Part time agevolato in vista della pensione: ma a che serve? Renzo

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Part time agevolato in vista della pensione: ma a che serve? Renzo
Part time agevolato in vista della pensione: ma a che serve?
Renzo La Costa*
Com’è noto, la legge di stabilità 2016 ha introdotto un particolare sistema di incentivazione
al part time per i lavoratori prossimi all’età pensionabile. Detta subito e senza giri di parole, la normativa appare immediatamente monca delle motivazioni poste alla base della
stessa, quasi come ci si sia dimenticati un pezzo. Che si voglia generare un sistema di riduzione dell’orario di lavoro per i dipendenti prossimi alla pensione si è capito, ma non si è
capito finalizzato a che cosa. Come si dirà innanzi, la complessiva nuova disposizione porta
un aggravio di costi per il datore di lavoro e per il sistema della previdenza, apporta indubbi benefici per il lavoratore, ma non si comprende quali possano essere i benefici che dovrebbero convincere un datore di lavoro ad aderire alla nuova previsione legislativa. Il pezzo che manca è la finalizzazione della riduzione di orario dei lavoratori più anziani alla introduzione incentivata di giovani leve lavorative, sì da rendere compiuto un quadro regolatorio di ricambio generazionale. Sarebbe bastato prevedere uno sgravio contributivo per un
giovane lavoratore da assumere (magari a part time con l’orario di lavoro che il lavoratore
più anziano non svolgerà più) per lo stesso periodo di riduzione dell’orario di lavoro osservato dal dipendente “uscente”. E che lo si volesse vincolare ad una sorta di affiancamento
concreto del vecchio al nuovo, sarebbe stata cosa buona e giusta. Ma niente di tutto questo,
nonostante il ricambio generazionale sia al centro del dibattito e della discussione
d’impresa da diverso tempo, e nonostante numerose regioni hanno già inteso incentivare a
livello territoriale, e nonostante la medesima questione trovi una disciplina legislativa consolidata in diversi coinquilini europei. Se il ricambio generazionale non ha trovato alcuno
spazio nella recente riforma del mercato del lavoro che senza dubbio ha toccato ogni angolo possibile delle regole del lavoro, è evidente che non è classificabile come dimenticanza
ma come inconsapevolezza. In breve: è stata introdotta, per i lavoratori del settore privato
assunti con contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato e che maturano entro la fine
dell’anno 2018 il diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia, la possibilità di ridurre
l’orario di lavoro in misura compresa tra il 40% e il 60% per un lasso di tempo non superiore al periodo intercorrente tra la data di concessione del beneficio e la data di maturazione del diritto alla pensione. La riduzione di orario dovrà essere oggetto di uno specifico
accordo con l’azienda, comprendente anche la data della cessazione del rapporto. Detto accordo dovrà essere comunicato all’Inps ed alla DTL che dovrà autorizzare la riduzione
dell’orario. Una volta autorizzato, l’Inps potrà concedere il beneficio della contribuzione figurativa commisurata alla retribuzione corrispondente alla prestazione lavorativa non effettuata a favore del lavoratore.
Inoltre, a fronte del taglio di orario, il dipendente riceverà da parte del proprio datore di
lavoro, una somma, non gravata da oneri fiscali e previdenziali, corrispondente alla contribuzione ai soli fini pensionistici relativa alla prestazione lavorativa non effettuata.
Ne deriva che le imprese dovranno versare gli stessi contributi che avrebbero versato a politiche invariate, ma disporranno del lavoratore per un numero ridotto di ore.
Questo significa un evidente aumento del costo del lavoro e una perdita di competitività.
Nel breve periodo diminuiscono i contributi versati da parte dell’impresa al sistema della
previdenza, ma aumenta la spesa pensionistica per l’Inps ( che il decreto copre con una
specifica destinazione di fondi: 60 milioni di euro per il 2016, 120 milioni per il 2017 e 60
milioni per il 2018).
Il sistema sopra delineato, non esclude tra l’altro da nessuna parte la possibilità per il lavoratore “ridotto” di poter svolgere prestazioni supplementari al proprio part time, con ulteriore incremento della propria busta paga. Decisamente vantaggioso quindi per il lavoratore che trova il consenso a tale sistema del datore di lavoro, ma nulla connesso ad un vantaggio riflesso per il datore di lavoro, neanche – come si diceva – in termini agevolazioni
relative a nuove assunzioni complementari al part time accordato.
La domanda finale, rimane uguale a quella iniziale: a che serve?
*Le opinioni espresse con il presente contributo sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non impegnano in alcun modo
l’amministrazione di appartenenza