Lettera Pastorale 2014

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Lettera Pastorale 2014
Diocesi di Crema
Per una Chiesa ùin uscita"
L’ “Evangelii Gaudium” di papa Francesco
interpella la Chiesa di Crema
Nota pastorale del vescovo Oscar
2014 - 2015
Diocesi di Crema
Per una Chiesa ùin uscita"
L’ “Evangelii Gaudium” di papa Francesco
interpella la Chiesa di Crema
Nota pastorale del vescovo Oscar
2014 - 2015
Per un coraggioso salto di qualità
L’assemblea diocesana del 19 e 26 settembre 2014 ha concentrato
la sua attenzione, coinvolgendo le diverse espressioni della vita ecclesiale, su un problema vitale per la nostra comunità: quello della
iniziazione cristiana, tema dibattuto innanzitutto nelle parrocchie e
nelle altre espressioni ecclesiali lo scorso anno pastorale.
Abbiamo voluto porci esplicitamente alcune domande che oggi ci
sembrano ineludibili e non possono più essere rimandate. Le riporto
all’attenzione di tutti, almeno quelle più importanti: come aiutare la
nostra Chiesa a trovare le vie più opportune per iniziare alla fede? Come possiamo aiutare oggi i battezzati a diventare cristiani adulti, o aiutare a “ricominciare” quanti hanno abbandonato la Chiesa? Come sostenere i fanciulli,
gli adolescenti e i giovani nella iniziazione alla fede cristiana? Come formare
i laici ad acquistare un ruolo sempre più rilevante nel campo dell’evangelizzazione, in piena sintonia con i pastori del popolo di Dio?
Sono domande che rimandano immediatamente ad altri interrogativi, dei quali dobbiamo prendere coscienza: le nostre Comunità oggi
sono attraenti, visto che “cristiani non si diventa per proselitismo, ma solo per
attrazione?” Sono ancora in grado le nostre parrocchie, le nostre associazioni e
i nostri movimenti, di sorprendere per la qualità di vita che essi propongono ai
discepoli di Gesù oggi? Sapremo accogliere nelle nostre comunità nuovi adulti,
provenienti da altre culture o dal mondo dell’indifferenza e accompagnarli al
Battesimo?
Il confronto che è derivato dall’Assemblea ecclesiale sarà oggetto
di ulteriore riflessione, al fine di proporre un cammino comune per
la iniziazione cristiana, normativo per l’intera nostra Chiesa, frutto
non solo di una proposizione dottrinale, ma espressione di una ap-
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passionata maturazione comune. Con l’Assemblea ecclesiale non si
sono nascoste le difficoltà, ma sono emersi pure promettenti percorsi,
che documentano la vitalità e la freschezza di una Chiesa attenta alla
voce dello Spirito e insieme capace di interpretare la situazione spirituale degli uomini di oggi.
In attesa di questo testo, vorrei impegnare, nell’anno pastorale 2014–
2015, la nostra Comunità diocesana a considerare la proposta pastorale
di papa Francesco: questo Pontefice, con la sua persona, la sua carica di
umanità, il suo entusiasmante messaggio, fatto di parole e gesti insieme,
si pone come un segno di fiducia e di speranza che il Signore concede
alla Chiesa del nostro tempo e al mondo di oggi.
Propongo quindi, alle parrocchie, ai preti e alle persone consacrate,
ai consigli pastorali, ai catechisti e agli educatori, alle famiglie, ai giovani, ai seminaristi, ai membri delle aggregazioni laicali, di dedicare
spazi significativi per riflettere e approfondire l’esortazione apostolica
Evangelii Gaudium, sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, che è il
programma di pontificato di papa Francesco, come egli stesso afferma:
«ciò che intendo qui esprimere ha un significato programmatico e dalle conseguenze importanti» (EG, 25).
A partire dalle novità rilevanti di questo testo e dai gesti profetici
che papa Francesco sta compiendo, vogliamo chiederci quali conseguenze
positive derivano per la nostra Chiesa di Crema, come possiamo assumere
in profondità il suo programma pastorale, a quale impegno di vita ci
rinvia, che cosa deve cambiare nel nostro modo di essere cristiani, a
quale conversione ci richiama, innanzitutto personalmente, ma poi anche dentro i programmi e gli stili della nostra Chiesa.
Le riflessioni che seguono non sostituiscono la lettura del testo, e
nemmeno presentano tutti gli argomenti in esso trattati, ma semplicemente vogliono essere una traccia per attualizzare alcune parti del mes-
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saggio del Papa dentro la nostra esperienza ecclesiale, così che tutti si
sentano impegnati a un “coraggioso salto di qualità”, che è il modo più
corretto per esprimere la nostra fiducia verso papa Francesco, il Pontefice che la Provvidenza ci ha inviato, superando ogni nostra attesa.
Provocati a maggiore coraggio, riscopriamo nella Evangelii Gaudium
una occasione privilegiata per ripensare il nostro modello pastorale e
per convertirci a nuove strade missionarie, come Egli stesso si esprime:
«Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi,
le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle nostre comunità» (EG, 33).
La condivisione e il discernimento evangelico favoriranno la nostra ricerca per essere fedeli alle attese del Papa che oggi il Signore
ci dona e raggiungere quelle «periferie esistenziali che hanno bisogno della luce del Vangelo» e così aiutarci a constatare l’azione dello Spirito
Santo, che vuol fare di tutti noi, come singoli e come comunità, una
Chiesa “in uscita”.
Per un approfondimento:
H.Miguel Yanez (a cura di), Evangelii Gaudium: il testo ci interroga,
Gregorian Biblical Press, 2014
Francesco, Evangelii Gaudium: testo e commento de “La Civiltà Cattolica”, Ancora, 2014
A. Zanacchi, Salvare l’omelia, EDB, 2014
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Preghiamo insieme
Tutti: Ti lodiamo e ti benediciamo, o Signore nostro Dio, perché ancora una volta, attraverso papa Francesco, ci hai aperto
la strada, ci hai indicato delle nuove mete a cui tendere, perché
l’evangelizzazione diventi sempre più la nostra comune priorità
assoluta.
Solista: Tu ci chiedi di trasformare la nostra Chiesa di Crema in una
Chiesa “in uscita”, disposti a portare a tutti, anche ai lontani e agli
esclusi, nelle diverse periferie, l’esperienza di Gesù Cristo, presente
nelle nostre vite e a comunicare la gioia del Vangelo.
Tutti: Fa’ che rinunciamo alla nostra pigrizia, ma anche al timore
di affrontare il mondo così com’è e accettare le persone come
nostre compagne di strada, senza resistenze interiori.
Solista: Rendici attenti ai poveri, nei quali è riconoscibile il tuo volto.
Tutti: Fa’ che siamo capaci di donare loro amicizia e sostegno,
ascolto e comprensione, sapendo che noi tutti abbiamo tanto da
imparare da ciascuno di essi.
Solista: Lo Spirito Santo trasformi il nostro cuore, perché rinunciamo alla mondanità, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e
persino di amore alla Chiesa.
Tutti: Aiutaci a diventare sempre più tuoi veri discepoli-missionari, che rinunciano alla gloria umana e al benessere personale,
per cercare solo la gloria del Signore. Amen.
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Tre parole chiave
della Evangelii Gaudium
1. È sotto gli occhi di tutti la necessità di dare ordine all’azione pastorale della Chiesa. Essa non deve muoversi solo come reazione a delle
urgenze, ma come azione studiata e programmata, capace di porre in
atto dei processi. Per questo papa Francesco pensa che sia sempre più
necessaria una riflessione adeguata sull’azione evangelizzatrice della
Chiesa, e per questo ha elaborato alcune linee fondamentali per un progetto pastorale, ricco di dottrina e di spiritualità. Queste indicazioni,
rivolte a tutto il popolo cristiano, risultano particolarmente efficaci per
la formazione, pastorale e spirituale, di quanti hanno compiti operativi
nella comunità diocesana e parrocchiale, preti, laici e persone consacrate.
Ciò che papa Francesco scrive nell’esortazione Evangelii Gaudium
raccoglie la ricchezza dei lavori del Sinodo dei Vescovi (7-28 ottobre
2012) al quale aveva partecipato da cardinale, sul tema della Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. I padri sinodali avevano
riassunto la loro riflessione in 58 Proposizioni che papa Francesco ha
rielaborato in forma organica rispettando pienamente il pensiero del
Sinodo, ma al tempo stesso dando l’impronta del proprio stile, che riflette in modo vivo la sua personalità, la sua formazione e la sua lunga
esperienza di Pastore. Ne è nato un testo ampio e ricco, che suggerisce
alla Chiesa un cambiamento di passo sia nella sua vita interna che nel
suo impegno missionario, due realtà strettamente collegate.
Lo stile semplice e il linguaggio immediato rendono la Evangelii Gaudium accessibile a tutti. Per questo invito tutti, o almeno quanti posso-
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no, ad una lettura diretta del testo. Da parte mia riassumo qui le linee
essenziali per favorire una lettura anche comunitaria, e costituire dei laboratori per l’approfondimento, il confronto e la verifica. Inizio col suggerire tre parole chiave, che mi sembrano trasversali a tutto il testo e che
possono fare da filo conduttore per una sua lettura efficace: il primato
della grazia, la gioia dell’annuncio del Vangelo, una Chiesa “in uscita”.
I) Il primato della grazia
2. C’è nell’Evangelii Gaudium un motivo che ritorna costantemente
e sul quale si fonda tutta l’esortazione. Dimenticarlo significa perdere
una indispensabile chiave interpretativa. È il principio della grazia di
Dio che, come un faro, illumina le riflessioni sulla evangelizzazione.
Scrive papa Francesco:
«Dio per pura grazia ci attrae per unirci a sé. Egli invia il suo Spirito nei
nostri cuori per farci suoi figli, per renderci capaci di rispondere con la
nostra vita al suo amore. Il principio del primato della grazia dev’essere
un faro che illumina costantemente le nostre riflessioni sulla evangelizzazione» (EG, 112).
Papa Francesco ci dice che tutto ciò che di significativo e di rilevante
viene compiuto dalla Chiesa, e in essa si compie, ha la propria sorgente nella SS. Trinità e da essa trae impulso ed energia. Ogni azione del
cristiano è amore gratuito, ricevuto e restituito. Ecco perché la nostra
pastorale è anzitutto contemplazione del mistero trinitario, è riferimento alla sorgente della carità, è prolungamento dell’amore di Dio. Papa
Francesco fa una lettura avvincente della Chiesa e della sua azione pastorale alla luce trinitaria.
Il primato grazia ha quale prima sua espressione un «religioso ascolto» della Parola di Dio. Scrive papa Francesco:
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«La Sacra Scrittura è fonte dell’evangelizzazione. Pertanto, bisogna formarsi continuamente all’ascolto della Parola. La Chiesa non evangelizza se non si lascia evangelizzare. La Parola di Dio ascoltata e celebrata,
soprattutto nell’Eucaristia, alimenta e rafforza interiormente i cristiani
e li rende capaci di un’autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana». (EG, 174). «Questo esige che le diocesi, le parrocchie e le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della
Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria» (EG, 175).
In secondo luogo papa Francesco invita tutti noi, in quanto credenti ed evangelizzatori, a cercare una sintonia con il progetto d’amore
del Padre, senza la quale ogni nostro impegno missionario sarebbe
solo velleità:
«Essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande
progetto d’amore del Padre. Questo implica essere il fermento di Dio in
mezzo all’umanità. Vuol dire annunciare e portare la salvezza di Dio in
questo nostro mondo, che spesso si perde, che ha bisogno di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel
cammino» (EG, 114).
In terzo luogo all’origine dell’evangelizzazione e dell’azione pastorale della Chiesa vi è il Figlio incarnato che si dona nella Pasqua, la bellezza
dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto:
«La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo
ricevuto, l’esperienza di essere salvati da lui» (EG, 264); «Abbiamo bisogno di creare spazi adatti … nei quali rigenerare la nostra fede in Gesù
crocifisso e risorto, nei quali condividere le nostre domande più profonde
e le preoccupazioni del quotidiano, nei quali discernere in profondità con
criteri evangelici sulla nostra esistenza» (EG, 77).
Il Papa richiama poi l’azione dello Spirito Santo, «Colui che oggi, come
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agli inizi della Chiesa, opera in ogni evangelizzatore che si lasci possedere e condurre da lui» (EG, 151):
«Nessuna motivazione pastorale sarà sufficiente se non arde nei cuori
il fuoco dello Spirito. A Pentecoste, lo Spirito fa uscire gli Apostoli da se
stessi e li trasforma in annunciatori delle grandezze di Dio… Lo Spirito
Santo infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia
(parresia), a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente. Invochiamolo oggi, ben fondati sulla preghiera, senza la quale ogni azione
corre il rischio di rimanere vuota e l’annuncio è privo di anima» (EG, 259).
Questo primato della grazia ha ricadute essenziali su tutti coloro che
sono chiamati al delicato compito della evangelizzazione. Essere missionari non nasce da uno sforzo volontaristico che ci imponiamo, né
è frutto delle nostre bravure pastorali, ma scaturisce dal primato della grazia che ci ha raggiunti e trasformati. Questo chiede a tutti noi,
chiamati a testimoniare il Vangelo, di interrogarci sulla nostra fedeltà
ai doni che abbiamo ricevuto. Ci chiede di approfondire la coscienza
che abbiamo di noi stessi alla luce del Vangelo: solo comunità e singoli
credenti che si pongono in ascolto della Parola di Dio, che pongono al
centro della propria vita la Pasqua di Gesù, che si mantengono docili
all’azione dello Spirito, sono evangelizzatori credibili ed efficaci.
II) La gioia del Vangelo
3. L’esortazione di papa Francesco si apre annunciando la gioia che
investe quanti hanno aperto la propria vita all’azione misteriosa della
grazia. Tale gioia è conseguenza dell’incontro personale ed ecclesiale
con il Signore Gesù, capace di cambiare il nostro sguardo e di aprirlo
a un nuovo orizzonte di vita. È questa la seconda parola chiave sulla
quale invito a riflettere:
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«La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal
peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù
Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (EG, 1). «La gioia evangelizzatrice brilla sempre sullo sfondo della memoria grata: è una grazia che
abbiamo bisogno di chiedere» (EG, 13); «non lasciamoci rubare la gioia
dell’evangelizzazione!» (EG, 83).
Il Papa precisa subito che la gioia del Vangelo, che riempie la vita
della comunità dei discepoli, è una gioia «missionaria». In verità solo
chi ha fatto la gioiosa esperienza della misericordia di Dio può avvertire
come priorità «il desiderio inesauribile di offrire misericordia». Papa
Francesco ne offre un’ampia esemplificazione mediante rimandi ad alcune pagine della sacra Scrittura, che invito a riprendere nella vostra
meditazione personale:
«La sperimentano i settantadue discepoli, che tornano dalla missione
pieni di gioia (cfr Lc 10,17). La vive Gesù, che esulta di gioia nello Spirito
Santo e loda il Padre perché la sua rivelazione raggiunge i poveri e i più
piccoli (cfr Lc 10,21). La sentono pieni di ammirazione, a Pentecoste, i
primi che si convertono nell’ascoltare la predicazione degli Apostoli “ciascuno nella propria lingua” (At 2,6). Questa gioia è un segno che il Vangelo è stato annunciato e sta dando frutto. Ma ha sempre la dinamica
dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare
sempre di nuovo» (EG, 21). «Recuperiamo la dolce e confortante gioia di
evangelizzare» (EG, 10).
Papa Francesco offre poi una serie di esemplificazioni concrete relative alla gioia che può provare il cristiano; si tratta di situazioni esistenziali sulle quali possiamo noi stessi verificare la genuinità della nostra gioia:
«La gioia [come frutto] dell’incontro con la Parola» (EG, 153); «È a partire
dall’esperienza del deserto, da questo vuoto, che possiamo nuovamente
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scoprire la gioia di credere, (EG, 86); «È la gioia che si vive tra le piccole
cose della vita quotidiana, come risposta all’invito affettuoso di Dio nostro
Padre» (EG, 4); «Ringrazio per il bell’esempio che mi danno tanti cristiani
che offrono la loro vita e il loro tempo con gioia» (EG, 76); «La gioia della
fede e il desiderio di impegnarsi con il Vangelo» (EG, 14); «Ricordo la gioia genuina di coloro che, anche in mezzo a grandi impegni professionali,
hanno saputo conservare un cuore credente, generoso e semplice» (EG, 7).
Il Papa presenta anche esemplificazioni di situazioni nelle quali la
gioia è assente dalla vita del credente. Anche su queste dobbiamo meditare e verificare la nostra condizione personale:
«Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua» (EG, 6); «Un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente
una faccia da funerale» (EG, 10); «Quando la vita interiore si chiude nei
propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri,
non si ascolta più la voce di Dio, allora non si gode più della dolce gioia
del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti
corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita» (EG, 2).
Il Papa sottolinea che questa «gioia» è una dimensione della vita interiore, un’espressione della fede vissuta, è la scelta di una vita degna
e piena, senza la quale il cristianesimo sarebbe solo un’impalcatura di
dottrine e di norme. In questo senso Gesù ha promesso, nell’ultima
cena, una gioia che nessuno potrà toglierci (cfr. Gv 16,22), nemmeno
nelle situazioni di fatica, di dolore o nelle contraddizioni dell’esistenza.
Scrive il Papa:
«Recuperiamo e accresciamo il fervore, la dolce e confortante gioia di
evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime […]. Possa il
mondo del nostro tempo – che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza – ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati,
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impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradii fervore,
che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo».
Vi invito a riscoprire, in queste parole di papa Francesco, le ragioni
profonde della gioia. Essa consiste nella consapevolezza di essere infinitamente amati da Dio e dalla scoperta che la vita cresce donandola.
III) La Chiesa “in uscita”
4. Questa espressione, che propongo come terza parola chiave del
testo di papa Francesco, è stata recepita a tutti i livelli come una sorta di
sigla identificativa della sua esortazione. Ma è un’espressione da intendere correttamente, nelle sue motivazioni e nei suoi sviluppi. Lasciamo
la parola direttamente al Pontefice:
«La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono
l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. “Primerear – prendere l’iniziativa”: vogliate scusarmi per questo neologismo. La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore (cfr 1 Gv 4,10), e per
questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura,
andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per
invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia,
frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva» (EG, 24). «Ora non ci serve più una semplice amministrazione dell’esistente. Costituiamoci in tutte le regioni della terra in uno stato
permanente di missione» (EG, 25).
È da queste parole programmatiche che il Papa elabora l’immagine
di una Chiesa “in uscita”. È importante comprenderne bene le ragioni,
che per papa Francesco sono «teologiche»: questo «uscire» della Chiesa
è, prima di ogni altra cosa, risposta alla misericordia ricevuta da Dio.
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L’uscire della Chiesa è una epifania della Trinità, è un prolungamento
dell’amore gratuito con il quale Cristo ci ha amati. È, dunque, il mistero
trinitario che traccia il quadro di riferimento dell’azione ecclesiale, che
definisce l’impegno di evangelizzazione.
Ancora, Chiesa “in uscita” significa impegno a incontrare l’umanità, a servire l’umanità, convinti che la carne dell’uomo è presenza del
Dio incarnato. Scrive il Papa:
«Tutti noi cristiani siamo chiamati a prenderci cura delle fragilità del popolo e del mondo un cui viviamo» (EG, 216); «Gesù vuole che tocchiamo
la miseria umana, la carne sofferente dei fratelli» (EG, 270); «Osiamo un
po’ di più di prendere l’iniziativa! La comunità evangelizzatrice si mette
mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita
umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” (EG, 24).
Ciò che il Papa chiede con l’espressione Chiesa “in uscita”, non è
dunque semplicemente un atto di filantropia; la missione non è un fatto
esteriore, ma è l’invito a scoprire il volto di Dio in ogni essere umano.
Ci chiede di guardare alla grandezza sacra del prossimo. «A volte – scrive
- perdiamo l’entusiasmo per la missione, dimenticando che il Vangelo risponde
alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per quello
che il Vangelo ci propone» (EG, 265).
Il Papa ci ricorda anche che questo «uscire» non si può delegare a
qualche persona, ma è parte integrante della identità di ogni singolo
battezzato. È un compito di tutto il popolo di Dio, il quale non può
essere considerato solo oggetto della cura pastorale, ma è chiamato a
diventare sempre più protagonista della missione della Chiesa. Scrive
il Papa:
«Ogni discepolo si fa missionario. È un invio di Gesù (Mt 28,19-20)» (EG,
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19); «La Chiesa “in uscita” è una conseguenza della forza dinamica della
Parola che cresce (Mc 4,26-29)» (EG, 22). «Ecco, allora, che essere in intimità con Gesù, in comunione con lui, significa assumere il suo stile: annunciare la buona notizia a tutti, in tutti i luoghi, come ha fatto il Signore
per le strade di Galilea» (EG, 23).
C’è un testo dell’esortazione, ormai divenuto classico, che forse meglio di ogni altro esprime l’anima di papa Francesco:
«Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo. Ripeto qui per
tutta la Chiesa ciò che molte volte ho detto ai sacerdoti e laici di Buenos
Aires: preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita
per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni
e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare
la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce
e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di
fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di
sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che
ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici
implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è
una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date
loro da mangiare” (Mc 6,37)» (EG, 49).
Tutta la vita cristiana è letta in chiave di missione (cfr l’intero capitolo I e il cap. V), fino a interpretare la vita di ogni singolo in rapporto alla
“missione”: «Io sono una missione in questa terra» (EG, 273).
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Quale volto di Chiesa
noi vogliamo rivelare?
5. Le tre parole chiave che abbiamo esaminato, stanno alla base
di una «conversione pastorale» che papa Francesco chiede a tutti:
ai credenti, alle parrocchie, alle diocesi, allo stesso Pontefice e alla
Chiesa universale, come indica in un’ampia parte dell’esortazione
(EG, 27-33). È un invito anche per noi ad assumere con fiducia, audacia e creatività nuovi stili di vita cristiana, ad abbandonare il comodo criterio del «si è sempre fatto così». Bisogna, se necessario,
anche abbandonare «quelle consuetudini che non sono direttamente
legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della
storia, che […] possono essere belle, però ora non rendono lo stesso
servizio in ordine alla trasmissione del Vangelo. Non abbiamo paura
di rivederle!» (EG, 43).
Dedico questa parte della lettera a presentare alcuni capisaldi della
Evangelii Gaudium, che tracciano le linee per una «conversione pastorale» e possono dare un volto rinnovato alla nostra Chiesa di Crema.
Invito tutti i fedeli, le parrocchie, i presbiteri e le persone consacrate,
le associazioni, i movimenti e le commissioni pastorali diocesane a
creare luoghi e tempi per confrontarsi con queste indicazioni di papa
Francesco, a trarne motivi di rinnovamento e nuovo slancio missionario, Questi punti fondamentali corrispondono a tratti del volto di
una Chiesa che vuole rinnovarsi non tanto per il gusto del cambiamento, ma per fedeltà alla propria vocazione, chiamata da Cristo a
una continua riforma, per essere come Cristo la vede, la vuole e la
ama. Anche noi, insieme con il Papa dovremmo dire:
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«Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché
le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale
diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige
la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in
modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria
in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta
positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia» (EG, 27).
Non basta, avverte il Papa, usare formulazioni dottrinalmente esatte,
ma occorre saper parlare al cuore, per esprimere la bellezza del Vangelo:
«Se tale invito non risplende con forza e attrattiva, l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte. Poiché allora
non sarà propriamente il Vangelo ciò che si annuncia, ma alcuni accenti
dottrinali o morali che procedono da determinate opzioni ideologiche. Il
messaggio correrà il rischio di perdere la sua freschezza e di non avere
più “il profumo del Vangelo” (EG, 39).
I) Una Chiesa umile, che riconosce il bisogno di una continua
conversione per superare le tentazioni della “mondanità”
6. L’immagine di Chiesa che papa Francesco delinea nell’Evangelii
Gaudium è innanzitutto una Chiesa umile, che abbia la consapevolezza,
come esortava già Paolo VI di essere un popolo di testimoni, più che di
maestri. Scrive il santo Padre:
«L’annuncio si condivide con l’atteggiamento umile e testimoniale di chi
sa sempre imparare, con la consapevolezza che il messaggio è tanto ricco
e tanto profondo che ci supera sempre” (EG, 128).
Per il Papa «l’umiltà del cuore» è l’atteggiamento di stupita venera-
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zione di fronte alla Parola, che ci trascende sempre, convinti che non
siamo «né padroni, né arbitri, ma i depositari, gli araldi, i servitori» (EG,
146). È la forza rivoluzionaria che ha guidato il cammino di Maria,
colei che lodava Dio perché «ha rovesciato i potenti dai troni» e «ha
rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,52.53) (EG, 288).
Per papa Francesco l’atteggiamento che più di ogni altro si contrappone all’umiltà è la tentazione della mondanità spirituale, che si può manifestare in tante forme. Vediamone alcune in vista di una verifica sui
nostri atteggiamenti personali, comunitari, associativi.
«Alcuni si sentono superiori agli altri perché … sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato… Invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso
alla grazia si consumano le energie nel controllare. In entrambi i casi, né
Gesù Cristo né gli altri interessano veramente. Non è possibile immaginare che da queste forme riduttive di cristianesimo possa scaturire un
autentico dinamismo evangelizzatore» (EG, 94).
«In altri questa oscura mondanità si manifesta… in una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti
della storia. In tal modo la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da
museo o in un possesso di pochi… Si può anche tradurre in un funzionalismo
manageriale, carico di statistiche, pianificazioni e valutazioni, dove il principale beneficiario non è il Popolo di Dio …, non si va realmente in cerca dei
lontani né delle immense moltitudini assetate di Cristo. Non c’è più fervore
evangelico, ma il godimento spurio di un autocompiacimento egocentrico»
(EG, 95).
«In tale contesto, si alimenta la vanagloria di quanti si accontentano di
avere qualche potere e preferiscono essere generali di eserciti sconfitti
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piuttosto che semplici soldati di uno squadrone che continua a combattere… Così neghiamo la nostra storia di Chiesa, che è gloriosa in quanto
storia di sacrifici, di speranza, di lotta quotidiana, di vita consumata nel
servizio, di costanza nel lavoro faticoso... Invece ci intratteniamo vanitosi
parlando a proposito di “quello che si dovrebbe fare” – il peccato del
“si dovrebbe fare”! – come maestri spirituali ed esperti di pastorale che
danno istruzioni rimanendo all’esterno» (EG, 96). «Chi è caduto in questa
mondanità guarda dall’alto e da lontano, rifiuta la profezia dei fratelli…
Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali! Questa mondanità asfissiante si sana assaporando l’aria pura dello
Spirito Santo... Non lasciamoci rubare il Vangelo!» (EG, 97).
Sono parole forti e chiare che non hanno bisogno di commento. Le
accogliamo, le meditiamo, ne facciamo motivo di verifica, di esame di
coscienza e di conversione.
II) Una Chiesa che nell’assemblea liturgica
diventa segno e attuazione della misericordia del Padre
7. La comunità ecclesiale vive per sua natura un duplice movimento: l’accoglienza del dono di Dio e la sua trasmissione vitale. Il luogo
per eccellenza di questo duplice movimento è la celebrazione liturgica.
Scrive papa Francesco:
«L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella Liturgia…La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche
celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso
a donarsi». (EG, 24).
Le parole del Papa fanno eco alle indicazioni del Concilio Vaticano
II che pongono la Liturgia come culmen et fons (punto culminante e sorgente) della vita della Chiesa e sono state tradotte nei successivi decreti
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sulla riforma liturgica. Tutto ciò suona come pressante invito perché
le nostre comunità pongano le celebrazioni liturgiche, e in particolare l’Eucaristia, al centro della propria attività pastorale e vi dedichino
particolare cura nella preparazione e nell’esecuzione. L’assemblea eucaristica, infatti, è la Chiesa che accoglie la misericordia di Dio e, a
partire da questa fonte divina, si pone in atteggiamento di missione per
comunicare il dono che essa per prima ha ricevuto.
Nell’assemblea liturgica si sperimenta la prossimità con Dio che si
dona all’uomo nella Parola, nei gesti e nei santi segni. Nella stessa assemblea si vive anche la comunione tra gli uomini: le distanze e le differenze vengono meno perché davanti al Signore siamo nella stessa condizione di creature che desiderano accogliere la misericordia del Padre.
Papa Francesco - riprendendo una consapevolezza comune dei Padri
della Chiesa (Ambrogio e Cirillo d’Alessandria) - ricorda che:
«l’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale,
non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per
i deboli» (EG, 47).
La liturgia, infatti, è il luogo dell’esperienza di Dio, dove tutti, specialmente coloro che soffrono si sentono ricolmati della ricchezza di
Dio e dove ogni sofferenza e povertà dell’uomo sono assunte nella croce
di Cristo. L’assemblea, poi, accompagna le persone che vi partecipano,
fa proprie le loro gioie e preoccupazioni, esprime la loro preghiera di
supplica, lode e rendimento di grazie. Essa accompagna anche quando
accoglie i partecipanti occasionali o coloro che non fanno parte della
comunità, così che ciascuno possa sentirsi a casa propria e sia orientato
nella sua preghiera.
Il Papa sottolinea anche che la liturgia ha una portata «evangelizzatrice» molto importante in quanto coinvolge la dimensione festiva
dell’esistenza umana. Celebrare è «festeggiare», ponendo il dono di Dio
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in relazione con la vita e inserendo la vita nel dono di Dio. L’assemblea
liturgica non rappresenta il momento della chiusura, ma è momento
di totale apertura: nei confronti di Dio, che nella celebrazione dona se
stesso, e nei confronti del mondo, al quale comunica la bellezza della
misericordia di Dio offerta indistintamente a tutti gli uomini. Per questo
papa Francesco chiede di evitare la contrapposizione tra una «Chiesa
che celebra» e una «Chiesa in missione»: solo nell’apertura alla missione l’assemblea eucaristica trova la sua piena realizzazione.
III) Una Chiesa che testimonia la comunione fraterna
8. Una intensa vita di comunione costituisce il presupposto fondamentale per un efficace «uscire» da sé in vista della missione evangelizzatrice. Solo una Chiesa che vive nella comunione, non per virtù
propria ma per il dono di grazia che la costituisce e la alimenta, può
contribuire con efficacia alla diffusione del Vangelo e al miglioramento
della società. Nella sua esortazione papa Francesco insiste molto su
questa dimensione necessaria della vita cristiana e ripetutamente invita
a relazioni comunionali e fraterne.
«Ai cristiani di tutte le comunità del mondo desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e
luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli
altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate: “Da
questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per
gli altri (Gv 13,35). È quello che ha chiesto con intensa preghiera Gesù
al Padre: “Siano una sola cosa … in noi … perché il mondo creda” (Gv
17,21). Attenzione alla tentazione dell’invidia! Siamo sulla stessa barca
e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei
frutti degli altri, che sono di tutti» (EG, 99).
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Il Papa offre una dettagliata esemplificazione che deve indurre anche
la nostra Chiesa di Crema (singoli credenti, comunità, aggregazioni) ad
una profonda verifica. Divisioni, rivalità, disistima, mancanza di collaborazione, persino scontri, costituiscono anche per noi un rischio e una
tentazione costante che esige vigilanza e carità.
«All’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre!
Nel quartiere, nel posto di lavoro, quante guerre per invidie e gelosie,
anche tra cristiani! La mondanità spirituale porta alcuni cristiani ad essere in guerra con altri cristiani che si frappongono alla loro ricerca di
potere, di prestigio, di piacere o di sicurezza economica. Inoltre, alcuni
smettono di vivere un’appartenenza cordiale alla Chiesa per alimentare
uno spirito di contesa. Più che appartenere alla Chiesa intera, con la sua
ricca varietà, appartengono a questo o quel gruppo che si sente differente o speciale» (EG, 98).
Papa Francesco ricorda che i carismi, in quanto doni che ciascuno
riceve dallo Spirito Santo, devono essere messi a servizio della comunione evangelizzatrice. Solo in questo modo si rinnova e si edifica la
Chiesa. Scrive:
«I carismi non sono un patrimonio chiuso, consegnato ad un gruppo
perché lo custodisca; piuttosto si tratta di regali dello Spirito integrati
nel corpo ecclesiale… Un chiaro segno dell’autenticità di un carisma è la
sua capacità di integrarsi armonicamente nella vita del Popolo santo di
Dio per il bene di tutti… Quanto più un carisma volgerà il suo sguardo al
cuore del Vangelo, tanto più il suo esercizio sarà ecclesiale. È nella comunione, anche se costa fatica, che un carisma si rivela autenticamente e
misteriosamente fecondo» (EG, 130).
Papa Francesco ci offre, poi, una preziosa riflessione su come vivere e gestire la diversità, la pluralità, la molteplicità che si manifesta
nelle nostre comunità. Riprendendo l’insegnamento di san Paolo nella
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prima Lettera ai Corinzi, ricorda che i carismi, se vissuti come doni
dello Spirito, arricchiscono il volto della Chiesa proprio attraverso la
loro diversità che nello Spirito si riconciliano nella sinfonia dell’unità.
Scrive:
«Le differenze tra le persone e le comunità a volte sono fastidiose, ma lo
Spirito Santo, che suscita questa diversità, può trasformarle in dinamismo
evangelizzatore. La diversità dev’essere sempre riconciliata con l’aiuto
dello Spirito Santo; solo Lui può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e, al tempo stesso, realizzare l’unità. Quando siamo noi che pretendiamo la diversità e ci rinchiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri
esclusivismi, provochiamo la divisione; quando siamo noi che vogliamo
costruire l’unità con i nostri piani umani, finiamo per imporre l’uniformità,
l’omologazione. Questo non aiuta la missione della Chiesa» (EG, 131).
È così che la Chiesa diviene «casa e scuola di comunione» come
indicava Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte (n. 43): amare
il carisma dell’altro come il proprio, l’altro gruppo, l’altra associazione,
l’altra parrocchia come i propri.
Nell’anno dedicato da papa Francesco alla “Vita Consacrata” (30 novembre 2014 - 2 febbraio 2016) è significativo considerare le persone
consacrate come “esperti di comunione”. Invito le parrocchie a trovare
le occasioni più propizie per riflettere sulla identità e sulla missione dei
consacrati, nelle diverse tipologie vocazionali, a partire da testimonianze di vita che possono essere facilmente reperite.
IV) Una Chiesa che cammina nella collegialità e nella sinodalità
9. I Sinodi sulla Evangelizzazione del 2012 e quello sulla Famiglia del 2014 sono stati esemplari per l’attuazione di un stile collegiale e sinodale: ognuno con il proprio dono, ha contribuito al
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discernimento della situazione, ha offerto le proprie riflessioni critiche e costruttive, ha condiviso le responsabilità e le decisioni. Questo è il metodo e lo stile che il Papa indica alle nostre Chiese locali,
dove ogni battezzato ha doni e responsabilità. Scrive:
«Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il
grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo
fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei
battezzati. Questa convinzione si trasforma in un appello diretto ad
ogni cristiano, perché nessuno rinunci al proprio impegno di evangelizzazione» (EG, 120).
Questa compartecipazione responsabile alla vita e alla gestione della
Chiesa non è una concessione fatta dal Papa o un privilegio da rivendicare presso il vescovo o il parroco, ma ha un fondamento nel modo
di concepire la Chiesa, che scaturisce dal Concilio Vaticano II: il primo
soggetto che costituisce la Chiesa è l’intero «popolo di Dio», gerarchia,
laici, persone consacrate (Lumen Gentium, cap. 2). Tutto il popolo di
Dio è rivestito di una dignità profetica, regale e sacerdotale. Tutto il
popolo di Dio ha la responsabilità della evangelizzazione.
«In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario. Ciascun battezzato, qualunque sia la sua
funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto
attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto
del popolo fedele fosse solamente recettivo della loro azione. La nuova
evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei
battezzati» (EG, 120).
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Un altro tema proposto dal Papa, a proposito della comunione e
della collegialità, è il ruolo dei laici. Scrive:
«I laici sono l’immensa maggioranza del popolo di Dio. Al loro servizio c’è
una minoranza: i ministri ordinati. È cresciuta la coscienza dell’identità e
della missione del laico nella Chiesa. Disponiamo di un numeroso laicato,
con un radicato senso comunitario e una grande fedeltà all’impegno della carità, della catechesi, della celebrazione della fede… In alcuni casi non
hanno trovato spazio nelle loro Chiese particolari per poter esprimersi ed
agire, a causa di un eccessivo clericalismo che li mantiene al margine delle decisioni… Non sempre la loro dedizione si riflette nella penetrazione
dei valori cristiani nel mondo sociale, politico ed economico, ma si limita
a compiti intraecclesiali senza un reale impegno per applicare il Vangelo
a trasformare la società. La formazione dei laici e l’evangelizzazione delle
categorie professionali e intellettuali rappresentano un’importante sfida
pastorale» (EG, 102).
L’ecclesiologia di comunione della Evangelii Gaudium, che è uno dei
frutti del Concilio, ha spostato l’accento da una gestione della cura pastorale affidata ai soli presbiteri ad una partecipazione corresponsabile
dell’intera comunità cristiana. Ciò significa che anche i pastori devono
rivedere il proprio ruolo: non più unici responsabili della comunità, ma
capaci di promuovere, guidare e orientare i diversi carismi e di far dialogare i diversi punti di vista in una diversità complementare. Nel riconoscimento e nella valorizzazione dei doni propri di tutti i battezzati,
il Papa inserisce una riflessione sul ruolo specifico della donna. Scrive:
«La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società,
con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini. Ad esempio, la speciale attenzione femminile verso gli altri, che si esprime in modo particolare,
anche se non esclusivo, nella maternità. Vedo con piacere come molte
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donne condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di
gruppi ed offrono nuovi apporti alla riflessione teologica. Ma c’è ancora
bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Il “genio femminile” è necessario in tutte le espressioni della
vita sociale, per tale motivo si deve garantire la presenza delle donne
nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella
Chiesa come nelle strutture sociali» (EG, 103).
V) Una Chiesa povera per i poveri
10. Secondo papa Francesco «l’opzione per i poveri è una categoria teologica, prima che culturale, sociologica e politica» (EG, 198). Nel
cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri, perché Egli stesso
si fece povero (2 Cor 8,9). Il Papa ricorda che l’intera vita di Gesù è
segnata da questa opzione: nasce come un figlio di poveri; cresce in una
casa di semplici lavoratori e a sua volta ha lavorato; ha annunciato ai
poveri che Dio li porta nel cuore chiamandoli “beati” (Lc 6,20). Scrive:
«Dio concede ai poveri la sua prima misericordia. Questa preferenza divina
ha delle conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere
“gli stessi sentimenti di Gesù” (Fil 2,5). Ispirata da essa, la Chiesa ha fatto
una opzione per i poveri, la quale è implicita nella fede in quel Dio che si
è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà. Per questo
desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci…
Con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che
tutti ci lasciamo evangelizzare da loro… Siamo chiamati a scoprire Cristo
in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa
sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (EG, 198).
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La riflessione di papa Francesco prende anche una direzione di
sociologia cristiana parlando di una «economia dell’esclusione e dello
scarto», di una «globalizzazione dell’indifferenza». Scrive parole che
invitano i responsabili dell’economia, ma anche ogni singolo credente ad un profondo esame di coscienza:
«Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo pacificamente il suo
predomino su di noi e sulle nostre società. La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi
antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! Abbiamo
creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,1-35)
ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e
nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano» (EG, 55). «A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista… In questo sistema che tende
a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che
sia fragile rimane indifesa… No a un denaro che governa invece di servire!» (EG, 56). «Dietro questo atteggiamento si nascondono il rifiuto
dell’etica e il rifiuto di Dio. All’etica si guarda con un certo disprezzo
beffardo, la si considera controproducente» (EG, 57). «Il Papa ama tutti, ricchi e poveri, ma ha l’obbligo, in nome di Cristo, di ricordare che i
ricchi devono aiutare i poveri, rispettarli e promuoverli. Vi esorto alla
solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza
ad un’etica in favore dell’essere umano» (EG, 58).
Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati da queste parole del
Papa a scelte e impegni concreti, a un cambiamento di stili di vita, ad
essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri;
questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo (EG, 187).
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Le «periferie» delle quali parla papa Francesco non sono soltanto
luoghi, ma anche e soprattutto persone, che anche noi incontriamo
ogni giorno. Il povero si manifesta nell’emarginato, nel disoccupato,
nel malato, nell’escluso, in chi è considerato “superfluo” o “scartato”.
Non possiamo dimenticare che tra gli esclusi sono compresi i migranti, le vittime della tratta, le donne, i nascituri “che sono i più indifesi
e innocenti di tutti”.
Papa Francesco ci ricorda che la carità operosa è forma concreta
di evangelizzazione. La carità non sta “accanto”, ma “dentro”, cioè
“nel cuore” dell’evangelizzazione. Ma ci avverte che dobbiamo stare
attenti a non esaurire la carità nelle opere di carità. Scrive:
«Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non
è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro «considerandolo come un’unica cosa con se stesso». Soltanto questo renderà possibile che i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana,
come “a casa loro”. Non sarebbe, questo stile, la più grande ed efficace
presentazione della buona novella del Regno?» (EG, 199). «Desidero
affermare con dolore che la peggior discriminazione di cui soffrono i
poveri è la mancanza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza
dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di
Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua
benedizione, la sua Parola, i Sacramenti e la proposta di un cammino
di crescita e di maturazione nella fede» (EG, 200).
VI) Una Chiesa che esce in missione
11. Già ho indicato quale terza parola chiave della Evangelii Gaudium, la Chiesa “in uscita” per evangelizzare e vivere la sua vocazio-
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ne missionaria. In questo contesto riprendo le riflessioni che il papa
Francesco fa sulla qualità missionaria della vita cristiana e sulla necessità di una conversione pastorale in modo che tutte le nostre strutture
diventino più missionarie. È un tema sul quale in diocesi abbiamo già
svolto un’ampia riflessione in occasione della mia lettera pastorale
Dal Battesimo lo slancio della missione. Ora invito tutti a cogliere gli arricchimenti che su questo argomento ci sono offerti dal Papa. Scrive:
«La missione non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi
posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio
distruggermi. Io “sono una missione” su questa terra, per questo mi trovo in questo mondo» (EG, 273). «Quando la Chiesa chiama all’impegno
evangelizzatore, non fa altro che indicare ai cristiani il vero dinamismo
della realizzazione personale: qui scopriamo un’altra legge profonda
della realtà: la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per
la vita degli altri. La missione, alla fin fine, è questo» (EG, 10).
Il Papa ci aiuta anche a riflettere sulle nostre possibili resistenze,
sulle pigrizie, sull’accidia dalla quale spesso siamo prigionieri di fronte
all’impegno missionario e ne suggerisce le cause. Chiedo che questo
diventi per tutti noi oggetto di profonda meditazione e di esame di coscienza personale e comunitario. Ne abbiamo grande bisogno. Scrive:
«Non lasciamoci rubare l’entusiasmo missionario! No all’accidia egoista»
(EG, 80), «Mentre abbiamo più che mai bisogno di un dinamismo missionario che porti sale e luce al mondo, molti laici temono che qualcuno
li inviti a realizzare qualche compito apostolico, e cercano di fuggire da
qualsiasi impegno che possa togliere loro il tempo libero. Oggi, per esempio, è diventato molto difficile trovare catechisti preparati per le parrocchie e che perseverino nel loro compito per diversi anni. Ma qualcosa di
simile accade con i sacerdoti, che si preoccupano con ossessione del loro
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tempo personale. Questo si deve frequentemente al fatto che le persone sentono il bisogno imperioso di preservare i loro spazi di autonomia,
come se un compito di evangelizzazione fosse un veleno pericoloso invece che una gioiosa risposta all’amore di Dio che ci convoca alla missione
e ci rende fecondi. Alcuni fanno resistenza a provare fino in fondo il gusto
della missione e rimangono avvolti in un’accidia paralizzante» (EG, 81).
Sono molto belle le parole con le quali papa Francesco accosta il
tema della missione ad uno sguardo contemplativo al Crocifisso. È in
questo atteggiamento di preghiera che si alimentano le vocazioni alla
missione. Scrive:
«La missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo. Quando sostiamo davanti a Gesù crocifisso, riconosciamo tutto il suo amore che ci dà dignità e ci sostiene, però, in quello stesso momento, se non siamo ciechi, incominciamo a percepire che
quello sguardo di Gesù si allarga e si rivolge pieno di affetto e di ardore
verso tutto il suo popolo. Così riscopriamo che Lui vuole servirsi di noi per
arrivare sempre più vicino al suo popolo amato»(EG, 268).
Con molta saggezza, il Papa ci invita a non valutare i frutti dell’azione missionaria sulla base di calcoli umani, ma piuttosto a credere alla
fecondità della grazia di Dio:
«A volte ci sembra di non aver ottenuto con i nostri sforzi alcun risultato,
ma la missione non è un affare o un progetto aziendale, non è neppure
un’organizzazione umanitaria, non è uno spettacolo per contare quanta gente vi ha partecipato grazie alla nostra propaganda; è qualcosa di
molto più profondo, che sfugge ad ogni misura. Forse il Signore si avvale
del nostro impegno per riversare benedizioni in un altro luogo del mondo
dove non andremo mai» (EG, 279).
Queste parole del Papa suonano per noi come un invito a intensificare la formazione di una coscienza missionaria, imprescindibile sia nel
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piano pastorale di ogni comunità sia nel cammino delle aggregazioni
laicali ecclesiali.
Tale coscienza e stile missionario devono svilupparsi in due direzioni. Anzitutto verso una evangelizzazione nel nostro territorio, rivolta a
tutte le persone e a tutti gli ambienti per raggiungere tutti senza eccezioni
né esclusioni, a partire dalle persone che hanno abbandonato la pratica
religiosa o che stanno cercando di ricominciare un cammino di fede. In
secondo luogo il nostro orizzonte deve estendersi fino a raggiungere altre Chiese sorelle, in paesi lontani, raccogliendo e perpetuando l’eredità
di una ampia schiera di missionari e missionarie che, partiti dalla nostra
terra, hanno favorito una inculturazione della fede cristiana in tante parti del mondo. In particolare dobbiamo sentirci sollecitati ad un rinnovato coinvolgimento nella esperienza missionaria che la nostra diocesi, in
comunione con quella di Lodi, ha avviato in Uruguay. È auspicabile che
sacerdoti e laici, coppie di sposi offrano la propria disponibilità per testimoniare in quelle terre la nostra fede. Anche il curriculum formativo dei
seminaristi può prevedere esperienze significative in terra di missione.
La nostra Chiesa di Crema si prepara, in un futuro non lontano,
a ricevere come beato il nostro conterraneo Padre Alfredo Cremonesi,
ucciso “in odium fidei” nel 1953 in Birmania. Questo autentico dono
del Signore deve essere preparato dalla nostra Comunità mediante un
adeguato approfondimento della figura di p. Cremonesi. La grazia del
nuovo Beato servirà da stimolo per un ulteriore e più deciso slancio
missionario.
VII) Una Chiesa dalle porte aperte, dove tutti si sentono di casa
12. Papa Francesco, con le sue parole ma anche con lo stile del suo
pontificato, sta esprimendo un particolare volto della Chiesa:
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«La Chiesa dev’essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la
vita buona del Vangelo» (EG, 114).
La Chiesa è lo spazio in cui ogni fedele, di qualunque condizione,
matura la propria fisionomia di battezzato e di membro della comunità,
a partire dalla sua situazione personale, anche la più fragile e sofferta.
Ciò suona per tutti noi come un invito ad aprire le porte delle nostre
comunità a tutti coloro che sono alla ricerca di Dio o che desiderano
vivere l’esperienza dell’amore filiale verso Dio Padre e condividere l’amore fraterno verso tutti. Il Papa aggiunge:
«In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, spudoratamente malata di curiosità morbosa, la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte
le volte che sia necessario. In questo mondo i ministri ordinati e gli altri
operatori pastorali possono rendere presente la fragranza della presenza vicina di Gesù ed il suo sguardo personale. La Chiesa dovrà iniziare
i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa arte, perché tutti
imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro
(cfr Es 3,5)» (EG, 169).
Papa Francesco prosegue la sua esortazione chiedendo che le comunità, mentre si fanno accoglienti nei confronti di tutte le persone,
al tempo stesso coltivino «una pedagogia che le introduca, passo dopo
passo, alla pienezza della fede». Scrive che «è necessario uno sguardo rispettoso e pieno di compassione verso tutti, ma che nel medesimo tempo
possa risanare, liberare e incoraggiare a maturare nella vita cristiana»
(EG, 169).
Di fronte a queste parole del Papa, dobbiamo chiederci quali categorie di persone oggi sentono che le “porte” delle nostre comunità cre-
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masche sembrano chiuse per loro. Per farle sentire accolte è necessario
interrogarci sui nostri atteggiamenti, sulle impostazioni pastorali. Nella
recente assemblea sull’iniziazione cristiana abbiamo fortemente sottolineato come la richiesta dei sacramenti per i figli costituisca una grande
opportunità per esprimere cordialità, accoglienza, stile evangelico alle
famiglie, creando le condizioni perché possano riscoprire la bellezza
della fede cristiana e della pratica religiosa.
Ciò richiede anche l’impegno, da parte dei sacerdoti e di tutti i collaboratori pastorali, ad accompagnare le persone con misericordia e pazienza nelle possibili tappe della loro crescita, la capacità di riconoscere
o indicare il bene possibile, la proposta di maturità e di realizzazione,
il passo alla loro portata secondo la condizione nella quale si trovano.
VIII) Una Chiesa che accompagna i cammini delle persone
13. Ricordo qui l’intenso discorso di papa Francesco ai vescovi brasiliani durante la GMG di Rio del 2013, nel quale ha riletto l’episodio
dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-15) e ha indicato in essi l’immagine
delle persone che lasciano la Chiesa:
«E allora vanno per la strada da soli, con la loro delusione. Forse la Chiesa è apparsa troppo debole, forse troppo lontana dai loro bisogni, forse
troppo povera per rispondere alle loro inquietudini, forse troppo fredda
nei loro confronti, forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei
propri rigidi linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del passato, insufficiente per le nuove domande; forse la Chiesa aveva
risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per la sua età adulta. Il fatto è
che oggi ci sono molti che sono come i due discepoli di Emmaus; non solo
coloro che cercano risposte nei nuovi e diffusi gruppi religiosi, ma anche
coloro che sembrano ormai senza Dio sia nella teoria che nella pratica».
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Il Papa si chiede che cosa possiamo fare di fronte a questa situazione.
Una domanda che rimbalza anche sul nostro stile pastorale. E risponde:
«Serve una Chiesa che non abbia paura di entrare nella loro notte. Serve
una Chiesa capace di incontrarli nella loro strada. Serve una Chiesa in
grado di inserirsi nella loro conversazione. Serve una Chiesa che sappia
dialogare con quei discepoli, i quali, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con la delusione di
un cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di
generare senso».
Le vibranti parole del Papa significano per noi l’impegno a dare alle
nostre comunità il volto di una Chiesa presente, capace di decifrare la
notte delle persone, capace di scaldare il cuore. Ci sollecitano a coltivare
l’ascolto, la capacità di «sentire-con» l’altro, la prossimità nei confronti
delle situazioni che le persone vivono e che segnano la loro esistenza,
aiutandole a leggerle e ad abitarle.
Nella nostra Chiesa diocesana, nelle nostre parrocchie, negli Istituti
religiosi, nelle aggregazioni laicali, dobbiamo preparare e far crescere persone competenti ad accompagnare i cammini delle persone, con pazienza,
discrezione e rispetto dei tempi di ciascuno. Papa Francesco ci dà una
lezione di accompagnamento, frutto della sua lunga esperienza personale:
«Una comunità dalle porte aperte è quella in cui le persone incontrano
uomini e donne che, a partire dalla loro esperienza di accompagnamento, conoscano il modo di procedere dove spiccano la prudenza, la capacità di comprensione, l’arte di aspettare, la docilità allo Spirito Santo…
Occorre esercitare l’arte di ascoltare, dando tempo, fino a permettere ai
singoli di giungere ad un punto di maturità, ad essere persone veramente
capaci di decisioni, veramente libere e responsabili. Solo a partire da questo ascolto rispettoso si possono trovare le vie per un’autentica crescita,
si può risvegliare il desiderio dell’ideale cristiano, l’ansia di rispondere
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pienamente all’amore di Dio e l’anelito di sviluppare il meglio di quanto
Dio ha seminato nella propria vita. Per giungere ad un punto di maturità,
cioè perché le persone siano capaci di decisioni libere e responsabili, è
indispensabile dare tempo, con una immensa pazienza» (EG, 171). «Chi
accompagna sa riconoscere che la situazione di ogni soggetto davanti
a Dio e alla sua vita di grazia è un mistero che nessuno può conoscere
pienamente dall’esterno…» (EG, 172).
Dobbiamo sempre avere ben vivo nella nostra mente che l’arte
dell’accompagnamento personale è “la spina dorsale” della pastorale
vocazionale.
IX) Una Chiesa che si fa dialogo
14. La dimensione dialogica attraversa tutto l’ampio campo della
pastorale attiva: uscire, andare nelle periferie, essere missionari implica
anche un cammino di dialogo, aperto e senza preconcetti, perché il dialogo è un’espressione indispensabile dell’esistenza credente. Papa Francesco indica alcuni ambiti dove il dialogo appare urgente: il dialogo
con lo Stato e la società, il dialogo con la cultura e le scienze, il dialogo
con i credenti che non appartengono alla Chiesa Cattolica e il dialogo
con i credenti di altre religioni. Si tratta, secondo il Papa, di una vera e
propria «cultura dell’incontro», sempre attenta a riconoscere il positivo
nell’altro e a valorizzarlo (EG, 238). Nel messaggio per la Giornata
delle comunicazioni sociali scriveva:
«Dialogare significa essere convinti che l’altro abbia qualcosa di buono
da dire, fare spazio al suo punto di vista, alle sue risposte. Dialogare non
significa rinunciare alla proprie idee e posizioni, ma alla pretesa che siano uniche e assolute».
Per quanto riguarda il dialogo con lo Stato e con la società, il papa Fran-
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cesco ricorda che la nostra ha una situazione di pluralismo, a volte esasperato, caratterizzato da un congestionato ingorgo culturale e che in
questa situazione la Chiesa non dispone di soluzioni per tutte le questioni particolari. Una cosa è certa:
«L’evangelizzazione implica un cammino di dialogo… con gli Stati, con la
società e con altri credenti che non fanno parte della Chiesa cattolica»
(EG, 238). «Insieme con le diverse forze sociali, la Chiesa accompagna le
proposte che meglio possono rispondere alla dignità della persona umana e al bene comune. Nel farlo, la Chiesa propone sempre con chiarezza
i valori fondamentali dell’esistenza umana, per trasmettere convinzioni
che poi possano tradursi in azioni politiche» (EG, 241). «La nuova evangelizzazione sprona ogni battezzato ad essere strumento di pacificazione
e di testimonianza credibile di una vita riconciliata» (EG, 239).
Lo stile della missione chiede di prendere parte, con un dialogo sereno, un desiderio costruttivo e la stima per gli interlocutori, ai luoghi
istituzionali, presenti nella parrocchia e nel territorio, nei quali cresce la
vita democratica. È anche in questi organismi che la parrocchia - presente con i suoi laici - è stimolata a scelte profetiche circa la relatività
delle cose, la condivisione dei beni, i valori dello spirito, i temi della
pace, le esperienze di servizi sociali esemplari e nuovi. Oggi più che mai
i cristiani sono chiamati a essere partecipi della vita della città, senza
esenzioni, portando in essa una testimonianza ispirata dal Vangelo.
Per quanto riguarda il dialogo con i fratelli separati, la visione sottesa
nell’esortazione è quella che dal Concilio Vaticano II in poi, invita non
tanto a pregare per aspettare il «ritorno» di qualcuno, quanto piuttosto a
pregare e camminare insieme verso l’unità perché siamo lontani tutti da
quel modello che è Cristo e da quel Corpo vivente che è la Chiesa, unita
nella diversità delle esperienze di fede. Scrive papa Francesco:
«Sono tante e tanto preziose le cose che ci uniscono! E se realmente cre-
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diamo nella libera e generosa azione dello Spirito, quante cose possiamo
imparare gli uni dagli altri! Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi. Attraverso uno
scambio di doni, lo Spirito può condurci sempre di più alla verità e al
bene» (EG, 246).
Invito tutti gli operatori pastorali della nostra diocesi a proseguire in
una attenta lettura delle presenze di cristiani non cattolici sul territorio
cremasco, e suggerisco un’attenzione particolare verso i fedeli ortodossi,
appartenenti a diversi patriarcati. In spirito ecumenico, la nostra Diocesi in questi anni ha messo a disposizione una chiesa (S. Maria Stella,
in via Civerchi a Crema) per le liturgie ortodosse per i russi ucraini e i
rumeni ortodossi.
Occasione d’incontro potrebbero diventare, oltre la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, anche la veglia di Pentecoste e la festa di
s. Pantaleone, santo assai venerato dalle Chiese Ortodosse.
Per seguire pastoralmente i cattolici rumeni, che vivono nel territorio cremasco, la nostra Diocesi ha messo a disposizione la chiesa della
Madonna di Lourdes a Crema, con un presbitero della Chiesa Romena
greco cattolica, unita con Roma, proveniente dalla diocesi di Oradea.
Per quel che riguarda il dialogo interreligioso, papa Francesco afferma che assume speciale importanza quello con i credenti dell’Islam, oggi
particolarmente presenti in molti Paesi di tradizione cristiana dove essi
possono celebrare liberamente il loro culto e vivere integrati nella società. Il Papa ricorda che
«professando di avere la fede di Abramo, essi adorano con noi un Dio
unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale. Anche
gli scritti sacri dell’Islam conservano parte degli insegnamenti cristiani;
Gesù Cristo e Maria sono oggetto di profonda venerazione ed è ammi-
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revole vedere come giovani e anziani, donne e uomini dell’Islam sono
capaci di dedicare quotidianamente tempo alla preghiera e di partecipare fedelmente ai loro riti religiosi» (EG, 252). «Per sostenere il dialogo
con l’Islam è indispensabile la formazione adeguata degli interlocutori,
solidamente e gioiosamente radicati nella loro identità e capaci di riconoscere i valori degli altri... Noi cristiani dovremmo accogliere con affetto
e rispetto gli immigrati dell’Islam che arrivano nei nostri Paesi, così come
speriamo e preghiamo di essere accolti e rispettati nei Paesi di tradizione
islamica… Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad
evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza» (EG, 253).
Vi è un ultimo aspetto che il Papa propone: il dialogo con i non credenti.
Su tale tema invito le nostre comunità, le aggregazioni laicali e commissioni pastorali a fare una riflessione e, là dove possibile, a dar vita a
iniziative di incontro, nello spirito indicato dal Papa:
«Come credenti ci sentiamo vicini anche a quanti, non riconoscendosi
parte di alcuna tradizione religiosa, cercano sinceramente la verità, la
bontà e la bellezza, che per noi trovano la loro massima espressione e
la loro fonte in Dio. Li sentiamo come preziosi alleati nell’impegno per la
difesa della dignità umana, nella costruzione di una convivenza pacifica
tra i popoli e nella custodia del creato. Uno spazio peculiare è quello dei
cosiddetti nuovi Areopaghi, come il “Cortile dei Gentili”, dove «credenti e
non credenti possono dialogare sui temi fondamentali dell’etica, dell’arte, e della scienza, e sulla ricerca della trascendenza». Anche questa è
una via di pace per il nostro mondo ferito» (EG, 257).
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3
Proposte e spunti di lavoro
15. Dedico l’ultima sezione di questa nota pastorale ad una applicazione pratica dell’Evangelii Gaudium nella nostra realtà diocesana, con
alcune indicazioni rivolte a vari soggetti ecclesiali. Aggiungo piste di
approfondimento, proposte raccolte da persone e commissioni consultate in vista della stesura di questo testo, domande che possono aiutare
la riflessione e favorire ulteriori scelte. Si tratta di dare inizio a un cammino che non si conclude in un anno pastorale. L’obiettivo è quello di
offrire orientamenti e assumere stili di vita duraturi per il nostro cammino ecclesiale.
Il salto di qualità che papa Francesco ci chiede, si riassume nel rinnovamento del nostro modo di essere e della nostra pastorale, un rinnovo
che si realizza su due livelli: il primo è personale e interiore e riguarda
ciascun battezzato, sacerdoti, persone consacrate, famiglie, educatori, giovani; il secondo è comunitario e va a incidere sulle attività e sulle strutture.
I) Alle parrocchie e alle unità pastorali
16. Nella Evangelii Gaudium si avverte subito la distanza dal principio guida che ha regolato il progetto pastorale uscito dal concilio di
Trento, cioè la «cura delle anime», affidata alla sola responsabilità del parroco. Questo principio è in gran parte operante nella mentalità comune
e spesso ancora nella nostra prassi parrocchiale. Papa Francesco indica
la via per un improrogabile rinnovamento ecclesiale. Vediamo alcune
sue indicazioni pastorali.
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1. In primo luogo il Papa fa leva sul ruolo della parrocchia, affermando che essa non è una struttura caduca, ma una realtà ecclesiale
a tutto tondo: è «la Chiesa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue
figlie», possiede enormi potenzialità per alimentare la vita cristiana,
è la «fontana del villaggio» alla quale tutti possono attingere. Essa può
avere grande plasticità e assumere forme molto diverse in relazione
alle situazioni sociali e antropologiche in cui si trova.
2. Il Papa dice di sognare una scelta missionaria mediante la quale
la parrocchia, e ogni altra struttura ecclesiale, assuma una fisionomia
capace di dare voce al Vangelo nel nostro oggi. Chiede una «conversione pastorale» in senso missionario. Invito tutti ad essere audaci e
creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, i mezzi per raggiungerli, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle nostre
comunità (EG, 33).
3. Questo stile missionario suppone che la parrocchia stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa, separata dalla gente, o un gruppo di eletti che guardano
a se stessi. La parrocchia è presenza ecclesiale nel territorio, ambito
dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, della celebrazione e dell’adorazione. Attraverso le sue attività la parrocchia incoraggia e forma
i suoi membri perché siano agenti della evangelizzazione (EG, 28).
4. All’interno della pastorale parrocchiale vive e si sviluppa la
pietà popolare, che si manifesta in tanti momenti e tante espressioni
durante l’anno liturgico (pellegrinaggio, novene, benedizione delle
famiglie, ottavario di preghiera per i defunti, feste patronali e mariane). Grande rilevanza assumono in molte nostre parrocchie le sagre
patronali, ma queste non possono essere ridotte a momenti ricreativi o gastronomici; devono offrire incisive occasioni di preghiera, di
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spiritualità, di gesti d’accoglienza e di carità. Solo così può attuarsi
quanto sottolineava Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi: «La pietà popolare manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere»
(EG, 27-49).
Alcune proposte
17. Affido alla riflessione e alla creatività dei Consigli pastorali e
degli altri organismi alcune proposte e alcuni impegni relativi al tema
della parrocchia.
• Studiare come intervenire sulla metodologia e sul funzionamento
degli organismi di partecipazione, per renderli sempre più adeguati ai loro compiti e per incentivare la collegialità e la sinodalità.
• Individuare e formare, all’interno delle singole comunità parrocchiali, laici responsabili e costituirli come referenti di vari settori
pastorali in uno spirito di collaborazione e di corresponsabilità.
• Intensificare, nei cammini dell’iniziazione cristiana e coi giovani, proposte di introduzione al silenzio, all’ascolto della Parola,
all’accompagnamento spirituale.
• Avviare o intensificare, anche con l’aiuto dell’Ufficio diocesano
per la famiglia, una lettura delle difficoltà delle proprie famiglie e
di come sostenerle e accompagnarle.
• Attivare o proseguire, anche con l’aiuto della Caritas, una lettura delle principali povertà e studiare come portarle all’attenzione
pubblica, oltre che sostenerle.
• Riflettere sulla gestione dei beni e del denaro, a livello comunitario e personale, per incentivare lo stile della sobrietà evangelica e
della condivisione.
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Domande per la riflessione
• 18. Quali forme possono assumere, per la nostra parrocchia, le
tentazioni delle quali parla il Papa: accidia egoista (EG, 81-83),
pessimismo sterile (EG, 84-86), mondanità spirituale (EG, 93-97),
guerra tra noi (EG, 98-100)?
• Quali sono le scelte opportune perché la nostra parrocchia sia
sempre più Chiesa “in uscita”, “Chiesa dalle porte aperte?”
• Quali sono le persone che possono sentirsi meno considerate dalla nostra pastorale o escluse dalle nostre proposte e celebrazioni?
Come essere accoglienti nei loro confronti?
• Come venire incontro alle situazioni di disagio, di solitudine e di
povertà materiale a causa della persistente crisi economica?
• Quali proposte educative per aiutare le persone a trovare uno stile
di vita più sobrio e fraterno nel quotidiano e nella gestione dei
propri beni?
II) Ai Movimenti e alle Associazioni
19. Con il sorgere di numerose aggregazioni laicali, soprattutto negli
anni successivi al Concilio, lo Spirito Santo ha suscitato diversi carismi
che possono dare un contributo nuovo alla Chiesa e alla sua missione, a
patto che si integrino armonicamente nella vita delle comunità diocesane e parrocchiali. Sono significative, a questo proposito, le indicazioni
date da papa Francesco alle aggregazioni laicali ecclesiali. Le propongo
alle associazioni, ai movimenti, ai gruppi laicali organizzati per una
attenta riflessione, per una verifica su come possono far rifluire nella
Chiesa il proprio carisma specifico e per un discernimento sulla propria relazione con la Chiesa diocesana, in sintonia con le proposte della
Evangelii Gaudium.
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1. Papa Francesco afferma che le piccole comunità, i movimenti e
altre forme di associazione, costituiscono una ricchezza della Chiesa
che lo Spirito suscita per evangelizzare tutti gli ambienti e settori. Molte volte apportano un nuovo fervore evangelizzatore perché capaci di
intercettare diversi settori e ambienti della vita sociale non facilmente
raggiungibili da una pastorale parrocchiale. «La proliferazione e la crescita
di associazioni e movimenti prevalentemente giovanili si possono interpretare
come un’azione dello Spirito che apre strade nuove in sintonia con le loro aspettative e con la ricerca di spiritualità profonda e di un senso di appartenenza più
concreto» (EG, 105).
2. Il Papa aggiunge che è molto salutare che queste aggregazioni non
perdano il contatto con la realtà tanto ricca della diocesi e della parrocchia del luogo, e che si integrino con impegno e creatività nella pastorale
organica della Chiesa particolare. «Questa integrazione eviterà che rimangano
solo con una parte del Vangelo e della Chiesa, o che si trasformino in nomadi senza radici» (EG, 29). «È necessario rendere più stabile la partecipazione di queste
aggregazioni all’interno della pastorale d’insieme della Chiesa» (EG, 105).
3. Sotto la guida dello Spirito, le aggregazioni laicali ecclesiali sono
nella condizione ideale per operare un discernimento su specifici settori
della vita che sono più vicini alla loro sensibilità e al loro carisma. Questo non in sostituzione al compito della Chiesa locale, ma a suo arricchimento. Papa Francesco esorta ad avere una sempre vigile capacità di
studiare i «segni dei tempi», a riflettere su ciò che accade e si muove intorno a noi, a «vedere» la realtà non in modo neutro, ma per riconoscere in
essa i «semi del Verbo» (EG, 68), Egli parla di un «discernimento evangelico»
e lo definisce come «lo sguardo del discepolo missionario che si nutre della luce
e della forza dello Spirito Santo» (EG, 50). Il discernimento di papa Francesco è finalizzato a individuare un metodo di lavoro per la missione della
Chiesa “in uscita”.
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Alcune proposte
20. Lascio alla responsabilità delle singole associazioni e movimenti, con il coordinamento della Consulta per le aggregazioni laicali, il
compito di approfondire alcuni punti della Evangelii Gaudium che in
modo specifico riguardano la loro vita interna e il loro rapporto con la
Chiesa locale in vista di una sempre maggiore docilità all’azione dello
Spirito e di dedizione ai fratelli.
• Le aggregazioni laicali che vivono nella nostra diocesi presentano una varietà di carismi che si possono raccogliere intorno ad
alcune grandi linee: sensibilità verso varie forme di preghiera, coltivazione della vita spirituale, cammino educativo-formativo, impegno sociale e caritativo. Invito ogni singola realtà a interrogarsi
su quale partecipazione e quale apporto possa offrire alla Chiesa
locale in relazione al proprio specifico carisma.
• Ogni singola associazione e movimento, in sintonia con l’immagine di una Chiesa “in uscita”, compia un discernimento per individuare quali situazioni di «periferie esistenziali» possa raggiungere
e come possa farle conoscere alle parrocchie e alla diocesi.
• Il Papa richiama le aggregazioni ad una integrazione e ad una interazione efficace con la pastorale diocesana e parrocchiale. Invito le
singole realtà ad una riflessione circa un sempre maggiore impegno
e una fattiva collaborazione con la diocesi e le parrocchie e a studiare modalità e condizioni che rendano ciò effettivamente possibile.
Domande per la riflessione
• 21. Cosa significa per il nostro movimento, associazione, gruppo
assumere uno stile missionario che vada oltre la «semplice amministrazione»?
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• Abbiamo lo sguardo del discepolo missionario che discerne e si
muove nella luce del Vangelo e nella forza dello Spirito?
• Che riflesso concreto hanno nella mia aggregazione, espressioni quali «toccare la carne sofferente di Cristo nel povero», «in
ginocchio davanti agli altri per lavare loro i piedi», «rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della
strada»?
• Nella nostra vita associativa, ci sentiamo parte viva di una
Chiesa locale che testimonia la comunione fraterna?
III) Ai presbiteri
22. Mi rivolgo ora in particolare ai confratelli preti della nostra diocesi per offrire qualche spunto di riflessione oltre a quelli che emergono
dal loro specifico cammino formativo che stiamo conducendo in questo anno pastorale e che ha come tema la Evangelii Gaudium. Un buon
punto di partenza sono le parole che papa Francesco rivolse ai presbiteri nella Messa Crismale del 2013: «Questo io vi chiedo: essere pastori con
l’odore delle pecore, pastori in mezzo al proprio gregge, e pescatori di uomini».
Sono parole di una sorprendente plasticità, felice premessa al grande
dono della Evangelii Gaudium.
1. Uno dei punti cruciali dell’ esortazione apostolica di papa Francesco, è senza ombra di dubbio il tema della relazione interpersonale,
che va a toccare in maniera diretta la missione propria del pastore. Il
santo Padre parla di un annuncio che si fa «dialogo personale, in cui l’altra
persona si esprime e condivide le sue gioie, le sue speranze, le sue preoccupazioni …» (EG, 128). È un atteggiamento, questo, che si pone in sintonia
con il punto di arrivo e di partenza di tutto l’annuncio evangelico: «La
Chiesa dev’essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi
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accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo» (EG, 114).
2. Un’istanza assai forte e insistita della Evangelii Gaudium, che non
può non toccare da vicino anche la vita di noi presbiteri e di me vescovo,
è l’invito ad una «pastorale in conversione». È una prospettiva centrale e
inequivocabile nel pontificato di papa Francesco e si esplicita, per il prete, innanzitutto in una ricerca dell’essenziale attraverso il quale è possibile riscoprire la bellezza e la gioia del Vangelo; in un discernimento ed
eventualmente in un taglio su ciò che non è proprio del nostro ministero;
nell’operare con generosità, con costanza e con tenacia senza lasciarci
sopraffare dallo scoraggiamento e dalla tristezza del sentirci inadeguati.
Sentiamoci incoraggiati e impegnati a prendere in considerazione, con
serenità e responsabilità, sia alcuni aspetti problematici della nostra vita
presbiterale, sia tutti gli aspetti «belli» dai quali stiamo traendo aiuto e
sostegno.
3. Papa Francesco offre ai presbiteri una riflessione approfondita e
completa sul tema dell’omelia, un nostro impegno specifico, con delle
declinazioni pratiche e ben delineate (EG, 135-159). Ci chiede di porre grande attenzione al contesto liturgico nel quale l’omelia è collocata, impegnandoci al servizio della celebrazione della fede, della quale
dobbiamo rispettare l’armonia e il ritmo, «in modo che il Signore brilli più
del ministro» (EG, 138). Ci richiama il suo essenziale radicamento della Parola, il che chiede un atteggiamento di contemplazione «con cuore
docile e orante» (EG, 149). Ci chiede, come altrettanto necessario, anche
«l’ascolto del popolo» per capire, con sensibilità pastorale «le sue domande
e le sue aspirazioni: la predica cristiana trova nel cuore della cultura del popolo
una fonte d’acqua viva» (EG, 139). Perché non riprendere nelle nostre riunioni presbiterali zonali, amicali o di classe, una riflessione su queste
indicazioni?
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4. Anche il prete non è esente da quella che papa Francesco definisce
«mondanità spirituale». Chiede agli operatori pastorali di evitare quelle
tentazioni che possono sminuire, se non addirittura vanificare, l’opera
di annuncio e di evangelizzazione. Rivolgendosi in modo particolare ai
presbiteri parla di una preoccupazione esagerata per i propri spazi personali, di autonomia e di distensione (EG, 81). Sottolinea che, a volte,
colui che è chiamato a guidare il popolo di Dio fa trasparire una certa
sfiducia nei confronti del messaggio della Chiesa, un certo relativismo
pratico che «consiste nell’agire come se Dio non esistesse, a decidere come se i
poveri non esistessero, a sognare come gli altri non esistessero, a lavorare come se
quanti non hanno ricevuto l’annuncio non esistessero» (EG, 80).
5. Sono abbondanti, infine, nella Evangelii Gaudium, i riferimenti alle
risorse buone per il pastore. Grande risalto è dato da papa Francesco
al primato della Grazia, all’azione misteriosa del Risorto e dello Spirito. Anche per i pastori, come per tutti i credenti, è necessario ripartire
sempre dalla certezza di essere amati e redenti da Cristo, riacquistare
l’entusiasmo di presentare e far conoscere in modo «attraente» la sua
persona. Inoltre, il Papa pone grande attenzione sulla preghiera di «intercessione» per quanto riguarda l’opera di evangelizzazione (EG, 283).
La preghiera deve condurre il lavoro dei presbiteri; essa non fa mai perdere di vista il bene di coloro che sono loro affidati (EG, 281).
Alcune proposte
23. Raccogliendo l’appello di papa Francesco ad una «pastorale in
conversione», propongo ai presbiteri di condurre un’attenta riflessione,
sia individuale che condivisa tra confratelli, per individuare quegli ambiti pastorali fondamentali che meritano una più approfondita analisi
nella prospettiva di un ulteriore passo di maturazione.
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• Una pastorale condivisa e attuata in comunione è occasione
di fraternità sacerdotale oltre che una stringente necessità operativa. A questo proposito può essere utile riprendere quanto
già nel Sinodo diocesano del 1994 veniva detto al riguardo:
vivere gli incontri presbiterali con un’attenzione particolare
alle persone e con la responsabilità di favorire un clima di vera
fraternità; tenere aperta la possibilità di forme di vita comunitaria; considerare il presbiterio zonale come luogo di comunione; essere vicini ai sacerdoti ammalati e accogliere nella
propria parrocchia, se possibile, quelli che si dimettono a livello pastorale; favorire tutte le forme del «lavorare insieme»
agendo nello spirito dell’aiuto fraterno e della complementarietà arricchente.
• L’indicazione di una Chiesa “in uscita” ci interpella e ci sollecita nel porre al centro il tema missionario nel contesto attuale
del nostro ministero. È necessario individuare e promuovere
le occasioni, le possibilità e i luoghi attraverso i quali il nostro
annuncio possa raggiungere tutti e da tutti trovare accoglienza.
• Siamo chiamati a studiare, insieme con il Consiglio pastorale e
altre componenti della parrocchia, come la Celebrazione Eucaristica della domenica possa costituire sempre più l’occasione
per formare alla vita cristiana. Papa Francesco ci sollecita a
vivere con grande senso di responsabilità la preparazione di
questo momento. Per quanto riguarda l’omelia, grande deve
essere in noi il senso di responsabilità e la convinzione che essa
costituisce la ripresa di «un dialogo già aperto tra il Signore
e il suo popolo». Il Papa ci suggerisce anche di porre grande
attenzione al «come» comunichiamo perché i cuori possano effettivamente «ardere» nell’approfondimento della Parola.
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Domande per la riflessione
• 24. Quanto è viva e si realizza dentro il nostro ministero la pastorale in chiave missionaria e l’impegno ad andare oltre il «si è
sempre fatto così»?
• Quanto la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di noi
presbiteri, nella consapevolezza del primato della grazia? In che
modo comunichiamo la gioia ai fratelli?
• Sappiamo riconoscere che l’azione misteriosa del Risorto e dello
Spirito agisce anche attraverso il nostro ministero? Quanto siamo disponibili al ministero della Riconciliazione, all’accoglienza
delle persone ferite dalla vita, al dialogo con coloro che sono in
ricerca di Dio, all’accompagnamento vocazionale dei ragazzi e
dei giovani?
• Quanto spazio diamo alla preparazione dell’omelia domenicale?
IV) Alle famiglie
25. Sono convinto che la profonda riflessione di papa Francesco, che
si muove su un piano squisitamente pastorale e non di semplice analisi
sociologica o psicologica, possa avere positivi riflessi nella nostra vita di
credenti e nella nostra azione pastorale riguardante la famiglia. Affido
questa riflessione a tutti gli operatori pastorali, ma in particolare ai nuclei familiari e ai gruppi di sposi. Alcune spunti di riflessione.
1. L’Evangelii Gaudium riprende la definizione conciliare della famiglia come «Chiesa domestica» (Lumen Gentium, 11) e pone in primo
luogo il tema della vocazione propria della famiglia. Essa costituisce
il nucleo vitale della società, la prima scuola di vita, dove «si impara
a convivere nella differenza» (EG, 66), dove si acquisisce l’arte di tessere
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relazioni, di accogliere la diversità, di armonizzare le distanze intergenerazionali. In quanto «piccola Chiesa», la famiglia si pone in un
atteggiamento di evangelizzazione, in quanto è in essa che i genitori
trasmettono la fede ai figli; essa si pone, mediante parole e gesti, a servizio della vita in tutte le sue fasi e in tutte le sue forme, assume l’esistenza quotidiana, tocca in ogni suo membro la carne sofferente del
Cristo (EG, 24).
2. Papa Francesco intravede e condivide delle ottime opportunità
attraverso le quali dare fiducia e coraggio agli sposi, ai genitori e ai figli. Anche a proposito della famiglia pone in primo piano il primato
della grazia che richiede, come risposta, un abbandono fiducioso nelle
braccia di Dio, Padre amorevole che cura, irrobustisce e favorisce le
relazioni interpersonali. Proprio questo sta all’origine della volontà di
amare, del valore fondante degli impegni che gli sposi si assumono nel
loro matrimonio, dell’accoglienza libera e consapevole di uno stile di
vita di comunione.
3. Il Papa non nasconde che la famiglia attraversa oggi una crisi culturale profonda, e aggiunge che, proprio in quanto si tratta della famiglia,
la fragilità dei legami diventa particolarmente grave. Il matrimonio tende ad essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che
può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di
ognuno (EG, 66). L’«individualismo postmoderno» (EG, 67) impedisce una
reale accoglienza della diversità (EG, 131), che è tollerata più che valorizzata, se non addirittura considerata come qualcosa da cui difendersi.
Papa Francesco aggiunge che il contributo che il matrimonio cristiano dà
alla società supera il livello dell’emotività, del sentimento effimero, delle
necessità contingenti della coppia: esso nasce e si alimenta dell’impegno
assunto dagli sposi che «accettano di entrare in una comunione di vita totale»
(EG, 66). Per questo il Papa ci esorta ad avvicinarci con attenzione e
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affetto alle famiglie in difficoltà, a quelle che sono costrette a lasciare la
loro terra, che sono spezzate, che non hanno casa o lavoro, o per tanti
motivi sono sofferenti; ai coniugi in crisi e a quelli ormai separati, con
quell’atteggiamento di cordialità e rispetto che riscalda il cuore.
4. Infine, dall’insegnamento complessivo del Papa, ci sentiamo incoraggiati a porre la famiglia al centro del progetto pastorale delle nostre
comunità e a renderne soggetti protagonisti gli stessi membri della famiglia. Essa è fatta di volti, di persone che dialogano, che si sacrificano per
gli altri, che difendono la vita, soprattutto quella più fragile. È il luogo
educativo per eccellenza, dove la testimonianza di una vita coerente
è più incisiva rispetto a regole astratte. Nella famiglia, genitori, figli e
nonni sono chiamati a vivere una «spiritualità nel quotidiano». L’esperienza umana di Gesù, straordinariamente ordinaria, può essere meglio
vissuta in una spiritualità familiare.
Alcune proposte
26. Affido queste riflessioni a tutti gli operatori pastorali perché sintonizzino la loro proposta pastorale a partire dal modello umano cristiano della vita familiare.
• Le comunità devono essere educate a riconoscere che la coppia
e la famiglia costituiscono il cuore della loro vita; accogliere e
ascoltare le famiglie costituisce oggi una priorità imprescindibile
per l’annuncio del Vangelo; in esse più che mai vi è lo svelarsi
dell’amore di Dio per l’uomo.
• La famiglia è il prototipo di ogni relazione buona, il luogo dell’attenzione alle persone; possiede in sé la forza di accogliere i limiti
e le difficoltà di tutti, di risanare situazioni faticose, divisioni e
incomprensioni; in ogni famiglia si modella il «fare» sulla base del
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«come stanno le persone»; in famiglia ci si accompagna, si aspetta
chi non ce la fa, ci si perdona, ci si guarda negli occhi, si impara a
convivere nella differenza.
• A livello diocesano il cammino di rivisitazione degli itinerari di
iniziazione cristiana sta mettendo in evidenza, in maniera ancor
più chiara, la centralità dei genitori e della famiglia nel compito
prioritario e irrinunciabile di trasmettere la fede, di insegnare a
pregare e di educare alla fede. Questo deve portare a convertire la
nostra pastorale: dall’idea di famiglia intesa come “oggetto” delle
cure pastorali, a una famiglia riconosciuta come fonte generativa
della comunità parrocchiale; da una parrocchia intesa come un
insieme di persone singole ad una parrocchia intesa come «famiglia di famiglie»; da una attenzione quasi esclusiva alle famiglie
praticanti, ad una attenzione missionaria verso tutte le famiglie.
• Alcuni momenti particolari della vita delle nostre comunità offrono l’occasione per un accompagnamento delle coppie e delle
famiglie. Siamo chiamati a valorizzare e percorrere con coraggio
tali occasioni: la preparazione al battesimo dei figli; l’accompagnamento dei genitori nei primi anni di vita dei loro figli con la
preparazione di catechisti battesimali o accompagnatori dei giovani genitori; la promozione di «gruppi famiglia» aperti a tutte le
realtà familiari; l’ascolto e la condivisione per quelle coppie che si
trovano in difficoltà, in procinto di dividersi o che vivono di fatto
già la separazione.
Domande per la riflessione
• 27. Nell’ottica di una Chiesa “in uscita”, abbiamo nel nostro progetto pastorale l’incontro abituale con le famiglie, con le giovani
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coppie, con le famiglie in difficoltà, oppure attendiamo sulla soglia che vengano loro a cercarci? Le nostre relazioni con le famiglie sono aperte a tutti o si limitano alle famiglie che vengono a
Messa?
• Nell’ottica di una conversione e di un rinnovamento della pastorale, ci sentiamo liberi di mettere in discussione i nostri schemi
obsoleti, di ripensare una pastorale, dove la famiglia ha un ruolo
di primopiano?
• Facciamo della famiglia un luogo di accompagnamento personale dei processi di crescita? Come potremmo impegnarci a individuare uomini e donne che, a partire dalla propria maturità umana
e di fede, possano svolgere il delicato compito dell’accompagnamento?
V) A coloro che sono impegnati nel sociale
28. Mi rivolgo ora in particolare a quanti operano nel campo sociale,
uomini e donne impegnati nelle pubbliche amministrazioni, nei servizi
alla cittadinanza, nei partiti politici, ma anche alle comunità cristiane
e ai singoli credenti che lavorano e s’impegnano quotidianamente nei
vari settori della società. Papa Francesco richiama abbondantemente
e ripetutamente la dimensione «sociale» della evangelizzazione, con il
proposito di far comprendere meglio il quadro nel quale oggi la Chiesa
è chiamata ad essere missionaria. L’esortazione non esita a denunciare
con chiarezza, e anche con durezza, i mali del nostro mondo, ma al
tempo stesso ci apre orizzonti positivi e costruttivi, intesi a incoraggiare e mai a demolire, a far mai perdere «la gioia dell’evangelizzazione», a
risvegliare «una sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi» (EG, 51).
Focalizzo alcuni punti.
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1. Il credente deve sentirsi contemporaneamente appartenente al popolo di Dio, e al tempo stesso anche alle comunità civili: il comune, la
regione, la nazione fino all’intera famiglia umana. Ogni generazione è
impegnata a «diventare un popolo» (EG, 220), anche attraverso l’impegno
politico e sociale. Invito le comunità cristiane che vivono nel territorio
di Crema e del cremasco ad assumere sempre migliore coscienza del
proprio impegno civile, per la crescita del benessere sociale, dell’integrazione e della promozione della persona.
2. Papa Francesco insiste molto sul tema delle «culture urbane» (EG,
71): ci invita a guardare la città con un occhio di contemplazione, cioè
con uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle nostre case,
nelle nostre strade, nelle nostre piazze. Un’altra insistenza del Papa è
sulla «opzione per i poveri» (EG, 199), che definisce «una categoria teologica
prima che culturale, sociologica, politica o filosofica» (EG, 198). L’esortazione dedica molto spazio anche al tema del «bene comune e della pace»
(EG, 217-237): afferma che pace e vita politica sono frutti dell’evangelizzazione, purché si realizzino secondo quattro principi che aiutino a
risolvere alcune tensioni:
- La superiorità del tempo sullo spazio: l’impegno sociopolitico non dovrebbe limitarsi a valutare i risultati immediati, ma deve sviluppare processi, progetti, strategie e obiettivi a lunga scadenza, realmente capaci
di promuovere la dignità della persona. A nulla serve un buon risultato
immediato se, nel tempo, «brucia» il futuro delle nuove generazioni o
genera tensioni o crea ingiustizie (EG, 222-225).
- L’unità deve prevalere sul conflitto non nei termini di una fusione artificiosa di posizioni differenti, ma in uno stile solidale, capace di dialogo,
dove ciascuno comprende le ragioni dell’altro e insieme si giunge ad
una soluzione pluriforme, capace di accoglienza e di rispetto di tutti e
di ciascuno (EG, 226-230).
56
- La realtà è più importante dell’idea: più volte, nella storia, la dignità
dell’uomo è stata mutilata a sostegno delle ideologie; più volte nella storia ci si è rifugiati dietro idee, progetti, teorie e tanta retorica sganciati
dalla realtà, che hanno dimenticato l’uomo concreto e le sue necessità
(EG, 231-233).
- Il tutto è superiore alla parte: senza dimenticare il valore della dimensione locale, è importante allargare lo sguardo ai bisogni e alle
potenzialità della Nazione e dell’intera famiglia umana mondiale per
cercare un bene complessivo che poi riversi i suoi frutti su ciascuno
(EG, 234-237).
Alcune proposte
29. Affido a tutti gli operatori pastorali e non solo agli addetti ai
lavori, queste riflessioni perché favoriscano una presa di coscienza comune circa il delicato impegno nei confronti della vita sociale.
• Anche nel nostro territorio dobbiamo dare sempre nuovo impulso all’impegno dei cristiani per costruire una nuova pace sociale.
Essa non è ottenuta attraverso un consenso artificiale, ma ha quale radice la promozione della dignità della persona umana e la
ricerca del bene comune, portate avanti con coraggio (EG, 218).
• Ricordo a tutti che l’impegno sociale deve alimentarsi di dialogo: dialogo con la cultura, con le istituzioni, con le diverse parti
sociali, con le persone di altra religione e con chi non crede. Per
«dialogo» intendo l’apertura verso l’altro, la disposizione a comprenderne le ragioni, l’abbattimento dei pregiudizi e un confronto
aperto, leale e reciprocamente rispettoso.
• Auspico che – a livello diocesano e zonale - si incentivi la nascita
di «scuole di impegno sociale» nelle quali si proponga la ricchez-
57
za della Dottrina sociale della Chiesa e si promuovano iniziative,
processi, strategie volti a costruire un mondo più umano e solidale, a partire dalla comunità nella quale viviamo.
• A livello personale, invito tutte le persone di buona volontà, e
specialmente i giovani, a individuare un ambito di impegno che
li coinvolga: volontariato, sostegno economico a chi ne ha necessità, assistenza, offerta gratuita di un’ora al mese della propria
professionalità (dal muratore, al medico, all’avvocato…) a chi ha
veramente bisogno. Impariamo a regalare agli altri una parte del
nostro tempo.
• Propongo a tutti i cittadini, a coloro che sono impegnati nel mondo politico e nei servizi sociali la lettura e l’approfondimento dei
quattro principi che papa Francesco ci ha presentato. Essi sono
occasione propizia di riflessione per produrre azioni concrete a
miglioramento della società della quale siamo parte.
Alcune domande
• 30. Come si concretizza «l’opzione dei poveri»? Nella nostra vita
personale, nelle nostre comunità cristiane? Come si concretizza
l’appello a vivere «il Vangelo della carità»?
• Con quali modalità e in quali luoghi possiamo dare concretezza
al «dialogo sociale per costruire la pace»? Siamo convinti che il
dialogo è l’espressione più matura di persone riconciliate con se
stesse?
• Il nostro impegno di cristiani nell’ambito sociale si riduce ad
azioni e programmi di assistenza (comunque anch’essi necessari), oppure tende a promuovere una cultura della solidarietà, a
testimoniare la carità come relazione?
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VI) Ai giovani
31. Mi rivolgo qui particolarmente ai giovani, che amo pensare
come primi protagonisti della «gioia del Vangelo» proposta da papa
Francesco quale sfida per i cristiani del nostro tempo. Scrive il Papa:
«I giovani ci chiamano a risvegliare e accrescere la speranza, perché portano
in sé le nuove tendenze dell’umanità e ci aprono al futuro, in modo che non
rimaniamo ancorati alla nostalgia di strutture e abitudini che non sono più
portatrici di vita nel mondo attuale» (EG, 108). Alcuni rilievi.
1. Nell’azione della pastorale giovanile, due devono essere le sensibilità contemporaneamente in gioco. La prima è la disponibilità
delle comunità (parrocchie, oratori, associazioni…) ad essere luoghi aperti all’ascolto dei giovani per comprenderne la condizione,
le necessità, le domande, le inquietudini anche inespresse, così da
offrire un supporto valido al progetto di vita di ciascuno. In merito,
chiedo una particolare cura perché i giovani sviluppino – con supporti validi e competenti – la propria dimensione vocazionale, intesa
come risposta ad una chiamata di Dio a diventare suoi figli, sia essa
coniugale o di speciale consacrazione. È, dunque, opportuno che si
incentivino proposte, cammini strutturati, azioni individuali di accompagnamento spirituale che aiutino i giovani a sentirsi parte viva
del progetto di Dio sulla storia, di cui essi sono protagonisti. (cfr EG,
105/108).
2. La seconda dimensione della pastorale giovanile è la disponibilità dei giovani a lasciarsi coinvolgere. Per questo, carissimi giovani,
vi invito a non avere paura a mettervi in gioco, mostrando le vostre
qualità e potenzialità all’interno delle comunità in cui vivete, arricchendole del vostro entusiasmo e della vostra creatività. Se avrete il
coraggio di dare, vi sentirete utili. Allora la noia e la pesantezza del
vivere, lasceranno spazio alla gioia del Vangelo.
59
3. Scrive papa Francesco: «Anche se non sempre è facile accostare i
giovani, si sono fatti progressi in due ambiti: la consapevolezza che tutta la
comunità li evangelizza e li educa, e l’urgenza che essi abbiano un maggiore
protagonismo. Si deve riconoscere che, nell’attuale contesto di crisi dell’impegno e dei legami comunitari, sono molti i giovani che offrono il loro aiuto
solidale di fronte ai mali del mondo e intraprendono varie forme di militanza
e di volontariato. Alcuni partecipano alla vita della Chiesa, danno vita a
gruppi di servizio e a diverse iniziative missionarie nelle loro diocesi o in altri
luoghi. Che bello che i giovani siano “viandanti della fede”, felici di portare
Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra!» (EG, 106).
4. Carissimi giovani, ognuno di voi è unico e irripetibile e può
fare della propria vita un segno dell’amore di Dio per gli altri. Non
lasciate l’ultima parola alla sfiducia, alle sofferenze, alle fatiche, ai
dubbi, alla noia, alla disillusione; lasciate, invece, spazio alla speranza, coltivatela nella vostra vita perché getti luce e gioia sul vostro futuro. Non è illusione. Voi siete le mani attraverso le quali Dio
cambia e migliora il mondo, siete la scommessa di Dio sul domani.
Riscoprite Dio nella vostra vita, lasciategli spazio, senza paura, e la
gioia di Dio abiterà i vostri cuori.
Alcune proposte
32. Affido ai giovani, ma anche alle parrocchie, agli operatori
pastorali e a quelle aggregazioni laicali che svolgono un’attività educativa nei confronti dei giovani alcuni spunti di riflessione.
• Per quanto riguarda la pastorale giovanile, il Papa ci ricorda
che essa «ha sofferto l’urto dei cambiamenti sociali. I giovani, nelle
strutture abituali, spesso non trovano risposte alle loro inquietudini,
necessità, problematiche e ferite. A noi adulti costa ascoltarli con pa-
60
•
•
•
•
zienza, comprendere le loro inquietudini o le loro richieste, e imparare
a parlare con loro nel linguaggio che essi comprendono. Per questa
stessa ragione le proposte educative non producono i frutti sperati»
(EG, 105).
A livello personale, rivolgo ai giovani questo invito: espandete
la vostra capacità di stabilire amicizie autentiche, sincere, disinteressate, solidali, che cerchino in maniera gratuita il bene
dell’altro; chiedetevi quale spazio lasciate a Dio, alla sua Parola e domandatevi il perché; domandate a Dio con coraggio che
cosa vi chiede di fare.
A livello parrocchiale, zonale e diocesano, invito ad aver cura dei
percorsi vocazionali dei giovani mediante una personalizzazione
degli itinerari, condizione fondamentale per un approfondito e un
reale discernimento, in vista della vocazione alla vita coniugale,
come al sacerdozio o alla vita consacrata. Ricordo che il Papa
sottolinea che occorre ritrovare “il coraggio di proporre ai giovani un
cammino di consacrazione” (EG, 107).
A tutti, e specialmente alle comunità parrocchiali, chiedo: non
limitiamoci «ad aspettare i giovani», ma andiamo a cercarli,
facendo loro inviti personali, creiamo momenti di incontro e
di dialogo sincero.
Alle parrocchie e agli operatori pastorali rivolgo questo invito: promuoviamo poche, ma valide iniziative, di sostanza e
di contenuto, che siano parte di un percorso complessivo e
strutturato, capaci di rispondere ai nuovi bisogni del mondo
giovanile, come il volontariato, incontro con testimoni, pellegrinaggi, esperienze estive di servizio, iniziative missionarie,
esercizi spirituali. Facciamo loro conoscere luoghi della carità,
così come anche ambienti significativi di spiritualità.
61
Domande ai giovani
• In che cosa consiste per te la gioia del Vangelo? In quali occasioni
l’hai sperimentata? Come riesci a comunicarla?
• Hai avuto la possibilità di parlare di Gesù, del tuo rapporto con
lui con i tuoi amici? Trovi le occasioni più favorevoli per dialogare
con i tuoi compagni di scuola, i colleghi di lavoro sulla presenza
di Gesù nella tua vita e sul tuo cammino di fede, anche se a volte
incerto e problematico?
• Qual è il tuo impegno personale per dare la tua testimonianza
di fede nel tuo ambiente di vita (famiglia, scuola, lavoro, comunità)?
• Quali sono gli spazi e le situazioni in cui nella nostra Chiesa ti
senti maggiormente ascoltato e aiutato? Quali sono invece le tue
inquietudini e necessità che non ti sembrano abbastanza prese in
considerazione?
• Che cosa suggeriresti perché la nostra Chiesa diocesana e le nostre comunità creino le condizioni per aiutarti a crescere nelle
relazioni e nel tuo desiderio di confronto, mediante incontri itineranti nelle diverse parrocchie o in altri luoghi dove i giovani
comunemente si trovano?
Domande sulla nostra pastorale giovanile
• La proposta di una Chiesa “in uscita”, cioè di una dimensione
più missionaria della fede, che cosa chiede alla nostra pastorale
giovanile?
• Quali attenzioni, quali direzioni per aiutare i giovani a “mettersi
maggiormente in gioco” nell’impegno caritativo e missionario,
anche con scelte di radicalità evangelica?
62
• Come raggiungere i giovani in difficoltà e quanti sono in “ricerca” o in crisi di fede e di speranza, o quanti sono vinti dalla sfiducia o dalla rassegnazione?
• Cosa possiamo fare come comunità cristiana per andare incontro
e accogliere i nostri amici che hanno abbandonato la frequenza
della Chiesa dopo la Cresima? Cosa possiamo offrire loro?
• Quali risorse impegniamo per l’accompagnamento spirituale dei
giovani e l’aiuto a discernere la propria vocazione?
• Come aprirsi maggiormente alla dimensione ecumenica, visto
che sono soprattutto i giovani a sollecitare le Chiese a fare passi
in avanti verso la piena comunione?
• Come dialogare con i tanti studenti presenti nelle scuole a Crema,
provenienti da altre culture e da altre religioni?
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Preghiera a Maria, Vergine e Madre
Solista:
Vergine e Madre Maria,
tu che, mossa dallo Spirito,
hai accolto il Verbo della vita
nella profondità della tua umile fede,
totalmente donata all’Eterno,
Tutti:
Aiutaci a dire il nostro “sì”
nell’urgenza, più imperiosa che mai,
di far risuonare la Buona Notizia di Gesù.
Solista:
Tu, ricolma della presenza di Cristo,
hai portato la gioia a Giovanni il Battista,
facendolo esultare nel seno di sua madre.
Tu, trasalendo di giubilo,
hai cantato le meraviglie del Signore.
Tu, che rimanesti ferma davanti alla Croce
con una fede incrollabile,
e ricevesti la gioiosa consolazione della risurrezione,
hai radunato i discepoli nell’attesa dello Spirito
perché nascesse la Chiesa evangelizzatrice.
Tutti:
Ottienici ora un nuovo ardore di risorti
per portare a tutti il Vangelo della vita
che vince la morte.
Dacci la santa audacia di cercare nuove strade
perché giunga a tutti
il dono della bellezza che non si spegne.
64
Solista: Tu, Vergine dell’ascolto e della contemplazione,
madre dell’amore, sposa delle nozze eterne,
Tutti:
Intercedi per la Chiesa, della quale sei l’icona purissima,
perché mai si rinchiuda e mai si fermi
nella sua passione per instaurare il Regno.
Solista:
Stella della nuova evangelizzazione,
aiutaci a risplendere nella testimonianza della comunione,
del servizio, della fede ardente e generosa,
della giustizia e dell’amore verso i poveri,
perché la gioia del Vangelo
giunga sino ai confini della terra
e nessuna periferia sia priva della sua luce.
Tutti:
Madre del Vangelo vivente,
sorgente di gioia per i piccoli,
prega per noi.
Amen. Alleluia.
Papa Francesco
65
Indice
Presentazione. Per un coraggioso salto di qualità
pag.
Preghiamo insieme
pag.6
1. TRE PAROLE CHIAVE DELLA EVANGELII GAUDIUM
pag.7
1. Il primato della grazia
pag.8
2. La gioia del Vangelo
pag.10
3. La Chiesa “in uscita”
pag.13
2. QUALE VOLTO DI CHIESA NOI VOGLIAMO RIVELARE?
3
pag.17
I)
Una Chiesa umile che riconosce il bisogno di una continua
conversione per superare le tentazioni della “mondanità” pag.18
II)
Una Chiesa che nell’assemblea liturgica
diventa segno e attuazione della misericordia del Padre
III) Una Chiesa che testimonia la comunione fraterna
pag.20
pag.22
IV) Una Chiesa che cammina
nella collegialità e nella sinodalità
pag.24
V)
pag.27
VI) Una Chiesa che esce in missione
VII) Una Chiesa dalle porte aperte, dove tutti si sentono di casapag.32
VIII) Una Chiesa che accompagna i cammini delle persone
pag.34
IX) Una Chiesa che si fa dialogo
pag.36
Una Chiesa povera per i poveri
66
pag.29
3. PROPOSTE E SPUNTI DI LAVORO
pag.41
I)
Alle parrocchie e alle Unità pastorali
pag.41
II)
Ai movimenti e alle associazioni
pag.44
III) Ai presbiteri
pag.47
IV) Alle famiglie
pag.51
V)
pag.55
VI) Ai giovani
A coloro che sono impegnati nel sociale
pag.59
Preghiera a Maria, Vergine e Madre, di papa Francesco
67
pag.64
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