6° Incontro sulla preghiera con S. Teresa d`Avila

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6° Incontro sulla preghiera con S. Teresa d`Avila
Scuola di Preghiera
IN CAMMINO CON
S.TERESA D'AVILA
6° incontro
Un'anima ardente in un corpo fragile
Teresa decise dunque, per così dire, a favore di Dio, «facendosi forza».
La sua acuta sensibilità alla dimensione «eterna» della vita (vita è quella che dura per sempre) la orientò con
determinazione e generosità a preferire comunque la vita monastica, ma la considerò «un purgatorio», un
passaggio di necessaria sofferenza, per poter giungere al cielo, un tempo di dura attesa.
In convento, a dire il vero, si trovò bene e inizio subito un serio lavoro ascetico su se stessa, dando prova di
grande generosità e virtù: ma forse perché quella vita era troppo impegnativa e diversa da ciò a cui era
abituata, forse perché lo sforzo psicologico era stato eccessivo, ne subì il contraccolpo fisico. Cadde in una
strana malattia che non si sapeva come curare: «dalla testa ai piedi―dice Teresa―ero tutta uno spasimo». I
rimedi sbagliati e debilitanti fecero il resto e si aggravò talmente da giungere in punto di morte. Anzi, per
qualche giorno la credettero morta addirittura.
Si riebbe infine, ma era completamente paralizzata e, soprattutto, le era rimasta addosso una terribile paura
di morire.
Chi ha voluto leggere in questa malattia un insieme di fenomeni isterici si è sempre scontrato con l'evidenza
di tutte le testimonianze che parlano di una Teresa equilibrata, affascinante, buona, capace di sorreggere gli
altri, paziente e umanissima pur dentro le più acute sofferenze. D'altra parte questo sarà il segreto e la
situazione di tutta la sua vita: un'anima ardente in un corpo fragile, che sembra non saper reggere all'urto
interiore, e che pure Teresa piegherà fino a chiedergli prove (viaggi, fatiche, preoccupazioni) non
indifferenti.
Pian piano si riprese: era diventata una monaca saggia, matura, che aveva imparato a pregare: era amata e
ricercata, dentro e fuori il monastero, soprattutto da chi voleva percorrere le vie della santità. Lo stesso papà
di Teresa veniva da lei per tarsi guidare spiritualmente, e divenne cosi maturo da morire come un santo.
Attorno a quella monaca di Avila si creò ben presto una cerchia di amici, affascinati dalla sua forte dolcezza
e dolce severità.
Dobbiamo ricordare che ella viveva in un tempo in cui i problemi spirituali destavano comunque attenzione
anche in gente ingolfata nelle preoccupazioni e nelle vanità del mondo. Di preghiera e di vita interiore si
parlava allora anche nei salotti delle duchesse.
Così l'antico problema di Teresa si ripresentò con più matura violenza.
«Avevo―ella scrive―un difetto gravissimo da cui mi sono venuti molti mali, ed era questo: che appena
m'accorgevo che una persona mi voleva bene e mi era simpatica, mi affezionavo ad essa così da averla
sempre in mente. Intendiamoci, non già che io volessi offendere Dio in nulla, ma gioivo nel vederla, nel
pensare a lei e alle buone qualità che possedeva, al punto di farmi rischiare seriamente di perdere l'anima»
(37,4).
Prima di proseguire dobbiamo comprendere bene il livello in cui questi sentimenti erano vissuti: non si
trattava per lei di quelle amicizie un po' ambigue, un po' morbose alle quali a volte si lasciano andare anche
le persone consacrate quando restano insicure e indecise nella loro vocazione. I rapporti che Teresa
instaurava erano di vera e profonda amicizia spirituale (molti anni dopo, a una sua novizia che la
interrogava su certi turbamenti sessuali, Teresa rispondeva candidamente di non sapere che cosa fossero), e
tuttavia ella si sentiva «indegna di Dio», indegna di pregare.
Quando vuole spiegare questo suo dramma, da un lato dice che non faceva nulla di male (e su questo i suoi
confessori non solo erano d'accordo, ma la spingevano a continuare nel suo «apostolato»), dall'altro dice che
si stava «dannando» e spiega:
«Non ero intera, mi sentivo impastoiata davanti alla determinazione di darmi totalmente a Dio, non
riuscivo a rinchiudermi in me stessa (per pregare), senza trascinarmi dietro anche l'ammasso delle mie
vanità».
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Dio all'unico posto: una nuova vita
Insomma: messa davanti ai due grandi comandamenti, quello di amare Dio con tutto il cuore e quello di
amare il prossimo, Teresa capisce che giunge un momento d'intensità spirituale in cui bisogna saper mettere
Dio non al primo posto, ma l'unico posto («tutto» il cuore), rinunciando ad ogni attaccamento, ad ogni altro
amore, per ricevere poi nuovamente tutto, anche il prossimo da amare, dalle Sue mani.
Teresa intuì questa richiesta (che Dio fa quando si matura davvero nella fede), ma aveva paura ad
abbandonare tutto, non riusciva ancora a credere completamente che l'amore di Dio solo potesse colmarle il
cuore. Perché non riusciva a fidarsi?
L'episodio risolutivo che le accadde ci aiuterà a comprenderlo.
Un giorno, tornando da uno di quei colloqui spirituali che ormai la turbavano e la impoverivano, si trovò a
passare davanti a un'immagine di Cristo piagato che occasionalmente era stato portato in convento per una
certa celebrazione che vi si doveva tenere.
Ecco il racconto:
«...Appena lo guardai... fu così grande il dolore che provai, la pena dell'ingratitudine con la quale
rispondevo al suo amore che mi parve che il cuore mi si spezzasse. Mi gettai ai suoi piedi tutta in lacrime e
lo supplicai di darmi la grazia di non offenderlo più» (9, 1).
Quasi contemporaneamente Teresa incontrò un giovane sacerdote che, confessandola, l'aiutò a giudicarsi
non dal punto di vista del male che faceva o non faceva, ma dal punto di vista del bene che ella poteva
impedire opponendosi alla ricca invasione della grazia di Dio.
Fu come una nuova nascita; Teresa ne parla come dell'inizio di una «nuova vita».
Era accaduta una conversione profonda, difficile da descrivere, ma che, detta con semplici parole,
consisteva in questo: quella antica tensione che lei provava tra il mondo di Dio e il mondo degli uomini, tra
l'eternità e il tempo, tra l'amore dovuto al Signore e quello dovuto al prossimo, si scioglieva
improvvisamente davanti alla percezione immediata, viva (come se un velo cadesse dagli occhi) del fatto
che Cristo è assieme il nostro Dio e il nostro prossimo, l'eterno che è entrato nel tempo, l'amico con cui si
può vivere, parlare, stare come e più di quanto si faccia con ogni altro amico.
Non solo, ma Cristo è il centro in cui tutto può e deve essere nuovamente raccolto.
Da allora si dedicò con passione assoluta alla preghiera percepita secondo un metodo particolare: fare
compagnia a Cristo nei misteri della sua vita terrena, attraverso il massimo realismo possibile: quello delle
immagini, quello dell'Eucaristia, soprattutto.
E fu una inondazione di visioni, di esperienze, come se si fosse appunto lacerato quel velo che sempre ci
separa un po' da Cristo, che sempre ci tenta a considerarLo come una idea, un sentimento, un personaggio.1
È davvero grande,
Sposo mio, questa grazia:
gustoso il tuo convito,
squisito il 'vino' che mi dai,
di cui una sola goccia
mi fa dimenticare
l'intero creato,
facendomi uscire dalle
creature e da me stessa,
con l'animo ormai deciso a
1
(testi tratti da A.Sicari TERESA DI GESU', ed ocd, 2014)
respingere i piaceri e le
soddisfazioni che finora
la mia sensibilità
tanto agogna.
Questo è proprio
un insigne favore,
che non meritavo.
S. Teresa d'Avila