LA GIUSTIZIA CIVILE A MILANO, OGGI Luci ed ombre La giustizia
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LA GIUSTIZIA CIVILE A MILANO, OGGI Luci ed ombre La giustizia
LA GIUSTIZIA CIVILE A MILANO, OGGI Luci ed ombre La giustizia civile, per buona sorte estranea al chiasso concertato intorno a quella penale, ha da qualche tempo formato oggetto di importanti interventi legislativi, quali la riforma del processo civile; la istituzione del Giudice Unico; la modifica dell'art. 111 Cost.; la legge per la «definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'art. 12 della l. 3 ottobre 2001, n. 366» (d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 che _ salvo rinvii _ avrà vigore dal 1° gennaio 2004). A fianco di tali interventi non ne sono mancati altri più circoscritti ma anch'essi di sicuro rilievo. Si pensi all'istituzione delle Sezioni stralcio; alla previsione della delega ai Notai per le espropriazioni immobiliari; alla legge di attuazione dell'art. 106 Cost. per la nomina di professori universitari e di avvocati all'ufficio di consigliere di Cassazione; alla previsione di un'equa riparazione per la violazione del termine ragionevole del processo (c.d. Legge Pinto); al T.U. in materia di disposizioni di giustizia (d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115); al regolamento che disciplina l'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile (d.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123); alla legge di «attuazione della direttiva n. 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali» (d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231) che ha introdotto (all'art. 9) modiche anche al codice di procedura civile; ecc. Dei molti interventi del legislatore qualcuno naturalmente è apparso estemporaneo (si veda il c.d. «decreto legge salva-compagnie» dell'8 febbraio 2003, n. 18, relativo al giudizio di equità del Giudice di Pace, che ha suscitato reazioni polemiche da parte delle Associazioni di tutela dei consumatori); altri sono rimasti a metà strada (così il d.l. 11 novembre 2002, n. 251 che, nella parte in cui aveva decretato la soppressione dei Tribunali regionali delle acque pubbliche e del Tribunale superiore delle acque pubbliche, non è stato confermato dalla l. 10 gennaio 2003, n. 1 di conversione); altri ancora sono sembrati, all'origine, poco felici (quali la riforma del rito, la soppressione dell'ufficio di Pretura, la istituzione delle Sezioni stralcio; l'istituzione del contributo unificato): con il tempo tuttavia molte cose sembrano avviate a entrare a regime. Oltre agli interventi del legislatore, è giusto ricordare l'opera della Corte costituzionale e, in particolare, la recente nota sentenza (n. 522 del 6 dicembre 2002) con la quale è stata (finalmente) dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 66 del T.U. sull'imposta di registro nella parte in cui non prevede che i cancellieri e i segretari degli organi giurisdizionali debbano rilasciare _ anche prima ed indipendentemente dall'assolvimento dell'obbligo fiscale _ copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale «che debba essere utilizzato per procedere all'esecuzione forzata». Solo la Consulta poteva finalmente liberare i cittadini da un intralcio che, specialmente per l'inefficienza degli uffici del registro, rinviava paradossalmente nel tempo l'esecuzione di sentenze per legge dichiarate provvisoriamente esecutive. A fronte delle innovazioni cui si è accennato, un primo provvisorio bilancio dei loro effetti con riferimento alla giustizia civile milanese può essere tracciato non tanto e solo alla luce delle statistiche ufficiali (alle quali peraltro è doveroso fare riferimento) quanto al lume della concreta esperienza di chi quotidianamente svolge la propria attività professionale nel nostro Palazzo di Giustizia. Il giudizio di cognizione ordinario. Apprendiamo dalla «Relazione inviata dal Presidente del Tribunale di Milano al Presidente della Corte d'appello di Milano» per l'occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2003 che, con riferimento al settore civile, «il ricorso al giudice, nel periodo 1° luglio 2001-30 giugno 2002, è diminuito in modo significativo rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno. Il numero complessivo degli affari sopravvenuti si è infatti attestato a n. 52.922, rispetto a n. 56.450 del periodo precedente, con una diminuzione di n. 3.528 unità. La litigiosità si è manifestata in modo differente nei diversi settori, facendo registrare un elevato aumento nella materia del lavoro (n. 1.171 pratiche in più rispetto allo scorso periodo; da n. 9.154 a n. 10.325) e in quelle del diritto di famiglia (n. 719 pratiche in più; da 8.153 a 8.872) e una consistente diminuzione nelle cause a cognizione ordinaria (n. 5.554 pratiche in meno; da 28.093 a 22.539)... Al beneficio della diminuzione delle cause ordinarie sopravvenute si è aggiunto quello della contrazione del carico complessivo di quelle pendenti, essendo state definite, tra il 1° luglio 2001 e il 30 giugno 2002, n. 26.178 cause a fronte di n. 22.539 introdotte nello stesso periodo, cosicché alla data del 30 giugno 2002 erano pendenti n. 48.269 cause civili; 3.639 in meno rispetto a quelle pendenti al 30 giugno 2001 (51.908)». Per quanto concerne la durata media del processo civile (dato particolarmente rilevante anche alla luce dell'art. 111 Cost. e del relativo richiamo alla «ragionevole durata» del processo), dalla «Relazione inviata dal Presidente Vicario della Corte d'appello di Milano al Procuratore Generale di Milano», sempre in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2003, si evince che «la situazione nel Distretto della Corte d'appello di Milano appare, grazie all'apporto fattivo di tutti gli operatori del settore, sicuramente apprezzabile in termini quantitativi e temporali. Nel 2001, infatti, a fronte di una durata media del processo civile che, a livello nazionale, è stata di giorni 645 per le Corti d'appello, 623 per i Tribunali e 206 per i Giudici di pace, il dato si attesta per i rispettivi uffici del distretto milanese rispettivamente a 565, 354 e 90 giorni». Vale aggiungere che, dai dati del Ministero di giustizia - Direzione Generale Statistica, risulta che nel 2001 la durata media in giorni dei processi civili davanti alla Corte d'appello di Milano ha subito una leggera diminuzione rispetto ai dati del 2000 (durata media: 571 giorni) mentre il confronto tra i medesimi due anni registra un leggero incremento della durata dei processi pendenti avanti il Tribunale (nel 2000: 333 giorni) e avanti il Giudice di Pace (nel 2000: 62 giorni). Il noto aforisma di George Bernard Shaw («Esistono cinque categorie di bugie: la bugia semplice; le previsioni del tempo; la statistica; la bugia diplomatica e il comunicato ufficiale») potrebbe far dubitare dell'utilizzabilità di dati statistici, ancor più se messi a confronto con la concreta esperienza quotidiana (chi volesse approfondire la complessa materia, troverà interessanti materiali all'indirizzo Internet: www.giustizia.it/statistiche/statistiche_dog/2001/studi_analisi.htm). E tuttavia è constatazione realistica che l'entrata a regime della riforma del processo civile e dell'istituzione del Giudice Unico ha inciso sulla durata del processo. I maggiori poteri concessi al Giudice (anche se, nel relativo impiego, una certa flessibilità non guasterebbe); le severe preclusioni processuali; la soppressione dei meri rinvii; la maggiore sensibilità dei magistrati migliori al tema della «ragionevole durata» del processo; il ricorso più frequente a strumenti informatici nella stesura dei provvedimenti hanno contribuito a dare ai procedimenti tempi più ragionevoli. Rimane comunque netta la sensazione che una durata media di 354 giorni per una causa civile di primo grado rimane solo un obbiettivo e neppure molto prossimo. La verità è che anche ulteriori interventi normativi o la ventilata «privatizzazione» del «servizio giustizia» non varrebbero a risolvere il problema della lunghezza del processo senza una minore passività dei vari «attori»: così, per fare solo qualche esempio, già adesso nulla vieta che fin dalla prima udienza venga disposta C.T.U. medico-legale nelle cause per sinistri stradali dove controverso è solo il quantum e che i consulenti tecnici d'ufficio, in ritardo nel deposito degli elaborati peritali, siano automaticamente sostituiti in mancanza di motivate e tempestive giustificazioni; l'udienza fissata per gli incombenti di cui all'art. 183 c.p.c. (spesso ridotta a mera formalità) ben potrebbe essere eletta a sede di una vera e propria trattazione orale della causa (disincentivando, pur senza comprimere i diritti di difesa, la richiesta di termini inutili ex art. 183 u.c. c.p.c.); allo stesso modo l'udienza ex art. 184 c.p.c. potrebbe essere riservata all'effettiva discussione orale delle istanze istruttorie con decisione immediata, e non riservata, del Giudice; la precisazione delle conclusioni dovrebbe essere fissata fin dalla prima udienza quante volte la causa lo consenta; si dovrebbe riconoscere alla concessione, fin dalla prima udienza, della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo ex art. 648 c.p.c. in caso di opposizioni palesemente dilatorie o comunque di lunga indagine il ruolo di importante strumento anticipatorio; si dovrebbe rendere più efficiente e rapido il meccanismo della riunione tra i giudizi (che oggi richiede mesi!) anche per scoraggiare la prassi delle cause in prevenzione promosse dai debitori; si dovrebbe potenziare la forma di decisione della causa prevista dall'art. 281-sexies c.p.c. (l'art. 186-quater c.p.c. non ha trovato praticamente applicazione); si dovrebbe dare applicazione effettiva all'art. 96 c.p.c. per disincentivare le cause palesemente dilatorie e comunque liquidare le spese in misura meno irrisoria, ancor più in presenza di cause ingiustificate. Certo tutto questo comporta un maggiore impegno di tutti: da parte degli avvocati, i quali devono intervenire alle udienze preparati a discutere oralmente la causa e non inviare persone poco informate; da parte dei Giudici, i quali devono conoscere le cause non solo quando sono chiamati a deciderle così da essere sempre in grado di dialogare con difensori e parti conoscendo e non invece ignorando le carte. Per quanto concerne, infine, l'atto conclusivo del giudizio e cioè la sentenza, dalle statistiche ufficiali risulta che «i termini di deposito dei provvedimenti sono generalmente rispettati, come risulta dai dati statistici in base ai quali il 92% dei provvedimenti della Corte d'appello è depositato entro 60 giorni e il 5% entro 90 giorni, con percentuali simili, rispettivamente, del 93% e del 4% per i provvedimenti collegiali dei Tribunali e con percentuali di poco inferiori per i provvedimenti del giudice monocratico, rispettivamente 84% e 10%. Comunque, va sottolineato che oltre il 70% dei provvedimenti della Corte d'appello e dei provvedimenti collegiali dei Tribunali ed oltre il 65% dei provvedimenti del giudice monocratico sono depositati entro i trenta giorni» (cfr. la Relazione inviata dal Procuratore Generale f.f. presso la Corte d'appello di Milano al Procuratore Generale presso la Suprema Corte di cassazione in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2003). Sicuramente il diffondersi dell'uso del computer nella redazione delle sentenze e la prassi della precisazione delle conclusioni mediante separati fogli poi inseriti nella sentenza hanno determinato una riduzione dei tempi rispetto al non lontano passato. Non può però tacersi che la nostra esperienza mal si concilia con i dati sopra riprodotti, forse anche a causa dei gravissimi ritardi (nell'ordine di alcuni mesi) nella comunicazione dei dispositivi delle sentenze da parte degli Ufficiali Giudiziari. La nota positiva riguarda, come si è detto, la drastica riduzione dei tempi necessari per conseguire le copie esecutive o le copie autentiche «ad uso impugnazione» delle sentenze a seguito della ricordata decisione della Corte costituzionale che, svincolando il rilascio delle copie dal pagamento dell'Imposta di registro, ha fatto venire meno la necessità di attendere i notevoli tempi per la liquidazione dell'imposta e il relativo pagamento. Già in precedenza, peraltro, il T.U. sulle spese di giustizia (all'art. 278) aveva eliminato la necessità di trasmettere all'Ufficio del Registro gli originali degli atti soggetti a tassazione (dovendosi trasmettere, fino all'attivazione delle procedure di trasmissione telematica, solo le copie autentiche degli atti), sopprimendo così i (lunghi) tempi di trasferimento degli atti da un ufficio all'altro. Ci sia consentito a questo punto un modestissimo e banale suggerimento che comporterebbe però un'agevolazione nel lavoro quotidiano di avvocati e personale di cancelleria. Se fosse possibile indicare già nell'avviso di deposito della sentenza il complessivo numero di pagine della stessa, il personale dell'ufficio sentenze in occasione del rilascio delle copie non dovrebbe procedere ogni volta al conteggio delle pagine e gli utenti potrebbero calcolare preventivamente il costo delle copie (che dipende dal numero delle pagine), premunendosi così delle relative marche per diritti di cancelleria. Il procedimento monitorio. In occasione del convegno «Anno 2000: giustizia e burocrazia» che si è tenuto il 1° marzo 1999 presso l'Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Milano a cura dell'Associazione Nuova Professione Avvocato (gli atti sono stati editi da M&B Publishing nel 1999), il Prof. Morris Ghezzi, docente di Sociologia del diritto presso l'Università di Como, evidenziò come, tra le principali esigenze giudiziarie del mondo dell'impresa, vi fosse quella del rapido ed efficace recupero dei crediti. E, se è noto che i ritardi nei pagamenti cagionano danni soprattutto alle piccole e medie imprese, non tutti sanno che, secondo le stime della Commissione Europea (cfr. Il Sole-24 Ore del 19 maggio 2000), il 25% dei fallimenti di aziende comunitarie, con la conseguente perdita di circa 450 mila posti di lavoro, sono causati da ritardi nei pagamenti delle fatture. Al fine di meglio tutelare il credito commerciale, il legislatore, in attuazione della direttiva n. 2000/35/CE, ha tra l'altro disposto che il Giudice, adito con ricorso per ingiunzione, deve emettere il decreto ingiuntivo «entro trenta giorni dal deposito del ricorso» (art. 9 d.lgs. n. 231/2002). La direttiva, premesso che «le conseguenze del pagamento tardivo possono risultare dissuasive soltanto se accompagnate da procedure di recupero rapide ed efficaci per il creditore», aveva disposto (all'art. 5) che «gli Stati membri assicurano che un titolo esecutivo possa essere ottenuto, indipendentemente dall'importo del debito, di norma entro 90 giorni di calendario dalla data in cui il creditore ha presentato un ricorso o ha proposto una domanda dinanzi al giudice o altra autorità competente, ove non siano contestati il debito o gli aspetti procedurali. Gli Stati membri assolvono a tale obbligo secondo le rispettive disposizioni legislative, regolamentari e amministrative». Chi si era illuso che la legge avrebbe avuto attuazione ha dovuto ricredersi. Pur senza pretesa di offrire un campione significativo, segnaliamo la seguente scansione di date relativa a tre recenti procedimenti monitori: i) data presentazione ricorso: 5 dicembre 2002 - data emissione decreto: 17 gennaio 2003 - data deposito decreto: 24 febbraio 2003; ii) data presentazione ricorso: 16 dicembre 2002 - data emissione decreto: 3 febbraio 2003 - data deposito decreto: 6 marzo 2003; iii) data presentazione ricorso: 4 febbraio 2003 - data emissione decreto: 3 aprile 2003 - data deposito decreto: 29 aprile 2003. Poiché, come è noto, il decreto ingiuntivo viene ad esistenza (e comunque si rende disponibile per l'estrazione delle copie) solo con il relativo deposito in cancelleria, è evidente che il termine di trenta giorni imposto dal legislatore rimane scritto nel grande libro delle riforme inattuate. Ove poi si considerino i tempi necessari per conseguire la copia del decreto ingiuntivo in forma esecutiva, allora siamo veramente lontani dalla previsione dei 90 giorni di cui alla citata direttiva europea! Chi scrive ha recentemente sperimentato questo iter procedimentale: deposito del ricorso per ingiunzione: 29 maggio 2002; deposito del decreto ingiuntivo: 4 luglio 2002; richiesta notificazione del decreto ingiuntivo: 24 luglio 2002; richiesta dichiarazione esecutorietà ex art. 647 c.p.c.: 28 ottobre 2002; dichiarazione di esecutorietà ex art. 647 c.p.c.: 18 marzo 2003; liquidazione imposta di registro da parte dell'Ufficio: 14 maggio 2003. Come si vede, ad un anno dal deposito del ricorso per ingiunzione, non è stato ancora possibile _ pur in assenza di opposizione _ disporre del titolo esecutivo! Né si tratta di un caso eccezionale visto che, da avviso affisso presso la Cancelleria dei decreti ingiuntivi del nostro Tribunale, risulta che sono attualmente (maggio 2003) disponibili le formule esecutive relative a decreti ingiuntivi registrati nel dicembre 2002! Dopo la già ricordata sentenza della Corte costituzionale è ora possibile ottenere il rilascio della copia esecutiva del decreto senza la previa registrazione e tuttavia non si vede perché chi preferisca provvedere al pagamento dell'Imposta di Registro prima del rilascio del titolo esecutivo per poter chiedere il rimborso dell'Imposta già nell'atto di precetto, debba pagare il pedaggio di un'ulteriore dilatazione dei tempi. I procedimenti di esecuzione forzata. Per quanto concerne le espropriazioni mobiliari, duole dover constatare che si tratta di materia trascurata dai recenti interventi di riforma talché, purtroppo, non si riscontrano miglioramenti nei tempi e, soprattutto, negli esiti delle procedure (va però riconosciuto che, a differenza del passato, i rinvii d'ufficio delle udienze ex art. 547 c.p.c. nelle esecuzioni presso terzi, sono più contenuti). Per quanto concerne, invece, le esecuzioni immobiliari «è proseguito in modo costante il lavoro diretto ad eliminare l'arretrato di oltre 11.000 procedure esistente a metà del 2000. Le procedure immobiliari, ammontanti a 10.789, alla data del 30 giugno 2001, erano ridotte a 9.102 alla data del 30 giugno 2002 (1.696 in meno)» (così la già citata relazione del Presidente del Tribunale di Milano). A consentire il raggiungimento di questo rilevante risultato è stato senz'altro determinante il contributo dei notai _ come ha osservato il Presidente del Tribunale nella ricordata relazione _ con un incremento delle vendite di quattro volte rispetto a quello del periodo precedente. Ma un contributo parimenti importante è stato fornito (peraltro con la collaborazione del Consiglio Notarile di Milano) dalla Commissione per i rapporti tra Magistratura ed Avvocatura (Sottocommissione Esecuzione Immobiliari) che è riuscita ad instaurare una prassi idonea a: i) ridurre le udienze; ii) potenziare la pubblicità facoltativa utilizzando, oltre ai tradizionali strumenti cartacei, anche quelli telematici (ottenendo così una maggiore partecipazione da parte di comuni cittadini alle aste _ non più territorio riservato ai soliti noti _ con benefici effetti anche sull'incremento dei prezzi di aggiudicazione); iii) standardizzare alcuni atti della procedura, consentendo un notevole risparmio di tempi e di attività. Seguendo tale esempio, la fruttuosa collaborazione tra i vari protagonisti del «servizio giustizia» (incluso anche il benemerito personale di cancelleria) dovrebbe trovare applicazione anche alle altre branche della giustizia civile al fine di ovviare _ anche senza necessità di norme ulteriori ma con il buon senso e l'esperienza dei «pratici» _ a quegli inconvenienti che allontanano dalla Giustizia i cittadini che spesso ne avrebbero maggior bisogno. Secondo una recente indagine dell'ISTAT (cfr. «Il rapporto dei cittadini con la giustizia civile e le forme alternative di risoluzione delle controversie» dell'11 dicembre 2002), il 58% della popolazione italiana ritiene che il sistema giudiziario non sia in grado di risolvere le cause civili con tempi e costi accettabili e tale percentuale arriva ad un allarmante 80% se si considerano i cittadini che hanno avuto diretta esperienza di una causa civile. La maggioranza dei cittadini continua comunque a riporre fiducia nell'amministrazione della Giustizia (solo il 43,2% si è dichiarato disponibile a rivolgersi a forme alternative alla giustizia ordinaria: dati ISTAT citati) ma proprio per questo ogni sforzo va fatto per dare la sensazione a tutti che le cose stanno cambiando e il nostro Paese potrà lasciare gli ultimi posti che attualmente occupa in Europa. SALVATORE MORVILLO MATTEO SOVERA avvocati in Milano