Codice di condotta x prevenzione e contrasto dei comportamenti

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Codice di condotta x prevenzione e contrasto dei comportamenti
Evento Formativo:
Il codice di condotta per la prevenzione ed il
contrasto dei comportamenti molesti e lesivi
della dignità delle lavoratrici e lavoratori
dell'ULSS 17”
“
11/17 marzo, 08 aprile, 29 maggio, 26 giugno, 25 settembre, 7/14 ottobre 2014
Pari opportunità,
contrasto alle discriminazioni
e tutela della dignità e del benessere
nei luoghi di lavoro
A cura di Lucia Basso
Esperta in politiche e contrattazione per le pari opportunità,
prevenzione e contrasto delle discriminazioni di genere e multiple.
Consigliera di Fiducia in aziende pubbliche e private.
Presidente di Ri.Genera.Azione
Associazione di promozione sociale di Padova.
Già Consigliera di parità provinciale di Padova e regionale del Veneto.
Marzo 2014
INDICE
3
PREMESSA
Pari opportunità e tutela della dignità e del benessere nel lavoro per motivi di genere:
il contesto normativo
Parte prima PARITÀ E PARI OPPORTUNITÀ PER MOTIVI DI GENERE
5
8
10
12
14
LA NORMATIVA
EVOLUZIONE DELLA LEGISLAZIONE NAZIONALE
Il Codice delle pari opportunità
LE AZIONI POSITIVE
ORGANISMI PER LE PARI OPPORTUNITÀ E LA TUTELA
Parte seconda TUTELA DELLA DIGNITÀ E DEL BENESSERE NEI LUOGHI DI LAVORO
17
18
21
25
26
LA NORMATIVA
LE MOLESTIE SESSUALI
IL MOBBING SUL POSTO DI LAVORO
TUTELA E CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
Organismi e norme disciplinari
Codici di condotta (o di comportamento)
Consigliera di fiducia
28
Parte terza PARI OPPORTUNITÀ PER MOTIVI DIVERSI DAL GENERE
LA NORMATIVA
DOCUMENTAZIONE
EUROPEA
31
Raccomandazione 92/131/CEE della Commissione del 27 novembre 1991 sulla tutela
della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro ALLEGATO / Codice di condotta
relativo ai provvedimenti da adottare nella lotta contro le molestie sessuali
38
Risoluzione A5-0283/2001 del Parlamento Europeo del 20 settembre 2001.
Il mobbing sul posto di lavoro
41
Molestie e violenza sul luogo di lavoro
Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo dell’8 novembre 2007
che presenta l'accordo quadro europeo sulle molestie e la violenza sul luogo di lavoro
NAZIONALE
44
Decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215
Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone
indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica
47
Decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216
Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione
e di condizioni di lavoro
REGIONE VENETO
51
Legge Regionale 22 gennaio 2010, n.8
Prevenzione e contrasto dei fenomeni di mobbing e tutela della salute psico-sociale
della persona sul luogo del lavoro
2
PREMESSA
Pari opportunità e tutela della dignità e del benessere nel lavoro
per motivi di genere: il contesto normativo
Comitato Unico di Garanzia, consigliera di fiducia, codici di condotta, azioni positive sono alcuni fra gli
organismi e gli strumenti introdotti nell’ordinamento nazionale in attuazione di norme della Costituzione –
articoli 3, 37 e 51 – e della strategia dell’Unione europea finalizzata a promuovere ed attuare, oltre ai
principi di parità e pari opportunità, la tutela della dignità e del benessere nei luoghi di lavoro, strategia che
si realizza, principalmente, con la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni e delle molestie: molestie
sessuali, molestie morali o mobbing.
Sono organismi e strumenti che mirano, pur con competenze ed obiettivi diversi, alla promozione ed
attuazione di questi principi, a partire dalla prevenzione e dal contrasto dei vari tipi di molestie.
Non è possibile introdurre ed approfondire argomenti specifici – ad esempio cosa si intende per
discriminazione, molestie/mobbing, azioni positive, conciliazione vita-lavoro – se non si conosce il contesto
generale rappresentato dalla normativa che disciplina la materia.
E ciò è necessario, a maggior ragione, se si affrontano – come avviene spesso – questioni ed aspetti ancora
più particolari e pratici, come la progettazione di un’azione positiva, l’individuazione di casi di molestie,
delle procedure per contrastarle e farle cessare, degli interventi per “bonificare” l’ambiente di lavoro.
La strategia dell’Unione Europea e la normativa nazionale
In questa materia l’Unione Europea si è mossa secondo due indirizzi.
1. Una disciplina generale per la parità, la promozione delle pari opportunità di genere nei vari ambiti ed il
contrasto alle discriminazioni, all’interno della quale hanno trovato collocazione, ad un certo momento, le
tutele della dignità e del benessere nei luoghi di lavoro, partendo dal contrasto al fenomeno delle molestie,
molestie sessuali, molestie morali o mobbing.
GLI OBIETTIVI SONO STATI PERSEGUITI ATTRAVERSO LA LEGISLAZIONE DEGLI STATI MEMBRI, A PARTIRE DA
QUELLA NAZIONALE.
2. Una disciplina specifica per la tutela della dignità e del benessere nei luoghi di lavoro, per la
prevenzione del fenomeno delle molestie, la soluzione dei casi concreti e la “bonifica” dell’ambiente di
lavoro.
GLI OBIETTIVI SONO STATI PERSEGUITI, PREVALENTEMENTE, MEDIANTE LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA,
PUBBLICA E PRIVATA.
3
Parte prima
PARITÀ E PARI OPPORTUNITÀ
PER MOTIVI DI GENERE
La disciplina generale
LA NORMATIVA
Unione Europea
Nazionale
Decreto Legis. Luogotenenziale 1 febbraio 1945, n. 23 - Estensione
alle donne del diritto di voto
(GU n. 22 del 20 febbraio 1945).
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
(GU n. 298 del 27 dicembre 1947).
Legge 9 febbraio 1963, n. 66 - Ammissione della donna ai pubblici
uffici e alle professioni
(GU n. 48 del 19 febbraio 1963).
Direttiva 75/117/CEE del Consiglio del 10 febbraio 1975
per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
relative alla applicazione del principio della parità delle
retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di
sesso femminile
(GUCE n. L 45 del 19 febbraio 1975)
Direttiva 76/207/CEE del Consiglio del 9 febbraio 1976
relativa all'attuazione del principio della parità di
trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda
l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione
professionali e le condizioni di lavoro
(GUCE n. 39 del 14 febbraio 1976). Modificata dalla
Direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 23 settembre 2002.
Raccomandazione 84/635/CEE del Consiglio del 13
dicembre 1984 sulla promozione di azioni positive a
favore delle donne
(GUCE n. L 331 del 19 dicembre 1984).
Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori)
Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà
sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento
(GU n. 131 del 27 maggio 1970).
Legge 9 novembre 1977, n. 903
Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro (GU n.
343 del 17 dicembre 1977).
Con le modifiche introdotte dai Decreti Legislativi n. 196/2000 e n.
145/2055 è stata ripresa dal Codice delle pari opportunità.
Legge 10 aprile 1991, n. 125
Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel
lavoro (GU n. 88 del 15 aprile 1991).
Con le modifiche introdotte dai Decreti Legislativi n. 196/2000 e n.
145/2055 è stata ripresa dal Codice delle pari opportunità.
Comunicazione della Commissione del 17 luglio 1996 Codice di condotta per l'applicazione della parità
retributiva tra uomini e donne per lavoro di pari valore
(COM (96) 0336 - C 4 - 0460/96).
Direttiva 97/80/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997
riguardante l'onere della prova nei casi di discriminazione
basata sul sesso (GUCE n. L 14 del 20 gennaio 1998).
Modificata dalla Dir.98/52/CE del Consiglio del 13 luglio
1998 (GUCE n. L 205 del 22 luglio 1998).
4
Risoluzione A4-0283/96 del Parlamento europeo del 15
novembre 1996 sull'attuazione delle pari opportunità per
gli uomini e le donne nella funzione pubblica
Risoluzione 2000/C 218/02 del Consiglio e dei ministri
incaricati dell'occupazione e della politica sociale, riuniti
in sede di Consiglio, del 29 giugno 2000 concernente la
partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini
all'attività professionale e alla vita familiare
(GUCE n. C 218 del 31 luglio 2000).
Legge 8 marzo 2000, n. 53 – Disposizioni per il sostegno della
maternità e della paternità …
Articolo 9-Misure per conciliare tempi di vita e tempi di lavoro (GU
n.60 del 16 marzo 2000).Testo in vigore a seguito delle modifiche di
cui all’articolo 38 della legge 18 giugno 2009, n. 69
(GU n. 140 del 19 giugno 2009)
Risoluzione 2000/2312 del Parlamento europeo del 20
settembre 2001 sulla parità di retribuzione per lavoro di
pari valore (GUCE n. C 77 E del 28 marzo 2002).
Decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196
Disciplina dell’attività delle consigliere e dei consiglieri di parità e
disposizioni in materia di azioni positive, a norma dell'articolo 47,
comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144
(GU n. 166 del 18 luglio 2000).
Con le modifiche introdotte dai Decreti Legislativi n. 196/2000 e n.
145/2055 è stato ripreso dal Codice delle pari opportunità.
Direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 23 settembre 2002 che modifica la direttiva
76/207/CEE del Consiglio relativa all'attuazione del
principio della parità di trattamento tra gli uomini e le
donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla
formazione e alla promozione professionali e le condizioni
di lavoro (GUCE n. L 269 del 5 ottobre 2002).
Decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 145
Attuazione della direttiva 2002/73/CE in materia di parità di
trattamento tra gli uomini e le donne, per quanto riguarda l'accesso
al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le
condizioni di lavoro (GU n. 173 del 27 luglio 2005).
Decreto Legislativo 11 aprile 2006, n. 198
Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma
dell’articolo 6 della Legge 28 novembre 2005, n. 246 ( GU n. 123 del
31 maggio 2006 – SO n. 133).
Modificato dal D. lgs n. 196/2007; dal D-L n. 59/2008, convertito
dalla L. n. 101/2008; dal D. lgs n. 5/2010
Direttiva 2004/113/CE del Consiglio del 13 dicembre
2004 che attua il principio della parità di trattamento tra
uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e
servizi e la loro fornitura (GUCE n. L 373 del 21 dicembre
2004).
Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 196
Attuazione della direttiva 2004/113/CE che attua il principio della
parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda
l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura (GU n. 261 del 9
novembre 2007 – SO n. 228).
Decreto-Legge 8 aprile 2008, n. 59
Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e
l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità
europee (G.U. n. 84 del 9 aprile 2008).
Testo coordinato con la legge di conversione 6 giugno 2008, n.101
(G.U. n. 132 del 7 giugno 2008).
Direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 5 luglio 2006 riguardante l'attuazione del
principio delle pari opportunità e della parità di
trattamento fra uomini e donne in materia di
occupazione e impiego (rifusione) (GUCE n. L 204 del 26
luglio 2006)
Rifusione (e abrogazione) delle Direttive: 75/117/CEE del
Consiglio, 76/207/CEE del Consiglio, 2002/73/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio , 86/378/CEE del
Consiglio, 96/97/CE del Consiglio, 97/80/CE del Consiglio,
98/52/CE del Consiglio.
Decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 5
Attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari
opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in
materia di occupazione e impiego (rifusione)
(GU n. 29 del 5 febbraio 2010).
Il decreto, in vigore dal 20 febbraio 2010, introduce numerose ed
ampie modifiche al Codice delle pari opportunità.
5
Comunicazione della Commissione 5 marzo 2010
Maggiore impegno verso la parità tra donne e uomini Carta per le donne - Dichiarazione della Commissione
europea in occasione della giornata internazionale della
donna 2010 - Commemorazione del 15° anniversario
dell'adozione della dichiarazione e della piattaforma
d'azione della Conferenza mondiale dell'ONU sulle donne,
svoltasi a Pechino, e del 30° anniversario della
Convenzione dell'ONU sull'eliminazione di tutte le forme
di discriminazione nei confronti delle donne
(COM(2010) 78 definitivo - Non pubblicata sulla GUCE).
Comunicazione della Commissione al Parlamento
europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale
europeo e al Comitato delle Regioni, Bruxelles, 21
settembre 2010
Strategia per la parità tra donne e uomini 2010-2015
COM(2010) 491 definitivo
Legge 4 novembre 2010, n. 183 (“Collegato lavoro”)
(GU n. 262 del 9 novembre 2010 – SO)
Art. 21 - Misure atte a garantire pari opportunità, benessere di chi
lavora e assenza di discriminazioni nelle amministrazioni pubbliche.
Modifica l’art. 57 ( Pari opportunità) del Decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165 - Norme generali sull'ordinamento del lavoro
alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche.
Direttiva del 4 marzo 2011 dei Dipartimenti della Funzione pubblica
e per le Pari opportunità
Linee guida sulle modalità di funzionamento dei "Comitati Unici di
Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di
chi lavora e contro le discriminazioni"
(GU n. 134 dell’11 giugno 2011).
Legge 23 novembre 2012, n. 215
Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di
genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli
regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella
composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche
amministrazioni
(GU n. 288 dell’11 dicembre 2012)
Risoluzione del Parlamento europeo 12 marzo 2013
sull'impatto della crisi economica sull'uguaglianza di
genere e i diritti della donna (2012/2301(INI))
Risoluzione del Parlamento europeo 12 marzo 2013
sull'eliminazione degli stereotipi di genere nell'Unione
europea (2012/2116(INI))
6
EVOLUZIONE DELLA LEGISLAZIONE NAZIONALE
LA COSTITUZIONE
La Costituzione della Repubblica Italiana afferma solennemente all’articolo 3:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali …
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la
libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della personalità umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese.
I motivi di discriminazione sessuale compaiono in primo piano, ma non sono gli unici.
Sul principio della parità di genere la Costituzione ritorna con l’articolo 37:
La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al
lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione
familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione …
e con l’articolo 51:
Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in
condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con
appositi provvedimenti le pari opportunità fra donne e uomini.
Infine, secondo l’articolo 117 , punto VII:
Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella
vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche
elettive.
LA LEGISLAZIONE ORDINARIA
Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori)
Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei
luoghi di lavoro e norme sul collocamento.
Agli atti commessi a fini di discriminazione sindacale, politica e religiosa, vietati e dichiarati nulli nel testo
originario (1970), norme successive hanno aggiunto le discriminazioni per motivi razziali, di lingua e di sesso
(1977) e quelle basate su handicap, età, orientamento sessuale e convinzioni personali (2003).
Legge 9 novembre 1977, n. 903
Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro
Legge 10 aprile 1991, n. 125
Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro che si propone “di favorire
l'occupazione femminile e di realizzare l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro, anche
mediante l'adozione di misure, denominate azioni positive per le donne, al fine di rimuovere gli ostacoli che
di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità”.
Per la prima volta nella normativa nazionale è inserita la definizione di discriminazione diretta e indiretta
(art. 4 - Azioni in giudizio, commi 1 e 2).
7
Le leggi 903/1977 e 125/1991 sono state modificate:
- dal Decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196 - Disciplina dell’attività delle consigliere e dei consiglieri di
parità e disposizioni in materia di azioni positive, a norma dell'articolo 47, comma 1, della legge 17 maggio
1999, n. 144;
- dal Decreto legislativo 30 maggio 2005, n.145 - Attuazione della direttiva 2002/73/CE in materia di parità
di trattamento tra gli uomini e le donne, per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla
promozione professionale e le condizioni di lavoro .
Il Decreto 145 modifica la definizione di discriminazione diretta e indiretta ed introduce per la prima volta,
tra le discriminazioni, le molestie e le molestie sessuali.
La maggior parte delle norme legislative che hanno dato attuazione alle direttive dell’Unione Europea ed
ai principi della Costituzione è confluita nel CODICE DELLE PARI OPPORTUNITÀ, entrato in vigore il 15
giugno 2006.
Decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198
Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della Legge 28 novembre 2005, n.
246
MODIFICHE AL CODICE PER LE PARI OPPORTUNITÀ
Decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 196
Attuazione della direttiva 2004/113/CE che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne
per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura
Decreto-Legge 8 aprile 2008, n. 59
Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia
delle Comunità europee
Il Decreto modifica:
- la definizione di discriminazione diretta e indiretta;
- il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità;
- il Decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215 che attua la direttiva 2000/43/CE per la parità
indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica;
- il Decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 che attua la direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in
materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
Decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 5
Attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di
trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione)
Il decreto, in vigore dal 20 febbraio 2010, modifica numerosi articoli del CODICE, compresi quelli del Titolo I
(Pari opportunità nel lavoro), all’interno del Libro III (Pari opportunità nei rapporti economici).
Modifiche (integrazioni, abrogazioni) sono state apportate:
- dai Decreti legislativi 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), 1 settembre 2011, n. 150
(Disposizioni complementari al Codice di procedura civile …) , 15 novembre 2011, n. 195 (Disposizioni
correttive ed integrative al … Codice del processo amministrativo);
- dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Legge per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato)1.
IL CODICE DELLE PARI OPPORTUNITÀ
1
Il testo vigente “in tempo reale” del Codice (come di ogni legge e decreto con valore di legge) è disponibile nel sito
www.parlamento.it. Seguire il percorso “In evidenza>Normattiva”, inserire gli estremi dell’atto(n. 198, gg.11, mm.04, aaaa.
2006) e scegliere “Versione stampabile”. Scegliendo “Aggiornamento dell’atto” si ottiene l’elenco cronologico delle norme
che hanno modificato il testo originario.
8
Il Codice raccoglie buona parte delle norme, precedentemente in vigore, in materia di parità e di pari
opportunità per motivi di genere. È importante tenere presenti alcune considerazioni.
1. Il Codice è ben lontano dall’aver realizzato gli obiettivi, i criteri e principi direttivi della legge di delega n.
246 del 2005: “a) individuazione di strumenti di prevenzione e rimozione di ogni forma di discriminazione,
in particolare per cause direttamente o indirettamente fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la
religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età e l’orientamento sessuale, anche ai fini di realizzare
uno strumento coordinato per il raggiungimento degli obiettivi di pari opportunità previsti in sede di Unione
europea …; b) adeguamento e semplificazione del linguaggio normativo anche attraverso la rimozione di
sovrapposizioni e duplicazioni”.
2. Non tutti gli strumenti sono stati riportati all’interno del Codice e non si è realizzata la “semplificazione”
del linguaggio normativo, visto che è stato riproposto letteralmente il testo delle norme inserite.
3. Il Codice rappresenta la fonte giuridica nazionale vigente in materia di parità e pari opportunità fra uomo
e donna, soprattutto nei rapporti economici e di lavoro, in quanto l’art. 57 dello stesso decreto ha abrogato
esplicitamente la maggio parte delle disposizioni precedenti. Pertanto non è possibile comportarsi come se
fossero ancora in vigore, ad esempio, le leggi 903/1977, 125/1991, 215/1992, il decreto legislativo
196/2000.
Questa raccomandazione vale anche per molti “addetti ai lavori” che continuano a richiamare, come se
fossero ancora in vigore, le norme citate.
SCHEMA DEL CODICE
Libro I DISPOSIZIONI PER LA PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA
Titolo I - DISPOSIZIONI GENERALI
Titolo II - ORGANIZZAZIONE PER LA PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITÀ
Capo I - Politiche di pari opportunità Art. 2
Capo II - Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna Artt. 3 – 7 Abrogati
Capo III - Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di
opportunità tra lavoratori e lavoratrici Artt. 8 – 11
Capo IV - Consigliere e consiglieri di parità Artt. 12 – 20
Capo V - Comitato per l'imprenditoria femminile Artt. 21 – 22 Abrogati
Libro II PARI OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI ETICO-SOCIALI
Titolo I - RAPPORTI TRA CONIUGI Art. 23
Titolo II - CONTRASTO ALLA VIOLENZA NELLE RELAZIONI FAMILIARI Art. 24
Libro
III
PARI
OPPORTUNITÀ
TRA
UOMO
E
DONNA
Titolo I - PARI OPPORTUNITÀ NEL LAVORO
Capo I - Nozioni di discriminazione Artt. 25 e 26
Capo II - Divieti di discriminazione Artt. 27 – 35. [ Artt. 32-34: abrogati]
Capo III - Tutela giudiziaria Artt. 36 - 41bis.
Capo IV - Promozione delle pari opportunità Artt. 42 - 50bis
Capo V - Tutela e sostegno della maternità e paternità Art. 51
NEI
RAPPORTI
ECONOMICI
Titolo II - PARI OPPORTUNITÀ NELL'ESERCIZIO DELL'ATTIVITÀ D'IMPRESA
Capo I - Azioni positive per l'imprenditoria femminile Artt. 52 - 55
Titolo III - PARITÀ DI TRATTAMENTO TRA UOMINI E DONNE NELL’ACCESSO A BENI E SERVIZI E LORO
FORNITURA Artt. 55bis- decies. [Art. 55-quinquies: abrogato in parte; 55-sexies: abrogato]
Libro IV PARI OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI CIVILI E POLITICI
Titolo I - PARI OPPORTUNITÀ NELL'ACCESSO ALLE CARICHE ELETTIVE
Capo I - Elezione dei membri del Parlamento europeo Artt. 56 – 58.
Secondo l’articolo 1:
- oggetto del Codice sono “le misure volte ad eliminare ogni discriminazione basata sul sesso, che abbia
come conseguenza o come scopo di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o
l'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e
civile o in ogni altro campo”;
9
- la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi,
compresi quelli dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione;
- il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici
a favore del sesso sottorappresentato;
- l'obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente
nella formulazione e attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi, regolamenti, atti
amministrativi, politiche e attività”.
Discriminazioni, molestie e molestie sessuali (Definizioni in vigore)
Art. 25 - Discriminazione diretta e indiretta (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 4, commi 1 e 2)
1. Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi disposizione, criterio, prassi,
atto, patto o comportamento, nonché l'ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca
un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il
trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione
analoga.
2. Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una
prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i
lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro
sesso, salvo. che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia
legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
2-bis) Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento meno favorevole in ragione
dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità
e dell'esercizio dei relativi diritti.
Art. 26 - Molestie e molestie sessuali (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 4, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater)
1. Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti
in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di
un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
2. Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti
indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o
l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile,
degradante, umiliante o offensivo.
2-bis) Sono, altresì, considerati come discriminazione i trattamenti meno favorevoli subiti da una lavoratrice
o da un lavoratore per il fatto di aver rifiutato i comportamenti di cui ai comma 1 e 2 o di esservisi
sottomessi.
3. Gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime
dei comportamenti di cui ai commi 1 e 2 sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della
sottomissione ai comportamenti medesimi. Sono considerati, altresì, discriminazioni quei trattamenti
sfavorevoli da parte del datore di lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione
volta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne.
10
LE AZIONI POSITIVE: strumento per la promozione delle pari opportunità
LA NORMATIVA EUROPEA
Con la Raccomandazione 84/635/CEE del 13 dicembre 1984 sulla promozione di azioni positive a favore
delle donne, il Consiglio delle Comunità Europee forniva il quadro di riferimento delle azioni positive
(definizione, contenuti e modalità di attuazione) e sollecitava gli Stati membri e le parti sociali ad “adottare
una politica di azione positiva intesa ad eliminare le disparità di fatto di cui le donne sono oggetto nella vita
lavorativa ed a promuovere l'occupazione mista, la quale comporti misure generali e specifiche adeguate,
nel quadro delle politiche e delle prassi nazionali e nel pieno rispetto delle competenze delle parti sociali”.
Una politica che aveva l'intento di:
“a) eliminare o compensare gli effetti negativi derivanti, per le donne che lavorano o ricercano un lavoro, da
atteggiamenti, comportamenti e strutture basati su una divisione tradizionale dei ruoli, all'interno della
società, tra uomini e donne;
b) incoraggiare la partecipazione delle donne alle varie attività nei settori della vita lavorativa nei quali esse
siano attualmente sottorappresentate, in particolare nei settori d'avvenire, e ai livelli superiori di
responsabilità, per ottenere una migliore utilizzazione di tutte le risorse umane”.
Agli Stati membri ed alle Parti sociali si raccomandava, in particolare, di “adottare, proseguire o
incoraggiare misure d'azione positiva nei settori pubblico e privato” che comprendessero, “per quanto
possibile, azioni riguardanti vari aspetti, compreso il rispetto della dignità delle donne sul luogo di lavoro.
Si suggeriva, tra l’altro:
- che le informazioni sulle azioni positive fossero diffuse tra il pubblico e nel modo del lavoro, in particolare
tra i potenziali beneficiari;
- che le parti sociali promuovessero un'azione positiva nella propria organizzazione e sul luogo di lavoro,
proponendo, ad esempio, orientamenti, principi, codici di buona condotta e di prassi corretta o qualsiasi
altra formula adeguata per l'attuazione di tale azione;
- che, per dare l’esempio, il settore pubblico realizzasse un'azione per promuovere la parità delle possibilità,
soprattutto nei settori delle nuove tecnologie dell'informazione.
IN ITALIA
I contenuti della Raccomandazione sono stati recepiti formalmente dalla Legge 125 del 1991 (Azioni
positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro), ma i suoi effetti concreti si sono sviluppati
pienamente a seguito del Decreto legislativo n. 196 del 2000 (Disciplina dell’attività delle consigliere e dei
consiglieri di parità e disposizioni in materia di azioni positive …), dopo che una Commissione del Senato
aveva rilevato e documentato gli scarsi risultati applicativi delle disposizioni del 1991.
Questa normativa, come modificata dal Decreto legislativo n. 145 del 2005 (Attuazione della direttiva
2002/73/CE in materia di parità di trattamento tra gli uomini e le donne, per quanto riguarda l'accesso al
lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro), è stata inserita nel Codice
delle pari opportunità:
Libro III (Pari opportunità nei rapporti economici)
Titolo I-Pari opportunità nel lavoro
Capo IV - Promozione delle pari opportunità: artt. 42-50.
Titolo II - Pari opportunità nell'esercizio dell'attività d'impresa
Capo I-Azioni positive per l'imprenditoria femminile: artt. 52-55.
Definizione e scopi delle azioni positive
Le azioni positive costituiscono lo strumento più importante per la promozione delle pari opportunità. Ai
sensi dell’art. 42 del Codice
11
- consistono “in misure volte alla rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari
opportunità” e sono dirette “a favorire l'occupazione femminile e realizzare l'uguaglianza sostanziale tra
uomini e donne nel lavoro”;
- “hanno, in particolare, lo scopo di:
a) eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale, nell'accesso al lavoro, nella
progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità;
b) favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne in particolare attraverso l'orientamento
scolastico e professionale e gli strumenti della formazione;
c) favorire l'accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la qualificazione professionale
delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici;
d) superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano effetti diversi, a seconda
del sesso, nei confronti dei dipendenti con pregiudizio nella formazione, avanzamento professionale e di
carriera ovvero nel trattamento economico e retributivo;
e) promuovere l'inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali e nei livelli nei quali esse
sono sottorappresentate e in particolare nei settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità;
f) favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro,
l'equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i
due sessi;
f-bis) valorizzare il contenuto professionale delle mansioni a più forte presenza femminile ”.
Le azioni positive possono essere promosse da vari soggetti, tra i quali le consigliere di parità, i centri per la
parità e le pari opportunità a livello nazionale, locale e aziendale, i datori di lavoro pubblici e privati, i centri
di formazione professionale, le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali (art. 43). Questi soggetti
possono richiedere al Ministero del Lavoro di essere ammessi al rimborso totale o parziale degli oneri
sostenuti (artt. 44, 45 e 47), presentando la domanda, dal 1° ottobre al 30 novembre, in base al
Programma-obiettivo disposto e pubblicato ogni anno dal Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di
parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici2.
Azioni positive specifiche riguardano le pubbliche amministrazioni (art. 48) e la promozione
dell’imprenditoria femminile (artt. 52-55).
CONCILIAZIONE VITA-LAVORO
Sono azioni positive anche i progetti che rientrano nelle Misure a sostegno della flessibilità di orario (art. 50):
l’art. 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53 che consente alle aziende, d’accordo con le organizzazioni sindacali, di
presentare progetti che prevedano particolari forme di flessibilità degli orari e della organizzazione del lavoro e di
ottenere finanziamenti. La norma prevede misure distinte in favore di lavoratori dipendenti e di soggetti
autonomi.
Dalla prima attivazione (febbraio 2002) il sistema ha funzionato ininterrottamente sino a febbraio 2009. Dopo
una sospensione per sei quadrimestri consecutivi, la pubblicazione dei bandi è stata ripristinata a giugno ed
ottobre 2011, per poi cessare del tutto e, fino ad oggi, non ci sono notizie al riguardo.
Alla materia della conciliazione sono finalizzate altre due iniziative: - l’Intesa “Conciliazione per il 2012” (INTESA
2), proposta dal Dipartimento per le Pari Opportunità e condivisa da tutte le Regioni italiane; l’Accordo fra
Ministro del Lavoro e Parti sociali, in materia di “Azioni a sostegno delle politiche di conciliazione tra famiglie e
lavoro” (7 marzo 2011).
ORGANISMI PER LE PARI OPPORTUNITÀ E LA TUTELA
Organismi nazionali
2
Mentre i progetti già selezionati per il 2012 non sono stati finanziati per mancanza di fondi, per quelli presentati nel 2013
non si hanno ancora notizie. Per informazioni:
www.lavoro.gov.it>Area Lavoro>Parità e pari opportunità>Comitato nazionale di parità.
12
Il Presidente del Consiglio “promuove e h di Governo volte ad assicurare pari opportunità, a prevenire e
rimuovere le discriminazioni, a consentire l'indirizzo, il coordinamento e il monitoraggio della utilizzazione
dei relativi fondi europei” (Codice, art. 2) il quale, normalmente, delega queste funzioni al Ministro per le
Pari opportunità3.
Il Ministro opera tramite il Dipartimento per le Pari opportunità, che si articola nei seguenti Uffici: Ufficio
per gli Affari Generali, Internazionali e per gli Interventi in campo sociale; U. per gli Interventi in materia di
parità e pari opportunità; U. per la Promozione della parità di trattamento e la rimozione delle
discriminazioni fondate sulla razza e sull’origine etnica (UNAR).
Nell’ambito del Dipartimento agiscono vari organismi con compiti di consulenza, supporto tecnicoscientifico, indirizzo, coordinamento, programmazione, ricerca e informazione: Commissione
interministeriale per il sostegno alle vittime di tratta, violenza e grave sfruttamento; Osservatorio per il
contrasto della pedofilia e della pornografia minorile; Commissione per la prevenzione e il contrasto delle
pratiche delle mutilazioni genitali femminili; Commissione di valutazione per la legittimazione ad agire per la
tutela delle persone con disabilità; Commissione salute.
Di particolare importanza, in materia di pari opportunità:
Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna (Codice delle pari opportunità, artt.3-7, abrogati e
sostituiti dal DPR 14 maggio 2007, n. 115) che fornisce consulenza e supporto tecnico-scientifico
nell'elaborazione e nell'attuazione delle politiche di genere, sui provvedimenti di competenza dello Stato.
Comitato per l'imprenditoria femminile (Codice delle pari opportunità, artt.21-22), con compiti di indirizzo,
coordinamento, concertazione e programmazione generale in ordine agli interventi previsti in materia di
azioni positive per l'imprenditoria femminile e di promozione dello studio, la ricerca e l'informazione su
questo tema.
Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra
lavoratori e lavoratrici (Codice delle pari opportunità, artt. 8-11) che promuove, nell’ambito delle
competenze statali, la rimozione dei comportamenti discriminatori per sesso e di ogni altro ostacolo che
limiti di fatto l’uguaglianza fra uomo e donna nell’accesso al lavoro e sul lavoro e la progressione
professionale e di carriera.
Istituito presso il Ministero del Lavoro, ha il compito, tra gli altri, di gestire l’attività relativa alle azioni
positive ed alla formazione delle graduatorie delle aziende ammesse ai finanziamenti statali, a partire dalla
approvazione e pubblicazione, ogni anno, del Progetto-Obiettivo.
Di grande rilevo è anche il ruolo del/della Consigliere/a di parità, organismo statale autonomo, presente a
livello nazionale, regionale e provinciale: un organismo dotato di completa autonomia e che non dipende,
come in genere si è portati a ritenere, dalla Regione o dalla Provincia. Secondo il Codice delle pari
opportunità (artt. 12-20): svolge “funzioni di promozione e controllo dell’attuazione dei principi di
uguaglianza di opportunità e non discriminazione” ed intraprende “ogni utile iniziativa ai fini del rispetto del
principio di non discriminazione e della promozione di pari opportunità per lavoratori e lavoratrici”.
Tra i suoi compiti particolari: - la rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere; - l’intervento nelle
politiche attive del lavoro per le materie di sua competenza; - la prevenzione ed il contrasto delle
discriminazioni; - la diffusione della cultura e delle tematiche di genere, di esperienze e buone prassi.
Nell’esercizio delle sue funzioni è pubblico ufficiale ed ha l’obbligo di segnalare all’autorità giudiziaria i reati
di cui venga a conoscenza nell’ambito della sua competenza.
L’Ufficio fornisce a quanti ne facciano richiesta – compresi enti pubblici, aziende e associazioni di categoria,
sindacati – informazioni, consulenze e, a lavoratori e lavoratrici, anche assistenza legale.
Organismi territoriali ed aziendali
Istituiti dagli enti locali (Regioni, Provincie e Comuni), hanno funzioni di studio e ricerca e, in qualche caso,
di parere sugli atti amministrativi e di proposta di adozione di delibere e leggi regionali. Sono composti, in
3
Dal 1997, quando il Presidente del Consiglio Prodi nominò per la prima volta la Ministra per le Pari opportunità, la delega
è stata rinnovata in tutti i governi che si sono succeduti sino al 2011. Nel Governo Monti la delega è stata affidata al
Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali. Nel 2013, il Presidente del Consiglio Letta ha delegato le pari opportunità alla
Ministra Josefa Idem (insieme allo Sport ed alle Politiche giovanili), ma dopo le sue dimissioni l’incarico è stato affidato al
Vice Ministro del Ministero del Lavoro, Cecilia Guerra. Nel Governo in carica, al momento attuale, non risulta nessuna
decisione al riguardo.
13
genere, da rappresentanti di datori di lavoro, sindacati, associazioni e movimenti femminili, da esperti e dal
consigliere regionale di parità.
Nel Veneto opera la Commissione regionale per la realizzazione delle pari opportunità tra uomo e donna
(Legge regionale 30 dicembre 1987, n. 62), organo consultivo per le iniziative riguardanti la condizione
femminile, per l’effettiva attuazione del principio di eguaglianza sancito dalla Costituzione e dallo Statuto
regionale.
Anche in collegamento con altri organismi similari di livello regionale, provinciale e comunale e con gli
Assessori competenti in materia, la Commissione regionale:
a) promuove e svolge indagini e ricerche sulla situazione della donna e sui problemi relativi alla condizione
femminile nella Regione, con particolare riferimento alle problematiche dell’occupazione, del lavoro e
formazione professionale;
b) promuove l’informazione relativa ai risultati di indagini e ricerche, e in genere, a situazioni di disparità ed
iniziative poste in essere od opportune per superarla.
Di propria iniziativa, o su richiesta della Giunta o del Consiglio, formula pareri sullo stato di attuazione delle
leggi e su proposte di legge o regolamento che riguardano la condizione femminile, ed elabora proprie
proposte in materie di sua competenza.
Per prevenire e contrastare i fenomeni di mobbing e tutelare la salute psico-sociale della persona sul luogo
del lavoro, la Legge regionale n. 8 del gennaio 20114 (Prevenzione e contrasto dei fenomeni di mobbing e
tutela della salute psico-sociale della persona sul luogo del lavoro) ha istituito l’Osservatorio regionale sul
mobbing, disagio lavorativo e stress psico-sociale con compiti di: - proposta alla Giunta e consulenza agli
organi regionali; - raccordo con enti pubblici, associazioni, enti privati e aziende ULSS, e con i comitati
paritetici sul mobbing; - monitoraggio/analisi del fenomeno, studi, ricerche, campagne di
sensibilizzazione/informazione; - protocolli d’intesa e collaborazioni con gli organismi di vigilanza.
La legge prevede anche la creazione, presso le Aziende ULSS, di Sportelli di assistenza ed ascolto sul
mobbing, sul disagio lavorativo e sullo stress psico-sociale e di Centri di riferimento per il benessere
organizzativo nei luoghi di lavoro.
Importante infine – nell’ambito degli interventi regionali oggetto della legge regionale 23 aprile 2013, n. 55
– l’istituzione, presso la Giunta regionale, del Tavolo di coordinamento per la prevenzione ed il contrasto
alla violenza contro le al quale partecipano enti, istituzioni ed altri soggetti individuati in modo da assicurare
la più ampia partecipazione.
A livello territoriale, tanto nel settore privato che in quello pubblico, la contrattazione ha introdotto, a
partire dai rinnovi stipulati a cavallo degli anni 1980-’90, organismi paritetici per le pari opportunità
(Commissioni, Comitati, Gruppi, Osservatori) formati da rappresentanti dei datori di lavoro e dei sindacati.
4
5
Si veda in DOCUMENTAZIONE.
Si veda in DOCUMENTAZIONE.
14
15
Parte seconda
TUTELA DELLA DIGNITÀ E DEL BENESSERE
NEI LUOGHI DI LAVORO
La disciplina specifica
LA NORMATIVA
Unione europea
Nazionale
Risoluzione del Consiglio del 29 maggio 1990
sulla tutela della dignità degli uomini e delle donne nel
mondo del lavoro (GUCE n. C 157 del 27 giugno 1990)
Legislazione comune Codice civile e penale
Raccomandazione 92/131/CEE della Commissione del 27
novembre 1991 sulla tutela della dignità delle donne e
degli uomini sul lavoro (GUCE n. L 49 del 24 febbraio
1992).
ALLEGATO / Codice di condotta relativo ai provvedimenti
da adottare nella lotta contro le molestie sessuali
Risoluzione A3-0043/94 del Parlamento europeo dell'11
febbraio 1994 sulla designazione di un consigliere nelle
imprese (GUCE n. C 61 del 28 febbraio 1994).
Contrattazione collettiva(norme disciplinari, organismi,
codici di condotta)
Legislazione regionale sul mobbing
Risoluzione A5-0283/2001 del Parlamento Europeo del
20 settembre 2001. Il mobbing sul posto di lavoro (GUCE
n. C 77E del 28 marzo 2002)
Comunicazione della Commissione al Consiglio e al
Parlamento europeo dell’ 8 novembre 2007 che
presenta l'accordo quadro europeo sulle molestie e la
violenza sul luogo di lavoro
Serie dei Trattati del Consiglio d’Europa – N° 210
Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e
la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la
violenza domestica
(Istanbul, 11 maggio 2011)
Piano di Azione Nazionale contro la Violenza di genere e
lo stalking – 2011, approvato dal Ministero per le Pari
Opportunità.
Legge 27 giugno 2013, n. 77
Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio
d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza
nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta
a Istanbul l'11 maggio 2011. (13G00122) (GU 1 luglio
2013, n. 152)
Decreto-Legge 14 agosto 2013, n. 93
Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il
contrasto della violenza di genere … convertito con
Legge 15 ottobre 2013, n. 119
(GU n. 242 del 15 ottobre 2013).
16
LE MOLESTIE SESSUALI SUL LAVORO
LA NORMATIVA EUROPEA
Sin dalla Risoluzione del 29 maggio 1990 sulla tutela degli uomini e delle donne nel mondo del lavoro il
Consiglio delle CE invitava gli Stati membri, tra l’altro, a promuovere la consapevolezza che le molestie
sessuali “possono, in determinate circostanze, essere contrarie al principio della parità di trattamento nel
lavoro”. Invito che viene rinnovato e rafforzato da parte della Commissione europea nella
Raccomandazione 92/131 del 27 novembre 1991 sulla tutela della dignità delle donne e degli uomini sul
lavoro.
In attesa – ancora oggi – di un quadro normativo ben definito, la materia della tutela della dignità degli
uomini e delle donne contro le molestie sessuali nei luoghi di lavoro va inquadrata nella regolamentazione
contenuta in due provvedimenti basilari:
- la citata Raccomandazione 92/131 del 27 novembre 1991, con l’allegato Codice di condotta relativo ai
provvedimenti da adottare nella lotta contro le molestie sessuali6;
- la Risoluzione del Parlamento europeo A3-0043/94 dell’11 febbraio 1994 sulla designazione di un
consigliere nelle imprese.
Nell’introduzione al Codice di condotta allegato alla Raccomandazione del 27 novembre 1991, la
Commissione europea pone in evidenza che, secondo il Rapporto Rubenstain7 “ le molestie sessuali
rappresentano un problema grave per un gran numero di lavoratori nell'ambito della Comunità europea e
una ricerca condotta negli Stati membri ha confermato, senza possibilità di dubbio, che i ricatti sessuali sul
posto di lavoro non rappresentano un fenomeno isolato. E' risaputo invece che, per milioni di donne nella
Comunità europea, le molestie sessuali rappresentano un lato sgradevole ed inevitabile della loro vita
attiva"
L'assenza di proteste e di denuncie non significa che le molestie non si verifichino, ma semplicemente che si
è riluttanti a denunciarle per imbarazzo, timore di non essere credute, di essere derise o, peggio, di subire
ulteriori ritorsioni o si pensa che non se ne farà nulla.
Definizione e caratteristiche della molestia sessuale
Secondo il Codice di condotta per molestia sessuale si intende ogni comportamento indesiderato a
connotazione sessuale o qualsiasi altro tipo di comportamento basato sul sesso che offende la dignità degli
uomini e delle donne nel mondo del lavoro, ivi inclusi atteggiamenti malaccetti di tipo fisico, verbale o non
verbale.
Siamo in presenza di una molestia sessuale quando:
1. il comportamento sia sconveniente, offensivo e indesiderato per chi lo subisce;
2. il rifiuto o l'accettazione del comportamento sia assunto, esplicitamente o implicitamente, come motivo
di decisioni che influenzino assunzione, mantenimento del posto, accesso alla formazione, promozione,
retribuzione o qualsiasi altra decisione riguardante il lavoro (ricatto sessuale);
3. tali comportamenti creino un ambiente di lavoro intimidatorio, ostile o umiliante.
Le molestie vengono classificate secondo vari tipi :
- Comportamenti fisici a connotazione sessuale: contatti fisici non desiderati (dai "toccamenti" fino agli atti
di libidine violenta);
- comportamenti verbali a connotazione sessuale: quando la vittima è oggetto di mire sessuali (profferte, inviti,
galanterie oscene, frasi a doppio senso, allusioni oscene);
- comportamenti non verbali a connotazione sessuale: quelli che suscitano sensazioni di disagio o di
minaccia (mostrare foto, figure, oggetti pornografici, compiere gesti di significato sessuale);
- comportamenti basati sul sesso: quelli che rendono insopportabile l'ambiente di lavoro (umiliazioni e
insulti con riferimento al sesso, osservazioni ingiuriose).
6
Si veda in DOCUMENTAZIONE.
La dignità della donna nel lavoro - Rapporto sul problema delle molestie sessuali negli Stati membri della
Comunità europea, ottobre 1987, a cura di Michael Rubenstein.
7
17
Categorie particolarmente esposte
Sulla base di uno studio condotto in diversi Stati, la Commissione documenta il nesso esistente tra il rischio
di molestia a sfondo sessuale e la vulnerabilità di chi la subisce. Le categorie più esposte sono: donne
separate e divorziate; donne più giovani e nuove assunte; lavoratrici non tutelate da un contratto regolare;
lavoratrici che svolgono professioni non specificamente femminili; donne affette da menomazioni, lesbiche
o appartenenti a minoranze razziali.
Non solo le donne. Anche gli uomini possono essere vittime di molestie sessuali e dovrebbero poter
beneficiare degli stessi diritti per quanto riguarda la tutela della dignità. Sono facilmente esposti a molestie
di questo tipo omosessuali e lavoratori in giovane età.
Autori delle molestie possono essere tanto i colleghi, quanto superiori, dirigenti, datori di lavoro e suoi
familiari.
La vittima
Secondo la Commissione le molestie sessuali possono avere effetti devastanti sull'equilibrio emotivo e
sull'efficienza lavorativa di chi le subisce (ansia, stress in primo luogo) e, in particolare, che le stesse:
- causano conseguenze negative e danni, a breve e lungo termine (assenze per malattia; minore efficienza
lavorativa; allontanamento dal posto di lavoro e ricerca di nuova occupazione, con evidente peggioramento
delle prospettive professionali e di carriera);
- compromettono, talora con effetti incalcolabili, salute, morale e fiducia in se stesse.
L’ambiente di lavoro e gli altri lavoratori
Secondo il Codice le molestie sono comportamenti non consoni al luogo di lavoro, in quanto inquinano
l'ambiente e coinvolgono negativamente chi vi assiste o ne viene a conoscenza o è chiamato a testimoniare.
Anche nei confronti di questi ultimi va garantita la tutela da ricatti o altre conseguenze spiacevoli.
Il datore di lavoro
Anche il datore di lavoro risente degli effetti negativi delle molestie sessuali: "Vi è infatti un impatto diretto
sulla redditività dell'impresa nel caso in cui il personale si assenti per malattia o si licenzi perché esposto a
molestie sessuali. Ne risente inoltre anche l'efficienza economica dell'impresa in cui si registra un calo di
produttività dei lavoratori costretti ad operare in un clima in cui non viene rispettata l'integrità personale".
Soluzione dei casi concreti
Il Codice europeo prevede:
- una procedura informale: che consiste in un primo approccio in via pacifica (colloquio con l'autore: diretto,
se è un collega, ed eventualmente con la presenza di una persona di fiducia; consegna di una lettera; opera
di mediazione di una collega, di un superiore, di un consulente di fiducia);
- una procedura formale: con la presentazione della denuncia (al dirigente incaricato a tal fine o al servizio
del personale che si occupa del procedimento disciplinare) e articolato in diverse fasi: indagine preliminare
e provvedimenti cautelativi; indagini vere e proprie destinate a concludersi, se i fatti sono provati, con
l'applicazione delle sanzioni.
Oltre al livello interno all'azienda e all'ente, e quando questo non sia sufficiente, la normativa prevede che
la denuncia possa essere portata sia ad organismi istituzionali di conciliazione sia davanti al giudice penale e
civile.
Informazione, sensibilizzazione e prevenzione
Interventi contro le molestie e per la diffusione della cultura della tutela della dignità nei luoghi di lavoro
sono "raccomandati" tanto agli Stati membri (che, in qualità di datori di lavoro, dovrebbero dare l'esempio)
quanto alle parti sociali. In particolare i datori di lavoro dovrebbero:
- definire una dichiarazione di principio;
- predisporre una guida pratica su come intende comportarsi rispetto al fenomeno, meglio se
condivisa/contrattata con il sindacato (codice di condotta);
- diffondere questi materiali e fare campagne di sensibilizzazione;
- designare e formare personale da impiegare su questo versante e, soprattutto, istituire e far funzionare
l'ufficio della consigliera di fiducia.
LA NORMATIVA NAZIONALE
18
Utilizzando in vario modo la normativa europea si è venuto realizzando, anche nel nostro Paese, un
complesso di esperienze sorretto da interventi contrattuali, iniziative legislative regionali ed anche passaggi
giurisdizionali.
Con il coinvolgimento di numerosi soggetti, pubblici e privati: istituzioni, autorità ed enti pubblici, parti
sociali, datori di lavoro pubblici e privati, volontariato.
La legislazione comune
Anche il Codice di condotta europeo fa presente che "a seconda delle legislazioni nazionali la molestia
sessuale può essere considerata anche un reato punibile dalla legge o contravvenzione ad altri obblighi da
essa imposti, segnatamente nel campo della salute e della sicurezza, oppure a quelli che, a livello
contrattuale o altro, incombono ad un datore di lavoro".
In Italia numerose sono le norme della Costituzione poste a tutela della persona in quanto tale e del
lavoratore inserito nella realtà lavorativa (artt. 2, 3, 4, 32, 35, 36, 41).
In particolare: art. 32, che riconosce la tutela della salute come diritto fondamentale dell’uomo; art. 35, che
prevede la tutela del lavoro in tutte le sue forme; art. 41, che vieta lo svolgimento della attività economica
privata se esercitata in contrasto con l’utilità sociale o qualora rechi danno alla sicurezza, alla libertà ed alla
dignità umana.
In mancanza di una legge specifica, per far cessare molestie ed abusi o per richiedere il risarcimento dei
danni, è possibile ricorrere a norme dei Codici civile e penale.
IL CODICE CIVILE
Si consideri l'art. 2087 (Tutela delle condizioni di lavoro), secondo il quale "l'imprenditore è tenuto ad
adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la
tecnica, sono necessari a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro".
Il datore di lavoro potrebbe essere chiamato a rispondere per inadempienza contrattuale ed a risarcire i
danni qualora fosse stato a conoscenza della molestia e non avesse provveduto a rimuoverla.
IL CODICE PENALE
Non esiste un reato di "molestia sessuale" all’interno del posto di lavoro.
A seconda dello svolgimento dei fatti si ricorre, in caso di denunce, ad altre figure previste dal codice
penale: atti di libidine violenti (art. 521), atti osceni (art. 527), comportamenti ingiuriosi, offensivi dell'onore
e del decoro della persona (art. 594), molestie o disturbo alle persone (art. 660).
In particolare l'art. 660 punisce, anche con l’arresto, "chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico,
ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o
disturbo”.
Si tratta di rimedi e di soluzioni ai quali è sempre possibile ricorrere qualora non fossero applicabili, o non
sufficienti, le norme previste dal Codice delle pari opportunità (o dagli altri decreti legislativi che
disciplinano l’attuazione delle pari opportunità ed il contrasto alle discriminazioni per motivi diversi dal
genere), nonché dalla normativa contrattuale.
L’iniziativa legislativa nazionale
Nessuna delle numerose proposte di legge in materia di molestie sessuali, presentate a partire dagli anni
’90, è andata in porto.
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IL MOBBING SUL POSTO DI LAVORO
LA NORMATIVA EUROPEA8
Introduzione
Il mobbing sul lavoro rappresenta un problema rilevante per la manodopera europea.
I costi sono considerevoli, sia per il lavoratore che per l'organizzazione.
Il mobbing dovrebbe essere considerato inoltre un comportamento non etico, oppressivo e pertanto
inaccettabile nell’ambiente di lavoro.
La prevenzione del mobbing sul posto di lavoro è uno degli obiettivi contenuti nella comunicazione della
Commissione europea riguardante una nuova strategia per la salute e la sicurezza sul lavoro.
Che cos'è il mobbing?
Non c'è una definizione univoca di mobbing che sia internazionalmente riconosciuta.
Un esempio di definizione è il seguente:
Il mobbing sul posto di lavoro consiste in un comportamento ripetuto, irragionevole, rivolto contro un
dipendente o un gruppo di dipendenti, tale da creare un rischio per la salute e la sicurezza. In questa
definizione:
“comportamento irragionevole" indica un comportamento che, secondo una persona ragionevole e tenuto
conto di tutte le circostanze, perseguita, umilia, intimidisce o minaccia;
“comportamento" comprende le azioni di singoli individui o di un gruppo. Si può far uso di un certo sistema
di lavoro per perseguitare, umiliare, intimidire o minacciare;
"rischio per la salute e la sicurezza" comprende il rischio alla salute mentale o fisica del lavoratore
dipendente.
Il mobbing spesso implica uno sviamento o abuso di potere, nel qual caso la vittima del mobbing può
incontrare difficoltà nel difendersi.
Il mobbing può comportare aggressioni sia verbali che fisiche, così come atti più subdoli come la
denigrazione del lavoro di un collega o l'isolamento sociale e può comprendere la violenza, sia fisica che
psicologica.
Chi ne è colpito? Perché si verifica il mobbing?
Chiunque, in qualsiasi organizzazione, può essere vittima del mobbing.
Si possono distinguere due tipi di mobbing:
1) quello che è conseguenza dell'escalation di un conflitto interpersonale;
2) quello nel quale la vittima non è coinvolta in un conflitto, ma si trova accidentalmente in una situazione
in cui vengono compiuti atti di aggressione da parte di un "mobber". Fare della vittima un “capro
espiatorio" è un esempio di questo tipo di mobbing.
Sono fattori suscettibili di aumentare la probabilità del mobbing:
- una cultura organizzativa che lo tollera o non lo riconosce come un problema;
- un cambiamento repentino nell'organizzazione;
- l'insicurezza del posto di lavoro;
- la scarsa qualità del rapporto tra il personale e la direzione, nonché un basso livello di soddisfazione nei
confronti della leadership;
- la scarsa qualità del rapporto tra i colleghi;
- i livelli molto elevati delle richieste che vengono avanzate al lavoratore;
- una politica del personale carente e valori comuni insufficienti;
- un aumento generalizzato del livello di stress legato all'attività lavorativa ;
- conflitti di ruolo.
8
Scheda informativa FACTS n. 23 pubblicata dall’Agenzia europea per la Sicurezza e la salute sul lavoro, che
fornisce informazioni e suggerimenti destinati a coloro che intendono agire concretamente per affrontare il
mobbing sul posto di lavoro.
20
Inoltre, il mobbing può subire un'escalation a causa di fattori individuali e situazionali, come
discriminazione, intolleranza, problemi personali ed uso di droghe o alcool.
Quali sono le conseguenze?
Per le vittime del mobbing, le conseguenze possono essere rilevanti.
Sono stati riscontrati sintomi a carico della salute fisica, mentale e psicosomatica: per esempio, stress,
depressione, calo dell'autostima, autobiasimo, fobie, disturbi del sonno, problemi digestivi e
muscoloscheletrici. Tra le vittime dei mobbing sono comuni anche disturbi da stress di carattere posttraumatico, simili ai sintomi che si manifestano dopo esperienze traumatiche di altra natura, quali disastri o
aggressioni.
Questi sintomi possono persistere per anni dopo gli avvenimenti che li hanno originati. Altre conseguenze
possibili: l'isolamento sociale, l'insorgere di problemi familiari o finanziari a causa dell'assenza o
dell'allontanamento dal lavoro.
A livello organizzativo, i costi del mobbing possono consistere in un maggior assenteismo e rotazione del
personale, nonché minor efficacia e produttività, non soltanto per le vittime del mobbing, ma anche per gli
altri colleghi, che risentono del clima psicosociale negativo dell'ambiente di lavoro. Possono essere alte
anche le richieste di danni legali conseguenti a casi di mobbing.
La legislazione
La Commissione europea ha introdotto alcune misure per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori. La
direttiva 89/391 del Consiglio del 1989 contiene le disposizioni di base ed attribuisce ai datori di lavoro la
responsabilità di garantire che i lavoratori non soffrano danni per colpa del lavoro.
In particolare, per l'eliminazione o la riduzione del mobbing, i datori di lavoro, in consultazione con i
lavoratori e i loro rappresentanti, dovrebbero:
- mirare ad impedire il mobbing;
- valutarne i rischi;
- agire in maniera adeguata per prevenire i danni.
Il Parlamento europeo ha inoltre approvato la Risoluzione A5-0283/2001 del 20 settembre 2001 Una
Risoluzione sul mobbing nei posti di lavoro9 con la quale
esorta gli Stati membri a rivedere e, se dei caso, a completare la propria legislazione vigente sotto il profilo
della lotta contro il mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro, nonché a verificare e ad uniformare
la definizione della fattispecie del mobbing,
raccomanda agli Stati membri
- di fare in modo che le organizzazioni private e pubbliche e le parti sociali attuino politiche di prevenzione
efficaci;
- di introdurre sistema di scambio di esperienze;
- di individuare procedure atte a risolvere il problema per le vittime e ad evitare le sue recrudescenze;
- di mettere a punto un'informazione e una formazione dei lavoratori dipendenti, del personale di
inquadramento, delle parti sociali e dei medici del lavoro, sia nel settore privato che nel settore pubblico.
Come prevenire il mobbing sul posto di lavoro?
La prevenzione del mobbing è un elemento chiave se si vuole migliorare la vita lavorativa ed evitare
l'emarginazione sociale.
È importante intervenire tempestivamente contro un ambiente di lavoro devastante: i datori di lavoro non
devono aspettare che siano le vittime a lamentarsi.
Talvolta può essere difficile distinguere tra il mobbing ed il conflitto interpersonale.
Una strategia a due livelli potrebbe essere la strategia più efficace, con sforzi specifici diretti contro il
mobbing e contemporaneamente miglioramenti apportati all'ambiente di lavoro psicosociale.
Il coinvolgimento in tale strategia dei lavoratori e dei loro rappresentanti sarà cruciale per il suo successo.
1. Miglioramento generalizzato dell'ambiente di lavoro psicosociale:
- dare ai singoli lavoratori la possibilità di scegliere le modalità di esecuzione del proprio lavoro;
9
Si veda in DOCUMENTAZIONE.
21
- diminuire l'entità delle attività monotone e ripetitive;
- aumentare le informazioni concernenti gli obiettivi;
- sviluppare uno stile di leadership;
- evitare definizioni imprecise di ruoli e mansioni.
2. Sviluppo di una cultura organizzativa i cui standard e valori siano contro il mobbing:
- una consapevolezza, da parte di tutti, del significato del mobbing;
- indagare l'estensione e la natura del fenomeno;
- formulazione di una politica;
- distribuire/comunicare efficacemente gli standard ed i valori dell'organizzazione a tutti i livelli
organizzativi, per esempio tramite manuali destinati al personale, riunioni informative, bollettini;
- fare in modo che gli standard ed i valori dell'organizzazione siano noti ed osservati da tutti i lavoratori
dipendenti;
- migliorare la responsabilità e la competenza del management per quanto riguarda la gestione dei conflitti
e la comunicazione;
- stabilire un contatto indipendente per i lavoratori;
- coinvolgere i dipendenti ed i loro rappresentanti nella valutazione del rischio e nella prevenzione del
mobbing.
3. Formulazione di una politica contenente orientamenti chiari per interazioni sociali positive, fra i quali:
- sollecitare l'impegno etico dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti a creare un ambiente in cui non
ci sia posto per il mobbing;
- delineare i tipi di azione che sono accettabili e quelli che non lo sono;
- esporre le conseguenze dell'infrazione degli standard e dei valori dell'organizzazione, con le relative
sanzioni;
- indicare dove e come le vittime possono trovare un aiuto;
- impegnarsi ad impedire che i fatti segnalati producano "rappresaglie;
- spiegare la procedura per segnalare gli episodi di mobbing;
- chiarire il ruolo di dirigenti, supervisori, colleghi di contatto/supporto, rappresentanti sindacali;
- dettagliare i servizi di consulenza/supporto disponibili, per la vittima e per chi pratica il mobbing;
- mantenere la riservatezza.
LA NORMATIVA NAZIONALE
Anche per quanto riguarda il mobbing, la normativa europea, sorretta da interventi contrattuali, iniziative
legislative regionali ed anche pronunce giurisdizionali, ha prodotto nel nostro Paese un complesso di
esperienze, a livello sia individuale che collettivo.
Numerosi i soggetti coinvolti, pubblici e privati: istituzioni, autorità ed enti pubblici, parti sociali, datori di
lavoro pubblici e privati, volontariato.
22
La legislazione comune
IL CODICE CIVILE
Per quanto riguarda il mobbing è necessario distinguere le ipotesi in cui l’autore sia un superiore o un
collega della vittima, da quelle in cui sia il datore di lavoro.
Nella prima ipotesi potrà essere chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2043 che così stabilisce: “qualunque
fatto doloso o colposo che causa ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a
risarcire il danno”.
Questo vale anche per il datore, ma nel confronti di quest’ultimo può essere applicato anche l’art. 2087
che, oltre a vietargli di porre in essere direttamente comportamenti lesivi, gli impone di attivarsi per
impedire che tali comportamenti siano tenuti dai propri dipendenti.
Nell’ambito degli interventi della magistratura ordinaria, nei vari gradi di giudizio, accanto a sentenze che
hanno ad oggetto comportamenti previsti da norme giuridiche specifiche – art. 2103 - dequalificazione
professionale o demansionamento – ve ne sono altre che condannano comportamenti con caratteristiche
riconducibili al mobbing che non sono regolati da norme ad hoc. In questi casi, ai fini della tutela, si ricorre a
varie norme del codice civile, soprattutto ai già citati articoli 2043 e 2087.
In presenza di comportamenti vessatori/discriminatori gravi e pericolosi è anche possibile esperire la tutela
in via d’urgenza prevista dal codice di procedura civile.
IL CODICE PENALE
I comportamenti mobizzanti, nel caso in cui provocassero malattie professionali, potrebbero rientrare nel
reato di lesione personale colposa (art. 590).
Come avviene in sede civile, ovviamente, occorre valutare in concreto se la compromissione dell’integrità
psico-fisica del lavoratore sia riconducibile ad una condotta del datore di lavoro colposa o dolosa.
Anche per il mobbing esistono norme che, in sede di giudizio, possono assicurare la tutela del lavoratore
vittima di violenze psicologiche, il risarcimento dei danni, la sanzione dei comportamenti mobbizzanti.
Si tratta di rimedi e di soluzioni ai quali è sempre possibile ricorrere qualora non fossero applicabili, o non
sufficienti, le norme previste dal Codice delle pari opportunità (o dagli altri decreti legislativi che
disciplinano l’attuazione delle pari opportunità ed il contrasto alle discriminazioni per motivi diversi dal
genere), nonché dalla normativa contrattuale.
L’iniziativa legislativa nazionale
Nessuna delle numerose proposte di legge presentate a partire dalla XIV Legislatura (2001-2006) è andata
in porto.
La legislazione regionale
La prima legge regionale sul mobbing, approvata dalla Regione Lazio (Legge 11 luglio 2002, n. 16 Disposizioni per prevenire e contrastare il fenomeno del "mobbing" nei luoghi di lavoro) è stata dichiarata
illegittima, dalla Sentenza della Corte Costituzionale 19 dicembre 2003, n. 359, per interferenza con la
competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Secondo la Corte, l’articolo 117 della Costituzione attribuisce allo Stato la definizione dei principi
fondamentali e alle Regioni l’emanazione delle regole di dettaglio in materia di sicurezza del lavoro (dunque
anche di mobbing). Pertanto le Regioni possono emanare proprie leggi per contrastare mobbing e stress
psico-sociale sui luoghi di lavoro, anche con misure di sostegno idonee a studiare il fenomeno in tutti i suoi
profili e a prevenirlo o limitarlo nelle sue conseguenze, senza però poterne dare un’autonoma definizione
giuridica.
Mantenendosi nei limiti stabiliti dalla Corte Costituzionale varie Regioni, compresa la Regione Veneto,
hanno approvato proprie leggi in materia10.
10
Si veda in DOCUMENTAZIONE.
23
TUTELA E CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
In materia di tutela contro ogni tipo di molestia nei luoghi di lavoro, positivi sono stati i risultati conseguiti
dalle parti sociali e dallo Stato (in veste di datore di lavoro) per recepire la normativa europea nella
contrattazione collettiva, sia a livello nazionale che territoriale ed aziendale.
Organismi e norme disciplinari
A partire dai rinnovi stipulati a cavallo degli anni 1980-’90 la materia è stata introdotta dai contratti
nazionali tra i compiti affidati agli organismi paritetici per le pari opportunità (Commissioni, Comitati,
Gruppi, Osservatori), istituiti a livello nazionale, territoriale ed aziendale ed incaricati si svolgere le seguenti
attività:
- esaminare le problematiche,
- studiare iniziative di prevenzione anche attraverso ricerche sulla diffusione e le caratteristiche del
fenomeno delle molestie,
- proporre campagne di informazione e di sensibilizzazione per garantire il diritto della persona a non essere
molestata nel luogo di lavoro ed a salvaguardare la propria dignità.
Una svolta vera e propria si registra con i contratti 1994-1997 che, tra l’altro, uniformano in tutti i comparti
pubblici le competenze dei Comitati paritetici per le pari opportunità ed inseriscono anche le molestie
sessuali tra i comportamenti vietati dalle norme disciplinari.
Da questo momento nei contratti – pubblici e privati – la tutela della dignità e la lotta contro le molestie
sessuali nei luoghi di lavoro è richiamata:
- tra i doveri/obblighi del dipendente e le sanzioni disciplinari;
- tra le finalità e i compiti degli organismi paritetici per le pari opportunità.
A queste disposizioni si sono aggiunte, anche a seguito della Risoluzione del Parlamento Europeo del 20
settembre 200111, norme specifiche che prevedono, l’istituzione di un Comitato paritetico sul fenomeno del
mobbing.
Codici di condotta (o di comportamento)
Anche la definizione e l’introduzione di questo strumento si è realizzata con il recepimento nella
contrattazione della normativa europea di tutela.
Significativi ed importanti sono stati i passi avanti su questa strada. In particolare, sin dalla metà degli anni
’90, in tutti i contratti nazionali dei comparti pubblici, sono stati allegati schemi di codice tipo nei quali i
contenuti si rifanno alle norme europee ed hanno la seguente articolazione:
- richiamo delle disposizioni comunitarie e dichiarazioni di principio;
- definizione, caratteristiche e tipologie delle molestie;
- procedure da seguire e sanzioni nei casi di molestie, con richiamo specifico, talvolta, alle norme
disciplinari;
- istituzione della figura del consigliere/consulente di fiducia ed indicazione dei requisiti di idoneità richiesti
per l'incarico, delle attribuzioni, delle responsabilità e degli strumenti messi a sua disposizione;
- previsione di un complesso di azioni di sensibilizzazione che comprende l'informazione, la formazione e
azioni di monitoraggio e di proposta affidate agli organismi paritetici aziendali ed alla consigliera di fiducia.
Dai contratti nazionali i Codici sono stati ripresi a livello di singole amministrazioni, enti e aziende che
hanno adottato propri Codici di condotta, adattandoli alle rispettive specificità.
Più o meno analoga la situazione nei contratti del settore privato.
11
Si veda in DOCUMENTAZIONE.
24
Il primo accordo “per la promozione del Codice di condotta e per la realizzazione di attività di informazione e di
formazione sulle molestie" – tra l'ANCI Toscana e i Coordinamenti donna Cgil, Cisl, Uil – risale al 1994 e fa da
“battistrada” per numerosi enti, anche fuori della Toscana.
Nel settore di lavoro privato la prima esperienza significativa è stata quella della Electrolux Zanussi di Porcia. Il
codice aziendale – allegato al testo unico sul sistema di relazioni sindacali, approvato il 21 luglio 1997
dall'Azienda e dalle Organizzazioni sindacali confederali FIM, FIOM e UILM – è stato consegnato a tutti i
lavoratori con la busta paga di febbraio 1998.
L’oggetto della tutela, da parte dei Codici di condotta, in origine limitato alle molestie sessuali, si è esteso
alla prevenzione ed al contrasto del mobbing a seguito della Risoluzione del Parlamento Europeo del 20
settembre 2001.
Il Codice delle pari opportunità nell’ art. 50-bis (Prevenzione delle discriminazioni), in vigore dal 20 febbraio
2010, ha stabilito che:
“I contratti collettivi possono prevedere misure specifiche, ivi compresi codici di condotta, linee guida e
buone prassi, per prevenire tutte le forme di discriminazione sessuale e, in particolare, molestie e molestie
sessuali nel luogo del lavoro, nelle condizioni di lavoro, nonché nella formazione e crescita professionale”.
Consigliera di fiducia:
un referente per i casi di molestie sessuali e mobbing
La figura del/della Consigliere/a di fiducia si colloca nell’ambito degli strumenti e organismi introdotti
dall’UE – e recepiti dalla contrattazione collettiva – al fine di promuovere ed attuare i principi di parità e
pari opportunità e di tutela della dignità e del benessere nei luoghi di lavoro. Che significa, prima di tutto e
soprattutto, prevenire, contrastare ed eliminare le discriminazioni (dirette e indirette) e le varie forme di
molestie (sessuali, morali, mobbing).
Nelle sollecitazioni ai datori di lavoro pubblici e privati, del Codice di condotta allegato alla
Raccomandazione 92/131/CEE della CE 27 novembre 1991 sulla tutela della dignità delle donne e degli
uomini sul lavoro, è già evidenziata la necessità di un referente per prevenire e combattere le molestie
sessuali12.
Ma è la Risoluzione del Parlamento europeo dell’11 febbraio 1994 a dettare regole specifiche per la
designazione di un consigliere nelle imprese, delineando compiti, responsabilità, poteri ed altre modalità
che dovrebbero caratterizzare questa figura destinata ad assumere una notevole importanza.
A questo fine il Parlamento europeo invita gli Stati membri della Comunità a creare rapidamente, nelle
amministrazioni e negli enti pubblici, posti di consigliere, dando il buon esempio alle imprese private e ad
adottare una legislazione che obblighi i datori di lavoro privati a fare altrettanto, incoraggiando la
concertazione tra le parti sociali.
Per l’incarico devono essere preferite le donne in quanto, costituendo il maggior numero di vittime, sono
maggiormente in grado di creare un clima di fiducia e di comprensione.
Alla consigliera di fiducia competono non soltanto la consulenza ed assistenza alle vittime e la soluzione di
casi concreti, ma anche la prevenzione, l'informazione, la formazione e, in generale, l'attuazione e lo
sviluppo di politiche e prassi intese a creare un ambiente di lavoro esente da molestie e ricatti a
connotazione sessuale e un clima di lavoro in cui uomini e donne rispettino reciprocamente l'inviolabilità
della loro persona.
Ad essa devono essere forniti mezzi, garanzie dalle rappresaglie e per la salvaguardia dell’indipendenza,
formazione adeguata.
Gli Stati membri dovrebbero, infine, esigere che gli organi di controllo dell'applicazione delle leggi in
materia di lavoro elaborino testi per fornire alle vittime delle molestie informazioni sui vari gradi di ricorso
ed organizzare "campagne di informazione” allo scopo di favorire un clima di prevenzione contro le
molestie sessuali.
12
Si veda in DOCUMENTAZIONE.
25
Le misure adottate dalle aziende devono essere portate a conoscenza di tutti i lavoratori sin dal momento
dell’assunzione, e devono essere indicati, in particolare, il nome della consigliera, l’orario e il luogo dove
può essere contattato.
Una “persona di fiducia” per il mobbing
Con la Risoluzione A5-0283/2001 del 20 settembre 200113 il Parlamento Europeo sollecita dagli Stati
membri:
- una legislazione per la lotta contro il mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro, che uniformi, in
particolare, la definizione della fattispecie del mobbing;
- l’introduzione di politiche di prevenzione efficaci, di un sistema di scambio di esperienze e di procedure
atte a risolvere il problema per le vittime e ad evitare sue recrudescenze, coinvolgendo imprese, pubblici
poteri e parti sociali ;
- l'informazione/formazione dei lavoratori dipendenti, del personale di inquadramento, delle parti sociali e
dei medici del lavoro, sia nel settore privato che in quello pubblico;
- la nomina nei luoghi di lavoro di una persona di fiducia alla quale i lavoratori possono eventualmente
rivolgersi.
In Italia queste raccomandazioni sono state attuate soprattutto nell’ambito della contrattazione collettiva di
lavoro.
La figura e le competenze della consigliera di fiducia, unitamente alle procedure per la soluzione dei casi,
sono fissate nei codici di condotta delle amministrazioni e delle aziende, sia pubbliche che private.
13
Si veda in DOCUMENTAZIONE.
26
27
Parte terza
PARI OPPORTUNITÀ
PER MOTIVI DIVERSI DAL GENERE
LA NORMATIVA
Unione europea
Nazionale
Direttiva 2000/43/CE del Consiglio del 29 giugno 2000
che attua il principio della parità di trattamento fra le
persone indipendentemente dalla razza e dall'origine
etnica
(GUCE n. L 180 del 19 luglio 2000).
Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 215
Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di
trattamento tra le persone indipendentemente dalla
razza e dall'origine etnica
(GU n. 186 del 12 agosto 2003).
Modificato dal D L n. 59/2008, convertito, con
modificazioni dalla L. n. 101/2008 (GU n. 132 del 7
giugno 2008).
Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre
2000 che stabilisce un quadro generale per la parità di
trattamento in materia di occupazione e di condizioni di
lavoro
(GUCE n. L 303 del 2 dicembre 2000).
La direttiva mira a stabilire un quadro generale per la
lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le
convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze
sessuali, per quanto concerne l'occupazione e le
condizioni di lavoro.
Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216
Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di
trattamento in materia di occupazione e di condizioni di
lavoro
(GU n. 187 del 13 agosto 2003).
Modificato dal D L n. 59/2008, convertito, con
modificazioni dalla L. n. 101/2008 (GU n. 132 del 7
giugno 2008).
Decreto-Legge 8 aprile 2008, n. 59
Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi
comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di
giustizia delle Comunità europee
(G.U. n. 84 del 9 aprile 2008).
Testo coordinato con la legge di conversione 6 giugno
2008, n.101 (G.U. n. 132 del 7 giugno 2008).
Le pari opportunità e la tutela della dignità e del benessere non sono violate soltanto per motivi di genere e
le discriminazioni non si riscontrano soltanto nei rapporti tra persone di sesso diverso: prevenire e
contrastare discriminazioni, molestie e mobbing non sono obiettivi necessari ed esclusivi per i rapporti di
genere, ma valgono anche per altre categorie.
Negli anni più recenti, caratterizzati dal fenomeno migratorio, si presentano con sempre maggior frequenza
discriminazioni multiple, vale a dire quelle in cui a determinare la condotta discriminatoria concorrono,
nello stesso caso, oltre a motivi di genere, anche altri, specialmente razza/origine etnica, età, tendenze
sessuali.
L’esistenza di altri tipi di disuguaglianze e disparità nel lavoro e nella società trova conferma nella
normativa, costituzionale ed ordinaria. Basti pensare:
- all’art. 3 della Costituzione, laddove si riconosce che la pari dignità sociale, l’eguaglianza dei cittadini e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese
possono essere ostacolate da motivi “di sesso, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali”;
- allo Statuto dei lavoratori che vieta e dichiara nulli gli atti commessi a fini di discriminazione sindacale,
politica e religiosa. A queste motivazioni, previste nel testo originario (1970), sono state estese quelle
razziali, di lingua e di sesso (1977) e quelle basate su handicap, età, orientamento sessuale e convinzioni
personali (2003).
28
Non esiste una normativa unica14 che prescinda dai motivi di discriminazione.
Nella normativa dell’Unione Europea esistono norme separate a seconda delle motivazioni di riferimento
ed alle norme sulle pari opportunità per motivi di genere si affiancano, nel 2000:
- la direttiva che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e
dall'origine etnica (2000/43/CE del Consiglio del 29 giugno 2000),
- e la Direttiva che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di
condizioni di lavoro (2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000) per la lotta alle discriminazioni
fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.
Entrambe le Direttive sono state recepite nel nostro ordinamento con i decreti legislativi 215 e 216 del
200315 nei quali sono presenti:
- contenuti comuni: Oggetto, nozione di discriminazione, ambito di applicazione, tutela giurisdizionale dei
diritti, protezione delle vittime, legittimazione ad agire; richiamo, per quanto applicabile, alla disciplina
dell’immigrazione ed alle norme sulla condizione dello straniero;
- parti presenti soltanto nel decreto 216: Istituzione del Registro delle associazioni e degli enti che svolgono
attività nel campo della lotta alle discriminazioni e dell’Ufficio per il contrasto delle discriminazioni;
inserimento, nell’art. 15 comma 2 dello Statuto dei Lavoratori delle violazioni per motivi “di handicap, di età
o basata sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali”.
14
L’obiettivo di unificazione normativa è stato perseguito nel procedimento legislativo che ha portato
all’approvazione del Codice delle pari opportunità.
Infatti, tra i principi ed i criteri posti dalla legge di delega era indicata “a) individuazione di strumenti di
prevenzione e rimozione di ogni forma di discriminazione, in particolare per cause direttamente o indirettamente
fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età e
l'orientamento sessuale, anche al fine di realizzare uno strumento coordinato per il raggiungimento degli
obiettivi di pari opportunità previsti in sede di Unione europea …”(L. 28 novembre 2005, n. 246 - Semplificazione
e riassetto normativo per l’anno 2005. Art. 6. - Riassetto normativo in materia di pari opportunità).Questi criteri,
purtroppo, sono stati disattesi.
15
Si veda in DOCUMENTAZIONE.
29
DOCUMENTAZIONE
EUROPEA
Raccomandazione 92/131/CEE della Commissione del 27 novembre 1991
16
sulla tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro
LA COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE
…..
raccomanda quanto segue:
Articolo 1
Si raccomanda che gli Stati membri si adoperino per promuovere la consapevolezza che qualsiasi
comportamento a connotazione sessuale o altro tipo di comportamento basato sul sesso, compreso quello di
superiori e colleghi, che offenda la dignità delle donne e degli uomini sul lavoro è inammissibile se:
a) è indesiderato, sconveniente o offensivo per la persona che lo subisce;
b) il suo rigetto o la sua accettazione vengano assunti esplicitamente o implicitamente dai datori di lavoro o dai
dipendenti (compresi i superiori e i colleghi) a motivo di decisioni inerenti all'accesso alla formazione
professionale, all'assunzione di un lavoratore, al mantenimento del posto dì lavoro, alla promozione, alla
retribuzione o di qualsiasi altra decisione attinente all'impiego;
c) o crea un ambiente dì lavoro intimidatorio, ostile o umiliante;
e che siffatti comportamenti possano, in determinate circostanze, costituire una violazione del principio della
parità di trattamento ai sensi degli articoli 3, 4 e 5 della direttiva 76/207/CEE.
Articolo 2
Si raccomanda che gli Stati membri si adoperino affinché nel settore pubblico sia attuato il codice di condotta
della Commissione, relativo alla tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro, riportato in allegato.
L'iniziativa assunta dagli Stati membri nell'avviare e proseguire una politica positiva intesa a creare un ambiente
di lavoro in cui uomini e donne rispettino reciprocamente l'inviolabilità della loro persona è destinato a fungere
da esempio per il settore privato.
Articolo 3
Si raccomanda che gli Stati membri incoraggino i datori di lavoro e i rappresentanti dei lavoratori a definire
provvedimenti volti ad attuare il codice di condotta della Commissione relativo alla tutela della dignità delle
donne e degli uomini sul lavoro.
Articolo 4
Gli Stati membri comunicano alla Commissione, entro i tre anni susseguenti l'adozione della presente
raccomandazione, i provvedimenti adottati per la sua esecuzione affinché possa redigere una relazione su tali
provvedimenti. La Commissione, entro questo termine, assicura che il codice di condotta abbia la maggior
diffusione possibile. La relazione deve esaminare in quale misura il codice sia conosciuto, sia considerato efficace
e sia applicato, nonché in quale misura venga impiegato nelle contrattazioni collettive tra le parti sociali.
Articolo 5
Gli Stati membri sono destinatari della presente raccomandazione.
16
GUCE n. L 49 del 24 febbraio 1992.
30
ALLEGATO / TUTELA DELLA DIGNITA' DEGLI UOMINI E DELLE DONNE NEL MONDO DEL LAVORO
Codice di condotta relativo ai provvedimenti da adottare nella lotta contro le molestie sessuali
1. INTRODUZIONE
Il presente codice di condotta è stato messo a punto in conformità alla risoluzione del Consiglio dei ministri sulla
tutela della dignità degli uomini e delle donne nel mondo dei lavoro e allegato alla raccomandazione della
Commissione sullo stesso argomento.
Scopo del documento è di fornire orientamenti pratici a datori di lavoro, sindacati e lavoratori/lavoratrici sul
problema della tutela della dignità degli uomini e delle donne sul posto di lavoro. È prevista l'applicazione del
codice nel settore sia pubblico che privato e i datori di lavoro vengono incoraggiati a seguire le
raccomandazioni in esso contenute secondo le prassi più conformi alla dimensione e alla struttura della loro
organizzazione. Può essere particolarmente significativa per piccole e medie imprese adeguare una parte delle
azioni sul piano pratico alle proprie esigenze specifiche.
Il codice si prefigge la prevenzione di molestie a sfondo sessuale e, nel caso in cui esse si verifichino, la
garanzia di un ricorso immediato e semplice a procedure adeguate per affrontare il problema e prevenirne
il ripetersi. Con il codice s'intende pertanto incoraggiare lo sviluppo e l'attuazione di politiche e prassi
intese a creare un ambiente di lavoro scevro da ricatti a connotazione sessuale e un clima di lavoro in cui
uomini e donne rispettino reciprocamente l'inviolabilità della loro persona.
Il resoconto redatto dagli esperti su incarico della Commissione ha rilevato che le molestie sessuali
rappresentano un problema grave per un gran numero di lavoratrici nell'ambito della Comunità europea e una
ricerca condotta negli Stati membri ha confermato, senza possibilità di dubbio, che i ricatti sessuali sul posto di
lavoro non rappresentano un fenomeno isolato. È risaputo invece che, per milioni di donne nella Comunità
europea, le molestie sessuali rappresentano un lato sgradevole ed inevitabile della loro vita attiva. Anche gli
uomini possono essere vittime di molestie sessuali e di conseguenza dovrebbero poter beneficiare degli stessi
diritti delle donne per quanto riguarda la tutela della loro dignità.
Vi sono categorie che sono particolarmente vulnerabili alle molestie sessuali. Uno studio condotto in diversi Stati
membri, che documenta il nesso esistente tra il rischio di molestia a sfondo sessuale e la vulnerabilità di colui che
la subisce, rivela che le categorie più esposte sono le donne in stato di divorzio e di separazione, le più giovani e
le nuove assunte, le donne che non sono tutelate da un contratto di lavoro regolare e fisso, le lavoratrici che
svolgono professioni non specificamente femminili, quelle affette da menomazioni, lesbiche o quelle
appartenenti a minoranze razziali. Anche gli omosessuali e gli uomini in giovane età sono facilmente esposti a
molestie di questo tipo. È innegabile che le molestie a sfondo sessuale insidiano la dignità di coloro che le
subiscono ed è assolutamente impossibile giudicare tali molestie un comportamento consono al luogo di lavoro.
Le molestie sessuali guastano l'ambiente di lavoro e possono compromettere con effetti devastanti la salute, la
fiducia, il morale e le prestazioni di coloro che le subiscono. L'ansia e lo stress provocati da abusi di questo
genere causano assenze per malattia, una minore efficienza o un allontanamento dal posto di lavoro e la ricerca
di un nuovo impiego. I lavoratori subiscono spesso le conseguenze negative di una siffatta situazione e danni a
breve e lungo termine per quanto concerne le prospettive professionali quando si trovano costretti a cambiare
lavoro. Le molestie sessuali possono inoltre coinvolgere negativamente anche quei lavoratori che non sono fatti
segno a comportamenti indesiderati, ma che si trovano ad essere testimoni o che vengono a conoscenza del
verificarsi di un comportamento di questo tipo.
Anche i datori di lavoro si trovano a subire le conseguenze avverse di abusi a sfondo sessuale. Vi è, infatti, un
impatto diretto sulla redditività dell'impresa nel caso in cui il personale si assenti per malattia o si licenzi perché
esposto a molestie sessuali. Ne risente inoltre anche l'efficienza economica dell'impresa in cui si registra un calo
di produttività dei lavoratori costretti ad operare in un clima in cui non viene rispettata l'integrità personale.
In generale, la molestia a sfondo sessuale rappresenta un ostacolo alla legittima integrazione delle donne nel
mercato del lavoro e la Commissione si propone pertanto di incoraggiare la messa a punto di misure di vasta
portata al fine di perseguire al meglio tale integrazione.
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2. DEFINIZIONI
Per molestia sessuale s'intende ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale o qualsiasi altro tipo
di comportamento basato sul sesso che offenda la dignità degli uomini e delle donne nel mondo dei lavoro, ivi
inclusi atteggiamenti malaccetti di tipo fisico, verbale o non verbale.
Pertanto, per definire la molestia sessuale va presa in considerazione tutta una serie di atteggiamenti diversi.
Essa diventa inaccettabile qualora siffatti comportamenti siano indesiderati, sconvenienti e offensivi per coloro
che li subiscono; qualora il rifiuto o l'accettazione della persona interessata di siffatti comportamenti vengono
assunti esplicitamente o implicitamente dai datori di lavoro o lavoratori (superiori e colleghi inclusi) a motivo di
decisioni inerenti all'accesso alla formazione professionale, all'assunzione di un lavoratore, al mantenimento del
posto di lavoro, alla promozione, alla retribuzione o a qualsiasi altra decisione attinente all'occupazione e/o
siffatti comportamenti creino un ambiente di lavoro intimidatorio, ostile o umiliante.
La caratteristica essenziale dell'abuso a sfondo sessuale sta nel fatto che si tratta di un atto indesiderato da parte
di chi lo subisce e che spetta al singolo individuo stabilire quale comportamento egli possa tollerare e quale sia
da considerarsi offensivo. Una semplice attenzione a sfondo sessuale diventa molestia quando si persiste in un
comportamento ritenuto da chi è oggetto di tali attenzioni palesemente offensivo. È la natura indesiderata della
molestia sessuale che la distingue dal comportamento amichevole, che invece è benaccetto e reciproco.
3. LA LEGISLAZIONE IN MATERIA E LE RESPONSABILITÀ DEI DATORI DI LAVORO
Ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale o qualsiasi altro tipo di comportamento basato sul
sesso che offenda la dignità degli uomini e delle donne nel mondo del lavoro possono essere contrari al principio
della parità di trattamento dei sessi ai sensi degli articoli 3, 4 e 5 della direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9
febbraio 1976, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto
riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro: principio
che implica l'assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, diretta o indiretta, in particolare mediante
riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia.
In talune circostanze e a seconda delle legislazioni nazionali, la molestia sessuale può essere considerata anche
un reato punibile dalla legge o contravvenire ad altri obblighi da essa imposti, segnatamente nel campo della
salute e della sicurezza, oppure a quelli che, a livello contrattuale o altro, incombono ad un datore di lavoro
coscienzioso. Il datore di lavoro è tenuto ad intervenire in caso di molestia sessuale perpetrato da un dipendente
come nel caso di qualsiasi altra forma di comportamento scorretto, nonché ad astenersi personalmente dal
molestare i dipendenti. Poiché l'abuso sessuale rappresenta un rischio per la salute e la sicurezza spetta ai datori
di lavoro adottare i provvedimenti adeguati al fine di ridurre al minimo il rischio come nel caso di altri tipi di
rischio. Dal momento che l'abuso sessuale rappresenta spesso un abuso di potere, i datori di lavoro possono
essere considerati responsabili dell'uso improprio dell'autorità da essi conferita.
Il presente codice mette in risalto l'abuso sessuale visto come manifestazione di discriminazione tra i sessi.
Molestia sessuale equivale a discriminazione sessuale, poiché il fattore determinante è rappresentato dal sesso
di colui che ne è fatto segno. Un comportamento a connotazione sessuale o qualsiasi altro comportamento
basato sul sesso che offenda la dignità degli uomini e delle donne sul lavoro sono già stati definiti in taluni Stati
membri come violazioni delle legislazioni nazionali in materia di parità di trattamento e i datori di lavoro sono
tenuti a farsi garanti di un ambiente di lavoro esente da siffatti comportamenti.
Poiché le molestie sessuali rappresentano spesso uno degli aspetti della situazione femminile nella gerarchia
occupazionale, le politiche che affrontano questo problema sono suscettibili di raggiungere risultati concreti
qualora rientrino nel quadro di una strategia politica più ampia volta a promuovere la parità di opportunità e a
migliorare la posizione delle donne. La Guida delle azioni positive elaborata dalla Commissione fornisce gli
orientamenti da seguire ai fini dell'attuazione di una politica sulla parità di opportunità.
Analogamente, la prassi attinente alle denunce delle molestie sessuali rappresenta solo una delle componenti di
una strategia più ampia che faccia fronte al problema. L'obiettivo primario dovrebbe consistere nella modifica
dei comportamenti e delle abitudini a garanzia della prevenzione degli abusi di questo tipo.
4. CONTRATTAZIONI COLLETTIVE
La maggior parte delle raccomandazioni formulate nel presente codice sono rivolte ai datori di lavoro ai quali
spetta di garantire la protezione della dignità degli uomini e delle donne sul lavoro.
Anche i sindacati hanno delle responsabilità nei confronti dei loro iscritti e non solo possono, ma devono
svolgere un ruolo importante nella prevenzione delle molestie sessuali sul posto di lavoro. Si raccomanda di
prevedere l'inserimento negli accordi di clausole adeguate allo scopo dì creare un ambiente di lavoro in cui non vi
sia posto per comportamenti indesiderati a connotazione sessuale o di altri comportamenti basati sul sesso che
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offendano la dignità degli uomini e delle donne sul posto di lavoro, nonché atti di ritorsione nei confronti del
querelante o di chiunque altro desideri rendere, o renda, testimonianza in caso di protesta.
5. RACCOMANDAZIONI AI DATORI DI LAVORO
Le politiche e prassi sottoelencate vanno adottate, se del caso, previa consultazione o negoziazione con i
sindacati o i rappresentanti dei lavoratori. L'esperienza dimostra che le strategie più efficaci ai fini della creazione
e del mantenimento di un ambiente di lavoro in cui venga rispettata la dignità dei lavoratori sono quelle stabilite
sulla base di accordi comuni.
Va sottolineato che una caratteristica che contraddistingue la molestia sessuale è rappresentata dal fatto che il
lavoratore che la subisce è spesso riluttante a denunciarla. Pertanto, l'assenza di proteste e di denunce di questo
tipo in una data organizzazione, non significa necessariamente che non si verifichino molestie sessuali. Può
significare, infatti, che colui che ne è oggetto pensi che non valga la pena di protestare poiché non sarà
comunque intrapreso nulla o perché il fatto verrà sottovalutato o egli stesso esposto al ridicolo, oppure perché
teme ritorsioni. L'attuazione delle raccomandazioni preventive e procedurali sottocitate dovrebbe facilitare
l'instaurazione di un clima dì lavoro in cui tali preoccupazioni non abbiano ragione d'esistere.
A. PREVENZIONE
i) Dichiarazione di principio
Come prima misura a testimonianza dell'interesse da parte dei quadri dirigenti e del loro impegno nell'affrontare
il problema del ricatto sessuale, i datori di lavoro dovrebbero fare una dichiarazione di principio che sancisca il
diritto di tutti i lavoratori ad essere trattati con dignità, l'illiceità e l'inammissibilità della molestia sessuale sul
luogo di lavoro e il diritto dei lavoratori a protestare nel caso in cui siano fatti oggetto di ricatto sessuale.
Si raccomanda che venga messo chiaramente in luce in tale dichiarazione ciò che si intende per comportamento
inadeguato sul posto di lavoro e precisare che, in talune circostanze, un siffatto comportamento può essere
considerato illecito. Nella suddetta dichiarazione va inoltre messo in luce l'impegno positivo da parte di dirigenti
e quadri nell'attuare una politica adeguata e nell'adottare i necessari provvedimenti correttivi per garantire il
rispetto delle procedure. In virtù di tale dichiarazione i dipendenti dovrebbero inoltre impegnarsi a aderire alla
politica suddetta e a garantire ai colleghi un trattamento che rispetti la dignità della loro persona.
Si raccomanda inoltre che tale dichiarazione specifichi la procedura di denuncia in caso di molestie sessuali sul
posto di lavoro per ottenere un'adeguata assistenza e per sapere esattamente presso chi sporgere querela; si
raccomanda inoltre che ogni denuncia di molestie sessuali venga affrontata seriamente, rapidamente e in via
confidenziale, che i dipendenti vengano protetti contro un processo di vittimizzazione o di rappresaglia per aver
protestato contro abusi di questo genere e che si garantisca l'applicazione dì misure disciplinari adeguate nei
confronti di dipendenti riconosciuti colpevoli di molestie sessuali.
ii) Comunicazione della dichiarazione di principio
Una volta messa a punto tale politica è importante garantirne un'efficace comunicazione a tutti i dipendenti
perché essi possano acquisire consapevolezza del proprio diritto di protestare e di sporgere querela presso le
persone competenti. Essi devono sapere che il loro reclamo sarà esaminato rapidamente e correttamente ed
essere informati delle probabili conseguenze di un'accettazione di un simile comportamento. In tale
comunicazione la direzione dovrà inoltre mostrarsi decisa a porre fine ad atti del genere, contribuendo così a
creare un ambiente di lavoro nel quale non vi sia posto per questo tipo di atteggiamenti.
iii) Responsabilità
Tutti i lavoratori devono contribuire ad assicurare un ambiente di lavoro in cui venga rispettata la loro dignità e in
cui i dirigenti (quadri compresi) abbiano il dovere particolare dì prevenire il verificarsi di abusi sessuali in quei
settori di lavoro dei quali essi sono responsabili. Si raccomanda che i dirigenti informino il loro personale circa
gli orientamenti politici della gestione e adottino adeguate misure intese a promuovere tale politica. I dirigenti
dovrebbero inoltre prestare attenzione e sostenere ogni membro del personale che sporga denuncia di molestia
sessuale, fornire chiare ed esaurienti indicazioni circa la procedura da seguire, mantenere la riservatezza in caso
dì molestia sessuale e prevenire ogni ulteriore problema analogo e ogni eventuale ritorsione successiva alla
soluzione del caso.
iv) Formazione
Un mezzo importante per prevenire il verificarsi di comportamenti a connotazione sessuale e per risolvere
efficacemente i problemi, qualora la molestia sessuale abbia luogo, è rappresentato da una giusta formazione in
materia dei dirigenti e dei quadri. L'obiettivo di tale formazione dovrebbe consistere nell'individuare i fattori che
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contribuiscono a rendere un ambiente di lavoro esente da siffatti comportamenti e a sensibilizzare i partecipanti
alle proprie responsabilità nell'ambìto della politica del datore di lavoro e di qualsiasi problema essi possano
incontrare.
Inoltre, a coloro che svolgono un ruolo ufficiale nell'ambito delle procedure formali di denuncia delle molestie
sessuali, andrebbe impartita la formazione specialistica di cui sopra.
È inoltre consigliabile includere nei programmi di avviamento e di formazione informazioni circa gli orientamenti
della gestione in merito alle molestie sessuali e alle procedure adottate.
B. PROCEDURE
Determinante è inoltre la messa a punto di chiare e precise procedure da adottare in caso di molestie sessuali.
Tali procedure dovrebbero garantire una soluzione dei problemi in modo efficiente ed efficace. Una guida pratica
destinata ai lavoratori sul comportamento da adottare in caso di molestie sessuali e di eventuali conseguenze
consentirà loro di affrontare il problema adeguatamente fin dall'inizio, nonché di attirare l'attenzione sui diritti
legittimi dei lavoratori e sui limiti dì tempo entro cui essi debbano essere esercitati.
i) Soluzione dei problemi per via informale
La maggior parte di coloro che sono oggetto di attenzioni moleste desiderano semplicemente la fine di questi
comportamenti. Si dovrebbe poter disporre di metodi sia informali che formali per risolvere problemi di questo
tipo.
In un primo momento bisognerebbe consigliare i dipendenti di risolvere, ove possibile, il problema per via
informale. In taluni casi potrebbe risultare sufficiente cercare di spiegare alla persona che si comporta
scorrettamente che il comportamento da esso assunto non è benaccetto, che offende o crea disagio e che
interferisce con lo svolgimento del lavoro.
In circostanze in cui sia troppo difficile o imbarazzante affrontare il problema per proprio conto, un'alternativa
potrebbe consistere nell'aiuto sollecitato o nell'opera di mediazione di un amico comprensivo o di un consulente
di fiducia.
Se il comportamento indesiderato permane o non si è in grado di risolvere il problema con mezzi informali, il
problema va sollevato tramite una denuncia ufficiale.
ii) Pareri ed assistenza
Si raccomanda che i datori di lavoro designino una persona competente incaricata di fornire consulenza e
assistenza ai dipendenti oggetto di attenzioni moleste e che si assuma la responsabilità di contribuire alla
soluzione di qualsiasi problema, sia con mezzi informali che formali.
Può essere positivo il fatto che tale funzionario venga designato con l'accordo dei sindacati o dei dipendenti in
quanto ciò aumenterà il consenso nei suoi confronti. Tali consiglieri potrebbero ad esempio essere membri del
servizio dei personale o del servizio che si occupa della parità di opportunità. In talune organizzazioni essi
vengono designati come «consiglieri di fiducia» o «colleghi comprensivi». Spesso un tale ruolo può essere svolto
dal sindacato dei lavoratori o dai gruppi di sostegno delle donne.
Qualunque sia il responsabile designato, si raccomanda che egli riceva la formazione più adeguata per risolvere
nel migliore dei modi i problemi specifici e venga informato in maniera particolareggiata circa la politica e le
prassi interne per poter svolgere efficacemente il compito assegnatogli. È importante inoltre che gli vengano
fornite adeguate risorse per ottemperare alle proprie mansioni e ogni protezione contro eventuali ritorsioni nei
suoi confronti.
iii) Procedura applicabile alla denuncia formale
Si raccomanda che laddove il querelante ritenga inadeguati i tentativi di soluzione del problema sul piano
informale, ove questi ultimi siano stati respinti o i risultati siano insoddisfacenti, si applichi una procedura
formale intesa a fornire un'adeguata soluzione. Tale procedura dovrà garantire ai lavoratori una seria presa di
posizione da parte dell'organizzazione nei confronti di tali denunce.
Data la natura stessa della molestia sessuale, può risultare talvolta alquanto difficile ricorrere ai normali canali di
protesta per motivi di imbarazzo, per il timore di non essere presi sul serio, di vedere compromessa la propria
reputazione, di rappresaglia o nella prospettiva di pregiudicare l'ambiente di lavoro. Pertanto la suddetta
procedura dovrebbe specificare quale sia la persona competente presso la quale inoltrare il reclamo e fornire
inoltre un'alternativa qualora, in circostanze particolari, la prassi normale risulti inadeguata, ad esempio, nel caso
specifico in cui il presunto persecutore sia proprio il direttore del personale. Si raccomanda inoltre di fornire ai
dipendenti la possibilità, qualora essi lo desiderino, di denunciare in prima istanza un eventuale abuso presso la
persona competente in materia del loro stesso sesso.
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È buona norma che i datori di lavoro controllino e riesaminino le denunce di molestie sessuali e la maniera in cui
esse sono stato risolte, per assicurarsi che le procedure applicate siano efficaci.
iv) Indagini
È importante assicurarsi che le indagini interne sollecitate in seguito ad un eventuale reclamo siano svolte
con sensibilità e con il dovuto rispetto per i diritti sia del querelante che del presunto molestatore. Esse
devono risultare autonome e obiettive. Gli incaricati di tali indagini non dovranno essere coinvolti in alcun
modo nella testimonianza e dovranno fare il possibile per risolvere al più presto la questione; le querele
dovranno essere esaminate in via prioritaria e la procedura dovrebbe fissare una scadenza di notifica della
denuncia nel rispetto dei limiti di tempo imposti dalla legislazione nazionale in materia di procedure
analoghe.
Si raccomanda il rispetto della prassi che prevede che sia il querelante sia il presunto molestatore godano dello
stesso diritto ad essere assistiti e/o essere rappresentati o da un rappresentante del loro sindacato o da un amico
o un collega. Al presunto molestatore devono essere forniti i dettagli esatti circa la natura della denuncia
presentata e deve essergli concesso l'opportunità di rispondere. Va inoltre garantita assoluta riservatezza in
merito a qualsivoglia indagine nel corso della denuncia. Ove si richieda l'intervento di testimoni, va sottolineata
l'importanza della riservatezza.
Riferire ad altri le proprie esperienze negative in materia di molestie sessuali è senz'altro sgradevole e penoso, nonché
lesivo della propria dignità. Va pertanto risparmiata alla vittima di tali molestie, qualora non sia necessaria,
un'esposizione ripetitiva dei fatti.
L'indagine dovrebbe essere incentrata sui fatti e si raccomanda pertanto al datore di lavoro di conservare un
resoconto completo di tutte le riunioni e di tutte le indagini effettuate.
v) Azione disciplinare
Si raccomanda che ogni violazione della politica interna a tutela della dignità dei dipendenti sul posto di lavoro
venga trattata come un reato disciplinare e le norme disciplinari specifichino esattamente che cosa si intenda per
comportamento inopportuno sul posto di lavoro. È inoltre buona norma assicurare una chiara definizione delle
pene previste per la violazione di tali norme e specificare che sarà considerato reato disciplinare il perseguitare o
il vendicarsi di un dipendente che, in buona fede, ha sporto denuncia di molestia sessuale.
Qualora la denuncia venga accolta e si determini la necessità di spostare o trasferire una delle parti,
bisognerebbe tenere in considerazione la possibilità di consentire al querelante di scegliere se egli desideri
rimanere al suo posto o essere trasferito altrove. Il querelante non dovrà essere sottoposto ad alcun
provvedimento disciplinare nel caso in cui il reclamo venga accolto ed inoltre, nel caso in cui una denuncia venga
riconosciuta valida, il datore di lavoro dovrà controllare la situazione per garantire la cessazione immediata di un
siffatto abuso.
Anche nel caso in cui la denuncia non sia accolta, ad esempio, nel caso in cui le prove addotte non siano ritenute
decisive, andrebbe presa in considerazione la possibilità di trasferire o di ristrutturare il lavoro di uno degli
interessati piuttosto che pretendere da essi la permanenza nello stesso ambiente di lavoro contrariamente ai
desideri dell'una o dell'altra parte.
6. RACCOMANDAZIONI AI SINDACATI
La molestia sessuale è un problema che riguarda sia i datori di lavoro che i sindacati. Si raccomanda come buona
norma che i sindacati formulino ed emettano chiare dichiarazioni di principio in materia e adottino le necessarie
misure per creare la consapevolezza del problema della molestia sessuale sul posto dì lavoro al fine di contribuire
ad instaurare un clima di lavoro in cui siffatti abusi non vengano né consentiti né ignorati. I sindacati dovrebbero
cercare di fornire ai funzionari e ai rappresentanti una formazione adeguata in materia di parità,
nonché sul comportamento da adottare in caso di molestie sessuali. Tali informazioni, unitamente a quelle sulla
politica adottata dai sindacati in materia, dovrebbero essere impartite in corsi di formazione specifici promossi
e/o approvati dai sindacati stessi. I sindacati dovrebbero considerate la prospettiva di dichiarare la molestia
sessuale un comportamento inadeguato e di istruire membri e funzionari circa le sue implicazioni.
I sindacati dovrebbero inoltre sollevare la questione con i datori di lavoro e promuovere l'adozione nell'ambito
interno di politiche e prassi adeguate intese a tutelare la dignità degli uomini e delle donne nel mondo dei lavoro.
Si raccomanda ai sindacati di informare gli iscritti del diritto di ciascuno a non sottostare a molestie sessuali sul
posto di lavoro e fornire loro orientamenti precisi circa le misure da adottare in caso di abusi sessuali perpetrati
nei loro confronti, nonché circa i loro diritti dal punto di vista giuridico.
Laddove si verifichino casi di denunce, è importante che i sindacati li affrontino con la dovuta serietà e
comprensione e garantiscano al querelante la possibilità di essere rappresentato nei caso in cui la denuncia abbia
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un seguito. E importante creare un ambiente in cui i diretti interessati siano motivati a sporgere querela
consapevoli di ottenere una risposta comprensiva ed il sostegno dei rappresentanti locali delle unioni sindacali. I
sindacati devono prendere in considerazione la prospettiva di designare funzionari con formazione speciale col
compito di consigliare ed informare i membri in merito ad eventuali denunce di molestia sessuale e di intervenire
a loro nome in caso di necessità. Essi svolgeranno pertanto un'attività di sostegno determinante. Un'idea positiva
sarebbe garantire una sufficiente rappresentanza femminile a sostegno delle lavoratrici oggetto di molestia
sessuale.
Si raccomanda inoltre, qualora il sindacato rappresenti sia il querelante che il presunto molestatore al fine
della procedura di presentazione della denuncia, di chiarire che il ruolo di rappresentanza dell'unione
sindacale non implica da parte di quest'ultima un atteggiamento conciliante nei confronti di un
comportamento offensivo. In ogni caso, non è consentito allo stesso funzionario rappresentare entrambe le
parti.
Si raccomanda agli interessati di conservare la documentazione dell'incidente in cui sia incorso il lavoratore
molestato per garantire la massima efficacia ad ogni eventuale azione formale o informale intrapresa in
proposito. Il sindacato auspica inoltre che gli vengano trasmessi e tutelati dal segreto tutti i dati relativi ad
eventuali incidenti di questo tipo. Le organizzazioni sindacali dovrebbero controllare e verificare i
documenti a loro disposizione in risposta ai reclami e in rappresentanza dei presunti molestatori e molestati
al fine di garantire l'efficacia delle loro risposte.
7. RESPONSABILITÀ DEI LAVORATORI
I lavoratori svolgono un ruolo decisivo nel contribuire a creare un clima di lavoro in cui la molestia sessuale sia
inaccettabile, Possono, infatti, contribuire a prevenire il verificarsi di tali molestie creando la consapevolezza e
sensibilità nei confronti del problema e assicurandosi che le norme comportamentali per quanto riguarda se
stessi e i colleghi non causino alcuna violazione della loro dignità.
I dipendenti possono contribuire notevolmente a scoraggiare atti di questo genere, mettendo in chiaro
l'inaccettabilità di siffatti comportamenti e sostenendo quei colleghi che ne sono vittime e che intendono
sporgere denuncia.
I lavoratori che sono a loro volta oggetto di molestie, laddove possibile, dovrebbero convincere il loro
persecutore che il suo comportamento è indesiderato ed inammissibile. Alle volte può bastare a porre fine a un
tale comportamento la presa di coscienza del molestatore dell'insostenibilità del suo atteggiamento. Qualora egli
persista, i dipendenti dovranno informarne la gestione e/o il loro rappresentante attraverso i giusti canali e
richiedere un'adeguata assistenza per porre fine a tali abusi, per via informale o formale.
Risoluzione A5-0283/2001 del Parlamento Europeo del 20 settembre 2001.
17
Il mobbing sul posto di lavoro
Il Parlamento europeo
..…
A. considerando che, secondo un sondaggio svolto tra 21.500 lavoratori dalla Fondazione europea per il
miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Fondazione di Dublino), nel corso degli ultimi 12 mesi l'8% dei
lavoratori dell'Unione europea, pari a 12 milioni di persone, è stato vittima di mobbing sul posto di lavoro, e che
si può presupporre che il dato sia notevolmente sottostimato,
B. considerando che l'incidenza di fenomeni di violenza e molestie sul lavoro, tra cui la Fondazione include il
mobbing, presenta sensibili variazioni tra gli Stati membri e che ciò è dovuto, secondo la Fondazione, al fatto che
in alcuni paesi soltanto pochi casi vengono dichiarati, che in altri la sensibilità verso il fenomeno è maggiore e che
esistono differenze tra i sistemi giuridici nonché differenze culturali; che la precarietà dell'impiego costituisce
una delle cause principali dell'aumento della frequenza di suddetti fenomeni,
C. considerando che la Fondazione di Dublino rileva che le persone esposte al mobbing subiscono uno stress
notevolmente più elevato rispetto agli altri lavoratori in generale e che le molestie costituiscono dei rischi
potenziali per la salute che spesso sfociano in patologie associate allo stress; che i dati nazionali sul mobbing
nella vita professionale, disaggregati per generi, non offrono, secondo l'Agenzia, un quadro uniforme della
situazione;
17
GUCE n. C 77E del 28 marzo 2002.
36
D. considerando che dai dati provenienti da uno degli Stati membri risulta che i casi di mobbing sono di gran
lunga più frequenti nelle professioni caratterizzate da un elevato livello di tensione, professioni esercitate
più comunemente da donne che da uomini e che hanno conosciuto una grande espansione nel corso degli
anni 90,
E. considerando che gli studi e l'esperienza empirica convergono nel rilevare un chiaro nesso tra, da una parte,
il fenomeno del mobbing nella vita professionale e, dall'altra, lo stress o il lavoro ad elevato grado di tensione,
l'aumento della competizione, la riduzione della sicurezza dell'impiego nonché l'incertezza dei compiti
professionali,
F. considerando che tra le cause del mobbing vanno ad esempio annoverate le carenze a livello di organizzazione
lavorativa, di informazione interna e di direzione; che problemi organizzativi irrisolti e di lunga durata si
traducono in pesanti pressioni sui gruppi di lavoro e possono condurre all'adozione della logica del "capro
espiatorio" e al mobbing; che le conseguenze per l'individuo e per il gruppo di lavoro possono essere rilevanti,
così come i costi per i singoli, le imprese e la società;
1. ritiene che il mobbing, fenomeno di cui al momento non si conosce la reale entità, costituisca un grave
problema nel contesto della vita professionale e che sia opportuno prestarvi maggiore attenzione e rafforzare le
misure per farvi fronte, inclusa la ricerca di nuovi strumenti per combattere il fenomeno;
2. richiama l'attenzione sul fatto che il continuo aumento dei contratti a termine e della precarietà del lavoro, in
particolare tra le donne, crea condizioni propizie alla pratica di varie forme di molestia;
3. richiama l'attenzione sugli effetti devastanti del mobbing sulla salute fisica e psichica delle vittime, nonché
delle loro famiglie, in quanto essi impongono spesso il ricorso ad un trattamento medico e psicoterapeutico e
conducono generalmente a un congedo per malattia o alle dimissioni;
4. richiama l'attenzione sul fatto che, secondo alcune inchieste, le donne sono più frequentemente vittime che
non gli uomini dei fenomeni di mobbing, che si tratti di molestie verticali: discendenti (dal superiore al
subordinato) o ascendenti (dal subordinato al superiore), di molestie orizzontali (tra colleghi di pari livello) o di
molestie miste;
5. richiama l'attenzione sul fatto che false accuse di mobbing possono trasformarsi a loro volta in un temibile
strumento di mobbing;
6. pone l'accento sul fatto che le misure contro il mobbing sul luogo di lavoro vanno considerate una
componente importante degli sforzi finalizzati all'aumento della qualità del lavoro e al miglioramento delle
relazioni sociali nella vita lavorativa; ritiene che esse contribuiscano altresì a combattere l'esclusione sociale, il
che può giustificare l'adozione di misure comunitarie e risulta in sintonia con l'Agenda sociale e gli orientamenti
in materia di occupazione dell'Unione europea;
7. rileva che i problemi di mobbing sul posto di lavoro vengono probabilmente ancora sottovalutati in molti
settori all'interno dell'UE e che vi sono molti argomenti a favore di iniziative comuni a livello dell'Unione, quali ad
esempio la difficoltà di trovare strumenti efficaci per prevenire e contrastare il fenomeno, il fatto che gli
orientamenti sulle misure per combattere il mobbing sul posto di lavoro possano produrre effetti normativi ed
influire sugli atteggiamenti e che l'adozione di tali orientamenti comuni sia giustificata anche da ragioni di equità;
8. esorta la Commissione a prendere ugualmente in considerazione, nelle sue comunicazioni relative a una
strategia comune in materia di salute e sicurezza sul lavoro e al rafforzamento della dimensione qualitativa della
politica occupazionale e sociale nonché nel libro verde sulla responsabilità sociale delle imprese, fattori psichici,
psicosociali e sociali connessi all'ambiente lavorativo, inclusa l'organizzazione lavorativa, invitandola pertanto ad
attribuire importanza a misure di miglioramento dell'ambiente lavorativo che siano lungimiranti, sistematiche e
preventive, finalizzate tra l'altro a combattere il mobbing sul posto di lavoro e a valutare l'esigenza di iniziative
legislative in tal senso;
9. esorta il Consiglio e la Commissione ad includere indicatori quantitativi relativi al mobbing sul posto di lavoro
negli indicatori relativi alla qualità del lavoro, che dovranno essere definiti in vista del Consiglio europeo di
Laeken;
10. esorta gli Stati membri a rivedere e, se del caso, a completare la propria legislazione vigente sotto il profilo
della lotta contro il mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro, nonché a verificare e ad uniformare la
definizione della fattispecie del "mobbing";
37
11. sottolinea espressamente la responsabilità degli Stati membri e dell'intera società per il mobbing e la violenza
sul posto di lavoro, ravvisando in tale responsabilità il punto centrale di una strategia di lotta a tale fenomeno;
12. raccomanda agli Stati membri di imporre alle imprese, ai pubblici poteri e alle parti sociali l'attuazione di
politiche di prevenzione efficaci, l'introduzione di un sistema di scambio di esperienze e l'individuazione di
procedure atte a risolvere il problema per le vittime e ad evitare sue recrudescenze; raccomanda, in tale
contesto,
la messa a punto di un'informazione e di una formazione dei lavoratori dipendenti, del personale di inquadra
mento, delle parti sociali e dei medici del lavoro, sia nel settore privato che nel settore pubblico; ricorda a tale
proposito la possibilità di nominare sul luogo di lavoro una persona di fiducia alla quale i lavoratori possono
eventualmente rivolgersi;
13. esorta la Commissione ad esaminare la possibilità di chiarificare o estendere il campo di applicazione della
direttiva quadro per la salute e la sicurezza sul lavoro oppure di elaborare una nuova direttiva quadro, come
strumento giuridico per combattere il fenomeno delle molestie, nonché come meccanismo di difesa del
rispetto della dignità della persona del lavoratore, della sua intimità e del suo onore; sottolinea pertanto che è
importante che la questione del miglioramento dell'ambiente di lavoro venga affrontata in modo sistematico e
con l'adozione di misure preventive;
14. sottolinea che una base statistica migliore può agevolare e ampliare la conoscenza e la ricerca e segnala il
ruolo che l'Eurostat e la Fondazione di Dublino possono svolgere in tale contesto; esorta la Commissione, la
Fondazione di Dublino e l'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro a prendere iniziative affinché
vengano condotti studi approfonditi in materia di mobbing;
15. sottolinea l'importanza di studiare più da vicino il fenomeno del mobbing sul posto di lavoro in relazione sia
agli aspetti attinenti all'organizzazione del lavoro sia a quelli legati a fattori quali genere, età, settore e tipo di
professione; chiede che lo studio in questione comprenda un'analisi della situazione particolare delle donne
vittime di mobbing;
16. constata che uno Stato membro ha già adottato una normativa mirante a lottare contro il mobbing sul posto
di lavoro e che altri Stati sono impegnati nella ratifica di una legislazione volta a reprimere tale fenomeno,
richiamandosi il più delle volte alle legislazioni adottate per reprimere le molestie sessuali; esorta gli Stati
membri a prestare attenzione al problema del mobbing sul luogo di lavoro e a tenerne conto nel contesto delle
rispettive legislazioni nazionali e di altre azioni;
17. esorta le istituzioni europee a fungere da modello sia per quanto riguarda l'adozione di misure per prevenire
e combattere il mobbing all'interno delle loro stesse strutture che per quanto riguarda l'aiuto e l'assistenza a
individui o gruppi di lavoro, prevedendo eventualmente un adeguamento dello statuto dei funzionari nonché
un'adeguata politica di sanzioni;
18. constata che le persone esposte al mobbing nelle istituzioni europee beneficiano attualmente di un aiuto
insufficiente e si compiace al riguardo con l'amministrazione per aver istituito da tempo un corso destinato in
particolare alle donne amministratrici intitolato "La gestione al femminile" e, più recentemente, un comitato
consultivo sul mobbing;
19. chiede che si esamini in quale misura la consultazione a livello comunitario tra le parti sociali può contribuire
a combattere il mobbing sul posto di lavoro e ad associare a tale lotta le organizzazioni dei lavoratori;
20. esorta le parti sociali negli Stati membri a elaborare, tra di loro e a livello comunitario, strategie idonee di
lotta contro il mobbing e la violenza sul luogo di lavoro, procedendo altresì a uno scambio di esperienze in merito
secondo il principio delle "migliori pratiche" ;
21. ricorda che il mobbing comporta altresì conseguenze nefaste per i datori di lavoro per quanto riguarda la
redditività e l'efficienza economica dell'impresa a causa dell'assenteismo che esso provoca, della riduzione della
produttività dei lavoratori indotta dal loro stato di confusione e di difficoltà di concentrazione nonché dalla
necessità di erogare indennità ai lavoratori licenziati;
22. sottolinea l'importanza di ampliare e chiarire la responsabilità del datore di lavoro per quanto concerne la
messa in atto di misure sistematiche atte a creare un ambiente di lavoro soddisfacente;
23. chiede che abbia luogo una discussione in merito alle modalità di sostegno alle reti e organizzazioni di
volontariato impegnate nella lotta al mobbing;
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24. invita la Commissione a presentare, entro il marzo 2002, un libro verde recante un'analisi dettagliata della
situazione relativa al mobbing sul posto di lavoro in ogni Stato membro e, sulla base di detta analisi, a presentare
successivamente, entro l'ottobre 2002, un programma d'azione concernente le misure comunitarie contro il
mobbing sul posto di lavoro; chiede che tale piano d'azione venga corredato di uno scadenzario;
5. incarica la sua Presidente di trasmettere la presente risoluzione alla Commissione, al Consiglio, alla Fondazione
europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro ed all'Agenzia europea per la sicurezza e la salute
sul lavoro.
39
Molestie e violenza sul luogo di lavoro
Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo dell’8 novembre 2007 che presenta
l'accordo quadro europeo sulle molestie e la violenza sul luogo di lavoro
La comunicazione si propone di informare il Parlamento europeo e il Consiglio sull’accordo quadro europeo
relativo alle molestie e alla violenza sul luogo di lavoro, firmato il 26 aprile 2007 da CES, BUSINESSEUROPE,
UEAPME e CEEP e fa seguito ad una consultazione organizzata dalla Commissione ed ai negoziati tra le parti
sociali europee svoltisi nel 2006. L’accordo, firmato ufficialmente e presentato alla stampa il 27 aprile 2007: mira a impedire e, se del caso, a gestire i problemi di prepotenza, molestie sessuali e violenza fisica sul luogo di
lavoro, - condanna tutte le forme di molestia e di violenza, - conferma il dovere del datore di lavoro di tutelare i
lavoratori contro tali rischi ed al rispetto dei principi di dignità, riservatezza, imparzialità ed equo trattamento.
Le imprese sono tenute ad adottare una politica di tolleranza zero nei confronti di tali comportamenti e a fissare
procedure per gestire i casi di molestie e violenza laddove essi si verifichino, procedure che possono
comprendere una fase informale con la partecipazione di una persona che goda della fiducia tanto della
direzione che dei lavoratori.
I ricorsi vanno esaminati e risolti rapidamente e contro i colpevoli saranno adottate misure adeguate –
dall'azione disciplinare al licenziamento – mentre alle vittime sarà fornita, se del caso, assistenza nel processo di
reinserimento.
L'accordo va attuato entro tre anni dalla firma. Nel quarto anno il comitato del dialogo sociale elaborerà una
relazione sulla sua attuazione. In particolare, la Commissione
- si impegna a pubblicare gli accordi autonomi e ad informare il Parlamento europeo e il Consiglio previa
valutazione del testo. Tale valutazione a priori riguarda sia la rappresentatività delle parti firmatarie sia il
contenuto dell'accordo;
- invita le istituzioni europee a promuovere l'accordo con tutti i loro mezzi, fornendo un'adeguata pubblicità e
sostenendo l'attuazione a livello nazionale;
- fornirà tutto l'aiuto necessario alle parti sociali durante il processo di attuazione. Una volta scaduto il periodo di
attuazione, pur concedendo la precedenza ai controlli effettuati dalle parti sociali stesse, effettuerà i propri
controlli per valutare fino a che punto l'accordo abbia contribuito al raggiungimento degli obiettivi comunitari.
Accordo quadro (26 aprile 2007)
1. Introduzione
Il rispetto reciproco della dignità a tutti i livelli sul luogo di lavoro è una delle caratteristiche principali delle
organizzazioni di successo. Per questo motivo le molestie e la violenza sono inaccettabili. BUSINESSEUROPE,
UEAPME, CEEP e CES (come pure il comitato di collegamento EUROCADRES/CEC) le condannano in tutte le loro
forme. Essi ritengono che sia nell'interesse tanto del datore di lavoro quanto dei lavoratori affrontare la
questione, che può comportare gravi conseguenze sociali ed economiche.
Le legislazioni nazionali e comunitaria stabiliscono l'obbligo dei datori di lavoro di proteggere i lavoratori contro
le molestie e la violenza sul luogo di lavoro.
Varie sono le forme di molestie e di violenza che possono presentarsi sul luogo di lavoro.
Esse possono:
- essere di natura fisica, psicologica e/o sessuale;
- costituire incidenti isolati o comportamenti più sistematici;
- avvenire tra colleghi, tra superiori e subordinati o da parte di terzi, ad esempio clienti, pazienti, studenti, ecc.;
- andare da manifestazioni lievi (mancanza di rispetto) ad atti più gravi, ad esempio reati che richiedono
l'intervento delle autorità pubbliche.
Le parti sociali europee riconoscono che le molestie e la violenza possono interessare qualsiasi posto di lavoro e
qualsiasi lavoratore, indipendentemente dall'ampiezza dell'impresa, dal settore di attività o dalla forma di
contratto o di relazione di lavoro. Peraltro alcuni gruppi e settori possono essere più a rischio di altri. Nella
pratica il fenomeno non interessa tutti i posti di lavoro né tutti i lavoratori.
Il presente accordo riguarda le forme di molestie e di violenza di competenza delle parti sociali e corrisponde alla
descrizione di cui al punto 3 seguente.
2. Obiettivo
Il presente accordo ha l'obiettivo di:
- sensibilizzare maggiormente i datori di lavoro, i lavoratori e i loro rappresentanti sulle molestie e sulla violenza
sul luogo di lavoro;
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- fornire ai datori di lavoro, ai lavoratori e ai loro rappresentanti a tutti i livelli un quadro di azioni concrete per
individuare, prevenire e gestire le situazioni di molestie e di violenza sul luogo di lavoro.
3. Descrizione
Molestie e violenza sono l'espressione di comportamenti inaccettabili di uno o più individui e possono assumere
varie forme, alcune delle quali sono più facilmente identificabili di altre. L'ambiente di lavoro può influire
sull'esposizione delle persone alle molestie e alla violenze.
Le molestie avvengono quando uno o più lavoratori o dirigenti sono ripetutamente e deliberatamente
maltrattati, minacciati e/o umiliati in circostanze connesse al lavoro.
La violenza interviene quando uno o più lavoratori o dirigenti sono aggrediti in circostanze connesse al lavoro.
Molestie e violenza possono essere esercitate da uno o più lavoratori o dirigenti, allo scopo e con l'effetto di
ferire la dignità della persona interessata, nuocere alla sua salute e/o creare un ambiente di lavoro ostile.
4. Prevenire, riconoscere e gestire le situazioni di molestie e violenza
Una maggiore consapevolezza e una formazione adeguata dei dirigenti e dei lavoratori possono ridurre le
probabilità di molestie e di violenza sul luogo di lavoro.
Le imprese debbono elaborare una dichiarazione precisa che indichi che le molestie e la violenza non saranno
tollerate. Tale dichiarazione deve specificare le procedure da seguire in caso di incidenti. Le procedure possono
includere una fase informale in cui una persona che gode della fiducia tanto della direzione quanto dei lavoratori
è disponibile per fornire consigli e assistenza. È possibile che procedure preesistenti siano adeguate ai problemi
di molestie e violenza.
Una procedura adeguata deve ispirarsi, ma non limitarsi, alle seguenti considerazioni:
- é nell'interesse di tutte le parti agire con la discrezione necessaria per tutelare la dignità e la vita privata di tutti;
- non vanno divulgate informazioni alle parti non implicate nel caso;
- i ricorsi debbono essere esaminati e trattati senza indebiti ritardi;
- tutte le parti coinvolte debbono fruire di un'audizione imparziale e di un trattamento equo;
- i ricorsi debbono essere sostenuti da informazioni particolareggiate;
- non vanno tollerate false accuse, che potranno esporre gli autori a misure disciplinari;
- può rivelarsi utile un'assistenza esterna.
Ove siano state constatate molestie e violenza, occorre adottare misure adeguate nei confronti del/degli
autore/i. Tali misure possono andare da sanzioni disciplinari al licenziamento.
La/le vittima/e deve/devono ricevere sostegno e, se del caso, essere assistita/e nel processo di reinserimento.
I datori di lavoro, in consultazione con i lavoratori e/o i loro rappresentanti, elaborano, riesaminano e controllano
tali procedure, al fine di garantirne l'efficacia nella prevenzione dei problemi e nella loro risoluzione, ove essi
sorgano.
Le disposizioni del presente capitolo possono essere applicate ai casi di violenza esterna.
5. Attuazione e verifica
Nel contesto dell'articolo 139 del trattato, il presente accordo quadro autonomo europeo impegna i membri di
BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP e CES (nonché il comitato di collegamento EUROCADRES/CEC) ad attuarlo
secondo le procedure e le prassi proprie alle parti sociali negli Stati membri e nei paesi dello Spazio economico
europeo.
Le parti firmatarie invitano altresì le relative organizzazioni associate nei paesi candidati ad attuare il presente
accordo.
Il presente accordo sarà attuato entro tre anni dalla data della firma.
Le organizzazioni associate riferiranno al comitato del dialogo sociale circa l'attuazione del presente accordo.
Durante i primi tre anni dalla data della firma il comitato del dialogo sociale elaborerà e adotterà una tabella
annuale con un quadro riassuntivo dell'andamento dell'attuazione dell'accordo. Nel quarto anno il comitato del
dialogo sociale elaborerà una relazione completa sulle misure di attuazione; la relazione sarà adottata dalle parti
sociali europee.
Alla scadenza dei cinque anni dalla data della firma le parti firmatarie valuteranno e riesamineranno l'accordo,
qualora una di esse ne faccia richiesta.
In caso di dubbi circa il contenuto del presente accordo, le organizzazioni associate interessate possono,
separatamente o congiuntamente, rivolgersi alle parti firmatarie, che risponderanno alle domande
congiuntamente o separatamente.
Nel quadro dell'attuazione del presente accordo, i membri delle parti firmatarie eviteranno di imporre alle PMI
un onere di lavoro eccessivo.
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L'attuazione del presente accordo non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di protezione
offerto ai lavoratori nel campo coperto dal presente accordo.
Il presente accordo non pregiudica il diritto delle parti sociali di concludere, al livello appropriato, compreso
quello europeo, accordi intesi ad adeguare e/o a completare il presente accordo di modo che esso tenga conto
delle esigenze specifiche delle parti sociali interessate.
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NAZIONALE
Decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215
Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla
razza e dall'origine etnica
Art. 1 - Oggetto
1. Il presente decreto reca le disposizioni relative all'attuazione della parità di trattamento tra le persone
indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, disponendo le misure necessarie affinché le differenze di
razza o di origine etnica non siano causa di discriminazione, anche in un'ottica che tenga conto del diverso
impatto che le stesse forme di discriminazione possono avere su donne e uomini, nonché dell'esistenza di forme
di razzismo a carattere culturale e religioso.
Art. 2 - Nozione di discriminazione
1. Ai fini del presente decreto, per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi
discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell'origine etnica. Tale principio comporta che non sia
praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite:
a) discriminazione diretta quando, per la razza o l'origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di
quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in situazione analoga;
b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un
comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica
in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone.
2. È fatto salvo il disposto dell'articolo 43, commi 1 e 2, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n.
286, di seguito denominato: «testo unico».
3. Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei
comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l'effetto di
violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.
4. L'ordine di discriminare persone a causa della razza o dell'origine etnica è considerato una discriminazione ai
sensi del comma 1.
Art. 3 - Ambito di applicazione
1. Il principio di parità di trattamento senza distinzione di razza ed origine etnica si applica a tutte le persone sia
nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale, secondo le forme previste dall'articolo
4, con specifico riferimento alle seguenti aree:
a) accesso all'occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni
di assunzione;
b) occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del
licenziamento;
c) accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione
professionale, inclusi i tirocini professionali;
d) affiliazione e attività nell'ambito di organizzazioni di lavoratori, di datori di lavoro o di altre organizzazioni
professionali e prestazioni erogate dalle medesime organizzazioni;
e) protezione sociale, inclusa la sicurezza sociale;
f) assistenza sanitaria;
g) prestazioni sociali;
h) istruzione;
i) accesso a beni e servizi, incluso l'alloggio.
2. Il presente decreto legislativo non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalità e non
pregiudica le disposizioni nazionali e le condizioni relative all'ingresso, al soggiorno, all'accesso all'occupazione,
all'assistenza e alla previdenza dei cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato, né qualsiasi
trattamento, adottato in base alla legge, derivante dalla condizione giuridica dei predetti soggetti.
3. Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio
dell'attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di
trattamento dovute a caratteristiche connesse alla razza o all'origine etnica di una persona, qualora, per la
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natura di un'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che
costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima.
4. Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell'Art.2 quelle differenze di trattamento che,
pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite
attraverso mezzi appropriati e necessari.
Art. 4 - Tutela giurisdizionale dei diritti
1. La tutela giurisdizionale avverso gli atti e i comportamenti di cui all'Art.2 si svolge nelle forme previste
dall'articolo 44, commi da 1 a 6, 8 e 11, del testo unico, in quanto compatibili.
2. Chi intende agire in giudizio per il riconoscimento della sussistenza di una delle discriminazioni di cui
all'articolo 2 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, può
promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile o, nell'ipotesi di
rapporti di lavoro con le amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, anche tramite le associazioni di cui all'articolo 5, comma 1.
3. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, idonei a fondare,
in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta
al convenuto l'onere di provare l'insussistenza della discriminazione.
4. Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del
danno anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto
discriminatorio, ove ancora sussistente, nonché la rimozione degli effetti. Al fine di impedirne la ripetizione, il
giudice può ordinare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni
accertate.
5. Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno di cui al comma 4, che l'atto o il comportamento
discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una
precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.
6. Il giudice può ordinare la pubblicazione del provvedimento di cui ai commi 4 e 5, a spese del convenuto, per
una sola volta su un quotidiano di tiratura nazionale.
7. Resta salva la giurisdizione del giudice amministrativo per il personale di cui all'articolo 3, comma 1, del
decreto legislativo. 30 marzo 2001, n. 165.
Art. 4-bis. - Protezione delle vittime
1. La tutela giurisdizionale di cui all'articolo 4 si applica altresì nei casi di comportamenti, trattamenti o altre
conseguenze pregiudizievoli posti in essere o determinate, nei confronti della persona lesa da una
discriminazione diretta o indiretta o di qualunque altra persona, quale reazione ad una qualsiasi attività diretta
ad ottenere la parità di trattamento.
Art. 5 - Legittimazione ad agire
1. Sono legittimati ad agire ai sensi degli articoli 4 e 4-bis, in forza di delega, rilasciata, a pena di nullità, per atto
pubblico o scrittura privata autenticata, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della
discriminazione, le associazioni e gli enti inseriti in un apposito elenco approvato con decreto del Ministro del
Lavoro e delle politiche sociali e del Ministro per le pari opportunità ed individuati sulla base delle finalità
programmatiche e della continuità dell'azione.
2. Nell'elenco di cui al comma 1 possono essere inseriti le associazioni e gli enti iscritti nel registro di cui
all'articolo 52, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, nonché le
associazioni e gli enti iscritti nel registro di cui all'articolo 6.
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3. Le associazioni e gli enti inseriti nell'elenco di cui al comma 1 sono, altresì, legittimati ad agire ai sensi degli
articoli 4 e 4-bis nei casi di discriminazione collettiva qualora non siano individuabili in modo diretto e immediato
le persone lese dalla discriminazione.
Art. 6 - Registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni
1. Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per le Pari opportunità è istituito il registro delle
associazioni e degli enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni e della promozione della
parità di trattamento.
2. L'iscrizione nel registro è subordinata al possesso dei seguenti requisiti:
a) avvenuta costituzione, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, da almeno un anno e possesso di
uno statuto che sancisca un ordinamento a base democratica e preveda come scopo esclusivo o preminente il
contrasto ai fenomeni di discriminazione e la promozione della parità di trattamento, senza fine di lucro;
b) tenuta di un elenco degli iscritti, aggiornato annualmente con l'indicazione delle quote versate direttamente
all'associazione per gli scopi statutari;
c) elaborazione di un bilancio annuale delle entrate e delle uscite con indicazione delle quote versate dagli
associati e tenuta dei libri contabili, conformemente alle norme vigenti in materia di contabilità delle associazioni
non riconosciute;
d) svolgimento di un'attività continuativa nell'anno precedente;
e) non avere i suoi rappresentanti legali subito alcuna condanna, passata in giudicato, in relazione all'attività
dell'associazione medesima, e non rivestire i medesimi rappresentanti la qualifica di imprenditori o di
amministratori di imprese di produzione e servizi in qualsiasi forma costituite, per gli stessi settori in cui opera
l'associazione.
3. La Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per le Pari opportunità provvede annualmente
all'aggiornamento del registro.
Art. 7 - Ufficio per il contrasto delle discriminazioni
1. È istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per le Pari opportunità un ufficio per la
promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull'origine
etnica, con funzioni di controllo e garanzia delle parità di trattamento e dell'operatività degli strumenti di tutela,
avente il compito di svolgere, in modo autonomo e imparziale, attività di promozione della parità e di rimozione
di qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla razza o sull'origine etnica, anche in un'ottica che tenga conto
del diverso impatto che le stesse discriminazioni possono avere su donne e uomini, nonché dell'esistenza di
forme di razzismo a carattere culturale e religioso.
2. In particolare, i compiti dell'ufficio di cui al comma 1 sono i seguenti:
a) fornire assistenza, nei procedimenti giurisdizionali o amministrativi intrapresi, alle persone che si ritengono
lese da comportamenti discriminatori, anche secondo le forme di cui all'articolo 425 del codice di procedura
civile;
b) svolgere, nel rispetto delle prerogative e delle funzioni dell'autorità giudiziaria, inchieste al fine di verificare
l'esistenza di fenomeni discriminatori;
c) promuovere l'adozione, da parte di soggetti pubblici e privati, in particolare da parte delle associazioni e degli
enti di cui all'articolo 6, di misure specifiche, ivi compresi progetti di azioni positive, dirette a evitare o
compensare le situazioni di svantaggio connesse alla razza o all'origine etnica;
d) diffondere la massima conoscenza possibile degli strumenti di tutela vigenti anche mediante azioni di
sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul principio della parità di trattamento e la realizzazione di campagne di
informazione e comunicazione;
e) formulare raccomandazioni e pareri su questioni connesse alle discriminazioni per razza e origine etnica,
nonché proposte di modifica della normativa vigente;
f) redigere una relazione annuale per il Parlamento sull'effettiva applicazione del principio di parità di
trattamento e sull'efficacia dei meccanismi di tutela, nonché una relazione annuale al Presidente del Consiglio
sull'attività svolta;
g) promuovere studi, ricerche, corsi di formazione e scambi di esperienze, in collaborazione anche con le
associazioni e gli enti di cui all'articolo 6, con le altre organizzazioni non governative operanti nel settore e con gli
istituti specializzati di rilevazione statistica, anche al fine di elaborare linee guida in materia di lotta alle
discriminazioni.
3. L'ufficio ha facoltà di richiedere ad enti, persone ed imprese che ne siano in possesso, di fornire le
informazioni e di esibire i documenti utili ai fini dell'espletamento dei compiti di cui al comma 2.
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4. L'ufficio, diretto da un responsabile nominato dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un Ministro da lui
delegato, si articola secondo le modalità organizzative fissate con successivo decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri, con cui si provvede ad apportare le opportune modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri in data 23 luglio 2002, recante ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei
Ministri (G.U. n. 207 del 4 settembre 2002).
5. L'ufficio può avvalersi anche di personale di altre amministrazioni pubbliche, ivi compresi magistrati e avvocati
e procuratori dello Stato, in posizione di comando, aspettativa o fuori ruolo, nonché di esperti e consulenti
esterni. Si applica l'articolo 17, commi 14 e 17, della legge 15 maggio 1997, n. 127.
6. Il numero dei soggetti di cui al comma 5 è determinato con il decreto di cui al comma 4, secondo quanto
previsto dall'articolo 29 della legge 23 agosto 1988, n. 400 e dall'articolo 9 del decreto legislativo 23 luglio 1999,
n. 303.
7. Gli esperti di cui al comma 5 sono scelti tra soggetti, anche estranei alla pubblica amministrazione, dotati di
elevata professionalità nelle materie giuridiche, nonché nei settori della lotta alle discriminazioni, dell'assistenza
materiale e psicologica ai soggetti in condizioni disagiate, del recupero sociale, dei servizi di pubblica utilità, della
comunicazione sociale e dell'analisi delle politiche pubbliche.
8. Sono fatte salve le competenze delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano.
Art. 8 - Copertura finanziaria
1. Agli oneri finanziari derivanti dall'istituzione e funzionamento dell'ufficio di cui all'articolo 7, nel limite
massimo di spesa di 2.035.357 € annui a decorrere dal 2003, si provvede ai sensi dell'articolo 29, comma 2, della
legge 1° marzo 2002, n. 39.
2. Fatto salvo quanto previsto dal comma 1, dall'attuazione del presente decreto non derivano oneri aggiuntivi
per il bilancio dello Stato.
Decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216
Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione
e di condizioni di lavoro
Art. 1 - Oggetto
1. Il presente decreto reca le disposizioni relative all'attuazione della parità di trattamento fra le persone
indipendentemente dalla religione, dalle convinzioni personali, dagli handicap, dall'età e dall'orientamento
sessuale, per quanto concerne l'occupazione e le condizioni di lavoro, disponendo le misure necessarie affinché
tali fattori non siano causa di discriminazione, in un'ottica che tenga conto anche del diverso impatto che le
stesse forme di discriminazione possono avere su donne e uomini.
Art. 2 - Nozione di discriminazione
1. Ai fini del presente decreto e salvo quanto disposto dall'articolo 3, commi da 3 a 6, per principio di parità di
trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle
convinzioni personali, degli handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale. Tale principio comporta che non sia
praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite:
a) discriminazione diretta quando, per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per
orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata
un'altra in una situazione analoga;
b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un
comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione
o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un
orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone.
2. È fatto salvo il disposto dell'articolo 43, commi 1 e 2 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n.
286.
3. Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei
comportamenti indesiderati, posti in essere per uno dei motivi di cui all'articolo 1, aventi lo scopo o l'effetto di
violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.
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4. L'ordine di discriminare persone a causa della religione, delle convinzioni personali, dell'handicap, dell'età o
orientamento sessuale è considerata una discriminazione ai sensi del comma 1.
Art. 3 - Ambito di applicazione
1. Il principio di parità di trattamento senza distinzione di religione, di convinzioni personali, di handicap, di età e
di orientamento sessuale si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di
tutela giurisdizionale secondo le forme previste dall'articolo 4, con specifico riferimento alle seguenti aree:
a) accesso all'occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni
di assunzione;
b) occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del
licenziamento;
c) accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione
professionale, inclusi i tirocini professionali;
d) affiliazione e attività nell'ambito di organizzazioni di lavoratori, di datori di lavoro o di altre organizzazioni
professionali e prestazioni erogate dalle medesime organizzazioni.
2. La disciplina di cui al presente decreto fa salve tutte le disposizioni vigenti in materia di:
a) condizioni di ingresso, soggiorno ed accesso all'occupazione, all'assistenza e alla previdenza dei cittadini dei
Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato;
b) sicurezza e protezione sociale;
c) sicurezza pubblica, tutela dell'ordine pubblico, prevenzione dei reati e tutela della salute;
d) stato civile e prestazioni che ne derivano;
e) forze armate, limitatamente ai fattori di età e di handicap.
3. Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, e purché la finalità sia legittima, nell'ambito del
rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi
dell'Articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni
personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività
lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito
essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima.
4. Sono fatte salve le disposizioni che prevedono accertamenti di idoneità al lavoro nel rispetto di quanto
stabilito dai commi 2 e 3.
4-bis. Sono fatte salve le disposizioni che prevedono trattamenti differenziati in ragione dell'età' dei lavoratori e
in particolare quelle che disciplinano:
a) la definizione di condizioni speciali di accesso all'occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e
di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e di retribuzione, per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori
con persone a carico, allo scopo di favorire l'inserimento professionale o di assicurare la protezione degli stessi;
b) la fissazione di condizioni minime di età, di esperienza professionale o di anzianità di lavoro per l'accesso
all'occupazione o a taluni vantaggi connessi all'occupazione;
c) la fissazione di un'età massima per l'assunzione, basata sulle condizioni di formazione richieste per il lavoro in
questione o sulla necessità di un ragionevole periodo di lavoro prima del pensionamento.
4-ter. Le disposizioni di cui al comma 4-bis sono fatte salve purché siano oggettivamente e ragionevolmente
giustificate da finalità legittime, quali giustificati obiettivi della politica del lavoro, del mercato del lavoro e della
formazione professionale, qualora i mezzi per il conseguimento di tali finalità siano appropriati e necessari.
5. Non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla
professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell'ambito
di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la
natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate,
costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività.
6. Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento
che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime
perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari. In particolare, resta ferma la legittimità di atti diretti
all'esclusione dallo svolgimento di attività lavorativa che riguardi la cura, l'assistenza, l'istruzione e l'educazione
di soggetti minorenni nei confronti di coloro che siano stati condannati in via definitiva per reati che concernono
la libertà sessuale dei minori e la pornografia minorile.
Art. 4 - Tutela giurisdizionale dei diritti
47
1. All'articolo 15, comma 2, della legge 20 maggio 1970, n. 300, dopo la parola «sesso» sono aggiunte le seguenti:
«, di handicap, di età o basata sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali».
2. La tutela giurisdizionale avverso gli atti e i comportamenti di cui all'Articolo 2 si svolge nelle forme previste
dall'articolo 44, commi da 1 a 6, 8 e 11, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n.
286.
3. Chi intende agire in giudizio per il riconoscimento della sussistenza di una delle discriminazioni di cui
all'articolo 2 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, può
promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile o, nell'ipotesi di
rapporti di lavoro con le amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, anche tramite le rappresentanze locali di cui all'articolo 5.
4. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto idonei a fondare, in termini gravi, precisi e concordanti, la
presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l'onere di provare
l'insussistenza della discriminazione.
5. Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del
danno anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto
discriminatorio, ove ancora sussistente, nonché la rimozione degli effetti. Al fine di impedirne la ripetizione, il
giudice può ordinare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni
accertate.
6. Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno di cui al comma 5, che l'atto o comportamento
discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una
precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.
7. Il giudice può ordinare la pubblicazione del provvedimento di cui ai commi 5 e 6, a spese del convenuto, per
una sola volta su un quotidiano di tiratura nazionale.
8. Resta salva la giurisdizione del giudice amministrativo per il personale di cui all'articolo 3, comma 1, del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
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Art. 4-bis - Protezione delle vittime
1. La tutela giurisdizionale di cui all'articolo 4 si applica altresì avverso ogni comportamento pregiudizievole posto
in essere, nei confronti della persona lesa da una discriminazione diretta o indiretta o di qualunque altra persona,
quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere la parità di trattamento.
Art. 5 - Legittimazione ad agire
1. Le organizzazioni sindacali, le associazioni e le organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso, in
forza di delega, rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata, a pena di nullità, sono legittimate ad
agire ai sensi dell'Articolo 4, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione, contro
la persona fisica o giuridica cui è riferibile il comportamento o l'atto discriminatorio.
2. I soggetti di cui al comma 1 sono altresì legittimati ad agire nei casi di discriminazione collettiva qualora non
siano individuabili in modo diretto e immediato le persone lese dalla discriminazione.
Art. 6 – Relazione
1. Entro il 2 dicembre 2005 e successivamente ogni 5 anni, il Ministero del Lavoro trasmette alla Commissione
europea una relazione contenente le informazioni relative all'applicazione del presente decreto.
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REGIONE VENETO
Legge Regionale 22 gennaio 2010, n.8
Prevenzione e contrasto dei fenomeni di mobbing e tutela della salute psico-sociale della persona sul luogo del
lavoro (Bur n. 8 del 26 gennaio 2010)
Art. 1 - Inviolabilità della dignità umana
1. La Regione del Veneto riconosce l’inviolabilità della dignità umana e il diritto di ogni individuo alla propria
integrità psico-fisica, al fine di tutelare la persona nei luoghi di lavoro e in relazione all’attività lavorativa svolta.
2. Tutti i lavoratori hanno diritto ad eguale rispetto e considerazione della loro persona e a non essere,
direttamente o indirettamente, oggetto di comportamenti discriminatori o vessatori o di trattamenti degradanti
o umilianti.
Art. 2 - Finalità
1. La Regione del Veneto, in attuazione degli articoli 1, 2, 3, 4, 21, 32, 35 e 41 della Costituzione, nel rispetto della
normativa statale vigente e dell’ordinamento comunitario, promuove e sostiene azioni ed iniziative volte a
prevenire il disagio lavorativo, a contrastare l’insorgenza e la diffusione di fenomeni di mobbing e di stress psicosociale e a disincentivare comportamenti discriminatori o vessatori correlati all’attività lavorativa promuovendo
corretti stili di vita.
2. Per il conseguimento delle finalità di cui al comma 1 sono, altresì, promosse in collaborazione con le parti
sociali interessate, con l’Osservatorio regionale sul mobbing, disagio lavorativo e stress psico-sociale nei luoghi di
lavoro, di cui all’articolo 5, e con le strutture sanitarie e socio sanitarie azioni di prevenzione, formazione,
sostegno, informazione, ricerca ed assistenza.
Art. 3 - Formazione
1. La Giunta regionale, anche attraverso le aziende unità locali socio-sanitarie (ULSS), approva progetti di
formazione professionale sul fenomeno del mobbing e sullo stress psico-sociale correlati all’attività lavorativa
rivolti prioritariamente ai seguenti soggetti:
a) medici di medicina generale;
b) operatori dei servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (SPISAL) e di salute mentale delle
aziende ULSS;
c) operatori degli sportelli di assistenza ed ascolto sul mobbing, sul disagio lavorativo e sullo stress psico-sociale
nei luoghi di lavoro di cui all’articolo 6;
d) componenti dei comitati e delle commissioni regionali sulle pari opportunità e sul fenomeno del mobbing.
Art. 4 - Informazione e ricerca
1. La Giunta regionale promuove e realizza:
a) campagne pubblicitarie e informative per favorire la più ampia conoscenza della presente legge e delle azioni
ed interventi in essa previsti ed attuati;
b) studi e ricerche sul mobbing e sullo stress psico-sociale sui luoghi di lavoro anche attraverso le aziende ULSS e
l’Osservatorio regionale sul mobbing, disagio lavorativo e stress psico-sociale nei luoghi di lavoro di cui
all’articolo 5;
c) la realizzazione di strumenti permanenti di documentazione e informazione;
d) l’attivazione, nell’ambito di quanto consentito dall’ordinamento vigente, di corsi post-laurea nelle discipline
specifiche oggetto della presente legge.
Art. 5 - Osservatorio regionale sul mobbing, disagio lavorativo e stress psico-sociale nei luoghi di lavoro
1. Presso la Giunta regionale è istituito l’Osservatorio regionale sul mobbing, disagio lavorativo e stress psicosociale nei luoghi di lavoro composto da:
a) il Presidente della Giunta regionale, o un assessore delegato, che lo presiede;
b) un membro designato dal comitato regionale di coordinamento per la sicurezza nei luoghi di lavoro di cui
all’articolo 7 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 “Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n.
123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”;
c) il dirigente responsabile della struttura regionale competente in materia di prevenzione, o suo delegato;
d) il dirigente responsabile della struttura regionale competente in materia di lavoro, o suo delegato;
50
e) un rappresentante designato congiuntamente dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori;
f) un rappresentante designato congiuntamente dalle organizzazioni dei datori di lavoro;
g) un medico del lavoro ed uno psicologo scelti tra una terna di nominativi proposta dai rispettivi ordini regionali;
h) un avvocato con documentata esperienza nella materia oggetto della presente legge, iscritto da almeno dieci
anni all’Albo di uno degli ordini della circoscrizione della Corte di Appello di Venezia e scelto tra terne di
nominativi proposte da ciascun ordine.
2. I componenti esterni dell’Osservatorio sono nominati dalla Giunta regionale in deroga alle disposizioni della
legge regionale 22 luglio 1997, n. 27 “Procedure per la nomina e designazione a pubblici incarichi di competenza
regionale e disciplina della durata degli organi” e successive modificazioni e durano in carica per cinque anni.
3. Entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge la Giunta regionale definisce le modalità di
funzionamento dell’Osservatorio.
4. Ai componenti esterni dell’Osservatorio si applica l’articolo 187 della legge regionale 10 giugno 1991, n. 12
“Organizzazione amministrativa e ordinamento del personale della regione” e successive modificazioni.
5. L’Osservatorio svolge i seguenti compiti:
a) formula proposte alla Giunta regionale in ordine alle azioni ed interventi di cui alla presente legge;
b) svolge attività di consulenza nei confronti degli organi regionali, e si raccorda con gli enti pubblici, le
associazioni, gli enti privati e le aziende ULSS che adottino progetti o sviluppino iniziative a sostegno delle finalità
della presente legge;
c) si raccorda con i comitati paritetici sul fenomeno del mobbing o organismi analoghi eventualmente previsti dai
contratti collettivi di lavoro;
d) realizza il monitoraggio e le analisi del fenomeno del mobbing e dello stress psico-sociale nei luoghi di lavoro,
anche avvalendosi degli enti strumentali della Regione del Veneto, delle aziende ULSS, dei centri di ascolto, e
delle associazioni, pubbliche e private, competenti in materia;
e) promuove studi, ricerche, campagne di sensibilizzazione e di informazione in raccordo con i soggetti
destinatari della presente legge;
f) promuove protocolli d’intesa e collaborazioni con gli organismi di vigilanza, al fine di contrastare il fenomeno
del mobbing e dello stress psico-sociale nei luoghi di lavoro, anche nell’ambito dello svolgimento delle loro
attività istituzionali;
g) si collega con l’Osservatorio Nazionale Mobbing istituito presso l'Università La Sapienza di Roma e con gli altri
osservatori istituiti da altre regioni, enti ed istituzioni.
Art. 6 - Sportelli di assistenza ed ascolto sul mobbing, sul disagio lavorativo e sullo stress psico-sociale nei luoghi
di lavoro
1. Le aziende ULSS istituiscono nell’ambito della propria organizzazione amministrativa, anche a livello di singolo
distretto, appositi sportelli di assistenza ed ascolto sul mobbing, sul disagio lavorativo e sullo stress psico-sociale
nei luoghi di lavoro con il compito di:
a) fornire informazioni ed indicazioni sui diritti dei lavoratori e sui relativi strumenti di tutela;
b) orientare il lavoratore presso le strutture di supporto presenti nella Regione.
Art. 7 - Centri di riferimento per il benessere organizzativo
1. Ogni azienda ULSS del comune capoluogo di provincia istituisce, nell’ambito della propria organizzazione
amministrativa, un centro di riferimento per il benessere organizzativo nei luoghi di lavoro con i seguenti compiti:
a) accertamento dello stato di disagio psico-sociale o di malattia del lavoratore ed eventuale indicazione del
percorso terapeutico di sostegno, cura e riabilitazione;
b) individuazione delle eventuali misure di tutela da adottarsi da parte dei datori di lavoro nelle ipotesi di rilevati
casi di disagio lavorativo;
c) supporto agli SPISAL nelle verifiche sui luoghi di lavoro in tema di valutazione dei rischi psico-sociali ai sensi
dell’articolo 28 del decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni.
2. Nei centri di cui al comma 1 è istituito un collegio multidisciplinare di specialisti, provenienti anche dal
dipartimento di salute mentale dell’azienda ULSS, composto almeno da:
a) un medico specialista in medicina del lavoro, con funzioni di coordinamento;
b) uno psicologo, esperto in test psicodiagnostici;
c) uno psicologo, esperto in psicologia del lavoro e delle organizzazioni;
d) un medico specialista in psichiatria;
e) uno psicoterapeuta.
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Art. 8 - Monitoraggio e valutazione
1. A partire dal secondo anno dall’entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale riferisce
annualmente al Consiglio regionale sull’attuazione della legge e sui risultati ottenuti nel tutelare la dignità umana
e l’integrità psico-fisica dei lavoratori. A tal fine, la Giunta regionale presenta alla commissione consiliare
competente una relazione contenente tra l’altro:
a) il resoconto delle azioni e degli interventi intrapresi, in particolare di quelli previsti dagli articoli 3, 4, 6 e 7, ed
una prima valutazione circa la corrispondenza di tali elementi ai risultati attesi dalla legge;
b) l’elenco delle iniziative attivate, e la relativa spesa, per assicurare la più ampia diffusione e conoscenza della
presente legge.
Art. 9 - Norma finanziaria
…
Art. 10 - Entrata in vigore
1. Le disposizioni di cui alla presente legge acquistano efficacia a decorrere dall’entrata in vigore della legge
regionale relativa al “Bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2010 e pluriennale 2010-2012” . …
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