Pilade - Liceo Galvani

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Pilade - Liceo Galvani
“Pilade”, interpretato da Archivio Zeta
recensione di Eugenia Losi, Liceo Galvani, 5^ O
“Pilade”, di Pier Paolo Pasolini, è un’ opera teatrale composta dall'autore verso la fine degli anni
'60. Ispiratosi all’omonima figura della mitologia greca, Pasolini costruisce una vicenda successiva
agli eventi narrati da Eschilo nell’Orestea.
Archivio Zeta ha riprodotto l’intera opera teatrale in una giornata, domenica 1 novembre, in diversi
luoghi di Bologna. La particolarità dell’evento consisteva proprio in questa sorta di spettacolo
itinerante che, a partire dalla mattina, si è protratto fino a sera: diviso in tre parti, il percorso partiva
a Villa Aldini per poi concludersi in piazza Liber Paradisus; essendo l'opera stata divisa in tre
episodi, è stato possibile scegliere se assistere a tutti o solo ad alcuni di essi. In particolare ho
partecipato all’ultima parte, ovvero la conclusione.
La vicenda ha preso vita ai piedi di una sorta di capannone in cemento. Qui, tra le colonne, gli attori
recitavano con alle spalle un vasto campo di grano. Uno scenario inedito per un’opera di Pasolini
che porta con sé un forte significato allegorico e stupisce ancora dopo oltre quarant’anni per la sua
attualità.
“Pilade” è la storia di una sconfitta, è la storia di uno sconfitto consapevole di avere perduto. Il
parallelismo tra il protagonista e l’autore è sicuramente una chiave di lettura attraverso la quale è
possibile comprendere uno dei significati dell’opera. Pilade, come Pasolini, si ritrova a dover
combattere non tanto contro un individuo, quanto contro un’ideologia, incarnata da una Dea
implacabile.
Atena, dea della ragione, è il progresso che marcia inarrestabile portando con sé benessere per i più.
Reietti sono Elettra e Pilade, ovvero il passato e Pasolini stesso e chi come lui; essi non sono solo
sconfitti pubblicamente, essi diventano emarginati in un mondo che muta troppo in fretta e che ogni
giorno è più lontano.
Vedere la messa in scena di tali pensieri in un luogo come quello che ho descritto è stato molto
coinvolgente. Gli attori, come dicevo, hanno recitato la prima parte della rappresentazione sotto un
palazzo retto da colonne in cemento. Quando l’attrice interpretante Atena ha idealmente varcato la
soglia della città di Argo, ha compiuto un lungo percorso circolare, passando davanti a tutti gli
spettatori con un lunghissimo seguito di comparse. È stato in quel momento che sullo sfondo ho
notato il campo su cui poi ci saremmo trasferiti. In quello stesso campo, poi, si ergevano palazzi in
costruzione a loro volta sovrastati dal sole che, lentamente, tramontava. La visione della
personificazione della ragione, del progresso, che marciava con alle spalle un paesaggio deturpato
dal progresso stesso, mi ha fatto pensare che la locazione dello spettacolo non fosse stata casuale.
La seconda parte della rappresentazione è stata recitata in un altro luogo. Ci siamo dunque spostati
insieme agli attori nei pressi di un muretto che dava sul campo di cui ho parlato. Qui si è svolta la
scena finale, ovvero l’ultimo dialogo tra Pilade ed Atena, ovvero il dialogo tra Pasolini e la ragione
che condiziona la vita dell’oggi.
L’attualità dell’opera pasoliniana forse è ciò che più mi ha stupita. Il punto di vista di Pasolini,
narrato attraverso l’esperienza mitica di Pilade, ci mostra il lato nascosto del progresso; progresso
che avanza senza guardarsi né indietro né attorno, senza così rendersi conto dell’importanza di ciò
che ci precede e di ciò che ci si lascia immediatamente alle spalle.