La Novanta - kreco edizioni
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ALESSANDRO de COMINATO La Novanta alessandro de cominato La Novanta Consigli da un senzatetto Edizioni in Creative Commons www.kreco.it Aprile 2013 Alessandro De Cominato licenza CC by 3.0 it [email protected] Editing Tommaso Maria Lovato Progetto grafico e impaginazione Michelangelo Marra La Provvidenza 1:52 Piazzale Lodi, Milano. Fine corsa della circolare 90. «Regola numero uno: “Mai dormire”. Se dormi, quelli arrivano, i ladri, ti tagliano le tasche e ti rubano tutto quello che hai. Regola numero due: “Dormi con un occhio aperto”. Ci sono alcuni schifosi che di notte ti appoggiano il Tik Tik mentre sei nei sogni. Regola numero tre: “Non parlare con nessuno”. Qualunque cosa succeda tu siediti, guarda dritto davanti a te e fatti gli affari tuoi. Anche guardare gli altri vuol dire cercare problemi». Così parlò la Provvidenza, il suo nome era Assam Jazeer. 1 La Novanta Lo schermo a led della banchina di piazzale Lodi, segnava “1:52 Gio 22 Nov” mentre aspettavo che ripartisse quella che, chi vive a Milano, chiama “la 90”. La 90 è la linea che percorre la circonvallazione di Milano, 28,05 km, ventiquattr’ore su ventiquattro, per sessantaquattro fermate. Si divide in circolare sinistra, 91, circolare destra, 90, ma per tutti è semplicemente “la 90”, un mezzo e una leggenda per gli abitanti della città. Viene utilizzata giornalmente da circa duemilacinquecento passeggeri, se sei un ragazzo della mia età, ventiquattro anni, quello è l’unico mezzo che ti può riportare a casa alle quattro del mattino dopo una nottata a cercare di ammazzarti il fegato con gli amici. Se sei un senzatetto si tramuta automaticamente nel tuo loft alla moda di Viale Malaga. La 90, come ogni personaggio pubblico che si rispetti, possiede una pagina like su Facebook con più di mille iscritti. I post reci2 Alessandro Cominiato tano: “Mi hanno rubato l’Ipod da sotto le orecchie”, “Uno dei posti più pericolosi di Milano”, “Mi hai salvato la vita più volte da giovane smarrito”, “Non vomitiamoci troppo dentro”. Sulla 90 hanno scritto in molti, dal Corriere della Sera ai blog più disparati. Tutti la definiscono come il luogo meno auspicabile di Milano, dove la brava gente veniva derubata e il terrore era tutto extracomunitario. Per questi e altri motivi, Giovedì 22 novembre, passai la notte lì, sulla 90. Avevo già fatto il mio primo giro e contro ogni modesta previsione non sarei sceso da quel mezzo prima delle sei del mattino. Ero carico di aspettative, troppo, e un film troppo atteso sa sempre come deludere. Esclusa la pubblicità della Swissair, il punto più luminoso della fermata, splendente quasi l’avessero installata gli svizzeri in persona, la banchina di piazzale Lodi era 3 La Novanta decisamente malconcia. Due bellezze mediterranee proseguivano un discorso su uno stage mal pagato, guarda caso in Svizzera, mentre si rifinivano il trucco. Al mio fianco invece, sotto l’offerta “Swiss. Dubai a 399 euro”, giaceva un barbone che era sceso con me dal mezzo urinando giusto a fianco a dove mi trovavo. Emanava un forte odore di birra che pizzicava le narici, rannicchiato in un bomber nero stracciato che gli faceva da giaciglio. L’aria era quella di un mercoledì notte della movida milanese, sudava con l’odore delle piste da ballo dei club. La nebbia, ancora ad altezza lampione, inumidiva gli zigomi del volto. Nella notte sarebbe calata sulla città e avrebbe cominciato a far davvero freddo. Ero attrezzato con scarpe da ginnastica, pantaloni della tuta, una felpa e una giacca da pochi euro. Sapevo che questo non avrebbe tenuto a bada il demone padano quando sarebbe calato su di me. Accom4 Alessandro Cominiato pagnato da una borsa con un quaderno per gli appunti, una bic nera e un pacchetto di Lucky Strike, avevo scordato l’accendino e immaginatevi quanto dev’essere una rottura di coglioni, per un fumatore accanito, tutta una notte senza accendino. «Mi scusi? Le serve d’accendere signore?», detto fatto, le parole giungevano al mio fianco destro da una voce che avrei meglio affibbiato a una vecchia strega. «Oh! Grazie signora, sarebbe gentilissima». La mia interlocutrice, sull’ottantina, non deludeva la mia immaginazione. Aveva capelli bianchi raccolti da un fermacapelli nero colmo di paillette, la pelle tempestata di lentiggini e chiazze che toccavano tutte le gradazioni del marrone. L’accentuato strabismo non mi permetteva di capire la direzione del suo sguardo. Indossava una pelliccia da donna nera accompagnata da un completo vintage, una camicia presumibilmente bianca ma ingiallita dallo sporco, 5 La Novanta dalla scarpa destra fuoriusciva un calzino che ricopriva il suo alluce. Appoggiati sulla fronte, rugosa, si trovavano un paio di occhiali da sole neri, di quelli che vendono gli ambulanti in Corso Buenos Aires, immagino li abbia barattati con qualcuno di loro. Mi porse l’accendino con uno scatto, continuando a fissare davanti a sé poi, turbata dal suo stesso gesto, si voltò sfoggiandomi il suo miglior sorriso composto dai soli tre denti centrali dell’arcata superiore. L’accendino, verde scolorito, al tatto era scivoloso come se l’avesse estratto dalla bocca lasciandoci la bava sopra. Accesa la sigaretta provai a restituirglielo ma con l’aria di chi ti ha appena fatto il malocchio mi rispose: «Lo tenga, lo tenga, si trovano queste cose. Io trovo sempre tante cose». Continuò così per i successivi dieci minuti e poi per tutta la notte. Misi l’accendino in borsa dentro la tasca interna, quella più nascosta, dove si trova ancora oggi. 6 Alessandro Cominiato «Fortuna che non fa troppo freddo sta sera. Prima notte a Lettoposto?», mi chiese una voce soffice alle mie spalle, come soffiata da un clarinetto, con un forte accento straniero che non riuscivo a riconoscere. Era Assam, la mia Provvidenza. Mentii per fargli continuare il discorso e aggiunse: «Andiamo tutti a prenderci il nostro Lettoposto eh?» Assam, sulla quarantina, tradiva il suo abito attempato con delle scarpe da ginnastica troppo usate. Teneva le mani nelle tasche e gongolava fissando l’orizzonte alle mie spalle. Il viso aveva caratteri dolci, allungato, capelli brizzolati ma ben pettinati che di tanto in tanto spazzolava all’indietro con un piccolo pettine marrone. Mi chiedevo da dove si fosse materializzato, ma prima che potessi porgere una successiva domanda attaccò con le sue tre regole di sopravvivenza. In quel momento nulla mi faceva pensare che avrei passato con lui tutta la notte. 7 La Novanta Alessandro Cominiato Il Viaggio Dalle 2:11 alle 4:21, Circonvallazione di Milano L’aria della 90 era viziata come di consueto, sapeva di quella che poteva essere la suola delle scarpe dopo una lunga camminata. A terra c’erano carte di vecchi giornali calpestati. Uno accartocciato e informe, tutto bagnato, dava l’idea d’esser stato usato come carta igienica d’occasione. Le luci ricreavano un’atmosfera pallida e malata, sembrava di stare in un obitorio ambulante diretti verso il proprio funerale, traghettati. Potevo immaginarmela così la morte: sarebbe arrivata una 90 che, insieme a tutti quelli morti con la tua medesima prassi, ti avrebbe trasportato con le sue pallide luci 9 La Novanta al neon fino alla tua fermata. Poi la voce di donna meccanica avrebbe annunciato: «Anima 1007164 è pregata di scendere e recarsi alla reception» e ti saresti messo in coda con tutti gli altri. Avevamo superato viale Tibaldi, la fermata dei Magazzini Generali, famoso club di Milano che il mercoledì sera organizza una nottata da duemila persone tra studenti ed erasmus. E’ anche uno dei posti giusti se cerchi una scopata facile e un po’ di droga. Lì avevamo abbandonato le bellezze mediterranee scambiandole con qualche esemplare di ciò che meglio somigliava a un primate, qualche gorilla e un po’ di scimpanzé per esser precisi. Assam li aveva definiti invece ubriachi. Gli scimpanzé si arrampicavano sui poggiamano o sul portabagagli urlando parole incomprensibili, sbavando e digrignando i denti come si addice alla specie. Tre gorilla, miei coetanei, avevano terrorizzato involontariamente la vecchietta 10 Alessandro Cominiato in pelliccia seduta dietro di me. Le avevano calciato nevroticamente il sedile, senza accorgersi della sua presenza immagino, fino a piazzale Lotto dove scesero accompagnati dal transessuale che avevano schernito per tutto il viaggio. Assam si muoveva, padrone di casa sopra al mezzo, assicurandosi che le ragazze più giovani fossero a loro agio, a volte impaurendole a volte divertendole a discrezione del soggetto. Mi metteva in guardia dai viandanti, scherzava con gli ubriachi, non perdeva occasione per indicarmi qualche fica. Ogni tanto si avvicinava e mi ripeteva le sue regole: «Numero uno: mai dormire». Presa confidenza, seduto al mio fianco, mi raccontò di essere egiziano, in Italia da vent’anni anni. Definiva il suo paese: «Come l’Italia! Sono tutti poveri, ma è più bello». Diceva di essere assunto regolarmente in un negozio di biciclette e mi assicurava di passare le serate a casa a 11 La Novanta guardare Sky, tranne quella immagino. Mi raccontava di essersi trasferito per il sogno del calcio e di quando aveva visto Maradona a San Siro: «Era vent’anni fa, c’era ancora la guerra di Osama, fu il giorno più bello della mia vita», diceva con gli occhi lucidi che ha chi ben ricorda. Gli mentii dicendo di esser di Venezia, di aver perso il treno e di star cercando riparo sulla 90. A mentire non fai mai bene dicono, infatti Assam si elesse mio protettore, “fratello grande” disse, dandomi così l’obbligo morale di star con lui fino alle sei. Passammo per Lotto, Zara, Jenner, accompagnati dai ragazzi di ritorno dal mercoledì sera universitario, ambulanti, squillo e varie comitive di diverse etnie. I ragazzi utilizzavano la 90 come il personalissimo parchetto delle superiori. Fumavano qualche canna raccontandosi le diverse serate, i più audaci tormentando qualche malcapitata. Gli ambulanti e i vari rosai facevano i 12 Alessandro Cominiato conti dei guadagni della sera. Sulla 90 le regole le fanno i passeggeri: si fuma, si beve, si piscia, si vomita se necessario. L’autista? L’autista è il traghettatore, lo si intravede solo dallo specchietto retrovisore. Passando per la Stazione Centrale Assam mi mise in guardia da due sudamericani che, guardinghi, frugavano le tasche di un senzatetto che si era appena pisciato addosso nel sonno. Scesero a Jenner, delusi dalla popolazione del mezzo quella sera. Nel frattempo a fianco a noi un tizio leggeva il Vangelo da mezz’ora, a voce alta, quasi urlando. I più vecchi che stanno lì dentro sono tutti senzatetto, c’è chi ci sta dentro con la testa e chi no. Assam spiegava: «Quando è estate dormono nei parchi o in stazione, ma adesso fa freddo. Quando piove o nevica questo è l’unico rifugio per quelli come loro, non possono stare con la gente loro, non sanno più cosa sia la gente, loro», mentre lo diceva 13 La Novanta percepivo una nota triste e autobiografica. Alcuni trasformano il mezzo nel loro personale palcoscenico, cantano, recitano, parlano senza trama e senza finale, ma lo scopo di tutti è uno solo: han voglia di raccontare la loro storia, se ne vergognano ma amano giustificarla come se, così facendo, la esorcizzassero per sempre. Assam mi dava prova di essere uno di loro, fiero mi metteva in guardia dall’essere come loro, preoccupato mi indicava una giovane senza tetto che avrà avuto poco più di vent’anni. Era stato così lui? Ero così io per lui? “Il problema di quando non hai una meta e una destinazione ma devi solo aspettare che la notte passi, è che il mezzo diventa il tuo viaggio e il viaggio la tua casa” questo scrissi sul mio quaderno quando ci fermammo per la seconda volta in piazzale Lotto. Lo riporto uguale perché così dovevo sentirmi. 14 Alessandro Cominiato Il mio unico Amico Dalle 4:20 a orario indefinito, Circonvallazione Milano. Le luci delle gru in piazzale Lotto illuminavano la banchina facendosi strada tra la nebbia che ormai ci faceva da coperta. Era freddo. Nel 1951, anno di nascita della Circolare 90 e 91, era già così? Com’erano i clochard in quegli anni? Era cambiato davvero qualcosa? Cambierà? Queste gru se ne andranno mai? Ma poi, a chi cazzo gliene frega? «Adesso ti fai un altro giro, alle cinque apre la stazione, scendi in Centrale e prendi un caffè, ti metti su una panchina e aspetti il trenino», disse Assam di ritorno dal gabi15 La Novanta netto della fermata, ovvero la cabina telefonica che anch’io avevo utilizzato il giro precedente con la medesima funzione. Salito sul mezzo rombante, l’egiziano fissava fuori dal finestrino ridendo. Stava guardando un ragazzo seduto presso la panchina dell’ambulante di piazzale Lotto che, tra l’odore di salamella, offriva il suo corpo alle sporche carezze di un distinto vecchietto. Io avevo una fame incredibile, causata dall’odore del paninaro, ma ero senza un euro. Pure Assam immaginavo. Mentre tamburellava con una mano sul sedile a fianco al suo per invitarmi a raggiungerlo, con l’altra si grattava una gamba che sfoggiava, sull’esterno del polpaccio, una chiazza nera dalla quale cadevano lembi di pelle morta. Io non dovevo andare in Stazione Centrale ma a Sant’Agostino, in pieno centro. Lì abitavo. Che cazzo gli dicevo? Di no? Erano le quattro e venti e quello era il mio unico amico. 16 Alessandro Cominiato Orario indefinito, luogo non definito, Circonvallazione Milano. La Solidarietà bussava alle porte scorrevoli della 90 con la faccia consumata dalle rughe. La pelle sembrava aver retto tutto il peso di una vita decidendo d’afflosciarsi sul corpo, troppo stanca. Le davamo una mano a salire sul mezzo, con il suo carrello pieno di coperte, Assam, la vecchia con la pelliccia e pure io. Era una festa di naufraghi solo che io naufrago mi fingevo. Passando per la mia terza e ultima volta per il nord di Milano, la parte più grigia della città, mi ritrovai dentro un carro bestiame che raccoglieva le sue vacche da macello di fermata in fermata. Erano le cinque del mattino e la merce era umana. Giovani e anziani dai sedici ai sessant’anni, di tutte le etnie, si schiacciavano all’interno del mezzo. Eravamo almeno un centinaio. «Sono tutti immigrati, alcuni aspettano il 17 La Novanta posto fisso per il permesso di soggiorno, altri lo hanno già, il posto fisso intendo. Alcuni lavorano al mercato nei bar, ti fanno il caffè. A casa loro, certi, son dottori e qua ti puliscono il salotto», mi spiegava Assam con la sua voce da Mille e una Notte. La 90 era pervasa dalle musiche che uscendo dai telefonini rimandavano alle terre d’origine dei passeggeri. Dal centro del mio stomaco crebbe un sentimento di smarrimento che poi mutò in tristezza. Diventai stanco, volevo andare a casa, come un bambino annoiato dal suo gioco io ero stanco di star lì. Assam, in dormiveglia, si mise a cantare una canzone nella sua lingua. Avrei cantato anch’io, Muddy Waters, un cliché, invece disobbedivo alla prime due regole del padrone di casa. Mi addormentai. 18 Alessandro Cominiato Assam 6:01, Via Tibaldi - Via Meda, Milano. «Via Tibaldi, Via Meda», recitava la voce di donna metallica mentre ci avvicinavamo alla fermata. Svegliatomi prima, in piazzale Lodi, avevo mentito ad Assam, di nuovo, sentendomi terribilmente scorretto nei suoi confronti. Gli avevo detto che mi conveniva scendere in via Tibaldi per prendere poi un treno in Porta Genova, sperando non ne sapesse di treni quanto di mezzi pubblici. “Tin! Tin! Tin” mi incitavano le porte della 90 mentre salutavo il mio compagno: «Quando torni dì che un egiziano è stato gentile con te, dillo! Non voglio vederti più qui. Buona fortuna!». Sentii il motore rom19 La Novanta bare per un’ultima volta, mi voltai: Assam mi salutava con la mano, in piedi dietro al finestrino. Urlava qualcosa che non riuscivo a percepire ma mi piaceva pensare fossero le raccomandazioni di un “fratello grande”. Poi si accasciò sul suo Lettoposto e chiuse gli occhi per chissà quanto. La vecchia in pelliccia, anche lei dormiente, i primati dei Magazzini, i lavoratori, gli extracomunitari, le squillo, gli ambulanti, i ladri, nessuno di loro mi aveva impaurito più di quanto non ti può impaurire il mondo. Non cambia nulla, dove ti trovi o chi sei, il mondo della 90 era pericoloso quanto quello vero. Non sapevo chi fosse quell’uomo, Assam, uno sconosciuto? Un senzatetto? Di certo un amico che mi aveva accompagnato in un viaggio lungo una notte. Ero stato cinque ore dentro un limbo con aria viziata e senza mai alzare troppo la testa. Ora guardavo Milano, la città dove vivevo, come per la prima volta: verso l’alto. 20 Alessandro Cominiato Avevo una meta. Assam restava sulla 90 con la vecchia con la pelliccia, Speranza con il suo carrello di coperte, la giovane senzatetto e gli altri compagni. Loro restavano lì, ad aspettare il giorno, la “gente normale”, come la definiva Assam, tra la quale nascondersi. Quella notte Assam mi aveva donato le sue tre regole per sopravvivere, le stesse regole che lui non aveva mai rispettato. Dedicato ad Assam Jazeer, per quanto possa servire. 21 10 aprile 2013 La Novanta 6