ebbrezza: si alla confisca ex art. 213
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ebbrezza: si alla confisca ex art. 213
Guida in stato di ebbrezza – Accertamento – Modalità. Lo stato di ebbrezza del conducente di veicoli può essere accertato e provato con qualsiasi mezzo, e non necessariamente, né unicamente, attraverso la strumentazione e la procedura indicate nell’art. 379 del regolamento di attuazione ed esecuzione del codice della strada. Ed invero, per l’assenza di prove legali e per la necessità che la prova non dipenda dalla discrezionale volontà della parte interessata, il giudice può desumere lo stato di alterazione psicofisica derivante dall’influenza dell’alcool, da qualsiasi elemento sintomatico dell’ebbrezza o dell’ubriachezza (tra cui l’ammissione del conducente, l’alterazione della deambulazione, la difficoltà di movimento, l’eloquio sconnesso, l’alito vinoso e così via), e può anche disattendere l’esito fornito dall’etilometro, ancorché risultante da due determinazioni del tasso alcolemico concordanti ed effettuate ad intervallo di cinque minuti, sempre che del suo convincimento fornisca una motivazione logica ed esauriente. (Cass. Pen. Sez. IV, 29 luglio 2004, n. 32961) EBBREZZA: SI ALLA CONFISCA EX ART. 213 CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza n. 345 del 19/10/2007 (Presidente Franco Bile; Estensore Alfonso Quaranta) nei giudizi di legittimita’ costituzionale dell'art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall'art. 5bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalita’ di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promossi con ordinanze del 5 gennaio 2006 dal Giudice di pace di Aosta, del 2 maggio 2006 dal Giudice di pace di Urbino, del 6 giugno 2006 dal Giudice di pace di Trento, del 22 maggio 2006 dal Giudice di pace di Padova e del 26 ottobre 2006 dal Giudice di pace di Belluno, rispettivamente iscritte ai nn. 152, 320, 687 e 697 del registro ordinanze 2006 e al n. 270 del registro ordinanze del 2007 e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 21 e 38, prima serie speciale, dell'anno 2006 e nn. 6 e 7, prima serie speciale, dell'anno 2007. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2007 il Giudice relatore Alfonso Quaranta. Ritenuto in fatto 1.? I Giudici di pace di Aosta (r.o. n. 152 del 2006), Urbino (r.o. n. 320 del 2006), Trento (r.o. n. 687 del 2006), Padova (r.o. n. 697 del 2006) e Belluno (r.o. n. 270 del 2007) hanno sollevato questione di legittimita’ costituzionale – in riferimento all'art. 3 della Costituzione – dell'art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalita’ di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui dispone la confisca di ciclomotori o di motoveicoli nei casi in cui siano stati adoperati per commettere un reato. In particolare, il Giudice di pace di ? 1.1. Aosta premette di dover giudicare, in sede civile, ai sensi dell'art. 22-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), di un provvedimento di sequestro adottato dall'autorita’ amministrativa a seguito della contestazione dell'infrazione prevista e punita dall'art. 186, comma 2, del codice della strada. Evidenzia, pertanto, che in forza di quanto previsto dal citato art. 213, comma 2-sexies, e’ sempre disposta la confisca in tutti i casi in cui il ciclomotore o il motoveicolo siano stati adoperati per commettere una delle violazioni amministrative di cui agli articoli 169, commi 2 e 7, 170 e 171 o per commettere un reato. Tale disposizione, tuttavia, darebbe luogo ad una «evidente disparita’ di trattamento nei confronti dei cittadini che commettono lo stesso reato», e che quindi «si trovano in una situazione identica», atteso che la guida in stato di ebbrezza comporta la sanzione accessoria della confisca del mezzo solo per i motociclisti, mentre per gli automobilisti determina quella, meno afflittiva, della sospensione della patente. Ne’, d'altra parte, conclude il rimettente, si comprende quali possano essere i «ragionevoli motivi» idonei a giustificare tale trattamento differenziato. Analogamente, il Giudice di pace di ? 1.2. Urbino – investito dell'opposizione proposta avverso il provvedimento con il quale e’ stato disposto il sequestro di un motociclo, essendo stata contestata la violazione dell'art. 186, comma 2, del codice della strada – reputa il predetto art. 213, comma 2sexies, in contrasto con l'art. 3 Cost., «per aperta violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalita’ della sanzione», oltre che per la disparita’ di trattamento tra le violazioni commesse dai conducenti di ciclomotori o motocicli e dai conducenti di autoveicoli. Difatti il rimettente, consapevole che lo scrutinio di costituzionalita’ sulle scelte sanzionatorie compiute dal legislatore e’ possibile solo quando l'opzione normativa contrasti in modo manifesto con il canone della ragionevolezza (richiama, sul punto, le pronunce della Corte costituzionale n. 144 del 2001, n. 58 del 1999, n. 297 del 1998, n. 313 del 1995), reputa che tale eve nienza ricorra nel caso di specie, giacche’ la norma in esame costituirebbe espressione di un uso distorto della discrezionalita’, non essendosi il legislatore conformato all'auspicio, espresso dalla giurisprudenza costituzionale, circa la necessita’ di «rimodellare il sistema della confisca stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l'applicazione giudiziale della sanzione amministrativa accessoria produca disparita’ di trattamento» (sentenze n. 435 e n. 349 del 1997). 1.3.— Anche il Gi udice di pace di Trento ipotizza l'illegittimita’ costituzionale della norma suddetta, della quale chiede la caducazione «nella parte in cui dispone la confisca del motoveicolo nei casi in cui questo sia stato adoperato per commettere un reato». Nel premettere di dover giudicare dell'opposizione ex artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981, proposta avverso un verbale di sequestro di motoveicolo emesso a seguito dell'accertamento dell'infrazione consistente nella guida in stato di ebbrezza, il giudice a quo evidenzia che la norma censurata, nel regolare «in termini radicalmente divergenti la situazione del proprietario del motoveicolo rispetto a quella del proprietario di qualsiasi altro veicolo», realizza una «diversificazione del trattamento sanzionatorio nei confronti di comportamenti antigiuridici esattamente identici», violando in tal modo «il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge». Pertanto, pur dicendosi «consapevole che la norma censurata trae origine dalla gravita’ del fenomeno da sanzionare», che esige «un'azione di prevenzione diretta a ridurre sensibilmente il numero dei reati commessi con l'uso di motoveicoli», reputa che la denunciata disparita’ di trattamento ponga tale disposizione in contrasto con l'art. 3 Cost. 1.4.— Il Giudice di pace di Padova deduce l'incostituzionalita’, sempre in riferimento all'art. 3 Cost., del predetto art. 213, comma 2-sexies, «nella parte in cui prevede la sanzione accessoria della confisca obbligatoria del ciclomotore o motoveicolo», nel caso in cui gli stessi siano utilizzati per commettere tanto le infrazioni amministrative previste dagli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada, quanto un reato («nella specie guida in stato di ebbrezza»). Difatti, la norma nel prevede re «la confisca obbligatoria del “mezzo”» solo nel caso di ciclomotori o motocicli, «crea una disparita’ di trattamento tra cittadini, a fronte di violazioni identiche e condotte analoghe», come, nella specie, la «guida in stato di ebbrezza». 1.5.— Infine, anche il Giudice di pace di Belluno – dopo aver premesso di essere investito di un'«opposizione ad ordinanza ingiunzione» ai sensi della legge n. 689 del 1981 – ha chiesto dichiararsi l'illegittimita’ costituzionale della norma suddetta, in ragione del fatto che essa da’ luogo «ad una disciplina difforme di fronte ad identici comportamenti», a seconda che la violazioni contemplate nel testo del medesimo art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada vengano commesse da chi guidi un ciclomotore, un motociclo o (come nel caso sottoposto al suo esame) un quadriciclo, ovvero da «un'automobile o un mezzo piu’ pesante». Orbene, osserva il rimettente, individuata la ratio della norma nella necessita’ di «punire severamente chi utilizza un ciclomotore o un motociclo per commettere un reato, risulta difficilmente comprensibile la ragione per cui il legislatore abbia ritenuto meno grave un comportamento tenuto, invece, da un automobilista o un camionista», anche in considerazione dei «ben maggiori danni che potrebbero causare», donde l'ipotizzato contrasto con l'art. 3 della Carta fondamentale. 2.— E’ intervenuto in ciascuno dei giudizi – salvo quello originato dall'ordinanza di rimessione del Giudice di pace di Aosta – il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. La difesa erariale – sul presupposto che il testo della norma censurata risulta modificato dall'art. 2, comma 169, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), nel testo modificato dalla relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286 – ha chiesto, in via preliminare, alla Corte costituzionale di disporre la restituzione degli atti ai giudici rimettenti «onde consentire una nuova valutazione della rilevanza della questione alla luce dei sopravenuti mutamenti del quadro normativo». In subordine, quanto alla dedotta «manifesta irragionevolezza» della norma censurata, giacche’ essa realizzerebbe una «ingiustificata disparita’ di trattamento rispetto a situazioni analoghe piu’ gravi», l'Avvocatura dello Stato rileva che «la scelta di sanzionare in modo diverso una condotta di guida a secondo del tipo di veicolo guidato non e’ di per se’ irragionevole», rispondendo oltretutto, nella specie, all'esigenza di contenere gli infortuni verificabili con l'uso di motocicli o ciclomotori, in quanto veicoli «dotati evidentemente di minore stabilita’ e con maggiore difficolta’ di controllo». Considerato in diritto 1.— I Giudici di pace di Aosta (r.o. n. 152 del 2006), Urbino (r.o. n. 320 del 2006), Trento (r.o. n. 687 del 2006), Padova (r.o. n. 697 del 2006) e Belluno (r.o. n. 270 del 2007) hanno sollevato questione di legittimita’ costituzionale – in riferimento all'art. 3 della Costituzione – dell'art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalita’ di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui dispone la confisca di ciclomotori e motoveicoli nei casi in cui tali mezzi si ano stati adoperati per commettere un reato. I rimettenti – investiti dell'opposizione proposta avverso provvedimenti di sequestro dei suddetti veicoli, tutti adottati, in vista della successiva confisca, in relazione alla contestata violazione dell'art. 186 del codice della strada – lamentano l'assoggettamento di motoveicoli e ciclomotori, in forza del censurato art. 213, comma 2-sexies, del codice, ad un trattamento irragionevolmente piu’ grave di quello previsto per gli altri veicoli, per i quali la confisca non e’ invece stabilita. 2.— In via preliminare, deve esser disposta la riunione dei diversi giudizi, ai fini di un'unica pronuncia, in ragione della identita’ delle questioni rimesse all'esame di questa Corte. 3.— Prima di affrontare il merito, occorre esaminare le modificazioni legislative che, successivamente alla pronuncia delle ordinanze di rimessione, hanno interessato sia la disposizione censurata che il contesto normativo in cui essa risulta inserita, e cio’ al fine di verificarne l'eventuale incidenza sul presente giudizio. Difatti, dopo che i giudici a quibus hanno sollevato l'indicata questione di costituzionalita’, il testo dell'art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada e’ stato modificato dall'art. 2, comma 169, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286. Tuttavia, anche nella sua attuale formulazione, la norma suddetta continua a prevedere l'applicazione della sanzione accessoria della confisca dei (soli) ciclomotori e motoveicoli nel caso in cui gli stessi siano adoperati per commettere un reato, giacche’ il citato ius superveniens ha unicamente eliminato la previsione dell'applicazione della sanzione nelle ipotesi di violazioni amministrative di cui agli articoli 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada (si tratta delle norme che disciplinano il trasporto, rispettivamente, «di persone, animali e oggetti sui veicoli a motore», quello «di persone e di oggetti sui veicoli a motore a due ruote», nonche’ l'uso «del casco protettivo per gli utenti di veicoli a due ruote»). Orbene, le fattispecie oggetto dei giudizi principali concernono, invece, proprio la commissione di un reato (segnatamente quello di guida in stato di ebbrezza di cui all'art. 186 del codice della strada), sicche’ risulta evidente come il citato ius superveniens non possa avere alcuna influenza sull'esito di detti giudizi. Analogamente, priva di effetti rispetto ad essi si presenta la successiva modifica apportata, al testo dell'art. 186 del codice dalla strada, dall'art. 5 del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117 (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza ne lla circolazione), convertito con modificazioni dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160. Ed invero, sebbene esso abbia introdotto nel citato art. 186 il comma 2-bis, che ha previsto l'applicazione del «fermo amministrativo del veicolo per novanta giorni» nel solo caso in cui «il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale», la circostanza che in nessuna delle fattispecie oggetto dei giudizi a quibus venga in rilievo l'ipotesi contemplata dalla nuova disposizione – quella, cioe’, di un sinistro stradale quale conseguenza della violazione dell'art. 186 del codice della strada – esclude, per definizione, la rilevanza anche di detto ius superveniens nei giudizi principali, con cio’ rendendo superfluo stabilire, nel caso di specie, quali siano i rapporti intercorrenti tra la nuova norma ed il censurato art. 213, comma 2-sexies. 4.— Esclusa, dunque, la necessita’ di restituire gli atti ai giudici rimettenti, la questione di costituzionalita’ dagli stessi sollevata deve ritenersi non fondata. 5.— Premessa, invero, l'ampia discrezionalita’ nella individuazione delle sanzioni, atteso che «la valutazione della congruita’ della sanzione appartiene alla discrezionalita’ del legislatore, con il solo limite della manifesta irragionevolezza» (cosi’, da ultimo, con riferimento proprio alla disciplina della circolazione stradale, l'ordinanza n. 246 del 2007), il solo scrutinio che, anche nella presente ipotesi, questa Corte e’ legittimata a svolgere consiste nel verificare se la scelta legislativa, in se’ considerata, presenti quel palese difetto di ragionevolezza che giustifichi la declaratoria di illegittimita’ costituzionale. Orbene, proprio alla stregua di una valutazione che investa, innanzitutto, la sua ragionevolezza intrinseca (e dunque la coerenza tra il contenuto della norma e la finalita’ perseguita attraverso la sua previsione), la disposizione in esame si presenta immune dal denunciato vizio di costituzionalita’. Deve ritenersi, infatti, non irragionevole la scelta del legislatore di prevedere una piu’ intensa risposta punitiva, allorche’ un reato sia commesso mediante l'uso di ciclomotori o motoveicoli, con riferimento all'adozione di una sanzione accessoria, qual e’ la confisca, idonea a scongiurare la reiterata utilizzazione illecita del mezzo, specie quando (come avviene proprio nel caso contemplato dall'art. 186 del codice della strada, cui si riferiscono le fattispecie oggetto dei giudizi a quibus) sussiste un rapporto di necessaria strumentalita’ tra l'impiego del veicolo e la consumazione del reato. Ne’, d'altro canto, la profilata disparita’ di trattamento tra utenti della strada (atteso che l'operativita’ della confisca e’ stata limitata ad una sola categoria di veicoli e non e’ stata invece prevista a carico dei conducenti degli altri mezzi) potrebbe comunque comportare l'adozione della richiesta pronuncia caducatoria. A parte, infatti, il rilievo che tale disparita’ non e’ neppure assoluta, come paiono invece ritenere i rimettenti (i quali mostrano di ignorare che per tutte le tipologie di veicoli, sempre adoperati per commettere un reato, l'applicazione della confisca – sebbene essa, in tal caso, operi solo facoltativamente ed alla stregua non di una sanzione accessoria, bensi’ di una misura di sicurezza reale – potrebbe comunque avvenire ai sensi dell'art. 240 del codice penale), dirimente e’ la constatazione che ogni iniziativa volta a superare questo trattamento differenziato non potrebbe che spettare al legislatore. E’ principio ormai consolidato nella giurisprude nza di questa Corte quello secondo cui «rimodellare il sistema della confisca, stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l'applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparita’ di trattamento» costituisce un intervento «riservato alla discrezionalita’ legislativa» (sentenza n. 435 del 1997). per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale dell'art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalita’ di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dai Giudici di pace di Aosta, Urbino, Trento, Padova e Belluno con le ordinanze in epigrafe. Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 ottobre 2007. F.to: Franco BILE, Presidente Alfonso QUARANTA, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 19 ottobre 2007. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA Non e’ fondata la questione di legittimita’ costituzionale dell'art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall'art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalita’ di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada). La questione di costituzionalita’ era stata sollevata in relazione alla possibilita’ di disporre la confisca di ciclomotori o di motoveicoli nei casi in cui siano stati adoperati per commettere un reato. La disposizione e’ stata pero’ ritenuta immune dal denunciato vizio di costituzionalita’ dalla Corte, che ha considerato non irragionevole la scelta del legislatore di prevedere una piu’ intensa risposta punitiva, allorche’ un reato sia commesso mediante l'uso di ciclomotori o motoveicoli, con riferimento all'adozione di una sanzione accessoria, qual e’ la confisca, idonea a scongiurare la reiterata utilizzazione illecita del mezzo, specie quando sussiste un rapporto di necessaria strumentalita’ tra l'impiego del veicolo e la consumazione del reato. La Corte ha poi sottolineato che e’ principio ormai consolidato quello secondo cui «rimodellare il sistema della confisca, stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l'applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparita’ di trattamento» costituisce un intervento «riservato alla discrezionalita’ legislativa» Si all’utilizzo del prelievo per finalita’ terapeutiche Cass. pen. Sez. IV, (ud. 21-09-2007) 18-10-2007, n. 38537 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZI ONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg. ri Magistrati: Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente Dott. VISCONTI Sergio - Consigliere Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere Dott. FOTI Giacomo - Consigliere Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1) S.S., N. IL (OMISSIS); avverso SENTENZA del 18/01/2005 TRIBUNALE di FERRARA; visti gli atti, la sentenza ed il ricorso; udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. VISCONTI SERGIO; Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DE SANDRO Anna Maria, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. Fatto - Diritto P.Q.M. Svolgimento del processo - Motivi della decisione S.S., a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa in data 18.1.2005 dal Giudice monocratico del Tribunale di Ferrara, che lo aveva dichiarato colpevole del reato di guida in stato di ebbrezza (art. 186 C.d.S., comma 2), commesso il (OMISSIS), e lo aveva condannato alla pena di Euro 1.000,00, di ammenda, oltre statuizioni accessorie. Il ricorrente ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata per tre motivi. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto l'inosservanza di norme procedurali per essersi proceduto al prelievo del sangue, dal quale era risultato un tasso alcolico di 1,35 g/1, senza il suo consenso, e per non essere stato dato avviso all'interessato che al prelievo ed alle attività successive poteva assistere il suo difensore. Con il secondo motivo di gravame, il ricorrente ha eccepito la mancanza ed illogicità della motivazione per non essere stata giudicata credibile la sua tesi di avere bevuto solo una birra. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente ha assunto che il reato era prescritto al momento dell'emissione della sentenza impugnata, applicandosi il termine biennale di cui all'art. 157 c.p., n. 6. Il ricorso è palesemente infondato, contiene censure di merito e va dichiarato inammissibile. In ordine al primo motivo di impugnazione va ricordata la giurisprudenza costante di legittimità, secondo la quale "lo stato di ebbrezza del conducente di veicoli può essere accettato e provato con qualsiasi mezzo, e non necessariamente, nè unicamente, attraverso la strumentazione e la procedura indicate nell'art. 379 reg. att. esec. C.d.S." (Cass. sezioni unite 27,9,1995 n, 1299; tra le conformi più recenti Cass. sez. IV 4.5.2004 n. 39057). Pertanto, alternativo all'analisi dell'aria alveolare espirata ben può essere il risultato di analisi eseguite a seguito di prelievo ematico, qualora il giudice di merito, con motivazione congrua e logica, ritenga attendibili le risultanze di tale accertamento. La questione oggetto del ricorso riguarda l'utilizzabilità del prelievo ematico effettuato a S.S. in Ospedale a seguito dell'incidente stradale avuto alla guida dell'autovettura da lui condotta, e ben descritto nella sentenza impugnata (tamponamento di altra autovettura che veniva scaraventata in un fossato). Dalla sentenza impugnata risulta pacifico che l'imputato sia stato ricoverato in Ospedale, dove era stato trasportato in autoambulanza non per accertarsi il suo stato di ebbrezza, ma per curare le lesioni riportate a seguito del sinistro, ed in tale vicenda terapeutica si sia ravvisata la necessità di procedere ad esami ematici, mediante (ovviamente) prelievo del sangue, pur in assenza del consenso dell'interessato. Da tali esami è risultato un tasso di etanolo pari a 1,35 g/1. Così ricostruita la vicenda di fatto, le conclusioni in diritto - ad avviso del Collegio - non si possono discostare da quelle della giurisprudenza di legittimità in materia. Infatti, con le sentenze dì questa Corte n. 4862 del 9.12.2003 e n. 37442 del 12.6.2003 è stato condivisibilmente ritenuto che i risultati del prelievo ematico che sia stato effettuato, secondo i normali protocolli medici di pronto soccorso, durante il ricovero presso una struttura ospedaliera pubblica a seguito di un incidente stradale, sono utilizzabili per l'accertamento del reato contravvenzionale di guida in stato di ebbrezza, trattandosi di elementi di prova acquisiti attraverso la documentazione medica, e restando irrilevante, al fine dell'utilizzabilità processuale, la mancanza del consenso. Al contrario, il prelievo ematico effettuato in assenza di consenso e non nell'ambito di un protocollo medico di pronto soccorso, e dunque non reso necessario ai fini sanitari, è inutilizzabile ex art. 191 c.p.p., per violazione dell'art. 13 Cost., il quale tutela l'inviolabilità della persona. Ne consegue che è diritto dell'imputato rifiutare di sottoporsi ad un prelievo ematico unicamente per accertare lo stato di ebbrezza, in quanto si tratta di un esame invasivo, con violazione dei diritti della persona, e, pur se minimamente, anche pericoloso nell'ipotesi di impiego di strumenti non adeguatamente sterilizzati, ma qualora il prelievo sia stato eseguito nell'ambito di una fase terapeutica ovvero per immediati accertamenti di pronto soccorso, deve ritenersi che il prelievo ematico è stato necessitato da una tutela della persona, per cui l'indagine sull'accertamento di un reato non è sicuramente lo scopo a cui mira il prelievo, e, come tale, nessun abuso sulla persona dell'imputato può ritenersi consumato.Tale ultima situazione si identifica nella fattispecie, in cui l'esame ematico è stato compiuto secondo gli usuali protocolli di pronto soccorso presso la struttura ospedaliera dove il S. era stato portato a seguito del suddescritto incidente stradale. In ordine all'altro motivo processuale di ricorso si osserva che, come ha costantemente ritenuto questa Corte, in occasione dell'effettuazione dell'"alcooltest", il mancato avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, in violazione dell'art. 114 disp. att. c.p.p., dà luogo ad una nullità di natura "intermedia", che deve ritenersi sanata se non dedotta prima ovvero immediatamente dopo il compimento dell'atto, ai sensi dell'art. 182 C.d.S., comma 2, senza attendere il compimento di un successivo atto del procedimento (Cass. 18.9.2006 n. 2584 riv. 236007; conformi Cass. n. 37447/2004; Cass. n. 18610/2004). Nella specie, non risulta che tale eccezione sia stata proposta, nulla rilevandosi dalla sentenza impugnata. In ordine al secondo motivo di gravame si osserva che, come è noto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè costantemente, che "l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali" (Cass. 24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999; n. 6402/1997).Più pecificamente "esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una di versa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Cass. sezioni unite 30.4.1997, Dessimonè). Il riferimento dell'art. 606 c.p.p., lett. e), alla "mancanza o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato" significa in modo assolutamente inequivocabile che in Cassazione non si svolge un terzo grado di merito, e che il sindacato di legittimità è limitato alla valutazione del testo impugnato. Nella specie, la sentenza impugnata è congruamente e logicamente motivata nel ritenere la responsabilità dell'imputato in base ai valori evidenziati dall'esame ematico, ed essendo stata giudicata, con motivazione non solo logica e congrua, ma addirittura convincente, non credibile la tesi difensiva, sia perchè non è normale che persona trasportata al Pronto Soccorso dell'Ospedale dopo un grave incidente si fermi a mangiare un panino e una birra, sia perchè l'assunzione di una sola bottiglia di birra non avrebbe provocato un tasso alcolico così elevato. Il terzo motivo di ricorso è, poi palesemente infondato e va dichiarato inammissibile. Come è ormai giurisprudenza consolidata, le sanzioni della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità costituiscono pene detentive, in quanto la D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 58, comma 1, espressamente dispone che "per ogni effetto giuridico la pena dell'obbligo di permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella originaria", indicando poi ai commi successivi i criteri di ragguaglio. La previsione di valutare come detentive le nuove pene contenute nel decreto sulla competenza del giudice di pace è, pertanto, espressamente contemplata dalla legge, pur con la valutazione della loro evidente minore afflittività rispetto alla reclusione ed all'arresto. Inoltre, la tesi, secondo la quale le uniche pene detentive esistenti possano essere solo quelle previste dal codice penale, è smentita dalla stessa indicazione di altre pene diverse proprio nel D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274. Nè si intravede la volontà legislativa di costituire un tertium genus sanzionatorio (da alcuni definito in modo non comprensibile come "pene paradetentive"), ma piuttosto quello di prevedere, per alcuni reati di minore allarme sociale, non solo le pene pecuniarie, che non costituiscono sempre un efficace deterrente soprattutto per gli imputati più abbienti, ma anche altre di tipo detentivo, seppure non della gravità affittiva della reclusione e dell'arresto, sottraendo peraltro lo Stato all'anticipo delle spese di mantenimento e favorendo il reinserimento del condannato. Pertanto, l'introduzione di nuove pene, con il D.Lgs. succitato, ha indubbiamente innovato il sistema sanzionatorio "bloccato" del codice penale vigente (art. 17 e segg.), proprio con particolare riguardo a quelle pene che privano il condannato delle libertà personale. In particolare, l'obbligo di permanenza domiciliare costituisce - oltre che per l'espressa previsione del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 58, senza dubbio una pena detentiva nel senso dianzi ricordato, per il requisito della perdita della libertà personale, che caratterizza proprio le pene detentive. Nè la circostanza che non abbia il carattere di continuità temporale la rende dissimile dagli arresti domiciliari, che, per coloro che li hanno subiti come misura cautelare, vengono valutati al fine di determinare la residua pena da scontare (art. 284 c.p.p., comma 5, in relazione all'art. 137 c.p.). Ne consegue che sicuramente la prescrizione non si è verificata prima dell'emissione della sentenza impugnata. Rilevato che il reato di guida in stato di ebbrezza (art. 186 C.d.S., comma 2) è punito attualmente, a norma del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 52, comma 2, lett. c), con le pene detentive della permanenza domiciliare ovvero del lavoro di pubblica utilità alternative a quella pecuniaria dell'ammenda, resta immutato il termine prescrizionale di tre anni, previsto dall'art. 157 c.p., comma 1, n. 5, (Cass. n. 18640 del 2004;Cass. n. 29931, 9294, 9283, 9270 e 7307 del 2003), elevato a quattro anni e mezzo per effetti di atti interruttivi ex art. 160 c.p., quali il decreto penale opposto e quello di citazione a giudizio. Essendo il reato stato commesso il 6.1.2001, alla data di emissione della sentenza di primo grado del 18.1.2005 non si è verificata prescrizione alcuna. Va ora verificato se il reato possa ritenersi prescritto alla data di emissione della presente sentenza. Essendo stato commesso il reato di guida in stato di ebbrezza il 6.1.2001 ed essendo quindi trascorsi oltre quattro anni e mezzo dal fatto, la determinazione della rilevanza del termine al fine di verificare l'estinzione del reato per prescrizione dipende dalla valutazione dell'infondatezza del ricorso, e se cioè pur escludendosi le ipotesi di cui al dell'art. 591 c.p.p., comma 1, il ricorso debba ritenersi palesemente infondato, e, pertanto, inammissibile, ovvero meramente infondato. In ordine a tale valutazione non si può prescindere dalla valutazione che i motivi di ricorso hanno sollevato questioni sulle quali la giurisprudenza di legittimità si è molte volte pronunciata e da tempo in modo costante in senso contrario alle varie tesi difensive, sicchè il ricorso è palesemente infondato, e va, pertanto, dichiarato inammissibile. Come è stato affermato dalla sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite n. 32 del 22.11.2000, l'inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., tra cui la prescrizione del reato, maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (conforme Cass. 12.11.1999 n. 14013). Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità. P.Q.M. La Corte: Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende. Così deciso i n Roma, il 21 settembre 2007. Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2007 GUIDA IN STATO DI EBREZZA: LE ANALISI FATTE IN OSPEDALE UTILIZZABILI ANCHE SENZA IL CONSENSO. CASSAZIONE PENALE SEZ QUARTA 25 GEN 2006 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BATTISTI Mariano Presidente Dott. MARINI Lionello rel. Consigliere Dott. DE GRAZIA Benito Romano Consigliere Dott. CAMPANATO Graziana Consigliere Dott. MARZANO Francesco - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da N.S., avverso la sentenza emessa il 5/2/2003 dal Giudice di Pace di Alessandria; Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il procedimento; Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal Consigliere Dott. Leonello Marini; Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mario Fratcelli, il quale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con sentenza emessa il 5 febbraio 2003 il Giudice di Pace di Alessandria ha dichiarato N.S. responsabile del reato di guida in stato di ebbrezza di un autoveicolo, commesso il 30 giugno 2002 e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di Euro 1500,00 di ammenda , con applicazione della sanzione accessoria amministrativa della sospensione della patente di guida. Ricorre per cassazione, a mezzo del difensore, il N. deducendo, con un primo motivo, la violazione del D.Lgs. n.285 del 1992, art.186, e del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 739. Il ricorrente, premesso che la norma del D.Lgs. n.285 del 1992, art. 186, pur dotando gli agenti di polizia di un'espressa facoltà di utilizzo del dispositivo tecnico dell'etilometro, non permette agli stessi di invadere coattivamente la sfera personale del soggetto con metodi di tipo invasivo (quale è il prelievo ematico) consentiti soltanto previa prestazione del consenso da parte dell'interessato, e richiamando al riguardo la sentenza della Corte Costituzionale 9 luglio 1996, n. 238, la quale ha affermato che "il prelievo ematico comporta certamente una restrizione della libertà personale quando la persona sottoposta all'esame non acconsente spontaneamente al prelievo, e ciò in quanto, seppur in minima misura, invade la sfera corporale della persona e di quella sfera sottrae, per fini di acquisizione probatoria nel processo penale, una parte che è, sì, insignificante, ma non certo nulla". Poichè - osserva il ricorrente - nel caso di specie il N., trovato in stato di incoscienza a seguito dell'incidente stradale nel quale (alla guida della propria autovettura la quale aveva colliso contro un veicolo in sosta sulla pubblica via) era stato coinvolto, non era certamente in grado di esprimere (nè aveva espresso) il proprio consenso al prelievo ematico, gli agenti di polizia stradale non avrebbero potuto richiedere il prelievo del sangue al fine di provare lo stato di ebbrezza, nè il giudice avrebbe potuto, disattendendo l'eccezione proposta dal difensore, acquisire al fasci colo del dibattimento il certificato medico dell'Ospedale di Alessandria del 30 giugno 2002, contenente le analisi del sangue effettuate sulla persona di N.S. dal personale ospedaliero "esclusivamente per motivi clinici e per gli eventuali interventi che sarebbero occorsi per curare le lesioni patite dal soggetto nell'incidente stradale occorsogli, ma non certo in seguito ad una richiesta specifica degli agenti di polizia stradale". Donde la inutilizzabilità del suddetto certificato, viceversa utilizzato da l giudice quale presunzione legale dello stato di ebbrezza dell'imputato. Con un secondo motivo il ricorrente deduce la "omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione sulla prova della colpevolezza dell'imputato, nonchè violazione dell'art. 192 c.p.p." sul riflesso che l'affermazione di responsabilità è stata fondata esclusivamente sulle risultanze del citato, inutilizzabile, certificato ospedaliero, salvo un, non esplicitato, richiamo alla condotta di guida del N.S. ed un altro richiamo alle affermazioni dell'unico teste escusso (l'agente di polizia municipale intervenuto, nonchè redattore del verbale di incidente, P.A.), da ritenersi inidonee a provare la responsabilità dell'imputato per il reato a lui ascritto, in quanto espressione di un mero giudizio personale del teste, sì da fornire tutt'al più un indizio, l'unico nel caso concreto, del presunto stato di ebbrezza del conducente, in un contesto nel quale la giurisprudenza di legittimità, pur ammettendo la idoneità ai fini di vari elementi indizianti, anche diversi dall'accertamento effettuato con l'etilometro, ritiene, tuttavia, che sia insufficiente - al fine suddetto, un solo elemento, per di più del tutto personale e non ben definito, quale l'affermazione "emanava alito vinoso", occorrendo invece vari dati sintomatici dimostrativi, in modo in equivoco, dello stato di ebbrezza (ciò in armonia con il disposto dell'art. 192 c.p.p. in tema di valutazione della prova). I suddetti motivi, per quanto bene articolati e per quanto in gran parte condivisibili in ordine alle affermazioni in linea di diritto in essi contenuti, non sono fondati alla luce delle concrete connotazioni del fatto così come prospettate nello stesso ricorso e nella sentenza impugnata, nonchè alla luce della motivazione di quest'ultima. Va in primis rilevato, infatti, che l'affermazione della responsabilità del N. per il reato di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2, è stata (assai succintamente, ma chiaramente) motivata sulla base di tre risultanze sinergicamente convergenti: 1) La dichiarazione del teste P., di aver percepito che il N., il quale dopo l'incidente aveva perduto i sensi, "emanava alito vinoso"; 2) L'accertata condotta di guida dell'imputato, la quale - a differenza di quanto il ricorrente afferma - non è rimasta affatto non esplicitata dal giudice, atteso che nella parte iniziale della motivazione si legge che il N., "alla guida di un veicolo Renault, perdeva il controllo del mezzo venendo a collidere con un'auto in sosta"; 3) Il valore di etanolo in circolo nel sangue del N. accertato presso il laboratorio di analisi dell'Ospedale di Alessandria, nel quale costui era stato ricoverato in conseguenza dell'incidente stradale. Orbene - a prescindere, per il momento, dalla risultanza sopra indicata sub 3) - appare evidente che già quelle sole indicate sub 1) e sub 2) convergono in senso dimostrativo dello stato di ebbrezza del conducente, e va al riguardo osservato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, la prova dello stato di ebbrezza del conducente può essere tratta - in assenza, nel processo penale, della previsione "di prove legali" e valendo, in detto processo, il principio del libero convincimento del giudice -, dalla valutazione di tutti i dati disponibili, ed in particolare di una serie di elementi sintomatici, nel novero dei quali rientra indubbiamente anche quello rappresentato da un'anomala condotta di guida (non diversamente giustificata) alla quale fa esplicito richiamo l'art. 379 Reg., comma 3, laddove si precisa che "resta fermo, in ogni caso, il compito dei verbalizzanti di indicare ... le circostanze sintomatiche dell'esistenza dello stato di ebbrezza, desumibili, in particolare, dallo stato del soggetto e dalla condotta di guida; così come vi rientra la percezione, da parte di testimoni, del cosiddetto "alito vinoso" (Cass. Sez. 4^ 15/11/1994, n. 3829, Malacrino'; Cass. Sez. 5^ 1/2/1995, n. 2499, Corradini; Cass. Sez. 4^ 28/3/1995, n. 5296, Pisaniello; Cass. Sez. Un. 27/9/1995, n. 1299, Cirigliano; Cass. Sez. 6^ 27/1/2000, n. 2644, Calderas; Cass. Sez. 4^ 2/4/2000, n. 25306, Ottolini; Cass. Sez. 4^ 9/6/2004, n. 32961, P.M. in proc. Massacesi), dovendosi inoltre rilevare, in ordine a tale elemento, che la percezione, da parte del testimone, di un alito fortemente alcolico emanato dal conducente non costituisce, diversamente da quanto affermato in ricorso, un mero apprezzamento soggettivo od un giudizio, bensì un fatto oggettivo, percepito dal teste ex propriis sensibus (per mezzo dell'olfatto), utilizzabile al fine di prova ed avente valenza non difforme da quella riconoscibile alla percezione de visu di una determinata circostanza. Va aggiunto che la già richiamata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, nell'affermare che lo stato di ebbrezza del conducente di veicoli può essere accertato e provato con qualsiasi mezzo (e non necessariamente nè unicamente attraverso la strumentazione e la procedura indicate nell'art. 379 C.d.S. del Regolamento) ha fatto riferimento all' "alito vinoso" come elemento sintomatico dell'ebbrezza, e cioè di quello stato di alterazione psico - fisica del soggetto che, con riguardo alla fattispecie concreta qui in esame, il giudice ha considerato tale da aver privato il conducente della capacità di controllo del mezzo guidato, risultando pertanto giuridicamente corretta la metodologia dell'accertamento seguito dal giudice di pace, e non essendo censurabile in questa sede l'accertamento di fatto spiegato con succinta motivazione indenne da vizi logici. S'intendono, già a questo punto, le ragioni della infondatezza del secondo motivo posto a sostegno del ricorso, nonchè il carattere assorbente di tale giudizio, sì che non sarebbe neppure strettamente indispensabile l'esame anche del primo motivo, che tuttavia questa Corte ritiene di considerare per evidenti ragioni di completezza, salvo rilevare l'infondatezza anche della censura rivolta dal ricorrente all'avvenuta acquisizione ed utilizzazione del certificato medico relativo all'accertato tasso di alcool nel sangue del N., rilasciato dall'Ospedale di Alessandria. Invero l'eccezione di inutilizzabilità del suddetto certificato avrebbe fondamento - per le ragioni di diritto, a valenza anche di principio costituzionale, esposte in ricorso - ove l'accertamento in esso documentato fosse stato effettuato su richiesta della polizia stradale, ma così non è, atteso che lo stesso ricorrente afferma che le analisi del sangue furono effettuate sulla persona di N.S. dal personale ospedaliero "unicamente per motivi clinici" ed a scopo curativo delle lesioni riportate dal predetto nell'incidente stradale de quo, "ma non certo in seguito ad una richiesta specifica degli agenti di polizia stradale". Ne consegue che l'accertamento "invasivo" non è stato illegittimamente effettuato (assente il consenso dell'indagato) dall'organo di polizia giudiziari a a fini processuali (come non è più consentito per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 238 del 1996) e nel processo hanno avuto semplicemente ingresso i risultati ematici contenuti nella documentazione medica relativa al ricovero dell'imputato presso struttura ospedaliera in seguito ad incidente stradale occorso in occasione della commissione del reato ascritto, e questa Sezione 4 (vedasi la sentenza 12/6/2003, n. 37442, Cartoni) ha già avuto modo di affermare il principio di diritto, qui condiviso, secondo il quale, ai fini dell'accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza alcolica, sono utilizzabili, nei confronti dell'imputato, i risultati del prelievo ematico che sia stato effettuato, secondo i normali protocolli medici di pronto soccorso, durante il ricovero presso una struttura ospedaliera pubblica a seguito dell'incidente stradale subito in occasione della commissione del reato, trattandosi di elementi di prova acquisiti attraverso la documentazione medica e restando irrilevante, a questi fini, la mancanza del consenso. Per le sin qui esposte ragioni il ricorso va rigettato, con le conseguenze ex art. 616 c.p.p., in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2006. PREAVVISO di sosta CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sezione II, 9 marzo 2007, n. 5447 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO V.M. ha impugnato, nei confronti del comune di Roma, con ricorso notificato il 1° luglio 2005, la sentenza del Giudice di pace di Roma, depositata il 27 gennaio 2005, che gli aveva rigettato l'opposizione al verbale di contestazione dell'art. 7 c.d.s. (sosta vietata). Lamenta: 1) la violazione degli artt. 389, 384 e 385 reg. esec. c.d.s., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione, dato che il Giudice di pace non aveva specificato da quali elementi avesse tratto il convincimento per respingere i suoi tre motivi di opposizione, concernenti la mancata apposizione sul veicolo del preavviso di violazione, la mancata contestazione immediata, nonché la mancata precisazione della località in cui avvenne la violazione; 2) la violazione dell'art. 383 reg. esec. c.d.s., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione, essendo impossibile ricavare dal verbale di accertamento dove sarebbe stata rilevata la violazione. Il Comune resiste. Il Procuratore generale ha chiesto la trattazione del ricorso ex art. 375 c.p.c., attesa la manifesta infondatezza dei motivi. MOTIVI DELLA DECISIONE Entrambi i motivi si manifestano affetti da palese inconsistenza, considerato che nessuna norma impone il rilascio di un preavviso di violazione la cui mancanza, in ogni caso, non ha in alcun modo ostacolato il diritto di difesa del ricorrente; che il Giudi ce di pace ha puntualmente motivato in relazione all'impossibilità di contestazione immediata a persona assente; che l'indicazione del luogo dell'infrazione (P.zza Adriana), come rilevato dal giudice di merito, risulta dal verbale, ed irrilevante appare l'omessa indicazione del numero civico ai fini della decisione, non avendo il ricorrente eccepito la mancanza del divieto di sosta nel punto specifico della piazza in cui sostava la sua vettura (Cass., 8939/2005, 7993/2005, 11616/2005, 972/1989, 8425/2004). Al rigetto del ricorso, segue la condanna alle spese. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese in euro 600,00 di cui euro 500,00 per onorari. Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2007 Autovelox. La multa è nulla se il dispositivo non è segnalato Cassazione – Sezione seconda civile 31 maggio 2007, n. 12833 Presidente Settimj – Relatore Atripaldi Pm Russo – conforme – Ricorrente Ministero dell’interno Svolgimento del processo Il Ministero dell’Interno ha impugnato, nei confronti di I. Antonino, con ricorso notificato il 5.1.06, la sentenza del Giudice di Pace di Lagonegro, depositata il 26.11.04, che aveva annullato il verbale di contestazione della violazione dell’art. 142/8 C.d.S. elevato dalla Pol. Strada. Lamenta la violazione dell’art. 201 n. 1 bis lett. f) C.d.S. e art. 4 D.L. 121/02, dato che erroneamente il Giudice di Pace aveva ritenuto che la prescritta informazione agli automobilisti della presenza dell’autovelox fosse “condizione di legittimità dell’eventuale verbale di contestazione”, senza considerare il carattere meramente organizzativo e precauzionale di detta norma, volto ad evitare che l’effetto “sorpresa”, determini situazioni di pericolo per la circolazione. L’intimato non resiste. Attivata la procedura ex art. 375 c.p.c., il P.G. ha chiesto la trattazione del ricorso in P.U. Motivi della decisione Il ricorso è manifestamente infondato alla stregua dell’inequivoco disposto dell’art. 4 L. 168/02, secondo cui dell’utilizzazione ed installazione dei dispositivi di rile vamento elettronico della velocità deve esser data informazione agli automobilisti . Norma di carattere imperativo, che non consente all’interprete di disapplicarla in ragione di un’asserita, ma inespressa “ratio”, che ne limiterebbe l’efficacia nell’ambito dei rapporti organizzativi interni alla p.a.; e la cui riscontrata inosservanza determina, come già rilevato dal Giudice di Pace, la nullità (annullabilità ndr) dell’opposto verbale, perché emesso in violazione di legge. Il ricorso va, pertanto, rigettato. L’omessa costituzione dell’intimato, esonera dalla liquidazione delle spese. Disapplicazione atto illegittimo ANNO 2006 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Annibale Franco Giovanni Maria Francesco Ugo Romano Paolo Alfio Alfonso Franco Luigi Gaetano Sabino Maria Rita Giuseppe ha pronunciato la seguente MARINI Presidente BILE Giudice FLICK " AMIRANTE " DE SIERVO " VACCARELLA " MADDALENA " FINOCCHIARO " QUARANTA " GALLO " MAZZELLA " SILVESTRI " CASSESE " SAULLE " TESAURO " ORDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, commi 2 e 4, della legge 1° agosto 2002, n. 168 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121, recante disposizioni urgenti per garantire la sicurezza nella circolazione stradale) [recte: art. 4, commi 2 e 4, del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121 (Disposizioni urgenti per garantire la sicurezza nella circolazione stradale), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2002, n. 168], promosso con ordinanza del 12 maggio 2005 dal Giudice di Pace di Isernia nel procedimento civile vertente tra Salvatore De Robbio e il Prefetto di Isernia, iscritta al n. 445 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 2005. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 22 marzo 2006 il Giudice relatore Luigi Mazzella. Ritenuto che il Giudice di pace di Isernia, con ordinanza del 12 maggio 2005, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 primo comma [recte: secondo comma], 76 e 113, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 4, commi 2 e 4, della legge 1° agosto 2002, n. 168 (Conversione in legge, con modificazioni, del decretolegge 20 giugno 2002, n. 121, recante disposizioni urgenti per garantire la sicurezza nella circolazione stradale) [recte: art. 4, commi 2 e 4, del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121 (Disposizioni urgenti per garantire la sicurezza nella circolazione stradale), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2002, n. 168], nella parte in cui consente al prefetto di individuare, mediante decreto, strade o singoli tratti di esse, per le quali è stabilita la non obbligatorietà della contestazione immediata prevista dall'art. 200 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada); che il rimettente espone che il giudizio a quo ha ad oggetto l'opposizione ad un'ordinanza-ingiunzione relativa ad una sanzione pecuniaria inflitta per violazione dell'art. 148, comma 8, del d. lgs. n. 285 del 1992 e che nel proprio ricorso la parte privata ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza-ingiunzione anche per la mancata contestazione immediata dell'infrazione; che quest'ultima, tuttavia, è stata accertata mediante dispositivo di rilevazione a distanza su strada individuata dal prefetto, ai sensi dell'art. 4, comma 2, del d. l. n. 121 del 2002, come strada nella quale non è possibile il fermo di un veicolo senza recare pregiudizio alla sicurezza della circolazione, alla fluidità del traffico o all'incolumità degli agenti operanti e dei soggetti controllati; che il giudice a quo afferma che il combinato disposto del comma 2 dell'art. 4 del d. l. n. 121 del 2002 e del comma 4 del medesimo articolo (secondo il quale, in caso di utilizzazione di dispositivi o mezzi tecnici di rilevazione a distanza delle infrazioni alle norme di comportamento di cui agli artt. 142 e 148 del d. lgs. n. 285 del 1992, non vi è l'obbligo di contestazione immediata previsto dal successivo art. 200) comporterebbe l'eliminazione del diritto del cittadino alla contestazione immediata; che, a parere del rimettente, una simile previsione normativa si porrebbe in contrasto con: a) l'art. 76 Cost., per eccesso di delega legislativa, poiché gli artt. 1 e 2 della legge 22 marzo 2001, n. 85 (Delega al Governo per la revisione del nuovo codice della strada) non conferivano delega all'emanazione di norme abolitrici di diritti soggettivi quali l'obbligo di contestazione immediata; b) l'art. 24, secondo comma, Cost., laddove questo prevede l'inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado (e dunque anche nella fase iniziale, corrispondente al momento della rilevazione dell'infrazione a mezzo apparecchiature elettroniche) del procedimento (tale dovendosi considerare qualsiasi fattispecie procedimentale che possa condurre ad un provvedimento sfavorevole per il destinatario); c) l'art. 113, secondo comma, Cost., perché le norme censurate condizionerebbero notevolmente e senza plausibile giustificazione la tutela giurisdizionale dei diritti contro gli atti della pubblica amministrazione, rendendoli di fatto inattaccabili, se non mediante un difficile adempimento probatorio limitato al corretto funzionamento delle apparecchiature di rilevamento; d) l'art. 3 Cost., perché le contravvenzioni elevate per violazione dei limiti di velocità previsti sulla medesima strada troverebbero «diverse soluzioni decisorie» a seconda che l'infrazione si sia verificata o meno nei tratti individuati dal prefetto ai sensi dell'art. 4, comma 2, del d. l. n. 121 del 2002; che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri che ha concluso chiedendo che la questione sia dichiarata infondata; che, in particolare, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, l'asserito vizio di eccesso di delega legislativa sarebbe insussistente perché la legge n. 168 del 2002 non è attuativa della legge delega n. 85 del 2001; né sarebbe riscontrabile la violazione del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., perché già l'art. 200 del d. lgs. n. 285 del 1992 stabilisce che l'obbligo di contestazione immediata non sia assoluto, a quella contestazione dovendosi procedere solamente quando essa sia possibile; non sussisterebbe, inoltre, il contrasto con l'art. 113 Cost., avendo la stessa Corte costituzionale affermato, nella sentenza n. 27 del 2005, che la mancata previsione della contestazione immediata dell'infrazione punita con una misura amministrativa non integra di per sé una violazione del diritto di difesa; infine, occorrerebbe escludere la violazione dell'art. 3 Cost. perché l'assoggettamento a regimi diversi di tratti della medesima strada (alcuni soggetti all'obbligo della contestazione immediata, altri no) non è irragionevole ove si consideri che, lungo la stessa strada extraurbana, ben possono essere riscontrati tratti con caratteristiche tra loro diverse. Considerato che il Giudice di pace di Isernia dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 76 e 113, secondo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 4, commi 2 e 4, del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121 (Disposizioni urgenti per garantire la sicurezza nella circolazione stradale), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2002, n. 168, nella parte in cui consente al prefetto di individuare, mediante decreto, strade o singoli tratti di esse sulle quali è possibile installare dispositivi di controllo del traffico finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni delle norme di comportamento di cui agli artt. 142, 148 e 176 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), con conseguente esclusione dell'obbligatorietà della contestazione immediata prevista dall'art. 200 dello stesso d. lgs. n. 285 del 1992; che la questione sollevata in riferimento all'art. 76 Cost. è manifestamente inammissibile perché il rimettente pone un problema di contrasto con i principi contenuti nella legge delegante in relazione, non al decreto delegato emanato in attuazione della delega stessa, bensì ad una norma successiva ed estranea al rapporto di delegazione legislativa; che la questione sollevata in riferimento all'art. 24 Cost. è manifestamente infondata, avendo la Corte già affermato che l'omissione della contestazione immediata di un'infrazione punita con una misura amministrativa non integra di per sé una violazione del diritto di difesa (sentenza n. 27 del 2005); che non è ravvisabile alcun contrasto con l'art. 113, secondo comma, Cost., poiché la norma impugnata non incide sulla possibilità per il cittadino di contestare la fondatezza dell'infrazione imputatagli dall'amministrazione e, inoltre, il cittadino ha anche la possibilità di eccepire in giudizio l'illegittimità del provvedimento prefettizio di individuazione del tratto di strada interessato come uno di quelli nei quali è possibile rilevare l'infrazione con dispositivi di controllo a distanza, eventualmente chiedendone la disapplicazione al giudice dell'opposizione all'ordinanza-ingiunzione, ove il prefetto abbia ecceduto dai limiti segnati dall'art. 4, comma 2, del d. l. n. 121 del 2002; che anche la questione sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. è manifestamente infondata, perché le diversità riscontrabili a proposito dell'obbligo della contestazione immediata dipendono dalle differenti condizioni che caratterizzano i vari tratti di strada. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Per questi m otivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, commi 2 e 4, del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121 (Disposizioni urgenti per garantire la sicurezza nella circolazione stradale), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2002, n. 168, sollevata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, dal Giudice di pace di Isernia con l'ordinanza in epigrafe; 2) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, commi 2 e 4, del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121 (Disposizioni urgenti per garantire la sicurezza nella circolazione stradale), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2002, n. 168, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 113, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Isernia con l'ordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 aprile 2006. F.to: Annibale MARINI, Presidente Luigi MAZZELLA, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2006. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA Ricorso punti al GdP del deurtato N. 471 ANNO 2005 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), in relazione all’art. 126-bis, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, disposizioni rispettivamente introdotte dall’art. 4, comma 1-septies, del decreto- legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214, e dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, del già citato decreto- legge n. 151 del 2003, convertito, con modificazioni, nella legge n. 214 del 2003, promosso con ordinanza del 22 settembre 2004 dal Giudice di pace di Varazze, nel procedimento civile vertente tra Pellero Nicola e il Comune di Varazze, iscritta al n. 45 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2005. Udito nella camera di consiglio del 30 novembre 2005 il Giudice relatore Alfonso Quaranta. Ritenuto in fatto 1. Il Giudice di pace di Varazze, con ordinanza del 22 settembre 2004, ha sollevato questione di legittimità costituzionale – per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione – dell’art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), «in relazione al precedente art. 126-bis, comma 2», del medesimo codice della strada, disposizioni rispettivamente introdotte dall’art. 4, comma 1-septies, del decreto- legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214, e dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, del già citato decreto-legge n. 151 del 2003, convertito, con modificazioni, nella legge n. 214 del 2003. 1.1. Il giudice a quo premette di dover giudicare dell’opposizione proposta, avverso verbale di contestazione di infrazione stradale, dal conducente di un autoveicolo, per essersi lo stesso reso artefice – circostanza dal medesimo non negata, fondando egli su altri rilievi l’iniziativa giudiziaria intrapresa – della violazione dell’art. 145, commi 4 e 10, del codice della strada. Deduce, inoltre, che, costituitosi in giudizio il comandante della polizia municipale di Varazze, questi ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, dal momento che il soggetto coobbligato in solido per la sanzione pecuniaria ha provveduto al pagamento della stessa in misura ridotta ex art. 202 del medesimo codice. Siffatta circostanza – a dire del predetto resistente nel giudizio a quo – dovrebbe indurre il giudicante «a confermare l’inammissibilità del ricorso», giacché, alla stregua dell’art. 126-bis del codice della strada, la «contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria». 1.2. Ciò premesso, il giudice a quo ricorda che il ricorrente ha depositato «una istanza di eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 204-bis del codice della strada in relazione al sopra citato art. 126-bis, comma 2, per contrasto con l’art. 24 della Costituzione e con il precedente art. 3». Nella stessa si evidenzia – osserva il rimettente – che, «a fronte dell’avvenuto pagamento in misura ridotta della sanzione amministrativa da parte dell’obbligato in solido», al ricorrente, autore dell’infrazione stradale, «viene preclusa, in violazione dell’art. 24 della Costituzione, ogni possibilità di “agire in giudizio”», evenienza vieppiù censurabile sul piano costituzionale giacché l’iniziativa giudiziale dallo stesso assunta si indirizza «avverso un verbale che (…) va ben al di là della pur rilevante sanzione pecuniaria», ponendosi come titolo anche per «la applicazione dell’ulteriore contestuale sanzione» (quella della «decurtazione di punti dalla patente ex art. 126bis») «ad esclusivo carico e danno del solo ricorrente» (essendo stato questi riconosciuto quale autore del contestato illecito amministrativo). In tal modo «il diritto di difesa» dell’odierno ricorrente «risulta palesemente condizionato dal comportamento di altro soggetto, l’obbligato in solido», donde l’ipotizzata violazione dell’art. 24 della Costituzione. Né in senso contrario si potrebbe addurre la circostanza secondo cui il contenuto del verbale di contestazione dell’infrazione stradale, stando alla sua formulazione letterale, parrebbe identificarsi nella (mera) «segnalazione per sospensione patente e decurtazione di 05 punti», ciò che lascerebbe ipotizzare come tali ulteriori sanzioni, accessorie a quella principale pecuniaria, siano soggette «ad un ulteriore provvedimento amministrativo, a sua volta impugnabile da parte del ricorrente». Difatti, nel caso di specie, viene in rilievo «una unica sanzione», comprendente «sia quella pecuniaria» che quella relativa tanto alla «decurtazione dei punti», che alla «sospensiva della patente in caso di recidiva». Il giudice a quo sottolinea, inoltre, come il ricorrente lamenti pure – donde l’ipotizzato contrasto delle norme impugnate anche con l’art. 3 della Costituzione – una evidente «disparità di trattamento tra l’ipotesi di violazione del codice della strada commessa da soggetto che è altresì unico titolare ed utilizzatore del veicolo e l’ipotesi in cui l’autore della violazione sia soggetto diverso dal proprietario o altro soggetto obbligato comunque in solido ex art. 196» del codice della strada. Soltanto nel primo caso, infatti, «l’autore della violazione nel pieno e consapevole esercizio del proprio diritto di difesa avrà la scelta se procedere al pagamento in misura ridotta ed accettare quindi la decurtazione dei punti della patente» (atteso che l’operatività della fattispecie ex art. 202 del codice della strada non preclude l’applicazione delle sanzioni accessorie), ovvero «proporre ricorso giurisdizionale per ottenere l’annullamento della contestazione», e con esso l’eliminazione di ogni conseguenza sanzionatoria dell’ipotizzata violazione amministrativa. Nel secondo dei casi sopra indicati, invece, «tale scelta non potrà essere operata in piena libertà perché sarà condizionata dal comportamento di un terzo» (il proprietario del veicolo o altro coobbligato solidale), per giunta «portatore di un interesse confliggente con quello dell’autore della violazione». 1.3. Su tali basi, pertanto, il Giudice di pace di Varazze – non senza evidenziare la rilevanza che le esposte censure di costituzionalità (fatte proprie dal rimettente, quanto alla loro non manifesta infondatezza) dispiegano nel giudizio a quo, giacché «il ricorso non può essere deciso indipendentemente dalla risoluzione» delle stesse – ha sollevato, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dall’art. 204-bis del codice della strada, «in relazione al precedente art. 126-bis, comma 2». Il predetto combinato disposto normativo è censurato, segnatamente, «nella parte in cui consente il ricorso al giudice di pace alternativamente alla proposizione del ricorso al prefetto, solo nel caso in cui “non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta” della sanzione amministrativa pecuniaria, intendendosi definita la contestazione quando detto pagamento abbia avuto luogo, indipendentemente dalla contestuale applicazione della sanzione relativa alla decurtazione dei punti dalla patente e dalla sospensione della stessa in caso di recidiva». Considerato in diritto 1.— Il Giudice di pace di Varazze ha sollevato questione di legittimità costituzionale – per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione – dell’art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), «in relazione al precedente art. 126-bis, comma 2», del medesimo codice della strada, disposizioni rispettivamente introdotte dall’art. 4, comma 1-septies, del decreto- legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214, e dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, del già citato decreto- legge n. 151 del 2003, convertito, con modificazioni, nella legge n. 214 del 2003. 2.— In via preliminare, deve chiarirsi come la questione sollevata dal giudice a quo abbia, in realtà, una portata più circoscritta rispetto al petitum risultante dalle conclusioni dell’ordinanza di rimessione. L’iniziativa del rimettente – che investe le norme sopra citate nella parte in cui consentono «il ricorso al giudice di pace alternativamente alla proposizione del ricorso al prefetto, solo nel caso in cui “non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta” della sanzione amministrativa pecuniaria» – è volta ad ottenere la declaratoria d’illegittimità costituzionale delle norme censurate solo con riferimento ad un’ipotesi del tutto peculiare. Essa, difatti, dovrebbe riguardare unicamente il caso – qual è quello oggetto del giudizio a quo – in cui, avendo provveduto il coobbligato in solido per la sanzione pecuniaria al pagamento della stessa in misura ridotta (ex art. 202 del codice della strada), e non invece l’autore dell’infrazione, sia però quest’ultimo ad adire le vie giudiziali per ottenere – a norma dell’art. 204-bis del medesimo codice – l’accertamento della illegittimità del verbale di contestazione dell’infrazione stradale e, conseguentemente, la mancata applicazione delle altre sanzioni (segnatamente quella della decurtazione dei punti dalla patente di guida) “accessorie” a quella pecuniaria. 3.— La questione non è fondata nei sensi di cui in motivazione. 3.1.— La censura formulata dal giudice a quo si basa sul rilievo che, solo quando l’infrazione stradale sia stata commessa dal soggetto «unico titolare ed utilizzatore del veicolo», è possibile ritenere che costui, «nel pieno e consapevole esercizio del proprio diritto di difesa», abbia «la scelta se procedere al pagamento in misura ridotta ed accettare quindi la decurtazione dei punti della patente», ovvero «proporre ricorso giurisdizionale per ottenere l’annullamento della contestazione». Ove non ricorra, viceversa, la descritta coincidenza di posizioni, «tale scelta non potrà essere operata in piena libertà perché sarà condizionata dal comportamento di un terzo» (il proprietario del veicolo o altro coobbligato solidale che procedano al pagamento in misura ridotta), portatore di un interesse che può anche essere confliggente con quello dell’autore della violazione. In queste stesse condizioni sarebbe ipotizzabile un contrasto, oltre che con l’art. 3, anche con l’art. 24 della Costituzione, giacché il «diritto di difesa» del ricorrente «risulta palesemente condizionato dal comportamento di altro soggetto, l’obbligato in solido». A riguardo, occorre partire dalla considerazione che questa Corte – con sentenza di pari data (n. 468 del 2005) – chiarisce, in relazione all’ipotesi in cui la persona che si avvalga della facoltà di cui all’art. 202 del codice della strada sia proprio quella che decide di adire le vie giudiziali, che la scelta tra pagare in misura ridotta (e cioè la somma costituente il minimo edittale della sanzione pecuniaria prevista per l’infrazione) ed impugnare invece il verbale è «il risultato di una libera determinazione dell’interessato, il quale non subisce condizionamenti di sorta», considerato oltretutto che, qualora egli opti per l’esercizio del diritto di azione, «non per questo è destinato, necessariamente, a subire un aggravamento della sanzione pecuniaria», dal momento che il giudice adito è «tenuto a rispettare unicamente (ex art. 204-bis, comma 7, del citato codice) il divieto di applicare una sanzione inferiore al minimo edittale, ma non anche in misura pari al suddetto minimo». 3.2.— I rilievi che precedono, tuttavia, non comportano che si debba pervenire alla richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale, prospettata dal rimettente come necessitata. Come, infatti, ha ripetutamente affermato questa Corte, allorché risulti possibile un’interpretazione sistematica che sottragga la disposizione impugnata alle censure formulate nell’ordinanza di rimessione, il dubbio di costituzionalità sollevato dal giudice a quo deve ritenersi non fondato (sentenza n. 283 del 2005). Ciò premesso, va ricordato come la Corte abbia già avuto modo di evidenziare (sentenza n. 31 del 1996) che al «complessivo sistema di irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie e di quelle accessorie, conseguenti a violazioni delle norme di disciplina della circolazione stradale, risulta intimamente riconnessa la generale previsione» del «rimedio dell’opposizione», regolata dagli artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale). È evidente, quindi, che – una volta definita la vicenda relativa alla sanzione pecuniaria, in virtù del pagamento in misura ridotta effettuato da taluno dei soggetti coobbligati solidalmente per la stessa, ex art. 196 del codice della stra da (soggetti, tra l’altro, a carico dei quali non si potrebbe irrogare la sanzione accessoria della decurtazione del punteggio dalla patente di guida, secondo quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 27 del 2005) – nessuna norma preclude al conducente del veicolo, autore materiale dell’infrazione stradale, di adire le vie giudiziali per escludere l’applicazione, a suo carico, della sanzione “personale” suddetta. Essa, oltretutto, non riveste più carattere meramente “accessorio”, ma assume valore di sanzione principale per il contravventore, per tale motivo presentandosi come l’unica suscettibile di contestazione in sede giudiziaria; contestazione, invece, preclusa per la sanzione pecuniaria, proprio per l’avvenuto pagamento della stessa in misura ridotta, da parte di uno dei coobbligati in solido. È chiaro, infine, come l’iniziativa intrapresa dal contravventore non possa essere considerata propriamente diretta all’annullamento de l verbale di contestazione dell’infrazione stradale ex art. 204-bis del codice della strada, bensì al mero accertamento della sua illegittimità, al solo e specifico scopo di escludere che lo stesso possa fungere da titolo per irrogare a tale soggetto la sanzione della decurtazione del punteggio dalla patente di guida e da titolo per una eventuale azione di regresso. Siffatta interpretazione sistematica delle disposizioni impugnate, dunque, permette di superare il dubbio di legittimità costituzionale, escludendo, in particolare, che il diritto di agire in giudizio – seppur ai soli effetti sopra illustrati – dell’autore materiale dell’infrazione stradale possa ritenersi «palesemente condizionato dal comportamento di altro soggetto, l’obbligato in solido», come ipotizzato invece dal giudice rimettente. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), «in relazione al precedente art. 126-bis, comma 2», del medesimo codice della strada, disposizioni rispettivamente introdotte dall’art. 4, comma 1-septies, del decreto- legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214, e dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, del già citato decreto- legge n. 151 del 2003, convertito, con modificazioni, nella legge n. 214 del 2003, questione sollevata – in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione – dal Giudice di pace di Varazze con l’ordinanza di cui in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 2005. Annibale MARINI, Presidente Alfonso QUARANTA, Redattore Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2005.