francia germania regno unito bollettino di informazione sull`attualità

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francia germania regno unito bollettino di informazione sull`attualità
BOLLETTINO DI INFORMAZIONE
SULL’ATTUALITÀ GIURISPRUDENZIALE STRANIERA
aprile 2011
a cura di C. Bontemps di Sturco, C. Guerrero Picó, S. Pasetto, M. T. Rörig
con il coordinamento di Paolo Passaglia
FRANCIA
1. Decisione n. 2011-625 DC del 10 marzo 2011, Legge di orientamento e di
programma per i risultati e la sicurezza interna (LOPPSI)
Ordine pubblico – Legge diretta a rafforzare la sicurezza interna – Norme di vario genere –
Ricorso preventivo di legittimità costituzionale – Molteplici dichiarazioni di
incostituzionalità.
2. Decisione n. 2011-626 DC del 29 marzo 2011, Legge organica relativa al Difensore
dei diritti
Riforma costituzionale – Introduzione del Difensore dei diritti – Disciplina – Legge organica
– Sottoposizione a controllo di costituzionalità obbligatorio – Dichiarazione di conformità
alla Costituzione – Formulazione di talune riserve di interpretazione.
GERMANIA
1. Ordinanza del 22 febbraio 2011 (1 BvR 409/11)
Diritto alla tutela giurisdizionale – Risarcimento dei danni per detenzione in condizioni
contrarie alla dignità umana – Richiesta di sussidio per le spese processuali – Esame delle
possibilità di successo della causa di merito – Diniego – Ricorso diretto – Asserita
violazione del principio di eguaglianza nella tutela giurisdizionale – Accoglimento.
2. Ordinanza del 7 marzo 2011 (1 BvR 388/05)
Libertà di riunione – Sit-in su una strada transitata – Condanna di un manifestante per
violenza privata – Ricorso diretto – Asserita violazione del diritto costituzionalmente tutelato
– Accoglimento.
3. Novità relative al Tribunale costituzionale federale
REGNO UNITO
1. Patmalniece (FC) (Appellant) v Secretary of State for Work and Pensions
(Respondent) [2011] UKSC 11
Previdenza statale – Prestazione non contributiva – Condizioni per il godimento – Domicilio
abituale nel Regno Unito – Difficoltà che la condizione venga soddisfatta da parte di
stranieri – Asserita discriminazione sulla base della cittadinanza – Ricorso – Riscontrata
sussistenza di una causa di discriminazione soltanto indiretta – Giustificazione alla luce
degli obiettivi perseguiti – Respingimento del ricorso.
2. Walumba Lumba (Congo) 1 and 2 (Appellant) v Secretary of State for the Home
Department (Respondent); Kadian Delroy Mighty (Jamaica) (Appellant) v
Secretary of State for the Home Department (Respondent) [2011] UKSC 12
Stranieri – Commissione di reati – Detenzione precedente al rimpatrio – Policy pubblicata
del Ministro degli interni che limita le fattispecie di detenzione – Altra policy, non pubblicata
di segno opposto – Detenzioni autorizzate sulla base della seconda policy – Illegittimità di
una policy non pubblicata che sia difforme da una policy pubblicata – Incidenza della
illegittimità della policy sulla legalità della decisione adottata sulla sua base – Conseguente
dichiarazione di illegittimità della detenzione nella specie autorizzata – Responsabilità del
Ministro degli interni – Risarcimento del danno.
3. Duncombe and others (Respondents) v Secretary of State for Children, Schools and
Families (Appellant) [2011] UKSC 12
Istruzione – Scuole europee – Insegnanti comandati – Periodo massimo di comando fissato
in nove anni ed articolato in una successione di contratti a tempo determinato – Decisioni
che riconoscono l’incompatibilità con la normativa europea che impone la conversione della
successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo
indeterminato – Impugnazione – Determinatezza non riferibile alla durata dei rapporti di
impiego, bensì a quella del periodo di comando – Accoglimento del ricorso.
4. Jones (Appellant) v Kaney (Respondent) [2011] UKSC 13
Responsabilità civile – Periti di tribunale – Principio tradizionale dell’immunità da azioni
risarcitorie – Danni asseritamente causati da negligenza – Ricorso – Eliminazione della
fattispecie di immunità – Accoglimento del ricorso.
SPAGNA
1. ATC 20/2011, del 28 febbraio
Registri di battesimo della Chiesa cattolica – Apostasia – Annotazione – Rifiuto – Agencia
española de protección de datos – Proposizione di ricorso di amparo – Difetto di
legittimazione attiva – Inammissibilità – Opinione dissenziente.
2. SSTC 30/2011, del 16 marzo, e 32/2011, del 17 marzo
Bacini idrografici – Bacini che interessano più di una Comunità autonoma – Statuti di
Comunità autonome – Attribuzione di competenze esclusive limitatamente ai tratti compresi
nei rispettivi territori – Asserita violazione della ripartizione delle competenze tra Stato e
Comunità autonome – Ricorsi in via principale – Illegittimità costituzionale.
3. Sentenza del 28 marzo 2011
Libertà religiosa – Aconfessionalità dello Stato – Ordine degli Avvocati di Siviglia –
Patronazgo di Maria Immacolata – Asserita violazione della libertà religiosa di un avvocato
– Ricorso di amparo – Rigetto.
4. Sentenza del 28 marzo 2011
Salute – Trattamenti medici – Mancata informazione e difetto di un consenso preventivo al
trattamento da parte del paziente – Ricorso di amparo – Asserita violazione del diritto
all’integrità fisica – Accoglimento.
STATI UNITI
1. 562 U.S. ___ (2011), del 2 marzo 2011; No. 09-751, Snyder v. Phelps et al.
Primo Emendamento – Libertà di espressione – Manifestazione in prossimità del luogo di
celebrazione di esequie – Contenuti inopportuni ed emotivamente lesivi – Ricorso – Pretesa
responsabilità civile dei manifestanti – Esclusione.
FRANCIA
a cura di Charlotte Bontemps di Sturco
1. Decisione n. 2011-625 DC del 10 marzo 2011, Legge di orientamento e di
programma per i risultati e la sicurezza interna (LOPPSI)
Ordine pubblico – Legge diretta a rafforzare la sicurezza interna – Norme
di vario genere – Ricorso preventivo di legittimità costituzionale –
Molteplici dichiarazioni di incostituzionalità.
Il Conseil constitutionnel si è pronunciato il 10 marzo sulla Legge di orientamento e di
programma per i risultati e la sicurezza interna. La legge è stato oggetto di un iter normativo durato
quasi due anni (presentata in Consiglio dei ministri il 27 maggio 2009, è stata definitivamente
adottata dal Parlamento l‟8 febbraio 2011). Con ricorso parlamentare è stata deferita al Conseil
constitutionnel a metà febbraio, in virtù dell‟articolo 61 della Costituzione.
La decisione comporta 13 dichiarazioni di illegittimità costituzionale, 8 derivanti da questioni
sollevate dai ricorrenti e 5 adottate d‟ufficio.
Per quanto riguarda le prime, l‟articolo 18 estende i casi in cui sistemi di videosorveglianza
possono essere installati, da pubbliche autorità, sulla pubblica via, rafforzando i poteri di controllo
della commissione provinciale di videoproiezione nonché dell‟autorità amministrativa indipendente
in materia (la Commissione nazionale dell‟informatica e delle libertà). Il medesimo articolo
permetteva anche di delegare a persone private l‟installazione e la visione della videoproiezione: il
Conseil constitutionnel ha dichiarato l‟illegittimità costituzionale di quest‟ultima disposizione, in
quanto equivaleva ad affidare a privati il compito di sorveglianza generale della pubblica via e
quindi a delegare loro competenze di polizia amministrativa generale inerenti all‟esercizio della
forza pubblica necessaria alla garanzia dei diritti (considérant 19).
L‟articolo 37, par. II, estendeva ai minorenni l‟applicazione di condanne non riducibili. Il Conseil
ha ricordato che l‟attenuazione di responsabilità penale dei minorenni a seconda della loro età,
come la necessità di ricercare l‟impatto educativo e morale sui bambini delinquenti con misure
adatte alla loro età ed alla loro personalità, nonché l‟esistenza di specifiche procedure, sono state
costantemente riconosciute dalle leggi della Repubblica dall‟inizio del ventesimo secolo. La
previsione legislativa contestata, che permetteva l‟applicazione di dette pene anche ai casi di prima
condanna è stata quindi considerata contraria alle esigenze costituzionali relative alla giustizia
penale dei minorenni (considérants 26 e 27).
Per lo stesso motivo, il Conseil ha censurato anche l‟articolo 41 della legge, che autorizzava il
pubblico ministero a convocare un minore direttamente davanti al Tribunale dei minorenni senza
passare prima davanti al giudice dei minori, senza neppure distinguere a seconda dell‟età del
soggetto, dei suoi precedenti penali, della gravità del reato, e non metteva quindi il tribunale nelle
condizioni di disporre di informazioni recenti sulla personalità del minore (considérants 33 e 34).
L‟articolo 43 ha previsto che il Prefetto possa adottare misure di coprifuoco per i minori al di
sopra dei tredici anni, dalle ore 23.00 alle ore 6.00. Tale provvedimento può anche essere adottato,
con riferimento però ad un soggetto specifico, dal giudice dei minori. Il Conseil non ha sanzionato
in sé tale dispositivo, ma ha ritenuto contraria alla Costituzione la norma (articolo 43, par. III) che
permetteva di sanzionare con una contravvenzione il rappresentante legale del minorenne che non
avesse assicurato il rispetto del coprifuoco: la previsione, infatti, permetteva di punire il
rappresentante legale per un fatto commesso dal minore, introducendo una presunzione assoluta di
colpevolezza in contrasto con il principio di responsabilità personale in materia repressiva
(considérants 38 e 39).
L‟articolo 53, adottato al fine di evitare la presenza di alcuni tifosi durante le manifestazioni
sportive, vietava la vendita, tramite internet, dei biglietti d‟ingresso ad eventi culturali, sportivi o
commerciali che non fosse stata espressamente autorizzata dagli organizzatori. Il Conseil ha
ritenuto questa disposizione manifestamente inappropriata all‟obiettivo perseguito e dunque
contraria al principio di necessità dei delitti e delle pene (considérant 43).
L‟articolo 90 organizzava la procedura di evacuazione – con ingiunzione da parte del Prefetti ed
esecuzione forzata entro 48 ore – degli accampamenti illeciti quando la loro presenza comportasse
rischi gravi per l‟ordine pubblico. Mentre la procedura di evacuazione con ingiunzione è stata
giudicata conforme alla Costituzione (in consonanza con quanto stabilito nella decisione n. 2010-13
QPC del 9 luglio 2010), il ricorso all‟esecuzione forzata è stato invece ritenuto contrario alla
Costituzione, in quanto sproporzionato rispetto all‟obiettivo perseguito (considérant 55). Le
disposizioni contestate avevano, infatti, come effetto quello di privare le persone del loro domicilio,
anche se di fortuna, lasciandole oltretutto senza tetto, in quanto la legge non ha previsto alcun
alloggio sostitutivo; la previsione di una decisione adottata con urgenza, in qualsiasi periodo
dell‟anno, non teneva conto della situazione personale o familiare di queste persone in difficoltà; il
ricorso sospensivo entro 48 ore, d‟altra parte, non è stato ritenuto idoneo ad offrire garanzie
sufficienti, in quanto “difficilmente accessibile a queste persone, che nei fatti sono nell‟incapacità di
adire il tribunale amministrativo in un termine così breve”1.
L‟articolo 92 aveva previsto la possibilità per gli agenti di polizia municipale di effettuare
controlli di identità. La norma è stata considerata contraria all‟articolo 66 della Costituzione, dove si
impone che la polizia giudiziaria sia sottoposta all‟autorità ed al controllo dell‟autorità giudiziaria,
dal momento che non si era previsto che questi agenti fossero messi a disposizione degli ufficiali di
polizia giudiziaria, donde la mancata sottoposizione al controllo diretto ed effettivo dell‟autorità
giudiziaria (considérant 60).
L‟articolo 101 modificava l‟articolo L 552-1 del codice dell‟ingresso e del soggiorno degli
stranieri e del diritto di asilo, che permette il prolungamento del trattenimento amministrativo
presso centri di accoglienza. La versione anteriore dell‟articolo, risalente al 2003, era stata giudicata
conforme alla Costituzione (decisione n. 2003-484 DC del 20 novembre 2003) prendendo in
considerazione tre criteri: prossimità immediata della sala delle udienze, organizzazione speciale e
necessità di poter statuire pubblicamente. La Corte di cassazione2, riferendosi a questa
giurisprudenza costituzionale, aveva precisato che la nozione di prossimità postulava che l‟udienza
si svolgesse al di fuori del centro di accoglienza e che solo al di fuori del centro potesse farsi luogo
ad un dibattito pubblico. La norma contestata aveva come obiettivo quello di superare la posizione
1
CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Décision n. 2011-625 DC du 10 mars 2011, Loi d‟orientation et de
programmation pour la performance de la sécurité intérieure (LOPPSI), in Commentaire aux Cahiers, p. 35.
2
Per maggiori dettagli, cfr. CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Décision n. 2011-625 DC du 10 mars 2011, Loi
d‟orientation et de programmation pour la performance de la sécurité intérieure (LOPPSI), cit. p. 40 e s.
della Corte di cassazione. Il Conseil constitutionnel ha dichiarato l‟incostituzionalità della norma,
rilevando la contraddizione della legge che aveva adottato una misura manifestamente inappropriata
alla necessità di statuire in un‟udienza pubblica (considérant 63).
Per quanto riguarda, invece, le dichiarazioni di illegittimità costituzionale adottate d‟ufficio, il
Conseil constitutionnel si è soffermato in primo luogo sull‟articolo 10 della legge, che istituiva un
fondo destinato a finanziare una parte delle azioni della polizia tecnica e scientifica. Era prevista la
partecipazione delle assicurazioni. Ora, in virtù dell‟articolo 17 della legge organica relativa alla
legge finanziaria, l‟uso delle somme confluite in fondi deve corrispondere alla volontà dei soggetti
che le abbiano versate. Il Conseil ha quindi ritenuto la violazione degli articoli 12 e 13 della
Dichiarazione del 1789, in quanto lo svolgimento dei compiti di polizia giudiziaria non può essere
condizionato alla volontà delle assicurazioni (considérant 66).
L‟articolo 14 autorizza l‟uso di programmi informatici anche per confrontare i dati giudiziari, al
fine di permette l‟utilizzo di dati a carattere giudiziario ottenuti nell‟ambito di indagini concernenti
reati gravi. Il Conseil ha verificato che il legislatore avesse previsto le garanzie sufficienti per
conciliare l‟ordine pubblico con il rispetto della privacy. Ha ritenuto che la limitazione dell‟uso dei
dati a quelli relativi a certi reati, l‟uso dei dati non sistematico ma circoscritto ad un‟indagine
precisa e la conservazione dei dati per soli tre anni consentissero di considerare conforme alla
Costituzione la maggior parte dell‟articolo 14. Ha invece censurato le disposizioni di questo che
incidevano sull‟articolo 230-23 del codice di procedura penale permettendo, in certi casi, una
conservazione dei dati per un periodo superiore ai tre anni (considérants 71 a 73).
L‟articolo 32 della legge ha disciplinato l‟autorizzazione dell‟attività privata di intelligence
economica prevedendo anche sanzioni pecuniarie e detentive. Il Conseil constitutionnel ha però
considerato che queste disposizioni violassero il principio di legalità dei delitti e delle pene in
ragione dell‟imprecisione della definizione delle attività destinate ad integrare la nozione di
intelligence economica (considérant 76).
Ancora, si è rilevata – in connessione con quanto stabilito per l‟articolo 92 – l‟illegittimità
costituzionale dell‟articolo 91, che attribuiva la qualità di agente di polizia giudiziaria ad alcuni
agenti di polizia municipale senza tuttavia metterli a disposizione degli ufficiali di polizia
giudiziaria (considérant 78).
Infine, alcune norme (articoli 90, par. III, e 123, par. II) sono state sanzionate, per vizi di ordine
procedurale che hanno afflitto l‟iter legis.
2. Decisione n. 2011-626 DC del 29 marzo 2011, Legge organica relativa al
Difensore dei diritti
Riforma costituzionale – Introduzione del Difensore dei diritti – Disciplina –
Legge organica – Sottoposizione a controllo di costituzionalità obbligatorio
– Dichiarazione di conformità alla Costituzione – Formulazione di talune
riserve di interpretazione.
La legge costituzionale n. 2008-724 del 23 luglio 2008 di ammodernamento delle istituzioni
della Quinta Repubblica ha inserito nella Costituzione un Titolo XI bis, intitolato Il Difensore dei
diritti, che comprende l‟unico articolo 71-13, il quale opera ben cinque rinvii alla legge organica. La
legge organica attuativa del nuovo articolo è oggetto del giudizio di costituzionalità obbligatorio di
cui agli articoli 46 e 61 della Costituzione.
Il Conseil constitutionnel ha esaminato i cinque titoli della legge4, ritenendoli tutti conformi alla
Costituzione, talora emettendo, però, riserve di interpretazione.
Così, sul Titolo I, che disciplina la procedura di nomina del Difensore dei diritti, le sue garanzie
di indipendenza ed il regime delle incompatibilità, il Conseil si è soffermato in particolare
sull‟articolo 2, in relazione alla qualifica di “autorità costituzionale indipendente” ed al regime di
esonero da responsabilità del Difensore. Per la prima, ha specificato che il Difensore dei diritti
costituisce un‟autorità amministrativa la cui indipendenza è garantita dalla Costituzione e che la
qualifica sopra menzionata non implica di dover attribuire al Difensore dei diritti il rango di “potere
pubblico costituzionale” (considérant 5). Per il secondo, ha precisato che “nessuno può, tramite una
disposizione generale di una legge, essere esonerato da qualunque responsabilità personale quale
che sia la natura o la gravità dell‟atto imputatogli”: se il legislatore può, “per garantire
l‟indipendenza del Difensore dei diritti e dei suoi assistenti, disciplinare un‟immunità penale,
[deve], nella definizione dell‟estensione di questa immunità, conciliare il fine perseguito con il
rispetto di altre regole e principi costituzionali e, in particolare, del principio di eguaglianza”. Ha
poi aggiunto che l‟immunità penale così posta deve intendersi come limitata alle opinioni ed agli
atti posti in essere nell‟ambito delle proprie funzioni e che non può esonerare gli interessati dalle
sanzioni previste per il caso di violazione di segreti protetti dalla legge e per quello di violazione dei
luoghi privati (considérant 6).
Il Titolo II, relativo alle competenze5 ed al ricorso6 al Difensore dei diritti è stato giudicato
conforme alla Costituzione.
3
Articolo 71-1:
“Il Difensore dei diritti vigila sul rispetto dei diritti e delle libertà da parte delle amministrazioni dello Stato, le
collettività territoriali, gli istituti pubblici e di qualsiasi organismo incaricato di una missione di servizio pubblico, o al
quale una legge organica abbia attribuito competenze.
Può essere adito, alle condizioni stabilite con legge organica, da chi si senta leso dal funzionamento di un servizio
pubblico o di uno degli organi di cui al primo comma. Può convocarsi d‟ufficio.
La legge organica definisce le attribuzioni e le modalità di intervento del Difensore dei diritti. Stabilisce le
condizioni alle quali il Difensore può essere assistito da un collegio per l‟espletamento di alcune delle sue attribuzioni.
Il Difensore dei diritti è nominato dal Presidente della Repubblica per un mandato di sei anni non rinnovabile, in
seguito all‟applicazione della procedura di cui all‟ultimo comma dell‟articolo 13. Le sue funzioni sono incompatibili
con quelle di membro del Governo e di membro del Parlamento. Le altre forme di incompatibilità sono stabilite con
legge organica.
Il Difensore dei diritti rende conto della sua attività al Presidente della Repubblica ed al Parlamento.”
4
Titolo I: Disposizioni generali (articoli 1-3); Titolo II: Disposizioni relative alle competenze ed al ricorso al
Difensore dei diritti (articoli 4-10); Titolo III: Disposizioni relative all‟azione del Difensore dei diritti (articoli 11-36);
Titolo IV: Disposizioni relative all‟organizzazione ed al funzionamento del Difensore dei diritti (articoli 37-39); Titolo
V: Disposizioni finali (articoli 40-44).
5
Il Difensore dei diritti assorbe le competenze di diverse autorità amministrative indipendenti, quali il Mediatore
della Repubblica (istituito con la legge n. 73-6 del 3 gennaio 1973), il Difensore dei fanciulli (legge n. 2000-196 del 6
marzo 2000), l‟Alta autorità per la lotta contro le discriminazione e per l‟eguaglianza (legge n. 2004-1486 del 30
dicembre 2004) e la Commissione nazionale di deontologia della sicurezza (legge n. 2000-494 del 6 giugno 2000).
6
Ricorso che può essere presentato direttamente dalla persona o dai suoi aventi diritto i cui diritti e libertà siano stati
lesi, o da un parlamentare o ancora dal Mediatore europeo o da un suo omologo straniero.
Il Titolo III, che disciplina l‟azione del Difensore dei diritti, ha previsto che egli sia coadiuvato,
per alcune attività, da collegi7 ed assistenti.
È stato al riguardo previsto che il Primo ministro nomini gli assistenti su proposta del Difensore
dei diritti: il Conseil ha ritenuto conforme alla Costituzione tale disposizione, a condizione che sia
interpretata nel senso che anche la revoca sia possibile su richiesta dello stesso Difensore
(considérant 11).
Per quanto riguarda, invece, i collegi, le deleghe di competenze ed i loro compiti consultivi non
implicano che il Difensore sia vincolato alle loro determinazioni: la sua indipendenza deve quindi
rimanere inalterata (considérant 12).
La legge organica ha anche previsto, all‟articolo 29, che il Difensore dei diritti possa, su reclamo,
adire le autorità titolari del potere disciplinare. Queste, se non diano seguito all‟istanza, dovranno
informarlo, motivando la loro decisione. In tal caso, il Difensore potrà adottare un rapport sulla
vicenda e renderlo pubblico, a meno che l‟autorità non sia il Consiglio superiore della magistratura.
Il Conseil ha evidenziato che, in virtù degli articoli 16 della Dichiarazione del 1789 e dell‟articolo
64 della Costituzione, è garantito il principio di indipendenza delle giurisdizioni, e la specificità
delle loro funzioni impedisce qualsiasi invasione da parte del legislatore, del governo o di
un‟autorità amministrativa indipendente. In materia di responsabilità disciplinare dei magistrati si
applicano norme specifiche (l‟articolo 65 della Costituzione) e, quindi, perché possano essere
considerate conformi alla Costituzione, “le disposizioni dell‟articolo 29 non possono autorizzare il
Difensore dei diritti a dare seguito ai reclami dei privati a proposito del comportamento dei
magistrati nell‟esercizio delle loro funzioni”; tali disposizioni “hanno per unico effetto quello di
permettere [al Difensore dei diritti] di avvisare il ministro della giustizia dei fatti scoperti in
occasione dello svolgimento delle sue funzioni che possano condurre all‟avviamento di una
procedura disciplinare nei confronti di un magistrato” (considérant 16).
Nello scrutinio del Titolo IV, concernente l‟organizzazione ed il funzionamento della nuova
autorità amministrativa, il Conseil ha degradato al rango di legge ordinaria alcune disposizioni che
esorbitavano dalla sfera di competenza del legislatore organico.
Infine, nessuna riserva è stata formulata con riguardo al Titolo V, relativo per lo più al regime
delle incompatibilità e delle ineleggibilità applicabili al Difensore dei diritti ed alla sorte delle
disposizioni normative concernenti le autorità amministrative attive prima dell‟introduzione del
Difensore dei diritti.
7
Segnatamente, nelle materie in cui, anteriormente alla riforma, operavano altre autorità: v. supra, nota 5.
GERMANIA
a cura di Maria Theresia Rörig
1. Ordinanza del 22 febbraio 2011 (1 BvR 409/11)
Diritto alla tutela giurisdizionale – Risarcimento dei danni per detenzione
in condizioni contrarie alla dignità umana – Richiesta di sussidio per le
spese processuali – Esame delle possibilità di successo della causa di
merito – Diniego – Ricorso diretto – Asserita violazione del principio di
eguaglianza nella tutela giurisdizionale – Accoglimento.
Il Tribunale costituzionale ha accolto il ricorso diretto individuale di un ex-detenuto cui è stato
negato il sussidio per spese processuali necessarie al fine di intentare un‟azione legale contro il
Land Renania del Nord per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa dello stato disumano di
detenzione cui era stato costretto.
Il ricorrente, da detenuto, era stato rinchiuso per 23 ore su 24 in una cella di 8 metri quadrati con
annessa toilette non separata da alcun muro divisorio, ma solo da un paravento e senza aerazione. Il
detenuto doveva condividere lo spazio con un secondo detenuto, che variava nel tempo, con il che
lo spazio pro capite era ridotto a soli 4 metri quadrati, bagno compreso. La doccia spettava solo due
volte a settimana. I vari compagni di cella erano per lo più fumatori, sicché agli odori corporali si
sommavano quelli del fumo, rendendo l‟ambiente insopportabile. In queste condizioni il ricorrente
aveva vissuto per 151 giorni.
La richiesta del ricorrente di essere trasferito in una cella singola era stata respinta per mancanza
di spazi disponibili. Ciò nonostante il ricorrente non aveva insistito per ottenere una decisione
giurisdizionale in merito, attesa la prassi del Land di non eseguire le relative decisioni dei giudici.
Al termine del periodo di detenzione, l‟uomo ha chiesto al tribunale competente di ottenere un
sussidio per poter intentare una causa di risarcimento dei danni nei confronti del Land in cui era
stato incarcerato. La richiesta, tuttavia, non ha avuto esito positivo.
Ora, il Tribunale costituzionale federale ha annullato la decisione assunta dal tribunale
competente del Land con cui non è stata accolta la richiesta formulata dal ricorrente disponendo che
il medesimo tribunale dovrà nuovamente decidere in merito alla questione sollevata dall‟exdetenuto.
Secondo i giudici di Karlsruhe, la decisione annullata ha leso il ricorrente nel suo diritto
all‟uguaglianza nella tutela giurisdizionale (Rechtsschutzgleichheit) di cui all‟art. 3, comma 1,
Legge fondamentale1 (LF) in combinazione con l‟art. 20, comma 3, LF 2. Tale diritto impone, per
quanto possibile, un trattamento uguale tra persone – a prescindere dalle rispettive disponibilità
economiche – nell‟ambito della tutela giurisdizionale.
1
2
Articolo 3, comma 1, LF: Tutti gli uomini sono uguali di fronte alla legge.
Articolo 20, comma 3, LF: La legislazione è soggetta all‟ordinamento costituzionale, il potere esecutivo e la
giurisdizione sono soggetti alla legge ed al diritto.
Secondo il Tribunale costituzionale federale, la decisione del tribunale del Land è in contrasto
con tale diritto, in quanto – discostandosi dal costante orientamento giurisprudenziale, anche della
Corte suprema federale – ha deciso l‟istanza svolgendo, con esito sfavorevole al ricorrente, l‟esame
di una difficile questione di diritto incentrata sulla probabilità di successo, nel merito, dell‟azione
giudiziaria che il ricorrente avrebbe voluto intentare.
Secondo tale giurisprudenza, condivisa dai giudici di Karlsruhe, la superficie minima di una cella
deve misurare almeno 6-7 metri quadrati per recluso, e quindi la detenzione di due persone
rinchiuse per 23 ore in una cella di 8 metri quadrati con annessa toilette non separata lede la dignità
umana. Al riguardo, il Tribunale costituzionale federale, facendo appunto riferimento alla
giurisprudenza della Corte suprema, ha inoltre svolto un‟argomentazione incidentale che ha
suscitato molto interesse (sebbene il Tribunale non abbia poi ulteriormente approfondito tale punto).
Infatti, secondo il Tribunale non sembra potersi escludere che si debba giungere anche alla
liberazione dei detenuti, qualora per motivi di sovraffollamento non sia possibile garantire una
sistemazione umanamente dignitosa. In certi casi, lo Stato potrebbe quindi avere, quale extrema
ratio, il dovere “di rinunciare all‟esecuzione della condanna”3. Il Tribunale sembra quindi
quantomeno non escludere che i detenuti potrebbero, in condizioni incompatibili con la dignità
umana, “richiedere l‟interruzione, oppure il rinvio della pena”.
I giudici di Karlsruhe hanno comunque ritenuto che la questione di merito, ossia l‟intervenuta
violazione della dignità umana in ragione di determinate condizioni di detenzione, nonché il
conseguente diritto di richiedere un risarcimento dei danni subiti per tali ragioni, non potesse essere
valutata a priori da un tribunale nell‟ambito della decisione sulla richiesta di sussidio per ottenere il
pagamento delle spese processuali necessarie per attivare la tutela giurisdizionale in merito.
Infine, secondo il Tribunale costituzionale, il fatto che il ricorrente non avesse intrapreso durante
la sua carcerazione alcuna azione legale contro le condizioni di detenzione cui era costretto non
incide, nel caso di specie, sulla possibilità di successo di un‟azione tesa ad ottenere il risarcimento
del danno derivante da tali condizioni di detenzione. Al riguardo, si è evidenziato, infatti, come il
tribunale del Land non avesse nemmeno valutato se l‟attivazione di un simile rimedio avrebbe
potuto evitare i danni subiti o comunque asseriti dal ricorrente.
2. Ordinanza del 7 marzo 2011 (1 BvR 388/05)
Libertà di riunione – Sit-in su una strada transitata – Condanna di un
manifestante per violenza privata – Ricorso diretto – Asserita violazione del
diritto costituzionalmente tutelato – Accoglimento.
Il Tribunale costituzionale ha accolto il ricorso diretto individuale di un manifestante che aveva
partecipato, assieme ad altre quaranta persone, ad un sit-in su una strada transitata (Ellis Road) nelle
vicinanze di Francoforte sul Meno per protestare contro l‟intervento militare degli USA in Iraq. In
seguito alla manifestazione, il ricorrente era stato condannato dalla pretura competente al
pagamento di una sanzione pecuniaria per aver commesso violenza privata (Nötigung) nei confronti
degli automobilisti che transitavano sulla strada bloccata dal sit-in. L‟appello promosso dal
ricorrente presso il tribunale competente era stato respinto.
3
Si noti che, complessivamente, la Germania ha un tasso di affollamento pari a circa il 90%, e dunque i posti letto
nelle carceri sono superiori ai detenuti.
Il Tribunale costituzionale federale non ha ravvisato, nel riferimento alla giurisprudenza che
riconosce, in via generale, la possibilità di una violenza privata da parte di un autore mediato (la
fattispecie veniva in rilievo in conseguenza dell‟esistenza di auto ferme nel mezzo alla carreggiata
che impedivano il transito, impedimento che doveva farsi risalire all‟azione dei manifestanti), una
violazione del principio che vieta l‟analogia nel diritto penale (art. 103, comma 2 LF 4); ha ritenuto,
invece, che la decisione del giudice di merito violasse la libertà di riunione del ricorrente (art. 8,
comma 1, LF5).
Secondo il Tribunale di Karlsruhe, il giudice di merito ha erroneamente negato la natura di
riunione al sit-in, peraltro con motivazioni non sostenibili dal punto di vista costituzionale. Il fatto
che l‟evento fosse diretto a suscitare l‟interesse pubblico per determinati scopi politici non fa venir
meno la tutela della libertà di riunione, ma fa piuttosto rientrare il sit-in, che mirava a contribuire al
formarsi di un‟opinione pubblica, nel campo di applicazione dell‟art. 8 LF.
Si è evidenziato che l‟azione di violenza privata deve ritenersi illegittima qualora la violenza si
consideri riprovevole in relazione allo scopo da essa perseguito. Al riguardo, il giudice di merito
non ha tenuto conto di tutte le considerazioni e di tutti i fatti che dovevano, da un punto di vista
costituzionale, essere oggetto di ponderazione. Inoltre, non ha correttamente valutato le circostanze
che erano a favore del ricorrente: ad esempio, ha giudicato riprovevole il fatto che i manifestanti
intendessero suscitare l‟interesse pubblico per i loro scopi informativi. Infine, il giudice di merito
ha, secondo il Bundesverfassungsgericht, del tutto ignorato, nella ponderazione degli interessi in
gioco, la durata della manifestazione, il fatto che fosse stato fornito un preavviso, l‟esistenza di
strade alternative a disposizione degli automobilisti, la valutazione sull‟urgenza dei trasporti che
erano stati bloccati nonché la quantità degli automobilisti coinvolti. Di conseguenza, la decisione
del tribunale competente è stata annullata ed il giudice dovrà nuovamente pronunciarsi in merito.
3. Novità relative al Tribunale costituzionale federale
Il dott. Peter Weigl, ex vicepresidente dello Statistischen Bundesamtes (Ente federale di
statistica), nato il 2 agosto 1960, ricopre, a partire dal 1° aprile 2011, la carica di Direttore (vertice
dell‟amministrazione) del Bundesverfassungsgericht, succedendo alla dott.ssa Elke Luise Barnstedt.
4
Art. 103, comma 2, LF: Un‟azione è punibile solo se la pena è stata stabilita per legge prima che l‟azione fosse
commessa.
5
Articolo 8 LF: (1) Tutti i tedeschi hanno il diritto di riunirsi, liberamente e senza armi, senza preavviso o
autorizzazione.
(2) Per le riunioni all‟aperto questo diritto può essere limitato con legge o in base ad una legge.
REGNO UNITO
a cura di Sarah Pasetto
1. Patmalniece (FC) (Appellant) v Secretary of State for Work and Pensions
(Respondent) [2011] UKSC 11
Previdenza statale – Prestazione non contributiva – Condizioni per il
godimento – Domicilio abituale nel Regno Unito – Difficoltà che la
condizione venga soddisfatta da parte di stranieri – Asserita
discriminazione sulla base della cittadinanza – Ricorso – Riscontrata
sussistenza di una causa di discriminazione soltanto indiretta –
Giustificazione alla luce degli obiettivi perseguiti – Respingimento del
ricorso.
La Corte suprema del Regno Unito ha affermato che le condizioni per l‟accesso alla pensione
statale sono indirettamente discriminatorie in base alla cittadinanza, ma sono giustificate alla luce
del legittimo obiettivo di proteggere le finanze dello Stato, e che tale giustificazione prescinde dalla
cittadinanza del richiedente.
Il sistema pensionistico nazionale del Regno Unito (lo State Pension Credit) dà luogo ad una
prestazione non contributiva soggetta al previo accertamento delle fonti di reddito. Un richiedente
ha il diritto di ricevere la pensione statale se “si trova in Gran Bretagna”, ovvero se è “abitualmente
domiciliato” nel Regno Unito, nelle Isole del Canale, nell‟Isola di Man o nella Repubblica irlandese
e gode del diritto di domicilio negli stessi. Il trattamento particolare previsto per i cittadini irlandesi
nell‟ambito del sistema britannico di previdenza statale è protetto dal Protocollo n. 20 del Trattato
sul funzionamento dell‟Unione europea.
Il Regolamento 1408/71 CE (ora sostituito da altre normative europee) ha disposto
l‟applicazione dei sistemi di previdenza sociale, compreso il sistema britannico di cui sopra, ai
lavoratori dipendenti ed alle loro famiglie in circolazione nella Comunità europea. Ai fini del
regolamento, sono ritenuti “lavoratori dipendenti” anche gli individui a riposo ma che sono coperti
dal sistema di previdenza sociale di uno Stato membro dell‟UE a causa dei contributi versati nel
corso della loro attività lavorativa. L‟articolo 3, comma 1°, del Regolamento stabilisce che “le
persone che risiedono nel territorio di uno degli Stati membri ed alle quali sono applicabili le
disposizioni del presente regolamento, sono soggette agli obblighi e sono ammesse al beneficio
della legislazione di ciascuno Stato membro alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato, fatte
salve le disposizioni particolari del presente regolamento.” L‟articolo vieta dunque la
discriminazione diretta ed indiretta fondata sulla cittadinanza.
La ricorrente è una cittadina lettone che riceve versamenti pensionistici erogati dallo Stato
lettone, giunta nel Regno Unito nel 2000, paese nel quale è rimasta continuativamente pur essendo
stata respinta la sua richiesta di asilo e pur non svolgendovi alcuna attività lavorativa. Nel maggio
2004, la Lettonia è entrata a far parte della UE e la ricorrente ha chiesto di ricevere i versamenti
pensionistici erogati dallo stato britannico nell‟ambito della State Pension Credit (prestazione, come
detto, non contributiva), ma la richiesta è stata respinta poiché la richiedente non aveva il diritto a
risiedere nel Regno Unito. Contestando la decisione, la ricorrente ha argomentato che un tale
requisito costituiva un illecito indirettamente discriminatorio: l‟appello interposto è stato accolto dal
Social Security Appeal Tribunal, ma gli effetti di questa decisione sono stati successivamente
ridimensionati dalla affermazione del Commissario per la sicurezza sociale circa la possibilità di
giustificare differenziazioni nelle condizioni di accesso alle pensioni, affermazione che è stata poi
avallata dalla Court of Appeal.
La Corte suprema, investita della controversia, ha vagliato le tre questioni seguenti: se i
prerequisiti per l‟idoneità a ricevere la pensione britannica fossero direttamente discriminatori; se i
prerequisiti fossero indirettamente discriminatori ma giustificabili; se fosse legittimo il trattamento
di favore accordato ai cittadini della Repubblica irlandese.
Con riferimento alla prima questione, la Corte ha sottolineato come le condizioni per ottenere la
prestazione pensionistica siano individuabili, non solo nel domicilio, ma anche nel domicilio
abituale sul territorio del Regno Unito: condizione, questa, che solo pochi stranieri possono vantare
(e che, comunque, non è necessariamente propria di tutti i cittadini britannici). La Corte suprema ha
applicato la sentenza Bressol della Corte di giustizia1, nella quale talune misure paragonabili a
quelle poste in essere nella fattispecie (seppure nell‟ambito dell‟istruzione) sono state dichiarate
solo indirettamente discriminatorie. Pertanto, il sistema poteva essere giustificato, purché fondato su
considerazioni obiettive indipendenti dalla cittadinanza degli individui coinvolti, e purché
proporzionato al tentativo di raggiungere un obiettivo legittimo. In concreto, la maggioranza del
collegio giudicante della Corte suprema ha affermato che le misure erano legittime ed erano
indipendenti dalla cittadinanza degli individui in questione: l‟obiettivo consisteva nel desiderio di
assicurare che i richiedenti fossero economicamente o socialmente integrati nel Regno Unito o negli
altri territori in questione, proteggendo così il sistema di previdenza sociale dai rischi di “turismo
sociale”.
La ricorrente aveva inoltre argomentato che la mancata estensione ai cittadini degli altri Stati
membri dell‟UE del diritto ad usufruire della pensione statale britannica, concessa, oltre che ai
cittadini britannici, ai soli cittadini irlandesi, era una pratica discriminatoria. La Corte suprema ha
respinto la doglianza, rilevando che la posizione privilegiata dei cittadini irlandesi in tale ambito è
protetta da un‟apposita disposizione europea, ovvero dall‟articolo 2 del Protocollo n. 20
sull‟applicazione di alcuni aspetti dell‟articolo 26 del Trattato sul funzionamento dell‟Unione
europea al Regno Unito e all‟Irlanda, il quale dispone che “[i]l Regno Unito e l‟Irlanda possono
continuare a concludere intese reciproche in materia di circolazione di persone tra i loro territori.”
2. Walumba Lumba (Congo) 1 and 2 (Appellant) v Secretary of State for the
Home Department (Respondent); Kadian Delroy Mighty (Jamaica) (Appellant) v
Secretary of State for the Home Department (Respondent) [2011] UKSC 12
Stranieri – Commissione di reati – Detenzione precedente al rimpatrio –
Policy pubblicata del Ministro degli interni che limita le fattispecie di
detenzione – Altra policy, non pubblicata di segno opposto – Detenzioni
autorizzate sulla base della seconda policy – Illegittimità di una policy non
pubblicata che sia difforme da una policy pubblicata – Incidenza della
illegittimità della policy sulla legalità della decisione adottata sulla sua
base – Conseguente dichiarazione di illegittimità della detenzione nella
1
Bressol v Gouvernement de la Communauté Française, C-73/08.
specie autorizzata – Responsabilità del Ministro degli interni –
Risarcimento del danno.
Un atto illecito per il diritto pubblico che sia rilevante ai fini della decisione circa l‟an della
detenzione di un criminale di cittadinanza straniera, è in se stesso sufficiente a rendere illecita tale
decisione ed a dare luogo ad un ricorso per sequestro di persona.
Il caso risolto ha avuto un notevole rilievo costituzionale, poiché ha sollevato numerose
questioni relative alle violazioni delle policies sul fermo, predisposto dall‟esecutivo, di cittadini
stranieri, sul controllo giurisdizionale delle misure privative della libertà, e sulla legalità dei fermi
eseguiti in base a policies poste in essere dall‟esecutivo, ma non rese pubbliche. Il judgment è stato
pronunciato da un collegio composto eccezionalmente da nove membri.
Tra l‟aprile 2006 ed il settembre 2008, il Ministro degli interni britannico ha pubblicato una
policy relativa alla detenzione precedente al rimpatrio dei criminali di cittadinanza straniera,
affermando al contempo la propria intenzione di aderirvi; tale policy conteneva una presunzione a
favore del rilascio dei detenuti stranieri prima dell‟espulsione. Tuttavia, lo stesso Ministro ammette,
che nello stesso periodo, il Ministero ha in realtà applicato una diversa policy, non resa nota al
pubblico, che effettivamente rovesciava la presunzione a favore del rilascio e prevedeva invece,
generalmente, la detenzione degli individui fermati.
I due ricorrenti nel giudizio risolto dalla Corte suprema erano entrambi di cittadinanza straniera
ed erano stati fermati per aver commesso reati. Uno dei detenuti in questione è stato in carcere per
quasi 4 anni e mezzo; l‟altro, invece, è stato detenuto per quasi sei mesi nel 2006 e per un anno tra il
2007 ed il 2008.
I richiedenti hanno contestato che tali decisioni di detenzione trovassero sostegno nella
giurisprudenza o nei principi generali del diritto, argomentato che esse costituivano, viceversa, una
erosione della protezione offerta dal common law al diritto a non essere detenuti illegalmente.
Inoltre, a loro avviso, il fatto stesso della omessa pubblicazione della policy costituiva un illecito di
common law ed era contrario all‟articolo 5 della CEDU. La parte convenuta, il Ministro degli
interni, ha replicato che era erroneo porre l‟enfasi sulla mancata divulgazione della policy e che tale
fatto non era rilevante nei due casi, poiché gli individui sarebbero stati ugualmente soggetti alla
detenzione in seguito alla policy che era stata invece pubblicata. Il Ministro ha affermato, dunque,
che la questione rilevante consisteva nella valutazione della legalità, o meno, delle singole decisioni
a favore della detenzione.
La Corte suprema ha unanimemente confermato la legalità della predisposizione, da parte del
Ministro degli interni, di una policy che stabilisse la procedura da seguire normalmente nelle
decisioni sulla detenzione precedente al rimpatrio dei criminali di cittadinanza straniera, a
condizione che tale policy fosse conforme ai requisiti stabiliti dal diritto pubblico inglese2 e
dall‟articolo 5, comma 1°, paragrafo (f) della CEDU. Tuttavia, con riferimento al potere di
procedere alla detenzione stabilito dalla legge in base al quale erano state eseguite le detenzioni in
2
Principi derivati dalla giurisprudenza in materia (si veda, in particolare, il caso R v Governor of Durham Prison, Ex
parte Hardial Singh, [1984] 1 WLR 704) e dalla CEDU: le policies non possono vincolare all‟adozione di un unico atto,
ma devono preservare la discrezionalità del decisore; inoltre, se la policy non è pubblicata, essa non può essere difforme
dalle policies eventualmente pubblicate; infine, le policies dovrebbero essere divulgate, se destinate a guidare decisioni
con riguardo alle quali le parti interessate possano presentare le proprie osservazioni.
questione, la Corte ha affermato che il Ministro degli interni non poteva applicare una policy non
pubblicata – recante un divieto quasi assoluto di rilascio dei detenuti stranieri – che era difforme
dalla policy che era stata invece portata a conoscenza del pubblico. La violazione di un dovere
derivante dal diritto pubblico, commessa da parte di chi autorizzava la detenzione, poteva rendere
illegale tale detenzione.
Una maggioranza del collegio giudicante ha dichiarato che l‟eventualità che i richiedenti
sarebbero stati comunque detenuti, a prescindere dall‟erroneità della decisione del Ministro, non
poteva incidere sulla responsabilità del Ministro medesimo per sequestro di persona. Una
maggioranza diversa ha poi affermato che il fatto che i ricorrenti sarebbero stati comunque detenuti
in conformità alla legge era un fatto determinante nella questione sull‟entità del risarcimento,
piuttosto che in quella sulla responsabilità del Ministro. Nel caso di specie, poiché i richiedenti non
avevano subito alcun danno, essi avevano diritto solamente ad un risarcimento simbolico
dell‟ammontare di £1. La minoranza dissenziente, con riguardo a quest‟ultima questione, si è
espressa a favore di una cifra maggiore, seppure sempre contenuta, come riconoscimento sia del
fatto che lo Stato non dovrebbe essere in grado di infrangere la policy da esso stesso stabilita senza
essere penalizzato, sia del fatto che non si debbano versare risarcimenti troppo importanti nei casi in
cui i danni per l‟illecita detenzione non si possano comprovare.
3. Duncombe and others (Respondents) v Secretary of State for Children, Schools
and Families (Appellant) [2011] UKSC 12
Istruzione – Scuole europee – Insegnanti comandati – Periodo massimo di
comando fissato in nove anni ed articolato in una successione di contratti a
tempo determinato – Decisioni che riconoscono l’incompatibilità con la
normativa europea che impone la conversione della successione di contratti
o rapporti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato
– Impugnazione – Determinatezza non riferibile alla durata dei rapporti di
impiego, bensì a quella del periodo di comando – Accoglimento del ricorso.
Il sistema che prevede una successione di contratti a tempo determinato, stabilito per il comando
(secondment) degli insegnanti destinati a prestare servizio nelle Scuole europee, è obiettivamente
giustificato ai fini dell‟articolo 8 della direttiva del Consiglio 1999/70/CE.
Il Regolamento del personale delle Scuole europee adottato dal Regno Unito fissa un limite di
nove anni al periodo durante il quale gli insegnanti possono essere inviati a prestare servizio in tali
scuole; questi nove anni, che in casi eccezionali possono salire fino a dieci, sono composti da un
primo periodo di prova di due anni, seguito da ulteriori periodi di tre e quattro anni (e,
eccezionalmente, di un ulteriore periodo di un anno). Nella fattispecie, la questione consisteva nella
compatibilità tra il regime predisposto da tale regolamento e la direttiva del Consiglio 1999/70/CE
sull‟Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato e la relativa normativa
di britannica attuazione, secondo la quale una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo
determinato deve tradursi in contratti a tempo indeterminato, a meno che l‟utilizzo di successivi
contratti di lavoro a tempo determinato possa essere obiettivamente giustificato.
Gli insegnanti coinvolti nel giudizio risolto erano stati entrambi assunti e rinnovati per il periodo
complessivo di nove anni; al momento della proroga della loro assunzione per un ulteriore anno, il
decimo, essi hanno agito in giudizio per far valere il loro preteso diritto ad essere considerati dei
lavoratori a tempo indeterminato. L‟Employment Tribunal, l‟Employment Appeal Tribunal e la
Court of Appeal si sono pronunciati a favore degli insegnanti.
La Corte suprema ha invece accolto all‟unanimità il ricorso del Ministero dell‟istruzione
britannico. La Corte ha affermato che l‟utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato
può essere obiettivamente giustificato, e l‟articolo 8 del regolamento britannico non poteva
pertanto, nella specie, trovare applicazione.
A parere della Corte, il ricorso degli insegnanti non riguardava la successione di contratti a
tempo determinato, ma piuttosto la natura a tempo determinato del loro impiego. La normativa
europea e nazionale non vietano l‟impiego a tempo determinato, bensì la discriminazione contro i
lavoratori a tempo determinato, e l‟abuso dell‟utilizzo della successione di contratti a tempo
determinato per ciò che avrebbe dovuto essere, in realtà, un impiego a tempo indeterminato. Non vi
è stato, nelle argomentazioni degli insegnanti, alcun accenno ad una presunta disparità di
trattamento tra insegnanti assunti a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato. A ben vedere,
infatti, non era il limite di nove anni all‟assunzione a tempo determinato che doveva essere
giustificato, ma piuttosto il ricorso all‟ulteriore contratto a tempo determinato per il decimo anno.
Gli insegnanti erano stati assunti a svolgere un lavoro che poteva durare solamente nove anni; il
Ministro dell‟istruzione non poteva obbligare le scuole a trattenere gli insegnanti per un periodo
maggiore, poiché nelle scuole stesse non esisteva ulteriore lavoro che gli insegnanti potessero
svolgere. Ad avviso della Corte, non esisteva dunque alcuna incoerenza tra il Regolamento del
personale delle Scuole europee e la direttiva, poiché il Regolamento disciplinava la durata del
periodo di comando (secondment), e non la durata dell‟impiego.
4. Jones (Appellant) v Kaney (Respondent) [2011] UKSC 13
Responsabilità civile – Periti di tribunale – Principio tradizionale
dell’immunità da azioni risarcitorie – Danni asseritamente causati da
negligenza – Ricorso – Eliminazione della fattispecie di immunità –
Accoglimento del ricorso.
La Corte suprema ha eliminato l‟immunità dei periti di tribunale da responsabilità civile.
Il ricorrente, che ha subito lesioni fisiche e psichiche in seguito ad un incidente automobilistico,
ha intentato un ricorso contro l‟automobilista responsabile per danni alla persona. Una prima perizia
medica ha accertato che il ricorrente soffriva di sindrome post-traumatica. Una seconda perizia,
svolta da uno psichiatra nominato dal conducente responsabile per l‟incidente ai fini della
determinazione dell‟entità del risarcimento pecuniario, ha invece suggerito che il richiedente stesse
esagerando la gravità delle lesioni subite. Il giudice di prima istanza ha così imposto lo svolgimento
di una nuova perizia, da eseguire congiuntamente dai due medici responsabili delle perizie
precedenti; tale terza perizia ha confermato quanto riportato nella seconda, affermando che il
richiedente non soffriva affatto di sindrome post-traumatica ed anzi che lo stesso richiedente aveva
reso affermazioni ingannevoli. Il ricorrente ha intentato un ricorso contro la psicologa responsabile
per la prima perizia, allegando una pretesa violazione da parte di quest‟ultima del suo dovere di
diligenza nei confronti del paziente (e dunque il compimento di un illecito di negligence),
violazione avvenuta nel corso dell‟espletamento della perizia congiunta. All‟uopo, è stato addotto
che tale comportamento illecito avrebbe costituito un danno talmente grave per la richiesta di
risarcimento che il ricorrente si sarebbe sentito obbligato ad accettare una somma
considerevolmente inferiore alla somma alla quale riteneva di aver diritto.
La Corte suprema ha accolto il ricorso. La maggioranza del collegio si è pronunciata a favore
dell‟eliminazione dell‟immunità dalla responsabilità civile (contrattuale ed extracontrattuale) di cui
godevano i periti di tribunale per il lavoro svolto nell‟ambito delle procedure giudiziarie.
Tale forma di immunità era un istituto pluricentenario, che si collegava all‟immunità
precedentemente goduta dagli avvocati contro azioni per negligenza eventualmente mosse dai
propri clienti. Nel 2001, questa immunità è stata eliminata dalla House of Lords in quanto ritenuta
non più giustificabile.
L‟approccio incentrato sulla giustificabilità dell‟immunità è stato applicato anche con riguardo ai
periti di tribunale. Ad avviso della maggioranza, la regola generale consiste nella risarcibilità di
qualunque danno, di talché qualunque eccezione ad una tale regola deve essere giustificata come
necessaria nell‟interesse pubblico e deve comunque essere mantenuta costantemente sotto controllo.
La motivazione principale dell‟esistenza dell‟immunità dei periti derivava dal timore che, di fronte
alla possibilità di essere denunciato, un perito di tribunale avrebbe potuto esitare a fornire
testimonianze contrarie agli interessi della parte che lo aveva assunto, con ciò andando contro
l‟interesse della verità. Tuttavia, ad avviso della maggioranza, non esiste alcun conflitto tra il dovere
del perito nei confronti del cliente di fornire i propri servizi con ragionevole abilità e cura ed il
dovere che lo stesso perito ha nei confronti della corte. Le indagini statistiche al riguardo condotte
non hanno suggerito che l‟immunità sia necessaria per assicurare la disponibilità di un numero
sufficiente di periti; alla stessa conclusione si poteva giungere anche in seguito ad un controllo sui
dati relativi alla attività degli avvocati in seguito alla eliminazione della immunità da ricorsi per
negligenza. Non è dunque stata ritenuta sussistente alcuna giustificazione sufficiente per mantenere
l‟immunità dei periti; essi sono comunque rimasti immuni da ricorsi per diffamazione.
I giudici dissenzienti, Lord Hope e Lady Hale, hanno seguito un diverso ragionamento. A loro
avviso, la regola generale consiste nell‟esistenza dell‟immunità, come comprovata anche dalla
House of Lords nella sentenza Watson v M’Ewen del 1905. È da giustificare, pertanto, qualunque
eccezione all‟immunità stessa. La mancanza di un fondamento sicuro per la rimozione
dell‟immunità, di una demarcazione netta tra ciò che sarebbe stato eliminato e ciò che sarebbe
rimasto, e di dati affidabili per prevedere le probabili conseguenze, indicavano che la scelta circa la
rimozione
dell‟immunità
doveva
spettare
al
Parlamento.
SPAGNA
a cura di Carmen Guerrero Picó
1. ATC 20/2011, del 28 febbraio
Registri di battesimo della Chiesa cattolica – Apostasia – Annotazione –
Rifiuto – Agencia española de protección de datos – Proposizione di ricorso
di amparo – Difetto di legittimazione attiva – Inammissibilità – Opinione
dissenziente.
La sala prima del Tribunale costituzionale ha dichiarato inammissibile per mancanza di
legittimazione attiva un ricorso di amparo sollevato dall‟Agencia española de protección de datos
(Garante della privacy spagnolo).
La causa trae origine dalla richiesta di un cittadino che la sua dichiarazione di apostasia venisse
annotata nell‟atto di battesimo. L‟Agencia si è pronunciata a suo favore, ma l‟Arcivescovato di
Valencia si è opposto alla richiesta, precisando che i registri battesimali non sono documenti di stato
civile; in seguito al rifiuto opposto, sono state adite le vie legali. La sala contenziosoamministrativa del Tribunale supremo ha accolto, nel giudizio di cassazione, la tesi
dell‟Arcivescovato, considerando che i libri di battesimo non sono un archivio di dati personali ai
sensi della legge orgánica n. 15/1999, del 13 dicembre, di protezione dei dati di carattere personale.
L‟Agencia española de protección de datos, parte nel processo, ha dunque adito la giurisdizione
costituzionale, denunciando la violazione del suo diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, comma
1, Cost.) e, in subordine, la violazione del diritto alla protezione dei dati di cui è titolare il cittadino
che si era rivolto all‟agenzia.
Secondo la sala prima del Tribunale costituzionale, che l‟Agencia española de protección de
datos “sia stata parte nel processo giudiziario precedente non è condizione sufficiente per sollevare
un ricorso di amparo; inoltre, si esige far valere un interesse legittimo (per tutte, STC 208/2009, del
26 novembre, FJ 2) […]. Il Tribunale ha ribadito che l‟art. 24, comma 1, Cost. conferisce alle
persone pubbliche il diritto a non soffrire indefensión solo nella loro dimensione strettamente
processuale e che, in quanto enti pubblici, esse non hanno un diritto alla tutela giurisdizionale a
difesa delle loro prerogative […]. Nella fattispecie, sebbene sia stato invocato espressamente l‟art.
24, comma 1, Cost., le memorie della ricorrente evidenziano che la doglianza denunciata consiste
nella mancanza di una risposta giudiziaria nei termini di una ragionevolezza costituzionalmente
richiesta riguardo al contenuto del diritto fondamentale alla protezione dei dati di carattere
personale (art. 18, comma 4, Cost.)” (FJ 2).
Con riferimento a quest‟ultimo, la sala aggiunge che, “in ogni caso, l‟Agencia española de
protección de datos non ha legittimazione attiva per pretendere l‟amparo costituzionale di un diritto
[…] altrui. Certamente, questo Tribunale ha ammesso la dissociazione tra la legittimazione a
ricorrere in amparo e la titolarità del diritto fondamentale, poiché l‟art. 162, comma 1, lettera b),
Cost. riconosce legittimazione ad ogni persona fisica o giuridica che invochi un interesse legittimo,
intendendo che tale interesse ricorre in ogni persona la cui sfera giuridica possa risultare lesionata
dalla violazione di un diritto fondamentale, benché tale violazione non si sia prodotta direttamente
contro la persona medesima (per tutte, STC 52/2007, del 12 marzo, FJ 3). Orbene, il Tribunale
costituzionale ha ribadito altresì che non può qualificarsi come interesse legittimante quello che
possano avere gli enti pubblici per preservare diritti di terzi […]. Prendendo atto che l‟Agencia
española de protección de datos ha emanato una risoluzione amministrativa che ha risolto una
controversia tra privati, la sua posizione era quella di mero soggetto chiamato ad applicare in modo
imparziale il diritto, senza ponderare alcun interesse pubblico, ciò che esclude l‟esistenza di alcun
interesse che la legittimi a rivolgersi alla giurisdizione [costituzionale] in amparo. In ultima analisi,
in una controversia come quella che aveva risolto l‟Agencia española de protección de datos e che
ha dato luogo al successivo procedimento giudiziale, a parte i titolari dei diritti coinvolti, si ritiene
che erano legittimati solo il pubblico ministero ed il difensore civico in virtù dell‟art. 162, comma 1,
lettera b), Cost.” (FJ 3).
Dissenziente rispetto alla decisione della maggioranza è il giudice costituzionale Pablo Pérez
Tremps. Nel suo voto particular, egli sostiene che “la circostanza che l‟art. 162, comma 1, lettera
b), Cost. citi solo il difensore civico ed il pubblico ministero non è di ostacolo a che altre persone
giuridiche pubbliche possano vedere eccezionalmente riconosciuto un interesse legittimo specifico
per la difesa di determinati diritti fondamentali, che conceda loro legittimazione per accedere al
ricorso di amparo […]. La funzione legalmente affidata all‟Agencia española de protección de
datos in relazione al diritto alla protezione dei dati di carattere personale (art. 18. comma 4, Cost.) è
molto più che un obbligo generico di protezione di questo diritto: fa parte integrale del suo sistema
di garanzie”.
2. SSTC 30/2011, del 16 marzo, e 32/2011, del 17 marzo
Bacini idrografici – Bacini che interessano più di una Comunità autonoma
– Statuti di Comunità autonome – Attribuzione di competenze esclusive
limitatamente ai tratti compresi nei rispettivi territori – Asserita violazione
della ripartizione delle competenze tra Stato e Comunità autonome –
Ricorsi in via principale – Illegittimità costituzionale.
Con la sentenza 30/2011, il plenum del Tribunale costituzionale ha giudicato il ricorso di
legittimità in via principale presentato dal Governo della Comunità autonoma di Estremadura nei
confronti dell‟art. 51 della legge orgánica n. 2/2007, del 19 marzo, di riforma dello Statuto di
autonomia dell‟Andalusia (d‟ora in avanti, EAAnd). L‟art. 51 EAAnd così recita: “La Comunità
autonoma dell‟Andalusia ha competenze esclusive sulle acque del bacino del Guadalquivir che
scorrono nel suo territorio e non interessano un‟altra Comunità autonoma, senza pregiudizio della
pianificazione generale del ciclo idrologico, delle norme básicas sulla tutela dell‟ambiente, delle
opere pubbliche idrauliche di interesse generale e di quanto previsto nell‟art. 149, comma 1, par. 22,
della Costituzione”.
Secondo il ricorrente, trattandosi di un bacino sopracomunitario, la norma incorrerebbe nella
violazione dell‟art. 149, comma 1, par. 22, Cost., che riserva allo Stato la competenza esclusiva in
materia di “legislazione, ordinamento e concessioni relative alle risorse ed utilità idrauliche quando
le acque scorrano attraverso più di una Comunità autonoma”.
Il Tribunale costituzionale conferma che l‟art. 51 EAAnd è illegittimo da un punto di vista
sostanziale e formale.
La STC 227/1988, del 29 novembre1 si era già pronunciata sulla costituzionalità del principio di
unità di gestione del bacino idrografico, criterio di delimitazione territoriale utilizzato dalla legge n.
29/1985, del 2 agosto, sulle acque, per precisare la portata dell‟art. 149, comma 1, par. 22, Cost. Lo
stesso criterio mantiene la vigente legge sulle acque2, che definisce il “bacino idrografico” (in
consonanza con l‟art. 2 della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23
ottobre 2000, che istituisce un quadro per l‟azione comunitaria in materia di acque, modificata dalla
direttiva 2008/32/CE, dell‟11 marzo 2008), come “il territorio nel quale scorrono tutte le acque
superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare al mare in
un‟unica foce, ad estuario o a delta”.
Ebbene, “attribuendo alla Comunità autonoma dell‟Andalusia competenze esclusive sulle acque
del bacino del Guadalquivir, che è un bacino idrografico intercomunitario, l‟art. 51 EAAnd si
diparte da quanto stabilito nell‟art. 149, comma 1, par. 22, Cost. e dal criterio che utilizza la legge
sulle acque [...] per la concretizzazione della delimitazione territoriale delle competenze dello Stato
che risulta dalla citata norma costituzionale („acque [che] scorrono in più di una Comunità
autonoma‟). E la norma statutaria lo fa utilizzando un criterio („acque del bacino del Guadalquivir
che scorrono nel suo territorio e non interessano un‟altra Comunità autonoma‟) che porta ad
intendere che accoglie un modello di gestione frammentata delle acque appartenenti ad uno stesso
bacino idrografico intercomunitario, in base al quale una parte delle acque del bacino del
Guadalquivir sarebbe di competenza esclusiva della Comunità autonoma andalusa ed un‟altra parte
delle acque dello stesso bacino intercomunitario sarebbe di competenza esclusiva dello Stato” (FJ
5).
In conformità alle SSTC 227/1988, 161/1996 e 11/1998, “nonostante il criterio del bacino
idrografico non sia l‟unica soluzione costituzionalmente possibile nel quadro dell‟art. 149, comma
1, par. 22, Cost., è d‟uopo dichiarare che non è permesso al legislatore statale concretizzare le
competenze dello Stato in questa materia mediante una frammentazione della gestione delle acque
intercomunitarie di ogni fiume e dei suoi affluenti.
“In effetti, come segnalato nella STC 227/1988, un‟interpretazione sistematica dell‟art. 149,
comma 1, par. 22, Cost. in relazione all‟art. 45, comma 2, Cost., che impone un «utilizzo razionale
delle risorse naturali», ha portato a sostenere che, «tra le diverse interpretazioni possibili delle
regole di distribuzione di competenze, questo Tribunale può patrocinare solo quelle che permettano
ragionevolmente di adempiere tale obbligo», aggiungendo che «non sembra ragionevole
frammentare il regime giuridico e l‟amministrazione delle acque di qualunque fiume e dei suoi
affluenti avendo riguardo ai confini geografici di ogni Comunità autonoma, giacché è evidente che
gli usi e lo sfruttamento realizzati nel territorio di una di esse condizionano le possibilità di utilizzo
dei flussi degli alvei, principali ed accessori, quando attraversano il territorio di altre Comunità o
approvvigionano i corsi fluviali intercomunitari», mentre, «per contro, [seguire] il criterio del
bacino idrografico come unità di gestione permette un‟amministrazione equilibrata delle risorse
idrauliche che lo integrano, avendo riguardo all‟insieme di interessi coinvolti che, quando il bacino
si estende sul territorio di più di una Comunità autonoma, sono manifestamente sopracomunitari»,
1
2
Nello stesso senso le SSTC 161/1996, del 27 ottobre, e 118/1998, del 4 giugno.
Texto refundido approvato per regio decreto legislativo n. 1/2001, del 20 luglio, riformato dalla legge n. 62/2003,
del 30 dicembre.
di modo che «è chiaro che le acque di un stesso bacino formano un insieme integrato che deve
essere gestito di forma omogenea» (STC 227/1988, FJ 15)” (FJ 6).
Infine, il plenum del Tribunale costituzionale si interroga sull‟idoneità formale di uno Statuto di
autonomia a concretizzare, rispetto ad una determinata Comunità autonoma, il criterio territoriale
usato dall‟art. 149, comma 1, par. 22, Cost., allontanandosi da esso e da quanto prescritto dal
legislatore statale.
Il plenum si pronuncia nel senso dell‟inidoneità, respingendo sia la tesi favorevole del Governo e
del Parlamento dell‟Andalusia (FJ 9), sia la tesi dell‟Avvocato dello Stato, che proponeva una
interpretazione adeguatrice della norma impugnata alla Costituzione (FFJJ 10-11): “è evidente che
con la definizione statutaria del criterio territoriale che determina la delimitazione delle competenze
affidate allo Stato ex art. 149, comma 1, par. 22, Cost., non solo si assumono competenze esorbitanti
dall‟ambito che abbiamo appena segnalato – artt. 148 e 149 Cost. a contrario sensu – ma, inoltre,
vengono meno in maniera marcata «le funzioni proprie» delle competenze statali, la cui ragione di
essere, nella logica del sistema di decentralizzazione caratteristico dello Stato autonomico, non è
altra che la garanzia dell‟unità ultima dell‟ordinamento a partire da un minimo comune
denominatore normativo, imprescindibile in quanto presupposto affinché la diversificazione
inerente al principio autonomico non si risolva in contraddizioni di principio con il fondamento
unitario dello Stato. Tale funzione integratrice ne soffrirebbe irrimediabilmente se gli Statuti di
autonomia fossero costituzionalmente atti ad imporre un criterio di delimitazione competenziale
rispetto a potestà e funzioni che, come nel caso delle acque che scorrono per il territorio di diverse
Comunità autonome, devono proiettarsi su una realtà fisica sopracomunitaria, la cui disciplina
sarebbe semplicemente impossibile se i criteri adottati negli Statuti delle Comunità autonome
interessate risultassero incompatibili o fonte di esclusione [della competenza di altre Comunità]”
(FJ 8).
Nella STC 32/2011 il Tribunale costituzionale è giunto alle stesse conclusioni. Il plenum ha
giudicato il ricorso in via principale presentato dal Governo della Comunità autonoma di
Estremadura nei confronti dell‟art. 75, comma 1, della legge orgánica n. 14/2007, del 30 novembre,
di riforma dello Statuto di autonomia di Castilla y León. La norma dichiarata illegittima stabiliva
che, “data la rilevanza che il bacino del Duero ha come elemento che configura il territorio di
Castilla y León, la Comunità autonoma assume competenze di attuazione legislativa e di esecuzione
in materia di risorse idriche e di sfruttamento delle acque del bacino del Duero che nascono in
Castilla y León e che scorrono verso il Portogallo senza attraversare nessun‟altra Comunità
autonoma”.
3. Sentenza del 28 marzo 2011
Libertà religiosa – Aconfessionalità dello Stato – Ordine degli Avvocati di
Siviglia – Patronazgo di Maria Immacolata – Asserita violazione della
libertà religiosa di un avvocato – Ricorso di amparo – Rigetto.
La sala seconda del Tribunale costituzionale si è pronunciata nel senso della legittimità dell‟art.
2, comma 3, dello Statuto dell‟Ordine degli Avvocati di Siviglia, secondo il quale “l‟Illustre Ordine
degli Avvocati di Siviglia è aconfessionale”, pur aggiungendo che, “per secolare tradizione, ha
come Patrona la Santissima Vergine Maria, nel mistero della sua Concezione Immacolata”.
La sentenza (non ancora numerata) ha giudicato il ricorso di amparo sollevato da un avvocato
sivigliano nei confronti delle sentenze e della decisione della Giunta andalusa che non avevano
accolto la sua pretesa di dichiarare illegale e contraria alla Costituzione la anzidetta norma, ritenuta
lesiva della sua libertà religiosa e contraria al principio di eguaglianza.
Per quanto riguarda la possibile violazione della libertà religiosa (art. 16 Cost.) 3, il Tribunale
costituzionale ha valutato l‟incidenza dell‟art. 2, comma 3, dello Statuto nella dimensione oggettiva
(art. 16, comma 3 Cost.) e nella dimensione soggettiva (art. 16, comma 1, Cost.) di questo diritto
fondamentale.
a) Sulla dimensione oggettiva della libertà religiosa (FJ 4)
Il primo aspetto da delucidare era se l‟Ordine degli Avvocati di Siviglia fosse costituzionalmente
obbligato alla neutralità religiosa imposta dalla Costituzione, quesito cui “doveva rispondersi
affermativamente, dato che in un sistema giuridico politico basato sul pluralismo, sulla libertà
ideologica e religiosa degli individui e sull‟aconfessionalità dello Stato, tutte le istituzioni pubbliche
devono essere ideologicamente neutrali […]. Gli Ordini professionali (Colegios Profesionales) sono
corporazioni settoriali costituite primariamente per difendere gli interessi privati dei loro membri,
ma che soddisfanno anche finalità di interesse pubblico, in ragione delle quali si configurano
legalmente come persone giuridiche pubbliche o corporazioni di diritto pubblico”.
Il secondo aspetto da valutare era se la norma statutaria controversa avesse un significato
incompatibile con il suddetto dovere di neutralità religiosa. In questo senso, il Tribunale
costituzionale ha riconosciuto che è proprio di ogni ente o istituzione adottare segni di identità che
contribuiscano a dotarli di un carattere identitario ad intra e riconoscibile ad extra (denominazione,
emblemi, scudi, bandiere, inni, lemmi ed altri di diversa indole, come i patronazgos, in origine
propri delle confessioni cristiane che credono nell‟intercessione dei Santi).
“La configurazione di questi segni di identità può ubbidire a molteplici fattori e, quando una
religione è maggioritaria in una società, i suoi simboli condividono la storia politica e culturale di
questa, per cui non pochi elementi rappresentativi degli enti territoriali, corporazioni ed istituzioni
pubbliche hanno una connotazione religiosa [...]. Di conseguenza, è ovvio che non basti constatare
l‟origine religiosa di un segno identitario per attribuirgli un significato attuale che incida sulla
neutralità religiosa che l‟art 16, comma 3, Cost. impone ai poteri pubblici. La questione si incentra
nella delucidazione, caso per caso, se, di fronte al possibile carattere polisemico di un segno di
identità, prevalga il suo significato religioso in una misura tale da permettere di inferire
ragionevolmente un‟adesione dell‟ente o istituzione ai postulati religiosi che suddetto segno
rappresenta.
“A tal fine, il […] lavoro ermeneutico [del Tribunale costituzionale] deve cominciare prendendo
in considerazione il fatto che ogni segno identitario è il risultato di una convenzione sociale e che ha
un senso attribuitogli dall‟opinione collettiva; pertanto, non è sufficiente che chi chiede la sua
3
Art. 16 Cost.: “1. È garantita la libertà ideologica, religiosa e di culto dei singoli e delle comunità senza altra
limitazione, nelle loro manifestazioni, che quelle necessarie per il mantenimento dell‟ordine pubblico garantito dalla
legge. 2. Nessuno potrà essere obbligato a dichiarare la propria ideologia, religione o convinzioni. 3. Nessuna
confessione avrà carattere statale. I pubblici poteri terranno conto delle convinzioni religiose della società spagnola e
manterranno le conseguenti relazioni di cooperazione con la Chiesa Cattolica e le altre confessioni”.
soppressione gli attribuisca un significato religioso incompatibile con l‟obbligo di neutralità
religiosa, poiché sulla valutazione individuale e soggettiva del suo significato deve prevalere quella
comunemente accettata; fare il contrario supporrebbe svuotare di contenuto il significato dei
simboli, che è sempre sociale. In questo stesso senso, la recente sentenza della Corte europea dei
diritti dell‟uomo del 18 marzo 2011, causa Lautsi ed altri c. Italia – che ha giudicato la presenza dei
crocifissi nelle scuole pubbliche italiane –, mette di rilievo che, in questo ambito, la percezione
soggettiva del reclamante non è di per sé sufficiente a caratterizzare una violazione del diritto
invocato (§ 66).
“In secondo luogo, si deve prendere in considerazione, non tanto l‟origine del segno o simbolo,
quanto la sua percezione nel tempo presente, poiché in una società in cui è avvenuto un evidente
processo di secolarizzazione è indubbio che molti simboli religiosi sono diventati, secondo il
contesto concreto del caso, prevalentemente simboli culturali, per quanto questo non escluda che
per i credenti continui ad operare il loro significato religioso [il Tribunale cita alcuni casi che esso
stesso ha giudicato, come quello sul riposo domenicale o sulla presenza di una immagine della
Vergine nello scudo di un‟università] […].
“Seguendo la suddetta sentenza della Corte EDU del 18 marzo 2011 (causa Lautsi ed altri c.
Italia, § 72) […] si deve valutare la minore potenzialità di incidere sulla neutralità religiosa dello
Stato dei simboli o degli elementi di identità essenzialmente passivi di fronte ad altre estrinsecazioni
atte a ripercuotersi sulle coscienze delle persone, quali i discorsi didattici o la partecipazione ad
attività religiose […].
“Lo scopo della norma statutaria è quello di conservare uno dei segni di identità dell‟Ordine
degli Avvocati di Siviglia; e, proprio al fine di evitare interpretazioni come quella che sostiene il
ricorrente, si sono incorporate alla norma due affermazioni che altrimenti non sarebbero state
necessarie: la dichiarazione di aconfessionalità dell‟Ordine e l‟origine del patronazgo, cioè la sua
tradizione secolare […]. Quando una tradizione religiosa è integrata nell‟insieme del tessuto sociale
di un determinato collettivo, non è possibile sostenere che attraverso essa i poteri pubblici
pretendano di trasmettere un sostegno o una adesione a postulati religiosi”.
b) Sulla dimensione soggettiva della libertà religiosa (FJ 5)
Ad avviso del ricorrente, il patronazgo dell‟Ordine degli Avvocati violava la sua libertà
individuale di non avere credenze religiose e di non doversi sottomettere a riti o culti. La semplice
nomina della Patrona supporrebbe, come minimo, l‟implorazione della sua protezione e la
sottomissione ad Essa, disciplinando qualcosa che appartiene alla sfera della più stretta intimità di
ognuno dei membri della corporazione. Tuttavia, il Tribunale costituzionale ritiene che “gli elementi
rappresentativi cui ci si riferisce, ad in particolare quelli estáticos, sono scarsamente idonei nelle
società attuali ad incidere sulla sfera soggettiva della libertà religiosa delle persone, cioè a
contribuire a che gli individui acquistino, perdano o cambino le loro eventuali credenze religiose, o
a che si esprimano o meno, oralmente o attraverso fatti, su tali credenze.
“Alla luce di tutto ciò, è necessario concordare con il ricorrente sul fatto che la sua libertà
religiosa verrebbe dimidiata se, in virtù della norma, si vedesse costretto a partecipare ad eventuali
atti in onore della Patrona dell‟Ordine degli Avvocati […]. Così come si violerebbe la dimensione
soggettiva della libertà religiosa se il patronazgo discusso incidesse in qualunque altro modo
rilevante sulla sfera intima delle credenze, dei pensieri o delle idee del ricorrente, cioè sullo spazio
di autodeterminazione intellettuale davanti al fenomeno religioso”. Ma niente di tutto ciò accade
nella concreta fattispecie.
Infine, il Tribunale costituzionale respinge anche la doglianza relativa alla violazione del
principio di eguaglianza (art. 14 Cost.), che proclama l‟uguaglianza davanti alla legge di tutte le
persone e vieta qualsiasi discriminazione in ragione (tra l‟altro) della religione, concludendo che “la
possibilità che la Corporazione assuma segni di identità, che, sprovvisti di un significato religioso
incompatibile con l‟art. 16 Cost., siano in origine propri di una confessione o di un‟altra o anche di
nessuna, deve essere deciso solo dalla Corporazione democraticamente” (FJ 6).
4. Sentenza del 28 marzo 2011
Salute – Trattamenti medici – Mancata informazione e difetto di un
consenso preventivo al trattamento da parte del paziente – Ricorso di
amparo – Asserita violazione del diritto all’integrità fisica – Accoglimento.
La sala seconda del Tribunale costituzionale ha accolto il ricorso di amparo sollevato da un
cittadino nei confronti delle sentenze di un tribunale di Bilbao, che gli avevano negato un
indennizzo per la perdita funzionale totale della mano destra come conseguenza di un cateterismo
cardiaco, posto in essere senza che egli fosse stato informato dei rischi dell‟intervento, né che
avesse avuto modo di prestare il proprio consenso. Si invocava la violazione del diritto alla tutela
giurisdizionale (art. 24, comma 1, Cost.), in relazione ai diritti all‟integrità fisica ed alla libertà (artt.
15 e 17, comma 1, Cost.).
Il fulcro del ricorso non consisteva nel verificare se sussistesse o meno il diritto all‟indennità
richiesta, ma nel determinare se il consenso informato forma parte del diritto fondamentale
all‟integrità fisica e morale di cui all‟art. 15 Cost. (FJ 3). Sebbene questa norma costituzionale non
contenga alcun riferimento al consenso informato, ciò non implica che l‟istituto sia privo di tutela
(FJ 4).
Dichiara il Tribunale nel FJ 5 della pronuncia (non ancora numerata) che “il consenso del
paziente a qualsivoglia intervento sulla sua persona è inerente, tra gli altri, al suo diritto
fondamentale all‟integrità fisica, alla facoltà che questo presuppone di impedire ogni intervento non
consentito sul proprio corpo, che non può essere limitata ingiustificatamente come conseguenza di
una situazione di malattia. Si tratta di una facoltà di autodeterminazione che legittima il paziente,
nell‟esercizio della sua autonomia della volontà, a decidere liberamente sulle misure terapeutiche e
sui trattamenti che riguardano la sua integrità […]. Orbene, affinché questa facoltà di consentire,
ovvero di decidere, sugli atti medici che interessano l‟individuo possa esercitarsi con piena libertà, è
imprescindibile che il paziente abbia un‟informazione medica adeguata sulle misure terapeutiche,
perché solo se dispone di una tale informazione potrà prestare liberamente il suo consenso,
scegliendo tra le opzioni presentate, o decidere, in piena libertà, di non autorizzare i trattamenti o gli
interventi proposti dai medici. Così, il consenso e l‟informazione si manifestano come due diritti
strettamente connessi, tanto che l‟esercizio di uno dipende dalla previa corretta attenzione all‟altra,
ragion per cui il difetto non giustificato di informazione equivale alla limitazione o privazione del
proprio diritto a decidere ed a consentire al trattamento medico, in violazione del diritto all‟integrità
fisica di cui quel consenso è manifestazione.
“L‟informazione preventiva, che ha dato luogo a ciò che è stato chiamato «consenso informato»,
può essere considerata, dunque, come un procedimento o un meccanismo di garanzia per
l‟effettività del principio di autonomia della volontà del paziente e, conseguentemente, [per
l‟effettività] delle norme costituzionali che riconoscono diritti fondamentali che possono risultare
coinvolti dai trattamenti attuazioni medici, e, segnatamente, è una conseguenza implicita ed
obbligata della garanzia del diritto all‟integrità fisica e morale, raggiungendo così una rilevanza
costituzionale la quale determina che la sua omissione o la sua difettosa realizzazione possano
supporre una lesione dello stesso diritto fondamentale.
“È in linea con la rilevanza riconosciuta all‟informazione ed al consenso preventivo alla
effettuazione di qualsivoglia trattamento medico la regolamentazione di questi aspetti, disciplinata
nel nostro ordinamento interno e contenuta, essenzialmente, nella legge n. 41/2002, del 14
novembre, legge básica regolatrice dell‟autonomia del paziente e dei diritti ed obblighi in materia di
informazione e documentazione clinica” (FJ 5).
D‟altra parte, “le ipotesi in cui possa eccettuarsi la necessità del previo consenso informato sono
eccezionali, e così è stato disposto dal legislatore, che permette ai medici di prescindere dal
consenso per effettuare gli interventi clinici indispensabili a favore della salute del paziente solo nei
casi di rischio per la salute pubblica, e «quando esiste rischio immediato e grave per l‟integrità
fisica o psichica del malato e non è possibile ottenere la sua autorizzazione». Peraltro, in questa
ultima ipotesi, se le circostanze lo permettono, devono consultarsi i parenti o le persone legate di
fatto al paziente (art. 9, comma 2, della legge n. 41/2002 e art. 8 della Convenzione europea sui
diritti dell'uomo e la biomedicina)4” (FJ 7).
Non si può ammettere in questo caso che sia sufficiente, come hanno ritenuto le pronunce
impugnate, l‟informazione data al ricorrente in occasione di un precedente cateterismo realizzato
nel 1994, né vi è alcuna argomentazione circa l‟impossibilità di ottenere il consenso informato o di
consultare i parenti o le persone legate di fatto al paziente, impossibilità che, in ogni caso, mal si
adatta alla circostanza che il ricorrente fosse nel pronto soccorso dell‟ospedale alle 14:16 del 4
settembre 2005, ed il cateterismo non gli fosse praticato fino alla mattina del giorno dopo. In
definitiva, “non basta che esista una situazione di rischio per omettere il consenso informato, ma
questo rischio deve essere qualificato dai caratteri di immediatezza e di gravità, nessuno dei quali è
stato oggetto di menzione e ancor meno, di analisi da parte degli organi giurisdizionali” (FJ 7).
4
Queste norme – e quelle di cui agli artt. 4, comma 1, 8, comma 2 e 10 della legge n. 41/2002 – riflettono una
doppia garanzia per pazienti e medico: “da un lato, quella che permette di rendere effettivo il diritto fondamentale
all‟integrità fisica del paziente rispetto ai trattamenti medici da eseguire; dall‟altro, la regolamentazione descritta offre
ai medici la garanzia che i loro trattamenti si realizzeranno entro i limiti che la protezione di quel diritto impone. Perciò,
dal punto di vista dei medici, questa regolazione non si limita ad imporre loro un insieme di doveri, ma, anche, in
positivo, appronta a loro beneficio una garanzia relativa all'esercizio della loro professione” (FJ 7).
STATI UNITI
a cura di Sarah Pasetto
1. 562 U.S. ___ (2011), del 2 marzo 2011; No. 09-751, Snyder v. Phelps et al.
Primo Emendamento – Libertà di espressione – Manifestazione in
prossimità del luogo di celebrazione di esequie – Contenuti inopportuni ed
emotivamente lesivi – Ricorso – Pretesa responsabilità civile dei
manifestanti – Esclusione.
Il Primo Emendamento esclude la responsabilità civile degli individui che manifestano
pacificamente su una questione di interesse pubblico, anche se tale manifestazione avviene in
prossimità del luogo di celebrazione delle esequie di un componente di un corpo militare, ed anche
se il contenuto delle espressioni usate nel corso della manifestazione è di carattere particolarmente
ripugnante.
Nella fattispecie, la manifestazione era stata organizzata da un gruppo di fedeli della Westboro
Baptist Church del Kansas, un gruppo religioso che da vent‟anni svolge manifestazioni in
prossimità dei funerali di militari per esprimere le proprie convinzioni, consistenti nel credo che le
morti dei soldati in guerra siano una punizione divina per la tolleranza mostrata dagli Stati Uniti nei
confronti della omosessualità, soprattutto in ambito militare, e per le condanne inflitte alla Chiesa
cattolica per gli scandali riguardanti il clero. In reazione a tali forme di protesta, circa 40 Stati
americani hanno emanato leggi per disciplinare simili manifestazioni. La manifestazione in causa è
stata organizzata in prossimità del luogo delle esequie per il soldato Snyder, caduto in guerra in
Iraq; la manifestazione è avvenuta su un terreno pubblico a circa 300 metri dalla chiesa. I
manifestanti hanno mostrato pacificamente i propri cartelli che recavano iscrizioni fortemente
provocatorie ed offensive5. Il padre del soldato, parte ricorrente dinanzi alla Corte suprema, ha visto
i cartelli mentre si recava al funerale, ma è venuto a conoscenza di quanto vi era scritto solamente
durante il telegiornale serale. Successivamente, ha intentato una causa contro i manifestanti e contro
la congregazione di Westboro, adducendo la loro responsabilità civile per l‟assoggettamento
intenzionale a sofferenza emotiva, l‟invasione della privacy (per intrusion upon seclusion), nonché
la civil conspiracy6, quest‟ultima fondata sui due torts precedenti. Una giuria ha affermato la
responsabilità civile della congregazione, riconoscendo al ricorrente cinque milioni di dollari come
risarcimento. La congregazione ha contestato il verdetto affermando che la cifra era eccessiva e che
le proprie espressioni erano protette dal Primo Emendamento. La District Court ha ridotto
l‟ammontare del risarcimento, ma, in appello, dinanzi alla Fourth Circuit Court, la sentenza è stata
annullata, in quanto le affermazioni della congregazione sono state ritenute protette dal Primo
Emendamento, riguardando esse questioni di interesse pubblico, non potendo essere dimostrate
come false ed essendo state espresse per mezzo di retorica iperbolica (nonostante il loro pessimo
gusto).
5
Ad es. “Dio odia gli omosessuali” (“God hates fags”) e, con riferimento al soldato deceduto, “Dio ti odia” e
“Andrai all‟inferno” (“God hates you”, “You’re going to hell”).
6
La conspiracy è un accordo tra due o più parti volto a privare una parte terza dei suoi diritti o volto ad ingannare
una parte terza al fine di raggiungere un obiettivo illecito.
Dinanzi alla Corte suprema, il padre del soldato ha affermato che, secondo la giurisprudenza, la
protezione della libertà di espressione non si estende ai casi in cui si oppongono due cittadini
privati, in un ambito strettamente privato, ma è circoscritta alla sola sfera pubblica.
La Corte ha affermato che, nella fattispecie, il Primo Emendamento proteggeva la congregazione
di Westboro dalla responsabilità civile. Ciò dipendeva principalmente sulla classificazione delle
espressioni de quo come espressioni di natura pubblica oppure di natura privata. Secondo la
giurisprudenza in materia della libertà di espressione, le espressioni sono da considerare di natura
pubblica se riguardano qualsiasi questione politica, sociale o di altro interesse per la comunità,
oppure quando trattano di un argomento di interesse generale e di valore ed interesse per il
pubblico. Il carattere inopportuno o controverso delle espressioni è di per sé non decisivo ai fini
della loro classificazione; per determinare la natura dell‟espressione, la Corte suprema deve dunque
valutare il contenuto, la forma ed il contesto dell‟espressione, esaminando tutti gli elementi: in
questa valutazione, nessun singolo elemento è determinante. Nella fattispecie, il contenuto era, ad
avviso della Corte, indubbiamente di natura pubblica, essendo relativo, ad esempio, al
comportamento politico e morale degli Stati Uniti ed al futuro del paese. Per quanto riguarda il
contesto, il collegamento con le esequie del soldato non era sufficiente ad alterare la natura delle
espressioni della congregazione. Né si poteva argomentare che le espressioni usate fossero un
attacco personale diretto al ricorrente: inter alia, la congregazione era già da tempo impegnata nelle
attività poste in essere durante il funerale di Snyder. Inoltre, sebbene sia stato scelto il luogo della
manifestazione per aumentare l‟attenzione mediatica nei suoi confronti, ciò non significava che
doveva ammettersi una minore protezione ai sensi del Primo Emendamento.
Il ricorrente non poteva, dunque, ottenere il risarcimento dei danni per l‟invasione della privacy,
poiché i manifestanti si erano tenuti a debita distanza dal luogo di svolgimento del funerale, e non vi
erano indicazioni che suggerissero che la manifestazione avesse interferito con le esequie stesse. Per
quanto riguarda la contestazione di civil conspiracy, il ricorrente non avrebbe potuto ottenere alcun
risarcimento poiché erano insussistenti entrambi i torts sui quali tale contestazione era stata fondata.
Il Justice Roberts ha affermato, nella opinion della Corte, che “[p]oiché questo Stato ha scelto di
proteggere anche le espressioni emotivamente lesive relative alle questioni pubbliche, per assicurare
che il discorso su tali questioni non venga soffocato, Westboro deve essere protetta, in questo caso,
dalla responsabilità civile”.