INDICE - UvA-DARE

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INDICE - UvA-DARE
INDICE
Introduzione
p.2
1. Va’ dove ti porta il cuore e Va’ dove ti porta il clito
1.1. Va’ dove ti porta il cuore
1.1.2 Il successo
1.2 Daniele Luttazzi e Va’ dove ti porta il clito
1.2.1 Daniele Lutrtazzi
1.2.2 Va’ dove ti porta il clito
1.3. Cronaca di un caso giudiziario
1.4. Questione di gusto?
1.5. Questione di quantità?
1.6. Bellocchio difende la Tamaro
1.7. Gender
p.5
p.5
p.6
p.8
p.8
p.11
p.12
p.15
p.17
p.18
p.21
2. Per una teoria della parodia
2.1. Tipi di parodia
2.2. Transcontestualizzazione
2.3 Autonomia creativa
2.4. Forma minore o superiore?
2.5. Una classificazione genettiana
p.23
p.24
p.27
p.28
p.30
p.31
3. Parodia e Plagio
3.1. Autotestualità
3.2. La parodia come momento psicoanalitico del testo
3.3. Bricolage
p.37
p.37
p.39
p.42
4. Analisi comparativa
4.1. I titoli: uno scambio incrociato di valenze
4.2. Esercizi di raffronto
4.3. Universalmente amata
4.4. Ultimi esercizi di raffronto
p.43
p.43
p.45
p.48
p.50
Note Conclusive
p.57
Bibliografia
p.59
1
Introduzione
La parodia nella letteratura italiana moderna è argomento vasto e complesso: interi paragrafi,
capitoli, poesie e libri in prosa, si alimentano in diversa misura di parodia, o di controcanto
alternativo ai modelli vigenti, specie nelle fasi di transito, di crisi delle certezze.
In Italia il genere della parodia si rivela assai presente nel Quattro e Cinquecento; ecco
le parodie del Berni sui sonetti del Petrarca, che del corpo femminile non accoglieva in poesia
neanche la gamba, ma solo il bel pié, mentre la parodia al petrarchismo apre la scrittura ad
elementi corporali-anatomici, con finalità parodiche.
Il Novecento però è il secolo della parodia per eccellenza, con grandi parodisti come
Luciano Folgore e Paolo Vita-Finzi. È il periodo della `fine dei modelli´ già in atto alla fine
dell´Ottocento, periodo in cui tutto viene messo in discussione, trasgressioni vengono
alimentate, le acque agitate: autori come Gadda, Svevo, Landolfi, Pasolini, Pagliarini,
Calvino, Sanguineti, Eco, Fo e Palazzeschi (a voler tacere di tanti altri), sono tutti parodisti
eccellenti, che ´alla parodia attingono e molto se ne avvalgono, come strumento di lavoro e
come vitale necessità, non per chiudere lì il discorso, ma per aprirlo´ 1 . La parodia infatti
‘giunge pur sempre come un invito a dilatare l’orizzonte, a cambiare l’aria nella stanza, a non
mangiare sempre la stessa minestra, a guardare le cose da un’altra parte e da un’altra
angolatura’ 2
Parodia può far ridere, ma può avere anche effetti drammatici: ‘it’s range of intent is
from respectful admiration to biting ridicule’ 3 . Nietzsche, infatti, si chiedeva 4 quale relazione
esisteva tra il testo di Diderot e il testo di Sterne in Jacques le fataliste: era imitazione,
ammirazione o contestazione?
La ‘donna parodia’ è mobile, indocile e difficilmente classificabile. Per questo suo
aspetto mutevole occorre vedere volta per volta. In occasione di questa tesi vorrei mettere in
luce una parodia che ho ben apprezzato: Va’ dove ti porta il clito di Daniele Luttazzi che
parodizza, ovviamente, Va’ dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro.
Siccome lo spunto per questa tesi sarà il caso Tamaro – Luttazzi, dedicherò il primo
capitolo alla presentazione dei due libri, i loro autori e alla cronaca del caso giudiziario.
1
G. Tellini, Rifare il verso, p. 10
Idem. p.7
3
L. Hutcheon, A Theory of Parody, University of Illinois press, 2000, p. 16
4
In Gesammelte Werke: Musarionausgabe, IX. Munich, 1920-9.
2
2
In secondo luogo tenterò di elaborare una teoria della parodia, dimostrando come le leggi del
testo parodico mettano a nudo le leggi fondamentali della scrittura creativa. Proverò a
dimostrare la ‘dignità’ paradigmatica del testo parodico, in tal senso opponendomi al punto di
vista denigratorio di Roland Barthes, il quale considerava la parodia in qualunque sua forma
come una ‘appropriazione indebita di proprietà’. Mi servirò invece della teoria di Gérard
Genette, secondo la quale ogni opera d’arte può e deve essere studiata in base a quattro
principi generativi che qui presenterò.
Basandomi sulle conclusioni del secondo capitolo tenterò, anche sulla base del
processo per plagio intentato da Susanna Tamaro a Daniele Luttazzi (e vinto da quest’ultimo)
di analizzare il concetto di originalità, plagio, e quindi di definire gli spazi di autonomia
creativa (e di rimbalzo giuridica) del testo parodico. Quello che interessa in questa sede è il
carattere simbolico di tale processo, ed il discorso che apre sulla intertestualità di ogni opera
letteraria, e il posto che la parodia occupa in tale discorso.
Infine, nel quarto capitolo, entrerò nel merito dell’analisi testuale, operando un
confronto tra testo parodico e testo originale, sempre alla luce delle conclusioni dei primi tre
capitoli.
Anche se l’enciclopedico Palimpsestes del grande teorico strutturalista Genette può
considerarsi una delle opere più importanti per studiare la transtestualità, le relazioni (scontate
o segrete) tra testi, ho scelto di basarmi non solo su questo studio per la semplice ragione che
si concentra essenzialmente sul lato formale nella relazione tra testi, rifiutando ogni
definizione di transtestualità che dipende da un lettore. Genette trova inaccettabile questa
dipendenza da un lettore perché è “peu maîtrisable” per un critico cui l’unica intenzione è
categorizzare: “elle fait un crédit, et accorde un rôle, pour moi peu supportable, à l’activité
herméneutique du lecteur”. Cito l’originale per dare un’idea della natura fortemente personale
del rifiuto di una dimensione ermeneutica. Poi Genette continua ad esprimere il desiderio di
una pragmatica più consapevole e soprattutto più organizzata.
A Theory of Parody della studiosa Linda Hutcheon è uno studio più pragmatico e più
moderno: anche se una definizione di parodia moderna dovrebbe iniziare con un’analisi
formale, non può rimanere lì, deve andare oltre. Questo libro, a parte una prospettiva formale
ne offre anche una pragmatica studiando l’intenzione dell’autore, l’effetto che un testo può
avere sul lettore, gli elementi contestuali che determinano la comprensione di parodie ecc. In
più, la Hutcheon vuole andare oltre le solite definizioni che troviamo nei dizionari: ‘what I am
calling parody here is not just that ridiculing imitation mentioned in the standard dictionary
3
definitions’ 5 e più avanti: ‘we must broaden the concept of parody to fit the needs of the art of
our century’ 6 . Sarà chiaro che questi due studi (Palimpsestes e A theory of parody) nei loro
limiti e nelle loro trasgressioni, si integrano benissimo.
Infine ho tratto ispirazione dal volume di Guido Almansi e Guido Fink, Quasi come con
sottotitolo: Parodia come letteratura – letteratura come parodia, che offre molti esempi di
parodie nel corso dei secoli e dove si illustrano tutte le maniere che un testo letterario può
incontrare di non essere più se stesso e i cambiamenti prodotti dai contesti socio-culturali in
cui sono nati il parodiante e il parodiato. Si pensi alla parodia che Carlo Emilio Gadda fa de I
promessi sposi del Manzoni: c’è dietro tutta la differenza di contesto lombardo dei due
scrittori. Questo tipo di parodia gaddiana è quella prediletta da Almansi e Fink nel loro libro,
è quella di Celati, di Umberto Eco; Luttazzi mi sembra in buona compagnia. Se il comico sia
poi al corrente delle regole del genere? Vedremo.
5
6
P.5
P.11
4
1. Va’ dove ti porta il cuore e Va’ dove ti porta il clito
In questa sezione introduco brevemente:
- le due opere
- le trame dei libri
- l´accoglienza che hanno avuto dalla critica
- la cronaca del caso giudiziario
1.1 Va’ dove ti porta il cuore
Susanna Tamaro racconta la storia di una donna ormai anziana, Olga, che in seguito a un
ictus incurabile inizia a scrivere una lunga lettera sotto forma di diario alla nipote in
America. La scrittura diventa per Olga l’occasione per ripensare al passato e raccontare i
segreti (per esempio il suo amore extraconiugale per Ernesto, la figlia che ha avuto con lui
a insaputa del marito ecc.) i conflitti, le scelte tormentate, le cose taciute che hanno
segnato la vita di tre generazioni di donne: la sua, quella della figlia Ilaria e quella della
nipote Marta. Assistiamo – ad esempio – al naufragio umano e politico di Ilaria, la figlia
sessantottina.
È a suo modo, una lettera d’amore, un tentativo di ricucire un rapporto compromesso da
incomprensioni e impazienze dovute in parte al naturale divario dell’età – la scrivente ha
quasi ottant’anni mentre la ragazza è appena uscita dall’adolescenza – e in parte alla
difficile storia che le accomuna e che le ha legate fin dall’infanzia.
Disobbedendo così a una tacita legge della borghesia – che imporrebbe di stendere un velo su tutto ciò
che di inconfessabile si nasconde nell’animo umano – la nonna prende carta e penna e, per la prima
volta in sua vita, fa un gesto coraggioso – d’amore appunto – e apre il suo cuore. “Se avessi capito
allora che la prima qualità dell’amore è la forza”, confessa a un certo punto, “gli eventi probabilmente si
sarebbero svolti in modo diverso”. E di tutti gli eventi della sua vita – dalla sua infanzia vissuta con il
mito del riserbo e dell’apparenza, del suo matrimonio con un uomo noioso e prevedibile, del suo
rapporto conflittuale con la figlia, per la morte della quale si sente responsabile – non nasconde nulla,
anche a costo di apparire dura e spietata, prima di tutto con se stessa. Ma il suo intento non è quello di
scandalizzare né tanto meno di scaricare tardivamente la coscienza. Parlando della concretezza dei
sentimenti – ridando cioè alle cose il loro vero nome, senza falsa retorica né scontati moralismi, questa
donna che ha visto passare davanti a sé quasi un secolo di storia, che ha assistito a un radicale
cambiamento di costumi, a un capovolgimento totale dei valori, vuole ricordare alla nipote – con tutto
l’affetto, la comprensione e la tenerezza che sente per lei – che non ci sono nemici peggiori di quelli
annidati all’interno del proprio cuore e che l’unico viaggio che vale la pena di fare è al centro di se
stessi, alla ricerca di quella voce originaria che ognuno di noi custodisce nella profondità del proprio
essere. 7
7
Cito la copertina di Va’ dove ti porta il cuore
5
1.1.2 Il successo
Nel gennaio del 1994 esce il libro di Susanna Tamaro che presto diventerà uno dei più venduti
del Novecento italiano. A pochi mesi dalla sua uscita il romanzo si trova al centro di un forte
dibattito che coinvolge non solo critici e intellettuali, ma anche semplici lettori, femministi,
comici e perfino un monaco benedettino francese (la Tamaro è stata accusata per aver copiato
il titolo da un suo libro). Non ci si aspettava un successo di tale portata: l´opera arriverà ad
ottenere una fama internazionale vendendo 14 milioni di copie e verrà tradotta in 44 paesi. La
stampa accoglie il libro esprimendo – in principio - giudizi in gran parte favorevoli e positivi.
L´opera è lodata soprattutto per la delicatezza ed essenzialità del linguaggio, per la capacità di
parlare di sentimenti, di entrare nell´animo, spesso profondamente turbato, con naturalezza e
semplicità.
C´è invece chi vede in questa ricerca della semplicità una grande superficialità, una
triste incapacità di andare al fondo delle cose, che risulta in continue incursioni nella banalità,
nel luogo comune. Il poeta Giovanni Raboni attacca il bestseller in un articolo apparso sul
Corriere della Sera: ´“Settant’anni di vita, tutti banali”:
Non c’è pagina, ma che dico, non c’è frase, non c’è parola […] del breve ma interminabile romanzo che
non sia intrisa di ovvietà, che non sia, anzi, l’ovvietà stessa fatta a suono e grammatica, l’incarnazione,
la discesa in terra del più puro concetto di ovvietà. Credo (sulla base, soprattutto, dei suoi due libri
precedenti) che la Tamaro non manchi di mezzi e di talento: per questo mi permetto di metterla in
guardia contro i rischi del minimalismo intellettuale, che è qualcosa di assai diverso dal minimalismo
narrativo e dal minimalismo stilistico. Nessuno è disposto a sorbirsi centosessantacinque pagine di
fatterelli minutamente prevedibili per poi sentirsi dire, come premio finale, che “se la vita è un percorso,
è un percorso che si svolge sempre in salita” e che “l’unico maestro che esiste, l’unico vero e credibile è
la propria coscienza” 8
Secondo l’articolo “Con Susanna comincia la stagione dei sentimenti” 9 apparso sul Corriere
della Sera nel 2003, Va’ dove ti porta il cuore appartiene a quel tipo di libri - come Siddharta
di Hesse, Il profeta di Gibran, L’Alchimista di Coelho - che, seppure diversi per spessore e
contenuti, continuano a vendere milioni di copie per ragioni che sfuggono alla ragion critica.
Il loro segreto probabilmente sta nella capacità di far emergere le emozioni con semplicità e
immediatezza, tali da indurre i lettori a riconoscersi. Proprio Coelho, altro scrittore da milioni
di copie bersagliato dalla critica, dice di “voler comunicare esperienze nel modo più facile e
immediato, ma che la semplicità viene spesso presa per banalità e povertà di idee” 10
Infine presentiamo il parere di Grazia Cerchi su Va’ dove ti porta il cuore, che esprime un
giudizio particolarmente duro nel suo articolo “Nonne contro” nell’Unità:
8
G. Raboni, “Settant´anni di vita, tutti banali” in Corriere della Sera, 6 febbraio 1994
M.Cesare, “Con Susanna comincia la stagione dei sentimenti” in Corriere della Sera, 5 gennaio 2003
10
Idem
9
6
Va’ dove ti porta il cuore […] guida implacabilmente la classifica dei best seller (eterno
secondo Sostiene Pereira di Tabucchi, incomparabilmente superiore. Ma così va il mondo,
anche quello librario). È curioso come del libro della Tamaro abbiano dato giudizi negativi in
modo totale ma con qualche distinguo solo (se non erro) Raboni e Giudici, due poeti, quindi.
Aggiungo il mio di giudizio nettamente negativo: il romanzo della trentasettenne scrittrice […]
è fiacco, noioso e sa di “studiato a tavolino”. E sarei pronta a scommettere che se non fosse
uscito da Baldini&Castoldi avrebbe trovato tutt’altra accoglienza, soprattutto di pubblico. Il
dato più grave è la sciatteria stilistica, veramente singolare per chi ha scritto Per voce sola,
che era di ben altra qualità. E poi che raffica di banalità! 11
Alla fine dell´estate dello stesso anno, le copie vendute salgono a 500.000, una cifra
incredibile e mai ottenuta ai tempi di – ad esempio - Storia della Morante o del Nome della
Rosa. Va’ dove ti porta il cuore fa ormai parte di un fenomeno che va oltre la sfera
prettamente letteraria: il libro appartiene alla gente, che lo ama, lo consiglia, lo regala, lo
legge al parco, sotto l’ombrellone, in spiaggia, prima di andare a dormire. E mentre la squadra
nazionale azzurra viene incitata nei giornali con titoli come “Italia, va’ dove ti porta il cuore”,
il mondo letterario si dimostra sempre più diffidente:
Il veloce successo del romanzo della Tamaro ha conquistato i lettori italiani e all’inizio anche i
recensori italiani, con l’eccezione immediata di Giovanni Raboni […]. Ma, a lungo andare, crescendo il
consenso in vendite e in lettori, ha suscitato l’allarme. E ora siamo arrivati alla sottoscrizione di avvisi
di sfiducia. L’assioma successo di un libro uguale infamia del libro colpisce ancora. Chi scrivendo un
romanzo, guadagni pure, è poco meno di un criminale, anzi, senza poco meno, da mettere alla gogna. 12
11
12
G. Cerchi, “Nonne contro”, in L’Unità, 30 maggio 1994
N. Orengo, nella sua risposta all´articolo di G. Cerchi (“Nonne contro”), in La Stampa, 4 giugno 1994
7
1.2. Daniele Luttazzi e Va’ dove ti porta il clito
1.2.1 Daniele Luttazzi
Attore comico e satirico, nonché scrittore e cantante, Luttazzi ha al suo attivo una lunga
carriera di artista in grado di coniugare con sapienza i media (tv e carta stampata) per produrre
"opere d'arte" che all'occorrenza si leggono, si guardano e si ascoltano.
La sua comicità e la sua satira hanno origine infatti come pagina scritta, e approdano poi solo
in seguito al pubblico sotto forma di spettacolo teatrale e televisivo. Prova ne sono alcuni dei
suoi successi quali "Tabloid" e "Barracuda", entrambe opere letterarie e spettacoli televisivi.
Anche Va’ dove ti porta il clito nel 1995 è uscito in primo luogo in forma cartacea ed ora,
proprio in questo periodo (dicembre 2009 fino a maggio del 2010) Luttazzi gira i teatri
d’Italia con l’omonimo spettacolo, un corrosivo monologo:
Va’ dove ti porta il clito sottopone al vaglio di una critica corrosiva il sentimentalismo melodrammatico
e l’insieme arrugginito dei valori sbandierati dal testo originale; pathos e valori che, a 12 anni di
distanza, sono diventati programma di governo e incubo esistenziale per molti.
Motivo non secondario per riproporre oggi questo esercizio di realismo esplicito, aperto ai singulti di un
riso irrefrenabile, che fu allo stesso tempo denuncia delle mostruosità che stavano incombendo e teatro
attualissimo di una interiorità contemporanea, non pacificata.
Quel monologo clamoroso ritorna oggi sulle scene a dissacrare i tromboni e le loro verità precostituite
con l’intarsio ritmico di associazioni verbali e iconiche che valsero a Luttazzi il plauso della critica, il
successo di pubblico e il Premio di satira politica “Forte dei Marmi” 1996 13 .
Luttazzi ha conseguito il diploma classico, si è laureato in medicina e nel frattempo ha
collaborato come vignettista per la rivista Tango ed ha partecipato come opinionista al
Maurizio Costanzo Show.
Nel 1989, durante le prove generali per la trasmissione Fate il vostro gioco fa una
battuta sul Partito socialista di Bettino Craxi e viene allontanato per la prima volta dalla
televisione di Stato, in cui tornerà soltanto nella stagione '94-'95 come co-autore di Magazine
3, cui parteciperà con le rubriche Sesso con Luttazzi, La cartolina di Luttazzi e La piccola
biblioteca.
Nei cinque anni di lontananza dal piccolo schermo, il comico si divide tra il teatro, la radio e
la scrittura. Nel 1994 pubblica Va' dove ti porta il clito, parodia del best seller Va' dove ti
porta il cuore di Susanna Tamaro, che gli fa causa per plagio ma la perde.
Dopo il ritorno in televisione su Rai Tre, la popolarità di Luttazzi esplode nel 1996 con
la partecipazione a Mai dire gol su Italia 1. Gli sketch dei personaggi da lui interpretati nel
programma della Gialappa's vengono raccolti e pubblicati nei libri Tabloid e Cosmico.
13
Tratto dal sito ufficiale di Luttazzi: www.danieleluttazzi.it
8
Protagonista di spot Telecom particolarmente fortunati, Luttazzi ripropone per 12 settimane
tra gennaio e marzo del 2001, su Rai Due, il format del talk show nel programma Satyricon:
sospeso per una settimana dopo la nona puntata per via di un'intervista a Marco Travaglio 14 su
Berlusconi e Dell'Utri, l'anno successivo lo stesso Berlusconi di fatto lo allontana dalla tv di
Stato insieme a Enzo Biagi e Michele Santoro:
Il presentatore aveva invitato Travaglio al suo talkshow in onda sul canale di stato RaiDue, durante la
campagna elettorale, per discutere del suo nuovo libro, che esaminava la nascita dell’impero mediatico
di Berlusconi. Durante la trasmissione discussero delle presunte connessioni mafiose di Marcello
Dell’Utri, il politico siciliano che era stato il braccio destro di Berlusconi e il fondatore del suo partito
politico, Forza Italia. Lo show fu cancellato, ma i produttori affermarono che la decisione venne presa
in totale autonomia. Berlusconi citò in giudizio Luttazzi a titolo personale. Vi furono inoltre altre tre
cause intentate: una da 2.5 milioni di euro dalla Fininvest, l’attività finanziaria di Berlusconi, una da 2.5
milioni di euro da Mediaset, il canale televisivo commerciale fondato da Berlusconi, che rimane il suo
maggior azionista e un’altra causa da oltre 5 milioni di euro da parte di Forza Italia 15 .
Luttazzi, che ora lavora in teatri d’avanguardia, dice: “È stato difficile per me. Non esiste più
alcun programma satirico nella televisione Italiana. Equipara il livello della libertà di stampa
in Italia con quello del periodo fascista. Oggigiorno non ti uccidono più, ma ti costringono
all’esilio mediatico.” 16
Dario Fo, dopo il colpo inferto da La7 a Daniele scrive:
Spesso si scelgono bell’apposta, come nel caso di Luttazzi, le espressioni e i lazzi satirici palesemente
scurrili e si mettono in bella mostra allo scopo di abbassare il livello di dignità dell’autore. Conosciamo
bene questa pratica davvero ipocrita e furbesca: ti si accusa di usare forme oscene di linguaggio per
censurarti o addirittura eliminarti dalla scena. A me e a Franca è accaduto con Canzonissima quando ci
permettemmo di parlare di morti bianche sul lavoro e della mafia criminale. Nessuno, fino ad allora, sto
parlando di quarant’anni fa, aveva mai trattato l’argomento. Anche in quell’occasione, fra le tante
accuse, quali quella di buttarla in politica, ci si scaraventò addosso anche l’accusa di scurrilità e di non
rispettare il comune sentire degli spettatori.
Nello stesso periodo in cui Luttazzi realizzò la sua intervista televisiva, Berlusconi fece causa
al giornale The Economist per il suo articolo di copertina dell’aprile 2001, il cui titolo recitava
“Perché Silvio Berlusconi è inadatto a governare l’Italia”. Perse la causa.
Negli ultimi anni Daniele Luttazzi si è dedicato al teatro, ha collaborato con alcuni
giornali, creato il proprio sito con relativo blog, 17 pubblicato diversi libri e due album
14
Vi consiglio la visione dell’intervista su youtube (ecco perché Berlusconi cacciò Luttazzi dalla Rai..):
prima parte: http://www.youtube.com/watch?v=4N6sjk-HiAQ
Seconda parte: http://www.youtube.com/watch?v=1mOuZ_UYNYo&feature=related
Terza parte: http://www.youtube.com/watch?v=0U01iK85xSU&feature=related
15
Articolo pubblicato sabato 16 maggio 2009 in Gran Bretagna in The Times
16
Idem
www.danieleluttazzi.it
17
9
musicali. Dopo parecchi anni di ‘esilio’ forzato, è ritornato in tv nel 2007 con il suo nuovo
programma Decameron, molto liberamente ispirato al capolavoro del Boccaccio. Nel 2008 c’è
stato anche un ‘Decameron tour’ nei teatri d’Italia. In un’intervista 18 nel 2008 Luttazzi
difende in modo divertente (l’effetto comico però viene fuori meglio nel piccolo filmato
dell’intervista) ed intelligente la (sua) satira accomunandosi al Boccaccio per quanto riguarda
la ‘volgarità’:
La volgarità è il pretesto principe con cui tromboni in tutte le epoche hanno cercato di tarpar la bocca
alla satira. Anche del Boccaccio dicevano che era volgare e anche lui difendeva la sua arte, come me in
questo momento. La verità è che la satira non è volgare, è esplicita. La satira usa come tecnica la
ricorsione al corporeo, alle esigenze fisiologiche primarie: mangiare, bere, urinare, defecare, scopare
ecc. Lo fa per sovvertire le gerarchie costituite: è il potere liberatorio della satira.
[...] Non esiste il sacro senza profano. Il sacro senza profano diventa integralismo. Non è triste dover
parlare di queste cose due secoli dopo Voltaire? L’immaginario di poter oscillare tra sacro e profano
per essere sano. Chi vuol mettere la mordacchia alla satira ha dei problemi. C’è chi proibirebbe la
satira sulla religione perché i sentimenti religiosi vanno rispettati. Ma può un autore satirico rispettare
i sentimenti di chi crede all’esistenza di un essere invisibile nel cielo che punisce le azioni umane?
Giove intendo (...!). La satira non offende le persone, solo i loro pregiudizi. E questo vale per tutta
l’arte. Prendete “Piss Christ”: “Piss Christ” è un’opera d’arte che fece scandalo qualche anno fa. Era
un crocefisso dentro un bicchiere di urina. Molti lo giudicarono blasfema, ma non considerarono quello
che quest’opera d’arte ha fatto per l’urologia (...!). La satira non è odio, è solo irriverenza. Se non si
capisce questo non se ne esce.
18
http://www.youtube.com/watch?v=rPL6RgJ77wI (3,5 minuti)
10
1.2.2 Va’ dove ti porta il clito
Il romanzo della Tamaro ha inizio con sei domande sui massimi sistemi dell’essere, tratte da
un testo sacro dello shivaismo kashmiro. “Che cosa è la tua realtà? Che cos’è quest’universo
colmo di stupore? Che cosa forma il seme?” e così via. Frase finale: “Oh Shiva... chiarisci i
miei dubbi”. Con questi allarmanti interrogativi si apre il romanzo della scrittrice triestina.
Le stesse domande si pone Luttazzi, con la stessa trepidazione. Ma l’ultimo verso reca
un’implorazione ben più accorata: “Vuoi rispondere Shiva? Ti ho fatto sei domande, non sai
un cazzo”.
Sin dalla copertina si intuisce lo spirito che anima Luttazzi nel fare il verso al suo
modello. Basta estrapolarne una frase per capovolgerla a piacimento. Ecco, ad esempio, lo
slogan su cui si basava la filosofia della mitica nonnina: “esiste qualcosa di più terribile di un
ritorno che non riesce a compiersi?”. Se lo chiede anche Luttazzi. Però aggiunge: “A parte un
libro della Tamaro, intendo”. Il capovolgimento è tutto giocato in senso erotico (se non
pornografico): così all’anziana donna che vaga in solitudine nella sua casa, si sostituisce una
ninfomane in menopausa, che vaga sì nel silenzio del suo appartamento, ma ‘vestita’ in baby
doll. E il male incurabile? Sì, le labbra screpolate.
L’articolo “La casta Susanna nell’ambulatorio del dottor Luttazzi” pubblicato nel Corriere
della Sera da un’ottima impressione del tono e del contenuto:
Se una mattina la nonna ricorda: “in giardino, mi sono fermata a lungo davanti alla tua rosa”, l’altra
decide di fermarsi “a lungo al tuo membro in erezione”. E ancora: se da una parte la nonna evoca
l’imprevista richiesta della nipote, “Voglio una rosa”, dall’altra la protagonista arrapata si lancia in un
desiderio altrettanto tassativo ma certo meno sublime: “Voglio un vibratore”. Incalzano parallelemente
le due richiedenti: “Ne voglio una che sia mia soltanto”. “Di cachemire”, aggiunge la ninfomane.
Ma mentre nel modello alla rosa si aggiunge la volpe, nella parodia al vibratore si aggiunge la Marchesa
von Lox. E alla furbizia della dolce fanciulla (“come potevo negarti la volpe dopo che ti avevo concesso
la rosa?”), si oppone la furbizia delle baldracche (“come potevi negarmi la Marchesa dopo che mi avevi
concesso il vibratore?”). Poi: se da un lato, dopo una lunga discussione, si arriva a un compromesso che
metta d’accordo nonna e nipote (un cane), dall’altro la trattativa si conclude su un “travestito
sudamericano" 19
19
Di Stefano, “La casta Susanna nell’ambulatorio del dottor Luttazzi”, in Corriere della Sera, 24-10-1995
11
1.3 Cronaca di un caso giudiziario
L’unico precedente in giurisprudenza riguardo la parodia, è il “diritto di parodia”: esso risale
alla sentenza del Tribunale di Napoli che il 27-05-1908 assolve Eduardo Scarpetta dall’accusa
di plagio che Gabriele D’Annunzio gli rivolge per l’opera parodica Il figlio di Jorio. L’arbitro
è Benedetto Croce.
87 anni dopo, nel 1995, abbiamo il secondo “diritto di parodia” in Italia, ovvero la
causa intentata da Susanna Tamaro a Daniele Luttazzi. Qui presenterò brevemente la cronaca
del caso giudiziario.
A metà ottobre del 1995
Subito dopo la Buchmesse di Francoforte, esce Va’ dove ti porta il clito. La settimana
successiva il libro è segnalato come “amabile” da il Manifesto e ottimamente recensito sul
Corriere della Sera.
Un bel giorno il cabarettista Daniele Luttazzi pubblica ´Va dove ti porta il clito´ (edizioni Comix), una
parodia del best seller tamariano. La spassosa operazione ha il pregio di collocare il
pornosentimentalismo del fumetto della nonnina malata nella sua più autentica dimensione: in un
racconto di classica pornografia.
Apriti cielo! La Tamaro e la Baldini&Castoldi si precipitano in Tribunale e chiedono a gran voce
l´immediato sequestro del libro di Luttazzi: la pronipote di Svevo e la casa editrice berlusconiana sono
indignati soprattutto per ragioni mercantili. 20
3 novembre
Susanna Tamaro e l’editore Baldini&Castoldi chiedono dunque il sequestro del libro e
l’inibizione di ulteriori ristampe con un provvedimento d’urgenza al Tribunale di Milano.
Questa richiesta è accompagnata, all’udienza dell’8 novembre, da un parere di Giampaolo
Dossena che ipotizza: “È verosimile che Daniele Luttazzi abbia passato lo scanner sul testo di
Tamaro e, ottenuto il testo in dischetto, abbia lavorato col mouse sul piccolo schermo del
computer”.
20
Penna Rossa, Pornografia del cuore, Milano, Kaos, 1998
12
5 novembre
Va’ dove ti porta il clito occupa l’ottavo posto della classifica dei “tascabili” pubblicata dal
Corriere della Sera. Allo stesso giornale il presidente della Baldini&Castoldi dichiara l’11
novembre: “Non c’è molto da dire. Quel libro è pura pornografia. E se non fosse stato così
non saremmo certo finiti in tribunale, noi che siamo i reginetti della satira”. Tuttavia, come
osserva Stefano Bartezzaghi sulla Stampa dell’11 novembre 1995: “ Il punto è che i parodiati
(Tamaro e Baldini&Castoldi) negano di esserlo, e sostengono che i parodianti (Luttazzi e
Comix) abbiano fatto, invece che una parodia, una copia, una sorta di plagio a facili (troppo
facili) fini di umorismo.” 21
15 novembre
Il Giudice Designato dott. Claudio Marangoni rigetta il ricorso proposto da Susanna Tamaro e
Baldini&Castoldi contro Comix (l’editore di Va’ dove ti porta il clito) e li condanna al
pagamento delle spese del procedimento: “Il Tribunale di Milano dà ragione a Luttazzi e
respinge l´istanza di sequestro in quanto la citazione esplicita di brani, personaggi e situazioni
dell´opera originale è caratteristica tipica e necessaria della parodia”. 22
Il caso Tamaro-Luttazzi divampa sulle pagine culturali di tutti i giornali e alla battaglia
semiotica dei pareri di parte, si accompagna un appassionante caso di diritto in cui vari
intellettuali, tra i quali Omar Calabrese, Maria Corti e Guido Almansi danno il loro parere.
25 novembre
Tuttolibri de La Stampa pubblica un’accorata letterina di Susanna Tamaro intitolata “Il mio
cuore scannerato”. Oltre a riprendere l’ipotesi Dossena, Tamaro chiosa: “aspettiamoci dunque
Il Barone Scopante, Sostiene Le Palle, La coscienza dell’Ano e via dicendo” 23 .
1 dicembre
Susanna Tamaro e Baldini&Castoldi reclamano al Tribunale l’ordinanza del Giudice
Designato e accompagnano il reclamo con un parere di Piergiorgio Bellocchio. Il direttore dei
Quaderni Piacentini individua un “metodo Luttazzi” che applica sia a I promessi sposi sia al
21
Stefano Bartezzaghi, “La guerra della Tamaro contro il comico Luttazzi, autore della parodia erotica del best
seller tra il cuore e il clito, la parola a perito giochi di parole, parafrasi, sfottò: copia volgare o opera autonoma?”,
ne La Stampa, novembre 1995
22
Penna Rossa, Pornografia del cuore, Milano, Kaos, 1998
23
Susanna Tamaro, “il mio cuore scannerato”, ne La Stampa, novembre 1995
13
Vangelo. Il metodo è “un’operazione a freddo, puramente meccanica...” 24
Il risultato sono: “un saccheggio massiccio dell’opera di un altro autore e un dileggio pure
sistematico di questa.” 25
6 dicembre
Il Corriere della Sera rivela che nel 1973 la Cittadella di Assisi ha pubblicato un libro del
monaco benedittino francese Jean Déchanet intitolato Va’ dove ti porta il cuore. La settimana
successiva la Cittadella pubblica la seconda edizione di questo libro.
29 gennaio 1996
La Prima sezione Civile del Tribunale di Milano, riunito in camera di consiglio respinge il
reclamo e condanna (per la seconda volta!) Susanna Tamaro e la Baldini&Castoldi al
pagamento delle spese inerenti questo grado della procedura.
24
Piergiorgio Bellocchio, tratto dalla copia del ricorso ufficiale che accompagnava la richiesta del
provvedimento d’urgenza al Tribunale di Milano, 3 novembre 1995
25
Idem
14
1.4 Questione di gusto?
Il termine “parodia” comporta un alto tasso di ambiguità: “parody is fundamentally double
and divided. Its ambivalence stems from the dual drives of conservative and revolutionary
forces that are inherent in its nature as authorized transgression.” 26
Sempre paradossalmente, ogni parodia, anche la più snaturante, ridicola e ‘offensiva’,
è al tempo stesso un implicito riconoscimento della rilevanza del testo parodiato e un
involotario omaggio alla sua fama (anche se può non essere gradito!): ´la parodia non può
avere per oggetto se non le cose migliori: essa è lode, è apologia, perché esagerando le
critiche, combatte queste e distrugge’ 27 . Anche Carducci vede nella parodia un
‘riconoscimento della poesia, un atto di omaggio, prova di raggiunto succeso, ufficiale
sanzione di notorietà e autorevolezza’ 28 .
La parodia quindi riconosce il valore dell’originale. Dovendo distorcere quel che è già
positivamente sanzionato nella cultura corrente, la parodia di fatto presuppone e accetta il
valore del testo di riferimento (successo, qualità, meriti), e anzi talora contribuisce ad
accentuarli. Questo è per esempio avvenuto con la parodia televisiva svolta nel 1986 da
Roberto D’Agostino nella trasmissione Quelli della Notte nei confronti di Milan Kundera.
Senza quel fatto, L’insostenibile leggerezza dell’essere in Italia non avrebbe ottenuto il
gradimento che ha avuto.
È buffo: offesa uguale omaggio. Nasce così un contratto implicito, con i lettori e con i
protagonisti interessati, quello infatti di offendere il testo originario. Ma questa ‘offesa’ è
simulata e non può mai essere presa sul serio, proprio perché questo contratto comunicativo è
basato su un ‘tacit understatement’. La parodia non solo non costituisce offesa, ma anzi
dovrebbe essere assai grato l’autore parodiato che si sia fatto “scempio letterario” del proprio
lavoro, affermandone l’importanza:
Se tale “scempio” dispiace per volgarità, cattivo gusto, banalità, è il giudizio collettivo che imporrà il
suo verdetto. Mai si potrà invece ricorrere al giudizio dei magistrati. Non sono stati condannati, per un
simile reato, né Molière, né Voltaire, né Plauto, che pure vivevano in epoche piuttosto oscure. Solo
Petronio Arbitro fu costretto al suicidio per aver parodiato Nerone. Ma era Nerone, appunto. 29
I ricorsi e reclami contro Luttazzi quindi sembravano insistere su un fatto poco rilevante: il
buono o il cattivo gusto dell’opera parodistica. Ma il buon gusto è perseguibile a termini di
26
27
L. Hutcheon, A Theory of Parody, p. 27
G.Tellini, Rifare il verso. La parodia nella letteratura italiana. Milano, Mondadori, p.5.
28
F. Novati, La parodia sacra nelle letterature moderne, in Studi critici e letterari, Loescher, Torino 1889, p.
297-98
29
O. Calabrese, nel dossier aggiunto a Va’dove ti porta il clito, p. 179
15
legge? No, altrimenti gli italiani che si vestono male o che hanno dei brutti mobili sarebbero
in prigione. Il giudizio morale e di gusto è una cosa ben diversa, come scrive il biologo Jean
Rostand in uno dei suoi aforismi: “Si je proteste contre l’interdiction d’une oeuvre littéraire,
cela ne veut nullement dire che cette oeuvre ne me dégoute pas” 30 .
Interessante a questo proposito è anche quello che dice Dario Fo, grand’uomo di
teatro, in un’intervista 31 con Luttazzi nel programma Satyricon (la cui visione 32 vi consiglio
vivamente). Alla domanda se il buon gusto è un criterio per giudicare la satira, Fo risponde:
“Anzi. Che cosa significa buon gusto in questo caso? Buon gusto, a mio avviso, se esiste,
esiste proprio nella dimensione del banale”. Poi, a proposito dei limiti della satira dice:
Mi ricordo una battuta di un grandissimo uomo di teatro, il quale diceva: prima regola; nella satira
non ci sono regole! La satira è nata proprio in conseguenza di pressione, di dolore, di prevaricazione,
cioè è un momento di rifiuto di certe regole, di certi atteggiamenti, è liberatorio in quanto distrugge la
possibilità di certi canoni che introppano la gente. L’obiettivo è di rompere gli schemi, le posizioni e di
arrivare a liberarsi dalle convenzioni.
Quando Va´ dove ti porta il clito venne presentato in un teatro a Milano, si è presentato a
sorpresa Aldo Busi vestito da Nonna Aldo per leggere alcuni brani del libro di Luttazzi che lui
trovava ´splendido´. Dalai (direttore della Baldini e Castoldi) e la Tamaro hanno contestato
anche questo ‘spettacolo’ insistendo – notiamolo - sul ´buon gusto´:´non ci è sembrato di
molto buon gusto presentare il libro chiamando in causa Busi vestito da nonna ninfomane.
Ripetiamo: il problema è tutto qui, una questione di stile´ 33 .
La discussione sul caso Tamaro-Luttazzi quindi, avrebbe davvero dovuto svolgersi
sulle pagine letterarie dei giornali e su riviste letterarie, e non affatto nelle aule dei tribunali:
quello che importa non è il valore di Va’ dove ti porta il clito, o il fatto se si adegua o meno
alle leggi tacite sul buono o cattivo gusto.
30
31
Jean Rostand, Les aforismes, éditions gallimard, 1981
Daniele Luttazzi intervista Dario Fo in Satyricon
32
http://www.youtube.com/watch?v=CMprl1E_UlM
33
A. Arachi, “Luttazzi discolpati, hai plagiato la Tamaro”, in Corriere della Sera, 11 novembre 1995
16
1.5. Questione di quantità?
A rileggere le opinioni dell’esperto della Baldini&Castoldi nel primo ricorso, Giampaolo
Dossena, la tesi del plagio è sostenuta da un giudizio quantitativo: ‘ci sono nel libro di
Luttazzi tantissime parole che vengono copiate direttamente dal libro della Tamaro, e
pochissime che vengono sostituite da termini generalmente ritenuti osceni’ 34 .
Questo giudizio quantitativo di Dossena sembra assurdo. In un libro del più celebre
parodista del ventesimo secolo, Paolo Vita Finzi, si riproduce verbatim, una pagina di
Giovanni Gentile sotto forma parodica, senza cambiare una virgola.
Alcuni anni fa, durante un inverno particolarmente severo in cui dei barboni morivano a
dozzine per il freddo, Giovanni Testori, elzevirista di punta del Corriere della Sera all’epoca,
pubblicò in quel giornale un articolo con una elagiaca lode della “neve”. Il giorno seguente La
Repubblica ripubblicò lo stesso articolo, anche in questo caso verbatim, aggiungendo
solamente una lieve incorniciatura liberty all’articolo in modo da sottolineare l’intento
parodico. Secondo l’inaccettabile concezione della parodia dei querelanti e del loro primo
esperto, di plagio si tratterebbe in entrambi i casi e non di parodia.
Seguendo questa strada, gran parte dell’arte moderna (in musica, in letteratura, nelle
arti figurative) cadrebbe in questa categoria. Il ricorso della Baldini&Castoldi afferma (p.23) a
proposito del libro di Luttazzi: “niente di diverso dalla apposizione dei baffi su un ritratto
femminile” (La Gioconda). L’autore del ricorso sembra ignorare che i baffi alla Gioconda (o
l’applicazione di una scritta oscena alla base del quadro, come nel caso di Duchamp), fanno
parte integrante della storia dell’arte del ventesimo secolo, e coinvolgono artisti come
Salvador Dalì, Marcel Duchamp, Francis Picabia e altri ancora. I baffi della Gioconda sono
forse il più famoso caso di parodia di questo secolo. Un giudizio quantitativo direbbe che,
degli undicimila centimetri quadrati circa del quadro originario, m.1,20 per m.0,90, (misura
aprossimativa), diecimilanovecentottantotto sono riprodotti meccanicamente, mentre solo i
dodici centimetri (l’equivalente del 0,11%: altra misura approssimativa) che riguardano il
labbro superiore di Mona Lisa sono mutati: sarebbe dunque un plagio? Il criterio continua ad
apparire irrelevante; la conclusione è assurda e, se venisse accettata, renderebbe impossibile
non solo qualunque giudizio su un’opera d’arte, ma persino su episodi della vita: se una
camicia bianca con uno sparato bianco ha una macchia di salsa di pomodoro sul davanti ma
per il resto è linda, non si dirà che la camicia è pulita al 99% e sporca all’1% ma che si tratta
di una camicia sporca da portare in lavanderia!
34
G. Dossena, copia del ricorso ufficiale che accompagnava la richiesta del provvedimento d’urgenza al
Tribunale di Milano, 3 novembre 1995
17
Esistono caratteri recessivi e caratteri dominanti in genetica, in estetica, in ottica: lo sporco è
dominante, il pulito è recessivo. Nel nostro caso il cambiamento parodico è dominante, la
parte ripetuta è recessiva.
1.6. Bellocchio difende la Tamaro
Come Giampaolo Dossena, anche il fondatore dei Quaderni Piacentini e critico letterario
Piergiorgio Bellocchio prende parte per la Tamaro. Le affermazioni di questo esperto mi
sembrano altrettanto dubbie. Bellocchio scrive ‘io stesso ho praticato più volte questa
specifica forma critica e polemica’, intendendo la parodia (p.1). ‘A rischio di essere a mia
volta tacciato da “buffoncello” (come arrogantemente Bellocchio definisce Luttazzi, p.11
della sua perizia), io vorrei rovesciare questa affermazione. Credo di aver sempre praticato la
parodia, tranne alcuni casi, in cui mi sono abbassato ad altre forme critiche e polemiche’.
Ma subito arriva alla conclusione che
sotto "l' apparenza parodistica" smaccatamente palese a cominciare dal titolo,
dove, beninteso, al posto di "clito" Luttazzi avrebbe potuto mettere indifferentemente qualunque altro
organo sessuale maschile o femminile, il libro è invece un saccheggio massiccio, sistematico e
indiscriminato dell' opera di un altro autore, e un dileggio pure sistematico di questa. Un dileggio
pesantissimo e assolutamente gratuito, mai giustificato né dal testo preso di mira, né da alcun
risultato d'ordine artistico o anche semplicemente di originalità. Non è parodia, né
satira, né pastiche 35 .
Scrive poi Bellocchio a p.8: ‘che non basti la sostituzione di parole con altre di senso inverso
o il capovolgimento di fatti e situazioni perché si concreti la parodia (o la satira, o il pastiche,
o altro genere letterario dotato di autonomia), dovrebbe essere ovvio’. Ma tutto il discorso
teorico sulla parodia dimostra che questa affermazione è tutt’altro che ovvia!
Come dice la Violi è quasi sempre la semplice ‘sostituzione di parole con altre di
senso inverso’ o ‘il capovolgimento di fatti e situazioni’ che determinano la parodia. Anzi,
direi di più. Quanto più esile è la differenza tra testo parodiato e testo parodiante, tanto più
efficace è l’operazione. In un libro parodico di qualche anno fa, dal titolo Maramao, l’autore
Guido Almansi aveva sperimentato con interventi ancora minori, attraverso ad esempio una
piccola ma efficace aggiunta a note poesie:
M'illumino d'immenso
Per un picciol compenso.
35
P. Bellocchio, copia del Sricorso ufficiale che accompagnava la richiesta del provvedimento d’urgenza al
Tribunale di Milano, 3 novembre 1995
18
O cambiando una sola lettera dell’alfabeto:
La nebbia agli irti polli
Qui non si tratta di vedere se questi esperimenti parodici fossero riusciti o meno: ho scelto
questi esempi soltanto per illustrare un metodo. L’autore dimostra che l’operazione parodica è
più efficace in quanto l’intervento è minimo. Sarà chiaro che attraverso un minimo intervento
(cambiando una sola lettera ad esempio) si raggiunge la massima riconoscibilità e forza
distruttiva.
Il Bellocchio cita un caso di svista nel libro di Luttazzi che dimostrerebbe la meccanicità
della sua operazione: ‘quando Luttazzi scrive, a proposito delle anguille 36 , “il crepitio delle
loro zampe”, ripete così la parola “gambe” che nell’originale si riferisce alle zampe degli
insetti’:
TAMARO
Mi era presa l’ossessione che gli insetti di
Augusto non fossero affatto morti, di notte
sentivo il crepitio delle loro zampe in giro per
la casa, camminavano dappertutto, si
arrampicavano sulla carta da parati, stridevano
sulle piastrelle della cucina, strusciavano sui
tappeti del salotto.
LUTTAZZI
Mi era presa l’ossessione che le anguille di Augusto
potessero liberarsi per la casa, di notte sentivo il
crepitio delle loro zampe sui pavimenti, si
infilavano ovunque, lasciavano scie umide sulla
carta da parati, stridevano sull’inox del lavello in
cucina, si impanavano sulla polvere dei tappeti in
salotto.
Se nel campo della scrittura è lecito avere, per esempio ‘l’elefante con le ghette / a caval
d’una zanzara’, come nella filastrocca infantile, non vedo che cosa dovrebbe impedire a
Luttazzi di inventare anguille con le gambe.
Bellocchio dice del ‘metodo Luttazzi’:‘basato sull' assoluto arbitrio e gratuità e su una
suprema disinvoltura il metodo Luttazzi ha questo di straordinario, che può essere applicato a
qualunque testo, in qualsivoglia punto dello stesso. E non solo alle opere di narrativa, ma
anche a prose scientifiche come ad articoli di giornale’.
Per illustrare questo metodo meccanico che sarebbe applicabile a qualsiasi testo,
Bellocchio sceglie a titolo d’esempio proprio I promessi sposi, di cui sono state fatte
36
Luttazzi nella sua parodia cambia gli insetti dell’originale (Va’ dove ti porta il cuore) in anguille.
19
un’infinità di parodie:
chi abbia letto il libro di Luttazzi e capito il suo metodo può facilissimamente tradurre il passo
manzoniano in chiave oscena. Si potrebbe ancora parlare di parodia? O non sarebbe il caso di parlare
puramente e semplicemente di scempio? Tamaro non è Manzoni. Ma l'operazione di Luttazzi su Va'
dove ti porta il cuore è della stessa natura e portata di quella da me ipotizzata a danno del passo citato
dei Promessi sposi. E l'operazione è puramente meccanica, senza che la qualità dei risultati raggiunga
mai un minimo di autonomia creativa.
E allora che cosa viene fuori secondo il nostro esperto quando applichiamo il metodo Luttazzi
ai Promessi Sposi? Ebbene, l' incontro tra l' Innominato ed il Cardinal Federigo non si
conclude in un abbraccio, ma questo sarebbe il preludio ad un bel rapporto sodomitico:
Così dicendo, stese le braccia al collo dell' Innominato; il quale, dopo aver
tentato di sottrarsi, e resistito un momento, cedette, come vinto da quell' impeto
di carità, abbracciò anche lui il cardinale, e abbandonò sull'omero di lui il suo
volto tremante e mutato. Le sue lacrime ardenti cadevano sulla porpora
incontaminata di Federigo; e le mani incolpevoli di questo stringevano
affettuosamente quelle membra, premevano quella casacca [...] etc. 37
Dopo questa infelice e banale fantasia su una versione oscena de I promessi sposi, Bellocchio
scrive: ‘A chi mai potrebbe venire in mente? A nessuno, tranne a Luttazzi’. Ma a Luttazzi non
è mai venuto in mente di scrivere una versione oscena de I promessi sposi, perché la geniale
invenzione è di Bellocchio stesso. Il quale inoltre sembra ignorare che una simile versione
esiste già negli annali della letteratura: era stata scritta da Guido da Verona negli anni Venti, e
venne poi proibita dal regime fascista il quale, in quel momento postconcordatorio, non
sembrava gradire la parodia del massimo testo del cattolicesimo italiano.
Lasciamo ai critici dell’inesistente, come Bellocchio, un giudizio comparativo tra la
parodia di Guido da Verona, quella di Bellocchio, e quella di Luttazzi, che comunque non
esiste ma è solo una fantasia ‘pedissequamente simmetrica’ di Bellocchio (per adoperare
contro di lui la sua stessa espressione).
37
P. Bellocchio, copia del ricorso ufficiale che accompagnava la richiesta del provvedimento d’urgenza al
Tribunale di Milano, 3 novembre 1995, p.14
20
1.7 Gender
Sulla scia delle questioni sollevate dal rapporto tra parodia e gusto potremmo chiederci se
forse l’identità di genere (gender) svolga un ruolo nello stravolgimento parodico e se tale
ruolo (ammesso che esso esista) sia strutturalmente rilevante nella creazione della ‘tensione’
tra testo parodico e testo parodiato.
Al di la della questione ‘giuridica’ sollevata dal caso Tamaro/Luttazzi, ribadiamo che
la Tamaro ha a più riprese tacciato la parodia di Luttazzi di ‘mancanza di gusto’, volgarità,
sessismo, e che tali accuse rientrano per tradizione nell’armamentario delle critiche
protofemministe rivolte all’universo espressivo maschile. Ma qui dobbiamo ricordare
l’assioma di Dario Fo e dello stesso Luttazzi, secondo il quale la parodia è strutturata (sia pure
in parte) sulla volgarità e se non sulla mancanza di gusto quantomeno su una sospensione
‘ermeneutica’ o messa tra parentesi della fruibilità estetica del testo parodiante. Ovvio poi che
tale sospensione rimette in discussione i parametri del buon gusto vigenti in un periodo
storico dato. Ecco allora che il ‘politically correct’ di un dato periodo storico nel quale nasce
l’opera parodiata può diventare ‘politically incorrect’ alla luce di questa sospensione parodica,
e gli assiomi e i tabù di gender possono rivelarsi pericolosamente ‘incorrect’.
Non vi è dubbio ad esempio che un certo sdolcinato buonismo post-romantico della
Tamaro venga ribaltato alla luce della parodia di Luttazzi, che ne mette in evidenza, sia pure
con un freudismo (volutamente) sbrigativo, le coordinate sessuali per così dire primitivi,
tribali o ritualistiche, mettendo così in luce il carattere retrogrado, conservatore, quasi
vittoriano e démodé del neodeamicisimo della Tamaro. Quindi la parodia di Luttazzi punta in
realtà a rendere palese il cattivo gusto di Va’ dove ti porta il cuore, proprio evidenziando,
stravolgendoli, i cliché di gender così ampiamente presenti nel libro della Tamaro.
L’apparente paradosso della parodia di Luttazzi è proprio questo: attraverso una
accentuazione dei cliché di gender, tali cliché vengono svuotati della loro ‘innocenza’ e
caricati per così dire della loro stessa latente volgarità. Quindi i cliché di gender, volutamente
usati da Luttazzi, vengono usati per evidenziare la volgarità latente, portandola alla luce, di
Va’ dove ti porta il cuore. In questo caso è il cattivo gusto ad essere volgare, non la denuncia
del cattivo gusto attraverso una sua enfatizzazione in chiave stravolta! La volgarità della
parodia evidenzia quindi la volgarità (inconscia) veicolata dal testo parodiato. Quasi a dire
che gli elementi parodici latenti del testo originale vengono semplicemente rispecchiati, come
in uno specchio deformante, dal testo parodiante.
21
Per riprendere un vecchio adagio di Oscar Wilde:‘non esistono testi morali od
immorali’ (come ritiene la Tamaro quando apertamente taccia Va’ dove ti porta il clito di
immoralità) ma testi di buono o cattivo gusto. Possiamo dire che Va’ dove ti porta il clito, al
di là della sua orchestrata e raffinata volgarità è un testo di ottimo gusto letterario, mentre il
libro della Tamaro, nel suo zuccheroso neodeamicisianismo, è un libro di pessimo gusto, e
quindi ipso facto volgare.
Che ruolo svolge dunque la polemica di gender nella parodia di Luttazzi? A mio
avviso un ruolo ideologico, nel senso che Va’ dove ti porta il clito è anche un monito a non
sacralizzare ed ideologizzare ciò che nell’universo femminile può essere semplicemente
cliché e cattivo gusto, spesso trincerato dietro i tabù del ’political incorrect’. Come dire che
l’esasperato sessismo della parodia di Luttazzi evidenzia il sessismo latente (ed inconscio) di
Va dove ti porta il Cuore, che l’orchestrata volgarità di Va’ dove di porta il clito mette in luce
la volgarità latente del libro della Tamaro, e così via. Il gioco dunque risiede nell’essere
artificialmente ‘politically incorrect’ per evidenziare la volgarità latente del ‘politically
correct’ del libro della Tamaro. Quindi si può dire che Luttazzi utilizzi, manipolandoli, i
clichés legati al ‘gender’ proprio per ridicolizzare alcune delle contrapposizioni ideologiche
legate alla lettura in chiave gender di opere letterarie.
Tornando al famoso assioma di Oscar Wilde non ha importanza se un autore sia uomo
o donna, a patto che l’opera letteraria non rimandi specificatamente ad una ideologizzazione
di pessimo gusto riconducibile a clichés di gender legati all’universo maschile o femminile.
Del resto, se lo stravolgimento parodico di Luttazzi non toccasse questo delicatissimo nervo
dei clichés sotterranei di gender impliciti nel libro della Tamaro, come spiegare le accuse di
volgarità e sessismo maschilista rivolte dalla stessa Tamaro a Luttazzi? Ancora una volta si
torna all’assioma Wildiano: le contrapposizioni ‘ideologiche’ (e quelle legate al gender
rientrano in questa categoria) non contano, conta solo il coefficiente di letterarietà, e quindi di
gusto, che un’opera d’arte riesce a palesare: parodia compresa.
22
2. Per una teoria della parodia
Tra le tante definizioni di parodia mi piace quella di Gino Tellini in Rifare il verso. La
parodia nella letteratura italiana: “è sbarazzineria, sberleffo, sconvenienza, trasgressione,
dileggio delle norme codificate. D’una scrittura si tratta, che ha intenti dilettevoli e faceti, che
appartiene all’aerea leggerezza del gioco. E il gioco, si sa, è una cosa seria”. 38 O come dice
Oscar Wilde: “Life is too important to be taken seriously” 39 .
La parodia ci mette in contatto con i meccanismi creativi che sono alla base del
prodotto letterario in senso lato. Si può dire che la parodia mette a nudo tali meccanismi, li
rende espliciti, li enfatizza, laddove l’opera letteraria tende invece ad occultarli, a mascherarli,
ad annebbiarli. Nel primo caso quello che conta è il viaggio. Nel secondo caso ciò che conta è
la destinazione. La nostra ipotesi è dunque che la parodia metta a nudo i meccanismi della
scrittura creativa, con una differenza sostanziale rispetto alla scrittura non parodistica:
A. La scrittura creativa non parodistica ha come ‘referente’ creativo un insieme
significante esterno alla scrittura stessa.
B. La scrittura parodistica ha come ‘referente’ creativo un insieme significante interno
alla scrittura. Si riferisce cioè ad una scrittura preesistente (o film, fumetto, quadro,
ovviamente in relazione al linguaggio espressivo prescelto).
Mi rendo ben conto che questi sono casi estremi e che certo, vi sono dei modificatori, ma in
questa tesi vorrei evitare teorizzazioni troppo esaustive.
Nel primo caso (A) abbiamo un sistema eteroreferente mentre nel secondo caso (B) abbiamo
un sistema omoreferente. Il sistema A è un sistema aperto, il sistema B è un sistema chiuso.
Proprio per il fatto che, in un sistema chiuso, sappiamo con una certa esattezza quale sia il
referente (nel caso della parodia il testo parodiato), possiamo studiare con maggiore chiarezza
i meccanismi usati dal testo parodistico per strutturarsi come ‘altro’ dal testo parodiato. Il
vantaggio del testo parodistico è che questo ‘altro’ viene dato per scontato e conosciuto (nel
nostro caso è Va’ dove ti porta il cuore della Tamaro) mentre nel caso di un testo non
parodistico questo ‘altro’ sarà più difficilmente evidenziabile.
38
39
Idem. p.11.
O. Wilde, Aforisms and thoughts, Oxford publishing, p.29
23
La parodia deve dunque, per così dire, mettere le carte in tavola per quanto concerne i
meccanismi e le regole della propria scrittura: le ‘occasioni’ testuali (per dirla con Montale)
sono ovvie e non necessitano ulteriori analisi.
2.1. Tipi di parodia
Vi sono parodie aperte e parodie chiuse. Nel primo caso l’autore della parodia imita lo stile, il
linguaggio, la metrica (in caso si tratti di poesia) e i temi dell’autore parodiato ma non ne
segue il testo passo per passo. Un esempio di parodia aperta è La Secchia rapita del Tassoni,
una parodia dei poemi epici in generale ma non di alcun poema epico in particolare 40 . Altri
esempi di parodia aperta sono The animal farm e il Don Quichote.
Nel secondo caso abbiamo parodie chiuse o semichiuse, nelle quali l’autore della
parodia segue con una certa fedeltà il testo originale (un testo ben preciso dunque) nella sua
sequenzialità narrativa. Un esempio di parodia chiusa o semichiusa sono le varie
manipolazioni di Cavalleria Rusticana, che seguono piuttosto fedelmente il libretto di
Mascagni. Altro esempio è Nonita, una parodia in Diario Minimo di Umberto Eco, che
racconta la storia di un adolescente innamorato di una vecchietta, che si basa sulla Lolita di
Nabokov. Al giorno d’oggi c’è Leandro Barocco che fà parodie semichiuse dei libri di
Alessandro Baricco: Senza Sugo (parodizza Senza Sangue) e Setola (parodizza Seta).
È uno dei rari casi in cui si parodizza un intero libro (si tratta quasi sempre e soltanto di
qualche capoverso o capitolo nel caso di prosa) come appunto Va’ dove ti porta il clito di
Luttazzi. Anche qui il testo segue piuttosto fedelmente Va’ dove ti porta il cuore di Susanna
Tamaro, ma aprendo spazi autonomi soprattutto a livello contenutistico: l’ossatura linguistica
è pressoché identica a quella della Tamaro ma i temi/contenuti assai diversi (come peraltro
vedremo nel quarto capitolo).
40
Il poema narra la storia del conflitto tra Bologna e Modena al tempo dell’imperatore Federico II.Tassoni
utilizza riferimenti storici documentati invertendone liberamente l’ordine: il furto della secchia avvenne secoli
dopo i conflitti tra le due città mentre nel testo del poema il furto diventa la causa della guerra. Lo scopo
dichiarato dal poeta fu quello del divertimento e non una elevazione né morale né religiosa dei lettori. Il poeta
trae ispirazione da un fatto realmente accaduto nel 1325, quando i Bolognesi, fatta irruzione nel territorio di
Modena, furono respinti ed inseguiti fino alla loro città dai Modenesi, che, fermatisi presso un pozzo per
dissetarsi, portarono via come trofeo di guerra una secchia di legno. Il Tassoni immagina che, al loro rifiuto di
riconsegnare la secchia, i bolognesi dichiarino guerra ai modenesi.
24
Ora possiamo elaborare un diagramma cartesiano: nei quattro quadranti avremo quattro
diversi tipi di parodia. Nel quadrante superiore i due tipi di parodia aperta: APERTA e
APERTA/CHIUSA. Nel quadrante inferiore avremo i due tipi di parodia chiusa: CHIUSA e
CHIUSA/APERTA.
|
|
APERTA/CHIUSA
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APERTA
|
---------------------------------------------------------------------|
CHIUSA
|
CHIUSA/APERTA
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Per i nostri scopi, vale a dire evidenziare i meccanismi della scrittura creativa (e quindi di un
certo senso della scrittura tout court) il quadrante più interessante è quello CHIUSO/APERTO
di cui parleremo più avanti.
Nella parodia APERTA il referente viene utilizzato solo come pretesto, in modo
globale, e non vi sono rimandi se non di genere al testo/testi parodiati poiché spesso vi è un
rovesciamento di un modello canonico. Le parodie aperte dunque non si riferiscono ad un
testo o a un’opera precisa ma ad un genere. Giovanni Boccaccio ad esempio, con gran talento
trasgressivo, gioca in modo geniale e dilettevole con la tradizione, in versi ed in prosa, orale e
scritta, sì da rimodulare di preferenza a suo gusto sequenze e vicende di romanzi antichi e
medievali, e trarre nuova musica dalla forma breve del racconto. “Le vite di santi, le leggende
in voga all’epoca, la ricca tradizione agiografica medievale si diffondono sul tema della
tentazione debellata, della seduzione che il Maligno esercita invano su monaci ed eremiti
sotto le mentite sembianze di candide e procaci fanciulle”41 .
Prendiamo ad espempio la novella di Alibech e Rustico (Decameron, III, 10) in cui il
modello canonico viene completamente rovesciato. Con il suo trattamento parodico,
Boccaccio sovverte e ribalta con leggerezza sorridente ed arguta l’esemplarità della vita
eremitica: il giovane devoto Rustico ricorre ad un inganno linguistico per ‘sedurre’
l’innocente fanciulla Alibech, che vuol soltanto ‘servire a Dio’. Il trucco verbale traveste
41
G.Tellini, Rifare il verso, p. 292
25
l’atto sessuale in pratica religiosa, lei assegna alla terminologia sacra un significato religioso,
crede a quelle parole, confermate dagli atti che comportano (come la ‘resurrezion della carne’,
‘mettere il diavolo in inferno’, ‘incarcerare quel maledetto da Dio’ ecc.):
Avenne che il giuco le cominciò a piacere, e cominciò a dire a Rustico: “Ben veggio che il ver dicevano
que’valentuomini in Capsa, che il servire a Dio era così dolce cosa; e per certo io non mi ricordo che
mai alcuna altra io ne facessi che di tanto diletto e piacer mi fosse, quanto è il rimettere il diavolo in
inferno; e per ciò io giudico ogn’altra persona, che ad altro che a servire a Dio attende, essere una
bestia”; per la qual cosa essa spesse volte andava a Rustico, e gli dicea: “Padre mio, io son qui venuta
per servire a Dio e non per istare oziosa; andiamo a rimettere il diavolo in inferno”. 42
La parodia APERTA/CHIUSA parte dalla parodia aperta ma approda a rimandi piuttosto
specifici ad opere preesistenti: è il caso della Batrocomiomachia, la satira greca che descrive
la battaglia tra le ‘batrachoi’ (le rane) e i ‘myes’ (i topi). Solo nel corso dell’opera essa
evidenzia dei rimandi specifici all’opera di Omero.
La parodia CHIUSA segue passo per passo il testo originale: spesso ne costituisce una
trasposizione pura e semplice. Bach ad esempio strumentalizza un’opera vocale, lo Stabat
Mater di Pergolesi. Il carattere ‘meccanistico’ della parodia chiusa la rende meno interessante
per studiare i meccanismi della scrittura creativa.
La parodia CHIUSA/APERTA, come quella di Luttazzi, parte da un ricalco
relativamente fedele alla sequenzialità narrativa del referente, ma aprendo e creando spazi
‘autonomi’: operando quindi una transcontestualizzazione. Per questo termine intendo,
utilizzando il concetto trans-contextualisation già elaborato da Linda Hutcheon nel 1985 nel
suo libro A Theory of Parody 43 , l’aggiunta di scene e/o elementi narrativi non presenti nel
testo originale e/o immediatamente riconducibili al testo originale.
Sulla strada del postmoderno, con la sua moda dei rifacimenti e delle riscritture, è
stata proposta questa nozione estensiva di parodia che non implica l’intento di rifare il verso,
ma semplicemente l’intento di recupero ironico, di ripetizione variata, di libero rifacimento:
“parody, then, in its ironic “trans-contextualisation” and inversion, is repetition with
difference” 44 . Questo spazio di transcontestualizzazione costituisce quindi in qualche modo il
perimetro di autonomia creativa della parodia rispetto al testo parodiato.
42
G. Boccaccio, Il Decameron, III, 10
Linda Hutcheon, A Theory of Parody, Cambridge, UPH, 1985
44
Idem, p. 14
43
26
Nel Nome della rosa ad esempio, Eco transcontestualizza personaggi, trama e persino
citazioni verbali da “The hound of the Baskervilles” in un mondo di monaci ed intreccio
testuale. Il suo Sherlock Holmes è Guglielmo da Baskerville; la sua voce narrante Watson è
Adson da Melk, il giovane benedettino che fa il notaio e spesso non sa che cosa scrive. In un
contesto di semiotica medievale e moderna
Eco’s hero’s first example of reasoning à la Holmes [...] takes a new meaning; the work
of the detective becomes an analogue for textual interpretation: both are active,
constructive and indeed more creative than true to fact. The deadly struggle over what turns
out to be Aristotle’s lost poetics of the comic provides the context for the attack, by the monk,
Jorge of Borgos, on the propriety of laughter45
Come vediamo l’altro contesto parodistico qui transcontestualizzato da Eco è l’opera di Jorge
Luis Borges. Nella sua complessità Il nome della rosa offre anche parodie della Coena
Cipriani, di altre opere d’arte (quelle di Brueghel e Bunuel ad esempio, per citarne solo due) e
di tante altre opere letterarie.
2.2. Transcontestualizzazione
Nella parodia abbiamo un doppio referente: un referente testuale ed uno extratestuale.
Il referente testuale può essere definito come quella parte del testo che direttamente o
indirettamente rimanda al testo parodiato, nel nostro caso a Va’ dove ti porta il cuore.
Il referente extratestuale – lo spazio libero insomma, di autonomia creativa - può essere
definito come quella parte del testo in cui Luttazzi, attraverso appunto la ‘transcontextualisation’, trans-contestualizza, cambia e gioca con certi elementi, prendendo in giro
clichés e convenzioni/stereotipi sociali, riferendosi non necessariamente al testo della Tamaro
ma aprendo spazi autonomi, creativi. Torneremo a tempo e luogo (capitolo IV) su questo
punto con esempi concreti, operando un’analisi comparativa.
Esiste dunque nella parodia che non sia solo chiusa o solo aperta, una bidirezionalità testuale.
Si potrebbe dire (basandoci su Kristeva, 1980): nel caso di una referenza testuale si ha una
trasgressione che si dà una legge (si va dunque da una trasgressione ad una normativa di tale
trasgressione, quello che semplificando potremmo definire uno ‘stile’) mentre nel caso di una
referenza extratestuale si ha una legge che anticipa la propria trasgressione: ‘parody’s
authorized transgression could also be seen as a conventional non-conventionallity, a
possession of history in order to ensure one’s place in history. 46
45
46
L. Hutcheon, A Theory of Parody, p.12
Idem, p.107
27
O, per dirla con Genette: in questo tipo di parodia CHIUSA/APERTA, ‘l’imitation produit la
différentiation’ 47 . Detto questo, possiamo elaborare lo schema seguente:
Parodia APERTA:
transcontestualizzazione multidirezionale
(tutti i referenti possibili)
Parodia APERTA/CHIUSA: transcontestualizzazione bidirezionale
(referente testuale ed extratestuale)
Parodia CHIUSA:
transcontestualizzazione monodirezionale
(referente testuale)
Parodia CHIUSA/APERTA: transcontestualizzazione bidirezionale
(referente testuale ed extratestuale)
2.2. Autonomia creativa
Lo schema soprastante può essere di qualche utilità anche in un contesto giuridico-letterario,
volto a determinare i confini tra originalità e plagio di un’opera letteraria.
Direi che solo una transcontestualizzazione chiusa (che ricalchi quindi fedelmente il testo
parodiato) può porre quesiti di legittimità ed autonomia del testo parodiante. In tutti gli altri
casi, potremmo dire che più la transcontestualizzazione è ‘aperta’ (bi o multidirezionale)
maggiore sarà l’autonomia creativa del testo parodiante rispetto al testo parodiato. Ad
esempio: sarebbe assurdo vedere nel Don Quichote (parodia aperta) un’operazione di plagio
nei confronti del testo da cui si ispira, il Don Quichote di Amadis de Gaula. In tal caso
(peraltro di parodia aperta, con transcontestualizzazione multidirezionale) il testo parodico è
talmente ‘transcontestualizzato’ e talmente superiore all’originale, che nessuno se ne ricorda
più. Nel caso del Don Quichote si ha un caso, abbastanza raro, nel quale la parodia ‘azzera’ il
testo originale, che viene per così dire messo tra parentesi, diventando una sorta di riferimento
‘zero’. In tal caso la parodia è talmente multidirezionale da diventare parodia di ‘genere’
(aperta) e non più parodia di un testo specifico.
Nel caso di Luttazzi, il testo parodistico ricalca piuttosto fedelmente gli schemi
narrativi ed i topos del modello parodiato. Ora, si può dire che, nel momento in cui la parodia
riesce a creare un’autonomia che riesca a conquistare l’interesse ed il sorriso del lettore a
prescindere dalla conoscenza che quest’ultimo ha del testo parodiato, crea una
multidirezionalità transcontestuale tale per cui può essere fruito sganciandosi o non
47
G. Gentte, Palimpsestes, p.184
28
sganciandosi dal suo referente.
Mi viene il dubbio che una delle ragioni che abbiano dato vita al processo intentato dalla
Tamaro a Luttazzi sia proprio, paradossalmente, il carattere autonomo, meravigliosamente
multidirezionale ed autarchico, del testo di Luttazzi. In altre parole Va’ dove ti porta il clito
può essere letto, goduto ed apprezzato, indipendentemente da Va’ dove ti porta il cuore. Ed è
forse proprio questa indipendenza transcontestuale ad avere irritato la Tamaro.
Nel caso specifico di Luttazzi la transcontestualizzazione non si libera, né pretende di farlo,
del testo originale, ma gioca ad un doppio livello: rimanda sempre, con una strizzatina
d’occhio, a Va’ dove ti porta il cuore, ma proprio nel momento della transcontestualizzazione
ribadisce la propria autonomia. Ma esiste un’autonomia dell’opera parodistica? Il concetto è
essenziale per stabilire il diritto ad una sua ‘territorialità’, e quindi la sua autonomia per così
dire artistica. Elaboriamo la seguente ipotesi:
tanto più accentuata è l’autonomia dell’opera parodistica rispetto all’opera parodiata,
quanto più la prima può essere letta ed apprezzata indipendentemente dalla seconda.
Un’opera parodistica è tanto più originale quanto meno, per essere apprezzata, presuppone la
conoscenza dell’opera parodiata. Paradossalmente, mi pare indubbio che Va’ dove ti porta il
clito può essere apprezzato come opera umoristica anche da coloro che non hanno letto Va’
dove ti porta il cuore della Tamaro. Anche se si tratta di un elemento anedottico, mi sembra
rilevante riferire che anni fa lessi il libro di Luttazzi senza avere ancora letto Va’dove ti porta
il cuore. Ricordo di avere apprezzato l’umorismo di Luttazzi a prescindere dunque da ogni
riferimento contestuale o transcontestuale. Ecco dunque che, secondo me, nella grande
parodia gli elementi contestuali (il riferimento più o meno stretto con l’opera parodiata)
assumano valenza di plusvalore, confermando che anche un’opera parodica possa essere letta
a molteplici livelli, laddove la parodia per così dire meno efficace può essere letta ed
apprezzata solo in un quadro di riferimento rigorosamente contestuale.
Tale assioma scavalcherebbe per così dire il perimetro della parodia, portandoci ad un
secondo assioma:
qualunque opera letteraria presuppone un referente.
Nel caso della parodia il referente è dichiarato: tangibile, analizzabile, dichiarato. Nel caso di
letteratura non parodica il referente non è dichiarato: può essere implicito, esplicito, allusivo o
29
non allusivo. Ma in qualche modo implicherà sempre una qualche trascendenza testuale,
qualche rimando ad altri testi.
2.3. Forma minore o superiore?
Se dunque la poetica può anche definirsi non come il testo letterario in sé ma la trascendenza
testuale che contiene in sé, le sue connessioni più o meno palesi con altri testi, forse è proprio
questa trascendenza a costituirne l’aspetto che più contribuisce alla sua identità testuale.
Riprendendo l’adagio di Genette che la letteratura – ogni forma letteraria – è sempre di
secondo grado, 48 allora la parodia può considerarsi la forma letteraria più pura, proprio perché
costituisce la forma letteraria di secondo grado per eccellenza.
La parodia da un lato viene considerata la forma più ‘parasitaria’ e rapsodica di
letteratura. Roland Barthes considerava la parodia in qualunque sua forma come una
‘appropriazione indebita di proprietà e poco nobile proprio per il suo spudorato essere di
secondo grado’. Secondo Barthes in effetti ‘any textual multivalence was a transgression of
property’. 49
Anche Amis era convinto che la parodia ‘was the philistine enemy of creative genius and
vital originality’ 50 . Altri critici ancora ‘reject what they see as parody’s superimposition of an
external order upon a work that is presumed to be original’ 51 . La Hutcheon dice a proposito di
questo:
What is clear from these sorts of attacks is the continuing strength of a Romantic
aesthetic that values genius, originality and individuality. In such a context, must
needs be considered at best a very minor form. [...] It is likely that the Romantic
rejection of parodic forms as parasitic reflected a growing capitalist ethic that made
literature into a commodity to be owned by an individual52 .
D’altro lato questa vicarietà, questa dipendenza, proprio perché ne mette a nudo senza mezzi
termini il carattere di secondo grado, rende la parodia testo letterario per eccellenza:
‘to some critics, parody makes the original loose in power, appear less commanding: to others
the parody is the superior form because it does everything the original does and more’ 53 .
Se la legittimità di un’opera d’arte viene definita non solo dal suo essere arte ma soprattutto
dal suo essere arte /DA (nella sua essenza intertestuale intendo) allora si può definire la
48
G. Genette, Palinsesti, pp.8-16
L. Hutcheon, A Theory of Parody, p.75
50
K. Amis, Introduction to New Oxford Book of Light Verse, 1978, p.89
51
Rovit 1963, p.80
52
L.Hutcheon, A Theory of Parody, p.4
53
Idem, p.76
49
30
parodia come la più ‘densa’ delle forme artistiche, dove la densità è per così dire doppia:
intertestuale e transtestuale, di rimando ed originale, rapsodica ma anche autonoma,
conservativa e rivoluzionaria:
Parody is normative in its identification with the Other, but it is contesting in its Oedipal need to
distinguish itself from the prior Other. [...] This ambivalence set up between conservative repetition and
revolutionary difference is part of the very parodoxical essence of parody; so, it is not surprising that
critics should disagree on the intent of parody 54
L’ambiguità della forma parodica, sempre in bilico tra discorso intertestuale e transtestuale
ne costituisce al tempo stesso la forza e la debolezza. Forza in quanto opera sempre, per usare
una metafora, in zone di frontiera, giocando quindi su doppi registri. Debolezza per la stessa
ragione.
2.4. Una classificazione genettiana
Adottiamo la classificazione dei 4 tipi di trascendenza testuale offerta da Genette nel suo
classico Palinsesti. La letteratura di secondo grado. Volendo evitare teorizzazioni esaustive,
mi permetto di semplificare un po’ questa classificazione da potersi riallacciare all’argomento
di questa tesi.
Intertestualità
Rimando ad un testo ben preciso. La parodia gioca dunque a carte scoperte nella dimensione
intertestuale. L’umorismo del testo parodico sta spesso nella sua dichiarata intertestualità ai
seguenti livelli:
- Intertestualità tematica
- Intertestualità situazionale
- Intertestualità traspositiva
- Intertestualità lessicale
54
L. Hutcheon, A Theory of Parody, p.77
31
Paratestualità
Relazione tra un testo ed il suo ‘paratesto’ (cioè titolo, sottotitolo, intertitoli, prefazioni,
postfazioni, avvertenze, premesse, note a margine, a piè di pagina e molti altri tipi di segnali
accessori).
Nel caso della parodia possiamo parlare di ‘interparatestualità’! : esiste un rapporto incrociato
tra i paratesti del testo parodiato e del testo parodiante. Prendiamo un esempio di natura
paratestuale; la dedica della Tamaro in Va’ dove ti porta il cuore e la dedica di Luttazzi in Va’
dove ti porta il clito:
TAMARO
A Pietro
LUTTAZZI
A Camilla.
E a Simonetta, Antonella, Isabella, Angela,
Margherita, Valeria, Anna, Gloria, Grazia,
Graziella, Eleonora, Cristina, Francesca, Danila,
Monique, Roberta, Catia, Laura, Simona,
Annalisa, Benedetta, Fiammetta, Luana, Dafne,
Maura, Clelia, Minerva, Lara, Franca, Esther,
Serenella, Maria Rita, Lea, Corrina, Rossella,
Kathy Elena, Iride, Violetta, Silvana, Flora,
Sara, Esmeralda, Angelica, Carolina, Bea, Judy,
Pia Bianca, Elvira, Marisa, Lietta, Fiona, Susy,
Celeste, Naomi, Barbara, Linda, Clara, Eva,
Monica, Rosanna, Laura, Dodi, Christy, Helen,
Vera, Giorgia, Stefania, Ninni, Francesca,
Donatella, Antoella, Bruna, Alessia, Ava,
Anastasia, Cora, Genny, Valentina, Iris, Luisa,
Deborah, Vanessa, Magda, Chicca, Lella, Sofia,
Veronica, Sandra, Mara, Germana, Peggy,
Diana, Brigitte, Giovanna, Mimma, Martina,
Marina, Rachele, Enrica, Coco, Babri, Betta,
Edoarda, Cecilia, Alessandra, Marcella, Emilia,
Cristiana, Isadora, Carla, Elisa, Enza, Micaela,
Annamaria, Greta, Paola, Roberta, Giorgina,
Jane, Natascia, Lisetta, Dolores, Frieda, Yuka,
Gertrude, Petra, Rosa, Adriana, Wanda,
Ambra, Lorenza, la Rossa, Silvia, Ghita,
32
Jacqueline, Alice, Elena, Viviana, Franca, Esmy,
Paola, Berta, Angie, Beatrice, Vera,
Mariagrazia, Cristina, Marisa, Diana, Martina,
Donata, Valentina, Chiara, Virna, Verde,
Alberta e Sabrina.
Sempre a livello paratestuale, in Va’ dove ti porta il clito poi ci sono delle ‘note del redattore’
(N.d.R) che in Va’ dove ti porta il cuore mancano ma che mettono a nudo, sottolineano con
efficacia la lentezza esasperata ed il sentimentalismo ad effetto del testo tamariano.
Ci si confronta quindi con la prospettiva straniata resa esplicita in N.d.R., di un primo
narratore (“R” appunto: alla lettera un “redattore”) che ingloba nel suo il punto di vista dell’io
narrante e, insieme, lo relativizza e lo costringe al vaglio implacabile dell’ironia (non c’è
alcuna traccia di ciò nel libro della Tamaro). A titolo d’esempio un brano a confronto:
TAMARO (p.58)
LUTTAZZI (p.73)
33
Nei primi tempi, è vero, sentivo ancora la
musica, era in sottofondo ma c’era. Sembrava
un torrente in una gola di montagna, se stavo
ferma e attenta, dal ciglio del burrone riuscivo
a percepire il suo rumore. Poi, il torrente si è
trasformato in una vecchia radio, una radio che
sta per rompersi. Un momento la melodia
esplodeva troppo forte, il momento dopo non
c’era più niente.
Ansimavo e sapevo che c’era un ordine superiore
delle cose e che in quell’ordine io ero compresa
assieme a tutto ciò che provavo. Anche se non
conoscevo la musica, qualcosa mi cantava dentro.
Non saprei dirti che tipo di melodia fosse, non c’era
un ritornello preciso né un aria. (Era un rap?
N.d.R.)
Seguiranno altri due passaggi a titolo d’esempio paratestuale, ma prima del secondo esempio
una piccola chiarificazione: laddove la Tamaro attribuisce al marito Augusto l’hobby del
collezionare insetti, Luttazzi cambia in modo creativo gli insetti in anguille e può così
trasformare i semplici segni dell’incubo. Anche qui dunque, una N.d.R:
TAMARO (p.104)
LUTTAZZI (p.121-122)
È un luogo comune che i cani dopo una lunga
convivenza con il loro padrone finiscano piano
piano per assomigliargli. Avevo l’impressione
che a mio marito stesse succedendo la stessa
cosa, più passava il tempo più in tutto per tutto
somigliava a un coleottero. I suoi movimenti
non avevano più nulla di umano, non erano fluidi
ma geometrici, ogni gesto procedeva a scatti. E
così la voce era priva di timbro, saliva con
rumore metallico da qualche luogo imprecisato
della gola. Si interessava degli insetti e del suo
lavoro in modo ossessivo ma, oltre a quelle
cose, non c’era nient’altro che gli provocasse un
benché minimo di trasporto. Una volta,
tenendolo sospeso tra le pinze, mi aveva
mostrato un orribile insetto, mi pare si
chiamasse grillo talpa. “Guarda che mandibole”,
mi aveva detto, “con queste può mangiare
davvero di tutto”. La notte stessa l’avevo
sognato in quella forma, era enorme e divorava
il mio vestito da sposa come fosse cartone. 55
Dicono che due esseri dopo una lunga convivenza
finiscono piano piano ad assomigliarsi. Ad
Augusto stava succedendo la stessa cosa, più
passava il tempo coi suoi esperimenti con le
anguille più in tutto e per tutto somigliava a loro. I
suoi gesti non avevano più nulla di umano, erano
sinuosi, viscidi. Quando gli stringevi la mano,
sembrava di stringere una seppia in umido, pareva
disossata da tempo. E la sua voce era ormai priva
di timbro, saliva con un sibilo gutturale da qualche
luogo imprecisato. Si interessava delle anguille in
modo ossessivo, io non gli provocavo lo stesso
trasporto. Una volta, mi aveva mostrato una
grossa anguilla, mi pare si chiamasse capitone.
“Guarda che curve”, mi aveva detto, “con queste
può sgattaiolare davvero ovunque.” La notte stessa
l’avevo sognato in quella guisa, era un’enorme
anguilla che entrava e usciva con facilità dalle mie
narici. (Mangiati il fegato, Sigmund! N.d.R.)
55
34
TAMARO
LUTTAZZI
Purtroppo siamo abituati a considerare
l’infanzia come un periodo di cecità, di
mancanza, non come uno in cui c’è più ricchezza.
Eppure basterebbe guardare con attenzione gli
occhi di un neonato per rendersi conto che è
proprio così. L’hai mai fatto? Prova quando te
ne capita l’occasione. Togli i pregiudizi dalla
mente e osservalo. Com’è il suo sguardo? Vuoto,
inconsapevole? Oppure antico, lontanissimo,
sapiente? I bambini hanno naturalmente in sé
un respiro più grande, siamo noi adulti che
l’abbiamo perso e non sappiamo accettarlo.
Purtroppo siamo abituati a considerare l’infanzia
come un periodo di mancanza, non come un’epoca
di perversione polimorfa. Eppure basterebbe
guardare con attenzione gli occhi di un neonato per
rendersi conto che è proprio così. L’hai mai fatto?
Ecco qua un neonato. (Dove? N.d.R.) Qui,
idiota. Questo neonato qui.Togli i pregiudizi dalla
mente e osservalo. Com’è il suo sguardo? Vuoto,
inconsapevole? Vabbè, perché adesso sta
dormendo, abbassagli pure le palpebre. Ma
guarda da sveglio, e ti accorgerai che il suo è lo
sguardo di uno stronzo. Non dirlo ai genitori, però.
Sono contenti di lui fino alla nausea.
Un altro esempio di tipo paratestuale troviamo nella forma del dialogo (non c’è in Va’dove ti
porta il cuore), che Luttazzi utilizza per fare il verso al suo modello. Questi dialoghi sono
degli intermezzi narrativi, sorprendenti, assurdi, dilettevoli:
A.
IO:
C’è così tanto vento che non riesco a sentire quello che dico.
FERNANDA:
Cosa hai detto?
IO:
Non lo so, c’è così tanto vento che non riesco a sentire quello che dico.
FERNANDA:
Divertente. Ma ne ho sentite di migliori. 56
B.
IO:
LUI:
IO:
LUI:
IO:
LUI:
C.
ZIA LOTTE:
56
57
Mi sembra di conoscerti da sempre
Anche a me
Chi eri in una vita precedente
Alessandro Cecchi-Paone
Alessandro Cecchi-Paone non è ancora morto!
No, ma dovrebbe 57 .
Certo che è vero
Va’dove ti porta il clito, p.71
Idem. p. 87
35
IO:
È vero zia che sai anche predire il futuro? 58
Architestualità
La collocazione di un testo entro i confini di un ‘genere’ determinato. Genette sottolinea che
la determinazione del genere a cui appartiene un testo non spetta al testo stesso, ma al lettore,
al critico, al pubblico, che possono benissimo rifiutare lo statuto rivendicato per via
paratestuale (menzione titolare o infratitolare come Versi, Saggi, Le Roman de la Rose,
racconto, poesie ecc.).
Capita comunemente di sentir dire che tale “tragedia” di Corneille non è una vera
tragedia, o che il Roman de la Rose non è un romanzo. Ma il fatto che questa relazione
sia implicita e soggetta a discussione (per esempio: a che genere appartiene la Divina
Commedia?) o a fluttuazioni storiche ([...]) non sminuisce assolutamente la sua
importanza: sappiamo quanto la percezione generica orienti e determini l’orizzonte
d’attesa del lettore, e quindi la ricezione dell’opera 59 .
Ora, la parodia di tipo transcontestuale come quella di Luttazzi, gioca su diversi registri di
architestualità: anzitutto presuppone, modificandolo e stravolgendolo, il contesto architestuale
dell’opera parodiata, Va’ dove ti porta il cuore. Da romanzo psicologico, Va’ dove ti porta il
cuore viene stravolto in un contesto architestuale completamente diverso. Quindi ogni opera
parodica di tipo aperto gioca almeno su due registri architestuali, mescolandoli, opponendoli,
mixandoli. Sia detto per inciso, il passaggio da un contesto architestuale ad un altro, e la loro
programmata ‘confusione’ è una delle leggi della scrittura umoristica ed in particolare di
quella parodistica:
Parody could be seen, then, as an act of emancipation: irony and parody can act to signal distance and
control in the encoding act. Perhaps this is what Gide intended: his greatest parody of the novel form is
paradoxically and ironically the only one of his works which he labled a novel: The Counterfeiters
60
(Les faux-monnayeurs).
58
Idem. p. 112
G. Genette, Palinsesti, p. 17
60
L. Hutcheon, A Theory of Parody, p.96
59
36
Metatestualità
Per ragioni di praticità uniformerò questa categoria a quella di ipotestualità (la relazione tra
un testo dato ed un testo precedente che ne costituisce il referente).
Qui vorrei introdurre una variazione sul concetto di Genette, che vede in ogni testo letterario
una relazione di tipo ipotestuale con uno o più altri testi:
A. Metatestualità aperta: è il caso di un’opera letteraria i cui riferimenti ipotestuali
non siano immediatamente evidenti, oppure siano molteplici.
B. Metatestualità chiusa: è il caso della parodia, soprattutto quando questa, come nel
caso di Luttazzi, si riferisce ad una ed una sola opera che ne costituisce il sostrato
ipotestuale.
Ora, se accettiamo la teoria di Genette, secondo la quale ogni opera letteraria può e deve
essere studiata in base a questi quattro principi generativi, possiamo formulare l’ipotesi di una
maggiore ‘ricchezza’ intertestuale, paratestuale, architestuale e metatestuale della parodia
rispetto all’opera parodiata. Maggiore sarà la ricchezza della parodia a questi quattro livelli,
maggiore sarà la sua efficacia e, in una gerarchia puramente ‘diversificativa’, maggiore sarà il
valore dell’opera parodica. Ciò in quanto ogni opera si articola sulla base di questi quattro
principi generativi (non solo le opere parodiche, dunque) e quindi nel caso della parodia le
cose si complicano, o per meglio dire si arricchiscono, visto che si finirà per operare su otto
livelli anziché quattro, e cioé i quattro livelli generativi dell’opera originaria (sempre presenti
in qualche modo, esplicito o latente nell’opera parodica) sui quali si innestano i quattro livelli
generativi dell’opera parodiante. Di qui la maggiore complessità dell’opera parodiante rispetto
all’opera parodiata, se non altro da un punto di vista genettiano.
In alcuni casi, e secondo me Va’ dove ti porta il clito è uno di questi casi, laddove la
ricchezza di questi quattro parametri è decisamente superiore a quella del testo parodiato:
la parodia offrirà al lettore – sia pure su un piano architestuale diverso – un prodotto più
articolato, più complesso e letterariamente più godibile dell’opera parodiata. È questo un
punto molto importante, che a mio avviso spiega le ragioni del processo intentato dalla
Tamaro per plagio nei confronti di Luttazzi. Credo che la Tamaro si sia resa conto della
ricchezza intertestuale e transcontestuale della parodia di Luttazzi rispetto alla povertà per
così dire ‘deamicisiana’ di Va’ dove ti porta il cuore.
37
3. Parodia e plagio
Ciò che mi interessa in questo capitolo è il carattere simbolico del processo Tamaro-Luttazzi,
il discorso che apre sull’intertestualità di ogni opera letteraria e il posto che la parodia occupa
in tale discorso.
Se ogni testo letterario è costruito ed architettato a partire da un rapporto intertestuale
con testi che lo hanno preceduto, allora ciò che definisce il plagio non può essere tale
intertestualità, o perlomeno bisognerebbe definire una specie di ‘soglia di intertestualità’ che
demarca il confine tra originalità e plagio. In termini paradossali Borges ha dimostrato, nel
Pierre Menard, che un’opera totalmente identica ad una precedente, ma scritta e pubblicata in
un contesto culturale/epocale diverso, sarà diversa dalla precedente.
3.1. Autotestualità
Esistono vari gradi di intertestualità, dove – ma siamo al limite del paradosso – l’opera più
originale sarà quella che non contiene alcun rimando intertestuale esplicito od implicito: una
tale opera, se accettiamo il paradigma intertestuale, non potrebbe nemmeno esistere, ma sarà
un’opera che potremmo definire autotestuale. Il concetto che qui introduco di autotestualità
ha una funzione puramente pratica: serve come polo teorico opposto al concetto di
intertestualità. Potremmo dire che la parodia spesso funga da elemento di identità per il testo
parodiato. In altre parole la parodia ricrea una nuova autotestualità che permette al lettore di
recuperare, sia pure attraverso il segno inverso, l’identità del testo parodiato. In altre parole
ancora, stravolgendo e rovesciando i valori del testo originale, la parodia crea quell’elemento
di autotestualità attraverso il quale il testo parodiato recupera la propria riflessività, il proprio
quid, la propria essenza.
Quindi non solo la parodia di qualità non plagia il testo parodiato, ma in qualche modo getta
una nouva luce su quest’ultimo, riformattandone per così dire in modo nuovo l’autotestualità:
restituisce attraverso la deformazione una dimensione di autonomia testuale al testo parodiato.
Ma ciò non implica alcun giudizio di valore su tale recuperata autonomia testuale: il fatto che
Va’ dove ti porta il clito getti nuova luce sull’autotestualità del testo della Tamaro, non da un
giudizio di valore, ma funge da identificatore: ci permette di ‘identificare’, sia pure in modo
nuovo, Va’ dove ti porta il cuore.
38
Ora, possiamo dire che la parodia permette al testo parodiato di essere se stesso in modo più
completo, esaustivo; proprio perché getta nuova luce sul testo parodiato, ne porta alla luce la
dimensione autotestuale. Il paradosso qui è il seguente: non solo la parodia di qualità non
opera mai plagio, ma si potrebbe affermare che l’opera parodiata prefigura i propri plagi, ed in
quelli ritrova la propria identità. Si potrebbe addiritura arrivare ad un paradosso di tipo
borgesiano, vale a dire: ogni grande opera plagia i propri plagiari ed in essi ritrova la propria
dimensione di originalità!
L’autotestualità dell’opera parodiata si riflette nell intertestualità palese e dichiarata
dell’opera parodiante, mentre a sua volta l’autotestualità dell’opera parodiante si riflette
nell’intertestualità proiettiva dell’opera da esso parodiata. Abbiamo dunque:
intertestualità retroattiva (dalla parodia al parodiato)
intertestualità proiettiva (dal parodiato al parodiante)
39
3.2 La parodia come momento psicoanalitico del testo
La ‘nonna’ di Va’ dove ti porta il cuore pensa ed agisce secondo una prospettiva di puro
sentimentalismo melodrammatico, comunque giustificata perché - per ragioni anagrafiche non può possedere cognizioni troppo precise e approfondite di femminismo e di psicanalisi.
Luttazzi vi sovrappone puntualmente
un esercizio di realismo esplicito, aperto ai singulti del riso, che sostituisce al cuore il
clitoride e al vagheggiamento ottocentesco di una nostalgia protofemminista il teatro attualissimo di
un’interiorità non saziata né pacificata, ma esposta ai rischi del trauma e della passione, del rimosso e di
una visibilità sociale tutta ancora da conquistare. A ciò si confanno gli eccessi e le incontinenze – e
anche e soprattutto sessuali – propri di una società che ha drammaticamente rinunciato a molti valori,
senza essere riuscita ancora a crearne dei nuovi 61
È stata liberissima, nonché premiata dalle vendite presso un pubblico di massa e ‘televisivo’,
la Tamaro di creare un’eroina che forse Flaubert non avrebbe ritenuto del tutto al passo
nemmeno con i tempi suoi e di Madame Bovary, ma assai più motivato pare Luttazzi nel
seguire le ragioni di una narrativa davvero nostra contemporanea, per la quale Freud e la sua
possibile parodia (come già accade in Svevo e in Gadda, dunque nella narrativa migliore in
lingua italiana) costituiscono il fondamento irrinunciabile di ogni rappresentazione
interiorizzata dell’individuo.
L’inconscio, lo sappiamo ormai fin troppo bene anche dalla pubblicità e dai tanti altri
messaggi subliminali a cui siamo soggetti, è sessuato e così il linguaggio che lo esprime, con i
suoi tic, i suoi controsensi, la sua radicale estremizzazione.
Potrebbe essere interessante operare una piccola escursione nel perimetro della
psicanalsi freudiana: è un po’ come se il testo venisse confrontato con il proprio ID attraverso
la decostruzione operata dalla parodia su di esso. Esiste un inconscio del testo, quello che
sopra abbiamo definito intertestualità proiettiva (dal parodiato al parodiante), ancora da
scoprire, da mettere a nudo attraverso la parodia, il testo attende di conoscersi, vedersi,
rispecchiarsi, ritrovarsi attraverso un elemento di identità.
Possiamo analizzare il testo parodico come momento psicoanalitico del testo: il momento
dove il testo tale e quale (l’Ego) viene analizzato alla luce delle sue relazioni intertestuali
profonde (l’ID), per infine approdare alla sua vera identità (Superego):
61
tratto dal sito ufficiale www.danieleluttazzi.it
40
Ego
TESTO PARODIATO
TESTO PARODIANTE
Cuore
Clito
Testo
Intertestualità
(retroattiva)
ID
Intertestualità
Testo
(proiettiva)
Superego
Autotestualità
Autotestualità
Facciamo attenzione al fatto che non stiamo parlando di contenuti, ma ci stiamo muovendo ad
un livello puramente strutturale. Va’ dove ti porta il clito qui non mi interessa per scoprire i
contenuti di Va’ dove ti porta il cuore, ma per evidenziare i meccanismi di scrittura per così
dire inconsci. Ecco allora che, sulla base di questa teoria, si può spiegare il senso di irritazione
che l’operazione parodica suscita negli autori delle opere parodiate: confrontati con l’ID delle
loro opere, con l’inconscio della loro scrittura, e quindi con le sorprese che tale operazione di
scavo della parodia all’interno dell’Ego dell’opera parodiata può comportare. Nel caso di
Va’dove ti porta il cuore tale operazione di scavo porta alla luce i seguenti elementi impliciti,
ma da Luttazzi brillantemente esplicitati. Ne estrapoliamo dieci:
A. L’irrealtà puberale del diarismo pattinato, proto-ottocentesco dello stile della
Tamaro.
B. La sessualità latente celata dietro l’edulcorato carattere deamicisiano di Va’dove ti
porta il cuore.
C. La scollatura tra drammatizzazione di tipo ottocentesco e realtà sociale dell’Italia
contemporanea.
D. Il sentimentalismo ad effetto della trama.
E. Tutte le variazioni possibili sul cliché dell’amore infelice.
F. Il ‘Teenagerismo’ e il feuilletonismo della trama: il diario segreto, l’amore
impossibile, il messaggio dopo la morte, il figlio segreto, l’amante perito
tragicamente.
G. Il carattere caotico della struttura non lineare.
H. Il carattere anacronistico della dialettica peccato/redenzione.
I. Lo storicismo semplicistico, di maniera.
J. La pseudointimità teenageriana della forma epistolare.
41
La parodia recupera quindi l’identità del testo parodiato, offrendogli l’opportunità di
riconoscersi in una dimensione di intertestualità proiettiva.
Il paradosso della parodia è che permette al testo parodiato di ‘ricrearsi’, di essere se stesso in
una doppia dimensione, quella della sua intertestualità proiettiva e retroattiva. Di qui il senso
di disagio che la grande parodia crea nel lettore, perché essa letteralmente riscrive il testo
parodiato all’interno delle sue possibilità latenti, e in tal senso contemporaneamente offre
l’elemento di identità all’opera parodiata ma aggiungendovi nuove dimensioni, sia
intertestuali che autotestuali. In questo senso la parodia può dirsi in qualche modo sempre
superiore al testo parodiato, perché da questo parte per creare una nuova dimensione
intertestuale ed autotestuale. Ciò avvalorerebbe la tesi di uno sviluppo dell’arte, che tende
sempre più ad arricchirsi nel tempo, proprio perché sempre più complesso diventa il gioco
dell’intertestualità: gioco che la parodia in qualche modo accellera con dichiarato artificio.
Il plagio allora opera un’operazione opposta: ricalca per diminuzione, non per
aggiunta: in qualche modo toglie, non offrendo alcun elemento di idenità all’opera su cui si
basa. Mentre la parodia aggiunge: dando per dato, scontato, il referente, lo riplasma, lo
stravolge, e comunque approda ad un prodotto che contenendo l’originale nella sua totalità
come referente esplicito, aggiunge qualcosa a questa totalità. In tal senso la parodia
(ovviamente la parodia di una certa qualità) è sempre più complessa dell’opera parodiata, in
quanto opera su due livelli: quello dell’intertestualità dichiarata, ma anche di una
autotestualità, quella del testo parodiante, che è altro dalla pura e semplice dipendenza
rapsodica dal testo parodiato.
Penso che l’errore comunemente commesso da chi giudica un’opera parodistica sia quello di
formulare un giudizio di valore, dove l’intertestualità e l’autotestualità dell’opera parodiata è
vista come un sistema chiuso invece che come un sistema aperto. La parodia è, tra le varie
forme letterarie, il sistema aperto per eccellenza, verrebbe da dire per antonomasia.
42
3.3. Bricolage
In quanto sistema aperto, la parodia rimanda ad una concezione della letteratura come
bricolage: riprendiamo qui il concetto elaborato da Levi-Strauss e dal suo saggio sulle culture
primitive, La pensée sauvage 62 .
Il concetto di bricolage può essere considerato come una riformulazione più vasta del
concetto di intertestualità: un’opera letteraria non è che una riformulazione in termini fai-da-te
di spezzoni, temi, suggestioni, echi di opere precedenti. La parodia si distingue da altre forme
letterarie solo in quanto il bricolage è dichiarato: e in quanto tale la parodia potrebbe definirsi
la forma letteraria per eccellenza, in quanto proietta a livello di autocoscienza, il meccanismo
di base che a livello inconscio, o quantomeno non dichiarato, è alla base di qualunque opera
letteraria.
Si potrebbe giungere alla conclusione opposta a quella formulata da Roland Barthes, il quale
considerava la parodia in qualunque sua forma come una ‘appropriazione indebita di
proprietà’: e cioè che la parodia in quanto forma di perfetta autocoscienza ‘bricolante’ è la
forma letteraria più alta e più sofisticata. O quantomeno la forma letteraria in cui più espliciti
sono i modelli generativi della scrittura che in altre opere sono latenti od oscuri.
Per usare una terminologia freudiana, la parodia può essere dunque vista come una
riformulazione e riorganizzazione conscia di meccamismi generativi che – a livello inconscio
- sono alla base della creazione di qualunque opera letteraria.
L’insieme ottenuto ricombinando ed elaborando i materiali ‘bricolati’ non può mai costituire
plagio nei confronti di tali materiali, e la ‘riconoscibilità’ di tali elementi di bricolage non è
sempre rilevante per giudicare l’opera parodiante. Basta, in altre parole, che il bricolage sia
dichiarato in partenza, o quantomeno talmente evidente da rendere superflue petizioni di
principio che riguardino la legittimità di tale riconoscimento.
62
Levi-Strauss, La pensée sauvage, les éditions minuit, 1963
43
4. Analisi comparativa
4.1. I titoli: uno scambio incrociato di valenze
Tipica della tradizione parodica è la contrapposizione tra contenuto/stile alto e contenuto/stile
basso. Si veda ad esempio questo brano di Maria Corti sulla profanizzazione di testi sacri nel
medioevo:
Gli esempi di parodia, presenti in tutto il corso della letteratura italiana, partono da lontano, addiritura
dal medioevo latino in cui accanto alla cultura tradizionale, istituzionalizzata nei suoi modelli, se ne
forma una trasgressiva, tacitamente riconosciuta anche dall’autorità ecclesiastica (secoli XI, XII, XIII),
nella quale le opposizioni alto / basso, spirito / carne, anima / corpo, ordinato / disordinato ecc., che
la codificazione ufficiale riconosceva con marca del positivo data al primo termine della opposizione 63
La definizione che la Corti ci dà di parodia si basa anche su questa opposizione: “Si ha
parodia quando i segni positivi di un testo vengono trasformati in segni negativi in un altro
testo, e viceversa, in modo da capovolgere il messaggio del testo di partenza” 64 . Si potrebbe
dire che quanto più una parodia sarà distruttiva, tanto più avrà conseguito una propria ragione
di esistere, in relazione al proprio sapere contrapposto e ‘negativo’.
Un esempio geniale è la famosa Missa potatorum o “Messa dei bevitori”, dove la
contrapposizione fra testo liturgico e sua parafrasi parodica raggiunge esiti raffinati e gustosi
attraverso la sostituzione non solo di vocaboli sacri con altri triviali, da taverna, ma ricorrendo
a opposizioni fonetiche; un esempio: la frase “qui vivit in saecula saeculorum, amen” diventa
“qui bibit in saecula” ecc., con l’esito parodico che il buon Dio “beve” nei secoli dei secoli.
I valori religiosi in questo caso vengono violentati. Per fare ciò è necessario mantenere una
continua aderenza al testo parodiato.
Altro esempio medievale famoso che la Corti descrive ampiamente è dato dal Dialogo di
Salomone e Marcolfo, dove tutte le massime del savio Salomone vengono rovesciate dal
rustico villano Marcolfo; anche qui ‘il parallelismo fra testo della sapienza salomonica e testo
oppositivo, contestatario di Marcolfo è costante e riflette l’esistenza di due contesti culturali
in dialettica’ 65 .
63
M. Corti, Modelli e antimodelli nella cultura medievale in Storia della lingua e storia dei testi, Milano,
Ricciardi, 1989.
64
Nell’appendice di Va’ dove ti porta il clito, p.181
65
M. Corti, Modelli e antimodelli nella cultura medievale in Storia della lingua e storia dei testi, p.47
44
Quindi la parodia, spesso fin dal titolo, stravolge il campo semantico. Questo stravolgimento
mette a nudo la polisemantizzazione fortemente legata a certi vocaboli, e il carattere
culturalmente ‘cristallizzato’ di tali semantizzazioni. Le associazioni legate alla parola ‘cuore’
sono infatti fortemente stereotipate.
La genialità di Luttazzi sta, secondo me, nell’avere selezionato il termine per così dire dotto di
‘clito’, e non quello più immediatamente e meccanisticamente contrappositivo di ‘figa’, o
qualunque altro termine dialettale o di slang di uso comune. La goliardizzazione in senso
sessuale del termine ‘clito’ acquista così un carattere alto, quasi accademico, che mette in luce
in modo ancora più efficace l’ambiguità culturale e stereotipica del termine ‘cuore’.
L’intertestualità lessicale viene così ribaltata: il termine ‘clito’ acquista una valenza dotta,
accademica, quasi asettica, proiettando oppositivamente sul termine ‘cuore’ valenze di
ambiguità, banalità, e facendone per così dire ‘esplodere’ le valenze lessicali antiquate,
stereotipate.
La genialità del ribaltamento sta nel fatto che si opera una volgarizzazione del termine ‘cuore’
ed una nobilitazione del termine ‘clito’: tale ‘scambio incrociato di valenze’ rimanda, sin dal
titolo, alla volgarità latente del testo parodiato: volgarità e cliché sono fortemente accomunate
nell’ottica di Luttazzi. A rinforzare poi la genialità di questo ribaltamento sornione c’è poi
l’uso di due vocaboli che iniziano con la stessa lettera.
Grazie a questo stravolgimento semantico-culturale, Luttazzi mette in tavola il tema
principale della sua parodia, attraverso un solo vocabolo: vale a dire le valenze sessuali
implicite presenti nel testo della Tamaro. Schematizzando i rapporti tra la parola cuore e clito,
Luttazzi opera:
A. Uno stravolgimento di ordine semantico
B. Giocando sulla relativita allitterazione dei due termini, ne sottolinea la diversità
C. Stravolge il rapporto stereotipico tra ordine ´alto´ e ordine´basso´.
D. Riassume grazie ad un solo termine non solo il tema principale della sua parodia,
ma uno dei suoi elementi stilistici pricipali, vale a dire il continuo gioco di rimandi
lessicali e contenutistici tra termini-tematiche dotte e termini-tematiche volgari.
45
SCHEMA
CUORE
CLITO
termine alto
termine basso
termine stereotipico
termine ´neutro´
ambiguità semantica
termine disambiguato
architestualità: feuilleton
architestualità: parodia
4.2. Esercizi di raffronto
Poiché la parodia raggiunga i suoi effetti ironici e dissacranti, il testo di origine deve essere
chiaramente riconoscibile. Se non lo fosse verrebbe meno proprio quell’elemento strutturale
del confronto e del riferimento al testo oggetto della parodia che caratterizza questo genere.
Notiamo però che i riferimenti del testo parodico non sono quasi mai citazioni letterali, ma
citazioni modificate o “stravolte” almeno in qualche elemento. Come spiega Patrizia
Violi 66 nel appendice di Va’ dove ti porta il clito, parlando di parodia:‘la parodia deve operare
contemporaneamente su due piani: da un lato riconoscibilità testuale con il testo di partenza,
dall’altro spostamento su di un diverso livello, che ne rappresenta un abbassamento e una
dissacrazione’ 67 . È senza dubbio questo il senso dell’operazione attuata nel testo di Luttazzi,
testo che modifica sostanzialmente la trama del romanzo di Tamaro, ma ne mantiene costanti
ed espliciti i riferimenti al piano formale e linguistico, a partire dal titolo stesso che è un
evidente calco del testo fonte.Tutto il testo è costruito secondo questa lettura parallela e
alterata del testo originario, come si vede dai seguenti esempi presi dalle primissime pagine
dei due libri:
TAMARO
LUTTAZZI
Sei partita da due mesi, a parte una cartolina
nella quale mi comunicavi di essere ancora viva,
non ho tue notizie (p.9)
Amore! Sei partito da dieci ore e da dieci ore, a
parte una tua telefonata dall’interno del DC-9
che ti sta portando in America a proposito
dell’inconveniente capitato a bordo (al momento
di sorvolare le Alpi, una hostess si è accorta che i
due piloti erano rimasti a terra), a parte la
66
67
p. 176
appendice di Va’ dove ti porta il clito, p.180
46
telefonata, dicevo, da dieci ore non ho tue notizie.
(p.9)
Questa mattina, in giardino, mi sono fermata a
lungo davanti alla tua rosa. (p.9)
Così una mattina, mentre facevamo colazione,
hai detto: “Voglio una rosa”. (...) Naturalmente,
oltre alla rosa, volevi anche una volpe. Con la
furbizia dei bambini avevi messo il desiderio
semplice davanti a quello quasi impossibile.
Come potevo negarti la volpe dopo che ti avevo
concesso la rosa? Su questo punto abbiamo
discusso a lungo, alla fine ci siamo messe
d’accordo per un cane. (p.9)
Siamo tornate al canile per tre giorni di
seguito. C’erano più di duecento cani là dentro
e tu volevi vederli tutti. Ti fermavi davanti a
ogni gabbia, stavi lì immobile e assorta in
un’apparente indifferenza. (p.10)
Stamattina, mentre dormivi, mi sono fermata a
lungo davanti al tuo membro in erezione. (p.10)
Così una mattina, mentre facevo colazione, ho
esclamato: “Voglio un vibratore”. (...)
Naturalmente, oltre al vibratore, volevo anche la
Marchesa van Lox. Con la furbizia delle
baldracche avevo messo il desiderio semplice
davanti a quello quasi impossibile. Come potevi
negarmi la Marchesa dopo che mi avevi concesso
il vibratore? Su questo punto abbiamo discusso a
lungo, alla fine ci siamo messi d’accordo per un
travestito sudamericano. (p.12)
Siamo tornati sui viali per tre notti di seguito. I
travestiti là fuori erano più di due e io volevo
vederli tutti. Ti facevo fermare davanti a ciascuno,
assorta in un’apparente indifferenza. (p.13)
Ora, come si pùo vedere tutti gli esempi citati sono strutturalmente caratterizzati da due tratti:
1. Un elemento comune di tipo formale, sia sul piano della scelta lessicale che della
sintassi.
2. Un elemento di stravolgimento, che opera sul piano del contenuto in senso eroticosessuale.
Il testo della Tamaro non è quindi riprodotto letteralmente, ma evocato costantemente
attraverso quelle che potremmo definire “citazioni parziali”: la forma linguistica è mantenuta
pressoché identica, ma ne sono stravolti il senso e l’effetto, come appunto è tipico della
parodia. Proprio la frequenza massiccia di queste “citazioni parziali” conferma e sottolinea la
natura parodistica del testo di Luttazzi; nella parodia infatti il testo fonte deve essere sempre
47
riconoscibile. Per quanto riguarda questa riconoscibilità, La Violi dice nell’appendice di Va’
dove ti porta il clito, che ‘quanto più una parodia resta aderente alla forma del testo originario
(salvo le già rilevate operazioni di stravolgimento locale) tanto più conferma il suo carattere
parodistico’ 68 . Che il testo di Luttazzi segua quindi quasi alla lettera il suo originale di
riferimento non ne inficia la natura parodistica ma al contrario la enfatizza.
Va anche ricordato che la parodia opera sempre dall’alto verso il basso, cioè nella direzione
di un “abbassamento” dello stile e/o del contenuto del testo fonte. Già Bachtin sottolineava
questo aspetto, collegando esplicitamente la parodia alla satira del comico carnevalesco in cui
ogni valore tradizionale è dissacrato, irriso e ribaltato. La parodia è quindi per sua natura
snaturante, e ciò avviene molto spesso su di un piano in genere oggetto di interdetto e tabù,
come ad esempio quello sessuale, pornografico:
another form that acts as a frequent parodic model is that of pornography, a popular art (of sorts) that
makes critics even more uneasy than ever, although it is precisely this erotic form that Bakhtin’s
insights on the carnival’s valorization of the “material bodily lower stratum” illuminate best. 69
Non per questo abbassamento la parodia è genere basso o minore: esempi illustri si trovano in
tutta la storia letteraria, da Gadda che ne La cognizione del dolore parodizza Manzoni, a
Umberto Eco e la sua celebre parodia della Lolita di Nabokov. Non solo, ma il testo oggetto
della parodia deve essere un testo noto e riconosciuto: ‘durante il carnevale non era l’uomo
comune ad essere oggetto di parodia e satira, ma il re, il principe, i potenti in vista. Questa
caratteristica rimane anche oggi in ogni operazione parodica’ 70 e certamente nel testo in
questione.
È quasi inutile sottolineare il successo straordinario del libro della Tamaro, sia per le copie
vendute che per l’enorme eco che ha suscitato nella stampa e in tutti i mezzi di
comunicazione. Tale successo lo ha reso un effettivo “modello”, più facile bersaglio di una
operazione di riscrittura parodica.
68
Ibidem
L. Hutcheon, A Theory of Parody, p.82
70
G. Tellini, Rifare il verso, p. 87
69
48
4.3. Universalmente amata
Come risulta da parecchi articoli, la prima richiesta della Baldini&Castoldi insisteva sul fatto
che la scrittrice è universalmente “amata” (checché voglia dire quella frase: o è amata da
quelli che la amano, o il solo segno di “amore” sembra essere l’acquisto di un suo libro), e la
sua opera e il suo nome vengono infangati dall’operazione di Luttazzi.
La Tamaro nel suo libro si riferisce in abbondanza a Le petit prince di Antoine de
Saint Exupéry, un libro altrettanto “universalmente amato” e da parecchio tempo, un libro su
cui è cresciuta l’infanzia di mezza umanità. Ebbene, esiste una celebre parodia dell’opera di
Saint Exupéry, la canzone Gérard Lambert del cantante francese Renaud che ha venduto
milioni di dischi (quindi sarebbe anche lui “universalmente amato”?).
Nell’opera originale di Saint Exupéry un aviatore si trova con il suo aereo en panne nel
deserto, e viene visitato da un principino biondo che gli chiede a più riprese di disegnargli una
pecorella. L’aviatore gli disegna invece un boa che ha inghiottito un elefante, il solo disegno
che sappia fare.
Nella canzone di Renaud, Gérard Lambert 71 , un giovanotto con il motorino, ritorna in città
dalla periferia di Parigi e finisce la benzina nel cuore nella notte. Nella sua disperazione cerca
di rubare della benzina da una macchina ma non funziona con il suo motorino a due tempi e,
arrabbiatissimo, sgonfia le gomme della macchina:
Quand soudain lui vient une idée
Je vais syphonner un litre ou deux
Dans le réservoir de cette bagnole
Et puis après je lui crève les pneus
In quel momento arriva l’innocente principino biondo che gli chiede di disegnarli una
pecorella, o una donna nuda, o una rivoltella, o quello che vuole:
71
Da ascoltare su: http://www.youtube.com/watch?v=Ht1PF3S7V-s&feature=related
49
A ce moment-là un mec arrive
Un petit loubard aux cheveux blonds
Et qui lui dit comme dans les livres
S’il te plait dessine moi un mouton
Une femme à poil ou un calibre
Un cran d'arret, une mobylette
Tout ce que tu veux, mon pote, t'es libre
Mais dessine-moi quelque chose de chouette
Dans le lointain il s'passe plus rien du moins il me semble
Gérard con un colpo di chiave inglese bene assestato tra gli occhi spacca la testa “au petit
prince de mes deux”, diciamo “al piccolo principe dei miei (censura)”:
Alors d'un coup de clé à molette
Bien placé entre les deux yeux
Gérard Lambert éclate la tête
Du Petit Prince de mes deux
Faut pas gonfler Gérard Lambert
Quand il répare sa mobylette
C'est la morale de ma chanson
Moi j'l'a trouve chouette
Pas vous ? Ah bon...
Si tratta certo di una parodia dissacrante, ma nessuno ha mai protestato: né gli eredi, né gli
innumerevoli ammiratori del grande scrittore francese, né la sua casa editrice. Tutti hanno
pensato che si trattasse di una legittima (e spiritosa) operazione parodica, che consacra - sia
pure prendendolo in giro - lo scrittore originale.
50
4.4. Ultimi esercizi di raffronto
Ora, leggiamo il seguente brano della Tamaro, poi quello di Luttazzi, per fare un altro
esercizio di raffronto:
TAMARO
LUTTAZZI
Al suo sesto anno di università, preoccupata da
un silenzio più lungo degli altri, presi il treno e
andai a trovarla. Da quando stava a Padova non
l’avevo mai fatto. Appena aprì la porta restò
esterrefatta. Invece di salutarmi mi aggredì:
“chi ti ha invitata?” e senza neanche darmi il
tempo di rispondere aggiunse: “avresti dovuto
avvertirmi, stavo proprio uscendo. Stammatina
ho un esame importante”. Indossava ancora la
camicia da notte, era evidente che si trattava
di una bugia. Finsi di non accorgermene, dissi:
“pazienza, vuol dire che ti aspetterò e poi
festeggeremo il risultato assieme”. Di lì a poco
uscì davvero, con una tale fretta che lasciò i
libri sul tavolo. Rimasta solo a casa feci quello
che avrebbe fatto qualsiasi altra madre, mi
misi a curiosare tra i cassetti, cercavo un
segno, qualcosa che mi aiutasse a capire che
direzione aveva preso la sua vita. Non avevo
intenzione di spiarla, di compiere opere di
censura o inquisizione, queste cose non hanno
mai fatto parte del mio carattere. C’era solo
una grande ansia in me e per placarla avevo
bisogno di qualche punto di contatto. A parte
volantini e opuscoli di propaganda
rivoluzionaria, per le mani non mi capitò altro,
non una lettera, non un diario. Su una parete
della stanza da letto c’era un manifesto con
sopra scritto: “la
famiglia è ariosa e stimolante come una camera
a gas”. A suo modo quello era un indizio. Ilaria
entrò nel pomeriggio, aveva la stessa aria
trafelata con la quale era uscita. “Come è
andato l’esame?” le domandai con il tono più
affettuoso possibile. Sollevò le spalle. “Come
Al suo decimo anno di università, preoccupata da
un silenzio di tre giorni (nella segreteria telefonica
aveva registrato il suono di un telefono occupato),
mi infilai in un girello e andai a trovarla. Da
quando stava a Madrid non l’avevo mai fatto.
Appena aprì la porta restò esterrefatta. Invece di
salutarmi mi aggredì: “Chi diavolo sei?” Avevo
sbagliato appartamento. Dopo un pomeriggio di
ricerche trovai il suo. Lei non c’era. Allora feci
quello che avrebbe fatto qualsiasi altra madre,
andai sul retro, ruppi una finestra ed entrai. Sentii
un urlo: “insomma, che diavolo
vuoi?” Era la ragazza di prima. Staffilandomi
con uno knut, la ragazza mi condusse
all’appartamento di Giovanna. La porta era
aperta, ma Giovanna non c’era. Allora feci quello
che avrebbe fatto qualsiasi altra madre, mi misi a
curiosare nei cassetti. Avevo intenzione di spiarla,
queste cose fanno parte del mio carattere.
Nell’armadio trovai volantini e opuscoli di
propaganda religiosa, e un turibolo pieno
d’incenso ancora fumante. Le pareti della sua
camera da letto erano ricoperte di crocefissi
sanguinanti. Certa gente è capace di inventarsi le
cose più strane per passare le serate. Quando
Giovanna rientrò nel primo pomeriggio, non potei
fare a meno di notare la sua espressione, aveva
51
tutti gli altri”, e dopo una pausa aggiunse, “sei
venuta per questo, per controllarmi?” Volevo
evitare lo scontro, così con tono quieto e
disponibile le risposi che avevo un solo
desiderio ed era quello di parlare un po’
assieme. “Parlare?” repeté incredula. “E di
cosa? Delle tue passioni mistiche?” “Di te
Ilaria”, dissi allora piano, cercando di
incontrare i suoi occhi. Si avvicinò alla finestra,
teneva lo sguardo fisso su un salice un po’
spento: “non ho niente da raccontare, non a te
almeno. Non voglio
perdere tempo in chiacchiere intimiste e
piccolo borghesi” 72 .
quell’aria da io-sono-più-santa-di-te che mi irrita
tanto in Madre Teresa di Calcutta. “Come vanno
gli esercizi spirituali?” le domandai col tono più
affettuoso possibile. Fece un balzo di spavento.
“Sei matta a farmi delle sorprese così?” urlò,
attaccandosi al flaconcino della digitale, “mi hai
spaventato i pesci!”. “E tutto il pomeriggio che
t’aspetto. Dov’eri, in lavanderia a inamidare il
cilicio?” Sollevò le spalle e prese un’ostia dal
frigo.Volevo evitare lo scontro, le dissi che avevo un
solo desiderio ed era quello di parlare un po’
assieme. Non si capiva niente. Decidemmo di fare i
turni: prima diceva qualcosa lei, poi dicevo
qualcosa io. Puntai su qualcosa di neutro, che però
potesse interessarla.
“Hai letto il decalogo cui devono attenersi i creatori
di videogiochi Nintendo?” dissi, cercando di
palparle il sedere. Sgattaiolò verso la finestra,
teneva lo sguardo fisso sul campanile della chiesa di
fronte. “Lo conosco a memoria, è la versione
Fiorucci del decalogo di Mosé” 73 .
Vediamo uno scardinamento in chiave umoristica della monotonia sintattica del testo della
Tamaro, una giustapposizione di frasi con scarso o nullo uso di frasi subordinate:
Andai a trovarla.
Appena aprì la porta restò esterreffatta.
Invece di salutarmi mi aggredì.
Indossava ancora la camicia da notte
Finsi di non accorgermene.
Luttazzi usa lo stesso stile, frasi senza uso di subordinate: questa tecnica giustappositiva
permette a Luttazzi di creare una ‘distanza’ oggettivante tra narratore e narrato, dentro la
72
Va’ dove ti porta il cuore, pp. 48-49
52
quale la monotonia del tessuto narrativo (A+B+C+D...) viene oggettivata mantenendo la
stessa cadenza (frasi corte e semplici senza subordinate) ironizzando sui contenuti. Viene
insomma mantenuto lo stile originario, ma la banalità dei contenuti viene fatta esplodere
sostituendoli con contenuti che mantengono lo stesso carattere informale, colloquiale, ma che
sono evidentemente assurdi:
TAMARO
LUTTAZZI
Presi il treno e andai a trovarla
Mi infilai in un girello e andai a trovarla
Aveva la stessa aria trafelata con la quale era
uscita
Aveva quell’aria da io-sono-più-santa-di-te che
mi irrita tanto in Madre Teresa di Calcutta
La banalità dei contenuti (‘nel suo armadio trovai volantini di propaganda rivoluzionaria’)
viene ribaltata con una banalità altrettanto stereotipata, gli opposti si ricongiungono nella loro
tremenda banalità: ‘nel suo armadio trovai volantini di propaganda religiosa’. È questo uno
degli stratagemmi più frequenti di Luttazzi: lo stravolgimento di un cliché usando un cliché
opposto, ma non per questo meno stereotipato. Le ‘passioni mistiche’ della madre vengono
attribuite, con valenza trasgressiva, alla figlia.
La accentuazione dei contenuti piccolo-borghesi, per così dire sentimentalistici e deamicisiani
della Tamaro vengono poi messi in rilievo grazie ad un’altra tecnica, la riduzione in termini
puramente contenutistici delle spiegazioni (spesso offerte con termini da rotocalco) che la
Tamaro dà delle proprie azioni o sentimenti. Un esempio lampante:
TAMARO
LUTTAZZI
Rimasta sola a casa feci quello che avrebbe
fatto qualsiasi altra madre, mi misi a curiosare
tra i cassetti, [...] non avevo intenzione di
spiarla, [...] queste cose non fanno parte del
mio carattere.
Allora feci quello che avrebbe fatto qualsiasi altra
madre, mi misi a curiosare nei cassetti. Avevo
intenzione di spiarla, queste cose fanno parte del
mio carattere.
73
Va’ dove ti porta il clito, pp.62-63
53
Poi vediamo uno stravolgimento delle motivazioni, il sentimentalismo tamariano viene
scambiato per un dilettevole assurdismo, spesso sessualizzato:
TAMARO
LUTTAZZI
Così con tono quieto e disponibile le risposi che
avevo un solo desiderio ed era quello di parlare
un po’ assieme. “Parlare?” repeté incredula. “E
di cosa? Delle tue passioni mistiche?”
Le dissi che avevo un solo desiderio ed era quello di
parlare un po’ assieme. Non si capiva niente.
Decidemmo di fare i turni: prima diceva qualcosa
lei, poi dicevo qualcosa io. Puntai su qualcosa di
neutro, che però potesse interessarla. “Hai letto il
decalogo cui devono attenersi i creatori di
videogiochi Nintendo?” dissi, cercando di palparle
il sedere.
Quindi notiamo:
- rispetto delle scelte stilistiche dell’originale (frasi brevi, senza subordinate)
- stravolgimento dei contenuti (propaganda rivoluzionaria/propaganda religiosa)
- stravolgimento delle motivazioni (spesso ‘sessualizzate’: ‘cercando di palparle il
sedere’), ‘assurdizzandole’: parlare un po’ assieme/non si capiva niente/decidemmo
di fare i turni.
Un altro esercizio di raffronto fra il Cuore e il Clito, può riuscire ulteriormente esemplare
della qualità parodica del testo di Luttazzi rispetto al proprio modello.Verso la fine del suo
libro, Susanna Tamaro descrive il tumulto provocato nella vita della protagonista narrante
dall’attesa di un figlio:
Dopo un mese era ormai plausibilissimo che quel figlio fosse suo. Il giorno in cui gli
annunciai il risultato delle analisi lasciò l’ufficio a metà mattina e passò tutta la giornata
con me a progettare cambiamenti in casa per l’arrivo del bambino. Quando avvicinando la
mia testa alla sua gli gridai la notizia, mio padre prese le mie mani tra le sue mani (...). Già
da tempo la sordità l’aveva escluso da gran parte della vita e i suoi ragionamenti
procedevano a scossoni, tra una frase e l’altra c’erano vuoti improvvisti, scarti o spezzoni
di ricordi che non c’entravano niente (...). Naturalmente, dopo aver ricevuto il responso
delle analisi, scrissi anche a Ernesto; la sua risposta arrivò in meno di dieci giorni
(...). Le sue parole erano pacate e ragionevoli. “Non so se questa sia la cosa migliore da
farsi”, diceva,“ma se tu hai deciso così, rispetto la tua decisione”.
Luttazzi “traduce” da par suo l’episodio e riporta ciò che Tamaro si limitava a descrivere con
profusione di aggettivi (e anche con una lentezza esasperata...) all’estremo di un’inventività
linguistica davvero notevole ed intelligente. Le sillabe crepitano sulla pagina e l’equivoco, lo
scambio di termini e di lettere, infine la degradazione del linguaggio ad onomatopea o a suono
54
inarticolato rappresentano in modo ben più diretto e “sensibile” lo stato di disagio e di
incertezza latente del contesto psicologico di partenza. A ciò, su un piano stilistico, vorrei
aggiungere alcune altre qualità positive:
- la sintesi
- l’essenzialità sintattica
- l’esibizione in chiave satirica del tecnicismo medico (“protrudevano”)
- la fusione fantasmatica tra i due interlocutori di chi narra
- l’autonomia fonemica delle lettere staccate dal loro insieme di parola
- la fantastica confusione tra bambino e tombino.
Scrive infatti Luttazzi:
Quel giorno lasciò l’ufficio a metà mattina e passò tutta la giornata con me, gli occhi umidi e rossi
che
protrudevano dalla commozione, a progettare cambiamenti in casa per l’arrivo del tombino.
Tombino?
Quale tombino, brutto scemo? Bambino, sto aspettando un b-a-m-b-i-n-o. Già da tempo la
sordità
l’aveva escluso da gran parte della vita e i suoi ragionamenti procedevano a scossoni, tra una
frase e
l’altra c’erano vuoti improvvisi riempiti da scarti fonemici che non centravano niente, quali grof,
tmipl e
zsa zsa. Comunicai la buona notizia anche a Francois. Mi rispose che rispettava profondamente
la
mia decisione e cambiò indirizzo, rendendosi irreperibile.
È peraltro una tecnica che Luttazzi usa spesso nel fare il verso alla Tamaro, quella di riportare
ciò che la scrittrice triestina si limita a descrivere con profusione di aggettivi e consiste in un
gioco di degradazione del linguaggio ad onomatopea o a suono inarticolato. Con inventività
linguistica ed un’essenzialità sintattica Luttazzi gioca con i suoni, rendendo bizzarremente
espliciti i dialoghi e le ‘esclamazioni’:
TAMARO
LUTTAZZI
55
Durante i pranzi stavamo ormai quasi in
silenzio, quando mi sforzavo di raccontargli
qualcosa rispondeva sì e no con un monosillabo.
La sera poi andava spesso al circolo, quando
rimaneva a casa si chiudeva nel suo studio a
riordinare le collezioni di coleotteri. Il suo
grande sogno era di scoprire un insetto che
ancora non fosse noto a nessuno, così il suo
nome si sarebbe tramandato per sempre nei
libri di scienze.
[...] Ogni tanto la sera dicevo ad Augusto:
“Perché non parliamo?” “Di cosa?” rispondeva lui
senza sollevare gli occhi dalla lente con la quale
stava esaminando un insetto. “Non so”, dicevo
io, “magari ci raccontiamo qualcosa.” Allora lui
scuoteva il capo: “Olga”, diceva, “tu hai proprio
la fantasia malata”.
In breve tempo anche il rapporto con Augusto
cominciò a deteriorarsi.Durante i pranzi stavamo
ormai quasi in silenzio, quando mi sforzavo di
raccontargli qualcosa rispondeva usando i
monosillabi gasp e yuk yuk. La sera andava
sempre al casino, quando tornava si chiudeva nel
suo studio a tentare l’innesto di anguille su piante di
tabacco. Il suo grande sogno era di creare anguille
da fumare: questo gli avrebbe dato qualcosa da
esibire con orgoglio la domenica in Duomo.
[...] La sera dicevo ad Augusto: “perché non
parliamo?” “Gasp”, rispondeva lui senza sollevare
gli occhi dalle tenaglie con le quali stava
divaricando un colibrì. “Non so”, dicevo io,
“magari ci raccontiamo qualcosa.” Allora lui
scuoteva il capo e diceva: “Yuk yuk”.
Poi mi piacerebbe dimostrare un’altra tecnica ‘Luttazziana’ che consiste nell’esagerazione di
un elemento del testo di partenza e che sottolinea ancora una volta con forza e con spirito la
lentezza del testo della Tamaro, il suo carattere diaristico pieno di ‘fatterelli da nonnulla’ e di
banalità stereotipate. Un esempio lampante si trova nel seguente brano dove la protagonista di
Va’ dove ti porta il cuore parte per andare alle terme mentre la protagonista di Va’ dove ti
porta il clito va a Parigi per realizzare il suo sogno (inventare un cocktail perfetto presso la
scuola per barman di François Gigolo):
TAMARO
LUTTAZZI
Due settimane più tardi Augusto mi
accompagnò al treno per Venezia. Lì, nella
tarda mattinata, avrei preso un altro treno per
Bologna, e dopo aver cambiato un’altra volta,
verso sera sarei arrivata a Porretta Terme.
Due settimane più tardi Augusto mi accompagnò al treno
per Bologna. Da Bologna avrei preso l’intercity per
Roma, a Roma il go-kart per Napoli, a Napoli l’uniciclo
per Venezia, a Venezia il kajak per Genova, a Genova il
56
risciò per Lecce, a Lecce il batiscafo per Bari, a Bari il
sidecar per Cagliari, a Cagliari l’idrosilurante per
Civitavecchia, a Civitavecchia le maracas per Roma, da
Roma una feluca fino a Ciampino e da Ciampino il
Tupolev che mi avrebbe portato a Parigi, alla scuola per
barman di François Gigolo.
Poi Luttazzi a volte aggiunge un efficace ‘sbadiglio’ tra parentesi per poi continuare a giocare
da par suo con i fatterelli semispirituali della Tamaro.
TAMARO (p.25)
LUTTAZZI (p.40)
Una volta, in un libro indiano ho letto che il
fato possiede tutto il potere mentre lo sforzo
della volontà è solo un pretesto. Dopo averlo
letto una gran pace mi è scesa dentro. Già il
giorno dopo però, poche pagine più in là, ho
trovato scritto che il fato non è altro che il
risultato delle azioni passate, siamo noi, con le
nostre mani, a forgiare il nostro stesso
destino. Così sono tornata al punto di partenza.
Dov’è il bandolo di tutto questo, mi sono
chiesta. Qual’è il filo che si dipana? È un filo o
una catena? Si può tagliare, rompere oppure ci
avvolge per sempre?
Intanto taglio io.
Una volta, in un libro indiano ho letto che il Fato
possiede tutto il potere mentre la nostra volontà
sarebbe solo un pretesto per giustificare la
settimana bianca. Dopo averlo letto, una gran
pace mi è scesa dentro. Poi però un passante mi ha
fatto notare che in mano non avevo nessun libro. E
adosso nessun vestito. Così sono tornata a casa in
fretta e furia. Dov’è il bandolo di tutto questo, mi
sono chiesta. Qual’è il filo che si dipana? È un filo
o una catena? Si può tagliare, rompere oppure ci
avvolge per sempre? (Sbadiglio.) Che ore sono?
sono le quattro e un quarto, oppure le sei ,
oppure le due e mezzo, dipende da come ruoto le
lancette dell’orologio.
Infine, la Tamaro non sembra accettare la frammentarietà dei pensieri, dell’inconscio, delle
idee e cerca continuamente dei collegamenti per giustificare questi ‘salti interiori’ attraverso
quello che il Raboni definirebbe fatterelli (proverbi, cose che ha letto da qualche parte, ecc).
Luttazzi invece, con un semplice cambiamento mette in bella evidenzia la banalità e facilità di
questo modo di scrivere facendo vedere quanto siano vuote di significato questi collegamenti
tamariani. Concludiamo con un esempio lampante:
57
TAMARO
LUTTAZZI
A tanti anni di distanza questo è l’episodio
della vita con tua madre che mi torna con più
frequenza in mente. Ci penso spesso. Com’è
possibile, mi dico, che di tutte le cose vissute
assieme, nei miei ricordi compaia per prima
sempre questa? Proprio oggi, mentre me lo
domandavo per l’ennesima volta, dentro di me è
risuonato un proverbio “La lingua batte dove il
dente duole”. Cosa mai c’entra, ti chiederai.
C’entra, c’entra moltissimo.
Com’è possibile, mi dico, che di tutte le cose vissute
assieme, nei miei ricordi compaiano per primi
sempre questi? Proprio oggi, mentre me lo
domandavo per l’ennesima volta, dentro di me è
risuonato un proverbio,“Pioggia a novembre,
Natale a dicembre”. Cosa mai c’entra, ti chiederai.
C’entra moltissimo, invece. No, non c’entra niente.
58
5. Note conclusive
In questa tesina ho spudoratamente giocato su due fronti: quello del ´particulare’, cioé lo
specifico della polemica che ha opposto due scrittori, due libri e due modi di concepire la
letteratura e, attraverso di essa, il mondo. E, d’altro lato, mi sono avventurata sul binario
metatestuale, analizzando le implicazioni per così dire extraterritoriali, metatestuali, di questa
polemica. Da una microlettura comparativa ad osservazioni ´macro’ sulla teoria dei generi
letterari e sino ad un abbozzo di proposta sulla parodia come laboratorio fecondo di indagine
sui meccamismi che sono alla radice stessa della creazione letteraria in senso lato. Dal gender
al bricolage, dall’aula dei tribunali a Roland Barthes, dalle polemiche letterarie alla
´letterarietà delle polemiche’…
In questa avventura – senza nasconderlo - ho scelto il partito dei giullari, quello dei Dario Fo
e dei Luttazzi, prediligendo la feconda pirateria dei rapsodi, dei corsari della letteratura, la
scanzonata e creativa tristezza dei giullari all’azzimato conformismo dei De Amicis, dei
Tamaro... Non solo per partito preso, ma perché credo - e spero con questa tesina di avere
dimostrato - che le scureggie letterarie di un Luttazzi siano dopotutto molto più ‘letterarie’,
raffinate e godibili, degli slavati cliché della Tamaro. Naturalmente ci vuole dello spirito e
molta ironia perché uno scrittore accolga di essere parodiato. Ma se non capisce questo
aspetto ludico sotteso alla letteratura parodica, che scrittore è?
Per dirla tutta, che la parodia in questo caso abbia vinto la scommessa letteraria col parodiato,
e che in questo ribaltone (con tante grazie al ‘caso’ scatenato dalla ingenua
monodimensionalità della Tamaro) siano sorte alcune domande le cui implicazioni possano
andare oltre il ‘particulare’: quale è il rapporto tra la parodia e il parodiato?
Esistono meccanismi generativi universali all’interno della parodia che possano gettare luce
sui meccanismi interni al processo creativo tout court? Che una - non ancora scritta - ‘teoria
della parodia’ possa gettare ulteriore luce sui meccanismi generativi della scrittura tout court,
e che quindi la parodia possa trascendere se stessa e il proprio apparente limitato e subalterno
compito, questa è la porta che ho trovato semisocchiusa, dopo essermi occupata del
particolarissimo caso giuridico-letterario Luttazzi/Tamaro. Mi viene in mente Mistero Buffo di
Dario Fo, e come ultima provocazione la proposta di vedere ogni opera letteraria come un
´canovaccio’ - o mistero - sul quale il lettore-giullare opera la sua opera di interpretazione
creativa. È un po’ quello che ha fatto Luttazzi con Va’ dove ti porta il clito.
59
La causa intentata dalla Tamaro a Luttazzi è stata una benedizione che mi ha permesso di dare
una valenza per così dire simbolica e universale ad un caso che altrimenti non avrebbe mai
trasceso la banalità cronachistica del ’particulare’ e tutt’al più qualche discussione retorica sul
gusto: se poi la parodia sia bella o brutta, geniale o miserabile, di buon o cattivo gusto, ebbene
ciò appartiene al tribunale della storia, a quello della critica e a quello dei lettori. Non certo a
quello giudiziario, o la parodia dovrebbe chiudere i battenti come tale.
60
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62