PIER PAOLO VERGERIO, “FARO” DELL`UMANESIMO IN

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PIER PAOLO VERGERIO, “FARO” DELL`UMANESIMO IN
GIZELLA NEMETH E ADRIANO PAPO
PIER PAOLO VERGERIO,
“FARO” DELL’UMANESIMO IN UNGHERIA
Con Carlo d’Angiò-Durazzo (1385-86) si chiude la prima fase
dell’umanesimo in Ungheria, quella degli esordi, che era iniziata sotto il
regno di Carlo Roberto d’Angiò (1301-42). Carlo Roberto aveva
contribuito a dare un notevole apporto culturale al suo nuovo paese
portandosi al seguito dalla corte napoletana numerosi eruditi, tra i quali
emerge la figura di Giacomo da Piacenza, già professore di medicina a
Napoli negli anni 1307-1309 e successivamente medico a Gemona, in
Friuli. Assunto come medico di corte da Carlo Roberto, Giacomo da
Piacenza si trasferì in Ungheria, dove divenne prima preposto di Pozsony,
poi vescovo di Csanád (1333) e di Zagabria (1343), sbrigando diversi
incarichi diplomatici e svolgendo altresì un compito di mediatore
culturale ante litteram tra l’Italia e l’Ungheria: fu lui a convincere a stabilirsi
nel paese carpatodanubiano Conversino da Frignano, originario del
Modenese, che nel 1343 lo sostituì come medico di corte presso Luigi I il
Grande. Poco prima di morire il Conversino ricevette in dono da Luigi I la
biblioteca del re di Napoli, Roberto I d’Angiò, di cui il re magiaro si era
impossessato durante la conquista di Napoli del 1348: una parte di questa
biblioteca avrebbe costituito uno dei primi nuclei della famosa Biblioteca
Corviniana. Il Conversino era anche il padre dell’umanista Giovanni da
Ravenna, che nacque proprio a Buda, nel 1343, e che ebbe come precettore
il canonico di Zagabria Michele. Tuttavia, Giovanni rimase poco tempo in
Ungheria: dopo la morte della madre fu condotto ancor bambino a
Ravenna e affidato alle cure d’uno zio paterno; Ravenna divenne quindi la
sua città adottiva. Giovanni da Ravenna fu maestro itinerante a Bologna, a
Ferrara, a Venezia, a Udine e in altre località del Veneto, fu cancelliere a
Ragusa e a Padova presso i da Carrara. Tra i suoi allievi troviamo
Ognibene della Scola, Vittorino da Feltre, Guarino Veronese e appunto il
nostro Pier Paolo Vergerio. È presumibile che Giovanni da Ravenna abbia
influito sensibilmente sulla scelta fatta dal Vergerio di trasferirsi nel paese
carpatodanubiano (Sabbadini 1924).
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I contatti umanistici tra Italia e Ungheria furono particolarmente
intensi anche sotto il brevissimo regno di Carlo d’Angiò-Durazzo,
detto Carlo il Piccolo, il quale, nato nel 1354, era stato educato negli
anni 1357-71 alla corte di Buda da Guglielmo vescovo di Comacchio,
da cui ereditò la passione per le lettere. Quando Carlo il Piccolo scese
a Napoli nel 1381 a prendere possesso di quel trono, gli ungheresi del
suo seguito vennero in contatto con numerosi eruditi italiani, tra i
quali spicca la figura di Giovanni Quatrario, che dedicò al giovane
sovrano una delle sue poesie, con cui intravedeva nella sua persona
colui che avrebbe ripristinato l’antico splendore della corte
napoletana, già culla del sapere sotto il re Roberto.
Con la fine tragica di Carlo il Piccolo, caduto vittima d’un attentato
organizzato dai partigiani della regina madre Elisabetta Kotromani©,
la vedova di Luigi I il Grande, si concluse, come detto, il periodo del
primo umanesimo in Ungheria, ma se ne aprì subito dopo un altro,
quello ben più importante e fecondo sorto presso la cancelleria
imperiale e regia di Sigismondo di Lussemburgo.
L’età di Sigismondo di Lussemburgo contribuì infatti in maniera
determinante allo sviluppo dell’umanesimo in terra magiara.
Sigismondo aveva avuto a Praga come precettore alla corte del padre,
l’imperatore Carlo IV, l’umanista e poeta ferrarese Niccolò Beccari
(ca. 1330–† prima del 1382), amico e seguace del Petrarca. Quando
arrivò in Ungheria non trovò invece nessuna traccia di cultura
umanistica; in effetti, suo suocero, Luigi il Grande, aveva pensato più
alle guerre che alla cultura; anzi, aveva speso più denaro per i cani da
caccia che per gli scrittori e i letterati, se dobbiamo credere a quanto
disse di lui il Petrarca, forse su suggerimento del suo amico Giovanni
da Ravenna. Sigismondo si accollò quindi il compito molto
impegnativo di acculturare la sua nuova patria, e in questo progetto
una decisiva influenza fu esercitata dalla cultura umanistica italiana.
Per lo sviluppo delle relazioni umanistiche tra Italia e Ungheria
notevole importanza ebbero anzitutto i due viaggi di Sigismondo
nella Penisola: il primo nel novembre del 1413 (alla fine della guerra
ungaro-veneta scoppiata nel 1411), allorché s’incontrò a Lodi col papa
Giovanni XXIII per indire il concilio di Costanza, il secondo compiuto
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negli anni 1430-33 ai fini dell’incoronazione imperiale. Molti furono
gli umanisti che il re d’Ungheria e dei Romani incontrò nel corso di
questi viaggi e soprattutto durante i lavori del concilio di Costanza,
di cui egli fu il “caput et dispositor”: Leonardo Bruni, in primis, che fu
ospite a Piacenza della corte del re nel febbraio del 1414, Poggio
Bracciolini, Antonio Loschi, Ambrogio Traversari, Francesco Filelfo,
Francesco Zabarella, Bartolomeo della Capra, Branda Castiglione, ecc.
Dopo il concilio di Costanza numerosi dotti italiani si stabilirono alla
corte di Buda: tra questi, lo stesso cardinale Castiglione, che aveva già
visitato l’Ungheria nel 1403 come inviato e collettore papale e che fu
incaricato dal pontefice di fondare uno Studium generale a Óbuda con
finalità antiussite (Foffano 1973); e ancora il Filelfo, Ognibene della
Scola, Giovanni dei Milanesi da Prato; quest’ultimo parteciperà come
dottore in diritto a molte delle assise di Sigismondo insieme con
Ognibene della Scola e con i notai pisani Bartolo e Antonio de’
Franchi, oltreché a varie missioni diplomatiche per poi divenire
vescovo di Várad nel 1426 (Bunyitay 1883: 244-248); e infine Antonio
Minucci da Pratovecchio, professore di diritto presso lo Studio di
Bologna, l’arcivescovo di Kalocsa Andrea de Benzi da Gualdo
Tadino, già arcivescovo di Spalato, e, successivamente, nel 1426
Antonio Loschi (Giovanni da Schio 1858: 111) e, a cavallo tra il 1435 e
il 1436, Ambrogio Traversari, il camaldolese grecista che il 26
dicembre 1435 pronunciò un’orazione a Székesfehérvár davanti al re
Sigismondo, che incontrò di nuovo privatamente in Alba Regia e di
cui fu ospite a Buda i primi giorni di gennaio dell’anno seguente
(Dini-Traversari 1912: 266-268).
Sennonché, molti italiani avevano già raggiunto l’Ungheria e vi
erano colà rimasti, alcuni anche per sempre, attratti dal fascino della
vita che si conduceva nel paese carpatodanubiano: Filippo Scolari
definito da Florio Banfi “un antesignano del Rinascimento in
Ungheria”, il quale, giunto a Buda non più che tredicenne come
apprendista mercante, trascorse in Ungheria tutto il resto della sua
vita salendo alle più alte cariche del regno magiaro (Nemeth e Papo
2002; Nemeth 2003); e inoltre suo fratello Matteo, il cugino Andrea
Scolari, vescovo di Várad e grande mecenate (Bunyitay 1883: 232-243;
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Balogh 1918-19), lo scultore-intagliatore-architetto Manetto
Ammannatini, il protagonista della Leggenda del Grasso Legnaiuolo,
vissuto in Ungheria dal 1410 fino alla morte sopraggiunta nel 1450
(Manetti 1887), e ancora Giovanni Buondelmonti, che nel 1410,
appena giunto in Ungheria, divenne abate di Pécsvárad e fu poi
arcivescovo di Kalocsa dal 1424 al 1448. Nel 1404 Sigismondo invitò
anche Giovanni da Ravenna presso la sua cancelleria, ma l’umanista,
pur – come sappiamo – nativo di Buda, declinò l’offerta adducendo
come motivazione del rifiuto la sua ormai tarda età (morì infatti
quattro anni dopo la chiamata). Non solo gli eruditi, ma anche i
politici influirono sulla mentalità di Sigismondo favorendone
l’apertura agli umanisti italiani: citiamo tra questi Brunoro della Scala
e Marsilio da Carrara, che, perdute nel 1405 a vantaggio della
Repubblica di Venezia le loro signorie, rispettivamente di Verona e
Padova, si erano trasferiti alla corte di Buda diventando consiglieri
del re. Nominati vicari imperiali per il Veneto, Brunoro e Marsilio
seguirono l’esercito magiaro in Friuli e nel Veneto nella sfortunata
campagna contro Venezia del 1411-13 (Papo e Nemeth 2001).
A questo punto entra definitivamente in scena il nostro Pier Paolo
Vergerio (volutamente non menzionato sopra nell’elenco degli
umanisti al seguito di Sigismondo), che non a torto si può definire
“faro” della nuova cultura umanistica in Ungheria.
Prima di tracciare un breve profilo del nostro umanista, vogliamo
presentare un piccolo quadro della bibliografia su questo
importantissimo personaggio per la storia dell’umanesimo magiaro.
La fonte principale sulla vita di Pier Paolo Vergerio è il ricchissimo
epistolario del capodistriano, di cui esistono varie edizioni; si vedano
al proposito le Epistolae di Pietro Paolo Vergerio seniore di Capodistria, in
“Monumenti storici della R. Deputazione Veneta sopra gli Studi di
Storia Patria”, a cura di Carlo Combi e Tommaso Luciani (Venezia
1887) e l’Epistolario di Pier Paolo Vergerio, curato da Leonardo Smith e
pubblicato a Roma nel 1934 dall’Istituto Storico Italiano (in “Fonti per
la storia d’Italia. Epistolari: secolo XIV-XVI”). Utile è anche il P.P.
Vergerii Vitae Compendium compilato da Bartolomeo Petronio nel
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Seicento e pubblicato da Baccio Ziliotto nell’ “Archeografo Triestino”
(XXX, III serie, vol. II, 1906, pp. 249-261) alla p. 257 del suo saggio
Nuove testimonianze per la vita di Pier Paolo Vergerio il Vecchio, nonchè
dallo Smith in appendice all’Epistolario (app. II, doc. n. 3, pp. 471-473).
Altre notizie sul Vergerio le ricaviamo dai suoi contemporanei:
Leonardo Bruni (De temporibus suis, Lugduni 1539, p. 14), Bartolomeo
Fazio (De viris illustribus liber, a cura di L. Mehus, Florentiae 1754, p.
8), Enea Silvio Piccolomini (Historia de Europa, Basileae 1551, c. 2),
Filippo Buonaccorsi Callimaco (Vita et mores Gregorii Sanocei, a cura di
A.S. Miodonski, Cracoviae 1900, cc. 16 e 19). Ricordiamo ancora le
due Vite adespote quattrocentesche, la prima (Una biografia
quattrocentesca di P.P. Vergerio) pubblicata dallo Ziliotto in “Pagine
Istriane”, X, 1912, pp. 66-67; la seconda edita dallo stesso Smith
nell’Epistolario citato, app. II, doc. n. 5, pp. 475-480, nonché la
Biographia Petri Pauli Vergerii del Vadianus (Joachim Watt) del 1511 e
il profilo compilato da Paolo Giovio negli Elogia doctorum virorum
(Basileae 1571).
Tra gli studi e le biografie relativamente più recenti, si rimanda,
per un quadro di sintesi, al documentatissimo articolo dell’italianista
magiaro Florio Banfi, Pier Paolo Vergerio il Vecchio in Ungheria, in
“Archivio di Scienze, Lettere ed Arti della Società italo-ungherese
Mattia Corvino”, I, n. 1, pp. 1-3 e n. 2, 1939, pp. 17-29 e II, n. 1, 1940,
pp. 1-30 e alle Note cronologiche vergeriane pubblicate da Leonardo
Smith in “Archivio Veneto Tridentino”, vol. X, n. 19-20, 1926, pp. 149157 (parti I e II) e in “Archivio Veneto”, LVIII, serie V, vol. IV, n. 7-8,
1928, pp. 93-141 (parte III). Oltre al Banfi si sono occupati di Pier
Paolo Vergerio diversi studiosi ungheresi; tra questi vanno ricordati
József Huszti (Pier Paolo Vergerio s a magyar humanizmus kezdete [Pier
Paolo Vergerio e l’inizio dell’umanesimo magiaro], in “Filológiai
közlöny”, estratto Budapest 1955, pp. 521-533), Klára Pajorin (A
magyar Humanizmus Zsigmond-kori alapjai [Le basi dell’umanesimo
magiaro nell’età di Sigismondo], in L. Beke et al., Művészet Zsigmond
király korában 1387-1437 [Le arti ai tempi del re Sigismondo. 13871437], Budapest 1987, vol. I, pp. 193-211), Milán Solymosi (Pier Paolo
Vergerio e Coluccio Salutati, in “Verbum” (Piliscsaba), n. 1, 2002) e, un
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po’ più marginalmente, Tibor Kardos (A magyarországi humanizmus
kora [L’età dell’umanesimo in Ungheria], Budapest 1955, pp. 106-119),
Ovviamente numerosi sono gli studiosi italiani che si sono occupati
della vita e delle opere del Vergerio; ne facciamo qui solo qualche
nome rimandando per i loro lavori all’esaustiva bibliografia del Banfi:
i già menzionati Baccio Ziliotto e Carlo Combi, quest’ultimo
concittadino del Vergerio, e ancora Pietro Stancovich, Attilio
Gnesotto, Roberto Cessi, Remigio Sabbadini e molti altri. Segnaliamo
ancora il lavoro di Gizella Nemeth, Pier Paolo Vergerio, un umanista tra
Italia e Ungheria, presentato al convegno internazionale di studi “Da
Aquileia al Baltico attraverso i Paesi della nuova Europa”, Udine, 2324 settembre 2004 (v. Nemeth 2005). Non trascurabile è infine il
contributo dato dalla storiografia tedesca: C. Voigt, K.A. Kopp, C.
Bischoff, tanto per citarne qualche nome.
Pier Paolo Vergerio era nato a Capodistria probabilmente il 23
luglio 1370 da Vergerio di Giovanni de’ Vergeri e da Elisabetta de
Azonis. Dopo aver soggiornato coi genitori in Friuli dal 1380 al 1382,
a quindici anni iniziò a Padova lo studio della grammatica e della
dialettica, quindi si trasferì a Firenze a insegnare logica, dopo un
breve rientro a Capodistria. A Firenze venne a contatto con gli
umanisti del cenacolo del cancelliere Coluccio Salutati e conobbe il
prelato padovano Francesco Zabarella, che lo raccomandò al signore
di Padova Francesco Novello da Carrara, in esilio nella città toscana.
Nel biennio 1388-90 insegnò logica a Bologna, ma si dedicò pure allo
studio della fisica e della medicina. A Bologna compose la commedia
Paulus. Ad iuvenum mores corrigendos, una delle sue opere maggiori.
Alla fine del 1390 tornò a Padova insieme col suo protettore,
Francesco Novello da Carrara, che aveva nel frattempo riavuto la
propria signoria. A Padova insegnò logica come a Bologna, ma
intraprese anche lo studio del diritto sotto la guida dell’amico
Zabarella, e, fatto molto importante per la sua vita, divenne allievo di
Giovanni da Ravenna entrando in contatto con la comunità
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studentesca ungherese di Padova1. In questo periodo il Vergerio
scrisse alcuni discorsi e pubblicò il poema Africa del Petrarca, cui
aggiunse una breve biografia del poeta, il Sermo de vita, moribus et
doctrina illustris laureati poete Francisci Petrarche.
Nonostante la sua aspirazione a entrare al servizio del signore di
Padova o quanto meno a divenire il precettore di suo figlio Ubertino,
Pier Paolo Vergerio non si accattivò i favori del Carrarese e non
ricoprì alcun incarico importante alla sua corte. È probabile che nel
frattempo sia invece entrato nello stato ecclesiastico, dal momento
che iniziò anche lo studio del diritto canonico e rifiutò di sposarsi
(Smith 1940: n. LIX, 131-137).
Scoppiata la guerra tra i da Carrara e i Visconti di Milano,
nell’estate del 1397 il Vergerio si trasferì a Bologna, per passare l’anno
dopo a Roma, al seguito dello Zabarella; qui entrò in amicizia con
Cosimo Migliorati, il futuro papa Innocenzo VII, allora ancora
cardinale. A Roma conobbe anche Branda Castiglione, vescovo di
Piacenza e protonotaro apostolico. Il 1° giugno 1398 Vergerio rientrò
a Bologna, ma fu costretto a peregrinare per le Romagne per sfuggire
alla peste. Quindi tornò a Firenze, dove si accinse a studiare presso il
Crisolora la lingua greca (Bernardi 1876). Nella città toscana conobbe
un altro grande umanista, Leonardo Bruni. Nella primavera del 1400,
dopo la fine della guerra tra il Carrarese e i Visconti, il capodistriano,
ormai trentenne, entrò nello Studio patavino e scrisse il De ingenuis
moribus et liberalibus disciplinis, il suo capolavoro, che dedicò al figlio
del Carrarese, Ubertino.
1 Tra gli studenti ungheresi che furono allievi dello Zabarella tra il 1399 e il 1403
Florio Banfi (Banfi 1939: 26) cita i nomi di “Dominicus quondam Gali [Gál] de Bodon
de Ungaria”, “Armanus Lumeniz [Lomnic] de Ungaria”, “Matheus quondam Petri
de Catholicis de Valvasone canonicus Vaciensis in Ungaria”, “Dominicus dictus
Ungarinus”, “Johannes Jacobi de Lale praepositus ecclesiae Transilvaniensis”,
“Johannes Johannis de Zamse canonicus Varadiensis et Bosniensis”, “Johannes de
Scepus archidiaconus de Doboka”, “Magister Benedictus de Ungaria artium doctor”,
“Laurentius Nicolaus filius Johannis Czeiselmaist de Praga” e “Gasparo Schilikio”
consigliere di Sigismondo di Lussemburgo.
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Nominato dallo Zabarella canonico di Piove di Sacco, nel marzo
del 1405 si laureò alfine in diritto canonico e civile e nelle scienze
delle arti e della medicina. Tuttavia, lo scoppio di nuovi attriti tra il
Carrarese e la Repubblica di Venezia, obbligò il Nostro, suddito
veneziano e quindi non in buona luce alla corte patavina (ciò forse fu
motivo della sua mancata carriera presso il Carrarese), a lasciare
Padova e a stabilirsi nuovamente a Roma. A Roma prese servizio
presso il nuovo papa Innocenzo VII, che sotto l’influenza
dell’arcivescovo di Milano, Bartolomeo della Capra, aveva aperto le
porte agli umanisti. Negli ambienti della curia romana, il Vergerio
lavorò a stretto contatto con altri grandi umanisti: Jacopo Angeli,
Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni, Francesco da Fiano, Antonio
Loschi e il bresciano Baigerra, e divenne intimo consigliere del papa.
A dimostrazione del clima che si era instaurato a Roma al tempo di
Innocenzo VII si veda il componimento in esametri del Vergerio
Poetica narratio, con cui il capodistriano celebra una gara di poesia tra
Leonardo Bruni e Francesco da Fiano, alla quale prese parte anche
Antonio Loschi, arrivato a Roma nel 1406 come ambasciatore di
Venezia (Smith 1928: 134-137; Smith 1934: 453-458).
A Roma il Vergerio fu coinvolto nelle questioni della riforma e
dello scisma che aveva colpito la cristianità dopo la conclusione della
“cattività” avignonese. All’inizio contrario all’elezione d’un nuovo
papa prima della deposizione dell’antipapa francese Benedetto XIII,
si schierò quindi col neo eletto Gregorio XII, il veneziano Angelo
Correr, per poi passare decisamente dalla parte di Giovanni XXIII,
dopo il fallimento del concilio-farsa di Cividale, che era stato
contrapposto a quello di Pisa e al quale sembra abbia partecipato
pure lui. Una volta al servizio di Giovanni XXIII e grazie
all’intercessione dell’amico Francesco Zabarella, intraprese
l’avventura del concilio di Costanza (1414-18), tappa cruciale per la
sua carriera e per la sua vita (Richental s.d.).
A Costanza il Vergerio fu molto attivo e presente nella risoluzione
dei gravi problemi conciliari che erano stati posti sul tappeto; fin
dalla prima sessione era stato scelto come uno dei quattro “votorum
scrutatores”. Quindi accompagnò il re dei Romani Sigismondo di
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Lussemburgo a Perpignano, dove si sarebbe dovuta tenere una
conferenza per destituire l’antipapa avignonese. La conferenza fallì,
ma il viaggio fu a ogni modo utile al Nostro, perché sancì il suo
definitivo passaggio al servizio dello stesso Sigismondo. Anzi, dopo
Perpignano il Vergerio non tornò a Costanza con gli altri commissari,
ma pare abbia seguito Sigismondo nel suo viaggio nel Nord Europa
(Altmann 1896: I, 128-139).
Alla fine, dopo la rinuncia di Gregorio XII, anche Benedetto XIII fu
deposto e il concilio si chiuse con l’elezione del nuovo papa Martino V,
anche se invano lo stesso Vergerio aveva proposto che l’elezione del
pontefice fosse demandata dal Sacro Collegio al concilio se non
addirittura rinviata a tempo indeterminato fino a compimento della
riforma della Chiesa.
Il periodo del soggiorno a Costanza fu decisivo per la vita di Pier
Paolo Vergerio, che, alla fine dei lavori conciliari, prese la risoluzione di
seguire Sigismondo in Ungheria e di stabilirsi definitivamente a Buda. A
Costanza infatti il Vergerio, che già aveva sentito parlare di Ungheria
durante le sue lezioni presso Giovanni da Ravenna o, comunque sia,
nell’ambiente universitario padovano molto frequentato anche dagli
studenti ungheresi, conobbe numerosi signori magiari che parteciparono
al concilio al seguito d’una delegazione di ben 2000 persone; vi
presenziarono infatti il conte palatino Miklós Garai e l’arcivescovo di
Esztergom e primate d’Ungheria János Kanizsai con tutte le gerarchie
ecclesiastiche, i rappresentanti dei capitoli, degli ordini religiosi, delle
famiglie nobili, delle otto città regie e dell’università di Óbuda (Harmath
1879: 103-106). A Costanza il Vergerio venne in contatto anche con
quegli italiani che si erano già stabiliti in Ungheria: tra questi, oltre ai già
menzionati Filippo e Andrea Scolari, l’abate di Garamszentbenedek
Niccolò da Bologna e Taddeo Vicomercato, che sarà professore a Óbuda.
Una volta in Ungheria, il Nostro si dedicò soprattutto all’attività
diplomatica, come “Referendarius” dell’imperatore, dal quale veniva
ricompensato con uno stipendio “honorificentissimo” (Ziliotto 1906: 257).
Il Vergerio non fu quindi impiegato permanentemente né nella
cancelleria magiara né in quella imperiale, ma piuttosto rivestì un
incarico di fiducia vicino a Sigismondo in quanto re dei Romani. La
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testimonianza di un contemporaneo di Vergerio, copista della lettera da
lui scritta a Ludovico Alidori nel 1397 (Biblioteca Apostolica Vaticana,
Cod. Barb. Lat. 1952, cc. 107v-110v), è molto esplicita a tale riguardo;
scrive l’anonimo copista: “Finit feliciter Bononie per Petrum Paulum
Vergerium virum summum, nunc Serenissimi Imperatoris referendarium”
(Banfi 1940: 17). Peraltro il titolo di “referendario” era proprio della
gerarchia imperiale romano-germanica.
Pier Paolo Vergerio accompagnava Sigismondo nei suoi viaggi come
dottore utriusque iuris, partecipando alle assise che si tenevano nelle
varie città toccate dalla corte regia (Altmann 1896-97: I, 229-73 e 418-419;
II, 12 e 14). Forse lo accompagnò anche nelle sue campagne contro i
Turchi, se è vero – come alcuni studiosi suppongono – che scrisse
un’opera sulle imprese del re dei Romani, De gestis Sigismundi Regis
Pannoniae, oggi andata smarrita (Banfi 1940: 18). Lo accompagnò
senz’altro nelle campagne antiussite della Cechia: certamente nella
prima, dato che fu presente alla proclamazione della crociata che ebbe
luogo a Wrocław il 17 marzo 1420 (Palacký 1873: I, 47).
Il Vergerio non seguì però Sigismondo nel suo viaggio in Italia per
l’incoronazione imperiale nel 1431-33: già da tempo era uscito di scena,
dopo la morte di Filippo Scolari avvenuta alla fine del 1426, la partenza
dall’Ungheria del cardinale Branda Castiglione, di Bartolomeo della
Capra e di Ognibene della Scola. Certamente il 1426 fu un anno topico
per le relazioni italoungheresi: deve esservi accaduto qualche fatto
increscioso che ruppe l’idilliaco rapporto che da tempo ormai s’era
instaurato tra la comunità italiana e il sovrano magiaro; alla fine dello
stesso anno 1426 anche il vescovo di Várad, Giovanni Milanesi, fu
deposto dopo pochi mesi di episcopato. Forse fu pure la presenza alla
corte di Sigismondo di Brunoro della Scala, di sentimenti chiaramente
antiveneziani, a determinare la fine della carriera del Vergerio, che,
capodistriano d’origine, era pur sempre suddito della Serenissima. Ma
era anche accaduto che pochi mesi dopo la morte dello Scolari la
flottiglia ungherese del Danubio, capitanata dal fiorentino Niccolò dei
Lamberteschi, subì una rotta rovinosa da parte dei Turchi: il
Lamberteschi fu accusato di tradimento; molti fiorentini ne pagarono le
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conseguenze o finendo in prigione o perdendo i loro beni perché
confiscati dal re (Canestrini 1843: 207-208).
Il Nostro rimase però a Buda, anche se abbandonato dagli amici.
Sotto il regno di Alberto d’Asburgo (1437-39) e di Vladislao I Jagellone
(1440-44), per nulla mecenati e protettori della cultura, il Vergerio non fu
riabilitato. Tramite l’intercessione del Traversari, che, come detto, fu di
passaggio a Buda tra il 1435 e il 1436, cercò allora la protezione del
vescovo di Segna Giovanni de Dominis, il quale, divenuto vescovo di
Várad (2 dicembre 1440), lo invitò nella sua nuova diocesi. E il suo
soggiorno a Várad fu decisivo per lo sviluppo dei rapporti culturali
italoungheresi, perché a Várad il Vergerio incontrò Gregorio di Sanok e
János Vitéz. Gregorio di Sanok, polacco d’origine, aveva seguito il re
Vladislao a Buda come suo familiare e consigliere; János Vitéz era invece
dal 1433 notaio alla cancelleria regia e sotto il de Dominis preposto della
collegiata di Várad. Il Vitéz divenne vescovo di Várad nel 1445, l’anno
dopo la morte del Vergerio, e grande cancelliere alla corte di Mattia
Corvino (Fraknói 1879). A Várad senz’altro furono tenuti vari ‘simposi’
tra il Vergerio, il Vitéz e Gregorio di Sanok; a questi incontri partecipava
anche il cipriota Filippo Podocataro, che, dopo aver studiato a Ferrara
dal Guarino, fu ospitato dal Vitéz. Ciò si può desumere
dall’interpretazione d’un significativo passo della Vita et mores Gregorii
Sanocei di Filippo Callimaco Buonaccorsi.
Racconta infatti il Buonaccorsi nel capitolo XVI della Vita et mores
Gregorii Sanocei d’un incontro tra il Vergerio, Gregorio, il Vitéz e il
Podocataro avvenuto eodem tempore:
Erant ibi eodem tempore duo viri eruditissimi Paulus Vergerius et
Philippus Podochatherus, qui [...] contulerunt se ad eundem episcopum
[Johannem Vitéz Varadiensem]. His studia et morum similitudo facile
Gregorium coniunxit...Sed quamvis in eis par doctrina esset, non eandem
scribendi ratio erat: nam Paulus quidem oratione plurimum valebat,
Philippus pangendo carmini erat accomodatior. Itaque, Gregorium, [...]
prout cuiusque ferebat ingenium, alter versiculis, alter oratione
provocabat. Exercitationum vero ipsorum iudex accedebat episcopus.
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Nell’incontro in questione (cfr. cap. XIX) il Vergerio lodò le leggi di
Caronda che consigliavano di non contrarre un secondo matrimonio né a
chi era stato felice nel primo né a chi, al contrario, vi era stato infelice, sia
per non provocare di nuovo la fortuna sia per non rischiare di ripetere la
disgrazia. Gregorio di Sanok la pensava invece diversamente, mentre il
Vitéz, che doveva essere l’arbitro della disputa, non si pronunciò, e il
giudizio rimase “inter pocula”.
Alcuni studiosi, basandosi sulle parole eodem tempore, ritennero che
quest’incontro fosse effettivamente avvenuto presso il vescovo di Várad
János Vitéz. Ma il Vitéz, come detto, fu promosso vescovo nel 1445,
quando il Vergerio era già morto, mentre il Podocataro nel 1444 si trovava
a Ferrara dal Guarino. È anche poco verosimile che l’incontro tra i quattro
sia avvenuto prima del 1444, anno presunto della morte del Vergerio,
perché il Podocataro era ancora un adolescente. Quindi l’eodem tempore
potrebbe riferirsi a un periodo ben più ampio di tempo (dal 1440 al 1454)
in cui avvennero vari incontri, anche non simultanei, tra i quattro
protagonisti del “symposion” di cui ci racconta il Buonaccorsi.
Quest’ultima ipotesi sposta più in là nel tempo la data della morte del
Vergerio, in genere, ma non concordemente, fissata dagli studiosi al 1444.
A ogni modo, gli incontri tra il Vergerio e il Vitéz furono decisivi per lo
sviluppo dell’umanesimo in Ungheria: senza Pier Paolo Vergerio –
sostiene József Huszti – non si può spiegare l’esistenza come umanista di
János Vitéz e senza Vitéz non c’è Giano Pannonio; senza Vitéz e Pannonio
non esisterebbe neanche la corte di Mattia Corvino, né esisterebbe il
glorioso Quattrocento ungherese, oppure esisterebbe ma in altra maniera.
József Huszti rintraccia numerosi elementi della personalità del Vergerio
in János Vitéz: la serietà negli studi e nel comportamento, la fisionomia
intellettuale, la predilezione per l’epistolografia e l’oratoria, lo
sfruttamento del proprio talento e delle conoscenze umanistiche nella
politica. Inoltre, il Vergerio fu il primo “cancelliere” umanista che si
trasferì in Ungheria; il Vitéz fu il primo grande cancelliere umanista
ungherese. Insomma, il Vergerio deve esser stato per il Vitéz un maestro
di vita2.
Sul Vitéz cfr. anche i saggi contenuti in AA.VV, Vitéz János emlékkönyv [Libro in
memoria di Vitéz János], Esztergom 1990.
2
119
József Huszti è stato il primo studioso a supporre che il Vergerio
abbia donato o venduto la propria biblioteca al Vitéz, ipotesi in
seguito accetatta anche da altri studiosi. È noto che il capodistriano
era un appassionato bibliofilo: possedeva numerosi codici, alcuni dei
quali ereditati dall’amico Zabarella (diversi codici di Cicerone e
Plinio, nonché un buon numero di opere del Petrarca); ed è fuori di
dubbio che abbia portato con sé in Ungheria la propria biblioteca, la
quale ovviamente conteneva quei testi a lui utilissimi senza i quali
non si potrebbe spiegare la sua attività di traduttore in Ungheria. In
una delle biografie adespote sta scritto infatti: “Reliquit multos libros
grecos et latinos”. Sennonché, nel suo testamento, redatto il 4 maggio
1444 nella propria casa in presenza del pubblico notaio imperiale Pier
Paolo de Buionis, canonico di Albenga (Ziliotto 1906: 257-261), non si
fa alcun accenno alla sua biblioteca. Dato che non aveva avuto più
contatti con i parenti italiani è verosimile che dopo la sua morte i suoi
codici non siano finiti in Italia; forse alcuni li portò via con sè il
nunzio pontificio Giuliano Cesarini, anche lui bibliofilo come l’amico,
che aveva assistito nell’ultimo periodo della sua vita; senz’altro molti
libri rimasero in Ungheria per finire poi nelle mani dei Turchi. Quindi
– sostiene Huszti – gran parte dei libri del Vergerio finì nella casa del
Vitéz, che era notoriamente un divoratore di libri3. Questo fatto è di
cruciale importanza per la nascita dell’umanesimo magiaro, se è vero
che Pier Paolo Vergerio portò con sé in Ungheria la propria
biblioteca, cioè la prima grande raccolta di opere umanistiche che si
sia vista in Ungheria, cui faranno seguito quelle di János Vitéz, di
Giano Pannonio, e, infine, quella più famosa e prestigiosa del grande
Mattia Corvino.
Sulla biblioteca del Vergerio e del Vitéz cfr. anche K. Csapodi-Gárdonyi, Die
Bibliothek des Johannes Vitéz, Budapest 1984, pp. 18-28.
3
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