dossier sulla moda italiana in Giappone

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dossier sulla moda italiana in Giappone
 Il made in Italy nel
mercato del lusso
in Giappone
QUADERNI
PUBBLICAZIONE
PERIODICA
DELLA
CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA IN GIAPPONE
ALLAAA
LUGLIO2013
Con il contributo del Ministero dello Sviluppo Economico 2 / 97
The Italian Chamber of Commerce in Japan
Enokizaka Building 3F, 1-12-12 Akasaka, Minato-ku, Tokyo 107-0052
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SOMMARIO
GIAPPONE: INFORMAZIONI GENERALI ...................................................................... 7
GIAPPONE: QUADRO MACROECONOMICO E INDUSTRIALE ..................................... 8
IL MERCATO DEL LUSSO IN GIAPPONE .................................................................... 10
IL BOOM E LA CRESCITA DEGLI ULTIMI TRENT’ANNI
10
CAMBIAMENTI E TENDENZE NEL MERCATO ATTUALE
11
Da “anche io” a “prima io”
11
Varietà dei brand di tendenza
12
Cosa c’è sull’etichetta?
12
L’effetto smeraldo
12
LA PERCEZIONE DEL MARCHIO “MADE IN ITALY” IN GIAPPONE
I risultati
13
14
IL MERCATO DELL’ABBIGLIAMENTO IN GIAPPONE: CARATTERISTICHE GENERALI . 17
LA DONNA E LA MODA
17
L’UOMO E LA MODA
19
TENDENZE: FAST FASHION
20
ACCESSORI ............................................................................................................... 21
PELLETTERIA
21
Caratteristiche generali del mercato
21
Statistiche di importazione
22
Distribuzione e promozione
24
Analisi dei prodotti
24
OCCHIALI
25
Caratteristiche generali del mercato
25
Statistiche di importazione
27
Distribuzione e promozione
27
Analisi dei prodotti
28
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ALTRI ACCESSORI
29
Calze
29
Accessori per capelli
29
Nail art
30
Keitai charms
31
GIOIELLI
32
Caratteristiche del mercato
32
Andamento dei brand d’importazione
34
Il nuovo trend dei brand stranieri
35
Gli ultimi mesi
35
Canali di distribuzione
37
Caratteristiche dei prodotti
38
ASPETTI DI DISTRIBUZIONE ..................................................................................... 39
I PRINCIPALI CANALI
39
CANALI MINORI ED EMERGENTI
42
PROMOZIONE E MARKETING IN GIAPPONE ............................................................ 44
CONSIDERAZIONI SULL'INGRESSO NEL MERCATO GIAPPONESE E SUI METODI DI
MARKETING
44
Stagionalità
45
Struttura fisica
45
Scelta della location e dello store
45
Packaging
46
Rapporto con il cliente e assistenza post-vendita
47
Lotti di produzione
47
Standard di qualità
48
VEICOLI DI PROMOZIONE
48
Riviste
48
Fiere
69
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Le missioni commerciali
71
TRACCIABILITÀ DEL MARCHIO IN GIAPPONE .......................................................... 73
ETICHETTATURA
73
Il panorama legislativo
73
Le etichettature volontarie
74
Protezione del marchio
74
Legge sulla responsabilità del prodotto
75
Legge del design (ishô-hô)
75
Il licensing dei marchi
76
Legge del marchio (shôhyô-hô)
76
Registrazione del marchio collettivo (dantai shôhyô)
77
Marchi di servizio
78
Marchi non registrabili
78
Il marchio noto
78
Legge di prevenzione della concorrenza sleale
78
Il processo di registrazione
78
Tasse per la domanda di registrazione (tôroku-ryô)
79
Registrazione internazionale dei marchi
79
Validità e durata della registrazione del marchio
79
Cancellazione dei marchi
80
Tutela del made in Italy
80
IL VANTAGGIO STRATEGICO DEL MADE IN ITALY NEI MERCATI GLOBALI ............... 82
Il settore del lusso e la lotta con il mercato globale
82
Fast luxury
83
Cos’è il made in Italy?
86
“Italianità” del fashion italiano
87
Struttura base del made in Italy
89
Il vantaggio strategico del made in Italy
92
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Dal globale al locale
92
Da “fast” a “slow”
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Made in Italy e sostenibilità
94
ALCUNE DELLE IMPRESE ITALIANE DEL SETTORE DEL FASHION IN GIAPPONE........ 97
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GIAPPONE: INFORMAZIONI GENERALI
Popolazione: 126,659,683
Superficie: 377,944 kmq
Capitale: Tokyo
Principali centri urbani: Osaka, Nagoya, Yokohama, Sapporo, Kobe, Kyoto, Fukuoka
Lingua: giapponese
Valuta: yen giapponese (JPY)
Tasso di cambio medio nel 2012: 1 euro (EUR) = 106.75 yen (JPY)
Tasso di cambio medio nel 2013 (gen-aug): 1 euro (EUR) = 126.69 yen (JPY)
Sistema di governo: monarchia costituzionale
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GIAPPONE: QUADRO MACROECONOMICO E INDUSTRIALE
Il 2012 ha visto indicatori economici sostanzialmente stabili (e deboli) per i primi tre trimestri, in
risonanza con la generale debolezza dei mercati mondiali e l’incertezza sulla crescita industriale,
accompagnata da una crescente preoccupazione sul consistente calo delle esportazioni a seguito
del caro-yen e delle tensioni con la Cina.
Il rapporto debito/PIL, dal 220% a inizio anno, è ulteriormente incrementato fino a sfiorare il 240%,
anche in seguito agli stimoli per la ricostruzione conseguenti al grande terremoto del 2011. Gli stessi
interventi hanno però anche potuto mantenere su livelli di crescita moderati il prodotto interno
lordo, che ha sfiorato il 5,7% all’inizio dell’anno e si è poi attestato sull’1,5% in termini nominali,
sebbene il dato aggregato mascheri il rallentamento deciso che l’economia giapponese ha registrato
negli ultimi mesi, fino a raggiungere lo stato di recessione tecnica.
I prezzi al consumo hanno continuato la loro lenta discesa (-0,1%) seguendo un trend che è ormai,
con alcune eccezioni, di decenni. D’altro canto il livello dei salari appare stabile, e sul fronte
dell’occupazione è continuato il recupero di posti di lavoro dallo shock finanziario del 2009.
A seguito del cambio di governo – che ha riportato alla leadership con una schiacciante maggioranza
lo schieramento del Partito Liberal-Democratico, guidato dal già primo ministro Shinzo Abe – la fine
del 2012 è stata comunque segnata da una decisa politica di lotta alla deflazione tramite lo
strumento dello stimolo economico, nonostante i rischi derivanti per l’aumento ulteriore del debito.
L’intervento, che ha anche invertito il trend valutario degli ultimi quattro anni (-45% sul rapporto
EUR/JPY dal 2008) portando l’Euro a 114 yen a fine anno, non ha comunque impedito l’appellativo
di “anno nero” per le esportazioni. Limitando l’analisi all’Italia, nel corso del 2012, le esportazioni
sono calate del 31% per dimensione in yen rispetto all’anno precedente e del 40% rispetto al 2010;
precedentemente all’attuale crisi (2007) il volume degli scambi complessivi tra i due paesi era di
oltre il 55% maggiore.
Dal punto di vista del commercio estero giapponese in generale, le previsioni per il 2013 sono di una
crescita modesta, caratterizzata dalla diminuzione del volume di affari con la Cina, un incremento
del commercio con il Sud Est asiatico e da un generale aumento delle esportazioni dovute
all’indebolimento dello yen.
Dal punto di vista del rapporto fra Italia e Giappone, a causa della svalutazione dello yen è da
prevedersi entro la fine dell’anno un’inversione nel trend dei flussi commerciali (nel corso del 2012,
il flusso verso l’Italia è calato del 31% per dimensione in yen rispetto all’anno precedente e del 40%
rispetto al 2010), mitigata da effetti di inerzia e dal perdurare della crisi economica italiana, che
incentiva la ricerca di sbocchi all’estero per la produzione interna e diminuisce il potere di acquisto
complessivo.
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L’Italia è al 18°posto per valore di interscambio con il Giappone: ca. 6380 mld Euro nell’anno fiscale giapponese 2012 – il
3°Paese UE dopo Germania (10°) e Francia (15°)
Variazione apr 2013 / apr 2012: Import da Italia +15% VS Export verso Italia -0,3%
Tabella 1 - Principali importazioni italiane in Giappone
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IL MERCATO DEL LUSSO IN GIAPPONE
IL BOOM E LA CRESCITA DEGLI ULTIMI TRENT’ANNI
I beni di lusso stranieri hanno cominciato a trasformare la realtà giapponese già dagli anni Ottanta,
periodo in cui ha iniziato a manifestarsi anche un forte interesse verso i prodotti made in Italy. Per
riuscire a scoprire il segreto del successo delle aziende italiane, negli anni Ottanta una famosa rivista
giapponese pubblicò una ricerca approfondita sulle aziende operanti in Veneto, Lombardia ed
Emilia. La risposta a cui giunsero fu che il fattore principale su cui queste imprese poggiavano era
una cultura del prodotto molto forte e una storia artigianale e artistica molto antica, e che i prodotti
italiani erano frutto di una lunga cooperazione e una “cross fertilisation” tra cultura, arte,
artigianato, abilità manifatturiera e territorio.1
Lo scoppio della bolla economica negli anni Novanta ha portato a un lungo periodo di recessione
economica e alla perdita della sicurezza dei posti di lavoro a vita, fattori che hanno contribuito a
creare una rottura con i valori sociali tradizionali, a cui si deve aggiungere il cambiamento di status
da parte delle donne, che hanno iniziato a preferire la carriera alla famiglia e a essere più
indipendenti.
Il comparto dell’alta moda italiana, tuttavia, ha risentito limitatamente di questi cambiamenti nelle
abitudini dei consumatori, mantenendo la propria posizione in virtù della forza del brand e
dell’attitudine del consumatore a concentrare gli acquisti su di un numero limitato di prodotti.
Gucci, Armani, Max Mara, Prada, Benetton, Ferragamo, Tod’s, Zegna, Missoni e Moschino
continuano a mantenere nelle principali vie di Tokyo importanti punti vendita. Oggi il Giappone
importa il 40% dei beni di lusso mondiali, posizionandosi al sesto posto nella classifica degli
importatori di prodotti made in Italy.2
I giapponesi, da sempre radicati in una cultura legata alla conformità, stanno scoprendo una nuova
familiarità nell’esprimere la loro identità e abilità individuale. Questo cambiamento è dovuto
soprattutto a causa della sempre più evidente “crisi della classe media” che, mettendo in luce le
differenze tra ricchi e poveri, ha portato i giapponesi dal considerarsi “tutti classe media” a “società
divisa”.3
Se in passato i beni di lusso potevano distinguersi dagli altri per qualità, fattura artigianale,
autenticità, originalità e Paese d’origine, oggi si è andata creando una maggiore consapevolezza che
questi standard di eccellenza non assicurano una funzionalità pratica del prodotto. Questo ha
1
http://www.qualitas1998.net/qualityreport/marco_vitale.htm
2
http://www.corriere.it/economia/13_gennaio_18/dove-vince-il-made-in-italy-cambia-la-classifica-prima-gli-statiuniti-poi-il-mercato-tedesco-giuliana-ferraino_247bf982-613a-11e2-8866-a141a9ff9638.shtml
3
http://www.kantei.go.jp/foreign/noda/statement/201112/04ilo_e.html
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sicuramente contribuito al diffondersi nel mondo (e anche in Giappone) di un “nuovo lusso”,
costituito da prodotti di alta qualità ma a un prezzo contenuto, che porta la loro definizione a
evolversi in “oggetti, prodotti e servizi con una qualità, gusto e aspirazione maggiore rispetto a quelli
convenzionali”.4
CAMBIAMENTI E TENDENZE NEL MERCATO ATTUALE
Secondo il Japan Market Resource Network (JMRN)5 , i cambiamenti possono essere riassunti in
cinque correnti, che identificherebbero le dinamiche odierne dei consumatori giapponesi:
Da “anche io” a “prima io”
I consumatori di oggi sono alla ricerca di prodotti unici, che soddisfino il loro bisogno di
identificazione.
Le donne di ogni età sono sempre più restie a possedere oggetti che siano uguali a quelli degli altri,
ed è per questo che i brand di maggiore successo sono quelli che riescono a soddisfare il desiderio
di unicità dei consumatori. Secondo JMRN, un esempio che si adatta perfettamente al mercato
giapponese è il brand italiano Bottega Veneta, estremamente apprezzato e diffuso in Giappone
grazie ai suoi prodotti unici e di qualità. “Mente, corpo e anima. I consumatori sono alla ricerca di
esperienze del marchio maggiormente coinvolgenti.”6
Per la ricerca JMRN, ciò che i brand di lusso devono soddisfare oggi è il desiderio di unicità,
esclusività e identità individuale dei clienti giapponesi. È per questo che sempre più aziende
propongono edizioni limitate o speciali, dovendo tenere conto che i consumatori apprezzano il poter
fare esperienza di un marchio in molteplici situazioni, non solo possedendone un prodotto, ma
anche ciò che va oltre lo shopping come ad esempio frequentando caffè dedicati, ristoranti, spa
oppure eventi. Viene così a crearsi nel cliente la sensazione di poter arricchire ogni aspetto della
propria giornata, ovvero un’esperienza del brand che lo coinvolga.
JMRN cita come esempio LVMH Louis Vuitton Moët Hennessy S.A., che ha inaugurato a Tokyo il
Celux Salon, una boutique dedicata esclusivamente ai soci, che offrirebbe capi altamente esclusivi
provenienti direttamente dalle sfilate.
4
http://www.prnewswire.com/news-releases/buyers-of-new-luxury-are-restructuring-and-polarizing-manyproduct-categories-says-new-research-update-from-the-boston-consulting-group-74205887.html
5
http://www.jmrn.com/UserFiles/File/DCLB_JMRN.pdf
6
ibi
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Varietà dei brand di tendenza
I consumatori sono più propensi ad acquistare prodotti economici se hanno pari valore in termini di
qualità e funzionalità. Oggi è socialmente accettato l’acquisto di merce in saldo oppure acquistata
all’interno di discount store, il che rende sempre più difficile per le aziende mantenere alto
l’interesse della clientela. I consumatori, infatti, tendono a prestare più attenzione alla funzionalità
piuttosto che alla qualità di un prodotto ed è diventato necessario per le aziende riconsiderare il
loro relazionarsi con i clienti e diventare maggiormente flessibili riguardo agli sconti.
Anche i grandi magazzini giapponesi di alta moda hanno deciso di riservare degli spazi ai loro
maggiori competitor di abbigliamento casual (come Uniqlo e Forever21) per aumentare l’afflusso di
clientela.
Cosa c’è sull’etichetta?
In quest’epoca di manifattura a basso costo, l’autenticità resta un fattore determinante.
Sempre più aziende oggi stanno spostando le loro basi produttive verso la Cina, al fine di ridurre i
costi della manodopera (lo stipendio medio della manodopera cinese corrisponde infatti a meno di
100 dollari al mese), sebbene questo fenomeno non stia riscontrando un parere positivo da parte
dei consumatori. Più della metà delle esportazioni cinesi, infatti, sono costituite da prodotti sotto
contratto OEM (original equipment manufacturing) e vendute con etichette di brand stranieri. Più
del 90% dei consumatori giapponesi difatti ritiene che il Paese d’origine di un prodotto sia un fattore
determinante per l’acquisto, a causa del valore che il prodotto stesso deve incarnare. Nel settore
tessile l’Italia si trova a dover fronteggiare da alcuni anni la concorrenza dei prodotti proveniente
dal continente asiatico. Ciò che maggiormente avvantaggia i competitors locali è il costo ridotto
della manodopera e la vicinanza geografica di paesi come Vietnam, Indonesia, India, Tailandia e
Bangladesh.7
L’effetto smeraldo
Secondo la ricerca di JMRN i consumatori sono sempre più attirati dal lusso “ecologico”. I
consumatori giapponesi sono sempre più spinti ad apprezzare un brand che possa proporre prodotti
ecologicamente sostenibili e realizzati con pratiche di lavoro etiche che siano strettamente
intrecciate con l’azienda stessa. Questo cambiamento di attitudine verso i prodotti ecosostenibili è
probabilmente dovuto all’impatto delle cause ecologiche mosse dalle celebrità a livello mondiale,
alle quali anche i consumatori giapponesi, in quanto parte di una società sempre più globalizzata, si
sentono spinti ad aderire. Secondo un sondaggio condotto dall’agenzia J. Walker Thompson nel
2009, il 51% dei consumatori sente di essere più orientato verso temi ambientali rispetto all’anno
7
http://www.atimes.com/japan-econ/DF25Dh01.html
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precedente, mentre il sondaggio dell’agenzia McKinsey del 2009 ha evidenziato che l’84 % degli
intervistati preferisce acquistare prodotti ecosostenibili, e il 16% di loro è disposto a pagarli anche
a un prezzo maggiore.
Ci si aspetta che l’interesse dei consumatori verso beni ecologici vada aumentando nel prossimo
futuro e che le aziende di prodotti di lusso cerchino di andare incontro alla sensibilità dei
consumatori. I motivi per cui si sono riscontrati questi cambiamenti nella società giapponese si
possono riassumere secondo tre fattori:
1. La recessione economica. Il mercato giapponese ha attraversato un periodo di debolezza negli
ultimi 20 anni, a causa della forte perdita di lavoro e dell’aumento dei lavori part-time, e
questo ha portato nei consumatori giapponesi un forte stato di ansia. Secondo l’“Indice di
Ansietà” J. Walter Thompson, il 90 % dei consumatori giapponesi si sente ansioso o nervoso,
un valore superiore a qualsiasi altro Paese al mondo8.
2. La nascita di nuove generazioni con atteggiamenti radicalmente diversi rispetto al passato. I
giovani di oggi, infatti, non hanno conosciuto il boom di benessere precedente allo scoppio
della bolla economica, e sono cresciuti in un clima di difficoltà economica e una maggiore
attenzione verso gli acquisti. Le nuove generazioni tendono a preferire i servizi piuttosto che
i prodotti, e la tecnologia più di ogni altro bene, rappresentando così la maggiore sfida dei
venditori.
3. Normative emesse dal governo giapponese durante il 2009. La normativa che maggiormente
ha influito sul comportamento dei consumatori è la decisione di ridurre il costo dei caselli
autostradali a 1000 yen durante i fine settimana qualsiasi sia la distanza percorsa, favorendo
così lo spostamento al di fuori di Tokyo verso i grandi complessi commerciali come Ikea e
Costco.9
LA PERCEZIONE DEL MARCHIO “MADE IN ITALY” IN GIAPPONE
Nel giugno del 2013, attraverso un sondaggio diffuso su internet e su carta, la Camera di Commercio
Italiana in Giappone ha cercato di evidenziare alcune caratteristiche salienti del brand made in Italy
nel confronto con alcuni brand nazionali:
•
•
•
Cina
Francia
Stati Uniti
8
http://anxietyindex.com/japan/
9
http://www.mckinsey.com/insights/consumer_and_retail/the_new_japanese_consumer
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•
Giappone
Ai partecipanti al sondaggio è stato chiesto di attribuire, tra i marchi nazionali menzionati (“made in
France”, “made in China” etc.) un punteggio da 1 a 5 per le seguenti caratteristiche percettive:
1. Giovane
2. Conveniente
3. Autentico
4. Costoso
5. Di bassa qualità
6. Affidabile
7. Tradizionale
8. Artigianale
9. Ecologico
10. Durevole
I dati, raccolti su un campione di ottanta persone di età compresa tra i 18 e i 70 anni, sono stati
visualizzati con il metodo della mappa percettiva, che permette di posizionare ciascuno dei cinque
marchi secondo le percezioni condivise degli intervistati.
I risultati
Come si può osservare dalla Figura 1 - Mappa percettiva per i marchi di origine nazionale. Francia
e Italia sono vicine nella percezione dei giapponesi, Italia e Francia risultano vicine nella
percezione dei giapponesi. In particolare, entrambe ottengono un elevato punteggio negli attributi
“artigianale”, “tradizionale”, “autentico”, ma basso in attributi come “conveniente”. Può soprattutto
stupire l’identificazione di entrambe le origini, assieme al “made in China”, come adatte a un gusto
non giovane, mentre rispetto a una caratteristica come “ecologico” (nel sondaggio “environmentally
friendly”), l’Italia è al pari con gli Stati Uniti.
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Figura 1 - Mappa percettiva per i marchi di origine nazionale. Francia e Italia sono vicine nella percezione dei giapponesi
La Tabella 2 riporta, in forma più semplice, gli attributi percepiti dagli intervistati per ogni nazione.
Marchio
Made in Italy
Made in France
Made in Japan
Made in Usa
Made in China
Attributi rilevanti
Tradizionale, artigianale, autentico, affidabile, durevole
Costoso, poco giovane
Tradizionale, artigianale, autentico, affidabile
Costoso, poco giovane
Durevole, ecologico, giovane, mediamente conveniente
Giovane, conveniente
Mediamente di bassa qualità, poco autentico
Conveniente
Bassa qualità, poco affidabile, poco durevole, poco ecologico
Tabella 2 - Attributi per marchio di origine
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Considerando la significatività limitata del campione, che potrebbe essere ulteriormente ingrandito
e controllato per età e potere di spesa, risultano comunque interessanti alcuni suggerimenti:
•
•
Potrebbe essere utile investire nella promozione di marchi di moda mediamente più giovanili
e caratterizzati da fasce di prezzo più basse rispetto a quanto offerto. Risulta evidente il
successo di marchi come Gap e Abercrombie&Fitch nel proporsi a consumatori meno maturi.
Anche per il mercato giapponese della moda, occorrono elementi distintivi per ottenere
vantaggi competitivi sui prodotti francesi, che in Giappone dispongono mediamente di
maggiori risorse di marketing e promozione rispetto alle controparti italiane.
La Camera di Commercio Italiana in Giappone, anche attraverso gli strumenti delle fiere (come
iStanze di Moda, all’interno della fiera Rooms), ha recentemente cercato di promuovere stili di
moda italiana diversi da quello classico e maturo, nella percezione ormai pluriennale che proprio su
segmenti giovani e alternativi la moda italiana giochi molte delle sue prossime carte nel territorio.
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IL MERCATO DELL’ABBIGLIAMENTO IN GIAPPONE: CARATTERISTICHE GENERALI
Il mercato del fashion in Giappone presenta alcuni tratti distintivi di grande rilevanza che non
possono non essere tenuti in considerazione da un produttore straniero che si approccia a questo
mercato.
Tra questi elementi vanno evidenziati:
•
•
•
•
•
•
•
Estrema competitività, sia qualitativa che per il numero di competitors
Quantità di merci oltre il livello necessario e ampie gamme di prodotti dalle varianti minime
Forte attenzione dei consumatori per tendenze e novità
Circolazione di informazioni estremamente veloce e ad ampio raggio (soprattutto grazie alla
rete, blog ecc.), forte impatto della pubblicità e delle tendenze lanciate da personaggi famosi
(soprattutto per le cause ecologiche mosse dalle celebrità)
Tempi brevi di consegna delle forniture (a piccoli lotti diversificati)
Richiesta da parte dei consumatori di standard di qualità elevata e soprattutto costanti nel
tempo
Grande attenzione per l'immagine aziendale
Va sottolineato che i consumatori giapponesi si distinguono a livello mondiale per il loro interesse
agli stili e alle tendenze della moda internazionale, mentre le riviste giapponesi legate al fashion
ottengono sempre più popolarità tra Cina, Taiwan, Hong Kong e Corea del Sud, con un crescente
rilievo in Asia delle tendenze provenienti dal Giappone.
Generalmente si ritiene che un prodotto che riesce ad avere successo in Giappone ne avrà ancora
di più negli altri mercati globali. Per le compagnie che si avvicinano al mercato giapponese è quindi
importante migliorare la qualità dei loro prodotti e servizi, comprendendo nei loro piani di sviluppo
prodotti anche feedback dei consumatori giapponesi estremamente esigenti.
Negli ultimi anni i marchi leader a livello mondiale si sono susseguiti nell'apertura e nell'espansione
dei loro negozi esclusivi, molti dei quali sono stati posizionati come flagship store mondiali, e alcuni
di questi marchi usano i negozi in Giappone per perfezionare le loro ultime innovazioni.
LA DONNA E LA MODA
In Giappone sono le donne lavoratrici intorno ai 30 anni ad avere maggiore interesse nell’acquistare
beni di lusso. Con l'ingresso delle donne nel mondo del lavoro, infatti, si è diffusa la tendenza a
ritardare sempre più il matrimonio a favore della carriera. Il fenomeno si è talmente diffuso da
arrivare a creare delle vere e proprie categorie sociali, come ad esempio le “parasite single”, donne
di età compresa tra i 20 e i 44 anni che vivono a casa dei genitori a spese ridotte e che quindi hanno
maggiori possibilità di acquistare beni di consumo con le loro entrate. Si è inoltre notato un aumento
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negli anni di persone che rientrano in questa categoria, infatti se nel 1990 si contavano 1.12 milioni
di individui (circa il 5,7% della popolazione di questa fascia d’età), nel 2000 il numero è salito a 1.59
milioni di persone (corrispondente al 10%), fino ad arrivare al 2010, in cui l’11,5% della popolazione
di questa fascia d’età è da considerarsi parasite single.10
Recentemente, inoltre, si è andata formando una nuova categoria di donne benestanti che,
guadagnando circa 10 milioni di yen all’anno, spendono intorno al 10% delle loro entrate in beni di
consumo per motivi personali o lavorativi. Per dimostrare la sempre maggiore forza di queste nuove
categorie sociali, sono state inoltre pubblicate delle riviste di moda dedicate nello specifico a donne
di età tra i 30 e i 40 anni (ma anche oltre) come Nikita, Nikkei EW, Grace e Marisol.
Secondo le clienti giapponesi, pagare un prezzo maggiore per un prodotto italiano significa ottenere
di più in termini di valore, incarnando il motto coniato dalla famiglia Gucci: “La qualità viene
ricordata a lungo, dopo che il prezzo è stato dimenticato”. La logica dietro questo ragionamento è
la convinzione che i prodotti italiani siano più costosi perché fanno sentire chi li possiede persone
di classe e preziose, simbolo di affermazione sociale, e sono disposte a pagare di più per qualcosa
che le faccia sentire belle. Per i consumatori giapponesi, nomi come Gucci, Trussardi, Fendi o
Ferragamo sono direttamente collegati al concetto di qualità e lusso.
Inoltre, gli amanti del brand italiano sono fedeli al marchio, in quanto un cliente affezionato tenderà
a rimanere sempre legato a esso, senza passare ad altri brand.
All'amore per il prodotto si aggiunge l'interesse e il rispetto verso la storia che sta dietro di esso e
dietro lo stilista, come ad esempio il fatto che Salvatore Ferragamo abbia disegnato le scarpe per
Audrey Hepburn o che Giorgio Armani sia un grande amico di Sofia Loren.
Le consumatrici giapponesi acquistano il made in Italy anche per soddisfare il bisogno di sentirsi
come le attrici dei film italiani, spinte dall'interesse verso il significato sottinteso e la storia che il
prodotto stesso incarna.11
Il successo dei prodotti italiani è strettamente legato alla loro capacità di riempire lo spazio esistente
tra la finzione degli schermi televisivi e la realtà. Secondo le donne giapponesi, ciò che dà valore a
un marchio sono, in ordine d’importanza: la qualità, la riconoscibilità e la storia del marchio, oltre al
mantenimento di prezzi elevati, ai quali seguono i servizi offerti al cliente e l'assistenza post
acquisto. Negli ultimi anni però si è potuto notare un calo d’interesse verso il nome del marchio,
che ha evidenziato un cambiamento verso l’acquisto dettato dagli interessi personali e non quelli di
appartenenza a un gruppo.
10
http://japandailypress.com/over-3-million-parasite-singles-in-japan-over-35-still-living-with-parents-031659
11
http://www.nytimes.com/2003/10/04/news/04iht-rtokyo_ed3_.html
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L’UOMO E LA MODA
In Giappone sono molto diffuse anche le riviste di moda, come Popeye, Men’s non-no e Fineboys,
contenenti consigli di stile e moda per giovani uomini eterosessuali, un fenomeno che secondo il
sociologo J. Clammer12 non trova lo stesso riscontro nella cultura maschile euro-americana.
Ciò che accomuna queste tre riviste sono soprattutto quattro aspetti: la diffusione di massa, il target
mirato ai giovani ventenni eterosessuali, un focus sullo stile “kireime” (traducibile con moda casualhigh) e la completa assenza di materiali sessualmente espliciti. Questo contraddice lo stereotipo
secondo il quale gli uomini prestino più attenzione alla praticità di un indumento piuttosto che alla
sua estetica.
All’interno delle riviste, inoltre, si possono trovare consigli su come abbinare gli accessori oppure su
come fare una buona impressione attraverso l’uso del giusto profumo. Vengono quindi catalogati
diversi tipi di fragranze in diverse categorie come fresco, dolce, selvatico e sexy, all’interno delle
quali vengono proposti diversi brand (come ad esempio il Burberry sport nella categoria del fresco,
oppure il Romeo Sweet Key tra quelli dolci). L’uso di terminologie tipicamente femminili, come dolce
o carino (kawaii) non influisconosull’identità maschile dei lettori, suggerendo che i giovani
giapponesi, ovviamente entro certi limiti, tendono a non rimarcare in modo netto i ruoli di genere
convenzionali.
Nelle pubblicità dedicate alla moda maschile, si trovano spesso affiancati modelli giapponesi ed
europei o caucasici, che spesso adottano uno stile molto diverso. Elaborato e appariscente per i
primi, ordinato e conservatore per i secondi. L’uso di modelli stranieri, infatti, ha lo scopo di far
sentire i consumatori parte del fashion internazionale, mentre la presenza di modelli giapponesi
serve a dare l’idea di non essere completamente “occidentalizzati”. Gli uomini giapponesi vedono
nella moda europea un modello di mascolinità fisica molto diverso da quello giapponese, come ad
esempio la pubblicità proposta nella collezione Estate 2010 di Dolce e Gabbana, nella quale viene
proposta quasi una “iper-mascolinità” superiore a qualsiasi altra campagna pubblicitaria. La
mascolinità del “salary-man” (“colletto bianco”) ha rappresentato il modello di riferimento fin dalla
seconda guerra mondiale, incarnando qualità come dedizione, diligenza, zelo, sacrificio personale e
duro lavoro, e imponendo un abbigliamento composto da camicia bianca, completo scuro, nessun
accessorio appariscente e una capigliatura ordinata. Oggi l’uomo giapponese è in cerca di un look
sofisticato e alla moda, che lo faccia sentire attraente e sicuro di sé. L’abito diventa, quindi, il mezzo
attraverso il quale l’uomo può manifestare la sua identità all’interno del contesto culturale in cui si
12
Clammer, John. 1995. “Consuming Bodies: Constructing and Representing the Female Body in Contemporary
Japanese Print Media.” In Lise Skov e Brian Moeran “Womens,Media and Consumption in Japan” pp. 197-219.
Richmond: Curzon Press
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trova, rimarcando la distinzione di genere e i suoi confini. Ciò che il modello europeo (abito a due
pezzi) ha portato di fondamentale in Giappone, infatti, è possibilità di offrire una distinzione
sartoriale netta tra uomini e donne, ritenuta invece ambigua nei kimono giapponesi.13
A differenza dell'Europa e degli Stati Uniti, sono pochi i giapponesi molto benestanti ma, in ogni
caso, sono propensi a spendere per ciò che considerano “vero valore”. Questo per i consumatori
significa la possibilità di conoscere a fondo il prodotto che acquistano, la consapevolezza di
acquistare qualcosa che valga i soldi spesi e, nonostante tendano a preferire uno stile di vita
semplice, preferiscono ricevere dei servizi speciali e personalizzati.
Solo i beni di consumo che riescono a tenersi al passo con i cambiamenti nei desideri dei
consumatori, riscontrano un sicuro successo.
TENDENZE: FAST FASHION
Gli ultimi sviluppi del settore vedono un peso sempre più crescente del 'fast fashion',
l'abbigliamento basico e di molti colori, sullo stile lanciato per primo da Benetton. Nel mercato
competitivo del ‘fast fashion’ stanno entrando anche compagnie straniere, come visto di recente
per la coreana Mixxo e Charles&Keith di Singapore, lanciati sul mercato giapponese a inizio 2013.
Dal 2009, con la deflazione che ha colpito il Giappone allontanando i consumatori dai marchi di lusso
a favore di un abbigliamento a basso costo ma di alta qualità, 'fast fashion' è senza dubbio diventata
la parola d'ordine nel settore. Le vendite di borse e altri articoli di fascia alta sono crollati mentre
l’americana Forever 21 Inc. aprirà il suo primo negozio a Ginza, in uno spazio lasciato libero da Gucci,
mentre Gap Inc. ha in programma di trasferirsi in uno spazio di Louis Vuitton.
Anche l'entrata in Asia dell'americana Abercrombie & Fitch Co., con il suo primo flagship store a
Ginza da dicembre 2012, può essere letto come un nuovo segnale per il fast fashion in Giappone14.
13
http://www.academia.edu/1221136/The_Importance_of_Looking_Pleasant_Reading_Japanese_Mens_
Fashion_Magazines
14
The Japan Times, Low-cost ‘fast fashion’ trend here to stay, Jan 8, 2010, http://goo.gl/exizi
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ACCESSORI
PELLETTERIA
Caratteristiche generali del mercato
In passato, l’industria conciaria giapponese non ha avuto un’ampia diffusione, a causa soprattutto
dei dogmi buddisti che vietano la macellazione di animali e la produzione di oggetti in cuoio. Questo
ha portato il Paese a dipendere soprattutto dalle importazioni di tali prodotti.
Oggi, nel settore della pelletteria, le donne giapponesi sembrerebbero essere le maggiori
consumatrici di accessori e borse a livello mondiale. Vista la particolare attenzione dei consumatori
giapponesi verso la qualità della pelle che acquistano, essa non deve presentare difetti o graffi.
In passato la pelle di rettili trattata e smaltata era molto apprezzata, ma recentemente si è notato
un cambiamento nelle preferenze dei consumatori verso pelli più morbide e satinate. Questo è
probabilmente dovuto all’aumento di consumatori di età più matura, che tendono a utilizzare
prodotti di alto livello in modo casual.15 Inoltre il Giappone risulta essere il maggiore importatore
di pelle di struzzo, soprattutto mirato a un utilizzo per borse da donna.16
Le importazioni di pelle dalla Cina ricoprono la maggior parte del mercato giapponese per quanto
riguarda articoli a basso costo, mentre il resto del mercato viene ricoperto da paesi come Italia e
Francia, specializzati nel settore dei prodotti di lusso.
Maggiori paesi di provenienza per articoli in pelle17
Posizione
Paese
1
Cina
2
Italia
3
Corea
4
USA
5
India
6
Francia
7
Spagna
15
http://www.japan-product.net/newsletter/jlia-aplf_newsletter_vol1_en.html#section1
16
https://rirdc.infoservices.com.au/downloads/02-142.pdf
17
http://www.jetro.go.jp/en/reports/market/pdf/guidebook_apparel_products_materials.pdf
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Il mercato è composto da prodotti di massa importati dalla Cina e gli altri paesi asiatici, che si
posizionano nella fascia di prezzo tra i 1.000 e i 5.000 yen, dai prodotti nazionali, posizionati nella
fascia tra i 10.000 e i 30.000 yen, i prodotti di brand esteri di prezzo compreso tra i 20.000 e i 70.000
yen, e infine i prodotti di lusso Europei che partono da una base di 70.000 yen.18
Nei primi anni 2000 ha iniziato a imporsi una maggiore coscienza ambientale verso i prodotti in pelle
– al netto del pensiero animalista diffuso già dagli anni ’80 e ’90 – che spinge le aziende verso un
controllo dello spreco dell’acqua durante i processi di conceria e un uso ridotto di prodotti chimici,
pur mantenendo l’uso di vera pelle.19
Statistiche di importazione
L’andamento delle importazioni nel settore mostra una variazione positiva e consistente, in alcuni
casi straordinaria, su quasi tutte le tipologie di articoli (dati in migliaia di yen). Occorre però notare
che, a causa del repentino cambiamento nel valore dello yen e della natura dei dati rilevati in dogana
(che si basano sullo spedito piuttosto che sul venduto), questo dato positivo deve essere
correttamente interpretato come fortemente legato alla fase positiva degli ultimi mesi del 2012.
Codice HS
4202.11-200
4202.12-210
Descrizione
Valigie, contenitori, cartelle con esterno in pelle, senza
inserti in metalli preziosi
Valigie, contenitori, cartelle con esterno in plastica o
tessuto, senza inserti in metalli preziosi per più di 6000
yen a unità
1-4 2013
(‘000 JPY)
1-4
2012(‘000
JPY)
Variazione
316559
285534
11%
295059
180357
64%
4202.12-220
Valigie, contenitori, cartelle con esterno in plastica o
tessuto, senza inserti in metalli preziosi
16350
9990
64%
4202.19-000
Valigie, contenitori, cartelle con esterno in plastica o
tessuto, con inserti in metalli preziosi per non più di 6000
yen a unità
2172
678
220%
4202.21-110
Borse a mano o a tracolla, anche senza manico, con
esterno in pelle, con inserti in metalli preziosi per più di
6000 yen a unità
1609883
926259
74%
4202.21-120
Borse a mano o a tracolla, anche senza manico, con
esterno in pelle composta, con inserti in metalli preziosi
per più di 6000 yen a unità
920
926259
-100%
18
http://www.asean.or.jp/en/trade/lookfor/top/market/pdf/b1.pdf
19
http://www.jlia.or.jp/english/pdf/fortourist/201010_e.pdf
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4202.21-210
Borse a mano o a tracolla, anche senza manico, con
esterno in pelle, senza inserti in metalli preziosi per più di
6000 yen a unità
2655930
2249177
18%
4202.21-220
Borse a mano o a tracolla, anche senza manico, con
esterno in pelle composta, senza inserti in metalli preziosi
per più di 6000 yen a unità
917
378
143%
4202.22-100
Borse a mano o a tracolla, anche senza manico, con
esterno in plastica o tessuto, con inserti in metalli preziosi
per più di 6000 yen a unità
292372
244300
20%
4202.22-200
Borse a mano o a tracolla, anche senza manico, con
esterno in plastica o tessuto, senza inserti in metalli
preziosi per più di 6000 yen a unità
1102162
901570
22%
4202.29-000
Borse a mano o a tracolla, anche senza manico, con
esterno non in pelle, pelle composta, tessuto o plastica
30836
23843
29%
4202.31-100
Articoli in pelle tascabili, con esterno in pelle o pelle
composta, con inserti in metalli preziosi per più di 6000
yen a unità
770753
627120
23%
4202.31-200
Articoli in pelle tascabili, con esterno in pelle o pelle
composta, senza inserti in metalli preziosi per più di 6000
yen a unità
7186055
6013485
19%
4202.32-100
Articoli in pelle tascabili, con esterno in plastica o tessuto,
con inserti in metalli preziosi per più di 6000 yen a unità
474381
234365
102%
4202.32-200
Articoli in pelle tascabili, con esterno in plastica o tessuto,
senza inserti in metalli preziosi per più di 6000 yen a unità
2119986
1308192
62%
4202.39-000
Articoli in pelle tascabili, con esterno non in pelle, pelle
composta, tessuto o plastica
3917
1725
127%
4202.91-000
Articoli in pelle diversi da valigie, borsette e articoli
tascabili, con esterno in pelle o pelle composta
8686699
6458246
35%
4202.92-000
Articoli in pelle diversi da valigie, borsette e articoli
tascabili, con esterno in plastica o tessuto
5383980
4546675
18%
4202.99-020
Articoli in pelle diversi da valigie, borsette e articoli
tascabili, con esterno in legno
285
1401
-80%
4202.99-090
Articoli in pelle diversi da valigie, borsette e articoli
tascabili, con esterno in avorio o altri materiali ricavati da
animali
14703
6370
131%
TOTALE
30963919
24945924
24%
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Distribuzione e promozione
I principali canali di distribuzione in Giappone operano attraverso il sistema produttore-grossistarivenditore-consumatore. I principali grossisti giapponesi come Ace, Sazaby, Yoshida e Matsuzaki
ricoprono il sia il ruolo di produttori che quello di grossisti.
I grossisti si differenziano solitamente in base ai loro principali clienti: zone regionali, department
stores o negozi al dettaglio. La merce importata dalla Cina e dai paesi asiatici usufruisce degli stessi
canali distribuzione della merce nazionale. I prodotti di lusso, invece, sono solitamente venduti
all’interno dei grandi magazzini oppure in negozi specializzati.
Recentemente hanno cominciato a svilupparsi dei punti vendita che importano in modo diretto la
merce dall’estero, oltre ai “development imports”, ovverosia oggetti che vengono prodotti
esclusivamente per il mercato giapponese, e i “parallel imports”, che vengono acquistati dai grossisti
stranieri.
Inoltre, con l’aumento degli acquisti attraverso internet, molte compagnie estere hanno sviluppato
delle modalità di ordine online, attraverso le quali gli individui singoli e i grossisti possono scegliere
design, materiale e componenti del prodotto. 20
Analisi dei prodotti
Per quanto riguarda le cinture, che nel caso dell’uso femminile hanno lo scopo di abbinarsi con gli
abiti, devono essere prodotte con un forte senso estetico, design e una particolare attenzione ai
dettagli. Asakusa rappresenta la principale zona di Tokyo per la produzione di cinture in cuoio.
Il trattamento delle pelli si è andato differenziando in base alla diversità delle mode. Ad esempio, la
pelle di pitone o coccodrillo ha una trama a squame inconfondibile, mentre la pelle di bovino viene
utilizzata solitamente per ottenere un effetto “datato” o “consumato”. Inoltre è la più utilizzata per
ottenere trame colorate e che resistono a lungo nel tempo.
Recentemente, la popolarità delle borse di piccole dimensioni sta scemando, mentre si va
intensificando la scelta per prodotti di più ampia capacità, che possano essere portati alla spalla o
al braccio o anche a tracolla. Inoltre è aumentata la richiesta da parte dei consumatori maschili
intorno ai 30 anni di borse in pelle, sia per un uso casual che come business bag.21
20
http://www.asean.or.jp/en/trade/lookfor/top/market/pdf/b1.pdf
21
http://www.asean.or.jp/en/trade/lookfor/top/market/pdf/b1.pdf
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Figura 2 – Svariati modelli di
borse per diverse occasioni
d’uso.
OCCHIALI
Caratteristiche generali del mercato
In Giappone, il numero di persone affette da miopia o astigmatismo è molto elevato, e circa 60
milioni di persone portano abitualmente gli occhiali o le lenti a contatto. Le persone più adulte o
anziane, che hanno la possibilità di spendere più soldi per se stessi, hanno comunque rispetto
all’Italia una maggiore attenzione verso le ultime tendenze.
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Attualmente il mercato è molto competitivo, con prezzi in ribasso da circa un decennio, e le aziende
che vi partecipano stanno cercando di differenziare i loro prodotti.22
Il prezzo medio degli occhiali in Giappone si aggira intorno ai 18900 yen (circa 150 euro).23 Assieme
alla diminuzione dei prezzi si registra tuttavia una consistenza della domanda, che si è orientata nel
modello “più occhiali a minor prezzo”. Gli occhiali da vista, da strumento correttivo od occasionale,
sono diventati un accessorio comune di moda da abbinare all’abbigliamento.24
Secondo una ricerca di effettuata nel 2007 da goo Research (NTT Communications), i dieci motivi
per cui un consumatore acquista un occhiale in ordine d’importanza erano25:
1. Design della montatura
2. Prezzo economico
3. Leggerezza della montatura/delle lenti
4. Pesantezza delle lenti
5. Forma delle lenti
6. Protezione UV delle lenti
7. Qualità del servizio di vendita
8. Possibilità di scelta del prodotto
9. Colore delle lenti
10. Materiali
Le aziende leader nel mercato giapponese degli occhiali attualmente sono Megane Top, Paris Miki
Holdings e Jins.26
Nel 2001 si è diffusa in Giappone una nuova azienda nazionale, Jins che, grazie a una produzione
delocalizzata, riesce a proporre occhiali di alto valore a un prezzo molto ridotto. La particolarità dei
prezzi proposti consiste nel poter scegliere solamente tra quattro categorie, ovvero occhiali che
costano 4990, 5990, 7990 e 9900 yen.27
22
http://www.opticianclub.com/japan-optical-eyewear-market.html
23
http://www.meganetop.co.jp/wp/wp-content/uploads/2012/08/241111_1s.pdf. Si confronti inoltre con
http://www.meganeichiba.jp/concept/safeprice/ per un sito che propone 18900 yen come prezzo medio.
24
http://careerconnection.jp/biz/studycom/content_840.html
25
http://www.japanmarketingnews.com/2007/06/top-10-things-j.html
26
http://careerconnection.jp/biz/studycom/content_840.html
27
http://www.glafas.com/news/shop_news/101013jins_vision.html
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Statistiche di importazione
L’andamento delle importazioni italiane di occhiali nei primi cinque mesi del 2013 mostra un
incremento in valore medio in yen del 36% rispetto all’anno precedente, con una performance
particolarmente positiva di occhiali speciali (per sport, sci etc.). L’incremento nelle unità importate
è cresciuto del 21%.
Nota: a causa del repentino cambiamento nel valore dello yen e della natura dei dati rilevati in
dogana (che si basano sullo spedito piuttosto che sul venduto), questo dato positivo deve essere
correttamente interpretato come fortemente legato alla fase positiva degli ultimi mesi del 2012.
Codice HS
Descrizione
Valore 2013 1-5
(‘000 JPY)
Valore 2012 1-5
(‘000 JPY)
Variazione
valore
9003.11-000
Montature per occhiali in plastica
312785
213077
47%
9003.19-010
Montature per occhiali in metallo
152626
158846
-4%
9003.19-020
Montature per occhiali non in metallo o
plastica
8061
0
New
9003.90-000
Parti di montature
31333
30232
4%
9004.10-000
Occhiali da sole
1879109
1354087
39%
9004.90-000
Altri occhiali completi, protettivi o
correttivi
16573
5682
192%
TOTALE
2400487
1761924
36%
Distribuzione e promozione
In passato gli occhiali venivano venduti soprattutto all’interno dei centri
commerciali, nel reparto degli accessori. Oggi invece si sono stanno
sviluppando sempre più negozi specializzati nella vendita di occhiali da vista
e da sole.28
Per i brand di basso costo, le modalità di distribuzione sono ampie,
contemplando anche la vendita attraverso distributori automatici29, oltre
28
http://www.isc.senshu-u.ac.jp/~the0350/E07/ryoface.htm
29
http://internet.watch.impress.co.jp/docs/news/20120625_542630.html
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Figura 2 - Distributore
automatico di occhiali.
28 / 97
alla vendita attraverso Internet. 30 Una delle modalità di vendita on-line più diffusa è la possibilità
di caricare all’interno del sito Internet dell’azienda l’immagine del proprio viso, e poter provare
virtualmente i modelli di occhiali in vendita, per trovare interattivamente il modello più adatto.31
Analisi dei prodotti
Il modello Wellington (classico) è uno dei più diffusi, soprattutto grazie
alla diffusione di immagini di star del mondo e del cinema che
indossano questo modello.
Figura 3 - Modello Wellington
Il cosiddetto “stile nerd” è tutt’ora in voga tra i giovani, e questa moda
si può spiegare con la tendenza ad acquistare un occhiale non solo in quanto oggetto necessario,
ma in quanto accessorio di tendenza.32
Colori diffusi nella popolazione generale sono il nero e il marrone; di recente diffusione il pattern
tartaruga. In passato i colori scuri erano i più utilizzati, mentre oggi tra i giovani si registra una
preferenza anche verso colori più pastello, come blu e verde. In particolare il blu torbido è molto
popolare, grazie alla possibilità di abbinarlo con il colore della propria business bag (rigorosamente
nera o marrone scura). Le montature con vernice lucida non hanno una forte popolarità, mentre
quelle realizzate in modo opaco sono molto apprezzate.
I modelli leggeri, che all’interno della montatura combinano metallo e plastica,
sono estremamente diffusi, in quanto considerati comodi e pratici.
Per gli occhiali da sole, le montature trasparenti o a stampa, che richiamano la
stessa fantasia degli abiti indossati, stanno registrando una forte popolarità.
Per lo sport, i più diffusi sono i modelli composti da una montatura minimale, che si presentano
come leggeri e flessibili.33
30
http://www.euromonitor.com/eyewear-in-japan/report
31
http://www.japan-distributor.com/eyewear-japan.html
32
http://www.euromonitor.com/eyewear-in-japan/report
33
http://blinc-aoyama.com/brand/emmanuelle-khanh/2013-04-07/sunglass/
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ALTRI ACCESSORI
Calze
In Giappone è molto diffuso l’uso di sandali, scarpe con i tacchi e stivali abbinati con delle calze alla
caviglia, oppure, nel caso in cui si indossi una minigonna, che arrivino oltre il ginocchio.
Questa combinazione di sandalo e calza normalmente viene vista come non alla moda e sciatta,
mentre i giapponesi sono riusciti a farne un trend molto diffuso e seguito.
L’origine più probabile di questa moda è dovuta all’elevato tasso di umidità del Paese, che rende
scomodo l’utilizzo dei sandali a piedi nudi.
Le calze sono spesso ricamate, con un orlo in merletto oppure delle fantasie che possono essere
abbinate all’abbigliamento.34
Figura 5 – Diversi
tipi di calze
In passato, c’era la tendenza a pensare che indossare le calze rendesse le gambe meno attraenti,
ma tra le ragazze giapponesi si è diffusa l’idea che indossare le calze aiutasse a distogliere
l’attenzione dai difetti e dalla forma delle gambe. Questa è, molto probabilmente, l’idea con la quale
si spiega anche il boom negli anni ’90 degli scaldamuscoli abbinati alle gonne dell’uniforme
scolastica.
È molto probabile, quindi, che le consumatrici giapponesi vedano l’alto potenziale dell’uso delle
calze in ogni occasione, abbinandole a ogni tipo di calzatura e abbigliamento.
Accessori per capelli
Il desiderio delle consumatrici giapponesi sembrerebbe essere quello di riuscire a creare uno style
per i propri capelli in ogni occasione con semplici accessori, senza bisogno di dipendere da un
acconciatore professionista.
34
http://web-japan.org/trends/11_fashion/fas111020.html
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Recentemente si è andato diffondendo l’uso di accessori retrò corrispondenti circa agli anni ’60, che
possano essere abbinati a un abbigliamento in stile classico.
Fermagli di diverso tipo sono stati l’accessorio più popolare nel periodo autunno-inverno del
2011/12. Applicando una semplice forcina all’altezza dell’orecchio si riesce a ottenere uno stile retrò
molto diffuso e apprezzato in Giappone. Si sono andati diffondendo, quindi, numerosi fermagli,
elastici e cerchietti arricchiti di perline, paillettes e merletti.35
Figura 6 – Esempi di accessori per capelli
Nail art
La nail art giapponese è imponentemente diffusa in Giappone, arrivando a creare dei veri e propri
universi in miniatura nel ridotto spazio di un’unghia.
L’ampio uso di questo tipo di manicure è diventato a tutti gli effetti un accessorio grazie alla
possibilità di riportare sulle unghie lo stile o il tema dell’abbigliamento indossato, oltre a poter
essere cambiate in base all’umore, l’acconciatura o la stagione. Infatti, per andare in ufficio si può
scegliere un taglio più regolare, mentre per matrimoni o gala si possono aggiungere inserti in
merletto e perle, che si abbinino perfettamente all’outfit. In base al tema dell’evento al quale si
partecipa, la decorazione può essere perfezionata, ad esempio con una tematica natalizia oppure
che richiami la trama del proprio kimono.
Inoltre vengono diffuse numerose riviste e siti internet dedicati alla nail art, che danno consigli di
stile e di abbinamento, oltre a offrire la possibilità di acquistare le decorazioni da applicare
sull’unghia.36
Recentemente, inoltre, si è diffusa la moda di applicare anche degli oggetti sulla base dell’unghia,
creando un effetto di tridimensionalità. Questi possono essere riproduzioni di fiori, animali o fiocchi
35
http://web-japan.org/trends/11_fashion/fas120301.html
36
http://www.nail-art-101.com/japanese_nail_art.html
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e la possibilità di creare autonomamente un proprio stile o decoro sta aumentando la popolarità di
questa moda, grazie alla possibilità di pubblicare e diffondere attraverso i social network le immagini
delle proprie creazioni.
La fiera più grande al mondo riguardo alla nail art si tiene ogni anno proprio a Tokyo, con la
partecipazione di numerosi nail artists internazionali e con lo scopo di promuovere nuovi prodotti.37
Figura 7 – Nail art
Keitai charms
Uno degli accessori più diffusi in Giappone sono i ciondoli e i pendagli di ogni genere e sorta che
vengono agganciati al proprio telefono cellulare, attraverso un piccolo laccio.
L’origine di questa usanza sembra risalga all’uso dei netsuke durante il periodo Edo, ovvero dei
fermagli che servivano a tenere agganciata una piccola borsa o sacchetto al kimono, data l’assenza
di tasche. Questi fermagli erano intagliati in diverse forme (animali, figure umane, temi religiosi o di
tutti i giorni) e ricavati da diversi tipi di materiale, come avorio, lacca e porcellana.
Con il tempo i netsuke hanno iniziato a diventare un tipo di arte e a essere prodotti senza una
ragione strettamente pratica, ma esclusivamente per un uso estetico.38
Questo ha sicuramente influenzato, direttamente o indirettamente, la moda dei ciondoli da
cellulare, fornendo l’ispirazione per le persone di decorare gli oggetti di uso quotidiano come il
cellulare.
Ovviamente c’è la possibilità che l’uso di questi pendagli sia mirato a un uso pratico, oltre che
estetico, per facilitare una rapida presa del cellulare nel caso scivoli dalle mani, oppure da poter
utilizzare intorno al collo con un laccio più lungo.39
37
http://web-japan.org/trends/11_culture/pop120315.html
38
http://www.tofugu.com/2012/12/10/why-japanese-people-love-phone-charms-so-much/
39
http://shibuya246.com/2009/11/30/mobile-phone-straps/
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Oggi questa moda si è talmente diffusa da poter essere considerata un modo per personalizzare il
proprio telefono, per renderlo unico ed esclusivo.40
Figura 8 – Esempi di keitai charm
GIOIELLI
Caratteristiche del mercato
Il Giappone è il terzo mercato mondiale di gioielleria, dopo Stati Uniti e Cina. Si stima che le vendite
di gioielli al dettaglio nel 2010 abbiano totalizzato circa 10,37 mld $, fatturato in diminuzione nel
2011, che si prevede in crescita nel 2013. L’import di gioielli costituisce circa un quarto del mercato
totale. 41 Nel mercato hanno successo i prodotti con un brand largamente riconosciuto dai
consumatori.
Dal 2009 al 2010 l'import di gioielli in metallo prezioso è cresciuto del 15,9%.42
Gli Stati Uniti sono il più grande fornitore di gioielli in metallo prezioso con il 27,77% di share del
mercato (inclusi gioielli in platino e argento).
40
http://www.sutoraikuanime.com/2011/10/keitai-straps-whats-big-deal.html
41
http://export.gov/japan/doingbusinessinjapan/consumergoods/index.asp
42
Ibid.
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Il Giappone continua a essere un mercato altamente competitivo ma attraente per prodotti di
gioielleria unica e di moda con un ottimo brand d'immagine.
Tabella 2 - Sviluppo e previsione mercato gioielli (2007-2012)43
ANNO 100 MLN ¥
2012
9,138
2011
8,950
2010
9,100
2009
9,280
2008
10,540
2007
11,990
Fonte: Yano research, see http://www.yano.co.jp/market_reports/C54106900
Per il sondaggio sono stati presi in considerazione 16.880 negozi al dettaglio con un fatturato medio
di 53 mln €.
Il mercato della vendita al dettaglio di gioielli del 2011 decresce leggermente nonostante le
ripercussioni economiche del Grande Terremoto nel Giappone Orientale a Marzo; tuttavia è sceso
a meno di un terzo del picco massimo raggiunto nel 1991 di 3 mila mld ¥. La ragione della piccola
diminuzione nel 2011 si può riscontrare nel legame altruistico suscitato dal disastro naturale; la
gioielleria matrimoniale ha registrato infatti un aumento stabile, e la Japan Jewellery Association ha
inaugurato la “Campagna dell'Amore di JJA Jewellery”. Ancora, con la ripresa dei consumi procede
bene anche la vendita di prodotti di alto valore agli eventi nei department stores. Questa tendenza
prosegue anche nel periodo natalizio del 2011, momento di massima richiesta, in cui affluiscono
numerosi clienti nei negozi al dettaglio. Infine, nonostante la diminuzione di domanda dei turisti
stranieri, è aumentato il fatturato per i brand stranieri.44
Recentemente si sta sviluppando il cosiddetto “Mercato Ri-”, cioè il mercato della Rinnovazione e
del Risparmio; la storia del settore della gioielleria giapponese si dipana da circa 50 anni, e si stima
che in questo periodo il totale delle vendite abbia superato i 60 mld ¥. La notorietà dei negozi che
fanno compravendita di gioielli usati aumenta insieme al loro numero. Nel commercio dell’usato, al
banco dei pegni e ai discount stores si sono recentemente aggiunti negozi storici specializzati in
gioielli e orologi. Mentre questo business si diffonde in tutto il Paese, con l’aumento di incidenti
43
Si veda una contestualizzazione in http://www.japanprecious.com/market/pdf/marketing.pdf
44
Ibid.
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relativi a comportamenti disonesti di venditori non autorizzati、 si nota un ritorno di fiducia nella
parte del settore che utilizza i canali ufficiali. Anche il mercato della Rinnovazione si espande: i
negozi specializzati locali sfruttano la loro conoscenza di gioielleria per distinguersi dalle catene di
negozi e adottano una politica di “rinnovo”. Anche il rinnovo dei banconi dei saloni di gioielleria dei
department stores ha successo; d'altra parte, insieme al “rinnovo”, aumentano i piccoli negozi
specializzati nell'ordinazione di gioielli. D'ora in poi si pensa che il bisogno di un gioiello proprio vada
aumentando.45
Andamento dei brand d’importazione
Il mercato di vendite al dettaglio di gioielli importati (esclusi gli oggetti di bassa qualità dall'Asia) ha
raggiunto i 250 mln ¥; dal picco del 2006 (310 mln ¥) il mercato ha registrato continue flessioni sino
al 2010, dove presenta una lieve ripresa costante. Il mercato dei gioielli importati rappresenta circa
il 28% del mercato totale.46
Se guardiamo alla situazione del mercato dei gioielli importati negli anni precedenti, a causa della
crisi economica mondiale dovuta al peggioramento del problema statunitense dei mutui subprime
dalla seconda metà del 2007 e al “Lehman shock” della seconda metà del 2008, nel mercato
nazionale si diffonde una sensazione di incertezza nel futuro, si accentua la riluttanza all'acquisto
dei consumatori e, in particolare, l'import di brand dall'Occidente incentrato su marchi di lusso
subisce una pesante ricaduta. Da aprile 2008, nonostante l'abbassamento e la revisione dei prezzi
per la debolezza dell'euro rispetto allo yen forte, l'organizzazione di eventi per stimolare la domanda
negli outlet o nei negozi e l'aumento di vendite dovute al calo dei prezzi, non c'è stato un forte
impulso al rialzo, e in generale si è registrata una forte diminuzione del mercato fino al 2009.
Tuttavia, dal 2010 si è assistito a una graduale ripresa grazie al ritorno dei consumi da parte di utenti
nazionali e alla domanda di turisti asiatici, in particolare dalla Cina; inoltre nel 2011, nonostante la
grande preoccupazione per la contrazione della mentalità consumistica in seguito al Grande
Terremoto del Giappone Orientale nel marzo dello stesso anno, emergono gioielli simbolici di un
sentimento di solidarietà e legame, incentrati soprattutto su gioielli da matrimonio e di coppia.47
La domanda in risposta a un messaggio di “prodotti originali per persone importanti” ha contribuito
all'aumento di import di brand di lusso. Ancora, di contrasto alla forte preoccupazione per la
diminuzione di turisti stranieri dopo il Grande Terremoto, dalla seconda metà del 2011 c'è un nuovo
afflusso di turisti dall'estero, soprattutto dalla Cina; i turisti cinesi in certi periodi dell'anno
45
Ibid.
46
http://www.japanprecious.com/market/pdf/brandjewel.pdf
47
Ibid.
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(“Kokkensetsu” al primo ottobre e “Shunsetsu” al primo dell'anno secondo il calendario lunare)
tornano ad affollare i distretti commerciali di Ginza, Shinjuku e Odaiba.
Tabella 3 - Fatturati annuali prodotti nazionali e importati di gioielleria (in 100 mln ¥)48
2006
2007
2008
2009
Prodotti
nazionali
9,62
9
7,79
6,97
Prodotti
importati
3,11
2,99
2,75
2,32
2010
2011
2012
6,67
6,44
6,51
2,43
2,5
2,63
Fonte: Yano Keizai Kenkyujo Seikei
Il nuovo trend dei brand stranieri
Il Giappone ha sviluppato velocemente un mercato di brand di lusso negli anni '80, ma a causa della
crisi economica globale descritta sopra e della crescita del fast fashion la mentalità dei consumatori
è cambiata, e di conseguenza anche l'ambiente che circonda il mercato dei brand di lusso.
Recentemente l'import di brand si concentra su nuovi mercati emergenti in crescita, soprattutto
quello cinese; molti brand aprono nuovi negozi in queste zone, i cui mercati registrano valori sempre
più importanti nei fatturati totali.
Si dice non vi sia limite di prezzo nel mercato giapponese, perché i clienti giapponesi sanno
riconoscere gli oggetti autentici: capiscono il prezzo di brand di lusso che utilizzano pietre di
eccellente qualità e un design raffinato, e hanno il senso del valore per apprezzare l'abilità di un
artigiano; di conseguenza non sono pochi i brand che adottano la strategia di introdurre un prodotto
inizialmente in Giappone, per poi lanciarlo su scala mondiale a seconda del successo ottenuto. Il
Giappone viene quindi visto come un “mercato di giudizio”.
Come accennato sopra, il disastro naturale dell'11 marzo 2011 ha suscitato un sentimento di
“legame” che ha risvegliato il mercato matrimoniale: numerosi brand di lusso cercano nuovi clienti
in questo settore per avvicinare i giovani sotto i 25 anni che dimostrano scarso interesse nei marchi
di lusso.
Gli ultimi mesi
Nel corso degli ultimi mesi del 2012, si è registrato un modesto aumento delle importazioni di gioielli
e bigiotteria dall’Italia, con un deciso aumento relativamente alla gioielleria in argento e in platino.
Tuttavia, per alcune categorie di fascia alta il mercato mostra segni di saturazione. In deciso aumento
48
Ibid.
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l’import di bigiotteria e ornamenti non in metallo prezioso, che mostra un allargamento del
segmento di fascia bassa.
Nota: a causa del repentino cambiamento nel valore dello yen e della natura dei dati rilevati in dogana (che si basano
sullo spedito piuttosto che sul venduto), questo dato positivo deve essere correttamente interpretato come fortemente
legato alla fase positiva degli ultimi mesi del 2012.
Codice
Descrizione
1-5 2013
1-5 2012
(‘000 JPY)
(‘000 JPY)
7113.11-000
Gioielli in argento
979.088
577.075
70%
7113.19-010
Gioielli in platino
589.050
314.031
88%
7113.19-021
Catene per orologi, occhiali o altri accessori da
indossare, non in argento o platino
47.623
75.133
-37%
7113.19-029
Gioielli non di argento o platino, diversi da
catene per accessori da indossare
4.891.469
4.696.876
4%
7113.20-000
Gioielli in metallo placcato in metallo prezioso
971
-
New
7116.10-000
Articoli con perle naturali o coltivate
5.792
4.326
34%
7116.20-210
Gioielli in pietre preziose
44.816
46.452
-4%
7117.11-020
Gemelli o spillette di altro tipo
4.181
2.546
64%
7117.19-010
Articoli ornamentali a base metallica, placcati in
metallo prezioso
303.995
456.664
-33%
7117.19-090
Articoli ornamentali a base metallica, non
placcati in metallo prezioso
144.153
95.822
50%
7117.90-010
Articoli ornamentali non a base metallica, di
almeno due materiali
298.308
194.342
53%
7117.90-021
Articoli ornamentali non a base metallica, di
legno
902
484
86%
7117.90-022
Articoli ornamentali non a base metallica, di
avorio o corno o altri materiali ricavati da
animali
2.823
1.398
102%
7117.90-023
Articoli ornamentali non a base metallica, di
plastica
33.290
23.189
44%
7117.90-024
Articoli ornamentali non a base metallica,
placcati con metallo prezioso
104.088
75.854
37%
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Variazione
37 / 97
7117.90-029
Altri articoli ornamentali non a base metallica
101.697
71.870
42%
TOTALE
7.651.658
6.636.062
15%
Canali di distribuzione
Nel 2011 si è passati alla trasmissione tramite digitale terrestre e quasi la metà del numero di
cellulari spediti è rappresentata da smartphone. Contemporaneamente, rispetto ad altri canali di
distribuzione di gioielleria, si sono grandemente sviluppate le vendite di gioielli per corrispondenza
tramite TV shopping e internet. In particolare la diffusione di smartphone e tablet ha permesso
l'aumento dei nuovi utenti tra le giovani generazioni per la possibilità di acquistare i prodotti
ovunque e in qualsiasi momento. Di conseguenza, anche le grandi catene di negozi e i brand stranieri
si sono concentrati sulle vendite su internet per rispondere a questo nuovo tipo di domanda.
D'altra parte anche il TV shopping, mentre rafforza la trasmissione BS e la comunicazione con i clienti
con il passaggio alla trasmissione digitale, aumenta i profitti grazie al “channel mix” con internet.
Ancora, per ampliare il fatturato, si accelera l'ingresso al business su internet di import di brand di
lusso (siti online della propria azienda) in quanto estensione di business a gestione diretta: a
cominciare da Tiffany nel Novembre 2005, seguono in successione Louis Vuitton, Celine, Cartier,
Bulgari, Gucci, Bottega Veneta e altri. Allo stesso modo, Tiffany fu l'azienda pioniera nel mobile
commerce, presto attivo anche nel settore dei gioielli di lusso.
Non solo vendita di beni, ma una tendenza in crescita anche per l’invio di informazioni tramite le
homepage, promozione tramite crossmedia e sviluppo di applicazioni per smartphone per la
comunicazione bilaterale.49
Secondo un sondaggio di McKinsey & Company del 200950 svolto su persone che hanno acquistato
almeno un prodotto di lusso tra aprile 2008 e marzo 2009, il 25% degli intervistati preferisce ai
negozi tradizionali di articoli di lusso i premium outlets: questi canali di distribuzione rappresentano
infatti dal 23 al 29% di frequenza d'acquisto. La continua crescita di questa tendenza è supportata
da un consumatore più consapevole, da un ambiente di shopping in evoluzione e da incentivi
indiretti come il taglio dei pedaggi autostradali; il successo dei premium outlet malls è vantaggioso
in parte per i produttori di articoli di lusso, che devono evitare un'eccessiva dipendenza da questi
canali di distribuzione, puntando su consumatori prudenti e segmentazione del prodotto. I
department stores, seppure in declino, continuano a rappresentare circa il 50% degli acquisti di
49
Ibid.
50
http://csi.mckinsey.com/Knowledge_by_region/Asia/Japan/Japans_luxury_consumer.aspx
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articoli di lusso, mentre i negozi autonomi dei produttori rimangono importanti per gli acquisti e il
“browsing” dei prodotti.
Caratteristiche dei prodotti
Sempre secondo il sondaggio citato sopra, più del 20% dei consumatori di prodotti di lusso, sia
oggetti in pelle che gioielli, confermano di spendere più dell'anno precedente in questo settore
perché il 78% degli intervistati afferma di “apprezzare di più il valore di indossare o possedere un
oggetto di lusso”; più del 30% è disposto a pagare una cifra più alta se il prodotto è in edizione
limitata, quindi sono ambite le caratteristiche di novità, esclusività e unicità del bene, oltre a una
riconosciuta storia del brand.51
Le recenti difficili condizioni economiche hanno avuto un forte impatto sulla spesa dei consumatori
e sugli schemi di consumo: mentre le consumatrici tra i 20 e i 40 anni preferiscono brand prestigiosi
importati, i consumatori sui 20 anni si focalizzano più sui fashion trends, scegliendo prodotti unici e
dal design distintivo, più che per il loro brand; inoltre questi giovani clienti usano la gioielleria come
elemento decorativo per dare un tocco trendy all'abbigliamento quotidiano.52
Altre caratteristiche ricercate recentemente nei prodotti di lusso sono53:
•
•
Un prodotto quotidiano facile da usare, scelto non in base all'età ma alla sensibilità, e che
abbia come tema la quotidianità e lo stile casual;
Un design chic che unisce in sé sia una nota adulta che infantile per un oggetto che può
essere usato sia da una donna che da un bambino.
51
Ibid.
52
http://www.globaltrade.net/f/market-research/text/Japan/Textiles-Apparel-Leather-Footwear-AccessoriesCostume-Jewelry-Industry-in-Japan.html
53
http://www.e-tkb.com/t-mail/tkb.cgi
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ASPETTI DI DISTRIBUZIONE
L'enorme influenza del commercio al dettaglio in Giappone attira l'attenzione globale, essendo
anche l'origine di molte tendenze con ampia diffusione in Asia. Per i rivenditori, in particolare, il
mercato giapponese offre grandi opportunità di vendita per prodotti e servizi incentrati su lusso,
stile, praticità e alto valore.
I rivenditori stranieri nel corso del tempo hanno ottenuto un sempre più ampio consenso nel
mercato giapponese, introducendo prodotti che vanno a soddisfare le preferenze e lo stile dei
consumatori giapponesi.
I produttori giapponesi di abbigliamento giocano un ruolo centrale nella distribuzione interna,
promuovendo loro stessi i prodotti, ma anche programmando e organizzando i subappaltatori sia a
livello nazionale che all'estero. I produttori nazionali vendono i loro prodotti a grossisti o rivenditori
quali i grandi magazzini, che a loro volta rivendono ai consumatori finali.
I PRINCIPALI CANALI
I canali di distribuzione delle importazioni invece possono essere divisi a grandi linee in
“importazioni sviluppate” (con prodotti sviluppati secondo le specifiche degli importatori sfruttando
le risorse e le tecnologie dei Paesi avanzati ai Paesi in fase di sviluppo) e importazioni propriamente
dette54. Gran parte delle importazioni dalla Cina e dal sud-est asiatico sono del primo tipo e per
questo i canali di distribuzione sono all'incirca come quelli dei prodotti fabbricati in Giappone da
produttori nazionali. Dall'altro lato invece, le importazioni in Giappone fanno per lo più riferimento
a prodotti di brand europei e statunitensi o prodotti su licenza.
Molti di questi prodotti vengono importati dall'estero attraverso le filiali giapponesi, gli agenti di
importazione o le compagnie commerciali e quindi venduti ai consumatori dai rivenditori al dettaglio
passando per i grossisti nazionali. Negli ultimi anni, un numero crescente di grandi rivenditori sta
commerciando direttamente con gli importatori e, unitamente alla sempre più forte popolarità del
commercio su internet, i grossisti stanno iniziando a perdere forza mentre i circuiti di distribuzione
vanno progressivamente accorciandosi.
I rivenditori di base, quali grandi magazzini, supermercati, convenience store (CVS) e negozi
specializzati, sono in continua trasformazione con il passare del tempo. I centri commerciali, che
uniscono diverse imprese al dettaglio, si sono sviluppati in una varietà di formati urbani ed
54
Guidebook for export to Japan 2011, JETRO
http://www.jetro.go.jp/en/reports/market/pdf/guidebook_apparel_products_materials.pdf
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extraurbani, offrendo un'ampia gamma di possibilità. In ogni caso, la chiave sta nell'individuare il
branding e sviluppare il business considerando ogni area e ogni target di mercato.
Tra i principali canali di distribuzione in Giappone vanno evidenziati55:
Grandi magazzini
In un grande magazzino si possono trovare diversi tipi di merci, dal cibo ai vestiti e gioielli. Qui i
prezzi non vengono scontati, tranne durante la stagione dei saldi. Tra i principali in Giappone si
trovano Mitsukoshi, Matsuzakaya, Sogo, Takashimaya, Isetan e Matsuya. Questi hanno tutti una
lunga storia: Matsuzakaya è stata fondata nel 1611, Mitsukoshi nel 1637 e Isetan, relativamente
recente, risale al 1886.
Tutti questi negozi ha iniziato con il commercio di tessuti per kimono, ponendo poi una sempre più
forte enfasi sui capi d'abbigliamento. I grandi magazzini come Tokyu, Odakyu, Keio, Seibu, Tobu e
Hankyu sono invece sorti molto più tardi, ma le loro imprese madri erano imprese ferroviarie e per,
questa ragione, i grandi magazzini sono situati vicino alle stazioni. Questi ultimi si concentrano sullo
sviluppo di marchi e servizi originali, ponendo l'accento sulla sezione alimentari nei grandi magazzini
seminterrati (depa-chika).
Va però sottolineato che oggi è diventato sempre più difficile aprire dei negozi nei centri
commerciali (in particolare se non si opera con una grande catena di esercizi).
Per quanto riguarda i grandi magazzini può essere utile operare una breve distinzione tra le forme
adottate al loro interno:
•
•
•
Item corner: gli articoli vengono esposti per tipo e marca sugli scaffali, i commessi sono del
grande magazzino ed è quest'ultimo che fissa i prezzi guadagnando una percentuale (3040%).
Brand shop: spazio delimitato e dedicato alla vendita di una certa marca. I commessi in
questo caso possono essere del grande magazzino o del fornitore, mentre i prezzi sono
consigliati dal fornitore e la percentuale del venduto che ottiene il grande magazzino varia
in genere dal 30 al 40%, secondo l’importanza dei marchi.
Brand boutique: una vera boutique, dove i prezzi sono decisi dal fornitore così come
l'arredamento, l'insegna e i commessi.
Shopping Centers
Si tratta di nuovi complessi posizionati al centro della città e sorti grazie alla riqualificazione delle
aree. In alcuni casi, attorno ai super-grattacieli vengono costruiti hotel di fama mondiale, cinema,
teatri, uffici e condomini di lusso. Tra i grandi centri commerciali si trovano Tokyo Midtown
(Roppongi) con la sua Midtown Tower, Roppongi Hills con una stazione televisiva e osservatorio, e
55
Japan National Tourism Organization: http://www.jnto.go.jp/eng/attractions/shopping/01.html
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Caretta Shiodome a Shiodome. Inoltre, anche se non dispongono di servizi di intrattenimento, si
possono trovare luoghi famosi come Marubiru (Marunouchi Building), Shin-Marubiru (ShinMarunouchi Building) o Marunouchi Oazo, sul lato Marunouchi della stazione di Tokyo. La principale
caratteristica comune a tutti questi centri commerciali è che hanno negozi che sono entrati in
Giappone per la prima volta o negozi di marca che hanno sviluppato la loro attività in uno stile unico.
Inoltre, i ristoranti negli shopping centers hanno sempre lunghe code, sia di giorno che di sera.
A Osaka, nella zona di Umeda, oggetto di una riqualificazione su larga scala, nei nuovi grattacieli
centri commerciali come Osaka Garden City e Herbis OSAKA presentano numerosi negozi con
marchi di punta.
Fashion Buildings
I Fashion Buildings sono specializzati in abbigliamento, beni e cosmetici vari soprattutto per giovani.
Hanno una buona gamma di negozi selezionati che portano marchi nazionali ed esteri per donne e
alcuni di questi negozi scelgono i prodotti secondo il gusto del proprietario. Molti dei fashion
buildings hanno anche cinema incorporati. Tra questi si trovano PARCO, 109 e MARUI a Shibuya, e
LUMINE, MYLORD e MARUI, tutti situati vicino alla stazione di Shinjuku.
Outlet
Gli outlet hanno un clima simile a un parco a tema, ma in realtà sono centri commerciali dove è
possibile acquistare prodotti di marca a un prezzo ragionevole. Ci sono attualmente circa 30 outlet
in Giappone. Sia gli outlet al coperto che quelli all'aperto hanno ampi corridoi, in modo da
permettere passeggiate durante lo shopping. Alcuni esempi: Rinku Premium Outlet di Osaka, servito
da un bus navetta dall'aeroporto internazionale di Kansai; Town Outlet Mare, di fronte alla baia di
Osaka, si trova a Cosmo Square dove si può godere anche delle strutture di divertimento o
dell'osservatorio presso il World Trade Center di Osaka; La Fête Tama a Tokyo, che riproduce
l'atmosfera delle strade del sud della Francia; Mall Grandberry, a circa 1 ora di treno dal centro di
Tokyo.
Nel settore della distribuzione in Giappone si nota il progressivo ingresso di altre e nuove categorie,
come appunto avviene con la sempre più crescente diffusione degli outlet. Va inoltre ricordata
l'importanza dei negozi specializzati, in aumento rispetto ai grandi magazzini. Dal 2000 le grandi
catene di negozi specializzati hanno infatti iniziato ad aumentare sempre più le aperture di nuovi
punti vendita, contribuendo all’aumento di fatturato in maniera contrastante rispetto alle altre
forme di dettaglio56.
56
Luxury Goods in Japan 2013: a Preview, McKinsey, disponibile all’indirizzo:
http://csi.mckinsey.com/~/media/Extranets/Consumer%20Shopper%20Insights/Reports/2013/Japan_Luxury_go
ods_2013.ashx
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I negozi specializzati sono di fatto punti vendita con assortimento limitato, con articoli di designer
emergenti e scelti attentamente in base al target di clienti o in base al gusto del proprietario. Di
fatto il negozio specializzato, per poter sopravvivere, ha bisogno di ampliare la propria dimensione
senza mai dimenticare l'importanza dell'unicità dell'offerta e della rarità del prodotto, continuando
a proporre veri e propri lifestyle nuovi.
In crescente sviluppo e in forte concorrenza con i select shop si trovano gli SPA (Speciality store
retailer of Private Label Apparel), imprese cioè come Uniqlo, Gap, Zara, Fover 21 H&M e Benetton
(tra le principali in Giappone) che seguono tutti i processi, dal design alla commercializzazione.
Comunque il formato del select shop, creato per offrire marchi diversi tra loro ma caratterizzati da
una forte unicità e uniti tutti in un unico posto avendo come base un rivenditore o un concept store,
si è mostrato estremamente valido. Aziende come Beams e United Arrows sono la prova di questo
approccio. Diversi rivenditori stranieri che presentano varietà di stili diversi hanno aperto negozi
specializzati in Giappone riuscendo a ottenere buoni riscontri. Questi rivenditori in genere entrano
nel mercato per conto proprio o attraverso partnership con aziende giapponesi.
CANALI MINORI ED EMERGENTI
Oltre alle forme di rivendita di base, va sottolineata la forte presenza sul mercato di “100 yen shop”
e la notevole crescita di vendite via email utilizzando PC, tablet e cellulari. Quest'ultima forma in
particolare, definita come mercato virtuale (non-store market) o vendita per corrispondenza, è in
rapida espansione grazie alla potenzialità offerte dalla rete che permette ordini via email e telefonia
mobile. Si nota così l'evoluzione di una vasta gamma di nuovi modelli di business che offrono alle
imprese estere sempre più ampie opportunità per l'ingresso nel commercio al dettaglio.
L’acquisto di prodotti economici via internet, estremamente diffuso soprattutto in Gran Bretagna e
Stati Uniti, sta prendendo piede anche in Giappone, non senza però incontrare una certa riluttanza
da parte dei consumatori. Le principali teorie per spiegare questa reticenza sono: la preferenza dei
giapponesi per l’acquisto fatto di persona, la dimensione ridotta degli schermi dei telefoni cellulari,
lo scarso uso delle carte di credito e la larga diffusione dei negozi al dettaglio sul territorio. 57
Nonostante questo, secondo un altro sondaggio di aprile 2009 di MyVoice, più del 50% dei
consumatori ha dichiarato di aver acquistato maggiormente via internet rispetto all’anno
precedente.58
57
http://www.mckinsey.com/insights/consumer_and_retail/the_new_japanese_consumer
58
http://www.myvoice.co.jp/biz/surveys/12901/index.html
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Recentemente, infatti, grazie a schermi a sempre più alta definizione, sempre più giapponesi usano
il telefono cellulare per i loro acquisti, facendo aumentare la diffusione di numerose applicazioni
che offrono consigli di stile, offerte in corso, newsletter e promozioni dedicate ai soci.
Nel caso di Prada, ad esempio, il Giappone è stato il terzo paese in cui è stato iniziato l’e-commerce
nel 2010 (dopo Europa e Stati Uniti), e metà dei prodotti venduti online vengono acquistati dal
Giappone.59
59
http://csi.mckinsey.com/~/media/Extranets/Consumer%20Shopper%20Insights/Reports/2013/Japan_
Luxury_goods_2013.ashx
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PROMOZIONE E MARKETING IN GIAPPONE
Nel mercato dell'abbigliamento in Giappone i prezzi sono in continuo calo, il mercato dei
consumatori è in continua contrazione per la staticità dei consumi individuali, le importazioni di
prodotti a basso costo da Paesi asiatici quali la Cina aumentano, così come aumentano di popolarità
dei nuovi brand fast fashion (quali Uniqlo) negli ultimi anni. Inoltre, va tenuto in considerazione che
dalla crisi dei subprime nel 2008, la propensione all'acquisto da parte dei consumatori è calata
ulteriormente, determinando una contrazione sempre maggiore del mercato60.
Con questa continua contrazione nel mercato dell'abbigliamento, hanno assunto un ruolo sempre
più centrale diversi prodotti di abbigliamento:
Abbigliamento funzionale (come l’abbigliamento termico “Heat Tech” proposti da Uniqlo o i
completi lavabili in lavatrice), e stanno guadagnando una sempre maggiore popolarità, non solo in
Giappone ma anche all'estero.
I prodotti di Private Brand (PB); prodotti unici, con prezzi stabiliti dal venditore al dettaglio, così
come i dettagli e il design. Il venditore può anche ordinare direttamente al produttore e vendere i
prodotti stessi. Sebbene il profitto sia alto ci sono una serie di rischi legati alle forniture. Rispetto
alla rivendita al dettaglio di abbigliamento che normalmente genera bassi profitti, i prodotti PB sono
prodotti strategici di grande importanza, che permettono di allontanarsi dal sistema di utile lordo
basso. Negli ultimi anni sempre più negozi di vendita al dettaglio stanno aumentando il tasso di
vendita di prodotti di questo tipo pur nella consapevolezza dei rischi relativi alle forniture.
CONSIDERAZIONI SULL'INGRESSO NEL MERCATO GIAPPONESE E SUI METODI DI
MARKETING
Il mercato dell'abbigliamento in Giappone è un mercato maturo ed è pertanto importante
concentrarsi sulle singole caratteristiche del brand e differenziarsi dalla restante offerta. Con
l'aumento della recessione inoltre, i consumatori non accettano compromessi nella selezione dei
prodotti e prestano attenzione al prezzo così come alla qualità. Nell'entrare nel mercato giapponese
vanno considerati attentamente i bisogni dei consumatori e determinate le singole caratteristiche
che possono differenziare un prodotto da quello degli altri produttori.
Innanzitutto risulta fondamentale accertarsi della reazione del compratore e dei consumatori, avere
un nome e un logo d’impatto e facile da ricordare, promuovere la storia del brand attraverso
campagne pubblicitarie che possano fornire al compratore un background ricco di informazioni,
60
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offrire sempre nuovi prodotti e stimoli per attirare in modo costante l'attenzione del consumatore
in un mercato dominato da tendenze estremamente volubili.
Essendo il mercato della moda estremamente competitivo, è importante che ogni azienda chiarisca
il suo concetto di marca, il target di consumatori, così come di distribuzione, scegliendo se
necessario come partner una società giapponese.
Oltre a queste prime attenzioni, altre precauzioni necessarie sono illustrate in seguito.
Stagionalità
Il Giappone ha quattro stagioni ben distinte e poiché il clima e le temperature variano in modo
sostanziale, la domanda di prodotti varia a seconda del periodo dell'anno, con aumento di richieste
di cappotti pesanti nel periodo invernale e magliette che permettano la traspirazione durante il
periodo estivo. Inoltre, va tenuto in considerazione l'aumento di domanda nel periodo natalizio, in
aprile per le cerimonie di inizio attività e in altre occasioni. Unitamente a questo, per la vendita di
abbigliamento in Giappone è importante stabilire strategie di vendita che considerino gli eventi
stagionali. La stagionalità, ma anche le tendenze nell'uso di materiali e colori, sono fattori in
continuo cambiamento e di estrema importanza per il produttore estero interessato al mercato
giapponese.
Struttura fisica
Le taglie, oltre che i modelli, sono tra i fattori più importanti che vanno a influire sull'acquisto o
meno da parte del consumatore. Va tenuto in considerazione che i giapponesi, per la maggior parte
magri, presentano forme leggermente diverse da quelle italiane. Va inoltre sottolineato che molte
compagnie adattano gli stili e creano tagli appositamente pensati per le donne asiatiche, non solo
in termini di taglie ma anche di colori, a volte ideando prodotti esclusivamente pensati per il mercato
giapponese.
Scelta della location e dello store
I prodotti unici, creativi o particolarmente prestigiosi dovrebbero trovarsi in negozi di un certo
rilievo in aree prestigiose, nei grandi magazzini o in select shop di alta moda noti ai consumatori. Se
il prodotto invece ha un target ampio e prezzi accessibili, potrebbe essere presentato negli edifici
delle stazioni (come ad esempio Lumine) o in negozi in aree ad alta concentrazione.
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Figura 9 (sopra) – Miranda
Kerr per Samantha Thavasa a
Tokyo
Figura 10 (sopra) – Opening day: la girl band
k-pop After School presenzia a un evento
promozionale per l’apertura del primo outlet
in Giappone della marca sudcoreana di moda
Mixxo nel Sogo Department Store a
Yokohama.
Figura 11 (di lato) – Japan Fashion Week
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Packaging
Nei department store la moda donna si trova nei primi piani (dopo interrato per gli alimentari e
piano terra per cosmetici), con a seguire moda uomo e sport.
L’impeccabile presentazione, in particolare se si tratta di regali, è di fondamentale importanza per
il cliente giapponese. I prodotti generalmente sono confezionati in piccole quantità e in modo molto
carino già dai produttori. Per i regali invece viene generalmente data una confezione addizionale,
arricchita di decorazioni (spesso fiocchi), ponendo il tutto in shoppers con il nome e logo del
magazzino o del negozio.
Rapporto con il cliente e assistenza post-vendita
Prevedibilità e coerenza nel tempo con la propria immagine e il proprio livello di servizio: questo è
il fattore fondamentale per mantenere la comunicazione con gli acquirenti e con i potenziali clienti.
La forma domina il rapporto con i clienti, laddove nel rapporto tra venditore e cliente si instaura un
rapporto molto strutturato che rende evidente i ruoli ed evita accuratamente ogni ambiguità. I
continui saluti e l'accompagnamento del cliente fino all'uscita da parte del negoziante ne sono gli
esempi più noti. Da ricordare inoltre la presenza di staff nell'ascensore che fornisce indicazioni sui
differenti piani61.
Una eccellente assistenza post-vendita, oltre a essere protetta dalla legge con alcune misure quali
il product liability act (si veda più sotto), è soprattutto un dato culturale di cui tenere conto.
L’acquisto, soprattutto nelle fasce più mature della popolazione, sanziona l’instaurarsi di un
rapporto di lungo termine con il negozio o con il brand, e implica la necessità di rendersi presenti
attraverso ogni mezzo possibile (telefono con interlocutore giapponese, sito internet, indirizzo email
dedicato) per qualsiasi dubbio sull’uso del prodotto. La percezione di distanza dopo l’acquisto è
spesso l’occasione principale per innescare una disaffezione sul marchio.
Lotti di produzione
I lotti di produzione di articoli di abbigliamento stranieri sono vasti perché esportati principalmente
da Europa e Stati Uniti. Così accade che questi articoli non siano adatti al mercato giapponese, che
ricerca invece produzioni a piccoli lotti di prodotti diversi e in brevi periodi. Di conseguenza è
fondamentale monitorare da vicino le tendenze di consumo in Giappone, essere consapevoli dei
bisogni dei consumatori, della quantità richiesta e sviluppare un sistema di produzione e vendita
che permetta la distribuzione dei prodotti al mercato con solo un breve preavviso.
61
Japan Guide: http://www.japan-guide.com/e/e2072.html
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Standard di qualità
Gli standard di qualità richiesti in Giappone sono generalmente più rigidi nel confronto con gli altri
Paesi62. Considerando i criteri di qualità, il Giappone ha una Legge sulla Responsabilità Prodotto
(Product Liability Law) che prevede che i produttori (o importatori) siano responsabili nel caso in cui
i loro prodotti risultino dannosi per la salute, l'uomo o per la presenza di difetti. In questa legge sono
compresi anche alcuni articoli di abbigliamento quali le borse. Inoltre, per quanto riguarda il livello
qualitativo, anche i consumatori giapponesi sono ben consapevoli della qualità e tendono a
preferirla al prezzo.
VEICOLI DI PROMOZIONE
Riviste
Può essere importante osservare nel dettaglio alcune delle riviste di moda presenti sul mercato, in
modo da comprendere più concretamente gli aspetti ritenuti più importanti per veicolare un
acquisto.
Una tendenza o un colore di moda vengono descritti in modo dettagliato, spesso facendo
riferimento, in particolare nel caso dei colori, alle sensazioni e all'immagine che si trasmette
attraverso un capo di abbigliamento piuttosto che un altro.
Uno stile viene presentato inoltre nel suo complesso, con una serie di abbinamenti suggeriti. Questi
vanno a considerare ogni singolo dettaglio: dal colori, alle calzature fino a comprendere
acconciature, fermagli per capelli o anche il make up.
Non è raro inoltre trovare indicazioni su dove e quando indossare un certo indumento.
L'attenzione per la modella indossatrice: lo stile è infatti pensato e presentato in relazione alle
forme, all'altezza, all'età o allo status sociale di una certa persona.
Si può dire che le riviste giapponesi tendano non solo ad analizzare fin nel minimo dettaglio tutto
ciò che va a comporre uno stile, ma anche a dividere in precise categorie che sono ormai note a tutti
e attraverso le quali spesso ci si identifica.
62
JETRO: http://www.jetro.go.jp/en/reports/market/pdf/guidebook_apparel_products_materials.pdf
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Riviste fashion per pubblico femminile
Le seguenti sono le riviste più famose in commercio, suddivise per fasce d’età e stili di moda.
15 – 18: studentesse di scuole superiori; stile carino/grazioso/casual con alcuni elementi seducenti.
Elle Girl
100.000 copie, contiene
informazioni su cultura,
beauty e fashion da un
punto di vista
internazionale.
Seventeen
350.000 copie, il
“seventeen” del titolo
non si riferisce ai 17 anni,
ma ai 7 anni che
intercorrono dai 13 ai 19
anni, fascia d’età a cui è
indirizzata la rivista.
Street/Urahara: età 17-30, stile vintage/indie, non segue il mainstream.
CUTiE
JILLE
170.000 copie, rivista incentrata
su fashion giovanile e uno stile
personale.
130.000 copie, lo stile proposto
è “one-rank casual”, un casual
raffinato e di alto livello.
mini
360.000 copie, propone un
fashion casual elegante, un “real
style” semplice e adulto ma allo
stesso tempo grazioso.
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Casual: tarda adolescenza – 30 anni; stile molto semplice e casual, con alcuni elementi
romantici/graziosi/cool a seconda di cosa è popolare in ogni stagione.
an・
・an
ar
mina
210.000 copie, una delle riviste
più amate, nata nel 1970; non si
incentra solo sul fashion, ma
include diversi temi come viaggi,
sport, tempo libero, arti, interni.
130.000 copie, rivista per giovani
ragazze dai 15 ai 25 anni, lo stile
è casual ed elegante, si
propongono anche stili di
acconciature.
230.000 copie, stile di fashion
casual e basilare rivolto a lettrici
dai 15 ai 30 anni.
non-no
Soup
Spring
170.000 copie, le principali
lettrici hanno tra i 21 e i 26 anni,
e viene proposto uno stile casual
raffinato da adulto ma allo stesso
tempo carino.
400.000 copie, si rivolge a donne
tra i 20 e i 30 anni, con uno stile
casual elegante e soprattutto
naturale.
470.000 copie, pubblico
femminile tra i 18 e i 25 anni;
rivista su intrattenimento,
bellezza e moda che propone
uno stile grazioso e naturale.
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Sweet
460.000 copie, la fascia d’età più
frequente è tra i 21 e i 27 anni, lo
stile proposto è adulto ma
soprattutto carino.
Shibuya-kei: stile “Shibuya” che racchiude diversi look.
Gyaru: tarda adolescenza – 30 anni; stile caratterizzato da trucco pesante, abiti seducenti e
appariscenti.
EDGE STYLE
egg
150.000 copie, rivista rivolta a
giovani gyaru entro i 30 anni che
ricercano uno stile carino e
seducente. Sono incluse notizie
su lifestyle, hairstyle, beauty e
make-up.
230.000 copie, rivista rivolta a
ragazze che seguono lo stile
gyaru; è incentrata sul fashion
street ma propone anche altri
stili di moda. Include anche
notizie su lifestyle.
Popteen
300-400.000 copie, rivolta a
ragazze fino ai 20 anni, si
definisce un magazine
“Love&Live”.
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Popsister
S Cawaii
Rivista derivata da “Popteen”,
propone lo stesso stile allo stesso
tipo di pubblico.
Ranzuki
100.000 copie, rivista rivolta alle
giovani gyaru appariscenti.
BLENDA
(60.000 copie): rivista rivolta a
seguaci dello stile gyaru tra i 20 e
i 30 anni; propone uno stile di
fashion più maturo, e include
consigli su hairstyle, accessori,
make-up, cura della pelle, e
informazioni su lifestyle,
divertimenti e viaggi all’estero.
100.000 copie, rivista incentrata
su uno stile semplice e
seducente, propone lo stile di
moda delle celebrità.
JELLY
Happie Nuts
338.000 copie, rivista rivolta a
gyaru adulte, incentrata su
beauty e fashion di stile “aura”.
230.000 copie, rivista rivolta a
ragazze sui 20 anni gyaru
abbronzate.
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Hime Gyaru: stile di gyaru femminile e principesco, nato negli anni 2000.
Koakuma ageha
300.000 copie, attualmente di
gran voga tra le giovani,
indirizzato principalmente a
hostess.
Hime Style
50.000 copie, rivista che diffonde
lo stile e la cultura hime gyaru
nella regione del Kansai, zona
dove viene pubblicata la rivista.
B-girl: “break-girl”, stile importato dagli Stati Uniti che indica ragazze appassionate di hip-hop.
OL/Onee-kei (Akamojizasshi): queste riviste prendono il nome dai titoli rossi in copertina; le
seguenti cinque riviste sono le più famose ed accreditate in Giappone per il fashion: propongono
uno stile maturo e sofisticato con elementi romantici/graziosi/sexy in relazione a ciò che è di moda
durante la stagione. Rivolte principalmente a studentesse 20enni e giovani Office Ladies.
CanCam
ViVi
110.000 copie, il target comprende
dalle giovani di 15 anni alle OL fino a
30 anni; la rivista non tratta solo
fashion, ma anche beauty e lifestyle.
Lo stile proposto presenta
abbigliamento da lavoro e
femminile.
645.000 copie in tutta l'Asia, è
indirizzata a office ladies e
generalmente presenta uno stile
sofisticato, maturo con una forte
attenzione per le tendenze della
stagione.
Target: studenti universitari, inizio
vent'anni.
JJ
184.000 copie, per giovani donne da 18 a
30 anni, con uno stile coordinato,
elegante e carino; i temi trattati sono
fashion, beauty e lifestyle. È il punto di
riferimento per le seguaci dell’Onee-kei
(“stile della sorella maggiore”,
caratterizzato da capelli castani e vestiti
e accessori di marca di fascia alta).
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PINKY
164.000 copie, il target si
identifica in giovani dai 18 ai 30
anni, lo stile è casual ed
elegante.
Ray
MORE
244.000 copie, rivista popolare
tra le donne di età compresa fra
15 e 25 anni, promuove lo stile
mote-kei, incentrato sulla
femminilità attraente ma non
seducente o individuale.
597.000 copie, rivista indirizzata
principalmente a studentesse
universitarie e donne in carriera;
lo stile proposto rientra nel
mainstream.
with
Bijin Hyakka
590.000 copie, rivista rivolta a
lettrici dai 20 a 30 anni,
specialmente Office Ladies; tratta
temi di fashion e cultura, lo stile
rientra nel mainstream.
200.000 copie, rivista indirizzata a
donne sui 20 anni, soprattutto
Office Ladies; lo stile proposto è
divertente, carino e casual.
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Enokizaka Building 3F, 1-12-12 Akasaka, Minato-ku, Tokyo 107-0052
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Riviste femminili dai 20 anni
and GIRL
Oggi
150.000 copie, rivista indirizzata
a donne dai 25 ai 35 anni; lo stile
di fashion proposto è adulto ma
grazioso.
230.000 copie, rivista rivolta
principalmente a donne dai 25 ai
35 anni che aspirano a una
carriera internazionale; propone
uno stile elegante.
CLASSY
215.000 copie, il pubblico
femminile ha un’età compresa
tra i 25 e i 35 anni, soprattutto
Office Ladies; lo stile proposto è
elegante.
MISS
110.000 copie, il target
comprende donne dai 25 ai 35
anni, lo stile rientra nel
mainstream.
AneCan
UNI.T
320.000 copie, rivista rivolta a
donne fino ai 30 anni, lettrici più
adulte della rivista CanCam, da
cui deriva. Lo stile proposto è
elegante e sofisticato.
80.000 copie, il target è
composto da studentesse
universitarie tra i 18 e i 24 anni;
rivista gratuita di fashion e
beauty che propone uno stile
carino e quotidiano, ma che dà
anche informazioni su circoli e
corsi. Distribuito solo nelle
prefetture di Tokyo e Kanagawa.
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Steady
BAILA
GLITTER
120.000 copie, la rivista si rivolge
a giovani OL sui 25 anni che
cercano uno stile semplice ma
carino per andare al lavoro.
160.000 copie, rivista di fashion e
informazione per OL dai 25 ai 35
anni; lo stile di alto senso
estetico propone indumenti
casual ma anche formali e
graziosi per il lavoro.
250.000 copie, rivista rivolta a
donne dai 25 ai 33 anni che non
vogliono sentire l’età; fornisce
informazioni su fashion, beauty,
lifestyle, amore e lavoro. Lo stile
proposto si definisce
“international-celeb”.
GISELe
GLAMOROUS
25ans
78.000 copie, rivista rivolta a un
pubblico tra i 25 e i 40 anni,
propone uno stile misto adulto e
carino allo stesso tempo,
internazionale. Tratta argomenti
di fashion, beauty e celeb.
120.000 copie, rivista che
propone uno stile di fashion
elegante, raffinato e sexy per
donne sui 30 anni.
72.000 copie, rivista indirizzata a
donne dai 25 ai 35 anni,
incentrata su fashion di stile
europeo di fascia alta e su
informazioni di beauty globale.
Rivista conosciuta anche in Cina.
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ENVY
Rivista di beauty e fashion
indirizzata a ragazze tra i 18 e i 25
anni che seguono uno stile “total
beauty fashion” elegante.
Natural-kei: il target principale dello stile “natural” è composto da casalinghe dai 20 anni in su; lo
stile è semplice, dai colori uniformi, con dettagli o decori fatti a mano.
Naturela (Nachurira)
50.000 copie, prima rivista a
proporre uno stile naturale
occidentale, semplice ma
elegante. Indirizzata a casalinghe.
Liniere (Rinneru)
300.000 copie, rivista che
propone uno stile elegante per
una vita semplice e “leggera”.
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High-fashion: riviste che propongono uno stile di alta moda, dai brand ricercati e costosi.
VOGUE Japan
ELLE Japon
So-en
100.000 copie, versione
giapponese di “Vogue”, rivolta a
donne dai 25 anni in su; i temi
trattati sono fashion, beauty e
lifestyle. Lo stile è caratterizzato
da alta qualità e originalità.
105.000 copie, rivista di fashion,
beauty e cultura per donne sui
30 anni; lo stile è internazionale
e sofisticato.
75.000 copie, la prima rivista di
fashion pubblicata in Giappone;
famosa anche per i nuovi trend
proposti e per le notizie sui nuovi
fashion designers in Giappone e
nel resto del mondo. Indirizzata a
donne dai 20 ai 30 anni.
Ginza
SPUR
FUDGE
100.000 copie, rivista rivolta a
donne lavoratrici dai 20 a 40 anni
economicamente indipendenti;
lo stile è raffinato, e include
diversi brand famosi come Louis
Vuitton e Moschino. Tratta
anche nuovi centri di
ristorazione.
120.000 copie, rivista di fashion
“intellettuale”; lo stile proposto è
un misto tra elegante, e casuale.
È rivolta a un pubblico tra i 18 e i
40 anni, ma le lettrici più
frequenti hanno tra i 20 e i 30
anni.
150.000 copie, rivista rivolta a
donne dai 20 ai 30 anni; non si
incentra solo su fashion, ma
anche su musica, arte e film. Lo
stile proposto è casual.
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gap PRESS
Rivista che presenta le nuove e
distinte collezioni gap dal top
trend internazionale.
FASHION NEWS
MODE et MODE
Rivista che presenta le collezioni
di ogni stagione e un database
con i profili dei designers di ogni
brand.
La prima rivista sulle collezioni
pubblicata in Giappone. Presenta
le ultime collezioni da tutto il
mondo, i designers e i modelli.
LEE
Domani
310.000 copie, rivista di
informazioni, beauty e fashion
rivolta a donne 30enni in carriera
o casalinghe; lo stile è elegante. È
caratterizzato da molte pagine
contenenti buoni sconto.
130.000 copie, rivista di fashion,
lifestyle, beauty e make-up che si
propone di fornire tutte le
informazioni a donne in
carriera sui 30 anni.
Riviste femminili dai 30 anni
VERY
230.000 copie, rivista rivolta a
donne 30enni, propone un
fashion mainstream.
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Grazia
Precious
STORY
68.000 copie, rivista di fashion in
voga tra le donne dai 25 ai 50
anni, propone uno stile di alta
classe e di fascia alta, con
riferimenti al fashion
internazionale e ad uno stile di
vita raffinato.
113.000 copie, rivista indirizzata
a donne acculturate dai 30 ai 50
anni; non si limita al fashion, ma
tratta anche lifestyle, viaggi,
beauty e interior design. Lo stile
proposto è elegante.
260.000 copie, rivista rivolta a
donne dai 35 ai 50 anni che non
si occupano più della cura dei
bambini, che vogliono riprendere
a lavorare e che vogliono creare
una nuova e interessante
“storia”; oltre al fashion gli
argomenti trattati sono beauty,
gioielli, lifestyle, cosmesi, sport e
interior design. Lo stile proposto
è casual ma elegante.
Como
saita
68.700 copie, rivista rivolta a
donne di mezza età che dopo la
cura dei bambini vogliono
dedicarsi a sé stesse; gli
argomenti trattati sono fashion e
hairstyle.
115.000 copie, “design
magazine” che si rivolge alle
donne dai 25 anni in su, per uno
stile di vita e di moda elegante.
InRed
116.000 copie, rivolto a donne
sui 30 anni, propone uno stile di
fashion casual raffinato, da
adulto ma grazioso allo stesso
tempo.
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Marisol
GLOW
60.000 copie, rivista di fashion
elegante per le 40enni.
DRESS
300.000 copie, rivista rivolta a
donne 40enni che vogliono
“brillare”, pubblica informazioni
utili per uno stile elegante.
300.000 copie, rivista rivolta alle
donne di 40 anni incentrata su
fashion e beauty.
Lady Boutique
Style Book
85.000 copie, rivista di fashion
dallo stampo occidentale che
segue la moda di ogni stagione; in
particolare sono famosi i vestiti
da “zitella”.
87.000 copie, rivista incentrata su
abiti di sartoria e indirizzata a
signore dai 40 ai 60 anni che
hanno come passatempo il
cucito.
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Riviste femminili dai 50 anni
eclat
Croissant Premium
HERS
60.000 copie, rivista per donne
attive dai 50 anni che non tratta
solo fashion, ma anche viaggi,
salute, bellezza e arte.
70.000 copie, rivista indirizzata
alla prima generazione di lettrici
della rivista Croissant, dalla cui
prima pubblicazione sono
trascorsi 30 anni; tratta temi di
bellezza per le donne che dopo la
crescita dei figli vogliono tornare
ad occuparsi di sé stesse.
71.000 copie, rivista di bellezza
rivolta a donne dai 45 anni in su.
Traditional Japanese
Kimono Salon
50.000 copie, la rivista mira a
istruire un pubblico dai 30 ai 50
anni su un uso pratico e fashion
del kimono.
Utsukushii kimono
110.000 copie, rivista indirizzata a
donne dai 20 ai 50 anni per far
apprezzare l’arte di indossare il
kimono.
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Versioni giapponesi di riviste occidentali
NYLON JAPAN
(200.000 copie): rivista indirizzata
a donne dai 20 ai 40 anni,
incentrata su uno street style
internazionale.
Wedding
25ans Wedding
Zexy
70.000 copie, rivista indirizzata
alle donne in procinto di
sposarsi, con informazioni su
abiti da sposa, hairstyle, gioielli,
fiori e altro.
300.000 copie, rivista completa
di ogni informazione per
l’organizzazione di un
matrimonio, con locations,
vestiti, gioielli, ecc.
City wedding
(30.000 copie): rivista su consigli
e informazioni per
l’organizzazione di cerimonie
nuziali, con report di esperienze
di lettori.
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Riviste per uomo
Le seguenti riviste rivolte ad un pubblico maschile sono le più vendute.
Kireime-kei (celeb casual): stile in voga tra i 20enni universitari, focalizzato sull’essere magri, puliti
e un po’ conservativi; siccome è apprezzato fra le donne si usa chiamarlo anche “mote clothes”,
dove “mote” significa “essere popolare”.
FINEBOYS
Samurai elo
130.000 copie, rivista per giovani
dai 15 ai 30 anni; non fornisce
informazioni solo su fashion, ma
anche su macchine, sport, cultura
e computer. Lo stile proposto è
casual.
250.000 copie, rivista rivolta a
ragazzi studenti dalle medie
all’università, lo stile è street
casual; si trattano anche temi
beauty e amore.
Salon-kei: stile diffuso tra i ventenni universitari, propone uno stile femmineo ricco di accessori.
CHOKi-CHOKi
200.000 copie, rivista popolare incentrata
su fashion di ultima tendenza, hairstyle,
make-up, e le ultime tecniche di haircare e
facecare. Altri temi sono accessori, cultura.
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Onii-kei, Gyarus: versione maschile delle “gyaru”, dai 20 ai 40-50 anni; lo stile si riconosce da una
spiccata abbronzatura, un taglio medio-lungo di capelli generalmente tinti chiari, scarpe in pelle e
jeans solitamente con un effetto vintage “slavato”.
men’s egg
250.000 copie, rivista rivolta a
ragazzi dai 17 ai 25 anni,
incentrata su fashion, hearstyle,
ragazze.
MEN’S KNUCKLE
200.000 copie, rivista di fashion
con brand importanti, hairstyle e
streetsnaps.
Street fashion: stile casual diffuso tra i 18 e i 30 anni, con elementi che variano a seconda di
in voga in quella stagione.
STREET JACK
GET ON!
160.000 copie, rivista di fashion
rivolta a giovani fino a 20 anni,
con speciale attenzione rivolta a
jeans, orologi da polso, occhiali e
sneakers.
100.000 copie, rivista indirizzata a
ragazzi fino a 20 anni, introduce
elementi “indispensabili” per la
street fashion.
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cos’è
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Hip Hop
WOOFIN’
300.000 copie, la più autorevole
rivista sullo stile hip-hop, con
informazioni su fashion, musica,
danza, club, cultura hip-hop.
411
300.000 copie, fashion magazine
di hip-hop style, con
presentazione di abbigliamento
degli artisti nel settore.
Designer Clothing: stile caratterizzato da brand di lusso, diffuso in particolare tra ragazzi fra i 20 e i
30 anni.
MEN’S NON-NO
POPEYE
370.000 copie, la più autorevole
rivista di moda maschile, rivolta a
ragazzi delle scuole superiori e
universitari; è divisa in sezioni
comprendenti moda di boutique
e rinomati brand globali.
Contiene anche numerose
streetsnaps sullo stile in voga
nelle principali città del mondo in
Europa e in America.
71.500 copie, rivista-catalogo
fashion per giovani uomini urbani
dai 20 ai 40 anni; lo stile proposto
è casual.
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Kireime onii-kei: una versione “pulita” dello stile onii-kei.
Men’s JOKER
200.000 copie, rivista rivolta a
uomini dai 20 ai 40 anni, lo stile
fashion proposto è casual e
ricalca lo stile delle celebrità di
Hollywood, puntando però su
brand accessibili.
SENSE
70.000 copie, rivista indirizzata a
uomini 20enni che dallo street
fashion passano ad uno stile
casual più maturo.
Business suits: per uomini dai 20 ai 50 anni.
GQ JAPAN
65.000 copie, rivista di fashion
maschile e lifestyle
internazionale; altri temi trattati
sono viaggi, arte, cultura,
gourmet, design.
Begin
86.000 copie, rivista che si
focalizza su oggetti di alta qualità
per un fashion “mote” e trendy,
ricco di fashion snaps.
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Riviste maschili dai 30 anni
MEN’S CLUB
LEON
510.000 copie, rivista di fashion
che propone uno stile sofisticato
e sempre nuovo, ad un lettore di
età media dai 30 ai 50 anni.
100.000 copie, rivista di fashion,
lifestyle e suit-style per uomini
dai 35 ai 50 anni; lo stile è di alto
livello.
High Fashion: riviste maschili di alta moda.
FASHION NEWS Men’s
Rivista di fashion e collezioni dalle
principali città di moda del
mondo.
men’s FUDGE
Rivista di alta moda per un
pubblico tra i 20 e i 40 anni.
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Fiere
Esporre in una fiera all’estero è uno dei metodi più veloci ed economicamente efficaci per
raggiungere nuovi consumatori e incrementare il proprio business.
Alcuni prodotti a causa della loro natura sono difficili da vendere finché il potenziale buyer non ha
occasione di esaminarli di persona; volantini e brochures possono essere utili, ma una presentazione
presso eventi commerciali come fiere, missioni e delegazioni per incontri potrebbe essere più
vantaggiosa.
Partecipare a una fiera implica una grande preparazione: il potenziale esibitore deve prendere in
considerazione le seguenti considerazioni logistiche:
•
•
•
•
•
•
Scegliere la fiera adatta tra le centinaia che si tengono ogni anno
Ottenere uno spazio, disegnarlo e allestirlo
Spedire i prodotti alla fiera, spacchettarli e disporli
Provvedere a un'adeguata ospitalità, come un rinfresco
Saper distinguere tra seri prospetti di business e semplici browsing
Smontare lo spazio, impacchettare e rispedire il tutto
Le fiere sono solitamente aperte al pubblico, ma in alcune ore (generalmente la mattina o i giorni
feriali) l'ingresso è limitato alle persone interessate a fare business con gli espositori.
Una caratteristica giapponese è la frequente organizzazione di fiere da parte dei gruppi industriali.
Secondo il database delle esposizioni della rivista “Pop” 63 quasi la metà delle fiere tenute in
Giappone (44%) è organizzata da enti privati e aziende di servizi pubblici. Recentemente il numero
di aziende specializzate in organizzazione di mostre e fiere è aumentato, così come il numero di
eventi organizzati, mentre il peso dei gruppi industriali è diminuito. Infatti sono numerose le fiere
organizzate da enti pubblici, case editrici, aziende di attrezzatura di sale, e specializzate in
progettazione.
Gli eventi organizzati dai gruppi industriali, più che fiere caratterizzate da una trattativa
commerciale improntata a un'inutile competizione tra impiegati all'interno dell'azienda, sono
esibizioni che considerano soprattutto una pubblicità che aumenti il riconoscimento sociale nel
settore. Tradizionalmente l'influenza di grossisti e ditte commerciali era forte, e non vi erano molti
spazi in cui promuovere le fiere come tramite per le operazioni commerciali.
63
http://www.jetro.go.jp/j-messe/column/pdf/fair_exhibition.pdf
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Grazie al notevole avanzamento tecnologico, le fiere sono divenute molto efficienti nella
divulgazione di informazioni; per questo motivo sono viste dalle aziende come potenti occasioni di
marketing.
Gli espositori presentano i nuovi prodotti esibendo capacità tecnologiche per migliorare l'immagine
dell'azienda; i prodotti che vengono esposti in fiera, rispetto ai prodotti esistenti sul mercato, sono
prototipi che l’azienda vuole presentare al pubblico e pubblicizzare.
Le fiere sono un vero e proprio “campo di battaglia” in cui si mette a rischio l’immagine dell'azienda
nell’ambito di una forte competizione; questo concorre ad aumentare sia il numero degli espositori
che quello dei compratori e degli interessati al settore.
Le maggiori fiere legate al reparto moda
Gennaio
•
JWF INTERNATIONAL FASHION FAIR (JWF-IFF), Tokyo, 26.000 visitatori. La più grande fiera
del fashion in Asia: vi partecipano circa 700 aziende da più di 60 Paesi; l'entrata è libera, solo
a scopo di business.
Febbraio
•
•
MANICOLLE TOKYO, Tokyo, 197.000 visitatori. Fiera dinamica e varia che colleziona più di 90
brand giovani ma anche già affermati, innovativi e di alta qualità.
ROOMS SPRING, Tokyo, 13.500 visitatori. Fiera internazionale di fashion e design; gli
espositori vengono selezionati per creatività e originalità, con più di 400 brand presenti. Uno
spazio è riservato per i designer emergenti.
Giugno
•
FASHION GOODS & ACCESSORIES EXPO, Tokyo, 74.000 visitatori. Fiera che riunisce vari
accessori fashion da tutto il mondo, come gioielli, sciarpe, orologi, borse, portafogli, ecc.
Luglio
•
JWF INTERNATIONAL FASHION FAIR (JWF-IFF), Tokyo, 25.000 visitatori. La più grande fiera
del fashion in Asia: vi partecipano 750 aziende circa da più di 60 Paesi; l'entrata è libera, solo
a scopo di business.
Agosto
•
TOKYO GIRLS COLLECTION, Saitama. Una esibizione/sfilata dedicata alla moda giovane
urbana giapponese, organizzato da F1 Media Inc. Il limitato numero di marche esposte è
bilanciato dalla partecipazione di top model e artisti giapponesi.
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Settembre
•
•
MANICOLLE TOKYO, Tokyo, 193.000 visitatori. Fiera dinamica e varia che colleziona più di 90
brand giovani ma anche già affermati, innovativi e di alta qualità.
ROOMS AUTUMN, Tokyo, 17.000 visitatori. Fiera internazionale di fashion e design; gli
espositori vengono selezionati per creatività e originalità, con più di 600 brand presenti. Uno
spazio è riservato per i designer emergenti.
Vi è poi da segnalare l’iniziativa fieristica MODA ITALIA, organizzata dall’Istituto per il Commercio
Estero di Tokyo, che raccoglie per ogni stagione produttiva circa 150 firme esclusivamente italiane
di fascia medio-alta e taglio classico-moderno.
ROOMS (www.roomsroom.com) è una fiera organizzata da HP France e dedicata alla moda giovane,
alternativa e contemporanea dal Giappone e dal mondo. La Camera di Commercio Italiana partecipa
con un suo spazio, che utilizza per promuovere firme italiane di design non convenzionale attraverso
l’iniziativa biannuale “iStanze di Moda”.
Le missioni commerciali
Le missioni commerciali sono viaggi internazionali organizzati da agenzie governative nazionali o
provinciali, ed effettuati da funzionari di governo e persone d'affari per esplorare opportunità di
business internazionale. Le aziende medio-piccole trovano attraenti le missioni di commercio per
alcuni motivi:
•
•
•
•
Il supporto visibile di istituzioni o organizzazioni del proprio Paese conferisce prestigio in
Giappone
Sconti su biglietti aerei, hotel e trasporti rendono più conveniente partecipare a queste
iniziative rispetto all’organizzazione in proprio
L'impatto di una visita di gruppo è più forte di una visita individuale
Prima dell’arrivo, gli organizzatori istituzionali pubblicizzano la visita e intrattengono
rapporti con le aziende locali interessate
Nel mercato giapponese della moda, occorre prestare attenzione ad alcune peculiarità che è
necessario tenere in considerazione per la preparazione della missione:
•
•
Le missioni commerciali in Giappone necessitano di maggior tempo nell’organizzazione
rispetto ad altri paesi. La promozione delle aziende partecipanti a meno di un mese dalla
data dell’evento è generalmente considerata non professionale e non adeguata per
consentire una valutazione dell’offerta.
La controparte giapponese difficilmente partecipa all’incontro per un generico interesse, ma
dopo attento esame del materiale di presentazione o per un consolidato rapporto di fiducia
con l’ente organizzatore. Il valore di una partecipazione a un incontro da parte di un’azienda
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•
è di norma segno di un interesse specifico. Per lo stesso motivo, vi è normalmente disagio a
effettuare incontri di presentazioni in mancanza di un interesse definito o di un rapporto già
consolidato.
In caso di mancato interesse, l’importatore giapponese tende a non comunicare una risposta
negativa netta ma a dilatare i tempi di risposta o a utilizzare espressioni indirette, che
potrebbero essere percepite erratamente dalla controparte italiana.
La Camera di Commercio Italiana in Giappone organizza regolarmente missioni commerciali
servendo l’industria della moda, fornendo supporto nella preparazione del materiale e degli
incontri.
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TRACCIABILITÀ DEL MARCHIO IN GIAPPONE
ETICHETTATURA
Il panorama legislativo
I requisiti di etichettatura per la vendita di articoli di abbigliamento e relativi materiali sono
specificati, in fig. 1, secondo i provvedimenti della legge sull'etichettatura qualitativa di articoli
casalinghi in materia di prodotti tessili e articoli assortiti64. L'etichettatura dei prodotti importati
dall'estero deve presentare informazioni quali nome e contatto del produttore in una posizione ben
visibile al consumatore e in lingua giapponese.
Tabella 4 - voci richieste per l'etichettatura dalla legge sull'etichettatura qualitativa di articoli casalinghi
Voce
Requisiti etichettatura
Articoli di abbigliamento
1) Composizione del tessuto 2) Istruzioni lavaggio ecc. 3)
Repellenza 4) Tipo di pelle (limitato ai prodotti parzialmente in
pelle) 5) Nome del produttore e informazioni di contatto
(indirizzo o numero di telefono)
Articoli in pelle
1) Composizione 2) Dimensioni (guanti) 3) Precauzioni per l'uso 4)
Nome del produttore e informazioni di contatto (indirizzo o
numero di telefono)
Borse
1) Composizione 2) Precauzioni e conservazione 3) Nome del
produttore e informazioni di contatto (indirizzo o numero di
telefono)
Calzature
1) Composizione tomaia (pelle sintetica) 2) Materiale suola
esterna (gomma, materiale sintetico ecc.) 3) Precauzioni 4) Nome
del produttore e informazioni di contatto (indirizzo o numero di
telefono)
Materiali abbigliamento (filati, fibra 1) Composizione del tessuto 2) Nome del produttore e
tessile, ecc.)
informazioni di contatto (indirizzo o numero di telefono)
Inoltre, i contenitori e gli imballaggi sono soggetti a norme di etichettatura al fine di promuovere la
raccolta differenziata. Qualora vengano utilizzati carta o plastica come imballaggio per singole parti
di un prodotto, per le etichette o per l'imballaggio esterno, deve quindi essere posto un marchio
64
Japanese Law Translation: http://www.japaneselawtranslation.go.jp/law/detail/?id=1874&vm=04&re=01
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identificativo su almeno un lato del contenitore con relative informazioni sull'uso del materiale.
Nell'indicare il materiale dell'imballaggio o del contenitore, sia l'importatore e il venditore devono
usare lo stesso marchio di identificazione usato per i prodotti nazionali giapponesi.
Le etichettature volontarie
Tutti i prodotti industriali inclusi nella lista prodotti per le attività industriali
giapponesi (JIS) certificati da un privato terzo autorizzato dal governo giapponese
(enti di certificazione autorizzata), possono riportare il marchio JIS, che può essere
posto direttamente sui prodotti e/o sull'imballaggio, dimostrando così la conformità
del prodotto stesso ai rigidi standard qualitativi previsti dal regolamento o da JIS. Il
marchio JIS, gestito dal Ministero dell'Economia, Commercio e Industria (MITI) sulla base degli
standard nazionali, promuove gli sforzi mirati a garantire un'adeguata qualità dei prodotti, a fornire
informazioni dettagliate su prodotti e su livello tecnologico, e a garantire un ambiente competitivo.
Per ottenere il permesso di riportare il marchio, la certificazione deve essere garantita da un ente
autorizzato dal ministero di competenza. Se un produttore, importatore o venditore desidera
ottenere il marchio JIS sul prodotto, deve presentare domanda a un ente terzo riconosciuto
(Accredited Certification Body). Il marchio non può in alcun modo essere usato solamente sulla base
di dichiarazione personale di conformità agli standard65.
I programmi di etichettatura autonoma sono possibili per articoli di abbigliamento, prodotti in pelle,
borse, calzature e altri articoli di abbigliamento così come per i materiali di vestiario.
Tra questi: il marchio di garanzia “Woolmark”, che certifica il rispetto degli standard di qualità per i
prodotti di lana; i marchi “Silk Mark” e “Japanese Silk Mark” che certificano il rispetto degli standard
per i prodotti di seta (“Japanese Silk Mark” è esclusivamente per la seta prodotta in Giappone);
l'etichetta “JES labeling” che garantisce che l'uso di prodotti chimici, quali la formaldeide, in articoli
di pelle rientra nelle linee guida previste a garanzia di sicurezza del consumatore; l'etichettatura JFA
(Japanese Fur Association), che mira a garantire la qualità dei prodotti di pellicceria.
Protezione del marchio66
Le economie asiatiche più avanzate si affidano a una larga disponibilità di diritti di proprietà
intellettuale per organizzare gli investimenti in innovazioni - brevetti per invenzioni, design,
copyright, trademark, competizione sleale – insieme a un’amministrazione puntuale ed efficiente.
Il Giappone è un Paese tra i più avanzati per forti sistemi di brevetti di invenzioni, incluso un corpo
65
http://www.jetro.go.jp/en/reports/regulations/pdf/cons2010ep.pdf
66
Per questa sezione, ci si avvarrà del contributo di ricerca della dott.ssa Sara Battaggia, dell’università Ca’ Foscari di
Venezia, che ha sviluppato una tesi sulla protezione del marchio in Giappone i cui contenuti riassumiamo qui.
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di esperti esaminatori che revisiona le applicazioni di tali brevetti; i brevetti a capitale nazionale
hanno sempre superato i brevetti a capitale straniero.
Nel 2001 lo share di affiliazioni straniere nel settore manifatturiero rappresenta solo il 2,6% del
totale.
Il nuovo Copyright Act del 1970 combina elementi del copyright statunitense ed europeo: protegge
i diritti morali degli autori e i diritti vicini di artisti, produttori di fonogrammi e persone che lavorano
nel mondo dello spettacolo, conferisce tutti i diritti nei lavori del settore impiegatizio.67
Il sistema dei diritti di proprietà intellettuale (brevetti, marchi, design, informazioni aziendali
riservate, copyright e altri) sono disciplinati da Leggi e Trattati di tutela come il Trademark Law
Treaty previsto per i marchi; le aziende vi fanno sempre più riferimento perché il fenomeno delle
violazioni della proprietà intellettuale è in continuo aumento, e l'investire in ricerca e sviluppo per
sviluppare una situazione di concorrenza leale può risolvere questo problema.
In Giappone il concetto di proprietà intellettuale secondo gli art. 1 e 2 della Legge sulla tutela della
Proprietà Intellettuale n. 122 del 2002 si riferisce a tendenze generali in materia di creatività umana
e tecniche di gestione.68
Legge sulla responsabilità del prodotto
Questa legge si occupa della responsabilità per il risarcimento danni da parte dei produttori nel caso
di danni a beni, persone fisiche e vita delle persone dovuti precisamente a difetti dei prodotti.
Legge del design (ishô-hô)
Legge n. 125 del 1959, emendata con Legge n. 55 del 2006
Questa legge garantisce la protezione quindicennale per l'utilizzo, l'assegnazione, il leasing,
l'esportazione, l'importazione e la locazione di un prodotto purché possieda le seguenti
caratteristiche:
•
•
•
•
•
•
Attrattiva visuale: l'elemento estetico deve essere percepito da occhio umano
Fruibilità industriale: il design deve essere riprodotto in serie
Novità: non devono esistere design simili o identici in Giappone o in un altro Paese
Creatività
Unicità e originalità
Idoneità: il prodotto non deve ledere l'ordine pubblico e la pubblica morale
67
P. Ganea, T.V. Garde, A.I.Woolley, Intellectual Property in Asia, Springer Ed.
68
Intellectual Property Basic Act, art. n. 122 del 4/12/2002.
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•
Priorità
La suddetta legge fornisce un sistema di protezione unico, e comprende anche:
•
•
•
•
Sistema di design correlato: registrazione di un design simile a quello originale
Design di un insieme di oggetti (registrazione multipla): ad esempio le stoviglie
Design segreti: è possibile tenere segreto il design per un massimo di 3 anni
Design parziali: registrazione di parti di forme o forme con caratteristiche distinte
Protezione per i design degli schermi: registratori DVD, telefoni cellulari, stampanti fotografiche
La durata della registrazione è di 20 anni, ed è necessario pagare una rendita annua, ma se la forma
dell'oggetto diventa famosa è possibile ricevere protezione contro la concorrenza sleale.
Il processo di registrazione dura circa 8 mesi dalla presentazione della domanda, perché in generale
l'esame del prodotto dura circa 6 mesi, e la registrazione 1-2 mesi. Le tasse per la domanda e la
registrazione si suddividono in:
•
•
•
Tasse per la domanda: 16.000¥ per ogni disegno o modello
Quote di registrazione: 8.500¥
Rendita annuale: 8.500¥ da 1 a 3 anni, 16.900¥ da 4 a 10 anni, 33.800¥ da 11 a 20 anni
Se un marchio o design non è registrato può comunque godere di protezione se diventa noto o
famoso in Giappone; inoltre le forme dei beni sono protette penalmente e civilmente fino a 3 anni
a decorrere dalla data in cui sono stati venduti per la prima volta in Giappone, anche senza
registrazione del brevetto.
Il licensing dei marchi
La licenza di marchio permette di usare il marchio in relazione a prodotti dello stesso genere
merceologico di quelli fabbricati o commercializzati dallo stesso licenziante.
La licenza di merchandising di marchio concede il diritto di usare il marchio in relazione a prodotti
differenti da quelli fabbricati o commercializzati dal licenziante.
Per evitare che si contrassegni con il marchio licenziato prodotti di qualità inferiore è consigliabile
prevedere nel contratto standard di qualità, previsione delle forme e modalità di controllo.
Legge del marchio (shôhyô-hô)
Legge n. 127 del 13 aprile 1959 emanata dalla Legge n. 55 del 2006.
È il diritto esclusivo di utilizzare ogni parola, figura o segno, forma tridimensionale o combinazione
di questi elementi in qualunque tipo di colore, ed è protetto come marchio di fabbrica se designa
merci o prodotti, o marchio di servizio se tutela un servizio; esso vieta l'utilizzo e la registrazione di
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un segno identico o simile per prodotti o servizi identici o affini, se sussiste un rischio di confusione
per il pubblico. La tutela si estende anche a prodotti e servizi non affini in presenza di un pregiudizio
per il titolare o di un indebito vantaggio per il terzo.
La tutela del marchio registrato è soggetta a limiti di natura territoriale e logica, poiché l'efficacia
del marchio è limitata ai Paesi nei quali il segno distintivo viene depositato e registrato; quindi se si
desidera una tutela a livello internazionale è necessario effettuare la registrazione nei vari Paesi di
interesse.
Riguardo la scelta del marchio è sconsigliabile l'adozione di segni d'uso comune per il rischio di
confondersi con la concorrenza e per la mancanza di “capacità distintiva”; inoltre il marchio non
deve ricadere nell'ambito di protezione di altri marchi o segni distintivi anteriori di terzi. Pertanto è
consigliabile effettuare ricerche di anteriorità a livello nazionale, comunitario e internazionale e nei
territori di interesse tra marchi identici (“ricerca di identità”) e simili (“ricerca di similitudine”),
depositati o registrati per prodotti identici o affini ai propri.
La Legge sul marchio offre uguale protezione sia per cittadini giapponesi che per stranieri anche non
residenti in Giappone, e alle imprese senza sede centrale o filiale nel Paese.
Ai sensi della suddetta legge è stata prevista la seguente classificazione:
•
•
•
•
Marchi costituiti da caratteri giapponesi, alfabetici e altri caratteri stranieri
Marchi costituiti da simboli
Marchi costituiti da caratteri e simboli
Marchi tridimensionali (bambole, sfere e segni tridimensionali)
Grazie all'emendamento del 2006 è possibile registrare anche nomi di negozi.
La somiglianza del marchio è valutata dall'esaminatore dell'Ufficio Marchi e Brevetti sulla base di
suono, significato e aspetto del marchio; se una caratteristica è simile a quella di un altro marchio,
esso non è utilizzabile né registrabile. Odori, sapori e marchi dinamici non sono tutelati.
Registrazione del marchio collettivo (dantai shôhyô)
Legge n. 127 del 1959
Prevede la registrazione da qualsiasi gruppo costituito da imprese purché siano corporazioni
ufficiali.
Un emendamento giuridico del 2005 ha inoltre introdotto il “Sistema del marchio collettivo
regionale” al fine di proteggere e rafforzare i marchi regionali, tramite la registrazione di un nome
regionale e un nome generico di prodotto o servizio (es. Aomori-Ringo per le mele di Aomori).
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Marchi di servizio
La suddetta legge fornisce protezione anche per alcuni oggetti che non sono qualificati come marchi,
oppure che sono qualificati come tali ma non registrati.
Marchi non registrabili
Sono tali se sono identici o simili alla bandiera nazionale, al crisantemo imperiale, alle decorazioni,
medaglie o bandiere nazionali straniere, stemmi o qualsiasi altro emblema di Stato, al simbolo delle
Nazioni Unite, alla Croce Rossa o qualsiasi altra organizzazione internazionale; sono inoltre non
registrabili marchi consistenti in ritratti, nomi o pseudonimi noti tra i consumatori, o che possano
creare confusione con i beni e i servizi.
Il marchio noto
Vi è la possibilità di inibire la registrazione o cancellare un marchio noto nei seguenti casi:
Se una persona presenta domanda di registrazione di un marchio noto usato da un'altra per le stesse
merci e/o servizi simili prima della domanda dell'effettivo utilizzatore ed essa viene accolta,
l'utilizzatore legittimo può inoltrare una richiesta di invalidazione
Il successore in un'attività d'affari che utilizza un marchio non registrato è considerato il legale
proprietario ma, in caso di iscrizione di altri, gli può essere richiesto di applicare indicazioni per
evitare confusioni
Se un marchio diventa famoso tale che un suo utilizzo possa creare confusione tra i consumatori, la
domanda di registrazione del non-utilizzatore verrà respinta
Legge di prevenzione della concorrenza sleale
Essa prevede misure protettive come l'inibitoria dell'uso da parte di terzi, la corresponsione di danni
e altre misure; il titolare di un marchio registrato famoso può chiedere la registrazione di loghi
difensivi (detti “marchi difensivi”) identici a quello registrato in relazione a prodotti e servizi diversi
da quelli inizialmente designati.
Il processo di registrazione
Ogni Paese membro dell'Accordo di Nizza, compreso il Giappone, è tenuto ad applicare la
ripartizione in 45 classi merceologiche (32 per le merci e 8 per i servizi), indicandola nei documenti
e nelle pubblicazioni ufficiali delle proprie registrazioni; La notifica delle ragioni di rifiuto è rilasciata
se i beni/servizi sono designati a 8 o più gruppi simili per classe; è inoltre consigliabile estendere la
protezione ai Paesi nei quali si trovano i principali fabbricanti concorrenti e i principali mercati di
sbocco dei prodotti, per bloccare all'origine eventuali contraffazioni.
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Al momento della richiesta di registrazione si consiglia di interpellare un consulente brevettuale
(benrishi); come per la domanda, si incorre nel pagamento dei diritti di iscrizione in due fasi
quinquennali.
Tasse per la domanda di registrazione (tôroku-ryô)
Art. 40, Legge n. 127 del 1959
Secondo tale legge il soggetto richiedente dovrà pagare una tassa per ogni domanda presentata
pagando rispettivamente per:
•
•
•
•
•
Un marchio in una classe: 12.000¥
Un marchio in classi multiple: 12.000¥ per la prima classe, 8.600¥ per ogni classe
supplementare
Tassa di registrazione: 37.600¥ al marchio per classe
Spese di rinnovo: 48.500¥ per classe
Quote extra (parcelle legali, ecc.)
Registrazione internazionale dei marchi
È una procedura semplificata di registrazione e rinnovo del marchio che permette la concessione di
tanti marchi nazionali o “regionali” (es. marchio comunitario) quanti sono i Paesi designati nella
domanda; è sufficiente presentare un'unica domanda di registrazione all'OMPI (Organizzazione
Mondiale della Proprietà Industriale) tramite l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, e il costo del
deposito del marchio internazionale è meno elevato della somma dei costi di singoli depositi
nazionali. Successivamente il marchio viene preso in considerazione dagli Uffici Marchi dei Paesi
designati, i quali potranno eventualmente emettere un rifiuto di registrazione qualora non vengano
soddisfatti i requisiti previsti dalla normativa locale. È possibile replicare a tale rifiuto mediante un
mandatario abilitato nel Paese in questione.
Per ottenere i diritti sul marchio in Giappone da un Paese straniero la domanda deve essere
depositata presso l'Ufficio Brevetti Giapponese, e se si ha intenzione di richiedere la registrazione
di un marchio solo in questo Paese o in un limitato numero di Paesi si può depositare la domanda
ai sensi della Convenzione di Parigi o dell'Accordo di Madrid.
Validità e durata della registrazione del marchio
Una volta registrato, un marchio è protetto per 10 anni a decorrere dalla data di registrazione
presumendo che esso non venga invalidato o cancellato, e questa protezione può essere rinnovata
per ulteriori periodi decennali, versando i diritti ogni 5 anni. La domanda per il rinnovo va presentata
preferibilmente 6 mesi prima della scadenza, ma si può anche presentarla 6 mesi dopo, con il
raddoppio dei costi.
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La recente riforma ha introdotto delle novità:
•
•
•
•
•
La registrazione può essere rifiutata se il marchio è noto in Giappone o in un Paese estero e
se il fine della registrazione è ingiusto (fenomeno del free riding, lo sfruttamento parassitario
di un marchio noto all'estero)
I marchi attualmente suddivisi nell'antica classificazione giapponese vengono riclassificati
secondo la prassi internazionale
Chiunque può intentare un'azione di cancellazione per marchi non utilizzati
L’uso del marchio nei 3 mesi precedenti la registrazione non è più ritenuto un uso
legittimamente sufficiente a respingere l'azione di cancellazione
La cancellazione ha effetto retroattivo, dall'inizio dell'azione di eliminazione
Cancellazione dei marchi
I marchi possono essere registrati anche se non sono in uso in base alla regola della priorità (firstto-file), ma dopo tre anni una terza parte può presentare una petizione per la sua cancellazione;
l’uso di un marchio non si limita alla sua visualizzazione, ma anche alla stampa in un opuscolo, in
una pubblicità, o la visualizzazione su un sito internet.
Con la diffusione delle nuove tecnologie e di internet è stata facilitata la registrazione “abusiva” di
nomi a dominio; iscrivere con nome a dominio un marchio di fabbrica registrato e appartenente a
un altro soggetto non costituisce una violazione delle norme di protezione, ma può costituire un
atto di concorrenza sleale, così come il nome utilizzato come indirizzo del sito web ha anche lo scopo
di identificare i prodotti e l'attività del proprietario del sito.
Nel caso di un accordo di rappresentanza stipulato tra una società straniera e una nipponica, se
l'agente della società giapponese fa domanda di registrazione del marchio della società estera senza
giusta causa o permesso, il titolare del marchio può presentare una petizione per l'annullamento
della registrazione giapponese.
Tutela del made in Italy
L'Italia è tra gli Stati che più soffrono la concorrenza dei prodotti provenienti dai Paesi asiatici: dal
1993 a oggi, ad eccezione di alcuni anni, si è registrata una costante diminuzione delle quote di
mercato nei comparti dell'abbigliamento (vestiario, calzature, accessori, gioielleria), beni per la casa
e altri; inoltre l'Italia è il primo produttore in Europa e terzo nel mondo dopo Cina e Paesi emergenti
di merce contraffatta.
Negli ultimi anni Consorzi, Associazioni e Istituzioni hanno creato marchi collettivi di certificazione
della reale provenienza delle produzioni e della qualità sociale e ambientale delle loro filiere in
difesa del made in Italy, e nel 2003 a Bruxelles si è tenuto il Primo Congresso mondiale sulla Lotta
alla Contraffazione, e la Commissione Europea ha adottato nel triennio 2005-2008 delle misure
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doganali volte a garantire il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, e nel 2009 il Consiglio degli
Affari generali e Relazioni esterne dell'UE ha deciso di adottare il nuovo piano d'azione doganale di
lotta alla contraffazione per il periodo 2009-2012.
In Italia è nata la Direzione Generale per la lotta alla contraffazione – Ufficio Italiano Brevetti Marchi
(UIBM), che ingloba le funzioni dell'Alto Commissario e dell'UIBM.
A novembre 2009 il Parlamento Europeo ha votato a larga maggioranza il regolamento che istituisce
l'obbligo della denominazione d'origine per alcuni prodotti che entrano nel territorio dell'Unione,
quali prodotti tessili, gioielleria, abbigliamento, calzature, mobili, cuoio, lampade, ceramiche, vetro,
borse e borsette.
Tuttavia, anche il Giappone risente dei fenomeni di contraffazione derivanti dalle vendite effettuate
via internet, sia dai prodotti provenienti da Cina e Corea, sia dal fatto che i controlli doganali per le
merci in entrata e le sanzioni applicate per le merci contraffatte sono ancora insufficienti, e
l'importazione di tali merci per uso personale è ancora considerata legale.
Nel dicembre 2009 Italia e Giappone hanno firmato un accordo di cooperazione doganale che
semplifica le procedure e contrasta la contraffazione dei prodotti di lusso, mediante lo scambio di
informazioni sulle merci che infrangono i diritti di proprietà intellettuale; recentemente tuttavia si
sono riscontrati casi di utilizzo di etichette riportanti la dicitura “made in Italy” su capi di
abbigliamento prodotti al di fuori dell'Italia da parte di distributori giapponesi. Pertanto è stato
creato l'International Intellectual Property Protection Forum (IIPPF) che ha istituito degli intellectual
Property Research Groups (IPGs) per lo scambio di informazioni sulle misure anti-contraffazione.
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IL VANTAGGIO STRATEGICO DEL MADE IN ITALY NEI MERCATI GLOBALI
A cura di Junji Tsuchiya – Direttore Istituto Studi Italiani, Dipartimento di Sociologia, Università
Waseda, Tokyo
Il termine “made in Italy” è oggi oggetto di forti dibattiti. Recentemente sono affiorate alcune
criticità soprattutto riguardanti la sua identità, ovvero cosa si intenda effettivamente per made in
Italy e quale sia la sua ragion d’essere.
In questa sede cercheremo di fare chiarezza su alcuni punti critici del made in Italy, analizzando
innanzi tutto la “crisi d’identità” di cui è investito all’interno dello scenario economico
internazionale, per poi passare ad affrontare il dilemma delle strategie commerciali dei brand di
lusso.
Passeremo quindi a rassegna le caratteristiche di base all’interno delle difficili condizioni
dell’economia globale e i vantaggi strategici del made in Italy, tenendo in considerazione l’aumento
del valore del made in Italy a fronte della forte concorrenzialità globale e delle recenti ottiche di
sostenibilità e responsabilità sociale delle imprese, ma anche dal punto di vista dei cambiamenti di
stile di vita e dell’etica del consumo.
Il settore del lusso e la lotta con il mercato globale
Se da un lato l’industria del lusso subisce continue riorganizzazioni del settore in conseguenza ad
acquisti di società e strategie multilaterali, dagli anni ‘90 è esposta alle controversie dovute alla
diminuzione dei consumi e alla depressione del mercato, all’intensificarsi delle concorrenza sul
mercato globale, alla fluttuazione della finanza internazionale e ai cambiamenti dello stile di vita dei
consumatori, riuscendo comunque a sopravvivere ai periodi di “vento contrario” dell’economia.
Con l’intensificarsi della depressione si inizia a parlare di un crollo del “mito del brand”.
È risaputo che lo sfatamento di questo mito non è l’unica causa del peggioramento di questa
situazione poiché il mercato dei brand di lusso, invece di ridursi, sta allargando i suoi sbocchi
commerciali verso i consumatori di nuovi Paesi emergenti e i brand vincenti stanno riscontrando un
continuo aumento delle vendite.
Le industrie del fashion, che tradizionalmente nascono come maison di lusso di piccola scala e a
conduzione familiare, dagli anni ’80 si trasformano rapidamente in società per azioni, con l’obiettivo
di investire capitali nel mercato globale e di parteciparvi attivamente.
La riorganizzazione del mondo del fashion, effettuata durante il periodo di stagnazione economica,
ha apportato dei cambiamenti nell’efficienza del management delle aziende, creando un
bipolarismo molto marcato tra le aziende vincenti e quelle perdenti.
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Nel processo “sviluppo-produzione-distribuzione-vendita” la strategia del taglio dei costi ha portato
a effetti molto significativi soprattutto nel settore del lusso, creando uno shock nel mercato globale.
Le industrie hanno così cominciato a delocalizzare la produzione, creando distretti industriali al fine
di ridurre i costi, ma così facendo si è andato riducendo il valore dei prodotti. Questi prodotti che
richiedono molta manodopera hanno cominciato a circolare nel mercato globale, aumentando i
costi di produzione per le piccole imprese, che sono costrette in molti casi a chiudere.
Dagli anni ’90 anche le industrie dei brand di lusso hanno iniziato a delocalizzare la produzione verso
Paesi dai costi di manodopera più bassa, ottenendo però un deterioramento della qualità dei
prodotti.
È stato quindi necessario arrivare a dei compromessi capaci di garantire una produzione di alta
qualità ma a basso costo, e non è difficile immaginare quali siano stati tali compromessi.
I prodotti di lusso sono caratterizzati da alta qualità e da una produzione artigianale, e proprio per
questo motivo è difficile espandere il loro mercato mantenendo questi standard.
Infatti l’immissione nel mercato di prodotti a basso costo provenienti da altri Paesi porta al crollo
dei prezzi e a una crisi del mercato.
Poiché molte delle piccole-medio imprese che producevano in modo tradizionale non sono in grado
di mantenere gli elevati costi, spesso sono costrette a chiudere, mentre alcuni brand di lusso
riescono a sopravvivere alla crisi grazie a espedienti diversi, come delocalizzazione della produzione
o riduzione dei salari, anche se la situazione rimane tutt’ora critica.
Il mantenimento dell’alta qualità è un elemento indispensabile per garantire competitività alle
aziende di lusso, in quanto apporta valore sia al prodotto che all’azienda. Inoltre, è anche la
premessa per mantenere un comportamento leale e di vantaggio a livello di prezzi rispetto a
competitor in altri Paesi.
La qualità dei materiali, le tecniche di produzione, la funzionalità del design e i servizi aggiuntivi
costituiscono la proprietà intellettuale del produttore, e tentare di produrre qualcosa che non abbia
queste caratteristiche per espandere il proprio mercato comporta un grosso rischio.
Fast luxury
Oggi i prodotti di lusso vengono realizzati in varie centinaia di copie e acquistati soprattutto dalle
persone più abbienti dei Paesi emergenti. Con la diffusione del logo dei brand in tutto il mondo si
inizia a parlare di “democratizzazione del lusso”, anche se persistono numerose contraddizioni.
Innanzitutto, maggiore è la diffusione di un marchio, minore è il suo prestigio. Originariamente i
prodotti di lusso erano destinati a una ridotta élite di clienti, a rappresentarne il simbolo di prestigio
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economico e sociale, e non avevano alcun connotato di democraticità. Ciò che poteva essere
acquistato da tutti non era considerato lusso.
Il sistema di “produzione-distribuzione-controllo qualità”, che grazie alle recenti tecnologie è stato
completamente razionalizzato e reso sempre più efficiente, viene definito oggi “McDonaldizzato”.
Le aziende di fashion prestano un’attenzione particolare nel raggiungere gli obiettivi trimestrali
delle vendite e riducono sempre più la durata della vita del prodotto, al fine di crearne dei nuovi che
seguano il più possibile le tendenze del momento.
Per favorire il crearsi di una clientela abituale, si propone un vasto assortimento di prodotti a basso
costo, come piccoli oggetti in cuoio, profumi e sciarpe e si favorisce il più possibile la circolazione
delle merci assicurandosi alti profitti.
Negli interessi degli investitori, non c’è solo l’estetica del brand, ma anche i proventi dell’azienda.
Eccetto per i prodotti esclusivi, la capacità di mantenere il potere del lusso si sta indebolendo.
Il movimento di democratizzazione dei brand di lusso sta rendendo sempre più sottile la linea di
confine con i prodotti di massa a basso costo, definiti “fast fashion”.
Infatti, anche se vengono definiti “fast fashion” tutti i brand a basso prezzo, grazie all’elevata qualità
del design e a un sistema razionale di produzione-vendita che assicura una clientela fissa,
rappresentano una minaccia per i brand di lusso.
Il punto focale del fast fashion è lo stile casual. Nonostante negli ultimi anni ci siano stati numerosi
tentativi di collaborazione con i brand di lusso, questi ultimi hanno sempre rifiutato per timore di
vedere ridotto il valore dei loro prodotti.
Mentre il cosiddetto “mito del brand” continua a crollare, le aziende di lusso cercano di creare e
proteggere il valore del loro marchio, espandendo le sedi principali, rafforzando i rapporti con i
consumatori, attivando collaborazioni con artisti e celebrità, chiudendo i negozi che non
garantiscono sufficiente fatturazione e implementando le strategie pubblicitarie.
Per evitare la perdita o la diluizione del valore del brand, è necessario attuare delle strategie a fronte
delle situazioni di rischio.
Tali strategie possono essere riassunte nei seguenti cinque punti:
1. Proteggere l’esclusività del valore dei brand ponendo un limite al numero dei nuovi entranti
nella community del brand, rischio rappresentato dall’aumento di nuovi Paesi emergenti nel
mercato globale, e la penetrazione nel mercato di prodotti di massa. Ciò è attuabile nella
pratica:
a. Effettuando delle distinzioni nella classe dei nuovi compratori
b. Suddividendo e gerarchizzando i contenuti del brand, preservando e creando una
seconda linea di nuovi brand che ostacoli l’avvicinamento di nuovi compratori alle
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linee del fast fashion preservando la distinzione dei possessori del brand e dei
compratori precedenti
c. Limitando i volumi di produzione e di vendita (regolamentazione dei volumi)
d. Limitando la vendita dei prodotti (limitazione dell’accesso all’acquisto dei prodotti).
Implementare la flessibilità concentrando la gestione organizzativa e riducendo il campo
d’azione, onde evitare il rischio di un ritardo nella corrispondenza con i cambiamenti di
mercato. Come provvedimento concreto ciò si traduce con la creazione di una produzione
flessibile ai cambiamenti del mercato e una condotta aziendale dinamica, passando dal
modello Fordista a quello Ferrari – produzioni in quantità limitate destinate esclusivamente
a un numero ristretto di clienti vip.
Difendere una gestione ravvicinata dell’azienda da manovre finanziare internazionali che
indeboliscono la gestione del brand. Concretamente, questo significa evitare di esporre le
azioni aziendali all’acquisto da parte di soggetti esterni alla gestione.
Segmentare il mercato in base alla qualità, in risposta all’evoluzione del fast fashion di
espandere sempre più il mercato sia per prodotti a basso prezzo che per quelli ad alto livello
di design e funzionalità.
Come contromisura pratica, è necessario incrementare il valore aggiunto, sia passando da
una produzione labour intensive a una knowledge intensive – tramite l’adozione di soluzioni
con design di avanguardia e lo sviluppo di nuovi materiali ed elevata funzionalità – che
garantendosi la fedeltà del cliente attraverso il meccanismo della membership e la creazione
di una vera e propria brand community che possa proporre uno stile di vita basato sul
marchio.
Rafforzare la gestione del sistema di produzione e promuovere attività di CSR (responsabilità
sociale d’impresa) per rispondere efficacemente alle sfide del movimento di
antiglobalizzazione.
In questo caso, la soluzione consiste nel prevenire episodi di lavoro illegale e di transazioni
poco trasparenti, radicando nell’azienda processi di compliance e di accountability.
Poiché l’industria del lusso deve continuamente sostenere la creazione di brand ad alto valore
aggiunto tramite la vendita di prodotti ad alto valore aggiunto, si può dire che il valore del brand è
il valore dell’azienda. Un percorso di espansione aziendale che non mantenga la qualità risulta
presto fatale.
In un tale contesto, come può il “made in Italy” mantenere il valore del suo brand o creare un nuovo
stile? Prima di cercare di rispondere a tale domanda, dovremmo provare a capire nuovamente che
cosa sia il made in Italy.
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Cos’è il made in Italy?
I problemi che al giorno d’oggi il made in Italy sta affrontando non possono essere limitati al settore
del lusso. Il made in Italy, inteso come marchio di “Paese d’origine”, coinvolge tutte le categorie di
beni che vengono prodotti all’interno del suo territorio. Il significato di “frontiera” si sta affievolendo
sempre di più come conseguenza della globalizzazione del sistema “capitale-lavoro-produzioneconsumo”: oggi si può davvero parlare di “prodotto nazionale” inteso come “prodotto-Paese
d’origine”?
In uno scenario in cui la globalizzazione sta sgretolando il concetto di “stato nazionale” e i movimenti
conservatori stanno cercando di rafforzare l’identità dello stato e dei cittadini, il concetto di “Paese
d’origine”, continua a perdere valenza a fronte della multinazionalizzazione della produzione, e la
rivalutazione del made in Italy è sempre più reclamata.
Ma cosa si intende per made in Italy? E’ possibile superare questa crisi globale d’identità?
La parola “made in Italy” evoca in ognuno di noi un’immagine dai contorni e dai colori più variegati.
Il mondo dell’immaginazione non ha infatti limiti. Inoltre, questo binomio si riveste di significati
diversi in base al diverso contesto culturale. Eppure il “made in Italy” viene considerato in modo
univoco ignorando la contaminazione dai vari elementi stranieri di design, stile e gusto frutto di
collaborazioni o di idee di altri Paesi in conseguenza agli investimenti e alla globalizzazione, e non è
quindi semplice definirne l’origine.
In un’ottica globale, richiedere la cittadinanza e il Paese d’origine potrebbe non avere senso.
Tuttavia, il termine “made in Italy” non indica solamente il Paese d’origine – per inciso, il significato
del concetto di “Paese d’origine” non è così ovvio, e attualmente solleva spesso controversie tra vari
Paesi sulla definizione di commercio e diritto commerciale internazionale in relazione ai diritti di
proprietà intellettuale.
Il concetto di Paese d’origine comprende al suo interno l’insieme delle abitudini lavorative e della
struttura produttiva, che sono simbolicamente il valore del prodotto, le caratteristiche della
struttura economico-industriale, l’artigianalità tradizionale, il design, il senso dei valori e il senso
estetico che sono profondamente radicati in quella particolare cultura storica.
Nonostante non siano ben chiare le “caratteristiche” intrinseche del termine “Italia”, si parla
comunque di made in Italy mantenendo incerti i significati.
Ad esempio, nel caso della moda italiana, è necessario fare attenzione al significato dell’aggettivo
“italiana”. È probabile che l’immagine e il significato di ciò che in Giappone viene definito “moda
italiana” e ciò che gli italiani identificano come tale non corrispondano. Il negozio giapponese a cui
è sufficiente sventolare una bandiera tricolore fuori dal locale per essere considerato “italiano”, per
un italiano potrebbe essere una volgare imitazione, al limite della truffa commerciale. Eppure non
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si può semplicemente dire che l’immagine di Italia che hanno i giapponesi sia falsa, mentre quella
che ne hanno gli italiani sia autentica.
Non è proponibile una logica per cui italiano sia solo ciò che un italiano sottoscrive come tale. Come
detto prima, non ha senso appellarsi alla nazionalità per etichettare un prodotto come degno di
essere italiano. C’è quindi bisogno di trovare un altro modo per definire cosa può o meno essere
definito “italiano”.
In un’epoca che definiamo postmoderna, non esiste problema di più difficile risoluzione. Questo
perché non esiste un elemento di “italianità” capace di fungere da criterio universale in base a cui
definire in maniera assoluta e legittima un oggetto come “inconfondibilmente italiano”.
La globalizzazione sempre più incalzante mette in discussione i concetti tradizionali di “popolo” e di
“nazione”. Sta creando delle mutilazioni all’interno del sistema delle istituzioni, dei fondamenti
tradizionali della nazione e dell’etnia, causando dei ripensamenti dell’identità politica, economica e
storica. La definizione di “italiano” o di “italianità” non si sottraggono a questo processo.
Del resto, non c’è logica più aberrante che cercare di estrarre da quella che è la società italiana una
presunta forma di pensiero unitaria, assumendo ingenuamente che sia un insieme omogeneo. Di
più, concetti come nazionalità e etnia fanno spesso il paio con quelli di discriminazione e di
pregiudizio, i cui effetti nefasti abbondano sui libri di storia. Nel caso dell’Italia, poi, non c’è lavoro
storico più dissennato, stante la difficoltà senza pari di riassumere la diversità di etnie e nazionalità
al suo interno.
Nonostante tutto questo, come già menzionato, ci sono dei movimenti conservatori che si
oppongono a questa crisi d’identità: il loro obiettivo è di rafforzare l’identità culturale, a fronte del
rischio di contrasto tra culture diverse, attraverso la riduzione delle distanze tra le culture e
l’attivazione di contatti. Questi movimenti enfatizzano la necessità che i temi della moda italiana e
del made in Italy vengano discussi all’interno del Paese, considerato che, a causa della
globalizzazione, si rischia di perdere l’identità italiana. In un mondo globalizzato è necessario che gli
italiani si pongano il quesito “che cos’è l’Italia”.
Dato che l’italianità cambia di epoca in epoca, è bene considerarla come qualcosa di mutevole e con
accezioni diverse di volta in volta. Sullo sfondo dei continui cambiamenti storici e culturali,
l’immagine dell’Italia si trasforma in modo infinito e di conseguenza l’identità dell’Italia e degli
italiani continuerà ad essere espressa in modi diversi.
“Italianità” del fashion italiano
Il fashion italiano, capace di trasformare in modo caleidoscopico il nostro corpo avvolgendolo in una
luce magica, quale “italianità” crea attraverso i suoi molteplici simboli?
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Non si può negare che il binomio “Italian fashion”, oltre al significato letterale detenga un’intensa
forza di “risvegliare un’immagine”. Se si considera l’immagine del fashion italiano come composto
da duplici strati di un’immagine della società “Italia” e di un’immagine che ritrae il mondo “Fashion”,
naturalmente questa visione sarebbe veramente ricca di diversità. Nell’immagine in cui inizialmente
viene creato, in un primo dialogo con la realtà, il made in Italy potrebbe unire un punto diverso a
seconda del punto di vista da cui si comprende la realtà, e al contrario tale immagine, senza bisogno
di guardare il problema di stereotipi e pregiudizi, spesso vincola l’essenza della comprensione della
realtà.
In pratica, guardando la storia dell’Italia così come la guarderebbe uno storico della moda, è difficile
distinguere sin dall’inizio una storia della moda “peculiare” nell’Italia delle rivalità feudali e della sua
scissione in piccoli stati lungo i secoli; sono diventati necessari una cornice analitica definita “civiltà
mediterranea” e un quadro chiamato “occidente” in senso ancor più lato. La difficoltà di trovare
uno stile italiano o “l’italianità” di un tema di moda negli abiti occidentali di epoca moderna, si
applica anche al rapporto storico tra abbigliamento e società.
Possiamo riconoscere l’origine dell’italianità che caratterizza il fashion italiano di oggi, in un contesto
storico dalla modernità alla contemporaneità, cioè in un’epoca di industrializzazione e
democratizzazione passata da un modello tradizionale per cui “lo status sociale decide lo stile di
vita” a uno moderno secondo cui “lo stile di vita decide lo status sociale”, dopo un’epoca in cui
vengono abolite una dopo l’altra le regole della moda e in cui naturalmente il significato della critica
al lusso scompare.
In particolare l’industria della moda moderna italiana a cavallo tra la fine del XIX secolo e l’inizio del
XX secolo crea una propria identità nello scontro con la Francia, che già a quel tempo aveva preso
l’iniziativa nella commercializzazione del fashion. Infatti è l’epoca in cui il vecchio negozio gestito
dai fratelli Bocconi a Milano rinasce come “Grande Magazzino Rinascente”, battezzato da Gabriele
D’Annunzio nel 1917, e in cui due anni dopo viene realizzato U.P.I.M. (“Unico Prezzo Italiano
Milano”). Nel XX secolo l’Italia ha proposto un suo stile diverso dalla Francia e ha così trovato una
sua armonia. La designer di moda Rosa Genoni ha rafforzato uno stile semplice e non
eccessivamente decorato come quello francese, mentre l’“entrave” (gonna che si assottigliava alle
ginocchia) e le “culottes” che andavano di moda in Francia erano soggette a critiche in Italia. Ma
anche in Italia l’alta moda di molti sarti era all’alba di una nascita in germe, ma si dovette aspettare
la fine della Seconda Guerra Mondiale perché fiorisse.
Nell’epoca della Seconda Guerra Mondiale, in cui Mussolini istituisce una produzione nazionale pura
di abbigliamento (l’autarchia), insieme al suono del fascismo viene promosso con forza un
movimento di fashion nazionalistico che espone l’“italianità” in una forma di contrapposizione alla
Francia. Nella corrente del sistema della produzione nazionale pura sotto il regime fascista è
risaputo che sono state istituite una dopo l’altra, per iniziativa di Fortunato Albanese e dell’editrice
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della rivista femminile “Lidel” Lydia De Liguoro, l’Istituto Artistico Nazionale della Moda Italiana
(I.A.N.M.I.) nel 1928, Ente Autonomo per la Mostra Permanente Nazionale della Moda
(E.A.M.P.N.M.) nel 1932 – uniti in seguito nell’Ente Nazionale della Moda (E.N.M.) nel 1935 – e che
si sono tenute ripetutamente conferenze ed esposizioni che sfoggiano il fashion italiano.
In questo periodo anche il gergo della moda francese viene tradotto in italiano, e il negozio dal nome
inglese “Standard” viene ribattezzato “Standa” (1937). Nonostante si esegua il controllo e la
gestione su entrambi i lati duro e morbido in quanto linea politica di cultura nazionalistica,
l’influenza del mondo della moda di Parigi rimane enorme, e non si può dire che tale linea politica
abbia avuto successo. Tuttavia nel processo di modernizzazione l’industria della moda italiana, in
“subappalto” del mondo della moda francese, costruisce una struttura di produzione di fashion
originale facendo attecchire un sistema che crea prodotti di alta qualità a un prezzo inferiore
rispetto a quelli francesi, con un design semplice e materiali di qualità. Con l’attività della Camera
Sindacale della Moda Italiana istituita a Roma nel 1958 dal marchese Giovanni Battista Giorgini,
protagonista del “made in Italy”, riorganizzatasi in una casa di Roma nel 1962 come Camera
Nazionale della Moda Italiana, e del gruppo del settore tessile e della moda “Sistema Moda Italia:
l’Associazione Italiana delle Industrie della Filiera Tessile Abbigliamento”, il fashion italiano del
dopoguerra da un periodo di ricostruzione postbellico arriva a una crescita economica di alto livello.
Dalla fine degli anni ’60 e per tutti gli anni ’70, l’Italia è interessata da un periodo di transizione in
cui riesce a superare le difficoltà legate alla crisi petrolifera e a entrare in un nuovo periodo di
crescita economica. Durante questi anni, la caduta della struttura mondiale che si era stabilita con
la Guerra Fredda e la nascita dell’Unione Europea concorrono a definire una situazione economica
che avanza verso la globalizzazione e a trasformare il volto del fashion italiano. È in queste
circostanze storiche che avviene il cambiamento strutturale del settore produttivo che racchiude
l’industria del fashion in Italia, che a sua volta porta a cambiare anche lo stile di vita e il senso dei
valori dei consumatori. L’italianità intrinseca nel fashion italiano emerge come risultato di questa
serie di cambiamenti.
Struttura base del made in Italy
Secondo la ricerca “Esecutivo novembre 2007” realizzata da Eurisko, le peculiarità del made in Italy
si concentrano nei seguenti punti:
•
•
•
•
•
Estetica nello stile e nel design
“Spirito di manifattura” artigianale ricca di creatività e fantasia
Ricchezza di cultura che fa parte di una propria identità locale dalla lunga tradizione
Forza dei “legami sociali” di tipo familiare, d'amicizia o territoriali, tipici delle attività
regionali o a gestione familiare
Ricchezza di diversità sia a livello naturale che culturale
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Una “filosofia di vita” del trascorrere ogni giorno serenamente e con gioia
Si comprende come molte di queste peculiarità siano dovute a strutture di produzione e fondamenti
di vita dai tratti locali di un made in Italy strettamente legato alle società regionali.
Si capisce pertanto che sono i gruppi di piccole e medie imprese, concentrati nelle regioni di
produzione e per lo più a gestione familiare, a sostenere la struttura di produzione artigianale tipica
italiana.
Di solito il sistema di produzione regionale, non solo nel settore della moda, dispone di condizioni
favorevoli, caratteristiche per le industrie legate al territorio che possono favorire un'accelerazione
di vendite e produzione: la costruzione di fiducia e assicurazione di qualità per i prodotti regionali;
un'attività di coordinatori (“l'impannatore di Prato”, il “converter” di Como ecc.) che facciano da
intermediari nel sistema delle regioni produttrici specializzate; l'utilizzo di misure per la promozione
dello sviluppo industriale regionale che racchiudono l'accumulo di know-how tecnici; la raccolta
fondi e la formazione di talenti; la flessibilità di performance di produzione; e il network tra le
aziende.
Di fatto, nelle zone di produzione italiane, dal periodo di ricostruzione post bellico la filosofia di
design che unisce in sé sia lo spirito di iniziativa, che anticipa i fondamenti di produzione artistica
degli artigiani e il gusto del periodo, sia efficacia ed estetica, ha permesso lo sviluppo costante di
una capacità creativa in grado di indirizzare le tendenze mondiali.
L'Italia, grande Paese della moda e fortemente dipendente dalle esportazioni, a partire dagli anni
Ottanta, in un contesto caratterizzato dalla veloce espansione della globalizzazione, sta cercando di
ottenere il suo spazio nel mercato mondiale puntando su brand di alto livello attraverso un
particolare sistema di produzione che genera beni ad alto valore aggiunto e continua a differenziarsi
nettamente dai prodotti ad alta intensità di manodopera straniera.
Di certo sull'onda della globalizzazione si aggrava lo svuotamento della produzione locale
tradizionale, così come aumenta il senso di crisi per la successione generazionale
nell'amministrazione delle regioni di produzione e per la formazione di personale esperto, mentre
anche il carico di rischio riguardante i limiti del sistema di vendita e distribuzione distintivo della
piccola-media impresa è altrettanto pesante.
Però ciò che merita attenzione nel sistema artigianale definito anche “terza Italia” dalle compagnie
mondiali, non è altro che ciò che si nasconde dietro alla competitività richiesta a una produzione
diversificata e in piccoli lotti di prodotti ad alto valore aggiunto, che non può trovare realizzazione
nelle sole teorie di rendimento dei costi di produzione.
Inoltre, nell'ambiente artigiane di piccola scala, il significato del sistema di produzione regionale di
oggi sta nella nascita di idee inedite e nell’indipendenza di imprenditori creativi. Si può dire che il
potenziale globale del fashion italiano stia proprio nel carattere “locale”.
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Per quanto riguarda la supremazia strategica di questo sistema di produzione locale, ad esempio nel
campo della moda, il sistema di produzione italiano dipende dalle esportazioni ma, soprattutto a
partire dal rapido sviluppo della globalizzazione dopo gli anni Ottanta, si è assistito a una particolare
capacità di creare prodotti ad alto valore aggiunto che dipendono però in grande parte dal sistema
della regione produttrice all'interno del Paese.
In pratica, con la globalizzazione, la divisione con i Paesi a basso costo di manodopera e l'estensione
della produzione di tessile e abbigliamento nei Paesi a basso costo, è riuscita a sopraffare forti rivali
come la Cina e i Paesi dell'Europa orientale ma, l'ottenimento di una porzione per i prodotti italiani
in questa economia mercantile globale, è in parte tamponato dal sistema di produzione regionale.
La struttura industriale che ha come base la piccola e media impresa, grazie alla flessibilità che
permette di rispondere ai cambiamenti del mercato attraverso organizzazioni amministrative su
piccola scala, è diventata il punto di forza strategico per il made in Italy nel mercato globalizzato.
Generalmente il sistema delle regioni produttrici, composto da aziende che vantano uno stretto
legame con il territorio, presenta la seguenti caratteristiche:
1. Base di produzione artigianale, amministrazione familiare, sviluppo di un network tra le
aziende e performance flessibili sono le caratteristiche del sistema basato sul
raggruppamento delle piccole medie imprese
2. Capacità di utilizzare le risorse del territorio (fornitura all'interno della regione di materie
prime e prodotti semilavorati, disponibilità e formazione di lavoratori locali, vicinanza
dell'impresa e riduzione dei tempi di fabbricazione come fattori temporali, legami sociali per
conoscenza o presentazione, utilizzo del network tra imprese, prestiti e finanziamenti dalle
banche locali, conoscenza, condivisione di tecnologia e accumulazione di know-how);
coscienza dello spirito del territorio e dei legami dell'identità locale; politiche di sviluppo
dell'industria locale (consulenza amministrativa, diffusione di informazioni, indagini di
ricerca, formazione del personale ecc.); garanzia della qualità e fiducia verso i prodotti
dell'intera area di produzione
3. Pianificazione del sistema di divisione del lavoro e del processo di fabbricazione;
coordinamento del management (Ripartizione: suddivisione del processo di fabbricazione e
outsourcing alle imprese estere/Specializzazione: forte propensione verso il processo di
fabbricazione in sezioni speciali/Specializzazione tecnica dei prodotti: qualità, prezzo, target
di consumatori, particolarità del mercato di entrata/Occupazione specializzata del
coordinator della produzione regionale: progettazione merci, coordinamento e
pianificazione delle imprese della regione).
Pur presentando limiti nella distribuzione e vendita, nella capacità di assicurare personale
competente e successione generazionale tipici della piccola media impresa, scarsità d'intervento
politico attraverso politiche per le aziende locali e pressione delle imprese globali che svuotano le
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imprese locali e le basi della produzione, in questo sistema di produzione regionale è importante
che venga attribuita importanza alla ripresa delle zone produttrici e alla formazione delle nuove
regioni come tema della politica industriale, non solo per le piccole e medie imprese che hanno
grande motivazione per l'avanzamento delle esportazione dei prodotti nazionali verso il mercato
globale, ma anche per le strategie globali dei grandi brand affinché possano acquisire una posizione
con condizioni strutturali molto profittevoli.
Il vantaggio strategico del made in Italy
Interrogandosi su cos'è il made in Italy, è importante sottolineare nuovamente la particolarità
derivante dal suo carattere locale.
Il carattere locale che sostiene dalla base il valore del made in Italy è costruito sulla ricchezza e sulla
bellezza della natura, di una vita basata sulle relazioni personali locali, su un senso estetico e su uno
stile di vita che rispettano la diversità delle culture regionali, su una filosofia che riscopre
l'accoglienza e il quieto vivere, lontano dagli sconvolgimenti del mondo esterno e in
contrapposizione ai cambiamenti di un'epoca in continua accelerazione.
Inoltre, è proprio questo carattere locale che va a costituire un mondo non conciliabile con quello
globale.
Ciò che si trova nel mondo del locale non è il “grande discorso” che descrive la società globalizzata,
ma un “piccolo racconto” della comunità locale fatto di un valori estetici che si realizzano nella
diversità, nella difformità, e in uno scorrere del tempo che sia slow e non fast.
La particolarità del made in Italy che deriva da questo carattere locale è un’antitesi alla
globalizzazione. Ponendosi in contrapposizione con le tendenze del mercato, che con la
globalizzazione di oggi cambiano di corrente e di velocità, il nuovo senso dei valori può creare una
grande svolta.
Questa svolta viene descritta pienamente da espressioni quali “da globale a locale”, “da fast a slow”
o dal passaggio da “more is better” a “small is beautiful”.
I cambiamenti in direzione di questi valori si stanno riflettendo negli atteggiamenti al consumo e nei
comportamenti al momento dell'acquisto.
Dal globale al locale
Di fatto, che la globalizzazione venga messa in luce o in ombra, dipende molto dal senso dei valori e
dalle convinzioni del critico. Distinguere ciò che è positivo da ciò che è negativo è quindi una
questione di valutazione. Non resta che dire che la globalizzazione racchiude in sé entrambi i lati. Si
può però affermare che il mondo globale ha creato inevitabilmente un mondo locale. Il carattere
locale e la globalizzazione sono di fatto due facce della stessa medaglie e se non ci fosse la
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globalizzazione non ci sarebbe nemmeno bisogno di discutere sulla questione locale. Il mercato
globale crea il mercato locale e la coscienza globale richiama quella locale.
L'espansione della cultura globale fa fiorire quella locale, e più la globalizzazione avanza più anche
la localizzazione si rafforza come reazione ad essa. Mentre la globalizzazione estende la
standardizzazione e la comproprietà culturale all'interno della compenetrazione di culture diverse
e fa avanzare l'appianamento delle culture nell'uniformità e nell'omogeneità, all'unisono avanza
anche la localizzazione che, proprio come inversione di questo processo, difende la singola identità
culturale.
Mentre la globalizzazione è il vettore dell'unificazione, si può dire che la localizzazione sia il vettore
della molteplicità. Il made in Italy è spinto violentemente dentro al turbine dello scontro di questi
due vettori. Non appena si getta il proprio carattere locale e si prende il timone di brand globali
uniformi, senza nazionalità o anche multinazionali, si perde il nucleo dell'identità del made in Italy.
Nei prodotti globali non c'è il carattere italiano così come non c'è quello americano, nordeuropeo,
spagnolo o giapponese. Ciò che si trova sono solo gli 'standard globali'.
Il made in Italy nell'epoca globale, sostenendo il proprio carattere locale (italiano), potrà dar prova
della sua identità insistendo su unicità e particolarità del valore del brand per i prodotti ad alto
valore aggiunto, pur presentandosi in antitesi con il mercato globale.
Da “fast” a “slow”
La strategia locale del made in Italy, è strettamente collegata al cambiamento dei valori che si può
osservare nello stile di vita delle aziende odierne e che possiamo definire “processo di
rallentamento”. Dallo spirito consumistico “more is better” che ha caratterizzato la società
(consumistica) del dopoguerra, siamo passati a “small is beautiful”, alle antitesi quali “simple living”
e “voluntary simplicity”, che avevano supportato per lungo tempo la scelta critica al consumo. Si
potrebbero collocare su quest’ampliamento i nuovi stili di vita e i comportamenti nella società quali
consumo etico LOHAS69 e lo Slow Life. L’ideologia che sta alla base deI locavore70, il consumo dei
prodotti regionali, l’agriturismo, progettando il mantenimento e lo sviluppo delle zone ad alta
produttività e la produzione locale può essere identificato in un modo di vivere agiato e da una vita
alimentare sana. Le azioni che si basano sulla responsabilità sociale garantiscono prodotti finiti di
alta qualità come quelli spinti dal made in Italy e la sua ricerca di tracciabilità.
L’idea che i consumatori considerino il consumo come un problema loro ha come obiettivo
principale il raggiungimento della responsabilità sociale e la messa in pratica del consumo etico
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Lifestyle of Health and Sustainability
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Persone che vogliono mangiare solo i prodotti locali direttamente in loco
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Enokizaka Building 3F, 1-12-12 Akasaka, Minato-ku, Tokyo 107-0052
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attraverso l’imparzialità sociale. Anche in Italia i promotori di quest’ideologia hanno una posizione
diversa da quella di chi promuove lotte politiche anti-globalizzazione. Questo tipo di movimento
politico mette a stretto controllo le attività industriali e cerca di spingere azioni di riforma attraverso
forme di protesta e campagne anti-consumo, anti-pubblicità etc. e sono spesso accompagnate da
un modo di agire violento, da un ideologia intollerante che cerca di mettere alle strette il
consumatore, dal quale però, per reazione, rischia di essere emarginato.
Il movimento local/slow, mentre mantiene la distanza dalle logiche della produzione servile al
mercato globale, cerca di mantenere una vita “ricca” secondo una logica di intimità e uno stile di
vita in armonia con la società. Anche il fair trade e l’alternative banking condividono la stessa idea
di fondo. In questi movimenti i consumatori sono consapevoli del loro senso di responsabilità e di
giustizia sociale. Non si tratta di stabilire se il cammino intrapreso da questi movimenti sia giusto o
meno, ma è ormai un dato di fatto che i movimenti dei consumatori non possono essere fermati o
rallentati nella loro ricerca di sviluppo sostenibile e di una società in simbiosi capace di apprezzare
sia il valore di un prodotto che concetti di 'local' e 'slow’.
Tra questi, lo stile di vita anti-consumistico tesse un filo che riconduce alla responsabilità morale e
alle attività delle imprese.
Lo slogan morale dei consumatori “pensare globalmente e agire localmente”, fa appello a una lotta
comune da affrontare assieme alle aziende-partner, mirando a una sostenibilità su scala globale. Il
made in Italy ha iniziato a ottenere un grande significato nei confronti di argomentazioni che
possano rispondere a questa richiesta sociale. Da questo punto di vista si può dire che il made in
Italy sta progressivamente rafforzando la propria posizione strategica sul mercato globale.
Made in Italy e sostenibilità
All’interno delle correnti di “consumo etico” e “responsabilità sociale dell’azienda” riecheggiano
slogan come “pensare globalmente, agire localmente” o “da fast a slow”, sia da parte dei
consumatori che dei produttori, ed entrambi si mostrano sempre più inclini a trovare un punto
comune di collaborazione per attingere a un nuovo valore del brand.
Si può dire che per il lusso, guardando verso la riabilitazione del valore dei brand, sia il momento di
riesaminare in modo fondamentale i propri passi.
È impossibile che le aziende che sono sotto lo sguardo attento del mercato globale non abbiano
interesse ad adottare una strategia di mercato che preveda un contributo alla comunità attraverso
equità, giustizia e responsabilità sociale. E le aziende del settore fashion non fanno eccezione.
In realtà, il discorso deve essere allargato anche a consumo etico, eticità dell’azienda e fashion etico.
Si può dire che l’eticità ormai sia una preposizione imperativa.
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Perfino le aziende di fast fashion, incarnazione della globalizzazione, mostrano una certa sensibilità
verso tale tendenza, considerato che proprio l’adempimento delle responsabilità sociali può
decretare la loro sopravvivenza.
Per sopravvivere nel mercato globale, il made in Italy deve puntare la propria progettazione sui
concetti di “local” e “slow” in maniera distintiva dagli altri brand, trovando nel valore e nelle idee
dell’uomo d’oggi le strategie che gli permettano di arrivare a un livello superiore.
Sicuramente le possibilità di sviluppo sostenibile della società hanno un significato anche nello
sviluppo ininterrotto proprio del mercato.
Anche per il merchandising strategico dei brand di lusso un sistema produttivo ad alto spreco di
risorse non può essere più accettato come strategia di gestione. Gattinoni, brand italiano dalla lunga
storia, nel 2003 ha ideato un vestito fatto di borse per la spesa, avvicinandosi alle riconsiderazioni
sul consumismo, ma l'eco marketing che attribuisce grande importanza allo sviluppo di prodotti nel
rispetto dell'ambiente, sta diventando la strategia strumentale di atteggiamento per l'innalzamento
del valore del brand dei propri prodotti.
Anche la green fashion e lo sviluppo di nuovi materiali che riducono l’impatto ambientale può essere
definita una strategia promozionale, migliorando i prodotti ad alto valore aggiunto e uno stile di alto
livello con un messaggio sociale. La borsa Fendi 'Carmina Campus', che ha suscitato grande
interesse, realizzata con materiali di recupero, promuovendo il nuovo style e la nuova categoria Ecochic, si è posta come una completa novità.
Il concetto di 'cool brand', movimento che implementa le possibilità di business elevando il valore
dei nuovi brand creati in rapporto a un principio, vede come indispensabile la partecipazione del
consumatore, e non il consenso.
In questo senso i cool brand possono essere valutati positivamente sia per i principi innati che per
l’aspetto amministrativo nei confronti del trattamento del brand, promuovendo uno nuovo stile di
vita e un modo di vivere alternativo che sensibilizza l'attitudine del consumatore nei confronti della
protezione dell'ambiente e alla giustizia sociale, nella lotta sociale per la simbiosi delle diverse
culture.
Mentre i brand di lusso lottano con accanimento sul mercato internazionale, i giovani consumatori
che li seguono sono decisamente cresciuti: una generazione che ha il coraggio di sfidare la creazione
di nuovi brand e valutarne lo spirito imprenditoriale.
Nell’attività industriale di oggigiorno l’azienda non sopravvive nel mercato globale se non risponde
alle aspettative sulle responsabilità sociali. Il made in Italy porta un messaggio di località molto forte
che si appella al mondo “globale”, e “essere locale” è una condizione indispensabile per mantenere
il livello di qualità e proteggere la propria originalità da quella degli altri. È continuare ad affermare
la propria identità senza sprofondare nel vortice dell’omologazione. È una filosofia di “slow life” che
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vive in simbiosi con le molteplici diversità rendendo sostenibile la società multicolore. Anche il
movimento di “Slow Food” nato in Italia poggia su tali fondamenti, oltre che sul made in Italy.
L’“italianità” del made in Italy è l’espressione della missione della società: ricercare “l’essenza”
dell’umanità attraverso un nuovo stile. I piani strategici riferiti a questo mercato globale devono
tenere in considerazione non solo le aziende di brand giganteschi che conquistano rapidamente il
mercato globale, ma anche i segni dell’avvento di un nuovo stile di vita di un consumatore critico.
La ricerca dei consumatori di uno “stile di vita” alternativo indica anche la nuova direzione verso la
quale il made in Italy dovrebbe dirigersi.
Come il vino locale di qualità eccellente trascende il tempo e si afferma con profumo e gusto unici,
il made in Italy nel mercato globale deve affermare la propria identità attraverso una filosofia di
slow life con un design e materiali locali. La supremazia strategica del made in Italy nel mercato
globale risiede proprio nella possibilità di poter rispondere alle richieste di sostenibilità di questa
società simbiotica.
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ALCUNE DELLE IMPRESE ITALIANE DEL SETTORE DEL FASHION IN GIAPPONE
Aeffe Japan Co., Ltd.
Benetton Japan Co., Ltd.
Borsalino Japan Co., Ltd.
Brioni Japan Co., Ltd.
Bruno Magli Japan Co., Ltd.
Buttero Japan Co., Ltd.
Diadora Japan Co., Ltd.
Etro Japan Co., Ltd.
Furla Japan Co., Ltd.
Gas Japan Co., Ltd.
Geox Japan K.K.
Giorgio Armani Japan Co., Ltd.
Loro Piana Japan Co., Ltd.
LVJ Group K.K. Emilio Pucci Company
LVJ Group K.K. Fendi Japan
Max Mara Japan Co., Ltd.
Marni Japan Co., Ltd.
Moncler Japan Corp.
Pal Zileri Japan Co., Ltd.
Piero Guidi Japan Co., Ltd.
Prada Japan Co., Ltd.
Roberta di Camerino Far East Inc.
Roberto Cavalli Japan Co., Ltd.
Tod’s Japan K.K.
Trussardi Japan Co., Ltd.
Versace Japan Co., Ltd.
Zegna Japan Co., Ltd
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