ARTICOLO VELA ICARE
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ARTICOLO VELA ICARE
L’INSUCCESSO SCOLASTICO E LA CURA CON LA VELA Note introduttive Vela e Cura, un accostamento da parecchio tempo osservabile nel mondo della disabilità, anche psichica, ed approcci di “Velaterapia” come percorsi rieducativi traggono spunto da alcune esperienze realizzate in Svezia già negli anni Sessanta: lì vennero proposti a gruppi di adolescenti con condotte antisociali, già condannati per piccoli reati, e i risultati furono sorprendentemente positivi. In seguito, attività marinare con barche a vela sono state utilizzate per gruppi di soggetti in situazioni cliniche diverse: adolescenti con disturbi delle condotte, giovani adulti con patologie psichiatriche, gruppi di varia età con problematiche neurologiche. Ormai esiste pure una letteratura consolidata, che dimostra come l'andar per mare su imbarcazioni a vela sia un efficace coadiuvante per l'educazione, la rieducazione e la cura di più categorie di persone, di diversa età e con svariate problematiche cliniche o sociali. L'incontro fra l’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile (U.O.NPI) di Pomezia della ASL Roma H, la Lega Navale Italiana (LNI), Sezione di Pomezia, nella persona di Mauro Zecca, il suo attivissimo presidente, ed una agenzia educativa del territorio, l’I.C.S. Pestalozzi di Torvaianica, che sta in luogo di mare, e con cui il servizio specialistico ha stabilito ormai una pluriennale cooperazione nella progettazione di Curricoli di Pedagogia Speciale, ha consentito di predisporre una proposta rieducativa sperimentale per alunni con Disabilità lievi o con Bisogni Educativi Speciali (BES). La vela permette di svolgere un'attività all'aperto, a stretto contatto con elementi naturali quali il mare, il sole, il vento, e già questo di per sé costituisce un fatto importante se consideriamo che abbiamo a che fare ormai con generazioni di “nativi digitali”, troppo spesso rinchiusi negli angusti spazi delle proprie stanze, intrappolati in relazioni e scambi virtuali, dove la dimensione corporea, immaginativa e di una socialità “in presenza” è relegata ai margini e svalutata, forse anche per una sopraggiunta incapacità a confrontarvisi. Le attività di Velaterapia che vengono qui proposte riguardano alunni, pertanto, con difficoltà scolastiche importanti, secondarie a condizioni cliniche peraltro differenti, dalle efficienze cognitive ridotte dei quadri Borderline Cognitivo e della Disabilità Intellettiva ma con ritardo di dimensione lieve, ai disagi della sfera emozionale e della cosiddetta “piccola psichiatria”, agli insuccessi connessi a varie compromissioni delle Funzioni Esecutive, fino a disagi prevalentemente sostenuti da contesti anomali. Il campione selezionato è un gruppo di 11 preadolescenti, di 11-12 anni, quattro femmine e sette maschi, con già una carriera di importanti fallimenti scolastici, qui seguito in un biennio, con due cicli distinti di tre-quattro mesi ciascuno, a cavallo di due anni scolastici, separati dalla pausa estiva. La Lega Navale ha messo a disposizione, senza onere alcuno (anche l’iscrizione dei partecipanti come soci studenti della LNI è stata fatta nei due anni del progetto a titolo gratuito, come previsto dalla Presidenza Nazionale della LNI), prima di tutto le barche, che sono piccole derive assai maneggevoli, tre istruttori specializzati di vela, e poi tutto il suo prezioso, pluriennale background in fatto di pratiche marinare e navigazione. La Dirigenza Scolastica della Pestalozzi (Miotto&D’Onofrio), insieme alla U.O.NPI, ha individuato il campione di alunni di prima e seconda media, e ha nominato un insegnante (Tramice, docente di sostegno) come accompagnatore e con funzione di raccordo con gli altri docenti, l’Ente Locale ha poi offerto il suo Patrocinio. A fine stagione invernale, nel primo ciclo, si è dapprima curata un’introduzione teorica sulla vela ed una prima conoscenza delle imbarcazioni, e si è lavorato sulla costituzione del gruppo, con alunni che erano di sezioni differenti, cui è seguita in primavera l’esperienza in acqua, poi proseguita nel secondo ciclo; diciamo subito che le attività hanno avuto come obiettivo clinico primario il promuovere in ciascuno una modificabilità di funzioni cognitive carenti, lavorando in diversi ambiti: per una crescita nella coordinazione motoria generale, e nella coordinazione simultanea di più funzioni motorie (per esempio, controllo della scotta della randa e controllo del timone), ciascuna da eseguire con una mano, per un’espansione linguistica con ampliamento del vocabolario, anche specifico, per esercitare la flessibilità cognitiva, nel potenziamento della capacità di tenere a mente due o più elementi (direzione del vento, intensità del vento, moto delle onde) per orientare l'andatura della barca, per esercitare la capacità di problem solving, a padroneggiamento migliorato della barca, per un rafforzamento del senso di autoefficacia e, conseguentemente, della stima del Sé cognitivo ed affettivo, permettendo così ad alunni con esperienze scolastiche fallimentari di sperimentarsi come più competenti e capaci, in una attività appassionante e complessa come la navigazione. Il progetto ha sempre previsto momenti di incontro gruppale al termine di ogni lezione pratica, per riflessioni condivise sulle attività svolte, in parte seguendo un approccio di lavoro secondo i principi del metodo Feuerstein, che connota da anni l’attività riabilitativa della nostra U.O.NPI. Per uno studio clinico, è stato ovviamente necessario predisporre un testing, secondo un protocollo originale che ha previsto più strumenti di valutazione, somministrati all'inizio e alla fine delle attività, proprio per valutare le modificazioni avvenute con il percorso rieducativo della Velaterapia. Sul nostro protocollo In questa articolazione in fasi, la nostra U.O.NPI ha provveduto alla somministrazione di un testing neuropsicologico con due delle psicologhe del servizio ed anche all’attuazione di giochi a scuola, con lo scopo di facilitare la fondazione del gruppo, la costruzione di un’identità gruppale. Sul piano del testing, è stato pensato uno specifico protocollo di valutazione per pre-adolescenti, individuando degli strumenti in linea con le finalità dell'esperienza e sensibili ai cambiamenti, con l’attesa di cogliere poi degli esiti della cura; come già in precedenti attività del nostro gruppo di ricerca (Miletto et a., 2014), anche in questo caso il nostro studio può essere inserito nell'ambito della ricerca sugli esiti o sull’effectiveness di un certo intervento terapeutico, dal momento che i pazienti vengono valutati sia all'inizio sia alla fine della cura. La batteria è risultata composta da: a) PM 38 - items critici , le Matrici Progressive costituiscono una nota misura dell’intelligenza non verbale, quella “fluida”, e sono qui proposte con la finalità di valutare quanto la riduzione dei livelli di ansia dei soggetti, conseguente l'acquisizione di una maggiore efficacia personale e regolazione emotiva, può produrre un miglioramento delle prestazioni cognitive generali: in particolare, si vuol ipotizzare che l'esperienza outdoor, unita a prove di problem solving assistito, può in qualche modo ridurre le quote d'ansia, rendendo la persona più libera nell'uso del ragionamento e nel comportamento; b) BFQ-CM (Big Five Questionnaire - Children, 11-14 anni, Barbaranelli, Caprara, Rabasca, 1998), scelto poiché rileva caratteristiche importanti per l’adattamento e il successo scolastico, come creatività, curiosità intellettuale, capacità di organizzazione personale in conformità al raggiungimento di determinate mete, rispetto delle regole, capacità relazionali con i pari e i superiori, capacità di riconoscere, controllare ed esprimere affetti ed emozioni; c) FAB (Frontal Assessment Battery, Dubois et al., 2000), batteria di prove cognitive e comportamentali a rapida somministrazione (circa 10 minuti); d) DERS (Difficulties in Emotion Regulation Scale, Gratz&Roemer 2004, Giromini et al. 2012 per la versione italiana), scala che valuta le difficoltà nella regolazione delle emozioni. La valutazione testologica d’avvio ci ha confermato un gruppo con funzionamenti cognitivi non compromessi (PM 38, FAB). Nello specifico, il gruppo ha riportato nel complesso un punteggio medio mediocre (fig.1) nella prova di fluenza fonemica (ff) della FAB, che dà informazioni su ampiezza del magazzino lessicale, capacità di accesso al lessico ed organizzazione lessicale, correlando anche con aspetti di flessibilità cognitiva, mentre sono ottime le capacità di controllo del comportamento di prensione (cp), un’indicazione sul grado di autonomia ambientale. fig.1 FAB Dal punto di vista della regolazione emotiva, il gruppo ha riportato punteggi abbastanza alti rispetto al campione di riferimento, nelle sottoscale della DERS relative alla mancanza di consapevolezza (awareness) di ciò che si prova e alla carenza di strategie (strategies) adeguate per far fronte a situazioni e contesti in cui si sperimentano emozioni negative (fig. 2). Fig.2 DERS Per le caratteristiche di personalità, infine, indagate attravero il BFQ, il gruppo si distingue solo per una bassa apertura mentale (media= 40,16; dev.st=10,86). Per la fondazione del gruppo, sono stati proposti dei giochi dal nostro educatore professionale, Marco Sacconi, sempre nel ruolo di adulto-guida, e coordinatore dell’intero progetto, che si è avvalso nell’occasione della preziosa collaborazione di un’educatrice tirocinante e di un medico specializzando. Sempre nella fase di avvio a scuola, il presidente della Lega Navale ha fornito al gruppo i primi rudimenti teorici della navigazione in mare, con un’attenzione anche agli aspetti linguistici specifici della terminologia marinara. I giochi-esercizi per la costruzione gruppale sono stati a complessità e coinvolgimento crescenti; si è partiti da giochi con la palla per imparare a conoscere, e a riconoscere, i nomi di tutti i partecipanti: a gruppo disposto in cerchio, ciascuno lancia ad un altro la palla pronunciando il proprio nome, poi bisogna nominare la persona a cui si lancia la palla; segue il “gioco dell’assassino”, sempre in cerchio, in cui l’assassino sceglie una vittima, le si avvicina ed allora questa può salvarsi solo se nomina con il giusto nome un altro membro del gruppo; oppure il “gioco dell’identità perduta”, in cui nel cerchio uno si avvicina ad un altro e si presenta stringendogli la mano e prendendone il posto, e l’altro assume per sé il nome di chi gli si è presentato e, a sua volta, va da un altro a presentarsi con quel nome, e così via. Quando si è consolidata la conoscenza reciproca dei nomi, si è poi passati ad altri giochi-esercizi incentrati su diversi aspetti, dall’attenzione alla fiducia. Per la prima, si è fatto il “gioco dei numeri a turno libero”, sempre in cerchio, in cui il gruppo deve contare fino a dieci senza che uno si sovrapponga ad altro, seguendo la sequenza numerica corretta: non si sa chi nel momento pronuncia il numero e ad ogni errore o sovrapposizione si ricomincia daccapo. Per la seconda, diverte il “gioco della macchina cieca comandata”: a turno, chi fa la parte della macchina viene bendato, e chi la guida lo fa posando una mano sulla schiena del compagno bendato, determinandone la direzione; oppure il “gioco della mosca cieca doppia”, all’interno del gruppo disposto in cerchio, due soggetti, bendati entrambi, con uno che deve acchiappare e l’altro non deve farsi prendere. Altre proposte sono il “gioco della foresta”, con alcuni che si dispongono al centro del locale ed impersonano gli alberi: uno del gruppo, a turno, bendato, deve attraversare questa foresta evitando gli ostacoli, aiutato solo dal suono-segnale prodotto da un compagno guida; o ancora, il “gioco della culla”, con al centro del cerchio una coperta: a turno, sempre bendato, ogni componente del gruppo si sdraia sulla coperta e viene sollevato da tutti gli altri e portato a fare un giro per la stanza, si è così in balia del gruppo e chi è sulla coperta sperimenta con qualche emozione in più questo affidarsi completamente agli altri. La seconda parte del progetto è incentrata sull’idea delle buone prassi, con le esperienze pratiche, vissute in barca, condizionate inevitabilmente dal tempo e dal mare. L’adulto guida è qui il presidente della Lega Navale, coadiuvato da due istruttrici abilitate e dall’educatore professionale della U.O.NPI; gli undici alunni sono usciti in barca sempre in equipaggi da due, alcuni governano un “Bag” da soli, altri escono su tre “Sunfish”, sempre insieme alle istruttrici o all'educatore, altri ancora, a turno, stavano sul gommone di appoggio al gruppo delle barche, e subentravano ai compagni con trasbordo che avviene in mare. Sul piano esperienziale, si tratta in questa fase di vivere anche un vero e proprio corso di vela: si sperimenta e si mette in pratica in acqua quanto si è appreso nelle lezioni teoriche a scuola. Inoltre, questi alunni fallimentari nella didattica hanno potuto misurarsi qui con i propri limiti e le proprie risorse, in un confronto e un coordinamento speciale fra più componenti: in primo luogo se stessi, e pure l'altra persona che si trova in barca, poi la barca da governare, ma anche gli elementi naturali (il mare, il vento, le onde), con cui bisogna sempre fare i conti per ottenere il risultato atteso, che è nella sostanza far andare la barca e farla pure andare nella direzione che ci si è proposti. Al termine di ogni lezione pratica in mare, il gruppo si è riunito, possibilmente a scuola, per riprendere un assetto di riflessione e di concentrazione, nel Tempo del Cerchio; ognuno ha così avuto modo di ripensare, attraverso la narrazione al gruppo, ciò che è accaduto in mare, quali sono stati gli errori commessi e le loro conseguenze, quali i successi ottenuti, attraverso quali strategie e comportamenti, quali le emozioni provate e come sono state gestite e integrate nella complessa e, anche per questo affascinante, azione del navigare. Il senso del potenziamento cognitivo Il nostro campione è stato dunque selezionato con il criterio dell’insuccesso scolastico in chi ha peraltro una normodotazione cognitiva, certo non spesa bene a scuola, non riuscendo ad adeguarsi alle specifiche richieste curricolari che l’agenzia educativa propone; scarsa è la motivazione ad apprendere, a svolgere il compito, sono alunni che a scuola si annoiano, facilmente distraibili, molti di loro inibiti, spesso socialmente isolati, talora irritabili, altri fastidiosi in aula, spesso interferendo con il lavoro che la classe svolge, esprimendosi con atteggiamenti provocatori-oppositivi, talvolta pure trasgressivi. Insomma, tutti con situazioni che ostacolano un buon adattamento alla scuola ed impediscono il successo formativo. Proprio per loro si è pensato ad un curricolo formativo diverso, finalizzato al potenziamento delle funzioni cognitive carenti che sostengono le operazioni mentali richieste dalla scuola e, in sostanza, anche dalla vita. Veleggiare non è certo così intuitivo come andare in bicicletta o dar quattro calci alla palla, dove è facile tirare dritto o di lato, a destra, sinistra, indietro; non siamo sulla terraferma, l’oggetto non è familiare, si sta in un elemento diverso come l’acqua, nella sua grande estensione del mare, con le sue correnti, i suoi venti, le sue onde, le sue increspature o la sua calma, il movimento mutevole delle sue maree. Si sta in un ambiente sostanzialmente ignoto, da conoscere con attenzione estrema, dove è necessario imparare ad entrare nella dimensione del silenzio, innanzitutto per ascoltare sia il mare sia la barca, in relazione ai mutamenti del mare stesso e dei venti e il proprio peso corporeo, che deve essere posizionato nella barca di volta in volta nella zona opposta alla direzione del vento. Già da queste prime considerazioni tecniche si evince la necessità di potenziare la funzione cognitiva della integrazione degli elementi, secondo il metodo che ispira il nostro agire riabilitativo, quello di Reuven Feuerstein (vedi bibliografia): ma per integrare queste variabili contemporaneamente è indispensabile il potenziamento di altre funzioni cognitive ad essa correlate, come l’attenzione selettiva degli stimoli, il controllo dell’impulsività per alcuni, la riduzione dell’inibizione per altri e tutto ciò naturalmente, ma con opportuna mediazione adulta, trova una facilitazione poi una volta che si vive la navigazione in barca. Il veleggiare si presenta come una miniera di spunti per stimolare altre funzioni cognitive deboli, prima fra tutte il linguaggio, poiché la vela richiede innanzitutto un ampliamento del vocabolario, dal momento che ogni manovra richiede la denominazione precisa delle parti della vela. Già dall’avvio teorico, il presidente della Lega Navale, facendo uso di un modellino di vela esposto sul tavolo ben in vista, ha definito i nomi delle corde, che non si chiamano certo così, ma cime, drizze, scotte; ogni parola è indicatrice di una funzione specifica, per cui dal nome bisogna risalire subito alla sua specifica funzione, attivando un pensiero deduttivo. E’ iniziato così un gioco linguistico “ad effetto domino”, dove una cosa tira l’altra, una parola richiede la definizione di altri termini e funzioni ed anche azioni ad essa correlate. Fin da subito, si è colto nel gruppo un grado di attenzione selettiva e sostenuta inconsuetamente alto, si è avvertita la tensione positiva creata in un apprendimento finalizzato allo scopo di governare la vela, e non allo scopo di ripetere pagine di un libro per il voto! Qualcuno ha cominciato a comunicare pure sensazioni, convinzioni, emozioni: “Ma io c’ho pauraaa!”, “Mi sa che non so’ proprio capace…”, “Non ho capito ‘sta cosa…”, “Ma non è che se finisce giù con qualche pescecane?”. E’ così che si è cercato, e trovato, le rassicurazioni dall’adulto-guida, che fin dall’inizio, presentando il progetto passo passo, ha anticipato però anche l’esperienza dello “scuffiare” in mare, e cioè del rovesciarsi della barca, finendo tutti inevitabilmente in acqua, proprio per cominciare ad imparare a gestire una situazione difficile, utile per poi rimettersi in cammino, proprio come dopo un brutto voto a scuola ci si può rialzare e rimettersi in carreggiata, perché non bisogna “rimanere mai in mare aperto!”. La funzione rassicurante del mediatore è molto importante per contenere l’ansia ed anche per sostenere la curiosità conoscitiva; se l’angoscia, la paura di non farcela, l’ansia emotiva è troppo alta, si sa, la curiosità ne è “divorata voracemente”, a discapito del buon funzionamento del pensiero. La teoria con l’ausilio del modellino di barca ha consentito di fare un lavoro cognitivo su somiglianze e differenze con gli altri elementi conoscitivi, stimolando così la funzione del confrontare: per fare un esempio, il timone è come il volante dell’automobile o il manubrio della bicicletta, dunque dà la direzione; la sua denominazione con indicazione delle parti componenti (barra, stick) ha consentito un’analisi percettiva dettagliata dell’oggetto, che nel nostro gruppo è una funzione cognitiva molto debole, poiché è solitamente superficiale e frammentata. La fase teorica è stata come una valanga di informazioni, che non ha però travolto il gruppo, mostrando una potenziale recettività dei nostri alunni con BES quando esposti ad apprendimenti concreti, operativi, legati ad uno scopo esperienziale pratico coinvolgente parecchio la loro sfera emozionale. Appreso che avvicinare a sé la barra del timone ha il termine preciso del “poggiare” e l’allontanarla da sé richiede il termine mai sentito dell’ “orzare”, l’adulto-guida crea situazioni problematiche, del tipo: “Allora, quando tu sarai da solo in barca ed io vicino a te ma sul gommone, e ti urlerò di orzare, fammi vedere sul modello che cosa devi fare di preciso, eh?”. Quando sono poi iniziate le buone prassi di vela in mare si sono concretizzate le premesse di riuscita per tutti. Dapprima il gruppo è stato coinvolto nel lavoro di pianificazione della procedura per la messa in acqua delle barche, a turno trainandole con il carrello dal deposito fino alla riva, sperimentando anche la fatica fisica che si rende necessaria talora per realizzare un desiderio, e sviluppando un sano atteggiamento di conquista attiva dell’obiettivo, invece di aspettare passivamente, come al solito, che altri facciano al loro posto, come succede a scuola quando si copia dal compagno o non ci si pone proprio il problema, consegnando in bianco il compito. Giunti sulla riva, si deve armare la barca, issare l’albero, fare i nodi specifici, e tocca farlo con la massima competenza prassica possibile, c’è da controllare che ogni passaggio sia stato correttamente rispettato, sotto la guida mediatrice degli adulti, è necessario correggere gli errori eventuali (sostituire un timone non adatto, rifare un nodo non corretto) prima di partire, proprio come controllare il compito prima di consegnarlo all’insegnante, processando ogni sua parte, correggendo, integrando, sostituendo. Ed è stato, se vogliamo, perfino un po’ sorprendente osservare, come novità assoluta, dei comportamenti motivati, prima in pochi, fungenti pertanto da traino su altri, poi più o meno sul gruppo nel complesso, gradualmente ben più disposto ad investire energie in questa esperienza di apprendimento, proprio loro, quelli che a scuola sono soliti a sbuffare infastiditi davanti a qualsivoglia richiesta, in pieno disinvestimento su ogni attività che sia didattica. Con la vela, si sono slanciati nel fare per primi, altro che abbandonare un compito ancora prima di provare a risolverlo. Non poche volte gli adulti sono persino stati costretti a quietare gli entusiasmi, a frenare le iniziative, rassicurandoli che “tanto questo lo farete tutti oggi!”. Hanno insieme affrontato le difficoltà, il mare spesso non è stato calmo, hanno lottato contro le onde mai abbandonando il campo di battaglia; hanno osservato la giovane istruttrice cadere in acqua, non perdersi d’animo, non rinunciare ma cercare sempre di superare il problema, risalire anche con l’aiuto dell’alunno che stava nella stessa barca, costituendo tutto ciò un modeling efficace nella difficoltà, la mano tesa, lo sforzo condiviso, il non mollare mai, il “si è tutti nella stessa barca, no?” sono momenti esperienziali che hanno costruito un vissuto di solidarietà, una comunione di intenti, poi generalizzabile in altri contesti. La presenza dell’istruttore in barca ha accompagnato in ciascuno la crescita di autoconsapevolezza sulle proprie risorse, molti all’inizio sono salpati in pieno pallore, tesi come corde di violino, con sentimenti di paura assedianti: “io nun so’bbono a portà ‘sta barcarola, ti prego guida solo tu!” rivolgendosi all’adulto in acqua con lui, per poi anche corporeamente rilassarsi alla fine della stessa giornata, aprendosi in un sorriso non forzato: “Allora…ma allora io so…so’...capace! Vedi, vedi, lo sto a portà proprio io…da solo ‘sto coso! …E cor vento che c’è, eh? E pure il maretto…ahahah!”. Una scoperta celere di competenze sommerse prese così il via! Il regolare momento del Circle-Time, che ha sempre fatto immediato seguito alle esperienze in acqua, è stato per noi un approccio importante per effettuare un percorso a tappe per la “coscientizzazione” di capacità e competenze poco note o proprio sconosciute, e per procedere alla condivisione nel gruppo: che svolge di per sé una funzione di potenziamento, in quanto proprio la funzione sociale del rispecchiamento conferma sempre quella scoperta di risorse inattese in chi ha già formato un Sé Accademico decisamente depresso. La tappa successiva, se vogliamo la più importante, è legata alla generalizzazione di ogni principio acquisito, con la domanda consueta del mediatore cognitivo: “beh, ed allora questo come lo farai nelle esperienze di vita quotidiana? ”. Note conclusive La nostra unità operativa di neuropsichiatria infantile si è sempre occupata, nella cura e nella ricerca, di patologie dell’apprendimento, in alunni con Disabilità e, ancor più, in quelli che disabili non sono ma hanno Bisogni Educativi Speciali, con le relative problematiche d’inclusione a scuola (per una rassegna sul tema, Miletto, 2010). Il campione di pre-adolescenti di questo studio è stato selezionato sulla base della presenza di difficoltà scolastiche importanti, primarie o secondarie ad altra clinica, per le quali solo alcuni però hanno usufruito dei provvedimenti compensativi e dispensativi previsti dalla normativa per gli alunni con BES (Circolare Ministeriale 4099/04; Legge 170/10), mentre una parte del gruppo non possedeva una certificazione sanitaria specialistica ma un PDP redatto dal Consiglio di Classe sulla base della rilevazione di difficoltà scolastiche significative, anche di natura socio-culturale o emozionale in reazione a improvvisi eventi traumatici in ambiente intrafamiliare. La composizione mista del gruppo, quindi, si è connotata fortemente come una proposta di integrazione operativa tra esigenze sanitarie e bisogni psicoeducativi espressi dalla scuola stessa. La nostra sperimentazione è stata resa possibile dalla disponibilità assoluta della Sezione di Pomezia della Lega Navale Italiana, oltre che da un contesto indubbiamente favorente, la cooperazione stabile negli anni con un’agenzia educativa sita in località di mare. Va ricordato che la LNI è un Ente morale di pubblica utilità che nell’arco di oltre un secolo ormai ha contribuito ad avvicinare al mare generazioni di italiani (Basile, 2010), con un riguardo particolare ai fruitori in età evolutiva, confermando anche in questa circostanza, di essere un’Associazione che si impegna sempre per costituirsi come parte integrante della vita sociale del luogo in cui la Sezione opera. Un percorso rieducativo come questo può essere valutato mettendo l'accento su due aspetti, entrambi fondamentali per comprendere la riproducibilità e la estensibilità della proposta: gli esiti e il processo. Per quanto riguarda il primo aspetto, l'ambulatorio ha appositamente predisposto il testing, con risultati a confronto tra il “prima” ed il “dopo”, traducibili in numeri e altri linguaggi apparentemente oggettivi, che qui non abbiamo trattato per esteso, in quanto lo studio non è ancora concluso. Ovviamente, va considerato, bisogna tener conto che il campione trattato nel periodo della sperimentazione, non ha vissuto soltanto di “velaterapia”, per cui modificazioni di aspetti che si vanno ad esaminare non sono necessariamente ed esclusivamente attribuibili all'intervento proposto. Sull'analisi del processo, comunque, possiamo già ora avere una cognizione più appropriata delle modificazioni attribuibili all'intervento rieducativo. Ovviamente, il processo non è facilmente quantificabile e incasellabile nel freddo mondo dei numeri, ma può essere colto nella descrizione fatta da operatori esperti nel cogliere “dall'interno”, nel vivo della relazione e della condivisione empatica delle esperienze, quei movimenti di ciascuno, che si realizzano quando si è coinvolti in esperienze significative dal punto di vista emotivo-relazionale e cognitivo. Essere parte di un gruppo, che non solo simbolicamente prende il largo dai propri punti fermi, per apprendere ad affrontare il mare aperto con i piccoli propri mezzi che si hanno a disposizione, è sicuramente un'esperienza in grado di mobilitare in ogni elemento del gruppo, risorse emotive e competenze cognitive altrimenti inutilizzate o bloccate. E' a nostro avviso dunque di fondamentale importanza quindi, per comprendere pienamente il valore dell'esperienza e la sua riproducibilità (con le ovvie dovute modificazioni, proprie di ogni lavoro in progressione) ed estensibilità, sottolineare, accanto ai risultati degli esiti, l'analisi e la descrizione dei processi che l'attività di vela ha messo in moto nel gruppo. Focalizzando l’attenzione sul processo del percorso rieducativo, con il progredire del progetto, nei due cicli proposti a cavallo tra la prima e la seconda classe di scuola media, si sono osservate positive modificazioni nel gruppo, che meritano qui, nel commento conclusivo, una breve notazione clinica. Si è infatti rilevato che, sul piano delle interazioni, dopo l’iniziale riserbo e in alcuni una vera inibizione, gli alunni hanno gradualmente costruito relazioni, magari privilegiando inizialmente l’inclusione nel sottogruppo di genere; osservazione ricorrente condivisa, da parte dell’educatore professionale come del docente accompagnatore e degli istruttori specializzati, è stata che chi inizialmente si era imposto anche per arroganza e prepotenza è stato poi in parte ridimensionato proprio dall'esperienza pratica in barca, chi era apparso più chiuso al mondo, ha gradualmente acquisito una maggiore sicurezza, chi era apparso come spaesato e certamente fuori contesto, ripetendo il ruolo assegnato del “somaro” sempre ai margini nel gruppo classe, nelle attività in spiaggia per armare la barca e poi in navigazione, ha mostrato inaspettate capacità di investimento, concentrazione e disponibilità a cercare soluzioni ai vari problemi emergenti, mettendo in campo pure strategie sufficientemente adeguate. Ma l’aspetto che qui si vuole mettere in speciale risalto è che quanto osservato sulla spiaggia e in mare ha poi avuto una sua generalizzazione: queste note comportamentali osservate sul campo, pertanto, sono state poi trasferite in altri contesti di vita, a casa e perfino a scuola, dove il loro fallimento non è più stato così scontato ed atteso. Un Curricolo Speciale come l’impiego di queste esperienze di vela, realizzato in tempo scolastico, solo una volta a settimana e per un po’ di mesi, ci ha mostrato dunque un aspetto clinico rilevante: segnatamente, come funzioni cognitive carenti e fragilità emotive, motori di insuccessi scolastici, possono essere stimolate, per essere modificate, attraverso percorsi, neanche tanto complessi, che permettono ad alunni fallimentari di sperimentare, giocare, fare, in ruoli diversi da quelli stabilmente ormai assegnati, in contesti dove si richiedono, peraltro, altrettante capacità di apprendimento rispetto all'aula scolastica, quando perfino non maggiori. E’ chiaro che ciò diventa pensabile solo se educatori ed insegnanti sanno attuare condotte educative e rieducative volte a far generalizzare altrove, in contesti differenti, le competenze apprese attraverso questi percorsi speciali, e sanno pure facilitare un trasferimento, negli ambiti più didattici, quelli delle materie scolastiche, delle abilità che questi alunni con Bisogni Educativi Speciali hanno dimostrato di possedere o comunque di aver meglio acquisito nella sperimentazione con attività di vela. Marco Sacconi * Maria Rosa Fucci ** Daniela Andropoli ** Sara De Laurentiis ** Roberto Miletto *** Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile (U.O.NPI) ASL Roma H 4 Distretto di Pomezia –Gruppo di Ricerca EllePi (Litorale Pontino)- coordinatore R.Miletto * educatore professionale ** psicologa, psicoterapeuta ***neuropsichiatra infantile – responsabile Bibliografia Barbaranelli C., Caprara G. V., Rabasca A. (1998), BFQ-C: Big Five Questionnaire Children. Organizzazioni Speciali, Firenze. Basile G. (2010), Il gioco della Vela con la Lega Navale. IX ed., Presidenza Lega Navale Italiana, Roma. Feuerstein R., Rand Y., Rynders J.E. (1995), Non accettarmi come sono. Sansoni Ed., Milano. Feuerstein R., Feuerstein R.S., Falik L., Rand Y. (2008), Il Programma di arricchimento strumentale di Feuerstein. Fondamenti teorici ed applicazioni pratiche (a cura di M. Di Mauro), EricksonEd., Trento. Giromini I., Velotti P., de Campora G., Bonalume I., Zavattini G. C. (2012), Cultural Adaptation of the Difficulties in Emotion Regulation Scale: Reliability and Validity of an Italian Version. Journal of Clinical Psychology, 0, 1-20. Gratz K. L., Roemer L. (2004), Multidimensional assessment of emotion regulation and dysregulation: Development, factor structure, and initial validation of the Difficulties in Emotion Regulation Scale. Journal of Psychopathology and Behavioral Assessment. 26, 1: 41- 54. Miletto R. (2010), Speciale per chi? 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