La scienza e il sogno di vincere il tempo

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La scienza e il sogno di vincere il tempo
Claudio Cereda - recensioni
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Boncinelli - Sciarretta
Verso l'immortalità
La scienza e il sogno di vincere il tempo
di Claudio Cereda
Questo libro l'ho sentito presentare direttamente dall'autore all'Astrolabio di Villasanta all'incirca un anno
fa. Sono andato ad ascoltare Boncinelli sperando di ascoltare il punto di vista di uno scienziato che si
occupa di questioni delicate in un quadro in cui le ragioni della scienza fossero esposte in maniera pacata,
razionale e senza trascurare le domande dell'etica.
Me ne sono tornato a casa soddisfatto e ricordo ancora l'appello,
pacato ma fermo, alla società politica, alla Chiesa a smetterla di
costruire veli ideologici intorno alle questioni della vita mentre
(volenti o nolenti, nelle istituzioni pubbliche o in laboratori più o
meno riservati) la ricerca va avanti e, in assenza di un codice di
comportamento liberamente sottoscritto e frutto di una pubblica
discussione, si corre il rischio di trovarsi qualche ricerca di quelle
considerate tabù (per esempio la clonazione umana) concretamente
realizzata.
Il libro Verso l'immortalità consente al lettore non esperto di farsi
innanzitutto una informazione adeguata sullo stato delle ricerche
intorno alla vita, alla sua definizione, ai suoi meccanismi. Ci si
interroga poi intorno alla domanda di sempre: la morte può essere
allontanata?
Si dice che l'uomo sia l'unico animale che muore due volte poiché,
oltre ad avere in comune con tutti gli altri il destino di morire, è
conscio di dover morire. A conclusione della presente ricerca,
potremmo estendere ulteriormente questo aforisma:
l'animale-uomo muore tre volte, perché oltre a morire e a sapere
di morire, ha scoperto che un giorno forse potrà evitarlo. Se è
duro accettare la morte finché la conosciamo come assolutamente inevitabile, assai di più lo sarà
quando le opportunità per rimandarla a tempo indeterminato saranno concretamente disponibili.
Le strade per l'immortalità sono quattro: la cura e la prevenzione delle malattie, il rallentamento
dell'invecchiamento, la sostituzione dei pezzi danneggiati, il prolungamento dell'io cosciente (in un altro
corpo).
La prima parte del libro è di tipo storico-culturale: come è stata pensata storicamente l'immortalità nelle
vicende della civiltà umana (da Prometeo, al culto dei morti, alla imortalità laica della memoria).
Il quarto (le basi scientifiche della vita) e il quinto capitolo capitolo (della vita e della morte) sono
decisamente da leggere con attenzione. In una quarantina di pagine si passa da Darwin, alla scoperta della
doppia elica del 53 al sequenziamento del genoma umano nel 2000. Forse non ne siamo coscienti ma
questa ultima data è stata certamente più importante del primo trapianto di cuore o dello sbarco sulla Luna.
Ecco il riassunto delle pagine che ci dicono a che punto siamo:
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ogni organismo vivente è composto di cellule, in costante attività biochimica;
ogni cellula contiene uno o più gomitoli di filamenti di Dna, i cromosomi, ciascuno in una o più
copie, che insieme costituiscono il genoma tipico della specie cui l'organismo appartiene, con
qualche modesta ma non trascurabile variante individuale;
il dna è un acido nucleico caratterizzato da una doppia catena di solo quattro tipi di basi, che a tre
a tre identificano venti diversi tipi di amminoacido;
nel DNA, una sequenza di basi, o se si preferisce di triplette ui basi, compresa tra un segnale
d'inizio e uno di stop che definisce, attraverso la sequenza degli amminoacidi che la compongono,
una particolare catena proteica, prende il nome di gene;
quando un gene viene attivato, o acceso, si mette in moto il processo che porta all'assemblaggio
della proteina da lui specificata;
il DNA contenuto in una cellula è in grado, in particolari condizioni, di dar luogo a una copia,
salvo errori, identica di se stesso da cui, in seguito all'assemblaggio di varie nuove proteine e di
altre strutture biochimiche disponibili, viene prodotta una nuova cellula (processo di mitosi).
Quando si parla della vita si finisce sempre a porsi in atteggiamento finalistico. Perché (?), ci si chiede.
Boncinelli è un fisico di formazione e la sua posizione (sostanzialmente riduzionista, da Galilei in poi) è
quella della scienza moderna:
Può ben dire Wittgenstein che "è un'illusione pensare che le leggi naturali siano la spiegazione dei
fenomeni naturali". Occorre rendersi conto che dei fenomeni naturali non c'è alcuna spiegazione
ontologica o teleologica. L'illusione, una tra le tante create dal nostro strumento per pensare, è ritenere
che tali spiegazioni ci debbano essere. Le leggi naturali ci permettono di conoscere come si sviluppano e
continueranno a svilupparsi i fenomeni naturali, non perché; esse descrivono e predicono, non spiegano.
Tutto avviene in conseguenza di, non allo scopo di. Le finalità non fanno parte del mondo naturale: sono
un utile artificio messo in atto dal cervello per compiere scelte che, in questo senso, sono le uniche a
essere strumentalmente finalizzate.
Il testo passa in esame le diverse ipotesi che si fanno per arrivare a definire cosa sia la vita (il movimento,
la
crescita, la reattività, la complessità finalizzata, l'organizzazione ... e questa è la conclusione sintetica di
Boncinelli per l'essere vivente: un'entità limitata nello spazio e nel tempo, costituita di materia
organizzata secondo specifici criteri definiti e controllati dal suo patrimonio genetico, capace di
mantenersi tale metabolizzando materia ed energia, di riprodursi e di evolvere. La vita si riproduce
interagendo con l'inanimato ma non l'abbiamo mai vista iniziare da sè; in compenso il processo inverso (la
morte, il passaggio dall'animato all'inanimato) è esperienza comune e negli organismi complessi è
caratterizzata dal venir meno di un processo essenziale che fa collassare l'intero organismo. E c'è poi
l'invecchiamento una bomba ad orologeria, nascosta nel genoma, che fa nascere progressivamente cellule
peggiori delle madri.
I capitoli 6 e 7 riguardano la descrizione delle condizioni entro cui ha potuto sorgere la vita e il passaggio
dalla materia organizzata all'io cosciente ed arriviamo così al cuore del libro le quattro strade della
immortalità.
Vivere di più, vivere meglio
Contro certi catastrofismi di chi non sa leggere la storia, oggi si vive di più perché si vive meglio e semmai
l'aspetto demenziale è che mentre diminuiscono radicalmente le morti sul lavoro e gli infortuni domestici
vediamo alzarsi la percentuale di morte in età giovanile prodotta da automobili (costruite per fare i 200
all'ora quando c'è un limite di 130) che si schiantano la domenica mattina con alla guida persone assonnate
e imbottite di alcol; oppure si fa la lotta agli OGM (la cui pericolosità è tutta da dimostrare) ma non si fa
quasi nulla contro il fumo (che certamente uccide).
E' passato solo poco più di un secolo dal brevetto dell'Aspirina (il primo farmaco di sintesi) e la
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farmacvologia
tradizionale ha
certamente
contribuito ad
alzare l'età media,
ma dalla fine del
900 siamo entrati
in una nuova
epoca quella
della
farmacologia
basata sulla
genetica cioè sul
tentativo di
combattere la
malattia alla
fonte attraverso
la individuazione
dell'errore nel
genoma.
Il DNA umano è
stato decodificato
ed ora è iniziato il
lungo lavoro di identificazione del ruolo di ogni singolo gene e del nesso tra modifiche al DNA e
predisposizione alle malattie. La situazione si fa complicata quando la patologia è dovuta alla interazione di
più geni.
Questo della terapia genica dovrebbe essere uno dei terreni più semplici da affrontare se prevalesse l'etica
laica secondo cui è bene ciò che è buono per l'uomo; ma anche se detto così sembrerebbe un principio
ovvio da perseguire, la realtà è diversa, come si è visto con l'articolo di una legge dello stato italiano che
vieta l'analisi preimpianto nel caso dell'embrione anche quando essa sia finalizzata ad escludere patolgie
gravi e trasmissibili per le quali la stessa legge consente poi, a gravidanza avviata e avanzata, l'aborto.
L'analisi del DNA consente per alcune patolgie di stabilire la predeterminazione e in altri la
predisposizione. Non è lontana la prospettiva in cui ad ogni neonato sarà consegnata in DVD la carta di
identità genomica e ciò per determinate patologie potrà significare la possibilità di prevedere con
precisione elevata il momento della comparsa. Come osserva Boncinelli non è detto che si tratta di un
progresso nei casi in cui si tratti di comunicare una prognosi infausta a meno che non si dia la possibilità di
riparare il meccanismo difettoso attraverso la terapia genica. L'autore lancia una provocazione che,
ricordo, nella presentazione a voce era ancora più forte; lo scienziato non si schiera, è pieno di dubbi ma
avverte che su certe cose è meglio affrontare gli argomenti a viso aperto e abbandonare le ipocrisie:
È chiaro, però, che il massimo dell'intervento umano si otterrebbe modificando a piacimento le
primissime cellule dell'embrione, in una procedura chiamata appunto terapia genica germinale. Così
facendo si ottiene che tutte le cellule del futuro individuo possiedano un genoma modificato secondo un
certo criterio. Gli effetti di un tale intervento sarebbero risentiti dall'individuo in questione, ma anche
dai suoi discendenti, perché anche le sue cellule germinali, cellule uovo o spermatozoi, sarebbero
geneticamente modificate. Tale intervento radicale non è tecnicamente impossibile ed è realizzato
quotidianamente per gli animali da laboratorio. Nel caso degli esseri umani, invece, non è stato mai
tentato e c'è un preciso accordo internazionale, vecchio di almeno vent'anni, che ne impedisce
l'attuazione per motivi etici. Tutte le obiezioni di carattere morale sollevate a proposito della selezione
di preimpianto verrebbero, infatti, in questo caso esasperate.
Cosa possiamo sperare dalla lotta alle malatttie (comprese quelle a carattere genetico)? Il grosso del lavoro
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è già stato fatto nel passaggio tra 800 e 900. La stima è di portare la vita media tra i 90 e i 100 anni con
picchi intorno ai 120. Il problema diventa allora quello di combattere l'invecchiamento.
L'eterna giovinezza
L'invecchiamento è fenomeno ben noto. Ma perché esiste? Perché l'evoluzione non ha dato luogo ad esseri
migliori, con un genoma più efficiente. La risposta è molto semplice e disarmante; l'evoluzione non si
interessa del futuro della vita o della specie; non si interessa e basta e si limita a favorire i genomi che
garantiscono il miglior successo riproduttivo. Siamo riusciti ad allungare la vita con migliori stili di vita ma
rispetto a 2'000 anni fa c'è un dato che non è cambiato la probabilità di essere già morti ad una determinata
età continua ad essere caratterizzata da un intervallo di raddoppio di circa 8 anni, così come è di 3 mesi per
i topi liberi o per i topi di allevamento. E' tutto scritto nel genoma: l'aspettativa di vita è migliorata, il ritmo
di invecchiamento no.
Certo, le cellule invecchiano, ma molte di loro si riproducono e vengono sostituite. Allora perché
invecchiamo? La causa sta nel fatto che il processo di replica dei cromosomi avviene accorciando ogni
volta una porzione di DNA (apparentemente ridondante sul piano informativo), il telomero, che svolge una
funzione di contatore del processo di replica. Più la cellula è figlia di molti discendenti e più il telomero è
corto sino a che la replicazione non può più avvenire. Ma le cellule germinali non si accorciano grazie ad
un enzima, la telomerasi. Si è allora pensato di diffondere tale enzima a tutte le cellule e si è scoperta
allora la ragione dell'accorciamento del telomero: si tratta di un meccanismo che impedisce alle celllule la
riproduzione incontrollata tipica di quelle cancerose. Il sistema è complesso e l'evoluzione garantisce la
stabilità al prezzo della durata limitata.
La terapia genica (o qualcosa di simile) ci permetterà di intervenire. La natura, o più precisamente
l'azione dei geni, mostra quotidianamente di avere la potenzialità di costruire organismi perfettamente
efficienti, anche da genitori in via di decadimento, e di mantenerli giovani per un certo periodo della
loro vita. L'invecchiamento non è, in linea di principio, inevitabile, né ineludibile. Semplicemente, la
caratteristica genomica di conferire maggior longevità non aveva motivo di essere premiata, poiché il
criterio di valutazione della selezione naturale massimizza l'efficienza riproduttiva. I genomi di tutti gli
attuali viventi sono il risultato di tale generale azione filtrante: se questa è stata la regola, questo è il
risultato, indipendentemente dalle nostre interessate aspirazioni. Ora, per la prima volta dopo miliardi
d'anni, una strana specie di viventi dal cervello un po' ipertrofico ha inaspettatamente sviluppato la
capacità di intervenire nel processo e di cambiare le regole del gioco: la partita può ricominciare...
La base di partenza, al solito, è la sequenza del genoma umano, cui si è già aggiunta quella di alcune
specie animali: altre seguiranno a breve. Il passo successivo, quello che permetterà di cominciare a
vedere effetti concreti, consisterà nell'inserirnento nel genoma umano, a livello embrionale oppure nel
corso della vita, di geni opportunamente selezionati o modificati sulla base delle conoscenze accumulate.
Oltre a contrastare la comparsa delle varie malattie, questi interventi mireranno a rallentare il ritmo
dell'invecchiamento.
Quanto ci guadagneremo? Non lo sappiamo ma la cosa interessante è che, a differenza della prima strada,
questa volta oltre ad allungare la vita si allunga la giovinezza.
La strategia sostitutiva
Anche questa è una strada in atto da tempo almeno per quanto riguarda protesi e trapianti. La rottura della
sacralizzazione si è avuta con il primo trapianto di cuore che ha indotto a ridefinire il concetto di morte e la
identificazione del cuore e del suo battito con la vita.
In questo caso la terapia genica, ne sentiamo parlare ogni giorno, punta a risolvere in maniera definitiva il
problema della penuria di donatori e quello del rigetto. Si cerca di fare in modo che ciascuno, grazie alle
cellule staminali, cioè a quelle cellule non specializzate da cui si origina il tutto, si fabbrichi il proprio
organo da sè.
I primi risultati sono già sorprendenti: è possibile produrre in laboratorio porzioni di pelle, cellule del
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sangue, fibre muscolari, tessuto corneale e altre cellule somatiche, mentre si stanno delineando
interessanti tecniche per il reimpianto terapeutico del materiale biologico nei pazienti. Le indicazioni
per questo tipo di intervento sono vastissime: praticamente tutte le malattie degenerative, la cui
incidenza continua a salire con il progressivo allungamento della vita media. Contemporaneamente,
proseguono le ricerche sulle possibilità di indirizzamento selettivo della duplicazione cellulare e sullo
sviluppo controllato extracorporeo di organi e di interi organismi.
E' a questo punto che si apre la discussione sulla pecora Dolly e sulla clonazione umana. Dopo averci
spiegato tecnicamente in cosa consista la clonazione ed aver insistito sul fatto che nel nuovo genoma non
vi è nulla di diabolico, artificiale, manipolato o pericoloso. Si tratta solamente di un organismo il cui DNA
invece di originarsi dall'incontro di due DNA diversi viene artificialmente introdotto dall'esterno
prelevandolo da un unico organismo. Il clone non è una copia esatta dell'organismo di partenza e non lo
sarà nè intellettualmente nè affettivamente. Lasciamo dunque da parte i sogni di immortalità attraverso la
clonazione. La stabilizzazione delle connessioni sinaptiche è dovuta alle esperienze, oltre che a una
buona dose di casualità, e l'assoluta unicità dei cervelli deriva proprio da questo.
L'allungamento della vita che abbiamo fin qui prospettato si otterrà dunque in vari modi, ma tutti basati
sulla manipolazione di geni: selezionandoli prima ancora della fecondazione, correggendo la loro
azione nel corso della vita oppure forzandoli a produrre, all'interno o all'esterno dell'organismo, nuovi
tessuti o organi sostitutivi. Prevenzione, diagnosi e terapia, sia farmacologica sia chirurgica, saranno
quindi solo momenti di un più generale trattamento. Dal punto di vista della biologia molecolare, le tre
strade confluiscono e si confondono.
Fin dove può portarci l'insieme delle tre strategie sinora considerate nella nostra ricerca
dell'immortalità? Abbiamo visto che la prima può arrivare al massimo fino al limite della longevità
dell'attuale genoma della specie umana, dell'ordine del centinaio di anni o poco più. Poiché la seconda
si propone di ricercare o progettare geni intrinsecamente più adatti allo scopo, e in questo senso siamo
del tutto privi di esperienza, non abbiamo elementi per scorgerne i limiti. Ci riesce, tuttavia, difficile
pensare che limiti non ce ne siano. Non ci sembra, invece, di intravvederne per la terza, la strategia
sostitutiva, se applicata indefinitamente in modo sistematico e radicale. È allora questa, almeno in linea
di principio, la soluzione del problema, la positiva conclusione della nostra ricerca?
L'essenza dell'io
Questa è la parte certamente più impietosa e va letta in parallelo al capitolo 7 (dal neurone all'io cosciente)
che non ho descritto. Per Boncinelli l'io è un modo di essere del cervello ed egli ironizza sulla beffa della
sostituzione perfetta. Supponiamo pure di aver imparato a fare il tarpianto di testa, che tecnicamente è più
semplice di quello di cervello. Avremo trasferito l'io in un corpo più giovane e ci staremo avvicinando alla
eternità?
Ahimè, l'intervento sarà anche riuscito, ma fallendo lo scopo per cui lo abbiamo eseguito: non dobbiamo
dimenticare che la finalità era quella di rimpiazzare un organo malandato con uno sano, cellule
deteriorate dall'invecchiamento con cellule integre. Nella nostra ideale sostituzione perfetta, anche i
difetti verrebbero riprodotti: in altre parole, il nuovo cervello sarebbe identico al precedente anche
nelle malfunzioni che volevamo correggere. Ci ritroveremmo quindi al punto di partenza. È come se,
nell'esempio della scure, il fabbro, perfezionista ma un po' scemo, avesse martellato la nuova lama fino
a ridurla al medesimo grado di usura di quella originale: tanto valeva lasciare quella vecchia! D'altra
parte, l'identità di un individuo non è altro che l'insieme dei segni (comprese le ferite) che l'esperienza,
cioè la vita, ha impresso in lui. E questo vale sia per il corpo, sia per il cervello; solo che potremmo
benissimo restare noi stessi, anzi in miglior forma, con nuove giunture prive di dolori articolari, mentre
non lo saremmo più con un nuovo cervello.
La conclusione cui siamo arrivati ha un riscontro oggettivo: nel cervello umano non si verificano
sostituzioni di neuroni corticali, come invece accade più volte con le cellule della pelle, della peluria,
delle ossa o del sangue; infatti, se un neurone venisse sostituito, con lui si perderebbe un pezzetto di
identità dell'individuo (nessuno dica ora che in certi casi sarebbe un bene...). Dunque, per quanto
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riguarda il cervello, la strategia sostitutiva integrale non è applicabile ai fini dell'immortalità, nemmeno
in linea di principio...
Purtroppo, la nostra esplorazione delle quattro strade non si conclude con il raggiungimento
dell'auspicata meta finale, quella della immortalità del quarto tipo estendibile a tempo indeterminato:
ma non abbiamo nemmeno incontrato o intravisto ostacoli decisamente insormontabili. Per la prima
volta, l'umanità può concretamente pensare a una immortalità terrena, basata sulle conoscenze
scientifiche: già questa si può considerare un'epocale conquista intellettuale per la nostra generazione.
L'ultimo capitolo è intitolato Chi desidera l'immortalità? e possiamo considerarlo il capitolo dei problemi
aperti. Ne vale la pena?
Edoardo Boncinelli e Galeazzo Sciarretta
Verso l’immortalità? La scienza e il sogno di vincere il tempo
Raffaello Cortina, Milano 2005 pp 231 € 19,00
disponibile in biblioteca
Chi è Edoardo Boncinelli?
Nato a Rodi nel 1941, compie gli studi
a Firenze dove si laurea in fisica nel
1966. Nel 1968 si trasferisce a Napoli,
dove intraprende la carriera di
genetista e biologo molecolare presso
l’Istituto Internazionale di Genetica e
Biofisica del cnr fondato da Adriano
Buzzati Traverso. Nel 1991 sposta il
suo laboratorio presso il Dipartimento
di Ricerca di Base dell’Istituto
Scientifico San Raffaele di Milano.
Professore di biologia dal 2000, è dal
2001 direttore della Scuola
Internazionale Superiore di Studi
Avanzati di Trieste, una delle tre
Scuole Superiori italiane.
Autore di numerose pubblicazioni scientifiche e editor di varie riviste internazionali, è membro
dell’Academia Europea e dell’Organizzazione Europea per la Biologia Molecolare, ed è stato Presidente
della Società Italiana di Biofisica e Biologia Molecolare.
Ha lavorato per oltre trent’anni alla decifrazione dei meccanismi genetici che presiedono allo sviluppo
embrionale degli animali superiori e dell’uomo, dalla primissima determinazione dell’asse corporeo alla
strutturazione della corteccia cerebrale. Negli anni di Napoli ha individuato e caratterizzato una famiglia di
geni, detti omeogèni, che controllano il corretto sviluppo del corpo, dalla testa al coccige. Queste scoperte
sono riconosciute come una pietra miliare della biologia del XX secolo, se non della biologia di tutti i
tempi. A Milano si è poi dedicato allo studio dello sviluppo del cervello e della corteccia cerebrale
individuando altre famiglie geniche che giocano un ruolo cruciale in questi processi. Sulla scia di tali studi i
suoi interessi si sono andati progressivamente spostando verso le neuroscienze e l’indagine delle funzioni
mentali superiori, materie che insegna alla nuova Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute di Milano.
Da dieci anni si è dedicato alla scrittura, dando alle stampe una serie di libri di divulgazione e di riflessione
scientifico-filosofica sulla moderna biologia e sulla scienza in generale. Tra questi:
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Verso l'immortalità
Il cervello, la mente e l'anima,
Genoma: il grande libro dell’uomo,
Io sono tu sei
Il posto della scienza
I nostri geni
Le forme della vita
Prima lezione di biologia
Tempo delle cose, tempo della vita, tempo dell’anima
Collabora stabilmente al Corriere della Sera e alla rivista Le Scienze.
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