Acca Cop_154 - Accademia Italiana della Cucina
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Acca Cop_154 - Accademia Italiana della Cucina
S I C U R E Z Z A & Q U A L I T À IL VINO AL RISTORANTE ella corsa all’aumento dei costi, i conti del ristorante sono ai primi posti. Soprattutto per i vini, che subiscono un rincaro di ben cinque volte il prezzo di partenza. Una bottiglia pagata 2 euro al produttore sul tavolo del ristorante arriva a 10 euro. Il “ricarico” via via decresce quando la bottiglia ha un costo di partenza alto, fino a scendere al 50 per cento o anche meno per le bottiglie di costo molto elevato. Ma non tutti possono permettersi Brunello di Montalcino o Barolo d’annata. Il consumatore medio il più delle volte deve ripiegare sul “vino della casa” o “vino locale”, sfuso, di gusto anonimo e anche questo ben pagato. Bisognerebbe portarsi al ristorante il vino, acquistandolo preventivamente a buon prezzo al supermercato, dove fra l’altro si possono trovare buoni vini, ben conservati per la rapida rotazione del prodotto al punto vendita. Questo succede all’estero, più precisamente in Canada, dove a quanto pare il ricarico del prezzo del vino al ristorante è molto elevato. Ben cinque grandi province canadesi hanno emanato norme che permettono al cliente di entrare al ristorante con il proprio vino, pagando un piccolo “droit de bouchon”, per farselo stappare. In Italia questo non si potrebbe fare, anche se norme esplicite che lo vietino o lo permettano non ci sono. In effetti, a esser precisi, quando un cliente entra in un esercizio è come se accettasse le condizioni offerte dal ristoratore in un vero e proprio rapporto contrattuale. Quindi è valida la vecchia avvertenza “Non si accettano clienti con cibi propri”. Secondo i legali dell’Unione nazionale consumatori se il ri- N storatore espone tale cartello il cliente non può consumare la sua bottiglia né alcun altro cibo portato da casa, perché, con l’ordinazione, ha implicitamente accettato le condizioni contrattuali di “esclusiva” del ristoratore. CANI E GATTI BUONGUSTAI A dar retta alla pubblicità televisiva, gli animali domestici sono dei raffinati buongustai che gradiscono soltanto golosi bocconi, dai più vari sapori e gusti, prodotti in eleganti confezioni dall’industria degli alimenti zootecnici. Sono finiti i periodi bui che vedevano i cani e gatti cibarsi dei residui dei pasti dei padroni, di ritagli di carne scartati e di frattaglie. Un manuale d’economia domestica degli anni Trenta raccomandava “Non esagerare nel nutrimento, perché un gatto troppo nutrito diventa pigro e non dà più la caccia ai topi”. Nel 2003 i cani e i gatti italiani hanno mangiato ben 528.918 tonnellate di pappe varie, fra alimenti secchi, umidi e di vario genere. Questi dati sono riferiti dall’Asssalzoo, l’associazione nazionale dei produttori di alimenti zootecnici. Le vendite sono in continuo aumento di anno in anno, come aumentano i gatti e i cani che vivono tra le mura domestiche. Si calcola che in Italia vi siano ben 7 milioni di cani e 7 milioni e duecentomila gatti. Un esercito di “consumatori” che crea un mercato dove i produttori fanno un marketing molto simile a quello riservato agli umani, indirizzato a proposte sempre più allettanti. Di conseguenza il gusto dei nostri animali domestici diviene sempre più raffinato ed esigente, e il boccone di polmone crudo non è più quella delizia gradita dai gatti dei nostri nonni. POST PRANDIUM TANTILLUM CASEUM “Dopo il pasto, un po’ di formaggio”, così raccomandava la Scuola salernitana. E gli italiani sono convinti di ciò, poiché gradiscono sempre di più consumare i nostri formaggi e proprio a fine pasto. Tale preferenza particolarmente rivolta alle nostre più tipiche produzioni, risulta da un’indagine svolta dalla Astra-Demoskopea per conto dell’Assolatte. Dal 2002 a oggi il consumo di formaggi in Italia è aumentato del 4% con una netta preferenza del prodotto italiano, che ben dal 78 % degli italiani è considerano un simbolo del “made in Italy”. Le preoccupazioni dietetiche sull’eccessivo contenuto di grassi sembra siano accantonate poiché ben il 62% degli intervistati li considera di alto valore nutrizionale. Un dato interessante emerso dalla ricerca è il “sorpasso” dell’industria sugli artigiani in quanto a sicurezza alimentare. Gli italiani preoccupati dalla “mucca pazza” e da altri timori salutistici, sono sempre più attenti alla garanzia del prodotto e mostrano una certa diffidenza nei confronti del “formaggio del contadino”, preferendo acquistare prodotti di marca. In effetti è lo stesso fenomeno che si è verificato nei decenni passati nei confronti del vino e, più recentemente, per l’olio. C I V I L T À D E L L A TAV O L A 2 0 0 4 • N . 1 5 4 • PA G I N A 1 5 GABRIELE GASPARRO Delegato di Roma