INDICE - UvA-DARE
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INDICE - UvA-DARE
INDICE Introduzione p.2 1. Va’ dove ti porta il cuore e Va’ dove ti porta il clito 1.1. Va’ dove ti porta il cuore 1.1.2 Il successo 1.2 Daniele Luttazzi e Va’ dove ti porta il clito 1.2.1 Daniele Lutrtazzi 1.2.2 Va’ dove ti porta il clito 1.3. Cronaca di un caso giudiziario 1.4. Questione di gusto? 1.5. Questione di quantità? 1.6. Bellocchio difende la Tamaro 1.7. Gender p.5 p.5 p.6 p.8 p.8 p.11 p.12 p.15 p.17 p.18 p.21 2. Per una teoria della parodia 2.1. Tipi di parodia 2.2. Transcontestualizzazione 2.3 Autonomia creativa 2.4. Forma minore o superiore? 2.5. Una classificazione genettiana p.23 p.24 p.27 p.28 p.30 p.31 3. Parodia e Plagio 3.1. Autotestualità 3.2. La parodia come momento psicoanalitico del testo 3.3. Bricolage p.37 p.37 p.39 p.42 4. Analisi comparativa 4.1. I titoli: uno scambio incrociato di valenze 4.2. Esercizi di raffronto 4.3. Universalmente amata 4.4. Ultimi esercizi di raffronto p.43 p.43 p.45 p.48 p.50 Note Conclusive p.57 Bibliografia p.59 1 Introduzione La parodia nella letteratura italiana moderna è argomento vasto e complesso: interi paragrafi, capitoli, poesie e libri in prosa, si alimentano in diversa misura di parodia, o di controcanto alternativo ai modelli vigenti, specie nelle fasi di transito, di crisi delle certezze. In Italia il genere della parodia si rivela assai presente nel Quattro e Cinquecento; ecco le parodie del Berni sui sonetti del Petrarca, che del corpo femminile non accoglieva in poesia neanche la gamba, ma solo il bel pié, mentre la parodia al petrarchismo apre la scrittura ad elementi corporali-anatomici, con finalità parodiche. Il Novecento però è il secolo della parodia per eccellenza, con grandi parodisti come Luciano Folgore e Paolo Vita-Finzi. È il periodo della `fine dei modelli´ già in atto alla fine dell´Ottocento, periodo in cui tutto viene messo in discussione, trasgressioni vengono alimentate, le acque agitate: autori come Gadda, Svevo, Landolfi, Pasolini, Pagliarini, Calvino, Sanguineti, Eco, Fo e Palazzeschi (a voler tacere di tanti altri), sono tutti parodisti eccellenti, che ´alla parodia attingono e molto se ne avvalgono, come strumento di lavoro e come vitale necessità, non per chiudere lì il discorso, ma per aprirlo´ 1 . La parodia infatti ‘giunge pur sempre come un invito a dilatare l’orizzonte, a cambiare l’aria nella stanza, a non mangiare sempre la stessa minestra, a guardare le cose da un’altra parte e da un’altra angolatura’ 2 Parodia può far ridere, ma può avere anche effetti drammatici: ‘it’s range of intent is from respectful admiration to biting ridicule’ 3 . Nietzsche, infatti, si chiedeva 4 quale relazione esisteva tra il testo di Diderot e il testo di Sterne in Jacques le fataliste: era imitazione, ammirazione o contestazione? La ‘donna parodia’ è mobile, indocile e difficilmente classificabile. Per questo suo aspetto mutevole occorre vedere volta per volta. In occasione di questa tesi vorrei mettere in luce una parodia che ho ben apprezzato: Va’ dove ti porta il clito di Daniele Luttazzi che parodizza, ovviamente, Va’ dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro. Siccome lo spunto per questa tesi sarà il caso Tamaro – Luttazzi, dedicherò il primo capitolo alla presentazione dei due libri, i loro autori e alla cronaca del caso giudiziario. 1 G. Tellini, Rifare il verso, p. 10 Idem. p.7 3 L. Hutcheon, A Theory of Parody, University of Illinois press, 2000, p. 16 4 In Gesammelte Werke: Musarionausgabe, IX. Munich, 1920-9. 2 2 In secondo luogo tenterò di elaborare una teoria della parodia, dimostrando come le leggi del testo parodico mettano a nudo le leggi fondamentali della scrittura creativa. Proverò a dimostrare la ‘dignità’ paradigmatica del testo parodico, in tal senso opponendomi al punto di vista denigratorio di Roland Barthes, il quale considerava la parodia in qualunque sua forma come una ‘appropriazione indebita di proprietà’. Mi servirò invece della teoria di Gérard Genette, secondo la quale ogni opera d’arte può e deve essere studiata in base a quattro principi generativi che qui presenterò. Basandomi sulle conclusioni del secondo capitolo tenterò, anche sulla base del processo per plagio intentato da Susanna Tamaro a Daniele Luttazzi (e vinto da quest’ultimo) di analizzare il concetto di originalità, plagio, e quindi di definire gli spazi di autonomia creativa (e di rimbalzo giuridica) del testo parodico. Quello che interessa in questa sede è il carattere simbolico di tale processo, ed il discorso che apre sulla intertestualità di ogni opera letteraria, e il posto che la parodia occupa in tale discorso. Infine, nel quarto capitolo, entrerò nel merito dell’analisi testuale, operando un confronto tra testo parodico e testo originale, sempre alla luce delle conclusioni dei primi tre capitoli. Anche se l’enciclopedico Palimpsestes del grande teorico strutturalista Genette può considerarsi una delle opere più importanti per studiare la transtestualità, le relazioni (scontate o segrete) tra testi, ho scelto di basarmi non solo su questo studio per la semplice ragione che si concentra essenzialmente sul lato formale nella relazione tra testi, rifiutando ogni definizione di transtestualità che dipende da un lettore. Genette trova inaccettabile questa dipendenza da un lettore perché è “peu maîtrisable” per un critico cui l’unica intenzione è categorizzare: “elle fait un crédit, et accorde un rôle, pour moi peu supportable, à l’activité herméneutique du lecteur”. Cito l’originale per dare un’idea della natura fortemente personale del rifiuto di una dimensione ermeneutica. Poi Genette continua ad esprimere il desiderio di una pragmatica più consapevole e soprattutto più organizzata. A Theory of Parody della studiosa Linda Hutcheon è uno studio più pragmatico e più moderno: anche se una definizione di parodia moderna dovrebbe iniziare con un’analisi formale, non può rimanere lì, deve andare oltre. Questo libro, a parte una prospettiva formale ne offre anche una pragmatica studiando l’intenzione dell’autore, l’effetto che un testo può avere sul lettore, gli elementi contestuali che determinano la comprensione di parodie ecc. In più, la Hutcheon vuole andare oltre le solite definizioni che troviamo nei dizionari: ‘what I am calling parody here is not just that ridiculing imitation mentioned in the standard dictionary 3 definitions’ 5 e più avanti: ‘we must broaden the concept of parody to fit the needs of the art of our century’ 6 . Sarà chiaro che questi due studi (Palimpsestes e A theory of parody) nei loro limiti e nelle loro trasgressioni, si integrano benissimo. Infine ho tratto ispirazione dal volume di Guido Almansi e Guido Fink, Quasi come con sottotitolo: Parodia come letteratura – letteratura come parodia, che offre molti esempi di parodie nel corso dei secoli e dove si illustrano tutte le maniere che un testo letterario può incontrare di non essere più se stesso e i cambiamenti prodotti dai contesti socio-culturali in cui sono nati il parodiante e il parodiato. Si pensi alla parodia che Carlo Emilio Gadda fa de I promessi sposi del Manzoni: c’è dietro tutta la differenza di contesto lombardo dei due scrittori. Questo tipo di parodia gaddiana è quella prediletta da Almansi e Fink nel loro libro, è quella di Celati, di Umberto Eco; Luttazzi mi sembra in buona compagnia. Se il comico sia poi al corrente delle regole del genere? Vedremo. 5 6 P.5 P.11 4 1. Va’ dove ti porta il cuore e Va’ dove ti porta il clito In questa sezione introduco brevemente: - le due opere - le trame dei libri - l´accoglienza che hanno avuto dalla critica - la cronaca del caso giudiziario 1.1 Va’ dove ti porta il cuore Susanna Tamaro racconta la storia di una donna ormai anziana, Olga, che in seguito a un ictus incurabile inizia a scrivere una lunga lettera sotto forma di diario alla nipote in America. La scrittura diventa per Olga l’occasione per ripensare al passato e raccontare i segreti (per esempio il suo amore extraconiugale per Ernesto, la figlia che ha avuto con lui a insaputa del marito ecc.) i conflitti, le scelte tormentate, le cose taciute che hanno segnato la vita di tre generazioni di donne: la sua, quella della figlia Ilaria e quella della nipote Marta. Assistiamo – ad esempio – al naufragio umano e politico di Ilaria, la figlia sessantottina. È a suo modo, una lettera d’amore, un tentativo di ricucire un rapporto compromesso da incomprensioni e impazienze dovute in parte al naturale divario dell’età – la scrivente ha quasi ottant’anni mentre la ragazza è appena uscita dall’adolescenza – e in parte alla difficile storia che le accomuna e che le ha legate fin dall’infanzia. Disobbedendo così a una tacita legge della borghesia – che imporrebbe di stendere un velo su tutto ciò che di inconfessabile si nasconde nell’animo umano – la nonna prende carta e penna e, per la prima volta in sua vita, fa un gesto coraggioso – d’amore appunto – e apre il suo cuore. “Se avessi capito allora che la prima qualità dell’amore è la forza”, confessa a un certo punto, “gli eventi probabilmente si sarebbero svolti in modo diverso”. E di tutti gli eventi della sua vita – dalla sua infanzia vissuta con il mito del riserbo e dell’apparenza, del suo matrimonio con un uomo noioso e prevedibile, del suo rapporto conflittuale con la figlia, per la morte della quale si sente responsabile – non nasconde nulla, anche a costo di apparire dura e spietata, prima di tutto con se stessa. Ma il suo intento non è quello di scandalizzare né tanto meno di scaricare tardivamente la coscienza. Parlando della concretezza dei sentimenti – ridando cioè alle cose il loro vero nome, senza falsa retorica né scontati moralismi, questa donna che ha visto passare davanti a sé quasi un secolo di storia, che ha assistito a un radicale cambiamento di costumi, a un capovolgimento totale dei valori, vuole ricordare alla nipote – con tutto l’affetto, la comprensione e la tenerezza che sente per lei – che non ci sono nemici peggiori di quelli annidati all’interno del proprio cuore e che l’unico viaggio che vale la pena di fare è al centro di se stessi, alla ricerca di quella voce originaria che ognuno di noi custodisce nella profondità del proprio essere. 7 7 Cito la copertina di Va’ dove ti porta il cuore 5 1.1.2 Il successo Nel gennaio del 1994 esce il libro di Susanna Tamaro che presto diventerà uno dei più venduti del Novecento italiano. A pochi mesi dalla sua uscita il romanzo si trova al centro di un forte dibattito che coinvolge non solo critici e intellettuali, ma anche semplici lettori, femministi, comici e perfino un monaco benedettino francese (la Tamaro è stata accusata per aver copiato il titolo da un suo libro). Non ci si aspettava un successo di tale portata: l´opera arriverà ad ottenere una fama internazionale vendendo 14 milioni di copie e verrà tradotta in 44 paesi. La stampa accoglie il libro esprimendo – in principio - giudizi in gran parte favorevoli e positivi. L´opera è lodata soprattutto per la delicatezza ed essenzialità del linguaggio, per la capacità di parlare di sentimenti, di entrare nell´animo, spesso profondamente turbato, con naturalezza e semplicità. C´è invece chi vede in questa ricerca della semplicità una grande superficialità, una triste incapacità di andare al fondo delle cose, che risulta in continue incursioni nella banalità, nel luogo comune. Il poeta Giovanni Raboni attacca il bestseller in un articolo apparso sul Corriere della Sera: ´“Settant’anni di vita, tutti banali”: Non c’è pagina, ma che dico, non c’è frase, non c’è parola […] del breve ma interminabile romanzo che non sia intrisa di ovvietà, che non sia, anzi, l’ovvietà stessa fatta a suono e grammatica, l’incarnazione, la discesa in terra del più puro concetto di ovvietà. Credo (sulla base, soprattutto, dei suoi due libri precedenti) che la Tamaro non manchi di mezzi e di talento: per questo mi permetto di metterla in guardia contro i rischi del minimalismo intellettuale, che è qualcosa di assai diverso dal minimalismo narrativo e dal minimalismo stilistico. Nessuno è disposto a sorbirsi centosessantacinque pagine di fatterelli minutamente prevedibili per poi sentirsi dire, come premio finale, che “se la vita è un percorso, è un percorso che si svolge sempre in salita” e che “l’unico maestro che esiste, l’unico vero e credibile è la propria coscienza” 8 Secondo l’articolo “Con Susanna comincia la stagione dei sentimenti” 9 apparso sul Corriere della Sera nel 2003, Va’ dove ti porta il cuore appartiene a quel tipo di libri - come Siddharta di Hesse, Il profeta di Gibran, L’Alchimista di Coelho - che, seppure diversi per spessore e contenuti, continuano a vendere milioni di copie per ragioni che sfuggono alla ragion critica. Il loro segreto probabilmente sta nella capacità di far emergere le emozioni con semplicità e immediatezza, tali da indurre i lettori a riconoscersi. Proprio Coelho, altro scrittore da milioni di copie bersagliato dalla critica, dice di “voler comunicare esperienze nel modo più facile e immediato, ma che la semplicità viene spesso presa per banalità e povertà di idee” 10 Infine presentiamo il parere di Grazia Cerchi su Va’ dove ti porta il cuore, che esprime un giudizio particolarmente duro nel suo articolo “Nonne contro” nell’Unità: 8 G. Raboni, “Settant´anni di vita, tutti banali” in Corriere della Sera, 6 febbraio 1994 M.Cesare, “Con Susanna comincia la stagione dei sentimenti” in Corriere della Sera, 5 gennaio 2003 10 Idem 9 6 Va’ dove ti porta il cuore […] guida implacabilmente la classifica dei best seller (eterno secondo Sostiene Pereira di Tabucchi, incomparabilmente superiore. Ma così va il mondo, anche quello librario). È curioso come del libro della Tamaro abbiano dato giudizi negativi in modo totale ma con qualche distinguo solo (se non erro) Raboni e Giudici, due poeti, quindi. Aggiungo il mio di giudizio nettamente negativo: il romanzo della trentasettenne scrittrice […] è fiacco, noioso e sa di “studiato a tavolino”. E sarei pronta a scommettere che se non fosse uscito da Baldini&Castoldi avrebbe trovato tutt’altra accoglienza, soprattutto di pubblico. Il dato più grave è la sciatteria stilistica, veramente singolare per chi ha scritto Per voce sola, che era di ben altra qualità. E poi che raffica di banalità! 11 Alla fine dell´estate dello stesso anno, le copie vendute salgono a 500.000, una cifra incredibile e mai ottenuta ai tempi di – ad esempio - Storia della Morante o del Nome della Rosa. Va’ dove ti porta il cuore fa ormai parte di un fenomeno che va oltre la sfera prettamente letteraria: il libro appartiene alla gente, che lo ama, lo consiglia, lo regala, lo legge al parco, sotto l’ombrellone, in spiaggia, prima di andare a dormire. E mentre la squadra nazionale azzurra viene incitata nei giornali con titoli come “Italia, va’ dove ti porta il cuore”, il mondo letterario si dimostra sempre più diffidente: Il veloce successo del romanzo della Tamaro ha conquistato i lettori italiani e all’inizio anche i recensori italiani, con l’eccezione immediata di Giovanni Raboni […]. Ma, a lungo andare, crescendo il consenso in vendite e in lettori, ha suscitato l’allarme. E ora siamo arrivati alla sottoscrizione di avvisi di sfiducia. L’assioma successo di un libro uguale infamia del libro colpisce ancora. Chi scrivendo un romanzo, guadagni pure, è poco meno di un criminale, anzi, senza poco meno, da mettere alla gogna. 12 11 12 G. Cerchi, “Nonne contro”, in L’Unità, 30 maggio 1994 N. Orengo, nella sua risposta all´articolo di G. Cerchi (“Nonne contro”), in La Stampa, 4 giugno 1994 7 1.2. Daniele Luttazzi e Va’ dove ti porta il clito 1.2.1 Daniele Luttazzi Attore comico e satirico, nonché scrittore e cantante, Luttazzi ha al suo attivo una lunga carriera di artista in grado di coniugare con sapienza i media (tv e carta stampata) per produrre "opere d'arte" che all'occorrenza si leggono, si guardano e si ascoltano. La sua comicità e la sua satira hanno origine infatti come pagina scritta, e approdano poi solo in seguito al pubblico sotto forma di spettacolo teatrale e televisivo. Prova ne sono alcuni dei suoi successi quali "Tabloid" e "Barracuda", entrambe opere letterarie e spettacoli televisivi. Anche Va’ dove ti porta il clito nel 1995 è uscito in primo luogo in forma cartacea ed ora, proprio in questo periodo (dicembre 2009 fino a maggio del 2010) Luttazzi gira i teatri d’Italia con l’omonimo spettacolo, un corrosivo monologo: Va’ dove ti porta il clito sottopone al vaglio di una critica corrosiva il sentimentalismo melodrammatico e l’insieme arrugginito dei valori sbandierati dal testo originale; pathos e valori che, a 12 anni di distanza, sono diventati programma di governo e incubo esistenziale per molti. Motivo non secondario per riproporre oggi questo esercizio di realismo esplicito, aperto ai singulti di un riso irrefrenabile, che fu allo stesso tempo denuncia delle mostruosità che stavano incombendo e teatro attualissimo di una interiorità contemporanea, non pacificata. Quel monologo clamoroso ritorna oggi sulle scene a dissacrare i tromboni e le loro verità precostituite con l’intarsio ritmico di associazioni verbali e iconiche che valsero a Luttazzi il plauso della critica, il successo di pubblico e il Premio di satira politica “Forte dei Marmi” 1996 13 . Luttazzi ha conseguito il diploma classico, si è laureato in medicina e nel frattempo ha collaborato come vignettista per la rivista Tango ed ha partecipato come opinionista al Maurizio Costanzo Show. Nel 1989, durante le prove generali per la trasmissione Fate il vostro gioco fa una battuta sul Partito socialista di Bettino Craxi e viene allontanato per la prima volta dalla televisione di Stato, in cui tornerà soltanto nella stagione '94-'95 come co-autore di Magazine 3, cui parteciperà con le rubriche Sesso con Luttazzi, La cartolina di Luttazzi e La piccola biblioteca. Nei cinque anni di lontananza dal piccolo schermo, il comico si divide tra il teatro, la radio e la scrittura. Nel 1994 pubblica Va' dove ti porta il clito, parodia del best seller Va' dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro, che gli fa causa per plagio ma la perde. Dopo il ritorno in televisione su Rai Tre, la popolarità di Luttazzi esplode nel 1996 con la partecipazione a Mai dire gol su Italia 1. Gli sketch dei personaggi da lui interpretati nel programma della Gialappa's vengono raccolti e pubblicati nei libri Tabloid e Cosmico. 13 Tratto dal sito ufficiale di Luttazzi: www.danieleluttazzi.it 8 Protagonista di spot Telecom particolarmente fortunati, Luttazzi ripropone per 12 settimane tra gennaio e marzo del 2001, su Rai Due, il format del talk show nel programma Satyricon: sospeso per una settimana dopo la nona puntata per via di un'intervista a Marco Travaglio 14 su Berlusconi e Dell'Utri, l'anno successivo lo stesso Berlusconi di fatto lo allontana dalla tv di Stato insieme a Enzo Biagi e Michele Santoro: Il presentatore aveva invitato Travaglio al suo talkshow in onda sul canale di stato RaiDue, durante la campagna elettorale, per discutere del suo nuovo libro, che esaminava la nascita dell’impero mediatico di Berlusconi. Durante la trasmissione discussero delle presunte connessioni mafiose di Marcello Dell’Utri, il politico siciliano che era stato il braccio destro di Berlusconi e il fondatore del suo partito politico, Forza Italia. Lo show fu cancellato, ma i produttori affermarono che la decisione venne presa in totale autonomia. Berlusconi citò in giudizio Luttazzi a titolo personale. Vi furono inoltre altre tre cause intentate: una da 2.5 milioni di euro dalla Fininvest, l’attività finanziaria di Berlusconi, una da 2.5 milioni di euro da Mediaset, il canale televisivo commerciale fondato da Berlusconi, che rimane il suo maggior azionista e un’altra causa da oltre 5 milioni di euro da parte di Forza Italia 15 . Luttazzi, che ora lavora in teatri d’avanguardia, dice: “È stato difficile per me. Non esiste più alcun programma satirico nella televisione Italiana. Equipara il livello della libertà di stampa in Italia con quello del periodo fascista. Oggigiorno non ti uccidono più, ma ti costringono all’esilio mediatico.” 16 Dario Fo, dopo il colpo inferto da La7 a Daniele scrive: Spesso si scelgono bell’apposta, come nel caso di Luttazzi, le espressioni e i lazzi satirici palesemente scurrili e si mettono in bella mostra allo scopo di abbassare il livello di dignità dell’autore. Conosciamo bene questa pratica davvero ipocrita e furbesca: ti si accusa di usare forme oscene di linguaggio per censurarti o addirittura eliminarti dalla scena. A me e a Franca è accaduto con Canzonissima quando ci permettemmo di parlare di morti bianche sul lavoro e della mafia criminale. Nessuno, fino ad allora, sto parlando di quarant’anni fa, aveva mai trattato l’argomento. Anche in quell’occasione, fra le tante accuse, quali quella di buttarla in politica, ci si scaraventò addosso anche l’accusa di scurrilità e di non rispettare il comune sentire degli spettatori. Nello stesso periodo in cui Luttazzi realizzò la sua intervista televisiva, Berlusconi fece causa al giornale The Economist per il suo articolo di copertina dell’aprile 2001, il cui titolo recitava “Perché Silvio Berlusconi è inadatto a governare l’Italia”. Perse la causa. Negli ultimi anni Daniele Luttazzi si è dedicato al teatro, ha collaborato con alcuni giornali, creato il proprio sito con relativo blog, 17 pubblicato diversi libri e due album 14 Vi consiglio la visione dell’intervista su youtube (ecco perché Berlusconi cacciò Luttazzi dalla Rai..): prima parte: http://www.youtube.com/watch?v=4N6sjk-HiAQ Seconda parte: http://www.youtube.com/watch?v=1mOuZ_UYNYo&feature=related Terza parte: http://www.youtube.com/watch?v=0U01iK85xSU&feature=related 15 Articolo pubblicato sabato 16 maggio 2009 in Gran Bretagna in The Times 16 Idem www.danieleluttazzi.it 17 9 musicali. Dopo parecchi anni di ‘esilio’ forzato, è ritornato in tv nel 2007 con il suo nuovo programma Decameron, molto liberamente ispirato al capolavoro del Boccaccio. Nel 2008 c’è stato anche un ‘Decameron tour’ nei teatri d’Italia. In un’intervista 18 nel 2008 Luttazzi difende in modo divertente (l’effetto comico però viene fuori meglio nel piccolo filmato dell’intervista) ed intelligente la (sua) satira accomunandosi al Boccaccio per quanto riguarda la ‘volgarità’: La volgarità è il pretesto principe con cui tromboni in tutte le epoche hanno cercato di tarpar la bocca alla satira. Anche del Boccaccio dicevano che era volgare e anche lui difendeva la sua arte, come me in questo momento. La verità è che la satira non è volgare, è esplicita. La satira usa come tecnica la ricorsione al corporeo, alle esigenze fisiologiche primarie: mangiare, bere, urinare, defecare, scopare ecc. Lo fa per sovvertire le gerarchie costituite: è il potere liberatorio della satira. [...] Non esiste il sacro senza profano. Il sacro senza profano diventa integralismo. Non è triste dover parlare di queste cose due secoli dopo Voltaire? L’immaginario di poter oscillare tra sacro e profano per essere sano. Chi vuol mettere la mordacchia alla satira ha dei problemi. C’è chi proibirebbe la satira sulla religione perché i sentimenti religiosi vanno rispettati. Ma può un autore satirico rispettare i sentimenti di chi crede all’esistenza di un essere invisibile nel cielo che punisce le azioni umane? Giove intendo (...!). La satira non offende le persone, solo i loro pregiudizi. E questo vale per tutta l’arte. Prendete “Piss Christ”: “Piss Christ” è un’opera d’arte che fece scandalo qualche anno fa. Era un crocefisso dentro un bicchiere di urina. Molti lo giudicarono blasfema, ma non considerarono quello che quest’opera d’arte ha fatto per l’urologia (...!). La satira non è odio, è solo irriverenza. Se non si capisce questo non se ne esce. 18 http://www.youtube.com/watch?v=rPL6RgJ77wI (3,5 minuti) 10 1.2.2 Va’ dove ti porta il clito Il romanzo della Tamaro ha inizio con sei domande sui massimi sistemi dell’essere, tratte da un testo sacro dello shivaismo kashmiro. “Che cosa è la tua realtà? Che cos’è quest’universo colmo di stupore? Che cosa forma il seme?” e così via. Frase finale: “Oh Shiva... chiarisci i miei dubbi”. Con questi allarmanti interrogativi si apre il romanzo della scrittrice triestina. Le stesse domande si pone Luttazzi, con la stessa trepidazione. Ma l’ultimo verso reca un’implorazione ben più accorata: “Vuoi rispondere Shiva? Ti ho fatto sei domande, non sai un cazzo”. Sin dalla copertina si intuisce lo spirito che anima Luttazzi nel fare il verso al suo modello. Basta estrapolarne una frase per capovolgerla a piacimento. Ecco, ad esempio, lo slogan su cui si basava la filosofia della mitica nonnina: “esiste qualcosa di più terribile di un ritorno che non riesce a compiersi?”. Se lo chiede anche Luttazzi. Però aggiunge: “A parte un libro della Tamaro, intendo”. Il capovolgimento è tutto giocato in senso erotico (se non pornografico): così all’anziana donna che vaga in solitudine nella sua casa, si sostituisce una ninfomane in menopausa, che vaga sì nel silenzio del suo appartamento, ma ‘vestita’ in baby doll. E il male incurabile? Sì, le labbra screpolate. L’articolo “La casta Susanna nell’ambulatorio del dottor Luttazzi” pubblicato nel Corriere della Sera da un’ottima impressione del tono e del contenuto: Se una mattina la nonna ricorda: “in giardino, mi sono fermata a lungo davanti alla tua rosa”, l’altra decide di fermarsi “a lungo al tuo membro in erezione”. E ancora: se da una parte la nonna evoca l’imprevista richiesta della nipote, “Voglio una rosa”, dall’altra la protagonista arrapata si lancia in un desiderio altrettanto tassativo ma certo meno sublime: “Voglio un vibratore”. Incalzano parallelemente le due richiedenti: “Ne voglio una che sia mia soltanto”. “Di cachemire”, aggiunge la ninfomane. Ma mentre nel modello alla rosa si aggiunge la volpe, nella parodia al vibratore si aggiunge la Marchesa von Lox. E alla furbizia della dolce fanciulla (“come potevo negarti la volpe dopo che ti avevo concesso la rosa?”), si oppone la furbizia delle baldracche (“come potevi negarmi la Marchesa dopo che mi avevi concesso il vibratore?”). Poi: se da un lato, dopo una lunga discussione, si arriva a un compromesso che metta d’accordo nonna e nipote (un cane), dall’altro la trattativa si conclude su un “travestito sudamericano" 19 19 Di Stefano, “La casta Susanna nell’ambulatorio del dottor Luttazzi”, in Corriere della Sera, 24-10-1995 11 1.3 Cronaca di un caso giudiziario L’unico precedente in giurisprudenza riguardo la parodia, è il “diritto di parodia”: esso risale alla sentenza del Tribunale di Napoli che il 27-05-1908 assolve Eduardo Scarpetta dall’accusa di plagio che Gabriele D’Annunzio gli rivolge per l’opera parodica Il figlio di Jorio. L’arbitro è Benedetto Croce. 87 anni dopo, nel 1995, abbiamo il secondo “diritto di parodia” in Italia, ovvero la causa intentata da Susanna Tamaro a Daniele Luttazzi. Qui presenterò brevemente la cronaca del caso giudiziario. A metà ottobre del 1995 Subito dopo la Buchmesse di Francoforte, esce Va’ dove ti porta il clito. La settimana successiva il libro è segnalato come “amabile” da il Manifesto e ottimamente recensito sul Corriere della Sera. Un bel giorno il cabarettista Daniele Luttazzi pubblica ´Va dove ti porta il clito´ (edizioni Comix), una parodia del best seller tamariano. La spassosa operazione ha il pregio di collocare il pornosentimentalismo del fumetto della nonnina malata nella sua più autentica dimensione: in un racconto di classica pornografia. Apriti cielo! La Tamaro e la Baldini&Castoldi si precipitano in Tribunale e chiedono a gran voce l´immediato sequestro del libro di Luttazzi: la pronipote di Svevo e la casa editrice berlusconiana sono indignati soprattutto per ragioni mercantili. 20 3 novembre Susanna Tamaro e l’editore Baldini&Castoldi chiedono dunque il sequestro del libro e l’inibizione di ulteriori ristampe con un provvedimento d’urgenza al Tribunale di Milano. Questa richiesta è accompagnata, all’udienza dell’8 novembre, da un parere di Giampaolo Dossena che ipotizza: “È verosimile che Daniele Luttazzi abbia passato lo scanner sul testo di Tamaro e, ottenuto il testo in dischetto, abbia lavorato col mouse sul piccolo schermo del computer”. 20 Penna Rossa, Pornografia del cuore, Milano, Kaos, 1998 12 5 novembre Va’ dove ti porta il clito occupa l’ottavo posto della classifica dei “tascabili” pubblicata dal Corriere della Sera. Allo stesso giornale il presidente della Baldini&Castoldi dichiara l’11 novembre: “Non c’è molto da dire. Quel libro è pura pornografia. E se non fosse stato così non saremmo certo finiti in tribunale, noi che siamo i reginetti della satira”. Tuttavia, come osserva Stefano Bartezzaghi sulla Stampa dell’11 novembre 1995: “ Il punto è che i parodiati (Tamaro e Baldini&Castoldi) negano di esserlo, e sostengono che i parodianti (Luttazzi e Comix) abbiano fatto, invece che una parodia, una copia, una sorta di plagio a facili (troppo facili) fini di umorismo.” 21 15 novembre Il Giudice Designato dott. Claudio Marangoni rigetta il ricorso proposto da Susanna Tamaro e Baldini&Castoldi contro Comix (l’editore di Va’ dove ti porta il clito) e li condanna al pagamento delle spese del procedimento: “Il Tribunale di Milano dà ragione a Luttazzi e respinge l´istanza di sequestro in quanto la citazione esplicita di brani, personaggi e situazioni dell´opera originale è caratteristica tipica e necessaria della parodia”. 22 Il caso Tamaro-Luttazzi divampa sulle pagine culturali di tutti i giornali e alla battaglia semiotica dei pareri di parte, si accompagna un appassionante caso di diritto in cui vari intellettuali, tra i quali Omar Calabrese, Maria Corti e Guido Almansi danno il loro parere. 25 novembre Tuttolibri de La Stampa pubblica un’accorata letterina di Susanna Tamaro intitolata “Il mio cuore scannerato”. Oltre a riprendere l’ipotesi Dossena, Tamaro chiosa: “aspettiamoci dunque Il Barone Scopante, Sostiene Le Palle, La coscienza dell’Ano e via dicendo” 23 . 1 dicembre Susanna Tamaro e Baldini&Castoldi reclamano al Tribunale l’ordinanza del Giudice Designato e accompagnano il reclamo con un parere di Piergiorgio Bellocchio. Il direttore dei Quaderni Piacentini individua un “metodo Luttazzi” che applica sia a I promessi sposi sia al 21 Stefano Bartezzaghi, “La guerra della Tamaro contro il comico Luttazzi, autore della parodia erotica del best seller tra il cuore e il clito, la parola a perito giochi di parole, parafrasi, sfottò: copia volgare o opera autonoma?”, ne La Stampa, novembre 1995 22 Penna Rossa, Pornografia del cuore, Milano, Kaos, 1998 23 Susanna Tamaro, “il mio cuore scannerato”, ne La Stampa, novembre 1995 13 Vangelo. Il metodo è “un’operazione a freddo, puramente meccanica...” 24 Il risultato sono: “un saccheggio massiccio dell’opera di un altro autore e un dileggio pure sistematico di questa.” 25 6 dicembre Il Corriere della Sera rivela che nel 1973 la Cittadella di Assisi ha pubblicato un libro del monaco benedittino francese Jean Déchanet intitolato Va’ dove ti porta il cuore. La settimana successiva la Cittadella pubblica la seconda edizione di questo libro. 29 gennaio 1996 La Prima sezione Civile del Tribunale di Milano, riunito in camera di consiglio respinge il reclamo e condanna (per la seconda volta!) Susanna Tamaro e la Baldini&Castoldi al pagamento delle spese inerenti questo grado della procedura. 24 Piergiorgio Bellocchio, tratto dalla copia del ricorso ufficiale che accompagnava la richiesta del provvedimento d’urgenza al Tribunale di Milano, 3 novembre 1995 25 Idem 14 1.4 Questione di gusto? Il termine “parodia” comporta un alto tasso di ambiguità: “parody is fundamentally double and divided. Its ambivalence stems from the dual drives of conservative and revolutionary forces that are inherent in its nature as authorized transgression.” 26 Sempre paradossalmente, ogni parodia, anche la più snaturante, ridicola e ‘offensiva’, è al tempo stesso un implicito riconoscimento della rilevanza del testo parodiato e un involotario omaggio alla sua fama (anche se può non essere gradito!): ´la parodia non può avere per oggetto se non le cose migliori: essa è lode, è apologia, perché esagerando le critiche, combatte queste e distrugge’ 27 . Anche Carducci vede nella parodia un ‘riconoscimento della poesia, un atto di omaggio, prova di raggiunto succeso, ufficiale sanzione di notorietà e autorevolezza’ 28 . La parodia quindi riconosce il valore dell’originale. Dovendo distorcere quel che è già positivamente sanzionato nella cultura corrente, la parodia di fatto presuppone e accetta il valore del testo di riferimento (successo, qualità, meriti), e anzi talora contribuisce ad accentuarli. Questo è per esempio avvenuto con la parodia televisiva svolta nel 1986 da Roberto D’Agostino nella trasmissione Quelli della Notte nei confronti di Milan Kundera. Senza quel fatto, L’insostenibile leggerezza dell’essere in Italia non avrebbe ottenuto il gradimento che ha avuto. È buffo: offesa uguale omaggio. Nasce così un contratto implicito, con i lettori e con i protagonisti interessati, quello infatti di offendere il testo originario. Ma questa ‘offesa’ è simulata e non può mai essere presa sul serio, proprio perché questo contratto comunicativo è basato su un ‘tacit understatement’. La parodia non solo non costituisce offesa, ma anzi dovrebbe essere assai grato l’autore parodiato che si sia fatto “scempio letterario” del proprio lavoro, affermandone l’importanza: Se tale “scempio” dispiace per volgarità, cattivo gusto, banalità, è il giudizio collettivo che imporrà il suo verdetto. Mai si potrà invece ricorrere al giudizio dei magistrati. Non sono stati condannati, per un simile reato, né Molière, né Voltaire, né Plauto, che pure vivevano in epoche piuttosto oscure. Solo Petronio Arbitro fu costretto al suicidio per aver parodiato Nerone. Ma era Nerone, appunto. 29 I ricorsi e reclami contro Luttazzi quindi sembravano insistere su un fatto poco rilevante: il buono o il cattivo gusto dell’opera parodistica. Ma il buon gusto è perseguibile a termini di 26 27 L. Hutcheon, A Theory of Parody, p. 27 G.Tellini, Rifare il verso. La parodia nella letteratura italiana. Milano, Mondadori, p.5. 28 F. Novati, La parodia sacra nelle letterature moderne, in Studi critici e letterari, Loescher, Torino 1889, p. 297-98 29 O. Calabrese, nel dossier aggiunto a Va’dove ti porta il clito, p. 179 15 legge? No, altrimenti gli italiani che si vestono male o che hanno dei brutti mobili sarebbero in prigione. Il giudizio morale e di gusto è una cosa ben diversa, come scrive il biologo Jean Rostand in uno dei suoi aforismi: “Si je proteste contre l’interdiction d’une oeuvre littéraire, cela ne veut nullement dire che cette oeuvre ne me dégoute pas” 30 . Interessante a questo proposito è anche quello che dice Dario Fo, grand’uomo di teatro, in un’intervista 31 con Luttazzi nel programma Satyricon (la cui visione 32 vi consiglio vivamente). Alla domanda se il buon gusto è un criterio per giudicare la satira, Fo risponde: “Anzi. Che cosa significa buon gusto in questo caso? Buon gusto, a mio avviso, se esiste, esiste proprio nella dimensione del banale”. Poi, a proposito dei limiti della satira dice: Mi ricordo una battuta di un grandissimo uomo di teatro, il quale diceva: prima regola; nella satira non ci sono regole! La satira è nata proprio in conseguenza di pressione, di dolore, di prevaricazione, cioè è un momento di rifiuto di certe regole, di certi atteggiamenti, è liberatorio in quanto distrugge la possibilità di certi canoni che introppano la gente. L’obiettivo è di rompere gli schemi, le posizioni e di arrivare a liberarsi dalle convenzioni. Quando Va´ dove ti porta il clito venne presentato in un teatro a Milano, si è presentato a sorpresa Aldo Busi vestito da Nonna Aldo per leggere alcuni brani del libro di Luttazzi che lui trovava ´splendido´. Dalai (direttore della Baldini e Castoldi) e la Tamaro hanno contestato anche questo ‘spettacolo’ insistendo – notiamolo - sul ´buon gusto´:´non ci è sembrato di molto buon gusto presentare il libro chiamando in causa Busi vestito da nonna ninfomane. Ripetiamo: il problema è tutto qui, una questione di stile´ 33 . La discussione sul caso Tamaro-Luttazzi quindi, avrebbe davvero dovuto svolgersi sulle pagine letterarie dei giornali e su riviste letterarie, e non affatto nelle aule dei tribunali: quello che importa non è il valore di Va’ dove ti porta il clito, o il fatto se si adegua o meno alle leggi tacite sul buono o cattivo gusto. 30 31 Jean Rostand, Les aforismes, éditions gallimard, 1981 Daniele Luttazzi intervista Dario Fo in Satyricon 32 http://www.youtube.com/watch?v=CMprl1E_UlM 33 A. Arachi, “Luttazzi discolpati, hai plagiato la Tamaro”, in Corriere della Sera, 11 novembre 1995 16 1.5. Questione di quantità? A rileggere le opinioni dell’esperto della Baldini&Castoldi nel primo ricorso, Giampaolo Dossena, la tesi del plagio è sostenuta da un giudizio quantitativo: ‘ci sono nel libro di Luttazzi tantissime parole che vengono copiate direttamente dal libro della Tamaro, e pochissime che vengono sostituite da termini generalmente ritenuti osceni’ 34 . Questo giudizio quantitativo di Dossena sembra assurdo. In un libro del più celebre parodista del ventesimo secolo, Paolo Vita Finzi, si riproduce verbatim, una pagina di Giovanni Gentile sotto forma parodica, senza cambiare una virgola. Alcuni anni fa, durante un inverno particolarmente severo in cui dei barboni morivano a dozzine per il freddo, Giovanni Testori, elzevirista di punta del Corriere della Sera all’epoca, pubblicò in quel giornale un articolo con una elagiaca lode della “neve”. Il giorno seguente La Repubblica ripubblicò lo stesso articolo, anche in questo caso verbatim, aggiungendo solamente una lieve incorniciatura liberty all’articolo in modo da sottolineare l’intento parodico. Secondo l’inaccettabile concezione della parodia dei querelanti e del loro primo esperto, di plagio si tratterebbe in entrambi i casi e non di parodia. Seguendo questa strada, gran parte dell’arte moderna (in musica, in letteratura, nelle arti figurative) cadrebbe in questa categoria. Il ricorso della Baldini&Castoldi afferma (p.23) a proposito del libro di Luttazzi: “niente di diverso dalla apposizione dei baffi su un ritratto femminile” (La Gioconda). L’autore del ricorso sembra ignorare che i baffi alla Gioconda (o l’applicazione di una scritta oscena alla base del quadro, come nel caso di Duchamp), fanno parte integrante della storia dell’arte del ventesimo secolo, e coinvolgono artisti come Salvador Dalì, Marcel Duchamp, Francis Picabia e altri ancora. I baffi della Gioconda sono forse il più famoso caso di parodia di questo secolo. Un giudizio quantitativo direbbe che, degli undicimila centimetri quadrati circa del quadro originario, m.1,20 per m.0,90, (misura aprossimativa), diecimilanovecentottantotto sono riprodotti meccanicamente, mentre solo i dodici centimetri (l’equivalente del 0,11%: altra misura approssimativa) che riguardano il labbro superiore di Mona Lisa sono mutati: sarebbe dunque un plagio? Il criterio continua ad apparire irrelevante; la conclusione è assurda e, se venisse accettata, renderebbe impossibile non solo qualunque giudizio su un’opera d’arte, ma persino su episodi della vita: se una camicia bianca con uno sparato bianco ha una macchia di salsa di pomodoro sul davanti ma per il resto è linda, non si dirà che la camicia è pulita al 99% e sporca all’1% ma che si tratta di una camicia sporca da portare in lavanderia! 34 G. Dossena, copia del ricorso ufficiale che accompagnava la richiesta del provvedimento d’urgenza al Tribunale di Milano, 3 novembre 1995 17 Esistono caratteri recessivi e caratteri dominanti in genetica, in estetica, in ottica: lo sporco è dominante, il pulito è recessivo. Nel nostro caso il cambiamento parodico è dominante, la parte ripetuta è recessiva. 1.6. Bellocchio difende la Tamaro Come Giampaolo Dossena, anche il fondatore dei Quaderni Piacentini e critico letterario Piergiorgio Bellocchio prende parte per la Tamaro. Le affermazioni di questo esperto mi sembrano altrettanto dubbie. Bellocchio scrive ‘io stesso ho praticato più volte questa specifica forma critica e polemica’, intendendo la parodia (p.1). ‘A rischio di essere a mia volta tacciato da “buffoncello” (come arrogantemente Bellocchio definisce Luttazzi, p.11 della sua perizia), io vorrei rovesciare questa affermazione. Credo di aver sempre praticato la parodia, tranne alcuni casi, in cui mi sono abbassato ad altre forme critiche e polemiche’. Ma subito arriva alla conclusione che sotto "l' apparenza parodistica" smaccatamente palese a cominciare dal titolo, dove, beninteso, al posto di "clito" Luttazzi avrebbe potuto mettere indifferentemente qualunque altro organo sessuale maschile o femminile, il libro è invece un saccheggio massiccio, sistematico e indiscriminato dell' opera di un altro autore, e un dileggio pure sistematico di questa. Un dileggio pesantissimo e assolutamente gratuito, mai giustificato né dal testo preso di mira, né da alcun risultato d'ordine artistico o anche semplicemente di originalità. Non è parodia, né satira, né pastiche 35 . Scrive poi Bellocchio a p.8: ‘che non basti la sostituzione di parole con altre di senso inverso o il capovolgimento di fatti e situazioni perché si concreti la parodia (o la satira, o il pastiche, o altro genere letterario dotato di autonomia), dovrebbe essere ovvio’. Ma tutto il discorso teorico sulla parodia dimostra che questa affermazione è tutt’altro che ovvia! Come dice la Violi è quasi sempre la semplice ‘sostituzione di parole con altre di senso inverso’ o ‘il capovolgimento di fatti e situazioni’ che determinano la parodia. Anzi, direi di più. Quanto più esile è la differenza tra testo parodiato e testo parodiante, tanto più efficace è l’operazione. In un libro parodico di qualche anno fa, dal titolo Maramao, l’autore Guido Almansi aveva sperimentato con interventi ancora minori, attraverso ad esempio una piccola ma efficace aggiunta a note poesie: M'illumino d'immenso Per un picciol compenso. 35 P. Bellocchio, copia del Sricorso ufficiale che accompagnava la richiesta del provvedimento d’urgenza al Tribunale di Milano, 3 novembre 1995 18 O cambiando una sola lettera dell’alfabeto: La nebbia agli irti polli Qui non si tratta di vedere se questi esperimenti parodici fossero riusciti o meno: ho scelto questi esempi soltanto per illustrare un metodo. L’autore dimostra che l’operazione parodica è più efficace in quanto l’intervento è minimo. Sarà chiaro che attraverso un minimo intervento (cambiando una sola lettera ad esempio) si raggiunge la massima riconoscibilità e forza distruttiva. Il Bellocchio cita un caso di svista nel libro di Luttazzi che dimostrerebbe la meccanicità della sua operazione: ‘quando Luttazzi scrive, a proposito delle anguille 36 , “il crepitio delle loro zampe”, ripete così la parola “gambe” che nell’originale si riferisce alle zampe degli insetti’: TAMARO Mi era presa l’ossessione che gli insetti di Augusto non fossero affatto morti, di notte sentivo il crepitio delle loro zampe in giro per la casa, camminavano dappertutto, si arrampicavano sulla carta da parati, stridevano sulle piastrelle della cucina, strusciavano sui tappeti del salotto. LUTTAZZI Mi era presa l’ossessione che le anguille di Augusto potessero liberarsi per la casa, di notte sentivo il crepitio delle loro zampe sui pavimenti, si infilavano ovunque, lasciavano scie umide sulla carta da parati, stridevano sull’inox del lavello in cucina, si impanavano sulla polvere dei tappeti in salotto. Se nel campo della scrittura è lecito avere, per esempio ‘l’elefante con le ghette / a caval d’una zanzara’, come nella filastrocca infantile, non vedo che cosa dovrebbe impedire a Luttazzi di inventare anguille con le gambe. Bellocchio dice del ‘metodo Luttazzi’:‘basato sull' assoluto arbitrio e gratuità e su una suprema disinvoltura il metodo Luttazzi ha questo di straordinario, che può essere applicato a qualunque testo, in qualsivoglia punto dello stesso. E non solo alle opere di narrativa, ma anche a prose scientifiche come ad articoli di giornale’. Per illustrare questo metodo meccanico che sarebbe applicabile a qualsiasi testo, Bellocchio sceglie a titolo d’esempio proprio I promessi sposi, di cui sono state fatte 36 Luttazzi nella sua parodia cambia gli insetti dell’originale (Va’ dove ti porta il cuore) in anguille. 19 un’infinità di parodie: chi abbia letto il libro di Luttazzi e capito il suo metodo può facilissimamente tradurre il passo manzoniano in chiave oscena. Si potrebbe ancora parlare di parodia? O non sarebbe il caso di parlare puramente e semplicemente di scempio? Tamaro non è Manzoni. Ma l'operazione di Luttazzi su Va' dove ti porta il cuore è della stessa natura e portata di quella da me ipotizzata a danno del passo citato dei Promessi sposi. E l'operazione è puramente meccanica, senza che la qualità dei risultati raggiunga mai un minimo di autonomia creativa. E allora che cosa viene fuori secondo il nostro esperto quando applichiamo il metodo Luttazzi ai Promessi Sposi? Ebbene, l' incontro tra l' Innominato ed il Cardinal Federigo non si conclude in un abbraccio, ma questo sarebbe il preludio ad un bel rapporto sodomitico: Così dicendo, stese le braccia al collo dell' Innominato; il quale, dopo aver tentato di sottrarsi, e resistito un momento, cedette, come vinto da quell' impeto di carità, abbracciò anche lui il cardinale, e abbandonò sull'omero di lui il suo volto tremante e mutato. Le sue lacrime ardenti cadevano sulla porpora incontaminata di Federigo; e le mani incolpevoli di questo stringevano affettuosamente quelle membra, premevano quella casacca [...] etc. 37 Dopo questa infelice e banale fantasia su una versione oscena de I promessi sposi, Bellocchio scrive: ‘A chi mai potrebbe venire in mente? A nessuno, tranne a Luttazzi’. Ma a Luttazzi non è mai venuto in mente di scrivere una versione oscena de I promessi sposi, perché la geniale invenzione è di Bellocchio stesso. Il quale inoltre sembra ignorare che una simile versione esiste già negli annali della letteratura: era stata scritta da Guido da Verona negli anni Venti, e venne poi proibita dal regime fascista il quale, in quel momento postconcordatorio, non sembrava gradire la parodia del massimo testo del cattolicesimo italiano. Lasciamo ai critici dell’inesistente, come Bellocchio, un giudizio comparativo tra la parodia di Guido da Verona, quella di Bellocchio, e quella di Luttazzi, che comunque non esiste ma è solo una fantasia ‘pedissequamente simmetrica’ di Bellocchio (per adoperare contro di lui la sua stessa espressione). 37 P. Bellocchio, copia del ricorso ufficiale che accompagnava la richiesta del provvedimento d’urgenza al Tribunale di Milano, 3 novembre 1995, p.14 20 1.7 Gender Sulla scia delle questioni sollevate dal rapporto tra parodia e gusto potremmo chiederci se forse l’identità di genere (gender) svolga un ruolo nello stravolgimento parodico e se tale ruolo (ammesso che esso esista) sia strutturalmente rilevante nella creazione della ‘tensione’ tra testo parodico e testo parodiato. Al di la della questione ‘giuridica’ sollevata dal caso Tamaro/Luttazzi, ribadiamo che la Tamaro ha a più riprese tacciato la parodia di Luttazzi di ‘mancanza di gusto’, volgarità, sessismo, e che tali accuse rientrano per tradizione nell’armamentario delle critiche protofemministe rivolte all’universo espressivo maschile. Ma qui dobbiamo ricordare l’assioma di Dario Fo e dello stesso Luttazzi, secondo il quale la parodia è strutturata (sia pure in parte) sulla volgarità e se non sulla mancanza di gusto quantomeno su una sospensione ‘ermeneutica’ o messa tra parentesi della fruibilità estetica del testo parodiante. Ovvio poi che tale sospensione rimette in discussione i parametri del buon gusto vigenti in un periodo storico dato. Ecco allora che il ‘politically correct’ di un dato periodo storico nel quale nasce l’opera parodiata può diventare ‘politically incorrect’ alla luce di questa sospensione parodica, e gli assiomi e i tabù di gender possono rivelarsi pericolosamente ‘incorrect’. Non vi è dubbio ad esempio che un certo sdolcinato buonismo post-romantico della Tamaro venga ribaltato alla luce della parodia di Luttazzi, che ne mette in evidenza, sia pure con un freudismo (volutamente) sbrigativo, le coordinate sessuali per così dire primitivi, tribali o ritualistiche, mettendo così in luce il carattere retrogrado, conservatore, quasi vittoriano e démodé del neodeamicisimo della Tamaro. Quindi la parodia di Luttazzi punta in realtà a rendere palese il cattivo gusto di Va’ dove ti porta il cuore, proprio evidenziando, stravolgendoli, i cliché di gender così ampiamente presenti nel libro della Tamaro. L’apparente paradosso della parodia di Luttazzi è proprio questo: attraverso una accentuazione dei cliché di gender, tali cliché vengono svuotati della loro ‘innocenza’ e caricati per così dire della loro stessa latente volgarità. Quindi i cliché di gender, volutamente usati da Luttazzi, vengono usati per evidenziare la volgarità latente, portandola alla luce, di Va’ dove ti porta il cuore. In questo caso è il cattivo gusto ad essere volgare, non la denuncia del cattivo gusto attraverso una sua enfatizzazione in chiave stravolta! La volgarità della parodia evidenzia quindi la volgarità (inconscia) veicolata dal testo parodiato. Quasi a dire che gli elementi parodici latenti del testo originale vengono semplicemente rispecchiati, come in uno specchio deformante, dal testo parodiante. 21 Per riprendere un vecchio adagio di Oscar Wilde:‘non esistono testi morali od immorali’ (come ritiene la Tamaro quando apertamente taccia Va’ dove ti porta il clito di immoralità) ma testi di buono o cattivo gusto. Possiamo dire che Va’ dove ti porta il clito, al di là della sua orchestrata e raffinata volgarità è un testo di ottimo gusto letterario, mentre il libro della Tamaro, nel suo zuccheroso neodeamicisianismo, è un libro di pessimo gusto, e quindi ipso facto volgare. Che ruolo svolge dunque la polemica di gender nella parodia di Luttazzi? A mio avviso un ruolo ideologico, nel senso che Va’ dove ti porta il clito è anche un monito a non sacralizzare ed ideologizzare ciò che nell’universo femminile può essere semplicemente cliché e cattivo gusto, spesso trincerato dietro i tabù del ’political incorrect’. Come dire che l’esasperato sessismo della parodia di Luttazzi evidenzia il sessismo latente (ed inconscio) di Va dove ti porta il Cuore, che l’orchestrata volgarità di Va’ dove di porta il clito mette in luce la volgarità latente del libro della Tamaro, e così via. Il gioco dunque risiede nell’essere artificialmente ‘politically incorrect’ per evidenziare la volgarità latente del ‘politically correct’ del libro della Tamaro. Quindi si può dire che Luttazzi utilizzi, manipolandoli, i clichés legati al ‘gender’ proprio per ridicolizzare alcune delle contrapposizioni ideologiche legate alla lettura in chiave gender di opere letterarie. Tornando al famoso assioma di Oscar Wilde non ha importanza se un autore sia uomo o donna, a patto che l’opera letteraria non rimandi specificatamente ad una ideologizzazione di pessimo gusto riconducibile a clichés di gender legati all’universo maschile o femminile. Del resto, se lo stravolgimento parodico di Luttazzi non toccasse questo delicatissimo nervo dei clichés sotterranei di gender impliciti nel libro della Tamaro, come spiegare le accuse di volgarità e sessismo maschilista rivolte dalla stessa Tamaro a Luttazzi? Ancora una volta si torna all’assioma Wildiano: le contrapposizioni ‘ideologiche’ (e quelle legate al gender rientrano in questa categoria) non contano, conta solo il coefficiente di letterarietà, e quindi di gusto, che un’opera d’arte riesce a palesare: parodia compresa. 22 2. Per una teoria della parodia Tra le tante definizioni di parodia mi piace quella di Gino Tellini in Rifare il verso. La parodia nella letteratura italiana: “è sbarazzineria, sberleffo, sconvenienza, trasgressione, dileggio delle norme codificate. D’una scrittura si tratta, che ha intenti dilettevoli e faceti, che appartiene all’aerea leggerezza del gioco. E il gioco, si sa, è una cosa seria”. 38 O come dice Oscar Wilde: “Life is too important to be taken seriously” 39 . La parodia ci mette in contatto con i meccanismi creativi che sono alla base del prodotto letterario in senso lato. Si può dire che la parodia mette a nudo tali meccanismi, li rende espliciti, li enfatizza, laddove l’opera letteraria tende invece ad occultarli, a mascherarli, ad annebbiarli. Nel primo caso quello che conta è il viaggio. Nel secondo caso ciò che conta è la destinazione. La nostra ipotesi è dunque che la parodia metta a nudo i meccanismi della scrittura creativa, con una differenza sostanziale rispetto alla scrittura non parodistica: A. La scrittura creativa non parodistica ha come ‘referente’ creativo un insieme significante esterno alla scrittura stessa. B. La scrittura parodistica ha come ‘referente’ creativo un insieme significante interno alla scrittura. Si riferisce cioè ad una scrittura preesistente (o film, fumetto, quadro, ovviamente in relazione al linguaggio espressivo prescelto). Mi rendo ben conto che questi sono casi estremi e che certo, vi sono dei modificatori, ma in questa tesi vorrei evitare teorizzazioni troppo esaustive. Nel primo caso (A) abbiamo un sistema eteroreferente mentre nel secondo caso (B) abbiamo un sistema omoreferente. Il sistema A è un sistema aperto, il sistema B è un sistema chiuso. Proprio per il fatto che, in un sistema chiuso, sappiamo con una certa esattezza quale sia il referente (nel caso della parodia il testo parodiato), possiamo studiare con maggiore chiarezza i meccanismi usati dal testo parodistico per strutturarsi come ‘altro’ dal testo parodiato. Il vantaggio del testo parodistico è che questo ‘altro’ viene dato per scontato e conosciuto (nel nostro caso è Va’ dove ti porta il cuore della Tamaro) mentre nel caso di un testo non parodistico questo ‘altro’ sarà più difficilmente evidenziabile. 38 39 Idem. p.11. O. Wilde, Aforisms and thoughts, Oxford publishing, p.29 23 La parodia deve dunque, per così dire, mettere le carte in tavola per quanto concerne i meccanismi e le regole della propria scrittura: le ‘occasioni’ testuali (per dirla con Montale) sono ovvie e non necessitano ulteriori analisi. 2.1. Tipi di parodia Vi sono parodie aperte e parodie chiuse. Nel primo caso l’autore della parodia imita lo stile, il linguaggio, la metrica (in caso si tratti di poesia) e i temi dell’autore parodiato ma non ne segue il testo passo per passo. Un esempio di parodia aperta è La Secchia rapita del Tassoni, una parodia dei poemi epici in generale ma non di alcun poema epico in particolare 40 . Altri esempi di parodia aperta sono The animal farm e il Don Quichote. Nel secondo caso abbiamo parodie chiuse o semichiuse, nelle quali l’autore della parodia segue con una certa fedeltà il testo originale (un testo ben preciso dunque) nella sua sequenzialità narrativa. Un esempio di parodia chiusa o semichiusa sono le varie manipolazioni di Cavalleria Rusticana, che seguono piuttosto fedelmente il libretto di Mascagni. Altro esempio è Nonita, una parodia in Diario Minimo di Umberto Eco, che racconta la storia di un adolescente innamorato di una vecchietta, che si basa sulla Lolita di Nabokov. Al giorno d’oggi c’è Leandro Barocco che fà parodie semichiuse dei libri di Alessandro Baricco: Senza Sugo (parodizza Senza Sangue) e Setola (parodizza Seta). È uno dei rari casi in cui si parodizza un intero libro (si tratta quasi sempre e soltanto di qualche capoverso o capitolo nel caso di prosa) come appunto Va’ dove ti porta il clito di Luttazzi. Anche qui il testo segue piuttosto fedelmente Va’ dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro, ma aprendo spazi autonomi soprattutto a livello contenutistico: l’ossatura linguistica è pressoché identica a quella della Tamaro ma i temi/contenuti assai diversi (come peraltro vedremo nel quarto capitolo). 40 Il poema narra la storia del conflitto tra Bologna e Modena al tempo dell’imperatore Federico II.Tassoni utilizza riferimenti storici documentati invertendone liberamente l’ordine: il furto della secchia avvenne secoli dopo i conflitti tra le due città mentre nel testo del poema il furto diventa la causa della guerra. Lo scopo dichiarato dal poeta fu quello del divertimento e non una elevazione né morale né religiosa dei lettori. Il poeta trae ispirazione da un fatto realmente accaduto nel 1325, quando i Bolognesi, fatta irruzione nel territorio di Modena, furono respinti ed inseguiti fino alla loro città dai Modenesi, che, fermatisi presso un pozzo per dissetarsi, portarono via come trofeo di guerra una secchia di legno. Il Tassoni immagina che, al loro rifiuto di riconsegnare la secchia, i bolognesi dichiarino guerra ai modenesi. 24 Ora possiamo elaborare un diagramma cartesiano: nei quattro quadranti avremo quattro diversi tipi di parodia. Nel quadrante superiore i due tipi di parodia aperta: APERTA e APERTA/CHIUSA. Nel quadrante inferiore avremo i due tipi di parodia chiusa: CHIUSA e CHIUSA/APERTA. | | APERTA/CHIUSA | APERTA | ---------------------------------------------------------------------| CHIUSA | CHIUSA/APERTA | | | Per i nostri scopi, vale a dire evidenziare i meccanismi della scrittura creativa (e quindi di un certo senso della scrittura tout court) il quadrante più interessante è quello CHIUSO/APERTO di cui parleremo più avanti. Nella parodia APERTA il referente viene utilizzato solo come pretesto, in modo globale, e non vi sono rimandi se non di genere al testo/testi parodiati poiché spesso vi è un rovesciamento di un modello canonico. Le parodie aperte dunque non si riferiscono ad un testo o a un’opera precisa ma ad un genere. Giovanni Boccaccio ad esempio, con gran talento trasgressivo, gioca in modo geniale e dilettevole con la tradizione, in versi ed in prosa, orale e scritta, sì da rimodulare di preferenza a suo gusto sequenze e vicende di romanzi antichi e medievali, e trarre nuova musica dalla forma breve del racconto. “Le vite di santi, le leggende in voga all’epoca, la ricca tradizione agiografica medievale si diffondono sul tema della tentazione debellata, della seduzione che il Maligno esercita invano su monaci ed eremiti sotto le mentite sembianze di candide e procaci fanciulle”41 . Prendiamo ad espempio la novella di Alibech e Rustico (Decameron, III, 10) in cui il modello canonico viene completamente rovesciato. Con il suo trattamento parodico, Boccaccio sovverte e ribalta con leggerezza sorridente ed arguta l’esemplarità della vita eremitica: il giovane devoto Rustico ricorre ad un inganno linguistico per ‘sedurre’ l’innocente fanciulla Alibech, che vuol soltanto ‘servire a Dio’. Il trucco verbale traveste 41 G.Tellini, Rifare il verso, p. 292 25 l’atto sessuale in pratica religiosa, lei assegna alla terminologia sacra un significato religioso, crede a quelle parole, confermate dagli atti che comportano (come la ‘resurrezion della carne’, ‘mettere il diavolo in inferno’, ‘incarcerare quel maledetto da Dio’ ecc.): Avenne che il giuco le cominciò a piacere, e cominciò a dire a Rustico: “Ben veggio che il ver dicevano que’valentuomini in Capsa, che il servire a Dio era così dolce cosa; e per certo io non mi ricordo che mai alcuna altra io ne facessi che di tanto diletto e piacer mi fosse, quanto è il rimettere il diavolo in inferno; e per ciò io giudico ogn’altra persona, che ad altro che a servire a Dio attende, essere una bestia”; per la qual cosa essa spesse volte andava a Rustico, e gli dicea: “Padre mio, io son qui venuta per servire a Dio e non per istare oziosa; andiamo a rimettere il diavolo in inferno”. 42 La parodia APERTA/CHIUSA parte dalla parodia aperta ma approda a rimandi piuttosto specifici ad opere preesistenti: è il caso della Batrocomiomachia, la satira greca che descrive la battaglia tra le ‘batrachoi’ (le rane) e i ‘myes’ (i topi). Solo nel corso dell’opera essa evidenzia dei rimandi specifici all’opera di Omero. La parodia CHIUSA segue passo per passo il testo originale: spesso ne costituisce una trasposizione pura e semplice. Bach ad esempio strumentalizza un’opera vocale, lo Stabat Mater di Pergolesi. Il carattere ‘meccanistico’ della parodia chiusa la rende meno interessante per studiare i meccanismi della scrittura creativa. La parodia CHIUSA/APERTA, come quella di Luttazzi, parte da un ricalco relativamente fedele alla sequenzialità narrativa del referente, ma aprendo e creando spazi ‘autonomi’: operando quindi una transcontestualizzazione. Per questo termine intendo, utilizzando il concetto trans-contextualisation già elaborato da Linda Hutcheon nel 1985 nel suo libro A Theory of Parody 43 , l’aggiunta di scene e/o elementi narrativi non presenti nel testo originale e/o immediatamente riconducibili al testo originale. Sulla strada del postmoderno, con la sua moda dei rifacimenti e delle riscritture, è stata proposta questa nozione estensiva di parodia che non implica l’intento di rifare il verso, ma semplicemente l’intento di recupero ironico, di ripetizione variata, di libero rifacimento: “parody, then, in its ironic “trans-contextualisation” and inversion, is repetition with difference” 44 . Questo spazio di transcontestualizzazione costituisce quindi in qualche modo il perimetro di autonomia creativa della parodia rispetto al testo parodiato. 42 G. Boccaccio, Il Decameron, III, 10 Linda Hutcheon, A Theory of Parody, Cambridge, UPH, 1985 44 Idem, p. 14 43 26 Nel Nome della rosa ad esempio, Eco transcontestualizza personaggi, trama e persino citazioni verbali da “The hound of the Baskervilles” in un mondo di monaci ed intreccio testuale. Il suo Sherlock Holmes è Guglielmo da Baskerville; la sua voce narrante Watson è Adson da Melk, il giovane benedettino che fa il notaio e spesso non sa che cosa scrive. In un contesto di semiotica medievale e moderna Eco’s hero’s first example of reasoning à la Holmes [...] takes a new meaning; the work of the detective becomes an analogue for textual interpretation: both are active, constructive and indeed more creative than true to fact. The deadly struggle over what turns out to be Aristotle’s lost poetics of the comic provides the context for the attack, by the monk, Jorge of Borgos, on the propriety of laughter45 Come vediamo l’altro contesto parodistico qui transcontestualizzato da Eco è l’opera di Jorge Luis Borges. Nella sua complessità Il nome della rosa offre anche parodie della Coena Cipriani, di altre opere d’arte (quelle di Brueghel e Bunuel ad esempio, per citarne solo due) e di tante altre opere letterarie. 2.2. Transcontestualizzazione Nella parodia abbiamo un doppio referente: un referente testuale ed uno extratestuale. Il referente testuale può essere definito come quella parte del testo che direttamente o indirettamente rimanda al testo parodiato, nel nostro caso a Va’ dove ti porta il cuore. Il referente extratestuale – lo spazio libero insomma, di autonomia creativa - può essere definito come quella parte del testo in cui Luttazzi, attraverso appunto la ‘transcontextualisation’, trans-contestualizza, cambia e gioca con certi elementi, prendendo in giro clichés e convenzioni/stereotipi sociali, riferendosi non necessariamente al testo della Tamaro ma aprendo spazi autonomi, creativi. Torneremo a tempo e luogo (capitolo IV) su questo punto con esempi concreti, operando un’analisi comparativa. Esiste dunque nella parodia che non sia solo chiusa o solo aperta, una bidirezionalità testuale. Si potrebbe dire (basandoci su Kristeva, 1980): nel caso di una referenza testuale si ha una trasgressione che si dà una legge (si va dunque da una trasgressione ad una normativa di tale trasgressione, quello che semplificando potremmo definire uno ‘stile’) mentre nel caso di una referenza extratestuale si ha una legge che anticipa la propria trasgressione: ‘parody’s authorized transgression could also be seen as a conventional non-conventionallity, a possession of history in order to ensure one’s place in history. 46 45 46 L. Hutcheon, A Theory of Parody, p.12 Idem, p.107 27 O, per dirla con Genette: in questo tipo di parodia CHIUSA/APERTA, ‘l’imitation produit la différentiation’ 47 . Detto questo, possiamo elaborare lo schema seguente: Parodia APERTA: transcontestualizzazione multidirezionale (tutti i referenti possibili) Parodia APERTA/CHIUSA: transcontestualizzazione bidirezionale (referente testuale ed extratestuale) Parodia CHIUSA: transcontestualizzazione monodirezionale (referente testuale) Parodia CHIUSA/APERTA: transcontestualizzazione bidirezionale (referente testuale ed extratestuale) 2.2. Autonomia creativa Lo schema soprastante può essere di qualche utilità anche in un contesto giuridico-letterario, volto a determinare i confini tra originalità e plagio di un’opera letteraria. Direi che solo una transcontestualizzazione chiusa (che ricalchi quindi fedelmente il testo parodiato) può porre quesiti di legittimità ed autonomia del testo parodiante. In tutti gli altri casi, potremmo dire che più la transcontestualizzazione è ‘aperta’ (bi o multidirezionale) maggiore sarà l’autonomia creativa del testo parodiante rispetto al testo parodiato. Ad esempio: sarebbe assurdo vedere nel Don Quichote (parodia aperta) un’operazione di plagio nei confronti del testo da cui si ispira, il Don Quichote di Amadis de Gaula. In tal caso (peraltro di parodia aperta, con transcontestualizzazione multidirezionale) il testo parodico è talmente ‘transcontestualizzato’ e talmente superiore all’originale, che nessuno se ne ricorda più. Nel caso del Don Quichote si ha un caso, abbastanza raro, nel quale la parodia ‘azzera’ il testo originale, che viene per così dire messo tra parentesi, diventando una sorta di riferimento ‘zero’. In tal caso la parodia è talmente multidirezionale da diventare parodia di ‘genere’ (aperta) e non più parodia di un testo specifico. Nel caso di Luttazzi, il testo parodistico ricalca piuttosto fedelmente gli schemi narrativi ed i topos del modello parodiato. Ora, si può dire che, nel momento in cui la parodia riesce a creare un’autonomia che riesca a conquistare l’interesse ed il sorriso del lettore a prescindere dalla conoscenza che quest’ultimo ha del testo parodiato, crea una multidirezionalità transcontestuale tale per cui può essere fruito sganciandosi o non 47 G. Gentte, Palimpsestes, p.184 28 sganciandosi dal suo referente. Mi viene il dubbio che una delle ragioni che abbiano dato vita al processo intentato dalla Tamaro a Luttazzi sia proprio, paradossalmente, il carattere autonomo, meravigliosamente multidirezionale ed autarchico, del testo di Luttazzi. In altre parole Va’ dove ti porta il clito può essere letto, goduto ed apprezzato, indipendentemente da Va’ dove ti porta il cuore. Ed è forse proprio questa indipendenza transcontestuale ad avere irritato la Tamaro. Nel caso specifico di Luttazzi la transcontestualizzazione non si libera, né pretende di farlo, del testo originale, ma gioca ad un doppio livello: rimanda sempre, con una strizzatina d’occhio, a Va’ dove ti porta il cuore, ma proprio nel momento della transcontestualizzazione ribadisce la propria autonomia. Ma esiste un’autonomia dell’opera parodistica? Il concetto è essenziale per stabilire il diritto ad una sua ‘territorialità’, e quindi la sua autonomia per così dire artistica. Elaboriamo la seguente ipotesi: tanto più accentuata è l’autonomia dell’opera parodistica rispetto all’opera parodiata, quanto più la prima può essere letta ed apprezzata indipendentemente dalla seconda. Un’opera parodistica è tanto più originale quanto meno, per essere apprezzata, presuppone la conoscenza dell’opera parodiata. Paradossalmente, mi pare indubbio che Va’ dove ti porta il clito può essere apprezzato come opera umoristica anche da coloro che non hanno letto Va’ dove ti porta il cuore della Tamaro. Anche se si tratta di un elemento anedottico, mi sembra rilevante riferire che anni fa lessi il libro di Luttazzi senza avere ancora letto Va’dove ti porta il cuore. Ricordo di avere apprezzato l’umorismo di Luttazzi a prescindere dunque da ogni riferimento contestuale o transcontestuale. Ecco dunque che, secondo me, nella grande parodia gli elementi contestuali (il riferimento più o meno stretto con l’opera parodiata) assumano valenza di plusvalore, confermando che anche un’opera parodica possa essere letta a molteplici livelli, laddove la parodia per così dire meno efficace può essere letta ed apprezzata solo in un quadro di riferimento rigorosamente contestuale. Tale assioma scavalcherebbe per così dire il perimetro della parodia, portandoci ad un secondo assioma: qualunque opera letteraria presuppone un referente. Nel caso della parodia il referente è dichiarato: tangibile, analizzabile, dichiarato. Nel caso di letteratura non parodica il referente non è dichiarato: può essere implicito, esplicito, allusivo o 29 non allusivo. Ma in qualche modo implicherà sempre una qualche trascendenza testuale, qualche rimando ad altri testi. 2.3. Forma minore o superiore? Se dunque la poetica può anche definirsi non come il testo letterario in sé ma la trascendenza testuale che contiene in sé, le sue connessioni più o meno palesi con altri testi, forse è proprio questa trascendenza a costituirne l’aspetto che più contribuisce alla sua identità testuale. Riprendendo l’adagio di Genette che la letteratura – ogni forma letteraria – è sempre di secondo grado, 48 allora la parodia può considerarsi la forma letteraria più pura, proprio perché costituisce la forma letteraria di secondo grado per eccellenza. La parodia da un lato viene considerata la forma più ‘parasitaria’ e rapsodica di letteratura. Roland Barthes considerava la parodia in qualunque sua forma come una ‘appropriazione indebita di proprietà e poco nobile proprio per il suo spudorato essere di secondo grado’. Secondo Barthes in effetti ‘any textual multivalence was a transgression of property’. 49 Anche Amis era convinto che la parodia ‘was the philistine enemy of creative genius and vital originality’ 50 . Altri critici ancora ‘reject what they see as parody’s superimposition of an external order upon a work that is presumed to be original’ 51 . La Hutcheon dice a proposito di questo: What is clear from these sorts of attacks is the continuing strength of a Romantic aesthetic that values genius, originality and individuality. In such a context, must needs be considered at best a very minor form. [...] It is likely that the Romantic rejection of parodic forms as parasitic reflected a growing capitalist ethic that made literature into a commodity to be owned by an individual52 . D’altro lato questa vicarietà, questa dipendenza, proprio perché ne mette a nudo senza mezzi termini il carattere di secondo grado, rende la parodia testo letterario per eccellenza: ‘to some critics, parody makes the original loose in power, appear less commanding: to others the parody is the superior form because it does everything the original does and more’ 53 . Se la legittimità di un’opera d’arte viene definita non solo dal suo essere arte ma soprattutto dal suo essere arte /DA (nella sua essenza intertestuale intendo) allora si può definire la 48 G. Genette, Palinsesti, pp.8-16 L. Hutcheon, A Theory of Parody, p.75 50 K. Amis, Introduction to New Oxford Book of Light Verse, 1978, p.89 51 Rovit 1963, p.80 52 L.Hutcheon, A Theory of Parody, p.4 53 Idem, p.76 49 30 parodia come la più ‘densa’ delle forme artistiche, dove la densità è per così dire doppia: intertestuale e transtestuale, di rimando ed originale, rapsodica ma anche autonoma, conservativa e rivoluzionaria: Parody is normative in its identification with the Other, but it is contesting in its Oedipal need to distinguish itself from the prior Other. [...] This ambivalence set up between conservative repetition and revolutionary difference is part of the very parodoxical essence of parody; so, it is not surprising that critics should disagree on the intent of parody 54 L’ambiguità della forma parodica, sempre in bilico tra discorso intertestuale e transtestuale ne costituisce al tempo stesso la forza e la debolezza. Forza in quanto opera sempre, per usare una metafora, in zone di frontiera, giocando quindi su doppi registri. Debolezza per la stessa ragione. 2.4. Una classificazione genettiana Adottiamo la classificazione dei 4 tipi di trascendenza testuale offerta da Genette nel suo classico Palinsesti. La letteratura di secondo grado. Volendo evitare teorizzazioni esaustive, mi permetto di semplificare un po’ questa classificazione da potersi riallacciare all’argomento di questa tesi. Intertestualità Rimando ad un testo ben preciso. La parodia gioca dunque a carte scoperte nella dimensione intertestuale. L’umorismo del testo parodico sta spesso nella sua dichiarata intertestualità ai seguenti livelli: - Intertestualità tematica - Intertestualità situazionale - Intertestualità traspositiva - Intertestualità lessicale 54 L. Hutcheon, A Theory of Parody, p.77 31 Paratestualità Relazione tra un testo ed il suo ‘paratesto’ (cioè titolo, sottotitolo, intertitoli, prefazioni, postfazioni, avvertenze, premesse, note a margine, a piè di pagina e molti altri tipi di segnali accessori). Nel caso della parodia possiamo parlare di ‘interparatestualità’! : esiste un rapporto incrociato tra i paratesti del testo parodiato e del testo parodiante. Prendiamo un esempio di natura paratestuale; la dedica della Tamaro in Va’ dove ti porta il cuore e la dedica di Luttazzi in Va’ dove ti porta il clito: TAMARO A Pietro LUTTAZZI A Camilla. E a Simonetta, Antonella, Isabella, Angela, Margherita, Valeria, Anna, Gloria, Grazia, Graziella, Eleonora, Cristina, Francesca, Danila, Monique, Roberta, Catia, Laura, Simona, Annalisa, Benedetta, Fiammetta, Luana, Dafne, Maura, Clelia, Minerva, Lara, Franca, Esther, Serenella, Maria Rita, Lea, Corrina, Rossella, Kathy Elena, Iride, Violetta, Silvana, Flora, Sara, Esmeralda, Angelica, Carolina, Bea, Judy, Pia Bianca, Elvira, Marisa, Lietta, Fiona, Susy, Celeste, Naomi, Barbara, Linda, Clara, Eva, Monica, Rosanna, Laura, Dodi, Christy, Helen, Vera, Giorgia, Stefania, Ninni, Francesca, Donatella, Antoella, Bruna, Alessia, Ava, Anastasia, Cora, Genny, Valentina, Iris, Luisa, Deborah, Vanessa, Magda, Chicca, Lella, Sofia, Veronica, Sandra, Mara, Germana, Peggy, Diana, Brigitte, Giovanna, Mimma, Martina, Marina, Rachele, Enrica, Coco, Babri, Betta, Edoarda, Cecilia, Alessandra, Marcella, Emilia, Cristiana, Isadora, Carla, Elisa, Enza, Micaela, Annamaria, Greta, Paola, Roberta, Giorgina, Jane, Natascia, Lisetta, Dolores, Frieda, Yuka, Gertrude, Petra, Rosa, Adriana, Wanda, Ambra, Lorenza, la Rossa, Silvia, Ghita, 32 Jacqueline, Alice, Elena, Viviana, Franca, Esmy, Paola, Berta, Angie, Beatrice, Vera, Mariagrazia, Cristina, Marisa, Diana, Martina, Donata, Valentina, Chiara, Virna, Verde, Alberta e Sabrina. Sempre a livello paratestuale, in Va’ dove ti porta il clito poi ci sono delle ‘note del redattore’ (N.d.R) che in Va’ dove ti porta il cuore mancano ma che mettono a nudo, sottolineano con efficacia la lentezza esasperata ed il sentimentalismo ad effetto del testo tamariano. Ci si confronta quindi con la prospettiva straniata resa esplicita in N.d.R., di un primo narratore (“R” appunto: alla lettera un “redattore”) che ingloba nel suo il punto di vista dell’io narrante e, insieme, lo relativizza e lo costringe al vaglio implacabile dell’ironia (non c’è alcuna traccia di ciò nel libro della Tamaro). A titolo d’esempio un brano a confronto: TAMARO (p.58) LUTTAZZI (p.73) 33 Nei primi tempi, è vero, sentivo ancora la musica, era in sottofondo ma c’era. Sembrava un torrente in una gola di montagna, se stavo ferma e attenta, dal ciglio del burrone riuscivo a percepire il suo rumore. Poi, il torrente si è trasformato in una vecchia radio, una radio che sta per rompersi. Un momento la melodia esplodeva troppo forte, il momento dopo non c’era più niente. Ansimavo e sapevo che c’era un ordine superiore delle cose e che in quell’ordine io ero compresa assieme a tutto ciò che provavo. Anche se non conoscevo la musica, qualcosa mi cantava dentro. Non saprei dirti che tipo di melodia fosse, non c’era un ritornello preciso né un aria. (Era un rap? N.d.R.) Seguiranno altri due passaggi a titolo d’esempio paratestuale, ma prima del secondo esempio una piccola chiarificazione: laddove la Tamaro attribuisce al marito Augusto l’hobby del collezionare insetti, Luttazzi cambia in modo creativo gli insetti in anguille e può così trasformare i semplici segni dell’incubo. Anche qui dunque, una N.d.R: TAMARO (p.104) LUTTAZZI (p.121-122) È un luogo comune che i cani dopo una lunga convivenza con il loro padrone finiscano piano piano per assomigliargli. Avevo l’impressione che a mio marito stesse succedendo la stessa cosa, più passava il tempo più in tutto per tutto somigliava a un coleottero. I suoi movimenti non avevano più nulla di umano, non erano fluidi ma geometrici, ogni gesto procedeva a scatti. E così la voce era priva di timbro, saliva con rumore metallico da qualche luogo imprecisato della gola. Si interessava degli insetti e del suo lavoro in modo ossessivo ma, oltre a quelle cose, non c’era nient’altro che gli provocasse un benché minimo di trasporto. Una volta, tenendolo sospeso tra le pinze, mi aveva mostrato un orribile insetto, mi pare si chiamasse grillo talpa. “Guarda che mandibole”, mi aveva detto, “con queste può mangiare davvero di tutto”. La notte stessa l’avevo sognato in quella forma, era enorme e divorava il mio vestito da sposa come fosse cartone. 55 Dicono che due esseri dopo una lunga convivenza finiscono piano piano ad assomigliarsi. Ad Augusto stava succedendo la stessa cosa, più passava il tempo coi suoi esperimenti con le anguille più in tutto e per tutto somigliava a loro. I suoi gesti non avevano più nulla di umano, erano sinuosi, viscidi. Quando gli stringevi la mano, sembrava di stringere una seppia in umido, pareva disossata da tempo. E la sua voce era ormai priva di timbro, saliva con un sibilo gutturale da qualche luogo imprecisato. Si interessava delle anguille in modo ossessivo, io non gli provocavo lo stesso trasporto. Una volta, mi aveva mostrato una grossa anguilla, mi pare si chiamasse capitone. “Guarda che curve”, mi aveva detto, “con queste può sgattaiolare davvero ovunque.” La notte stessa l’avevo sognato in quella guisa, era un’enorme anguilla che entrava e usciva con facilità dalle mie narici. (Mangiati il fegato, Sigmund! N.d.R.) 55 34 TAMARO LUTTAZZI Purtroppo siamo abituati a considerare l’infanzia come un periodo di cecità, di mancanza, non come uno in cui c’è più ricchezza. Eppure basterebbe guardare con attenzione gli occhi di un neonato per rendersi conto che è proprio così. L’hai mai fatto? Prova quando te ne capita l’occasione. Togli i pregiudizi dalla mente e osservalo. Com’è il suo sguardo? Vuoto, inconsapevole? Oppure antico, lontanissimo, sapiente? I bambini hanno naturalmente in sé un respiro più grande, siamo noi adulti che l’abbiamo perso e non sappiamo accettarlo. Purtroppo siamo abituati a considerare l’infanzia come un periodo di mancanza, non come un’epoca di perversione polimorfa. Eppure basterebbe guardare con attenzione gli occhi di un neonato per rendersi conto che è proprio così. L’hai mai fatto? Ecco qua un neonato. (Dove? N.d.R.) Qui, idiota. Questo neonato qui.Togli i pregiudizi dalla mente e osservalo. Com’è il suo sguardo? Vuoto, inconsapevole? Vabbè, perché adesso sta dormendo, abbassagli pure le palpebre. Ma guarda da sveglio, e ti accorgerai che il suo è lo sguardo di uno stronzo. Non dirlo ai genitori, però. Sono contenti di lui fino alla nausea. Un altro esempio di tipo paratestuale troviamo nella forma del dialogo (non c’è in Va’dove ti porta il cuore), che Luttazzi utilizza per fare il verso al suo modello. Questi dialoghi sono degli intermezzi narrativi, sorprendenti, assurdi, dilettevoli: A. IO: C’è così tanto vento che non riesco a sentire quello che dico. FERNANDA: Cosa hai detto? IO: Non lo so, c’è così tanto vento che non riesco a sentire quello che dico. FERNANDA: Divertente. Ma ne ho sentite di migliori. 56 B. IO: LUI: IO: LUI: IO: LUI: C. ZIA LOTTE: 56 57 Mi sembra di conoscerti da sempre Anche a me Chi eri in una vita precedente Alessandro Cecchi-Paone Alessandro Cecchi-Paone non è ancora morto! No, ma dovrebbe 57 . Certo che è vero Va’dove ti porta il clito, p.71 Idem. p. 87 35 IO: È vero zia che sai anche predire il futuro? 58 Architestualità La collocazione di un testo entro i confini di un ‘genere’ determinato. Genette sottolinea che la determinazione del genere a cui appartiene un testo non spetta al testo stesso, ma al lettore, al critico, al pubblico, che possono benissimo rifiutare lo statuto rivendicato per via paratestuale (menzione titolare o infratitolare come Versi, Saggi, Le Roman de la Rose, racconto, poesie ecc.). Capita comunemente di sentir dire che tale “tragedia” di Corneille non è una vera tragedia, o che il Roman de la Rose non è un romanzo. Ma il fatto che questa relazione sia implicita e soggetta a discussione (per esempio: a che genere appartiene la Divina Commedia?) o a fluttuazioni storiche ([...]) non sminuisce assolutamente la sua importanza: sappiamo quanto la percezione generica orienti e determini l’orizzonte d’attesa del lettore, e quindi la ricezione dell’opera 59 . Ora, la parodia di tipo transcontestuale come quella di Luttazzi, gioca su diversi registri di architestualità: anzitutto presuppone, modificandolo e stravolgendolo, il contesto architestuale dell’opera parodiata, Va’ dove ti porta il cuore. Da romanzo psicologico, Va’ dove ti porta il cuore viene stravolto in un contesto architestuale completamente diverso. Quindi ogni opera parodica di tipo aperto gioca almeno su due registri architestuali, mescolandoli, opponendoli, mixandoli. Sia detto per inciso, il passaggio da un contesto architestuale ad un altro, e la loro programmata ‘confusione’ è una delle leggi della scrittura umoristica ed in particolare di quella parodistica: Parody could be seen, then, as an act of emancipation: irony and parody can act to signal distance and control in the encoding act. Perhaps this is what Gide intended: his greatest parody of the novel form is paradoxically and ironically the only one of his works which he labled a novel: The Counterfeiters 60 (Les faux-monnayeurs). 58 Idem. p. 112 G. Genette, Palinsesti, p. 17 60 L. Hutcheon, A Theory of Parody, p.96 59 36 Metatestualità Per ragioni di praticità uniformerò questa categoria a quella di ipotestualità (la relazione tra un testo dato ed un testo precedente che ne costituisce il referente). Qui vorrei introdurre una variazione sul concetto di Genette, che vede in ogni testo letterario una relazione di tipo ipotestuale con uno o più altri testi: A. Metatestualità aperta: è il caso di un’opera letteraria i cui riferimenti ipotestuali non siano immediatamente evidenti, oppure siano molteplici. B. Metatestualità chiusa: è il caso della parodia, soprattutto quando questa, come nel caso di Luttazzi, si riferisce ad una ed una sola opera che ne costituisce il sostrato ipotestuale. Ora, se accettiamo la teoria di Genette, secondo la quale ogni opera letteraria può e deve essere studiata in base a questi quattro principi generativi, possiamo formulare l’ipotesi di una maggiore ‘ricchezza’ intertestuale, paratestuale, architestuale e metatestuale della parodia rispetto all’opera parodiata. Maggiore sarà la ricchezza della parodia a questi quattro livelli, maggiore sarà la sua efficacia e, in una gerarchia puramente ‘diversificativa’, maggiore sarà il valore dell’opera parodica. Ciò in quanto ogni opera si articola sulla base di questi quattro principi generativi (non solo le opere parodiche, dunque) e quindi nel caso della parodia le cose si complicano, o per meglio dire si arricchiscono, visto che si finirà per operare su otto livelli anziché quattro, e cioé i quattro livelli generativi dell’opera originaria (sempre presenti in qualche modo, esplicito o latente nell’opera parodica) sui quali si innestano i quattro livelli generativi dell’opera parodiante. Di qui la maggiore complessità dell’opera parodiante rispetto all’opera parodiata, se non altro da un punto di vista genettiano. In alcuni casi, e secondo me Va’ dove ti porta il clito è uno di questi casi, laddove la ricchezza di questi quattro parametri è decisamente superiore a quella del testo parodiato: la parodia offrirà al lettore – sia pure su un piano architestuale diverso – un prodotto più articolato, più complesso e letterariamente più godibile dell’opera parodiata. È questo un punto molto importante, che a mio avviso spiega le ragioni del processo intentato dalla Tamaro per plagio nei confronti di Luttazzi. Credo che la Tamaro si sia resa conto della ricchezza intertestuale e transcontestuale della parodia di Luttazzi rispetto alla povertà per così dire ‘deamicisiana’ di Va’ dove ti porta il cuore. 37 3. Parodia e plagio Ciò che mi interessa in questo capitolo è il carattere simbolico del processo Tamaro-Luttazzi, il discorso che apre sull’intertestualità di ogni opera letteraria e il posto che la parodia occupa in tale discorso. Se ogni testo letterario è costruito ed architettato a partire da un rapporto intertestuale con testi che lo hanno preceduto, allora ciò che definisce il plagio non può essere tale intertestualità, o perlomeno bisognerebbe definire una specie di ‘soglia di intertestualità’ che demarca il confine tra originalità e plagio. In termini paradossali Borges ha dimostrato, nel Pierre Menard, che un’opera totalmente identica ad una precedente, ma scritta e pubblicata in un contesto culturale/epocale diverso, sarà diversa dalla precedente. 3.1. Autotestualità Esistono vari gradi di intertestualità, dove – ma siamo al limite del paradosso – l’opera più originale sarà quella che non contiene alcun rimando intertestuale esplicito od implicito: una tale opera, se accettiamo il paradigma intertestuale, non potrebbe nemmeno esistere, ma sarà un’opera che potremmo definire autotestuale. Il concetto che qui introduco di autotestualità ha una funzione puramente pratica: serve come polo teorico opposto al concetto di intertestualità. Potremmo dire che la parodia spesso funga da elemento di identità per il testo parodiato. In altre parole la parodia ricrea una nuova autotestualità che permette al lettore di recuperare, sia pure attraverso il segno inverso, l’identità del testo parodiato. In altre parole ancora, stravolgendo e rovesciando i valori del testo originale, la parodia crea quell’elemento di autotestualità attraverso il quale il testo parodiato recupera la propria riflessività, il proprio quid, la propria essenza. Quindi non solo la parodia di qualità non plagia il testo parodiato, ma in qualche modo getta una nouva luce su quest’ultimo, riformattandone per così dire in modo nuovo l’autotestualità: restituisce attraverso la deformazione una dimensione di autonomia testuale al testo parodiato. Ma ciò non implica alcun giudizio di valore su tale recuperata autonomia testuale: il fatto che Va’ dove ti porta il clito getti nuova luce sull’autotestualità del testo della Tamaro, non da un giudizio di valore, ma funge da identificatore: ci permette di ‘identificare’, sia pure in modo nuovo, Va’ dove ti porta il cuore. 38 Ora, possiamo dire che la parodia permette al testo parodiato di essere se stesso in modo più completo, esaustivo; proprio perché getta nuova luce sul testo parodiato, ne porta alla luce la dimensione autotestuale. Il paradosso qui è il seguente: non solo la parodia di qualità non opera mai plagio, ma si potrebbe affermare che l’opera parodiata prefigura i propri plagi, ed in quelli ritrova la propria identità. Si potrebbe addiritura arrivare ad un paradosso di tipo borgesiano, vale a dire: ogni grande opera plagia i propri plagiari ed in essi ritrova la propria dimensione di originalità! L’autotestualità dell’opera parodiata si riflette nell intertestualità palese e dichiarata dell’opera parodiante, mentre a sua volta l’autotestualità dell’opera parodiante si riflette nell’intertestualità proiettiva dell’opera da esso parodiata. Abbiamo dunque: intertestualità retroattiva (dalla parodia al parodiato) intertestualità proiettiva (dal parodiato al parodiante) 39 3.2 La parodia come momento psicoanalitico del testo La ‘nonna’ di Va’ dove ti porta il cuore pensa ed agisce secondo una prospettiva di puro sentimentalismo melodrammatico, comunque giustificata perché - per ragioni anagrafiche non può possedere cognizioni troppo precise e approfondite di femminismo e di psicanalisi. Luttazzi vi sovrappone puntualmente un esercizio di realismo esplicito, aperto ai singulti del riso, che sostituisce al cuore il clitoride e al vagheggiamento ottocentesco di una nostalgia protofemminista il teatro attualissimo di un’interiorità non saziata né pacificata, ma esposta ai rischi del trauma e della passione, del rimosso e di una visibilità sociale tutta ancora da conquistare. A ciò si confanno gli eccessi e le incontinenze – e anche e soprattutto sessuali – propri di una società che ha drammaticamente rinunciato a molti valori, senza essere riuscita ancora a crearne dei nuovi 61 È stata liberissima, nonché premiata dalle vendite presso un pubblico di massa e ‘televisivo’, la Tamaro di creare un’eroina che forse Flaubert non avrebbe ritenuto del tutto al passo nemmeno con i tempi suoi e di Madame Bovary, ma assai più motivato pare Luttazzi nel seguire le ragioni di una narrativa davvero nostra contemporanea, per la quale Freud e la sua possibile parodia (come già accade in Svevo e in Gadda, dunque nella narrativa migliore in lingua italiana) costituiscono il fondamento irrinunciabile di ogni rappresentazione interiorizzata dell’individuo. L’inconscio, lo sappiamo ormai fin troppo bene anche dalla pubblicità e dai tanti altri messaggi subliminali a cui siamo soggetti, è sessuato e così il linguaggio che lo esprime, con i suoi tic, i suoi controsensi, la sua radicale estremizzazione. Potrebbe essere interessante operare una piccola escursione nel perimetro della psicanalsi freudiana: è un po’ come se il testo venisse confrontato con il proprio ID attraverso la decostruzione operata dalla parodia su di esso. Esiste un inconscio del testo, quello che sopra abbiamo definito intertestualità proiettiva (dal parodiato al parodiante), ancora da scoprire, da mettere a nudo attraverso la parodia, il testo attende di conoscersi, vedersi, rispecchiarsi, ritrovarsi attraverso un elemento di identità. Possiamo analizzare il testo parodico come momento psicoanalitico del testo: il momento dove il testo tale e quale (l’Ego) viene analizzato alla luce delle sue relazioni intertestuali profonde (l’ID), per infine approdare alla sua vera identità (Superego): 61 tratto dal sito ufficiale www.danieleluttazzi.it 40 Ego TESTO PARODIATO TESTO PARODIANTE Cuore Clito Testo Intertestualità (retroattiva) ID Intertestualità Testo (proiettiva) Superego Autotestualità Autotestualità Facciamo attenzione al fatto che non stiamo parlando di contenuti, ma ci stiamo muovendo ad un livello puramente strutturale. Va’ dove ti porta il clito qui non mi interessa per scoprire i contenuti di Va’ dove ti porta il cuore, ma per evidenziare i meccanismi di scrittura per così dire inconsci. Ecco allora che, sulla base di questa teoria, si può spiegare il senso di irritazione che l’operazione parodica suscita negli autori delle opere parodiate: confrontati con l’ID delle loro opere, con l’inconscio della loro scrittura, e quindi con le sorprese che tale operazione di scavo della parodia all’interno dell’Ego dell’opera parodiata può comportare. Nel caso di Va’dove ti porta il cuore tale operazione di scavo porta alla luce i seguenti elementi impliciti, ma da Luttazzi brillantemente esplicitati. Ne estrapoliamo dieci: A. L’irrealtà puberale del diarismo pattinato, proto-ottocentesco dello stile della Tamaro. B. La sessualità latente celata dietro l’edulcorato carattere deamicisiano di Va’dove ti porta il cuore. C. La scollatura tra drammatizzazione di tipo ottocentesco e realtà sociale dell’Italia contemporanea. D. Il sentimentalismo ad effetto della trama. E. Tutte le variazioni possibili sul cliché dell’amore infelice. F. Il ‘Teenagerismo’ e il feuilletonismo della trama: il diario segreto, l’amore impossibile, il messaggio dopo la morte, il figlio segreto, l’amante perito tragicamente. G. Il carattere caotico della struttura non lineare. H. Il carattere anacronistico della dialettica peccato/redenzione. I. Lo storicismo semplicistico, di maniera. J. La pseudointimità teenageriana della forma epistolare. 41 La parodia recupera quindi l’identità del testo parodiato, offrendogli l’opportunità di riconoscersi in una dimensione di intertestualità proiettiva. Il paradosso della parodia è che permette al testo parodiato di ‘ricrearsi’, di essere se stesso in una doppia dimensione, quella della sua intertestualità proiettiva e retroattiva. Di qui il senso di disagio che la grande parodia crea nel lettore, perché essa letteralmente riscrive il testo parodiato all’interno delle sue possibilità latenti, e in tal senso contemporaneamente offre l’elemento di identità all’opera parodiata ma aggiungendovi nuove dimensioni, sia intertestuali che autotestuali. In questo senso la parodia può dirsi in qualche modo sempre superiore al testo parodiato, perché da questo parte per creare una nuova dimensione intertestuale ed autotestuale. Ciò avvalorerebbe la tesi di uno sviluppo dell’arte, che tende sempre più ad arricchirsi nel tempo, proprio perché sempre più complesso diventa il gioco dell’intertestualità: gioco che la parodia in qualche modo accellera con dichiarato artificio. Il plagio allora opera un’operazione opposta: ricalca per diminuzione, non per aggiunta: in qualche modo toglie, non offrendo alcun elemento di idenità all’opera su cui si basa. Mentre la parodia aggiunge: dando per dato, scontato, il referente, lo riplasma, lo stravolge, e comunque approda ad un prodotto che contenendo l’originale nella sua totalità come referente esplicito, aggiunge qualcosa a questa totalità. In tal senso la parodia (ovviamente la parodia di una certa qualità) è sempre più complessa dell’opera parodiata, in quanto opera su due livelli: quello dell’intertestualità dichiarata, ma anche di una autotestualità, quella del testo parodiante, che è altro dalla pura e semplice dipendenza rapsodica dal testo parodiato. Penso che l’errore comunemente commesso da chi giudica un’opera parodistica sia quello di formulare un giudizio di valore, dove l’intertestualità e l’autotestualità dell’opera parodiata è vista come un sistema chiuso invece che come un sistema aperto. La parodia è, tra le varie forme letterarie, il sistema aperto per eccellenza, verrebbe da dire per antonomasia. 42 3.3. Bricolage In quanto sistema aperto, la parodia rimanda ad una concezione della letteratura come bricolage: riprendiamo qui il concetto elaborato da Levi-Strauss e dal suo saggio sulle culture primitive, La pensée sauvage 62 . Il concetto di bricolage può essere considerato come una riformulazione più vasta del concetto di intertestualità: un’opera letteraria non è che una riformulazione in termini fai-da-te di spezzoni, temi, suggestioni, echi di opere precedenti. La parodia si distingue da altre forme letterarie solo in quanto il bricolage è dichiarato: e in quanto tale la parodia potrebbe definirsi la forma letteraria per eccellenza, in quanto proietta a livello di autocoscienza, il meccanismo di base che a livello inconscio, o quantomeno non dichiarato, è alla base di qualunque opera letteraria. Si potrebbe giungere alla conclusione opposta a quella formulata da Roland Barthes, il quale considerava la parodia in qualunque sua forma come una ‘appropriazione indebita di proprietà’: e cioè che la parodia in quanto forma di perfetta autocoscienza ‘bricolante’ è la forma letteraria più alta e più sofisticata. O quantomeno la forma letteraria in cui più espliciti sono i modelli generativi della scrittura che in altre opere sono latenti od oscuri. Per usare una terminologia freudiana, la parodia può essere dunque vista come una riformulazione e riorganizzazione conscia di meccamismi generativi che – a livello inconscio - sono alla base della creazione di qualunque opera letteraria. L’insieme ottenuto ricombinando ed elaborando i materiali ‘bricolati’ non può mai costituire plagio nei confronti di tali materiali, e la ‘riconoscibilità’ di tali elementi di bricolage non è sempre rilevante per giudicare l’opera parodiante. Basta, in altre parole, che il bricolage sia dichiarato in partenza, o quantomeno talmente evidente da rendere superflue petizioni di principio che riguardino la legittimità di tale riconoscimento. 62 Levi-Strauss, La pensée sauvage, les éditions minuit, 1963 43 4. Analisi comparativa 4.1. I titoli: uno scambio incrociato di valenze Tipica della tradizione parodica è la contrapposizione tra contenuto/stile alto e contenuto/stile basso. Si veda ad esempio questo brano di Maria Corti sulla profanizzazione di testi sacri nel medioevo: Gli esempi di parodia, presenti in tutto il corso della letteratura italiana, partono da lontano, addiritura dal medioevo latino in cui accanto alla cultura tradizionale, istituzionalizzata nei suoi modelli, se ne forma una trasgressiva, tacitamente riconosciuta anche dall’autorità ecclesiastica (secoli XI, XII, XIII), nella quale le opposizioni alto / basso, spirito / carne, anima / corpo, ordinato / disordinato ecc., che la codificazione ufficiale riconosceva con marca del positivo data al primo termine della opposizione 63 La definizione che la Corti ci dà di parodia si basa anche su questa opposizione: “Si ha parodia quando i segni positivi di un testo vengono trasformati in segni negativi in un altro testo, e viceversa, in modo da capovolgere il messaggio del testo di partenza” 64 . Si potrebbe dire che quanto più una parodia sarà distruttiva, tanto più avrà conseguito una propria ragione di esistere, in relazione al proprio sapere contrapposto e ‘negativo’. Un esempio geniale è la famosa Missa potatorum o “Messa dei bevitori”, dove la contrapposizione fra testo liturgico e sua parafrasi parodica raggiunge esiti raffinati e gustosi attraverso la sostituzione non solo di vocaboli sacri con altri triviali, da taverna, ma ricorrendo a opposizioni fonetiche; un esempio: la frase “qui vivit in saecula saeculorum, amen” diventa “qui bibit in saecula” ecc., con l’esito parodico che il buon Dio “beve” nei secoli dei secoli. I valori religiosi in questo caso vengono violentati. Per fare ciò è necessario mantenere una continua aderenza al testo parodiato. Altro esempio medievale famoso che la Corti descrive ampiamente è dato dal Dialogo di Salomone e Marcolfo, dove tutte le massime del savio Salomone vengono rovesciate dal rustico villano Marcolfo; anche qui ‘il parallelismo fra testo della sapienza salomonica e testo oppositivo, contestatario di Marcolfo è costante e riflette l’esistenza di due contesti culturali in dialettica’ 65 . 63 M. Corti, Modelli e antimodelli nella cultura medievale in Storia della lingua e storia dei testi, Milano, Ricciardi, 1989. 64 Nell’appendice di Va’ dove ti porta il clito, p.181 65 M. Corti, Modelli e antimodelli nella cultura medievale in Storia della lingua e storia dei testi, p.47 44 Quindi la parodia, spesso fin dal titolo, stravolge il campo semantico. Questo stravolgimento mette a nudo la polisemantizzazione fortemente legata a certi vocaboli, e il carattere culturalmente ‘cristallizzato’ di tali semantizzazioni. Le associazioni legate alla parola ‘cuore’ sono infatti fortemente stereotipate. La genialità di Luttazzi sta, secondo me, nell’avere selezionato il termine per così dire dotto di ‘clito’, e non quello più immediatamente e meccanisticamente contrappositivo di ‘figa’, o qualunque altro termine dialettale o di slang di uso comune. La goliardizzazione in senso sessuale del termine ‘clito’ acquista così un carattere alto, quasi accademico, che mette in luce in modo ancora più efficace l’ambiguità culturale e stereotipica del termine ‘cuore’. L’intertestualità lessicale viene così ribaltata: il termine ‘clito’ acquista una valenza dotta, accademica, quasi asettica, proiettando oppositivamente sul termine ‘cuore’ valenze di ambiguità, banalità, e facendone per così dire ‘esplodere’ le valenze lessicali antiquate, stereotipate. La genialità del ribaltamento sta nel fatto che si opera una volgarizzazione del termine ‘cuore’ ed una nobilitazione del termine ‘clito’: tale ‘scambio incrociato di valenze’ rimanda, sin dal titolo, alla volgarità latente del testo parodiato: volgarità e cliché sono fortemente accomunate nell’ottica di Luttazzi. A rinforzare poi la genialità di questo ribaltamento sornione c’è poi l’uso di due vocaboli che iniziano con la stessa lettera. Grazie a questo stravolgimento semantico-culturale, Luttazzi mette in tavola il tema principale della sua parodia, attraverso un solo vocabolo: vale a dire le valenze sessuali implicite presenti nel testo della Tamaro. Schematizzando i rapporti tra la parola cuore e clito, Luttazzi opera: A. Uno stravolgimento di ordine semantico B. Giocando sulla relativita allitterazione dei due termini, ne sottolinea la diversità C. Stravolge il rapporto stereotipico tra ordine ´alto´ e ordine´basso´. D. Riassume grazie ad un solo termine non solo il tema principale della sua parodia, ma uno dei suoi elementi stilistici pricipali, vale a dire il continuo gioco di rimandi lessicali e contenutistici tra termini-tematiche dotte e termini-tematiche volgari. 45 SCHEMA CUORE CLITO termine alto termine basso termine stereotipico termine ´neutro´ ambiguità semantica termine disambiguato architestualità: feuilleton architestualità: parodia 4.2. Esercizi di raffronto Poiché la parodia raggiunga i suoi effetti ironici e dissacranti, il testo di origine deve essere chiaramente riconoscibile. Se non lo fosse verrebbe meno proprio quell’elemento strutturale del confronto e del riferimento al testo oggetto della parodia che caratterizza questo genere. Notiamo però che i riferimenti del testo parodico non sono quasi mai citazioni letterali, ma citazioni modificate o “stravolte” almeno in qualche elemento. Come spiega Patrizia Violi 66 nel appendice di Va’ dove ti porta il clito, parlando di parodia:‘la parodia deve operare contemporaneamente su due piani: da un lato riconoscibilità testuale con il testo di partenza, dall’altro spostamento su di un diverso livello, che ne rappresenta un abbassamento e una dissacrazione’ 67 . È senza dubbio questo il senso dell’operazione attuata nel testo di Luttazzi, testo che modifica sostanzialmente la trama del romanzo di Tamaro, ma ne mantiene costanti ed espliciti i riferimenti al piano formale e linguistico, a partire dal titolo stesso che è un evidente calco del testo fonte.Tutto il testo è costruito secondo questa lettura parallela e alterata del testo originario, come si vede dai seguenti esempi presi dalle primissime pagine dei due libri: TAMARO LUTTAZZI Sei partita da due mesi, a parte una cartolina nella quale mi comunicavi di essere ancora viva, non ho tue notizie (p.9) Amore! Sei partito da dieci ore e da dieci ore, a parte una tua telefonata dall’interno del DC-9 che ti sta portando in America a proposito dell’inconveniente capitato a bordo (al momento di sorvolare le Alpi, una hostess si è accorta che i due piloti erano rimasti a terra), a parte la 66 67 p. 176 appendice di Va’ dove ti porta il clito, p.180 46 telefonata, dicevo, da dieci ore non ho tue notizie. (p.9) Questa mattina, in giardino, mi sono fermata a lungo davanti alla tua rosa. (p.9) Così una mattina, mentre facevamo colazione, hai detto: “Voglio una rosa”. (...) Naturalmente, oltre alla rosa, volevi anche una volpe. Con la furbizia dei bambini avevi messo il desiderio semplice davanti a quello quasi impossibile. Come potevo negarti la volpe dopo che ti avevo concesso la rosa? Su questo punto abbiamo discusso a lungo, alla fine ci siamo messe d’accordo per un cane. (p.9) Siamo tornate al canile per tre giorni di seguito. C’erano più di duecento cani là dentro e tu volevi vederli tutti. Ti fermavi davanti a ogni gabbia, stavi lì immobile e assorta in un’apparente indifferenza. (p.10) Stamattina, mentre dormivi, mi sono fermata a lungo davanti al tuo membro in erezione. (p.10) Così una mattina, mentre facevo colazione, ho esclamato: “Voglio un vibratore”. (...) Naturalmente, oltre al vibratore, volevo anche la Marchesa van Lox. Con la furbizia delle baldracche avevo messo il desiderio semplice davanti a quello quasi impossibile. Come potevi negarmi la Marchesa dopo che mi avevi concesso il vibratore? Su questo punto abbiamo discusso a lungo, alla fine ci siamo messi d’accordo per un travestito sudamericano. (p.12) Siamo tornati sui viali per tre notti di seguito. I travestiti là fuori erano più di due e io volevo vederli tutti. Ti facevo fermare davanti a ciascuno, assorta in un’apparente indifferenza. (p.13) Ora, come si pùo vedere tutti gli esempi citati sono strutturalmente caratterizzati da due tratti: 1. Un elemento comune di tipo formale, sia sul piano della scelta lessicale che della sintassi. 2. Un elemento di stravolgimento, che opera sul piano del contenuto in senso eroticosessuale. Il testo della Tamaro non è quindi riprodotto letteralmente, ma evocato costantemente attraverso quelle che potremmo definire “citazioni parziali”: la forma linguistica è mantenuta pressoché identica, ma ne sono stravolti il senso e l’effetto, come appunto è tipico della parodia. Proprio la frequenza massiccia di queste “citazioni parziali” conferma e sottolinea la natura parodistica del testo di Luttazzi; nella parodia infatti il testo fonte deve essere sempre 47 riconoscibile. Per quanto riguarda questa riconoscibilità, La Violi dice nell’appendice di Va’ dove ti porta il clito, che ‘quanto più una parodia resta aderente alla forma del testo originario (salvo le già rilevate operazioni di stravolgimento locale) tanto più conferma il suo carattere parodistico’ 68 . Che il testo di Luttazzi segua quindi quasi alla lettera il suo originale di riferimento non ne inficia la natura parodistica ma al contrario la enfatizza. Va anche ricordato che la parodia opera sempre dall’alto verso il basso, cioè nella direzione di un “abbassamento” dello stile e/o del contenuto del testo fonte. Già Bachtin sottolineava questo aspetto, collegando esplicitamente la parodia alla satira del comico carnevalesco in cui ogni valore tradizionale è dissacrato, irriso e ribaltato. La parodia è quindi per sua natura snaturante, e ciò avviene molto spesso su di un piano in genere oggetto di interdetto e tabù, come ad esempio quello sessuale, pornografico: another form that acts as a frequent parodic model is that of pornography, a popular art (of sorts) that makes critics even more uneasy than ever, although it is precisely this erotic form that Bakhtin’s insights on the carnival’s valorization of the “material bodily lower stratum” illuminate best. 69 Non per questo abbassamento la parodia è genere basso o minore: esempi illustri si trovano in tutta la storia letteraria, da Gadda che ne La cognizione del dolore parodizza Manzoni, a Umberto Eco e la sua celebre parodia della Lolita di Nabokov. Non solo, ma il testo oggetto della parodia deve essere un testo noto e riconosciuto: ‘durante il carnevale non era l’uomo comune ad essere oggetto di parodia e satira, ma il re, il principe, i potenti in vista. Questa caratteristica rimane anche oggi in ogni operazione parodica’ 70 e certamente nel testo in questione. È quasi inutile sottolineare il successo straordinario del libro della Tamaro, sia per le copie vendute che per l’enorme eco che ha suscitato nella stampa e in tutti i mezzi di comunicazione. Tale successo lo ha reso un effettivo “modello”, più facile bersaglio di una operazione di riscrittura parodica. 68 Ibidem L. Hutcheon, A Theory of Parody, p.82 70 G. Tellini, Rifare il verso, p. 87 69 48 4.3. Universalmente amata Come risulta da parecchi articoli, la prima richiesta della Baldini&Castoldi insisteva sul fatto che la scrittrice è universalmente “amata” (checché voglia dire quella frase: o è amata da quelli che la amano, o il solo segno di “amore” sembra essere l’acquisto di un suo libro), e la sua opera e il suo nome vengono infangati dall’operazione di Luttazzi. La Tamaro nel suo libro si riferisce in abbondanza a Le petit prince di Antoine de Saint Exupéry, un libro altrettanto “universalmente amato” e da parecchio tempo, un libro su cui è cresciuta l’infanzia di mezza umanità. Ebbene, esiste una celebre parodia dell’opera di Saint Exupéry, la canzone Gérard Lambert del cantante francese Renaud che ha venduto milioni di dischi (quindi sarebbe anche lui “universalmente amato”?). Nell’opera originale di Saint Exupéry un aviatore si trova con il suo aereo en panne nel deserto, e viene visitato da un principino biondo che gli chiede a più riprese di disegnargli una pecorella. L’aviatore gli disegna invece un boa che ha inghiottito un elefante, il solo disegno che sappia fare. Nella canzone di Renaud, Gérard Lambert 71 , un giovanotto con il motorino, ritorna in città dalla periferia di Parigi e finisce la benzina nel cuore nella notte. Nella sua disperazione cerca di rubare della benzina da una macchina ma non funziona con il suo motorino a due tempi e, arrabbiatissimo, sgonfia le gomme della macchina: Quand soudain lui vient une idée Je vais syphonner un litre ou deux Dans le réservoir de cette bagnole Et puis après je lui crève les pneus In quel momento arriva l’innocente principino biondo che gli chiede di disegnarli una pecorella, o una donna nuda, o una rivoltella, o quello che vuole: 71 Da ascoltare su: http://www.youtube.com/watch?v=Ht1PF3S7V-s&feature=related 49 A ce moment-là un mec arrive Un petit loubard aux cheveux blonds Et qui lui dit comme dans les livres S’il te plait dessine moi un mouton Une femme à poil ou un calibre Un cran d'arret, une mobylette Tout ce que tu veux, mon pote, t'es libre Mais dessine-moi quelque chose de chouette Dans le lointain il s'passe plus rien du moins il me semble Gérard con un colpo di chiave inglese bene assestato tra gli occhi spacca la testa “au petit prince de mes deux”, diciamo “al piccolo principe dei miei (censura)”: Alors d'un coup de clé à molette Bien placé entre les deux yeux Gérard Lambert éclate la tête Du Petit Prince de mes deux Faut pas gonfler Gérard Lambert Quand il répare sa mobylette C'est la morale de ma chanson Moi j'l'a trouve chouette Pas vous ? Ah bon... Si tratta certo di una parodia dissacrante, ma nessuno ha mai protestato: né gli eredi, né gli innumerevoli ammiratori del grande scrittore francese, né la sua casa editrice. Tutti hanno pensato che si trattasse di una legittima (e spiritosa) operazione parodica, che consacra - sia pure prendendolo in giro - lo scrittore originale. 50 4.4. Ultimi esercizi di raffronto Ora, leggiamo il seguente brano della Tamaro, poi quello di Luttazzi, per fare un altro esercizio di raffronto: TAMARO LUTTAZZI Al suo sesto anno di università, preoccupata da un silenzio più lungo degli altri, presi il treno e andai a trovarla. Da quando stava a Padova non l’avevo mai fatto. Appena aprì la porta restò esterrefatta. Invece di salutarmi mi aggredì: “chi ti ha invitata?” e senza neanche darmi il tempo di rispondere aggiunse: “avresti dovuto avvertirmi, stavo proprio uscendo. Stammatina ho un esame importante”. Indossava ancora la camicia da notte, era evidente che si trattava di una bugia. Finsi di non accorgermene, dissi: “pazienza, vuol dire che ti aspetterò e poi festeggeremo il risultato assieme”. Di lì a poco uscì davvero, con una tale fretta che lasciò i libri sul tavolo. Rimasta solo a casa feci quello che avrebbe fatto qualsiasi altra madre, mi misi a curiosare tra i cassetti, cercavo un segno, qualcosa che mi aiutasse a capire che direzione aveva preso la sua vita. Non avevo intenzione di spiarla, di compiere opere di censura o inquisizione, queste cose non hanno mai fatto parte del mio carattere. C’era solo una grande ansia in me e per placarla avevo bisogno di qualche punto di contatto. A parte volantini e opuscoli di propaganda rivoluzionaria, per le mani non mi capitò altro, non una lettera, non un diario. Su una parete della stanza da letto c’era un manifesto con sopra scritto: “la famiglia è ariosa e stimolante come una camera a gas”. A suo modo quello era un indizio. Ilaria entrò nel pomeriggio, aveva la stessa aria trafelata con la quale era uscita. “Come è andato l’esame?” le domandai con il tono più affettuoso possibile. Sollevò le spalle. “Come Al suo decimo anno di università, preoccupata da un silenzio di tre giorni (nella segreteria telefonica aveva registrato il suono di un telefono occupato), mi infilai in un girello e andai a trovarla. Da quando stava a Madrid non l’avevo mai fatto. Appena aprì la porta restò esterrefatta. Invece di salutarmi mi aggredì: “Chi diavolo sei?” Avevo sbagliato appartamento. Dopo un pomeriggio di ricerche trovai il suo. Lei non c’era. Allora feci quello che avrebbe fatto qualsiasi altra madre, andai sul retro, ruppi una finestra ed entrai. Sentii un urlo: “insomma, che diavolo vuoi?” Era la ragazza di prima. Staffilandomi con uno knut, la ragazza mi condusse all’appartamento di Giovanna. La porta era aperta, ma Giovanna non c’era. Allora feci quello che avrebbe fatto qualsiasi altra madre, mi misi a curiosare nei cassetti. Avevo intenzione di spiarla, queste cose fanno parte del mio carattere. Nell’armadio trovai volantini e opuscoli di propaganda religiosa, e un turibolo pieno d’incenso ancora fumante. Le pareti della sua camera da letto erano ricoperte di crocefissi sanguinanti. Certa gente è capace di inventarsi le cose più strane per passare le serate. Quando Giovanna rientrò nel primo pomeriggio, non potei fare a meno di notare la sua espressione, aveva 51 tutti gli altri”, e dopo una pausa aggiunse, “sei venuta per questo, per controllarmi?” Volevo evitare lo scontro, così con tono quieto e disponibile le risposi che avevo un solo desiderio ed era quello di parlare un po’ assieme. “Parlare?” repeté incredula. “E di cosa? Delle tue passioni mistiche?” “Di te Ilaria”, dissi allora piano, cercando di incontrare i suoi occhi. Si avvicinò alla finestra, teneva lo sguardo fisso su un salice un po’ spento: “non ho niente da raccontare, non a te almeno. Non voglio perdere tempo in chiacchiere intimiste e piccolo borghesi” 72 . quell’aria da io-sono-più-santa-di-te che mi irrita tanto in Madre Teresa di Calcutta. “Come vanno gli esercizi spirituali?” le domandai col tono più affettuoso possibile. Fece un balzo di spavento. “Sei matta a farmi delle sorprese così?” urlò, attaccandosi al flaconcino della digitale, “mi hai spaventato i pesci!”. “E tutto il pomeriggio che t’aspetto. Dov’eri, in lavanderia a inamidare il cilicio?” Sollevò le spalle e prese un’ostia dal frigo.Volevo evitare lo scontro, le dissi che avevo un solo desiderio ed era quello di parlare un po’ assieme. Non si capiva niente. Decidemmo di fare i turni: prima diceva qualcosa lei, poi dicevo qualcosa io. Puntai su qualcosa di neutro, che però potesse interessarla. “Hai letto il decalogo cui devono attenersi i creatori di videogiochi Nintendo?” dissi, cercando di palparle il sedere. Sgattaiolò verso la finestra, teneva lo sguardo fisso sul campanile della chiesa di fronte. “Lo conosco a memoria, è la versione Fiorucci del decalogo di Mosé” 73 . Vediamo uno scardinamento in chiave umoristica della monotonia sintattica del testo della Tamaro, una giustapposizione di frasi con scarso o nullo uso di frasi subordinate: Andai a trovarla. Appena aprì la porta restò esterreffatta. Invece di salutarmi mi aggredì. Indossava ancora la camicia da notte Finsi di non accorgermene. Luttazzi usa lo stesso stile, frasi senza uso di subordinate: questa tecnica giustappositiva permette a Luttazzi di creare una ‘distanza’ oggettivante tra narratore e narrato, dentro la 72 Va’ dove ti porta il cuore, pp. 48-49 52 quale la monotonia del tessuto narrativo (A+B+C+D...) viene oggettivata mantenendo la stessa cadenza (frasi corte e semplici senza subordinate) ironizzando sui contenuti. Viene insomma mantenuto lo stile originario, ma la banalità dei contenuti viene fatta esplodere sostituendoli con contenuti che mantengono lo stesso carattere informale, colloquiale, ma che sono evidentemente assurdi: TAMARO LUTTAZZI Presi il treno e andai a trovarla Mi infilai in un girello e andai a trovarla Aveva la stessa aria trafelata con la quale era uscita Aveva quell’aria da io-sono-più-santa-di-te che mi irrita tanto in Madre Teresa di Calcutta La banalità dei contenuti (‘nel suo armadio trovai volantini di propaganda rivoluzionaria’) viene ribaltata con una banalità altrettanto stereotipata, gli opposti si ricongiungono nella loro tremenda banalità: ‘nel suo armadio trovai volantini di propaganda religiosa’. È questo uno degli stratagemmi più frequenti di Luttazzi: lo stravolgimento di un cliché usando un cliché opposto, ma non per questo meno stereotipato. Le ‘passioni mistiche’ della madre vengono attribuite, con valenza trasgressiva, alla figlia. La accentuazione dei contenuti piccolo-borghesi, per così dire sentimentalistici e deamicisiani della Tamaro vengono poi messi in rilievo grazie ad un’altra tecnica, la riduzione in termini puramente contenutistici delle spiegazioni (spesso offerte con termini da rotocalco) che la Tamaro dà delle proprie azioni o sentimenti. Un esempio lampante: TAMARO LUTTAZZI Rimasta sola a casa feci quello che avrebbe fatto qualsiasi altra madre, mi misi a curiosare tra i cassetti, [...] non avevo intenzione di spiarla, [...] queste cose non fanno parte del mio carattere. Allora feci quello che avrebbe fatto qualsiasi altra madre, mi misi a curiosare nei cassetti. Avevo intenzione di spiarla, queste cose fanno parte del mio carattere. 73 Va’ dove ti porta il clito, pp.62-63 53 Poi vediamo uno stravolgimento delle motivazioni, il sentimentalismo tamariano viene scambiato per un dilettevole assurdismo, spesso sessualizzato: TAMARO LUTTAZZI Così con tono quieto e disponibile le risposi che avevo un solo desiderio ed era quello di parlare un po’ assieme. “Parlare?” repeté incredula. “E di cosa? Delle tue passioni mistiche?” Le dissi che avevo un solo desiderio ed era quello di parlare un po’ assieme. Non si capiva niente. Decidemmo di fare i turni: prima diceva qualcosa lei, poi dicevo qualcosa io. Puntai su qualcosa di neutro, che però potesse interessarla. “Hai letto il decalogo cui devono attenersi i creatori di videogiochi Nintendo?” dissi, cercando di palparle il sedere. Quindi notiamo: - rispetto delle scelte stilistiche dell’originale (frasi brevi, senza subordinate) - stravolgimento dei contenuti (propaganda rivoluzionaria/propaganda religiosa) - stravolgimento delle motivazioni (spesso ‘sessualizzate’: ‘cercando di palparle il sedere’), ‘assurdizzandole’: parlare un po’ assieme/non si capiva niente/decidemmo di fare i turni. Un altro esercizio di raffronto fra il Cuore e il Clito, può riuscire ulteriormente esemplare della qualità parodica del testo di Luttazzi rispetto al proprio modello.Verso la fine del suo libro, Susanna Tamaro descrive il tumulto provocato nella vita della protagonista narrante dall’attesa di un figlio: Dopo un mese era ormai plausibilissimo che quel figlio fosse suo. Il giorno in cui gli annunciai il risultato delle analisi lasciò l’ufficio a metà mattina e passò tutta la giornata con me a progettare cambiamenti in casa per l’arrivo del bambino. Quando avvicinando la mia testa alla sua gli gridai la notizia, mio padre prese le mie mani tra le sue mani (...). Già da tempo la sordità l’aveva escluso da gran parte della vita e i suoi ragionamenti procedevano a scossoni, tra una frase e l’altra c’erano vuoti improvvisti, scarti o spezzoni di ricordi che non c’entravano niente (...). Naturalmente, dopo aver ricevuto il responso delle analisi, scrissi anche a Ernesto; la sua risposta arrivò in meno di dieci giorni (...). Le sue parole erano pacate e ragionevoli. “Non so se questa sia la cosa migliore da farsi”, diceva,“ma se tu hai deciso così, rispetto la tua decisione”. Luttazzi “traduce” da par suo l’episodio e riporta ciò che Tamaro si limitava a descrivere con profusione di aggettivi (e anche con una lentezza esasperata...) all’estremo di un’inventività linguistica davvero notevole ed intelligente. Le sillabe crepitano sulla pagina e l’equivoco, lo scambio di termini e di lettere, infine la degradazione del linguaggio ad onomatopea o a suono 54 inarticolato rappresentano in modo ben più diretto e “sensibile” lo stato di disagio e di incertezza latente del contesto psicologico di partenza. A ciò, su un piano stilistico, vorrei aggiungere alcune altre qualità positive: - la sintesi - l’essenzialità sintattica - l’esibizione in chiave satirica del tecnicismo medico (“protrudevano”) - la fusione fantasmatica tra i due interlocutori di chi narra - l’autonomia fonemica delle lettere staccate dal loro insieme di parola - la fantastica confusione tra bambino e tombino. Scrive infatti Luttazzi: Quel giorno lasciò l’ufficio a metà mattina e passò tutta la giornata con me, gli occhi umidi e rossi che protrudevano dalla commozione, a progettare cambiamenti in casa per l’arrivo del tombino. Tombino? Quale tombino, brutto scemo? Bambino, sto aspettando un b-a-m-b-i-n-o. Già da tempo la sordità l’aveva escluso da gran parte della vita e i suoi ragionamenti procedevano a scossoni, tra una frase e l’altra c’erano vuoti improvvisi riempiti da scarti fonemici che non centravano niente, quali grof, tmipl e zsa zsa. Comunicai la buona notizia anche a Francois. Mi rispose che rispettava profondamente la mia decisione e cambiò indirizzo, rendendosi irreperibile. È peraltro una tecnica che Luttazzi usa spesso nel fare il verso alla Tamaro, quella di riportare ciò che la scrittrice triestina si limita a descrivere con profusione di aggettivi e consiste in un gioco di degradazione del linguaggio ad onomatopea o a suono inarticolato. Con inventività linguistica ed un’essenzialità sintattica Luttazzi gioca con i suoni, rendendo bizzarremente espliciti i dialoghi e le ‘esclamazioni’: TAMARO LUTTAZZI 55 Durante i pranzi stavamo ormai quasi in silenzio, quando mi sforzavo di raccontargli qualcosa rispondeva sì e no con un monosillabo. La sera poi andava spesso al circolo, quando rimaneva a casa si chiudeva nel suo studio a riordinare le collezioni di coleotteri. Il suo grande sogno era di scoprire un insetto che ancora non fosse noto a nessuno, così il suo nome si sarebbe tramandato per sempre nei libri di scienze. [...] Ogni tanto la sera dicevo ad Augusto: “Perché non parliamo?” “Di cosa?” rispondeva lui senza sollevare gli occhi dalla lente con la quale stava esaminando un insetto. “Non so”, dicevo io, “magari ci raccontiamo qualcosa.” Allora lui scuoteva il capo: “Olga”, diceva, “tu hai proprio la fantasia malata”. In breve tempo anche il rapporto con Augusto cominciò a deteriorarsi.Durante i pranzi stavamo ormai quasi in silenzio, quando mi sforzavo di raccontargli qualcosa rispondeva usando i monosillabi gasp e yuk yuk. La sera andava sempre al casino, quando tornava si chiudeva nel suo studio a tentare l’innesto di anguille su piante di tabacco. Il suo grande sogno era di creare anguille da fumare: questo gli avrebbe dato qualcosa da esibire con orgoglio la domenica in Duomo. [...] La sera dicevo ad Augusto: “perché non parliamo?” “Gasp”, rispondeva lui senza sollevare gli occhi dalle tenaglie con le quali stava divaricando un colibrì. “Non so”, dicevo io, “magari ci raccontiamo qualcosa.” Allora lui scuoteva il capo e diceva: “Yuk yuk”. Poi mi piacerebbe dimostrare un’altra tecnica ‘Luttazziana’ che consiste nell’esagerazione di un elemento del testo di partenza e che sottolinea ancora una volta con forza e con spirito la lentezza del testo della Tamaro, il suo carattere diaristico pieno di ‘fatterelli da nonnulla’ e di banalità stereotipate. Un esempio lampante si trova nel seguente brano dove la protagonista di Va’ dove ti porta il cuore parte per andare alle terme mentre la protagonista di Va’ dove ti porta il clito va a Parigi per realizzare il suo sogno (inventare un cocktail perfetto presso la scuola per barman di François Gigolo): TAMARO LUTTAZZI Due settimane più tardi Augusto mi accompagnò al treno per Venezia. Lì, nella tarda mattinata, avrei preso un altro treno per Bologna, e dopo aver cambiato un’altra volta, verso sera sarei arrivata a Porretta Terme. Due settimane più tardi Augusto mi accompagnò al treno per Bologna. Da Bologna avrei preso l’intercity per Roma, a Roma il go-kart per Napoli, a Napoli l’uniciclo per Venezia, a Venezia il kajak per Genova, a Genova il 56 risciò per Lecce, a Lecce il batiscafo per Bari, a Bari il sidecar per Cagliari, a Cagliari l’idrosilurante per Civitavecchia, a Civitavecchia le maracas per Roma, da Roma una feluca fino a Ciampino e da Ciampino il Tupolev che mi avrebbe portato a Parigi, alla scuola per barman di François Gigolo. Poi Luttazzi a volte aggiunge un efficace ‘sbadiglio’ tra parentesi per poi continuare a giocare da par suo con i fatterelli semispirituali della Tamaro. TAMARO (p.25) LUTTAZZI (p.40) Una volta, in un libro indiano ho letto che il fato possiede tutto il potere mentre lo sforzo della volontà è solo un pretesto. Dopo averlo letto una gran pace mi è scesa dentro. Già il giorno dopo però, poche pagine più in là, ho trovato scritto che il fato non è altro che il risultato delle azioni passate, siamo noi, con le nostre mani, a forgiare il nostro stesso destino. Così sono tornata al punto di partenza. Dov’è il bandolo di tutto questo, mi sono chiesta. Qual’è il filo che si dipana? È un filo o una catena? Si può tagliare, rompere oppure ci avvolge per sempre? Intanto taglio io. Una volta, in un libro indiano ho letto che il Fato possiede tutto il potere mentre la nostra volontà sarebbe solo un pretesto per giustificare la settimana bianca. Dopo averlo letto, una gran pace mi è scesa dentro. Poi però un passante mi ha fatto notare che in mano non avevo nessun libro. E adosso nessun vestito. Così sono tornata a casa in fretta e furia. Dov’è il bandolo di tutto questo, mi sono chiesta. Qual’è il filo che si dipana? È un filo o una catena? Si può tagliare, rompere oppure ci avvolge per sempre? (Sbadiglio.) Che ore sono? sono le quattro e un quarto, oppure le sei , oppure le due e mezzo, dipende da come ruoto le lancette dell’orologio. Infine, la Tamaro non sembra accettare la frammentarietà dei pensieri, dell’inconscio, delle idee e cerca continuamente dei collegamenti per giustificare questi ‘salti interiori’ attraverso quello che il Raboni definirebbe fatterelli (proverbi, cose che ha letto da qualche parte, ecc). Luttazzi invece, con un semplice cambiamento mette in bella evidenzia la banalità e facilità di questo modo di scrivere facendo vedere quanto siano vuote di significato questi collegamenti tamariani. Concludiamo con un esempio lampante: 57 TAMARO LUTTAZZI A tanti anni di distanza questo è l’episodio della vita con tua madre che mi torna con più frequenza in mente. Ci penso spesso. Com’è possibile, mi dico, che di tutte le cose vissute assieme, nei miei ricordi compaia per prima sempre questa? Proprio oggi, mentre me lo domandavo per l’ennesima volta, dentro di me è risuonato un proverbio “La lingua batte dove il dente duole”. Cosa mai c’entra, ti chiederai. C’entra, c’entra moltissimo. Com’è possibile, mi dico, che di tutte le cose vissute assieme, nei miei ricordi compaiano per primi sempre questi? Proprio oggi, mentre me lo domandavo per l’ennesima volta, dentro di me è risuonato un proverbio,“Pioggia a novembre, Natale a dicembre”. Cosa mai c’entra, ti chiederai. C’entra moltissimo, invece. No, non c’entra niente. 58 5. Note conclusive In questa tesina ho spudoratamente giocato su due fronti: quello del ´particulare’, cioé lo specifico della polemica che ha opposto due scrittori, due libri e due modi di concepire la letteratura e, attraverso di essa, il mondo. E, d’altro lato, mi sono avventurata sul binario metatestuale, analizzando le implicazioni per così dire extraterritoriali, metatestuali, di questa polemica. Da una microlettura comparativa ad osservazioni ´macro’ sulla teoria dei generi letterari e sino ad un abbozzo di proposta sulla parodia come laboratorio fecondo di indagine sui meccamismi che sono alla radice stessa della creazione letteraria in senso lato. Dal gender al bricolage, dall’aula dei tribunali a Roland Barthes, dalle polemiche letterarie alla ´letterarietà delle polemiche’… In questa avventura – senza nasconderlo - ho scelto il partito dei giullari, quello dei Dario Fo e dei Luttazzi, prediligendo la feconda pirateria dei rapsodi, dei corsari della letteratura, la scanzonata e creativa tristezza dei giullari all’azzimato conformismo dei De Amicis, dei Tamaro... Non solo per partito preso, ma perché credo - e spero con questa tesina di avere dimostrato - che le scureggie letterarie di un Luttazzi siano dopotutto molto più ‘letterarie’, raffinate e godibili, degli slavati cliché della Tamaro. Naturalmente ci vuole dello spirito e molta ironia perché uno scrittore accolga di essere parodiato. Ma se non capisce questo aspetto ludico sotteso alla letteratura parodica, che scrittore è? Per dirla tutta, che la parodia in questo caso abbia vinto la scommessa letteraria col parodiato, e che in questo ribaltone (con tante grazie al ‘caso’ scatenato dalla ingenua monodimensionalità della Tamaro) siano sorte alcune domande le cui implicazioni possano andare oltre il ‘particulare’: quale è il rapporto tra la parodia e il parodiato? Esistono meccanismi generativi universali all’interno della parodia che possano gettare luce sui meccanismi interni al processo creativo tout court? Che una - non ancora scritta - ‘teoria della parodia’ possa gettare ulteriore luce sui meccanismi generativi della scrittura tout court, e che quindi la parodia possa trascendere se stessa e il proprio apparente limitato e subalterno compito, questa è la porta che ho trovato semisocchiusa, dopo essermi occupata del particolarissimo caso giuridico-letterario Luttazzi/Tamaro. Mi viene in mente Mistero Buffo di Dario Fo, e come ultima provocazione la proposta di vedere ogni opera letteraria come un ´canovaccio’ - o mistero - sul quale il lettore-giullare opera la sua opera di interpretazione creativa. È un po’ quello che ha fatto Luttazzi con Va’ dove ti porta il clito. 59 La causa intentata dalla Tamaro a Luttazzi è stata una benedizione che mi ha permesso di dare una valenza per così dire simbolica e universale ad un caso che altrimenti non avrebbe mai trasceso la banalità cronachistica del ’particulare’ e tutt’al più qualche discussione retorica sul gusto: se poi la parodia sia bella o brutta, geniale o miserabile, di buon o cattivo gusto, ebbene ciò appartiene al tribunale della storia, a quello della critica e a quello dei lettori. Non certo a quello giudiziario, o la parodia dovrebbe chiudere i battenti come tale. 60 Bibliografia G.Almansi, G. Fink, Quasi come, Milano, Bompiani, 1976 S. Berni, Libri scomparsi nel nulla...ed altri che scompariranno presto, Macerata, edizioni simple, 2007 G. Boccaccio, Il Decamerone, Milano, Einaudi, 2003 M. Corti, Modelli e antimodelli nella cultura medievale in Storia della lingua e storia dei testi, Milano, Ricciardi, 1989. U. Eco, Dalla periferia dell’impero, cronache da un nuovo medioevo, Torino, Bompiani, 2003 G. Genette, Palinsesti. La letteratura al secondo grado (Palimpsestes. La littérature au second degré), Torino, Einaudi, 1982 L. Hutcheon, A theory of parody, Cambridge, UPH, 1985 D. Luttazzi, Va dove ti porta il clito, Bologna, Comix, 1995 S. Tamaro, Va dove ti porta il cuore, Milano, Baldini&Castoldi, 1994 G. Tellini, Rifare il verso. La parodia nella letteratura italiana, Milano, Mondadori, 2008 R. Verdirame, M. Spina, Canto e controcanto. La parodia nella letteratura italiana dalle origini al Novecento, Catania, c.u.e.c.m, 2007 ARTICOLI E SITI INTERNET copia del documento ufficiale del ricorso ufficiale che accompagnava la richiesta del provvedimento d’urgenza al Tribunale di Milano, 3 novembre 1995 A. Arachi. Luttazzi discolpati, hai plagiato la Tamaro, in Corriere della Sera, 11-11-1995 P. Di Stefano, La casta Susanna nell´ambulatorio del dottor Luttazzi, in Corriere della Sera, 24-10-1995 G. Borgese, Questa non è parodia. Parola di Bellocchio, perito della Tamaro, 05-12-1995 G. Borgese, Luttazzi Tamaro: parodia non è reato, in Corriere della Sera, 16-11-1995 61 F. Novati, La parodia sacra nelle letterature moderne, in Studi critici e letterari, Loescher, Torino 1889. S. Tamaro, “il mio cuore scannerato”, ne La Stampa, novembre 1995 http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_entry.jsp S. Bartezzaghi, “La guerra della Tamaro contro il comico Luttazzi, autore della parodia erotica del best seller tra il cuore e il clito, la parola a perito giochi di parole, parafrasi, sfottò: copia volgare o opera autonoma? “, ne La stampa, novembre 1995 http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=1489334 M. Cesare, “Con Susanna comincia la stagione dei sentimenti. Un romanzo semplice e profondo che ha conquistato 7 milioni di lettori”, nel Corriere della Sera, 5 gennaio 2003 http://archiviostorico.corriere.it/2003/gennaio/05/Con_Susanna_comincia_stagione_dei_co_0 _0301051276.shtml K. Riccardi, “La Rete contro Luttazzi: "Copia" I dubbi dei fan, il tam-tam cresce”, in La Repubblica, 9 giugno 2010 http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/06/09/news/luttazzi-secopia4703064/index.html?ref=search http://books.google.nl/books?id=0oG5bCzsqGsC&pg=PT216&lpg=PT216&dq=libri+spariti+ nel+nulla+luttazzi+va+dove+ti+porta&source=bl&ots=nY1io-K8DB&sig=lMLJoFHRtFu2z1yXaPxI86YcE&hl=nl&ei=ym4ES8P9A4KhjAf7oty4AQ&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnu m=1&ved=0CAgQ6AEwAA#v=onepage&q=&f=false http://tv.repubblica.it/copertina/web-vs-luttazzi-la-guerra-sui- 62