artt. 18, 20, 21 TFUE; artt. 21, 24, 34 della Carta dei diritti fondamentali UE; direttiva 2004/38/CE L'art. 20 TFUE dev'essere interpretato nel senso che uno Stato membro non possa negare al cittadino di uno Stato terzo, che si faccia carico dei propri figli in tenera età né il soggiorno nello Stato membro di residenza di questi ultimi, di cui essi abbiano la cittadinanza, né un permesso di lavoro, qualora tali decisioni possano privare detti figli del godimento reale ed effettivo dei diritti connessi allo status di cittadino dell'Unione. La domanda di pronuncia pregiudiziale è proposta nell'ambito di una controversia che vede contrapposti il sig. Ruiz Zambrano, cittadino colombiano, e l'Ufficio nazionale di collocamento belga in merito al diniego di quest'ultimo di riconoscergli il diritto all'indennità di disoccupazione. Infatti, il sig. Ruiz Zambrano e sua moglie, entrambi cittadini colombiani, hanno infatti più volte presentato domanda per ottenere un titolo di regolarizzazione del proprio soggiorno in Belgio senza risultato positivo. In queste occasioni hanno invocato non solo la titolarità, da parte del sig. Ruiz Zambrano, di un regolare contratto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato, efficace sin dall'ottobre 2001, ma anche la nascita di un secondo e terzo genito, aventi entrambe cittadinanza belga. Essi hanno quindi fatto appello all'art. 3 del protocollo n. 4 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ma anche all'art. 40 della legge belga 15 dicembre 1980, in quanto ascendenti di cittadino belga. Tuttavia, si vedono respinta la propria domanda: essi infatti non avrebbero rispettato le leggi del proprio paese, avendo preferito usare direttamente le procedure a loro disposizione per ottenere la cittadinanza belga dei figli al fine di cercare, su tale base, la regolarizzazione del proprio soggiorno. Nel frattempo, il sig. Ruiz Zambrano, dapprima viene collocato in disoccupazione temporanea e poi perde definitivamente il proprio lavoro; in queste due circostanze egli presenta domanda per ottenere un'indennità di disoccupazione, che viene a sua volta respinta dall'ONEm, decisione avverso la quale viene presentato ricorso. Il giudice del rinvio ritiene che i due provvedimenti oggetto della causa principale, mediante i quali è stato negato il diritto all'indennità di disoccupazione, si basano esclusivamente sulla costatazione i giorni di lavoro denunciati a titolo di tirocinio obbligatorio per i lavoratori disoccupati, non sono conformi alla normativa in materia di occupazione di manodopera straniera. Il sig. Ruiz Zambrano rifiuta tale argomento sostenendo di godere di un diritto di soggiorno derivato in capo al figlio – minore di età e cittadino di uno stato membro – e che per tale motivo egli sia esonerato dall'obbligo di possedere un permesso di lavoro. Per questo motivo il Tribunal du travail de Bruxelles ha deciso di sospendere il giudizio affinché sia accertato se le disposizioni del Trattato FUE sulla cittadinanza debbano essere interpretate nel senso che esse attribuiscano all'ascendente, cittadino di uno Note Bibliografia stato terzo, che si faccia carico dei propri figli di tenera età, cittadini dell'Unione, un diritto di soggiorno nello stato membro di cui questi abbiano la cittadinanza e dove essi risiedono, così come un'esenzione dal permesso di lavoro in detto stato membro. Il diritto di soggiorno derivato è stato per la prima volta riconosciuto nella sentenza 19 ottobre 2004, causa C-200/02, Zhu Chen. Si confrontino anche le cause C-148/02, Garcia Avello e C-135/08, Rottman. Causa C-400/08 del 24/03/11 ESTENSORE SCHEDA Michele Miraglia CAUSA Causa: C-400/08 Pubblicazione (causa): GU C 301 del 22.11.2008. Parti: Commissione europea / Regno di Spagna Giudice relatore: A. Rosas Avvocato generale: E. Sharpston AMBITO TEMATICO Libertà di stabilimento PAROLE CHIAVE Inadempimento di uno Stato - Esercizi e centri commerciali – Restrizioni alla libertà di stabilimento – Giustificazioni - Proporzionalità OGGETTO Ricorso per inadempimento, ai sensi dell‟art. 226 TCE, proposto alla Corte in data 16 settembre 2008 PARAMETRO Art. 43 CE ESITO Il Regno di Spagna è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell‟art. 43 CE avendo adottato e/o mantenendo in vigore disposizioni normative, le quali: - vietano l‟insediamento di grandi esercizi commerciali al di fuori dell‟agglomerato urbano di un numero limitato di comuni; - limitano l‟insediamento di nuovi ipermercati ad un numero ristretto di province ed impongono che tali nuovi ipermercati non assorbano oltre il 9% della spesa per beni di largo consumo o oltre il 7% della spesa per beni non di uso corrente; - richiedono l‟applicazione di soglie massime attinenti al livello di insediamento e all‟incidenza sugli esercizi commerciali al dettaglio preesistenti, al di là delle quali è impossibile aprire nuovi grandi esercizi commerciali e/o nuovi esercizi commerciali di medie dimensioni; - disciplinano la composizione del “Comitato per le strutture commerciali” (comitato da consultare sui problemi connessi alla decisione circa una richiesta di autorizzazione) in modo tale che risulta garantita la rappresentanza degli interessi del commercio al dettaglio preesistente mentre non è prevista la rappresentanza di associazioni attive nel settore della protezione dell‟ambiente e dei gruppi di interesse per la tutela dei consumatori. SINTESI A seguito della denuncia presentata da varie imprese del settore della grande distribuzione, la Commissione contestava la compatibilità con l‟art. 43 CE della normativa relativa alle condizioni di insediamento di grandi centri commerciali in Catalogna, e, pertanto, diffidava il Regno di Spagna. A seguito dell‟adozione di provvedimenti normativi spagnoli non ritenuti compatibili, la Commissione, dopo ulteriore diffida ed emissione di parere motivato e senza riscontro, presentava ricorso per inadempimento ex art. 226 CE. A sostegno del Regno di Spagna interveniva il Regno di Danimarca. Il ricorso comportava, in sostanza, tre censure attinenti all‟incompatibilità con l‟art. 43 CE, rispettivamente, quanto alla prima, delle limitazioni relative all‟ubicazione e alla dimensione dei grandi esercizi commerciali; quanto alla seconda, delle condizioni per ottenere la specifica autorizzazione commerciale richiesta per l‟insediamento di tali esercizi (comprese la necessità di consultare il Tribunale per la tutela della concorrenza ed il Comitato per le strutture commerciali) e, quanto alla terza, di taluni aspetti della procedura di rilascio dell‟autorizzazione (regime del cosiddetto “silenzio-diniego” e regime tributario). NOTE La sentenza ripercorre la giurisprudenza della CGCE in merito alle restrizioni alla libertà di stabilimento ed alle relative giustificazioni, con particolare riguardo alla protezione dell‟ambiente, alla razionale gestione del territorio ed alla tutela dei consumatori. BIBLIOGRAFIA Giurisprudenza CGCE: a) sulle restrizioni alla libertà di stabilimento: - sentenza 1 giugno 2010, cause riunite C-570/07 e C-571/07, Blanco Pèrez e Chao Gòmez; - sentenza 28 aprile 2009, causa-518-06, Commissione/Italia; - sentenza 10 febbraio 2009, causa C-110/05, Commissione/Italia; - sentenza 21 aprile 2005, causa C-140/03, Commissione/Grecia; - sentenza 14 ottobre 2004, causa C-299/02, Commissione /Paesi Bassi; - sentenza 5 ottobre 2004, causa C-442/02, CaixaBank France; b) sulle giustificazioni delle restrizioni alla libertà di stabilimento: - sentenza 16 dicembre 2010, causa C-137/09, Josemans; - sentenza 15 aprile 2010, causa C-96/08, CIBA; - sentenza 19 maggio 2009, cause riunite C-171/07 e C-172/07, Apothekerkammer des Saarlandes; - sentenza 10 marzo 2009, causa C-169/07, Hartlauer; - sentenza 22 dicembre 2008, causa C-161/07, Commissione/Austria; b1) sulla protezione dell‟ambiente: - sentenza 11 marzo 2010, causa C-384/08, Attanasio Group; b2) sulla razionale gestione del territorio: - sentenza 1 ottobre 2009, causa C-567/07, Woningstichting Sint Servatius; b3) sulla tutela dei consumatori: - sentenza 13 settembre 2007, causa C-260/04, Commissione/Italia. Estensore scheda Causa Ambito tematico Parole chiave Oggetto Parametro Esito Sintesi Causa C-565/08 del 29/03/2011 Ardit Collaku Causa: c-565/08 Pubblicazione (causa):29/03/2011 Parti: Commissione contro Repubblica Italiana Giudice relatore: U. Lòhmus Libertà di stabilimento Inadempimento di uno Stato – Artt. 43 CE e 49 CE – Avvocati – Obbligo di rispettare le tariffe massime in materia di onorari – Ostacolo all‟accesso al mercato – Insussistenza. Ricorso per inadempimento, ai sensi dell‟art. 226 CE, proposto il 19 dicembre 2008 Artt. 43 CE e 49 CE La Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce: 1) Il ricorso è respinto. 2) La Commissione Europea e la Repubblica Italiana sopportano le proprie spese. Con il suo ricorso la Commissione addebita alla Repubblica italiana di aver previsto, in violazione degli artt. 43 CE e 49 CE, disposizioni che impongono agli avvocati l‟obbligo di rispettare tariffe massime per la determinazione dei propri onorari. A giudizio della Commissione, tali restrizioni derivano, in primo luogo, dall‟obbligo imposto agli avvocati di calcolare i propri onorari in base ad un tariffario estremamente complesso che genera un costo aggiuntivo, in particolare per gli avvocati stabiliti fuori dell‟Italia. Nel caso in cui questi avvocati avessero utilizzato fino ad allora un diverso sistema di calcolo dei loro onorari, essi sarebbero obbligati ad abbandonarlo per adeguarsi al sistema italiano. In secondo luogo, l‟esistenza di tariffe massime applicabili agli onorari degli avvocati impedirebbe che i servizi degli avvocati stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana siano correttamente remunerati dissuadendo taluni avvocati, i quali chiedono onorari più elevati di quelli stabiliti dalle disposizioni controverse, dal prestare temporaneamente i propri servizi in Italia, ovvero dallo stabilirsi in tale Stato membro. La Commissione considera, in terzo luogo, che il sistema di tariffazione italiano pregiudichi la libertà contrattuale dell‟avvocato impedendogli di fare offerte ad hoc in determinate situazioni e/o a clienti particolari. Le disposizioni controverse potrebbero dunque comportare una perdita di competitività per gli avvocati stabiliti in altri Stati membri perché esse privano gli stessi di efficaci tecniche di penetrazione nel mercato legale italiano. Di conseguenza, la Commissione ritiene che le disposizioni controverse costituiscano un ostacolo all‟accesso al mercato italiano dei servizi legali per gli avvocati stabiliti in altri Stati membri. In via principale, la Repubblica italiana contesta non l‟esistenza, nell‟ordinamento giuridico italiano, di dette tariffe massime, bensì il carattere vincolante delle medesime, sostenendo che esistono numerose deroghe per superare tali limiti, o per volontà degli avvocati e dei loro clienti, o tramite l‟intervento del giudice. Secondo tale Stato membro, il criterio principale che consente di fissare gli onorari degli avvocati risiede, a norma dell‟art. 2233 del codice civile italiano, nel contratto concluso tra l‟avvocato e il suo cliente, mentre il ricorso alle tariffe applicabili agli onorari degli avvocati costituisce soltanto un criterio sussidiario, utilizzabile in mancanza di compenso liberamente fissato dalle parti contrattuali nell‟esercizio della loro autonomia contrattuale. Del pari, in seguito all‟adozione del decreto Bersani, il divieto di concludere un accordo tra cliente ed avvocato, che preveda un compenso dipendente dall‟esito della controversia, sarebbe stato definitivamente abolito dall‟ordinamento giuridico italiano. Giudizio della Corte In via preliminare, va constatato come dall‟insieme delle disposizioni controverse emerga che le tariffe massime applicabili agli onorari degli avvocati costituiscono norme giuridicamente vincolanti in quanto sono previste da un testo di legge. Peraltro, la Commissione ha giustamente considerato che l‟esistenza di deroghe che consentano di superare, in presenza di determinate condizioni, i limiti massimi dell‟importo degli onorari portandoli al doppio o al quadruplo o addirittura oltre, conferma che le tariffe massime degli onorari si applicano in via generale. A tal riguardo, giova ricordare anzitutto che una normativa di uno Stato membro non costituisce una restrizione ai sensi del Trattato CE per il solo fatto che altri Stati membri applichino regole meno severe o economicamente più vantaggiose ai prestatori di servizi simili stabiliti sul loro territorio (v. sentenza 28 aprile 2009, Commissione/Italia, cit., punto 63 e giurisprudenza ivi citata).L‟esistenza di una restrizione ai sensi del Trattato non può dunque essere desunta dalla mera circostanza che gli avvocati stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana devono, per il calcolo dei loro onorari per prestazioni fornite in Italia, abituarsi alle norme applicabili in tale Stato membro. Orbene, è giocoforza constatare che la Commissione non ha dimostrato che le disposizioni controverse abbiano un tale scopo o effetto. Infatti, essa non è riuscita a dimostrare che la normativa in discussione è concepita in modo da pregiudicare l‟accesso, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al mercato italiano dei servizi di cui trattasi. Va rilevato, al riguardo, che la normativa italiana sugli onorari è caratterizzata da una flessibilità che sembra permettere un corretto compenso per qualsiasi tipo di prestazione fornita dagli avvocati. Pertanto, non avendo dimostrato che le disposizioni controverse ostacolano l‟accesso degli avvocati provenienti dagli altri Stati membri al mercato italiano di cui trattasi, l‟argomentazione della Commissione, diretta alla constatazione dell‟esistenza di una restrizione ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE, non può essere accolta. Ne consegue che il ricorso dev‟essere respinto. Note Bibliografia Estensore scheda Causa Ambito tematico Parole chiave Oggetto Parametro Esito Sintesi sentenze 15 gennaio 2002, causa C-439/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I-305, punto 22; 5 ottobre 2004, causa C-442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I-8961, punto 11; 30 marzo 2006, causa C-451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti, Racc. pag. I-2941, punto 31, e 4 dicembre 2008, causa C-330/07, Jobra, Racc. pag. I-9099, punto 19). sentenze CaixaBank France, cit., punto 12, e 28 aprile 2009, causa C-518/06, Commissione/Italia, Racc. pag. I-3491, punto 64). art. 2233 del codice civile italiano, punto 10 del capitolo III della deliberazione del CNF, direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 77/249 e 98/5/CE, Causa C-407/09 del 31/03/2011 Elona Doko Causa: Causa C-407/09 del 31/03/2011 Pubblicazione (causa): Parti: Commissione contro Grecia Giudice relatore: sigg. J.-J. Kasel Spazio di libertà, sicurezza e giustizia. «Inadempimento di uno Stato – Inadempimento dell‟obbligo di eseguire una sentenza della Corte – Sanzioni pecuniarie – Imposizione di una somma forfettaria» Ricorso per inadempimento Art. 228, n. 1, CE; Direttiva 2004/80/C; ‟esecuzione della sentenza 18 luglio 2007, causa C-26/07 la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce: 1) La Repubblica ellenica, non avendo adottato, alla data in cui è scaduto il termine, le misure necessarie ai fini dell‟esecuzione della sentenza 18 luglio 2007, causa C-26/07, Commissione/Grecia, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del n. 1 di tale articolo. 2) La Repubblica ellenica è condannata a versare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell‟Unione europea», una somma forfettaria di tre milioni di euro. 3) La Repubblica ellenica è condannata alle spese. Il 25 gennaio 2007, la Commissione, ha proposto un ricorso per inadempimento contro la Repubblica ellenica in quanto quest‟ultima non aveva effettuato la trasposizione nel suo ordinamento giuridico della direttiva, il cui termine di trasposizione inizialmente impartito era fissato al 1° luglio 2005. Il 29 febbraio 2008, la Commissione ha inviato alla Repubblica ellenica una lettera di diffida in cui chiedeva a quest‟ultima di informarla in merito alle misure da essa adottate per conformarsi alla citata sentenza Commissione/Grecia.Nella sua risposta del 10 settembre 2008, tale Stato membro ha indicato che un progetto di legge che doveva porre fine all‟inadempimento accertato era in fase di elaborazione finale. La Commissione, il 23 settembre 2008, ha inviato un parere motivato a tale Stato membro con il quale invitava quest‟ultimo ad adottare le misure necessarie per conformarsi alla detta sentenza entro un termine di due mesi a decorrere dalla ricezione di tale parere motivato. Nel medesimo, la Commissione, inoltre, attirava l‟attenzione della Repubblica ellenica sulle sanzioni pecuniarie che la Corte può infliggere, conformemente all‟art. 228, n. 2, CE, ad uno Stato membro che non si conformi ad una sentenza della Corte di giustizia dell‟Unione europea con cui viene constatato un inadempimento. Il 10 settembre 2009, in seguito ad uno scambio di diverse lettere, la Repubblica ellenica ha informato la Commissione del fatto che, a causa di elezioni legislative anticipate, il Parlamento greco, il 7 settembre 2009, ha dovuto interrompere i lavori di adozione della legge diretta ad assicurare la trasposizione della direttiva. In tale contesto, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso. Note Bibliografia causa C-475/08, Commissione/Belgio, e causa C-340/09, Commissione/Spagna,