il diritto del popolo di dio: i fedeli le persone e le associazioni nella
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CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE ANNO ACCADEMICO 2011-2012 PROF. P A T R I C K V A L D R I N I IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA (Appunti per il Corso 20103) Alcuni canoni in lingua italiana saranno citati nelle dispense (traduzione non approvata solo ad usum privatum). Sarà però necessario usare il Codice di diritto canonico in lingua latina e in lingua italiana (traduzione approvata) durante il corso. (Indirizzo del Professore: Casa Paolo VI, via della Scrofa, 70, 00186 Roma, tel. Portineria 06 698 619) 1 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 INDICE DEL CORSO 20103 I. LE PERSONE NEL CIC DEL 1983 A) Persona, fedele e appartenenza alla Chiesa Cattolica. a) Fedele, cristiano, Ecclesia Christi ed Ecclesia cattolica. b) Can. 96: condizioni d’esercizio dei doveri e diritti o quidem eorum condicione. c) Can. 96: condizioni d’esercizio dei doveri e diritti o quatenus in ecclesiastica sunt communione. d) Can. 96: condizioni d’esercizio dei doveri e diritti o nisi obstet lata legitime sanctio. e) I catecumeni. B) I doveri e i diritti di tutti i fedeli. a) Stato delle persone e organizzazione della Chiesa. b) Distinzione chierici-laici e organizzazione della Chiesa. c) Quadro d’esercizio dei doveri e diritti. d) Fedeli e pastori nell’esercizio dei doveri e diritti. e) Libertà e diritti protetti specificamente dalla Chiesa. f) Doveri nei confronti della Chiesa. C) I doveri e i diritti dei fedeli laici. a) Fedeli, laici e chierici. b) La missione dei laici. c) Diritti e doveri dei laici. D) I ministri consacrati o chierici. a) La formazione dei chierici. b) Incardinazione e escardinazione dei chierici. c) Doveri e diritti dei chierici. d) Perdita dello stato clericale. II. LE PERSONE GIURIDICHE E LE COMUNITÀ ASSOCIATIVE a) Le associazioni di fedeli. b) Associazioni private e pubbliche nel CIC del 1983. c) Le associazioni private. d) Le associazioni pubbliche. e) Categorie d’associazione. 2 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 PREMESSA Le lezioni sui fedeli commentano i canoni del libro II del CIC 1983, cioè i cc. 204-293 (si aggiunge il Can. 96 del libro I – Norme generali - sull’acquisizione dello statuto di persona fisica) e i cc. 298-329 del CIC 1983. Contengono la legislazione codiciale sul diritto di tutti i fedeli, sui fedeli laici, sui ministri sacri o fedeli chierici e sulle associazioni di fedeli. È la seconda parte del corso dedicato al “Diritto del Popolo di Dio” (corso 20103). La prima parte commentava i canoni sulla “Costituzione gerarchica della Chiesa” (corso 2010 e dispense). I canoni sui fedeli che “medianti voti o altri vincoli, riconosciuti e sanciti dalla Chiesa, … sono consacrati a Dio” (Can. 207 § 2) sono commentati nel corso 20106. Nel corso sui fedeli, saranno menzionati i canoni del CCEO corrispondenti ai canoni del Codice latino, tenendo presente che un corso della facoltà è dedicato loro (corso 20117). Il corso sui fedeli è fondamentale per tre motivi principali: a) Un motivo istituzionale che riguarda l’acquisizione dello statuto di persona o di fedele della Chiesa cattolica e le sue conseguenze. Si tratta delle questioni di libertà di aderire alla Chiesa e degli statuti che ricevono le persone che, essendo battezzate, non sono membri della Chiesa cattolica (membri delle Chiese e comunità ecclesiali che non sono in comunione con la Chiesa cattolica), della libertà di abbandonare o di perdere lo statuto di membro in comunione con la Chiesa cattolica. Mentre il diritto canonico definisce gli statuti stabili (in senso giuridico della parola) nell’ordinamento ecclesiale, condizione essenziale perché sia esercitata la giurisdizione ecclesiastica sui membri, i legami tra fedeli e Chiesa o tra fedeli e comunità che fanno parte della sua organizzazione (diocesi, parrocchie…) diventano meno stabili (in senso sociologico della parola) a causa della mobilità delle persone, della debolezza dei legami istituzionali e del modo individuale di concepire l’appartenenza alla Chiesa. b) Un secondo motivo di natura filosofico-giuridica riguarda la nozione di diritti e doveri dei fedeli, cioè lo statuto e le capacità giuridiche delle persone diventate fedeli. Tutte le società moderne descrivono i diritti e doveri dei loro cittadini e, per la maggior parte, 3 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 riconoscono i diritti dell’uomo. Ma, riguardo la Chiesa e il suo ordinamento, si deve chiedere se i fedeli membri della Chiesa cattolica godano degli stessi doveri e diritti che hanno i cittadini o sono diversi o altri, al punto di parlare di uno statuto specifico dei fedeli diversi da quello del cittadino delle società politiche civili. Verrà affrontata la questione della libertà del fedele nell’ordinamento canonico, della sua autonomia, dello suo spazio di azione nei confronti dei titolari della potestà di governo. Poi saranno presentati gli insiemi di doveri e diritti delle due categorie di fedeli, laici e chierici, che saranno anche da capire a partire del loro senso rispetto all’acquisizione di statuti specifici accanto a quello di fedele. c) Il terzo motivo di natura ecclesiologica interessa la questione sempre presente della natura cioè del carattere specifico della Chiesa cattolica come società organizzata e regolata dal diritto. La sua finalità è la “salvezza delle anime” per la quale riceve dal Cristo una funzione mediatrice della grazia di Dio da esercitare e vivere nella storia (LG 8). Perciò ciò che studieremo durante il corso sarà naturalmente collegato con gli altri libri del CIC 1983, soprattutto il diritto dell’organizzazione della chiesa (posto e ruolo delle persone con i loro statuti diversi nelle comunità gerarchiche), ma il corso avrà sempre come domanda di fondo, senza trattarla esplicitamente, la questione molto dibattuta tra canonisti ed ecclesiologi del fondamento del diritto canonico o della sua natura particolare accanto agli ordinamento giuridici statuali. I. Le persone nel CIC del 1983 1. Le persone nel CIC del 1917. Il libro II del CIC del 1917 (De personis) inizia direttamente dal Can. 87 che definisce l’origine della personalità giuridica nella Chiesa, cioè il battesimo. Can. 87. Baptismate homo constituitur in Ecclesia Christi persona cum omnibus christianorum iuribus et officiis, nisi, ad iura quod attinet, obstet obex, ecclesiasticae communionis vinculum impediens, vel lata ab Ecclesia censura. Poi, si limita ad una esposizione dei diversi elementi che trasformano la condizione canonica delle persone fisiche (età, 4 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 domicilio, consanguineità, affinità, rito) delle categorie di persone morali, della legislazione sugli atti giuridici e, senza transizione, al Can. 107, dichiara che per istituzione divina, ci sono nella Chiesa chierici distinti dai laici e che gli uni e gli altri possono essere religiosi. Can. 107. Ex divina institutione sunt in Ecclesia clerici a laicis distincti, licet non omnes clerici sint divinae institutionis; utrique autem possunt esse religiosi. Nel CIC 1917, la presentazione della legislazione sulle persone era processionale (Beyer). L’uomo diventa persona dal battesimo. Poi ci sono tre categorie fondamentali di persone nella Chiesa, nell’ordine, i chierici, i religiosi e i laici. Per un lungo tratto di 379 canoni, si presenta la legislazione sui chierici. Segue un insieme di 195 canoni destinati ai religiosi. Alla fine, vengono i laici che beneficiano in questa parte di 53 canoni, di cui 51 che trattano delle associazioni. Di fatto due li riguardano in senso proprio: uno per stabilire il loro diritto fondamentale di ricevere dal clero i beni spirituali necessari alla loro salvezza, l’altro per proibire loro di portare l’abito clericale. La presentazione del libro II del CIC 1917 è rivelatrice1. La presentazione delle persone è fatta non solo gerarchicamente ma, come ha notato la commissione di revisione del Codice, offre un’ottica stratificata delle relazioni tra le persone. I chierici sono pastori, votati alle funzioni sacre, i laici sono oggetti dell’azione dei pastori, i religiosi si trovano in un piano intermedio tra i chierici e i laici. Questa considerazione dà ragione ai giudizi spesso severi nei confronti di questo Codice che viene accusato di presentare un’ immagine della Chiesa fatta in primo luogo dal clero. La “sistematica” del libro fa apparire la supremazia del chierico e mette in risalto il rapporto d’ineguaglianza che lega le persone. Il criterio d’organizzazione della legislazione consiste, innanzitutto, nel mettere da un lato coloro che esercitano una missione ufficiale nella Chiesa e dall’altro coloro che non lo possono fare. Appaiono qui le conseguenze di 1 Liber secundus. De personis (CIC 1917). Pars prima. De clericis (379 canoni). Sectio i. de clericis in genere. Sectio ii. de clericis in specie. Pars secunda. de religiosis (195 canoni). Pars tertia. de laicis (53 canoni). 5 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 una costruzione dell’insieme legislativo in riferimento alle tesi del diritto pubblico ecclesiastico del XIX secolo, che fondavano tra i membri una disuguaglianza, considerando la Chiesa come una società giuridicamente perfetta (societas iuridice perfecta)2, in cui coloro che governavano godevano nei confronti degli altri delle tre potestà: legislativa, giudiziaria e esecutiva. 2. Il CIC del 1983. In rapporto al CIC del 1917, il CIC del 1983 presenta il diritto delle persone in modo rinnovato. Il titolo del libro II, Il Popolo di Dio, ripreso dal titolo della Costituzione conciliare del Vaticano II sulla Chiesa, indica già che questo diritto è presentato come parte dell’insieme istituzionale, al quale queste persone appartengono e che formano. Il piano del libro e la sua sistematica, vale a dire il modo secondo il quale la materia è organizzata, sono rivelatori di una concezione dei rapporti giuridici tra le persone. La legislazione tratta, innanzitutto, cioè all’inizio del libro II, dei fedeli (statuto e obblighi e diritti), designazione giuridica dei battezzati, poi dei laici (obblighi e diritti) e alla fine dei chierici (obblighi e diritti). I membri degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica, quelli che il Can. 207 presenta come quelli che, “con la professione dei consigli evangelici mediante voti o altri vincoli sacri sono consacrati a Dio, chiamati anche “religiosi”, avranno un posto particolare dopo il titolo dedicato alle associazioni e il diritto della costituzione gerarchica della Chiesa, in rapporto alla loro specificità nella Chiesa (cc. 573 e succ.). Confrontando l’indice del libro I del CIC 1917, si avverte un cambiamento assai importante. Vedere sotto l’indice del libro II del CIC 1983: 2 Nel suo commentario, il più autorevole su questa parte del CIC 1917, G. Michiels – era professore del Pontificio Istituto Romano Utriusque Iuris - inizia la sua presentazione della legislazione così: “cum Ecclesia sit societas perfecta visibilis externa ordinis supernaturalis, a Christo Domino positive instituta ideoque propriis normis, ab ipso Fundatore positis, ordinata, ad Eam nemo pertinere potest, neque proindi, juxta antea dicta “persona” esse “in ea”, seu capax jurium et officiorum huic societati praecisive propriorum subjectum, nisi adimpleat conditiones ad hoc a Christo statutas”. G. Michiels, Principia generalia de personis in Ecclesia. Commentarius libri II Codicis juris canonici. Canones praeliminares 87-106, Edito altera, Desclée et socii, 1955, p. 13. Nel CIC del 1917 e nei suoi commenti, è messo in rilievo il carattere di codice di diritto pubblico della societas perfecta ecclesiastica. Il can. 87 fa parte del libro sulle persone (de personis) del CIC 1917 che contiene canoni che, nel codice del 1983 saranno raggruppati nel libro primo sulle norme generali e distaccati da un nuovo libro sulle persone (infra p. 38 e succ.). 6 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Libro II Il Popolo di Dio Parte I I fedeli cristiani Titolo I. Obblighi e diritti di tutti i fedeli Titolo II. Obbglighi e diritti dei fedeli laici. Titolo III. I ministri sacri o chierici .../… Parte II La costituzione gerarchica della Chiesa Parte III Gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica La novità di questa presentazione concerne sia in una strutturazione diversa dell’insieme dei canoni sulle persone, che nell’introduzione di una legislazione riguardante il fedele come tale, statuto antecedente alla distinzione tra le tre categorie di fedeli. Lo statuto è assente formalmente dal CIC del 1917. Dà al diritto delle persone nel CIC 1983 un referente obbligatorio antecedente ad ogni categoria giuridica. Inoltre, oggetto di novità, mentre i redattori hanno tenuto un canone essenziale per lo statuto di persona nel libro I sulle norme generali (il Can. 96 che corrisponde al Can. 87 del CIC 1917) e i canoni generali che concernono le condizioni dell’esercizio delle capacità ricevute nel battesimo (i cc. 97-112 CIC 1983 che corrispondono ai cc.88-98 del CIC 1917), la legislazione sulle categorie di persone (obblighi e diritti dei chierici, laici e religiosi) è stata inserita in un libro specifico sulle persone distinto dalle norme generali3. Ogni commento del CIC 1983 mette in risalto questo fatto nuovo. Però rimangono valide e sempre attuali le domande sull’interesse del nuovo indice che chiaramente cambia l’indice del CIC 1917 ma ne sembra ancora molto dipendente. Sappiamo che l’indice del CIC è stato discusso al momento della revisione del Codice. C’erano due correnti principali: la prima voleva riprendere la sistematica della Lumen Gentium e inserire un primo libro dal titolo De christifidelibus et eorum statu in Ecclesia, definendo gli statuti dei fedeli, laici, chierici e religiosi tenendo conto del loro contesto ecclesiologico specifico nella Chiesa particolare e universale; l’altra voleva costruire il CIC sul binomio Parola e sacramento, consentendo, in un primo libro dedicato al battesimo e alla cresima, di trattare dello statuto dei laici e religiosi e, in un secondo libro, di trattare dell’ordine, quindi, dei chierici e 3 Il CCEO ha scelto un’altra presentazione senza che appaiano chiaramente le ragioni della ripartizione tra i titoli. Ricordo che non è diviso in libri ma in titoli. Il titolo I è dedicato ai fedeli e ai loro obblighi e diritti. Poi la legislazione che fa parte delle norme generali del CIC 1983 è posta ai titoli XIX, XX XXI e XXIX. 7 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 della struttura gerarchica della chiesa. Il CCEO ha scelto un modo assolutamente diverso nel presentare la materia. Inizia dallo statuto dei fedeli, poi viene presentata l’organizzazione delle chiese sui iuris, poi vengono i canoni sui chierici, i laici, i monaci e gli altri religiosi e membri degli altri istituti di vita consacrata, le associazioni di fedeli e, più avanti, i canoni di profilo giuridico riguardanti le persone fisiche4. A. Persona, Fedele e appartenenza alla Chiesa Cattolica a) Fedele, cristiano, Ecclesia Christi ed Ecclesia Cattolica. Can. 204 - § 1. I fedeli sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi nel modo loro proprio dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione giuridica propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo. § 2. Questa Chiesa, costituita e ordinata nel mondo come società, sussiste nella Chiesa Cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui. ** Can. 204 - § 1. Christifideles sunt qui, utpote per baptismum Christo incorporati, in populum Dei sunt constituti, atque hac ratione muneris Christi sacerdotalis, prophetici et regalis suo modo participes facti, secundum propriam cuiusque condicionem, ad missionem exercendam vocantur, quam Deus Ecclesiae in mundo adimplendam concredidit. §2. Haec Ecclesia, in hoc mundo ut societas constituta et ordinatasubsistit in Ecclesia catholica, a successore Petri et Episcopis in eius comunione gubernata. Nel Can. 204, il termine fedele è usato in un senso specifico. Questo canone, probabilmente tra i più fondamentali di tutto il Codice, apre il Libro II. Non è proprio destinato alla presentazione del diritto riguardante la condizione giuridica delle persone in generale, come fanno i canoni 96-123 del libro sulle norme generali (età, uso della ragione, legame delle persone a un territorio, consanguineità, affinità, appartenenza a una chiesa rituale), ma lo statuto delle categorie di fedeli (doveri e diritti)5. Il canone definisce uno statuto comune ai battezzati che appartengono alla Chiesa, acquisito nel battesimo o atto sacramentale fonte dello statuto del fedele. Il Can. 204 descrive le due conseguenze giuridiche fondatrici dello statuto dei fedeli inerenti al suo statuto di battezzato: 1) 4 Un libro spiaga le scelte dei redattori del CIC 1983 che consiglio di leggere perché è di un grande aiuto per capire quanto la legislazione vigente è il risultato di compromessi tra i componenti delle commissioni di revisone del CIC 1917. J. Beyer, Dal Concilio al Codice. Il nuovo Codice e le istanze del Concilio Vaticano II, EDB, 1984, pp. 139. 5 LEF 8 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 l’appartenenza alla Chiesa popolo di Dio. È la conseguenza di un primo effetto del battesimo che, in termini teologici, ripresi dal canone, si presenta come l’incorporazione al Cristo, testa e unità del corpo che egli costituisce con tutti i battezzati o Popolo di Dio costituito da Cristo. 2) La capacità derivante dall’incorporazione a Cristo di esercitare la missione affidata a tutto il corpo come partecipazione alle funzioni di Cristo: funzione sacerdotale, funzione profetica e funzione regale. Vedere alcuni brani del Catechismo della Chiesa cattolica: 1267: Il Battesimo ci fa membra del Corpo di Cristo. “Siamo membra gli uni degli altri” (cf. Ef 4,25 ). Il Battesimo incorpora alla Chiesa. Dai fonti battesimali nasce l'unico popolo di Dio della Nuova Alleanza che supera tutti i limiti naturali o umani delle nazioni, delle culture, delle razze e dei sessi: “In realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo” (cf. 1Cor 12,13 ). 1268: I battezzati sono divenuti “pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo” (cf. 1Pt 2,5 ). Per mezzo del Battesimo sono partecipi del sacerdozio di Cristo, della sua missione profetica e regale, sono “la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui” che li “ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce” (cf.1Pt 2,9 ). Il Battesimo rende partecipi del sacerdozio comune dei fedeli. 1269: Divenuto membro della Chiesa, il battezzato non appartiene più a se stesso, [cf. 1Cor 6,19 ] ma a colui che è morto e risuscitato per noi [cf. 2Cor 5,15 ]. Perciò è chiamato a sottomettersi agli altri, [cf. Ef 5,21; cf. 1Cor 16,15-16 ] a servirli [cf. Gv 13,12-15 ] nella comunione della Chiesa, ad essere “obbediente” e “sottomesso” ai capi della Chiesa, [cf. Eb 13,17 ] e a trattarli “con rispetto e carità” [cf. 1Ts 5,1213 ]. Come il Battesimo comporta responsabilità e doveri, allo stesso modo il battezzato fruisce anche di diritti in seno alla Chiesa: quello di ricevere i sacramenti, di essere nutrito dalla Parola di Dio e sostenuto dagli altri aiuti spirituali della Chiesa [Cf ConCan. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 37; cf. Codice di Diritto Canonico, 208-223; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 675, 2]. Appartenenza alla Chiesa e capacità di partecipare alla missione costituiscono l’essere cristiano. Il modo tripartito di presentazione delle funzioni del Cristo, entrato nella teologia cattolica nel XVIII secolo, poi usato dall’enciclica Mystici corporis di Pio XII, è stato ripreso dal Concilio Vaticano II6. Ogni fedele, in virtù della sua appartenenza alla Chiesa, esercita la missione affidata a tutta la Chiesa e ciò nell’ordine delle tre funzioni, l’insegnamento quando 6 Per quelli che vogliono studiare l’origine e l’evoluzione della presentazione tripartita delle funzioni di Cristo (e che sanno leggere il tedesco), vedere Ludwig Schick, Das Dreifache Amt Christi und der Kirche. Zur Enststehung und Entwicklung det Trilogien, Verlag Peter Lang GMBH, Frankfurt am Main, Berna, 1982, p. 180 (Pontificia Università Gregoriana. Facultas iuris canonici). 9 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 dovrà cooperare in diversi modi all’annuncio della Parola di Dio (munus docendi), la santificazione, particolarmente attraverso la vita sacramentale (munus sanctificandi) ed infine il disegno di raccolta dell’umanità nell’unità di cui fa parte la funzione di governo della Chiesa (munus regendi). Il Libro II del CIC del 1983 descrive i doveri e i diritti concreti, di cui il fedele è titolare e che mettono in opera questa capacità. Il legame tra Chiesa Cattolica e fedele emerge dal contenuto del Can. 204 disposto in due paragrafi: nel primo sono descritti i due elementi costitutivi della nozione di fedele che abbiamo riportato sopra (appartenenza alla Chiesa e partecipazione alle funzioni di Cristo); il secondo paragrafo stabilisce che, se il battesimo è ricevuto nella Chiesa Cattolica o se le persone già battezzate sono ricevute in Essa, cioè nella Chiesa di Cristo realizzata pienamente nella Chiesa Cattolica, le persone sono dette, secondo l’uso del termine nel CIC, battezzate nella Chiesa Cattolica (Can. 11). Il CIC 1983 le chiama anche “cattoliche” cioè persone che hanno ottenuto, mediante il battesimo, lo statuto di persona nella Chiesa Cattolica nella quale sussiste la Chiesa di Cristo7. 2. Persona, cristiano e fedele. Il Can. 96 del libro sulle norme generali contiene un’altra descrizione del legame tra battesimo e acquisizione di uno statuto giuridico nella Chiesa senza che il canone usi il termine fedele (è stato giustamente accennato dalla dottrina che il Can. 204 e il Can. 96 sono stati redatti da gruppi diversi al momento della redazione degli schemi del CIC). Di fatto, il CCEO non ha un canone corrispondente al Can. 96 del CIC della Chiesa latina, ma ha solo ripreso il Can. 204 nel suo Can. 7. Can. 96 - Mediante il battesimo l’uomo è incorporato alla Chiesa di Cristo e in essa è costituito persona, con i doveri e i diritti che ai cristiani, tenuta presente la loro condizione, sono propri, in quanto sono nella comunione ecclesiale e purché non si frapponga una sanzione legittimamente inflitta. ** Can. 96. Baptismo homo Ecclesiae Christi incorporatur et in eadem constituitur persona, cum officiis et iuribus quae christianis, attenta quidem eorum condicione, sunt propria, quatenus in ecclesiastica sunt communione et nisi obstet lata legitima sanctio. Si parla intanto esplicitamente dell’acquisizione, in diritto, di una personalità giuridica nella Chiesa di Cristo (in essa costituito persona) fondata sulla ricezione del sacramento del battesimo. Non 7 (vedere lo studio di P. Erdö, Il cattolico, il battezzato e il fedele in piena comunione con la Chiesa Cattolica. Osservazioni circa la nozione di “cattolico” nel CIC (a proposito dei cc. 11 e 96), in Periodica, 86, 1997, p. 213-240). 10 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 c’è una differenza tra il Can. 96 e il Can. 204 riguardante il contenuto. Invece, lo stile del Can. 96 è più giuridico e lo stile del Can. 204 più ecclesiologico. Il Can. 96 parla dell’uomo che, incorporato alla Chiesa di Cristo, riceve lo statuto di persona fisica distinto dallo statuto di persona giuridica (personalità), e acquisisce i doveri e i diritti dei cristiani (capacità giuridica). Il Can. 204 descrive, invece, lo statuto del fedele, equivalente a quello descritto dal Can. 96 (l’uomo battezzato diventa persona fisica che è detta fedele), presentando esplicitamente gli effetti del battesimo rispetto alla missione della Chiesa nell’ordine dei tria munera (la persona fisica, o fedele, riceve una capacità giuridica o è titolare di doveri e diritti da esercitare come partecipazione ai munera docendi, santificandi e gubernandi della Chiesa). Stante i due approcci diversi dei canoni, il Can. 96 è comunque necessario accanto al Can. 204: dice che le conseguenze giuridiche dell’esercizio della capacità del battezzato possono essere diverse, cioè, la capacità giuridica essendo acquisita, la capacità di esercitare o capacità di agire doveri e diritti nella Chiesa è diversa secondo la condizione di ognuno, quidem eorum condicione (1), secondo il loro rapporto alla comunione della Chiesa, quatenus in ecclesiastica sunt communione (2) e secondo le eventuali sanzioni che sono state inflitte loro, nisi obstet lata legitime sanctio (3). La dottrina classica distingueva la capacità giuridica di esercitare doveri e diritti acquisita radicaliter (o la capacità uguale acquisita da ogni battezzato validamente) e la capacià giuridica diversa nei battezzati o acquisita actualiter, cioè dipendente dalle condizioni o circostanze nelle quali è esercitata (capacità più o meno estesa o ristretta). Bisogna imparare a memoria alcune parole o espressioni essenziali dal contenuto diverso: battezzato, fedele, capacità giuridica, capacià di agire radicaliter e actualiter. b) Condizioni d’esercizio dei doveri e diritti. Can. 96: quidem eorum condicione (tenuta presente la loro condizione). L’inciso rinvia ai canoni che riguardano le circostanze, sempre qualificate giuridicamente, che affettano lo statuto delle persone fisiche e degli statuti diversi dei fedeli. Il CIC parla di condizione giuridica o canonica senza dare indicazioni utili per definirla (la stessa espressione esiste nel Can. 204: secondo la condizione propria di ciascuno). Non si tratta della sola capacità giuridica d’esercitare i doveri e i diritti dei fedeli, ricevuta nel battesimo e legata radicaliter allo statuto di persona, fondamento indelebile 11 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 della condizione canonica (quando la persona è stata battezzata nella Chiesa Cattolica o in una Chiesa o comunità ecclesiale che non è in comunione con la Chiesa Cattolica). Si tratta dell’insieme delle situazioni giuridiche o canoniche che determinano l’esercizio di doveri e di diritti (capacità di agire): a) lo statuto di fedele o battezzato nella Chiesa cattolica con i doveri e diritti descritti nei cc. 208-223 (vedere infra p. 30 e succ.); b) uno dei tre stati fondamentali dei fedeli, chierici, laici o membro di un istituto di vita consacrata che comportano doveri e diritti specifici Can. 207 (vedere infra p. xxx e succ.); c) una situazione canonica dovuta a fatti e atti giuridici, legislativi o amministrativi, che determinano l’uso di doveri e diritti e che si aggiungono alle due determinazioni precedenti (ad esempio: sacerdote/parroco, laico/membro di un istituto secolare, chierico/membro di un istituto di vita consacrata/ membro di un’associazione pubblica/ cappellano, laico nello stato matrimoniale…). Non è possibile togliere il battesimo, il quale è indelebile, e neanche la capacità d’esercitare i doveri e i diritti. Invece, il diritto consente che sia determinato in via generale (legislativa) o modificato in via individuale (amministrativa) il loro esercizio o l’estensione della loro titolarità in funzione delle diverse situazioni nelle quali si trovano le persone. Così si crea la condizione canonica di una persona. La condizione può essere imposta dal diritto (ad es. diritto determinante lo statuto dei chierici, cf cc. 233-289) o dovuta a un titolare della potestà di governo (ad. es. nomina di un laico a un ufficio ecclesiastico, Can. 1421 § 2 ) o scelta da una persona stessa (ad es. appartenenza a una comunità associativa, cf. Can. 298). A proposito dei fatti giuridici che determinano l’uso di doveri e diritti, vedere il corso sulle “norme generali”, Libro I, Can. 97-112: in modo generale, il CIC determina quattro condizioni concernenti la personalità canonica, modificandola, diminuendola ed accrescendola: a) L’età: l’età determina l’applicazione di un buon numero di canoni del CIC, notoriamente nel diritto penale e processuale. Di qui l’importanza concessa alle regole che riferiscono alla maggiore età e quelle che presentano i doveri e i diritti spettanti ai minori. Secondo il CIC, la persona è maggiorenne a 18 anni compiuti. Il bambino (infans) è il minore che non ha raggiunto l’età di 7 anni. E a questa età che è raggiunta l’età della ragione. Il minore dipende dall’autorità genitoriale o da un tutore, salvo eccezione derivante dal diritto divino stesso e dal diritto canonico. Le regole sottostanti alla nomina, alla costituzione, alla determinazione dei loro diritti, devono essere prese dal diritto civile del paese, salvo il caso in cui il diritto canonico ne decidesse altrimenti. Per ragioni di opportunità valutate in modo discrezionale, il vescovo potrebbe stabilire regole proprie. b) Il domicilio e il quasi domicilio: La determinazione del domicilio o del quasi domicilio e l’importanza di un insieme di disposizioni concernenti la residenza delle persone fisiche (Can. 100-107) sono rese necessarie in virtù della carica pastorale, per la quale la Chiesa ricerca la stabilità. Ad esempio: la 12 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 determinazione delle regole di competenza per i tribunali. Quelle che riguardano i soggetti di atti giuridici come nel caso di leggi emanate in un territorio, quelle riferite all’esercizio del governo o il diritto di eleggere o ancora la validità e la somministrazione dei sacramenti sono legate allo stato della persona secondo il luogo dove si trova. La distinzione tra domicilio e quasi domicilio si basa sull’intenzione della persona che si traduce in una determinazione diversa del tempo in cui vuole risiedere in un dato luogo. Si parla di domicilio e si dà ad una persona il nome di incola, quando questa risiede in un luogo da cinque anni, salvo imprevisti, in modo definitivo. Si parla di quasi domicilio quando la persona, chiamata questa volta advena, risiede in un luogo da tre mesi con l’intenzione, salvo imprevisti, di risiedervi tre mesi. Coloro che sono fuori dal loro domicilio o dal loro quasi domicilio, ma lo conservano, sono detti forestieri e coloro che non hanno né domicilio né quasi domicilio, sono detti girovaghi. Lo scopo di questa condizione canonica è descritto nel Can. 107, che designa per ognuno il proprio parroco e il proprio ordinario. Il Codice conserva, per l’esercizio della giurisdizione ecclesiastica, una prevalenza stretta della territorialità nell’organizzazione della Chiesa latina, soprattutto nella costituzione di queste istituzioni; poiché esistono parrocchie e diocesi non territoriali, il diritto canonico mantiene il principio dell’acquisizione di un domicilio o di un quasi domicilio mediante la residenza in un territorio. Le persone che appartengono a diocesi o a parrocchie personali dipendono per l’esercizio della carica personale dal loro parroco o vescovo, ma acquistano un domicilio o quasi domicilio nei quali risiederanno. I membri degli istituti religiosi e delle Società di vita apostolica, in virtù della forma di vita stabile che la Chiesa riconosce loro e dell’incorporazione di cui beneficiano, acquistano domicilio e quasi-domicilio in un modo particolare (Can.103). Pur dipendendo dai loro superiori, vale a dire i propri Vescovi ordinari, il luogo in cui è situata la casa nella quale dimorano, è il loro domicilio, e la casa nella quale risiedono temporaneamente, determina l’acquisizione del quasi-domicilio. Il Codice definisce anche le regole d’acquisizione di un domicilio o quasi-domicilio quando non si verifica. Il Codice definisce anche le regole d’acquisizione di un domicilio o quasi-domicilio quando non si verifica il criterio di residenza in un luogo: per i minori e coloro che sono posti sotto tutela o curatela (Can.105): domicilio o quasi-domicilio non dipendono dal loro luogo di residenza. Acquistano quello della persona a cui il minore è affidato o quello del tutore o curatore. Dopo 7 anni, il minore può acquistare un quasi-domicilio o, emancipato secondo il diritto, un domicilio. Riguardo ai coniugi (Can.104), la regola è quella del domicilio o quasi-domicilio comune; tuttavia in caso di separazione o per una giusta causa, ognuno potrebbe avere un proprio domicilio o quasi-domicilio. c) Consanguineità, affinità e adozione. La condizione canonica delle persone dipende anche dai loro reciproci legami. Questi legami sono innanzitutto quelli di sangue (Can.108). Dal secolo VIII, il diritto canonico basava la determinazione della consanguineità sul modo di calcolo o computo germanico. Con il codice del 1983, è reintrodotto il computo romano, usato prima del secolo VIII. Contandosi la consanguineità mediante linee e gradi, essa viene stabilita in linea retta contando tanti gradi quante sono le generazioni, escluso il capostipite. In linea collaterale, s’applica lo stesso principio: escludendo il capostipite, si addizionano le due linee contando tanti gradi quante sono le persone. L’affinità in sè non comporta legami di sangue, ma viene da una parentela acquisita. Nasce da un matrimonio valido, anche non consumato, creando legami tra il marito e i consanguinei della moglie e viceversa. Infine, i legami che nascono dall’adozione sono determinati dalla legge civile in vigore nel paese, cosicché i figli adottivi, secondo la legge civile, sono considerati come figli legittimi di coloro che li hanno adottati. d) L’iscrizione a una Chiesa rituale. La condizione canonica delle persone differisce secondo la loro appartenenza alla Chiesa latina o ad una delle chiese orientali unite a Roma. Il Codice del 1917 parlava di “diversi riti cattolici” (Can.98). Il Codice del 1983 parla di Chiese rituali autonome (Can.111-112). L’espressione è più ricca ed evita il rischio di confusione inerente al termine stesso, abitualmente applicato nella Chiesa latina a riti liturgici diversi dal rito latino, come lo erano il rito ambrosiano a Milano o il rito gallicano e, all’interno del rito latino stesso, a pratiche liturgiche particolari. La Chiesa rituale 13 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 autonoma determina un’appartenenza, di cui il battesimo è l’origine, che comporta gli effetti giuridici, legati alla condizione delle persone che appartengono a queste chiese. Il carattere determinante del battesimo si evidenzia nella regola del Can.112 §2 : l’uso anche prolungato di ricevere i sacramenti secondo il rito di una Chiesa rituale autonoma non comporta l’iscrizione a questa chiesa. Peraltro, si può notare che non è più il rito nel quale è celebrato il battesimo che determina la Chiesa rituale autonoma d’appartenenza come era il caso secondo il Codice del 1917, ma piuttosto il diritto stesso che prescrive a quale Chiesa rituale autonoma il battezzato debba essere scritto. c) Can. 96: condizioni d’esercizio dei doveri e diritti o quatenus in ecclesiastica sunt communione (in quanto sono nella comunione ecclesiastica). 1. Dal CIC 1917 al CIC del 1983. Le persone possono usare i doveri e diritti per i quali hanno ricevuto la capacità giuridica in quanto sono nella comunione ecclesiastica. Questo modo di parlare dell’esercizio più o meno esteso dei doveri e diritti riferito alla comunione è nuovo nella legislazione della Chiesa. Nel canone corrispondente al CIC del 1917, si diceva che un uomo, tramite il battesimo, era costituito persona nella Chiesa, a meno che un obex ecclesiasticae communionis vinculum impediens, vale a dire un ostacolo giuridico, non impedisse il legame di comunione ecclesiastica (Can. 87 CIC 1917). L’obex esisteva non appena si riceveva il battesimo in un’altra Chiesa o in un’altra comunità non cattolica come le comunità protestanti o le Chiese ortodosse (impediente il vincolo della comunione) o, dopo la ricezione del battesimo nella Chiesa Cattolica, con una sanzione di scomunica da parte dell’autorità per eresia, apostasia o scisma. L’obex non toglieva i diritti ricevuti (radicaliter) nel battesimo, ma il loro uso (actualiter) per motivo di scomunica cioè, nel senso della nozione del CIC del 1917, di esclusione dalla communio fidelium. Secondo il Can. 12 del vecchio Codice, però, quelli che non erano battezzati nella Chiesa Cattolica erano sottomessi alle leggi ecclesiastiche sulla scia dell’affermazione del Concilio di Trento: “haereticis Ecclesias subditi sunt e legibus ecclesiasticis tenentur” (cc. 7 e 8). La questione è stata affrontata in un modo diverso soprattutto dopo la pubblicazione dell’enciclica di Pio XII Mystici corporis del 29 giugno 1943. Essa esprime ufficialmente lo sforzo della dottrina ecclesiologica di mettere in risalto l’idea di Chiesa Corpo mistico per superare l’assimilazione della Chiesa a una società, quindi la riduzione del criterio di appartenenza alla Chiesa a un legane giuridico. Pur affermando comunque che la Chiesa Cattolica 14 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 romana è il Corpo di Cristo, affronta la questione dell’appartenenza alla Chiesa dichiarando: (Enciclica Mystici corporis, n. 21, testo latino in AAS, 35, 1943, p. 202: In realtà, tra i membri della Chiesa bisogna annoverare esclusivamente (reapse) quelli che ricevettero il lavacro della rigenerazione, e professando la vera Fede, né da se stessi disgraziatamente si separarono dalla compagine di questo Corpo, né per gravissime colpe commesse ne furono separati dalla legittima autorità. "Poiché — dice l’Apostolo — in un solo spirito tutti noi siamo stati battezzati per essere un solo corpo, o giudei o gentili, o servi, o liberi" (I Cor. XII, 13). Come dunque nel vero ceto dei fedeli si ha un solo Corpo, un solo Spirito, un solo Signore e un solo Battesimo, così non si può avere che una sola Fede (cfr. Eph. IV, 5), sicché chi abbia ricusato di ascoltare la Chiesa, deve, secondo l’ordine di Dio, ritenersi come etnico e pubblicano (cfr. Matth. XVIII, 17). Perciò quelli che son tra loro divisi per ragioni di fede o di governo, non possono vivere nell’unita di tale Corpo e per conseguenza neppure nel suo divino Spirito). Come scrive R. Coronelli: “Per quanti non appartengono all’organismo della Chiesa, e quindi non possono oggettivamente godere della pienezza dei doni e degli aiuti spirituali che essa mette a disposizione dei suoi membri, si afferma un non meglio precisato legame di ordinazione inscio quodam desiderio ac voto al Corpo mistico del Redentore, che mentre da un lato implica una reale distanza dall’essere membro effettivo della Chiesa, dall’altro suggerisce l’esistenza di un certo qual rapporto con la Chiesa stessa per ogni uomo che perviene alla salvezza; ciò che è sufficiente a salvaguardare il rispetto della tradizionale opinione extra Ecclesiam nulla salus o della salvezza mediante la Chiesa”8. Il testo dell’enciclica sarà l’inizio di una nuova ricerca nel campo canonico, in coincidenza con gli studi ecclesiologici, per trattare della questione dello statuto giuridico delle persone che non sono esclusivamente (reapse) membri della Chiesa. Ad esempio, W. Onclin dichiarò che ci sono due appartenenze: l’una alla società ecclesiastica, alla quale aggrega il battesimo; l’altra al Corpo mistico che può non essere realizzata perché manca degli elementi essenziali, cioè perché l’incorporazione alla Chiesa non è piena. Mörsdorf pure distinse l’appartenenza di un membro della Chiesa dovuta al battesimo (Konstitutionelle Gliedschaft) e l’appartenenza di fatto (tätige Gliedschaft) a causa dei legami che hanno con gli 8 R. Coronelli, Linee di sviluppo della dottrina in tema di appartenenza alla Chiesa: dal CIC/1917 al CIC/1983 in Periodica, 89, 2000, p. 211: L’Enciclica affronta anche il problema dell’appartenenza dei peccatori alla Chiesa. Sono realmente membri della Chiesa, ma deboli (vedere ibid, p. 212). 15 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 elementi del Corpo mistico9. Dopo il Concilio Vaticano II, è la Lumen gentium e altri testi conciliari ad avere ispirato il nuovo vocabolario usato nel Can. 96 del CIC del 1983 (“in quanto sono nella comunione della Chiesa”). Esso esprime l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, che consente di descrivere la Chiesa come una comunione e tenta di discostarsi da un approccio troppo giuridico all’istituzione ecclesiale, pur affermando che essa è una società (LG, 8). 2. Casi dei fedeli che hanno ricevuto il battesimo in un’altra Chiesa o in una comunità ecclesiale non cattolica. Non sono nella piena comunione della Chiesa coloro che hanno ricevuto validamente il battesimo in un'altra Chiesa o una comunità ecclesiale non cattolica. Infatti, dopo il Concilio Vaticano I, il CIC non considera più come responsabili di una divisione, quindi scismatici o eretici (scomunicati), i cristiani nati in comunità la cui scissione con la Chiesa Cattolica è consumata e con la quale cerca d’intrattenere relazioni ecumeniche. UR, 3. In questa Chiesa di Dio una e unica sono sorte fino dai primissimi tempi alcune scissioni (15), condannate con gravi parole dall'Apostolo (16) ma nei secoli posteriori sono nate dissensioni più ampie, e comunità considerevoli si staccarono dalla piena comunione della Chiesa Cattolica, talora per colpa di uomini di entrambe le parti. Quelli poi che ora nascono e sono istruiti nella fede di Cristo in tali comunità, non possono essere accusati di peccato di separazione, e la Chiesa Cattolica li circonda di fraterno rispetto e di amore. Coloro infatti che credono in Cristo ed hanno ricevuto validamente il battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa Cattolica. Sicuramente, le divergenze che in vari modi esistono tra loro e la Chiesa Cattolica, sia nel campo della dottrina e talora anche della disciplina, sia circa la struttura della Chiesa, costituiscono non pochi impedimenti, e talvolta gravi, alla piena comunione ecclesiale. Al superamento di essi tende appunto il movimento ecumenico. Nondimeno, giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo (17) e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa Cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore (Vedere in allegato tutto il brano e altri della LG). 9 Vedere G. Michiels, Principia …, op. cit. p. 22, nota 1. Espone la tesi di Mörsdorf ma nota che il vocabolario utilizzato , cioè membrum della Chiesa non è quello del Can. 87 del CIC 1987. Esso aggiunge comunque che“ ad normam canonis 87 sane Baptismate homo radicitus constituitur in Ecclesia Christ persona e fit Ecclesiae Catholicae subditus, non autem Ecclesiae membrum “. Compare che la Mystici Corporis introduce un modo ecclesiologico di determinare lo statuto di membro appartenente alla Chiesa. Michiels insite sul fatto che l’atto di eresia, scisma ed apostasia è verificato externe et formaliter. Quindi non è, dice, il carattere delittuoso che porta all’obex ma il fatto materiale-oblectivum della separazione (ibid., p. 23). 16 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Il Can. 205, direttamente ripreso dalla Cost. Lumen gentium dell’ultimo concilio, descrive la piena comunione come un’unione con Cristo nell’insieme visibile della Chiesa, mediante i legami della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico, che sono “i beni” che Cristo ha lasciato alla Chiesa come mezzi di salvezza. Can. 205 - Su questa terra sono nella piena comunione della Chiesa Cattolica quei battezzati che sono congiunti con Cristo nella sua compagine visibile, ossia mediante i vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico ** Can. 205. Plene in communione Ecclesiae catholicae his in terris sunt illi baptizati, qui in eius compage visibili cum Christo iunguntur, vinculis nempe professionifidei sacramentorum et ecclesiastici regiminis. L’Ecclesia Christi sussiste nella Chiesa Cattolica e al di fuori della Chiesa Cattolica. Dove si è ricevuto il battesimo valido, si trovano elementi di santificazione. Mediante il battesimo, l’uomo appartiene alla Chiesa (incorporato) e riceve una capacità di esercitare doveri e diritti, ma c’è una graduazione nell’appartenere alla compagine visibile della Chiesa Cattolica (in piena comunione o non in piena comunione) secondo il riconoscimento dei tre vincoli necessari per raggiungere la salvezza e presenti nella Chiesa Cattolica (vedere lo statuto diverso e da non confondere dei fedeli che sono nella piena comunione, ma che non sono in comunione perfetta, Can. 916). In conseguenza, lo statuto dei cristiani che non sono nella piena comunione della Chiesa Cattolica comporta, a causa della “comunione non piena”, non più la sottomissione a tutte le leggi ecclesiastiche (Can. 11 CIC 1983) come voleva il CIC del 1917 (Can. 12 CIC 1917), ma, oltre la sottomissione al diritto divino e al diritto naturale, doveri e diritti specifici (capacità di agire): Can. 869 § 2, Can. 844, Can. 874 § 2, Can. 463 § 3, Can. 383 § 3, 528 § 1, Can. 825, Can. 1124-1129, Can. 1170, Can. 118310. CAN. 11: Alle leggi puramente ecclesiastiche sono tenuti i battezzati nella Chiesa Cattolica o in essa accolti, e che godono di sufficiente uso di ragione e, a meno che non sia disposto espressamente altro dal diritto, hanno compiuto il settimo anno. CAN. 11. Legibus mere ecclesiasticis tenentur baptizati in Ecclesia catholica vel in eandem recepti, quique sufficienti rationis usu gaudent et, nisi aliud iure expresse caveatur, septimum aetatis annum expleverunt. 10 Per persona giuridica acattolica, vedere P. Gismondi, La capacità giuridica degli acattolici, in Acta Congressus internationalis iuris canonici (Romae, in aedibus Pont. Universitatis Gregorianae 25-30septembris 1950), Officium Libri Catholici, Romae, 1953, p. 130-145 (Ephemerides Iuris Canonici). 17 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 3. Casi dei fedeli battezzati nella Chiesa cattolica che non sono nella piena comunione. Non sono più nella piena comunione della Chiesa i fedeli battezzati nella Chiesa cattolica che sono stati dichiarati colpevoli di un delitto contro l’unità della Chiesa che separa dalla piena comunione. Il libro sulle sanzioni e il libro sulla funzione d’insegnamento presentano tre delitti che separano dalla piena comunione con la Chiesa (Can. 1364 § 1 e Can. 751) e comportano ipso facto la scomunica quando sono riunite le condizioni dell’applicazione e della dichiarazione delle pene (Can. 1321 e succ.): l’apostasia, vale a dire il rigetto totale della fede cattolica con un atto formale, l’eresia o l’ostinata negazione dopo la ricezione del battesimo di una verità che deve essere creduta di fede divina e cattolica o il dubbio ostinato su queste verità e lo scisma che consiste nel rifiutare la sottomissione al Pontefice Romano o la comunione con i membri della Chiesa che a lui sono sottomessi. Can. 751 - Viene detta eresia, l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa; apostasia, il ripudio totale della fede cristiana; scisma, il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti. Can. 1364 - § 1. L’apostata, l’eretico e lo scismatico incorrono nella scomunica latae sententiae, fermo restando il disposto del Can. 194, § 1, n. 2; il chierico inoltre può essere punito con le pene di cui al Can. 1336, § 1, nn. 1, 2 e 3. ** Can. 751. Dicitur haeresis, pertinax, post receptum baptismum, alicuius veritatis divina et catholica credendae denegatio, aut de eadem quintum saltem aetatis annum; qui matrimonio coniunctus est, schisma, subiectionis Summo Pontifici aut communionis cum Ecclesiae membris eidem subditis detrectatio. ** Can. 1364 §1. Apostata a fide, haereticus vel schismaticus in excommunicationem latae sententiae incurrit, firmo praescripto Can. 194, §1, n. 2; clericus praeterea potest poenis, de quibus in Can. 1336, §1, nn. 1, 2 et 3, puniri. Ogni delitto è conseguenza di un atto di volontà che manifesta nel foro esterno la negazione o il rifiuto volontario di uno dei legami d’unità nell’insieme visibile della Chiesa. In ragione di ciò, sono incorsi nella pena di scomunica, che può essere dichiarata, pena prevista in questi casi di delitto che li priva dell’uso dei loro doveri e diritti nella Chiesa Cattolica. La scomunica in quei casi allontana dalla piena comunione ecclesiastica (ma non è il caso della scomunica in quanto tale che può essere inflitta o dichiarata a 18 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 fedeli che rimangono nella piena comunione, vedere più avanti). I fedeli non sono più considerati come facenti parti della comunità dei fedeli, ma, mantenendo il loro statuto fondamentale di battezzati nella Chiesa Cattolica con capacità giuridica di esercitare (radicaliter) la missione affidata da Cristo (Can. 11), resta loro il diritto di ritornare nella comunione della Chiesa, dove potranno ritrovare il pieno esercizio (actualiter) dei doveri e diritti del loro statuto giuridico di fedele (capacità di agire) senza essere tenuti, come i battezzati in un’altra Chiesa o comunità non cattoliche ad essere ricevuti in essa. Il loro ritorno nella Chiesa corrisponderebbe, in effetti, alla rimozione della censura di scomunica (Can. 1354 e succ.) . d) Can. 96: condizioni d’esercizio dei doveri e diritti o nisi obstet lata legitime sanctio (purché non si frapponga una sanzione legittimamente inflitta). 1. Casi delle persone che hanno ricevuto una sanzione canonica (non per eresia, scisma o apostasia). Accanto alla scomunica per delitto contro l’unità della Chiesa che dà ad un fedele uno statuto specifico perché non è più nella piena comunione, possono essere inflitte o dichiarate dall’autorità altre sanzioni, che privino dell’uso di certi diritti e doveri (capacità di agire e non capacità giuridica). Le diminuzioni dello statuto giuridico del fedele gli impediscono di far uso di diritti e doveri come stabilisce il CIC nel Libro VI sulle pene: a) le censure o la scomunica, l’interdizione o la sospensione; b) le pene espiatore, o altre pene precisate in un precetto penale o di un giudice. Ci sono canonisti che estendono la parola sanzione ad altre decisioni fuori dell’applicazione del diritto penale, cioè disciplinari. In questo caso, sarebbero inserite nel concetto di sanzioni anche le decisioni che modificano l’uso dei doveri e diritti di una persona anche se non sono penali (ad.es. Can. 805, Can. 1741, 1°, Can. 193, Can. 305 § 1, Can. 974…). Sia che il termine “sanzione” abbia senso stretto o senso ampio, (noi siamo per il senso stretto a causa dell’importanza del Can. 96 che tratta della riduzione della capacità di agire), comunque le persone sono nella comunione della Chiesa con uno statuto specifico che impedisce di esercitare i doveri e i diritti della loro condizione canonica; anche scomunicate (tranne per eresia, apostasia o scisma), sono nella comunione della Chiesa. 19 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 2) Il dibattito sull’abbandono della Chiesa per un “atto formale”. (1) Dalla promulgazione del CIC del 1983 al M.P. Omnium in mentem di Benedetto XVI (15 dicembre 2009). Dopo la promulgazione del CIC, una discussione si è sviluppata in seno alla canonistica sul senso da dare: 1) all’espressione “atto formale” usata da tre canoni riguardanti la dispensa della forma canonica del matrimonio data a un battezzato, cioè tre eccezioni alla disposizione del Can. 11; 2) ad altre espressioni che affrontano i casi di abbandono della Chiesa Cattolica o di staccamento dalla comunione della Chiesa. I tre canoni riguardanti la forma della celebrazione del matrimonio canonico erano: (Testo dei tre canoni prima della modifica dal M.P Omnium in mentem del 15 dicembre 2009). Can. 1086 - § 1. E’ invalido il matrimonio tra due persone, di cui una sia battezzata nella Chiesa Cattolica o in essa accolta e non separata dalla medesima con atto formale, e l’altra non battezzata. Can. 1117 - La forma qui sopra stabilita deve essere osservata se almeno una delle parti contraenti il matrimonio è battezzata nella Chiesa Cattolica o in essa accolta e non separata dalla medesima con atto formale, salve le disposizioni del Can. 1127, § 2. Can. 1124 - Il matrimonio fra due persone battezzate, delle quali una sia battezzata nella Chiesa Cattolica o in essa accolta dopo il battesimo e non separata dalla medesima con atto formale, l’altra invece sia iscritta a una Chiesa o comunità ecclesiale non in piena comunione con la Chiesa Cattolica, non può essere celebrato senza espressa licenza della competente autorità. Gli altri canoni (6 canoni) che menzionano un distacco dalla Chiesa senza parlare di atto formale sono: (Il testo dei canoni che non è stato modificato dal M.P. Omnium in mentem del 15 dicembre 2009). Can. 171 - § 1. Sono inabili a dare il voto: 4° colui che si è staccato notoriamente dalla comunione della Chiesa. Can. 194 - § 1. E’ rimosso dall’ufficio ecclesiastico per il diritto stesso: 2° chi ha abbandonato pubblicamente la fede cattolica o la comunione della Chiesa; Can. 316 - § 1. Non può essere validamente accolto nelle associazioni pubbliche chi ha pubblicamente abbandonato la fede 20 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 cattolica, chi si è allontanato dalla comunione ecclesiastica e chi è irretito da una scomunica inflitta o dichiarata. Can. 694 - § 1. Si deve ritenere dimesso dall’istituto, per il fatto stesso, il religioso che: 1° abbia in modo notorio abbandonato la fede cattolica; Can. 1071 - § 1. Tranne che in caso di necessità, nessuno assista senza la licenza dell’Ordinario del luogo: 4° al matrimonio di chi ha notoriamente abbandonato la fede cattolica; Le espressioni sono molto diverse e non parlano di atto formale: distacco notorio dalla comunione, abbandono pubblico della fede cattolica o della comunione della Chiesa, allontanamento dalla comunione ecclesiastica, irritamento da una scomunica inflitta o dichiarata, abandono in modo notorio della fede cattolica. (2) Posizione nel 2006 del Pontificio Consiglio per i testi legislativi. Il Pontificio Consiglio per i testi legislativi non ha dato un’interpretazione autentica ma un parere sui canoni che erano difficili da interpretare e davano luogo a giurisprudenze diverse all’occasione di domanda di dichiarazioni di nullità di matrimoni. Secondo il parere, erano i tre delitti di eresia, di apostasia e di scisma che dovevano essere qualificati di “actus formalis defectionis ab Ecclesia catholica”, avendo conseguenze sullo statuto del fedele al momento della celebrazione del matrimonio. Questi tre casi erano considerati come distinti dai canoni in cui si parla dell’abbandono della fede cattolica e non riguardanti una perdita “formalmente individuabile” della comunione con la Chiesa Cattolica. I punti salienti della lettera sono: - Una considerazione sul testo del nuovo CIC 1983: il testo riconosce che l’actus defectionis ab Ecclesia è “un concetto nuovo nella legislazione canonica e diverso dalle altre modalità piuttosto “virtuali” (basate cioè su comportamenti) di abbandono “notorio” o semplicemente “pubblico” della fede (cfr. cann. 171, § 1, 4°; 194, § 1, 2°; 316, § 1; 694, § 1, 1°; 1071, § 1, 4° e § 2), circostanze in cui i battezzati nella Chiesa Cattolica o in essa accolti sono tenuti alle leggi meramente ecclesiastiche (cfr. Can. 11)”. - Una determinazione dei criteri per qualificare un atto di formale defectio dalla Chiesa: il Pontificio consiglio decise che “l’abbandono della Chiesa Cattolica perché possa essere validamente configurato come un vero actus formalis defectionis ab Ecclesia, anche agli 21 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 effetti delle concretizzarsi cattolica; b) decisione; c) competente di eccezioni previste nei predetti canoni, deve nella: a) decisione interna di uscire dalla Chiesa attuazione e manifestazione esterna di questa recezione da parte dell’autorità ecclesiastica tale decisione”. - Una riflessione sul contenuto dell’atto: “ un tale atto formale di defezione non ha soltanto un carattere giuridico-amministrativo (l’uscire dalla Chiesa nel senso anagrafico con le rispettive conseguenze civili), ma si configura come una vera separazione dagli elementi costitutivi della vita della Chiesa. Suppone quindi un atto di apostasia, eresia o scisma. - Una considerazione riguarda la forma dell’atto: a) “l’atto giuridicoamministrativo dell’abbandono della Chiesa di per sé non può costituire un atto formale di defezione nel senso inteso dal CIC, giacché potrebbe rimanere la volontà di perseverare nella comunione della fede. Deve trattarsi, pertanto, di un atto giuridico valido posto da persona canonicamente abile e in conformità alla normativa canonica che lo regola (cfr. cann.124-126). Tale atto dovrà essere emesso in modo personale, cosciente e libero. b) L’eresia formale o (ancor meno) materiale, lo scisma e l’apostasia non costituiscono da soli un atto formale di defezione, se non sono concretizzati esternamente e se non sono manifestati nel modo dovuto all’autorità ecclesiastica). c) Perché l’atto sia detto formale ( “si richiede … che l’atto venga manifestato dall’interessato in forma scritta, davanti alla competente autorità della Chiesa Cattolica: ordinario o parroco proprio, al quale unicamente compete giudicare l’esistenza o meno nell’atto di volontà del contenuto espresso”. - Una precisazione sui due elementi esterno e interno: Di conseguenza, soltanto la coincidenza dei due elementi – il profilo teologico dell’atto interiore e la sua manifestazione nel modo così definito – costituisce l’actus formalis defectionis ab Ecclesia catholica, con le relative sanzioni canoniche (cfr. Can. 1364, § 1). - Inoltre, come chiedono sempre le persone che rivendicano l’atto formale, il Pontifico Consiglio raccomanda all’autorità competente di provvedere “perché nel libro dei battezzati (cfr. Can. 535, § 2) venga fatta l’annotazione con la dicitura esplicita di avvenuta “defectio ab Ecclesia catholica actu formali”. 22 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 - Infine, il testo ribadisce un elemento teologico e canonico essenziale riguardante la portata giuridica dell’atto formale: “rimane, comunque, chiaro che il legame sacramentale di appartenenza al Corpo di Cristo che è la Chiesa, dato dal carattere battesimale, è un legame ontologico permanente e non viene meno a motivo di nessun atto o fatto di defezione. - In questi casi, la stessa autorità ecclesiastica competente provvederà perché nel libro dei battezzati (cfr. Can. 535, § 2) venga fatta l’annotazione con la dicitura esplicita di avvenuta “defectio ab Ecclesia catholica actu formali”. (3) Decisione del M.P. Omnium in mentem di Benedetto XVI del 15 dicembre 2009: la soppressione della menzione dell’atto formale nei canoni riguardanti il matrimonio. Alla fine del 2009, Benedetto XVI ha promulgato un M.P. che porta un cambiamento dei tre canoni che menzionavano l’atto formale con la conseguenza di dispensare della forma canonica del matrimonio. Dopo avere ricordato la competenza della suprema autorità della chiesa nell’approvare e definire i requisiti per la validità dei sacramenti, il papa invoca quattro motivi che segnano le difficoltà di applicazione dei tre canoni (117, 1086 e 1124). - Il primo motivo è “l’esperienza di questi anni (che) ha mostrato … che questa nuova legge ha generato non pochi problemi pastorali. Anzitutto è apparsa difficile la determinazione e la configurazione pratica, nei casi singoli, di questo atto formale di separazione dalla Chiesa, sia quanto alla sua sostanza teologica sia quanto allo stesso aspetto canonico.” - Il secondo motivo riguarda a) l’azione pastorale: “Infatti si osservava che dalla nuova legge sembravano nascere, almeno indirettamente, una certa facilità o, per così dire, un incentivo all’apostasia in quei luoghi ove i fedeli cattolici sono in numero esiguo, oppure dove vigono leggi matrimoniali ingiuste, che stabiliscono discriminazioni fra i cittadini per motivi religiosi”. b) La prassi dei tribunali davanti alla difficoltà dei “ritorni” dei battezzati che, dopo il fallimento di un primo matrimonio, desideravano contrarre un secondo matrimonio. - Il terzo e ultimo motivo veniva dall’applicazione dei canoni in concreto dai fedeli : “… omettendo altro, moltissimi di questi 23 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 matrimoni diventavano di fatto per la Chiesa matrimoni cosiddetti clandestini. Dopo consultazione delle conferenze episcopali e della Congregazione per la dottrina della fede, il papa ha deciso di abrogare l’eccezione alla norma generale del Can. 11, quindi di abolire la “regola introdotta nel corpo delle leggi canoniche attualmente vigente”: “Stabiliamo quindi di eliminare nel medesimo Codice le parole: “e non separata da essa con atto formale” del Can. 1117, “e non separata da essa con atto formale” del Can. 1086 § 1, come pure “e non separata dalla medesima con atto formale” del Can. 1124”. Il nuovo testo dei tre canoni è: (attenzione ! Se il vostro Codice è stato pubblicato prima del M.P. Omnium in mentem, non dimenticate di cambiare i canoni !!!!!) Can. 1086 - § 1. E’ invalido il matrimonio tra due persone, di cui una sia battezzata nella Chiesa Cattolica o in essa accolta e l’altra non battezzata. CAN. 1117 - La forma qui sopra stabilita deve essere osservata se almeno una delle parti contraenti il matrimonio è battezzata nella Chiesa Cattolica o in essa accolta, salve le disposizioni del Can. 1127, § 2. Can. 1124 - Il matrimonio fra due persone battezzate, delle quali una sia battezzata nella Chiesa Cattolica o in essa accolta dopo il battesimo, l’altra invece sia iscritta a una Chiesa o comunità ecclesiale non in piena comunione con la Chiesa Cattolica, non può essere celebrato senza espressa licenza della competente autorità. ** Can. 1086 § 1: Matrimonium inter duas personas, quarum altera sit baptizata in Ecclesia catholica vel in eandem recepta, et altera non baptizata, invalidum est. Can. 1117: Statuta superius forma servanda est, si saltem alterutra pars matrimonium contrahentium in Ecclesia catholica baptizata vel in eandem recepta sit, salvis praescriptis Can. 1127, § 2. ** Can. 1124: Matrimonium inter duas personas baptizatas, quarum altera sit in Ecclesia catholica baptizata vel in eandem post baptismum recepta, altera vero Ecclesiae vel communitati ecclesiali plenam communionem cum Ecclesia catholica non habenti adscripta, sine expressa auctoritatis competentis licentia prohibitum est. (4) Situazione dopo la promulgazione del M.P. Omnium in mentem. 1. Oggi l’atto formale di uscita dalla piena comunione della Chiesa Cattolica non è più menzionato nel CIC come caso consentendo la non imposizione dell’obbligo della forma canonica del matrimonio a battezzati nella Chiesa Cattolica. Secondo il Can. 11, tutti i battezzati nella Chiesa Cattolica (anche quelli, battezzati nella Chiesa Cattolica, che non sono più nella piena comunione per motivi di delitto di eresia, di apostasia o di scisma - che può essere 24 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 dichiarato - oppure sono oggetti di una sanzione che cambi l’esercizio dei doveri e diritti) sono tenuti ad osservare le leggi ecclesiastiche. Quindi, il CIC vigente non presenta più eccezioni all’obbligo del Can. 11 contrariamente ai 3 canoni del CIC prima della promulgazione del M.P. Omnium in mentem riguardanti la forma canonica del matrimonio (atto formale di uscita dalla Chiesa). 2. Rimangono solamente i canoni citati (5 canoni sopra p. 15) secondo i quali i casi di abbandono pubblico o notorio della fede cattolica o di distacco pubblico o notorio dalla comunione ecclesiastica portano conseguenze sullo statuto di una persona nella Chiesa (capacità di voto, esercizio dei doveri e diritti dell’ufficio, accettazione come membro di un associazione pubblica, diritto di rimanere in un istituto, diritto di assistere a un matrimonio). 3. I canoni si applicheranno nei casi previsti dal libro sulle sanzioni cioè i delitti dai quali risulta la perdita della piena comunione ecclesiastica. Si può dire che i delitti di apostasia, eresia e scisma sono atti formali pubblici di abbandono della fede cattolica o di distacco dalla comunione della Chiesa, i quali, quindi, sono indirettamente menzionati, senza l’affermazione della formalità. Se si tratterà, però, di una scomunica – dichiarata o non dichiaratala formalità sarà garantita dall’applicazione del libro sulle sanzioni. 4. Ma ci sono casi nei quali un fedele ha pubblicamente abbandonato la fede cattolica o si è distaccato notoriamente dalla comunione della Chiesa senza che sia formalmente sancito da una sanzione in applicazione dei cc. 1321 e succ. Ad esempio, quando un fedele è apostata, eretico o scismatico senza essere scomunicato perché non può essere punito (Can. 1323) o quando il delitto non è compiuto (Can. 1330). Sarà sempre difficile qualificare tali atti che possono essere solo atteggiamenti o dichiarazioni o volontà manifestata pubblicamente ma non oggetto di sanzione, che segnano un distacco dai tre vincoli di comunione. Il CIC vigente però prevede conseguenze canoniche nei 6 canoni menzionati (Can. 171 § 4, Can. 194 § 2, Can. 316 § 1, Can. 694 § 1, Can. 1071, §1). 25 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 c) I catecumeni. 1. Capacità del non battezzato. Il Can. 96 parla dell’uomo che diventa persona: attraverso il battesimo, l’essere umano è costituito come persona nella Chiesa di Cristo con gli obblighi e i diritti propri dei cristiani. La dottrina ha dibattuto sul punto per sapere se si potesse riconoscere uno statuto di persona nella Chiesa prima che uno fosse battezzato. Per la scuola laica italiana, alla metà del secolo scorso e nel commentare il Can. 87 del CIC del 1917 che, almeno su questo punto dice la stessa cosa del Can. 96 del CIC vigente, era ovvio che i non battezzati, senza essere membri della Chiesa Cattolica, dovessero essere riconosciuti come persone in virtù della loro condizione umana, come gli stranieri sono capaci di possedere e acquistare diritti soggettivi in un ordinamento nel quale non hanno lo statuto di cittadino. In questo caso, i non battezzati ricevono una capacità giuridica di personae extra Ecclesiam, cioè doveri e diritti, specifica opinione alla quale si opponevano alcuni canonisti. Ancora dopo la promulgazione del CIC del 1983, vi sono autori che riconoscono la personalità e la capacità di agire con titolarità di diritti prima che un uomo sia battezzato (ad es. G. Lo Castro). Una lettura del Can. 11 del CIC del 1983 consente di concludere che un uomo, non membro della Chiesa e, quindi, non essendo incorporato alla Chiesa di Cristo con i doveri e i diritti propri ai cristiani, è soggetto del diritto naturale. Inoltre, nel CIC vigente, il non battezzato è titolare di diritti: Can. 383 § 4, Can. 748 § 1 e Can. 771 § 2, Can. 771 § 2, Can. 1086, Can. 1142, Can. 1170, Can. 1476, ai quali si aggiunge il diritto alla libertà religiosa. Inoltre, vedremo più avanti il caso dei catecumeni. Non essere favorevole al riconoscimento della personalità dei non battezzati significa leggere il Can. 96 in modo stretto, restringendo l’applicazione del diritto canonico alla comunità creata dal battesimo e capace di vivere nel nuovo statuto dato dal sacramento. Una tale concezione riguarda la natura del diritto canonico e l’ampiezza della sua applicazione. 2. Uno statuto di catecumeno nella Chiesa. I catecumeni non sono persone fisiche nella Chiesa Cattolica e non ricevono una capacità giuridica come l’ottengono coloro che hanno ricevuto il battesimo da usare secondo la loro condizione giuridica. Ricevono, tuttavia, uno statuto giuridico particolare o speciale, perché la Chiesa li considera già come suoi (Can. 206). Non sono membri della Chiesa come dimostra il fatto che dovrebbero chiedere la 26 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 dispensa di disparità di culto se dovessero contrarre matrimonio con parte cattolica. Can. 206 - § 1. Per titolo particolare sono legati alla Chiesa i catecumeni, coloro cioè che, mossi dallo Spirito Santo, chiedono con intenzione esplicita di essere incorporati ad essa e di conseguenza, per questo desiderio, come pure per la vita di fede, di speranza e di carità che essi conducono, sono congiunti alla chiesa, che già ne cura come suoi. § 2. La Chiesa dedica una cura particolare ai catecumeni, e mentre li invita a condurre una vita evangelica e li introduce alla celebrazione dei riti sacri, già ad essi elargisce diverse prerogative che sono proprie dei cristiani. ** Can. 206- §1. Speciali ratione cum Ecclesia conectuntur catechumeni, qui nempe, Spiritu Sancto movente, explicita voluntate ut eidem incorporentur expetunt, ideoque hoc ipso voto, sicut et vita fidei, spei et caritatis quam agunt, coniunguntur cum Ecclesia, quae eos iam ut suos fovet. §2. Catechumenorum specialem curam habet Ecclesia quae, dum eos ad vitam ducendam evangelicam invitat eosque ad sacros ritus celebrandos introducit, eisdem varias iam largitur praerogativas, quae christianorum sunt propriae. A partire della legislazione del CIC del 1917, si poteva stabilire che i catecumeni beneficiavano di un certo statuto giuridico, senza che per questo fosse loro destinato un canone. Il Concilio Vaticano II ne parla esplicitamente, riconoscendo che essi sono uniti alla Chiesa e che deve essere chiaramente stabilito uno statuto giuridico: LG, 14: I catecumeni che per impulso dello Spirito Santo desiderano ed espressamente vogliono essere incorporati alla Chiesa, vengono ad essa congiunti da questo stesso desiderio, e la madre Chiesa li avvolge come già suoi con il proprio amore e con le proprie cure” (Lumen gentium 14). AG, 14: Coloro che da Dio, tramite la Chiesa, hanno ricevuto il dono della fede in Cristo (74), siano ammessi nel corso di cerimonie liturgiche al catecumenato. Questo, lungi dall'essere una semplice esposizione di verità dogmatiche e di norme morali, costituisce una vera scuola di formazione, debitamente estesa nel tempo, alla vita cristiana, in cui appunto i discepoli vengono in contatto con Cristo, loro maestro. Perciò i catecumeni siano convenientemente iniziati al mistero della salvezza ed alla pratica della morale evangelica, e mediante dei riti sacri, da celebrare successivamente (75), siano introdotti nella vita religiosa, liturgica e caritativa del popolo di Dio. In seguito, liberati grazie ai sacramenti dell'iniziazione cristiana dal potere delle tenebre (76), morti e sepolti e risorti insieme con il Cristo (77), ricevono lo Spirito di adozione a figli (78) e celebrano il memoriale della morte e della resurrezione del Signore con tutto il popolo di Dio. È auspicabile una riforma della liturgia del tempo quaresimale e pasquale, perché sia in grado di preparare l'anima dei catecumeni alla celebrazione del mistero pasquale, durante le cui feste essi per mezzo del battesimo rinascono in Cristo. Questa iniziazione cristiana nel corso del catecumenato 27 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 non deve essere soltanto opera dei catechisti o dei sacerdoti, ma di tutta la comunità dei fedeli, soprattutto dei padrini, in modo che i catecumeni avvertano immediatamente di appartenere al popolo di Dio. Essendo la vita della Chiesa apostolica, è necessario che essi imparino a cooperare attivamente all'evangelizzazione ed alla edificazione della Chiesa con la testimonianza della vita e con la professione della fede. Infine, nel nuovo Codice dovrà essere più esattamente definito lo stato giuridico dei catecumeni. Essi infatti sono già uniti alla Chiesa (79), appartengono già alla famiglia del Cristo (80), e non è raro che conducano già una vita ispirata alla fede, alla speranza ed alla carità. Il CIC, in questa prospettiva e in applicazione di queste direttive, dedica loro un canone nella parte che introduce la legislazione dei fedeli. 3. L’elemento volontario quale fondamento dello statuto di catecumeno. Nel Can. 206, sono evidenziati: 1) l’elemento volontario del legame dei catecumeni con la Chiesa; 2) contestualmente, la manifestazione di questa volontà quale prova visibile nella loro vita cristiana o elemento regolamentare. Di fatto, si può dare un’attenzione particolare all’uso delle forme attive usate dal testo del canone: i catecumeni “chiedono con intenzione esplicita di essere incorporati” (Vedere le traduzioni del brano del canone in francese: “qui demandent volontairement et explicitement à lui être incorporés”. Spagnolo: “Solicitàn esplicitamente ser incorporados”. Tedesco: “die, vom Heiligen Geist geleitet, mit erklärtem Willen um Aufnahme in sie bitten”. Inglese: “who ask by explicit choice under the influence of the Holy Spirit to be incorporated into the Church”). L’elemento volontario è comunque menzionato nel Can. 865, che tratta delle condizioni perché un adulto possa ricevere il battesimo: “Affinché un adulto possa essere battezzato, è necessario che abbia manifestato la volontà di ricevere il battesimo”. Riguardo all’elemento regolamentare, il Can. 206 segna che al fondamento volontario dello statuto giuridico dei catecumeni si aggiungono delle condizioni oggettive per l’acquisizione dello statuto: i catecumeni, a causa del loro desiderio d’incorporazione alla Chiesa, “conducono una vita di fede, di speranza e di carità”. Quelle condizioni saranno necessarie per battezzare un adulto. Ancora una volta, si può rilevare che, per segnare il ruolo della volontà del catecumeno, il Can. 206 usa una forma attiva. Solo la forma passiva riguarda la menzione del battesimo, tramite il quale i catecumeni potranno “essere incorporati”. La loro volontà (con il rispetto dell’elemento 28 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 regolamentare) consente di fondare lo statuto di catecumeno. La volontà, invece, è una condizione per ricevere il battesimo, ma il fondamento dello statuto del battezzato è l’opera di Dio nella persona che riceve il sacramento. Non è irrilevante al riguardo il paragonare l’uso delle forme verbali nei due paragrafi del canone 206 e nei canoni che trattano del battesimo. Perché i catecumeni, “mossi dallo Spirito Santo”, manifestano la loro volontà di essere incorporati alla Chiesa, “conducono” prima del battesimo una vita di fede, di speranza e di carità. Invece, nel Can. 204, i fedeli sono “incorporati al Cristo”, “sono costituiti popolo di Dio”, “resi partecipi” delle funzioni di Cristo e, alla fine, “sono chiamati a esercitare la missione che Dio ha affidato alla Chiesa”. Nello stesso modo, il Can. 849 recita: “Il battesimo, porta dei sacramenti, necessario di fatto o almeno nel desiderio per la salvezza, mediante il quale gli uomini vengono liberati dai peccati, sono rigenerati come figli di Dio e, configurati a Cristo con un carattere indelebile, vengono incorporati alla Chiesa, è validamente conferito soltanto mediante il lavacro di acqua vera e con la forma verbale stabilita”. Il raffronto del Can. 206 sui catecumeni con il Can. 204 e il Can. 849, che trattano del fedele battezzato, mostra chiaramente l’articolazione tra l’elemento volontario che fa entrare nella chiesa e il fatto che, appartenendo alla Chiesa, il fedele è incorporato a Cristo e indotto ad aderire alla comunità nella quale riceve una missione. L’elemento volontario e le condizioni di vita (mosso dallo Spirito Santo – movimento della persona – vita trasformata) sono necessarie per costruire l’appartenenza speciale che la Chiesa accorda ai catecumeni, cioè come fondamento costitutivo e preparatorio all’appartenenza che è opera di Dio nell’atto battesimale. 4. Effetti statutari: le prerogative e il dovere della Chiesa. Il CIC manifesta la specificità dello statuto giuridico del catecumeno e probabilmente la preponderanza data all’elemento volontario nella sua acquisizione, chiamando prerogative i diritti che essa riconosce loro. Quanto ai doveri, essi sono un invito a condurre una vita evangelica. È così messa in evidenza una distinzione con lo statuto giuridico del battezzato, per una ragione tanto giuridica quanto teologica: il battezzato acquisisce uno statuto sacramentale di cui Dio è l’autore con la mediazione della Chiesa. Il catecumeno acquisisce uno statuto non sacramentale datogli dalla Chiesa in attesa dello statuto di battezzato. Così recita il Can. 788 § 1: 29 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Can. 788 - § 1. Quelli che avranno manifestato la volontà di abbracciare la fede in Cristo, compiuto il tempo del precatecumenato, siano ammessi con le cerimonie liturgiche al catecumenato, e i loro nomi siano scritti nell’apposito libro. ** Can. 788 - §1. Qui voluntatem amplectendi fidem in Christum manifestaverint, expleto tempore praecatechumenatus, liturgicis caeremoniis admittantur ad catechumenatum, atque eorum nomina scribantur in libro ad hoc destinato. Le prerogative dei catecumeni riguardano, in primo luogo, la loro formazione a ciò che il CIC chiama il loro apprendimento della vita cristiana”. Vedere il Can. 788 § 2: Can. 788 - § 2. I catecumeni, per mezzo dell’istruzione e del tirocinio della vita cristiana, siano adeguatamente iniziati al mistero della salvezza e vengano introdotti a vivere la fede, la liturgia, la carità del popolo di Dio e l’apostolato. ** Can. 788 - § 2. Catechumeni, per vitae christianae institutionem et tirocinium, apte initientur mysterio salutis atque introducantur in vitam fidei, liturgiae et caritatis populi Dei atque apostolatus . Non hanno diritti, termine usato dal CIC per qualificare le azioni che ogni battezzato può attuare nella Chiesa una volta ricevuto il battesimo (Can. 209 e successivi). Non sono totalmente sotto la giurisdizione della Chiesa (vedere Can. 11 riguardo i battezzati nella Chiesa Cattolica), ma sono oggetti della “cura particolare” della Chiesa Cattolica (il testo latino del canone dice specialis cura come all’inizio del Can. 206 dice speciali ratione). Se il catecumeno non ha diritti, la Chiesa ha un dovere nei loro confronti. Essa li considera “come già suoi”. Sono “congiunti alla Chiesa” (coniunguntur cum Ecclesia, quae eos iam ut suos fovet) per due motivi: hanno manifestato il desiderio di essere incorporati alla Chiesa e conducono già una vita di fede, di speranza e di carità. Oltre alla formazione, che è loro dovuta (il Can. 788 § 1 e § 2 dicono: “siano ammessi”, “ siano adeguatamente iniziati”, “vengano introdotti”), nel Can. 383 § 4 è chiesto al vescovo diocesano di considerare loro come “affidati a sé nel Signore”. Due prerogative si riferiscono all’esercizio del culto della Chiesa: essi possono ricevere benedizioni (Can. 1170) e, per il funerali, devono essere considerati come i fedeli (Can. 1183 § 1). Infine, le conferenze dei vescovi potrebbero determinare certe prerogative non previste dal CIC. Ma potrebbero pure determinare obblighi. 30 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 B) I doveri e i diritti di tutti i fedeli 1. Una lista di doveri e diritti. Il progetto di una legge fondamentale o, secondo l’espressione del papa Paolo VI, un “codice fondamentale”, che contenga il diritto costitutivo della Chiesa, permise che fosse elaborata una lista di diritti e doveri fondamentali che formano lo statuto giuridico di ogni battezzato. Tale lista, nuova perché non esisteva l’equivalente nel Codice del 1917, fu lungamente discussa sia nelle forme che nel contenuto. Le decisioni di rinviare la pubblicazione della legge fondamentale ad una data successiva fece di conseguenza rientrare questi canoni nel corpo dell’ultimo progetto preparatorio del Codice ed integrare nella parte dedicata ai fedeli. Questa riorganizzazione tardiva della materia sembrava dare minore valore a tali norme, data l’importanza che presentava la promulgazione d’una legge fondamentale per un’introduzione nell’ordinamento canonico del principio di gerarchia delle norme. Benché attualmente questi canoni figurino nel Codice allo stesso rango degli altri canoni, si deve concedere loro un posto preminente in virtù del loro carattere particolare, generalmente considerato come fondamentalmente legato allo statuto del fedele. L’assenza di diritto costituzionale formale nel Codice potrebbe trovare qui una spiegazione. Alcuni canoni sono costitutivi del diritto delle istituzioni e delle persone. Contenendo elementi senza i quali l’istituzione ecclesiastica perderebbe il suo carattere specifico, figurano come riferimento, quando si tratta d’interpretare le leggi, di applicarle o di liberare la loro coerenza. 2. Posizioni dottrinali sui doveri e diritti. Nella redazione dei titoli successivi destinati alle liste dei doveri e diritti, la legge fondamentale parlava di diritti prima di menzionare i doveri e qualificava questi come fondamentali. Dopo l’integrazione della lista nel Codice, la redazione del titolo segna da una parte la priorità dei doveri sui diritti, dall’altra l’abbandono del termine fondamentale. a) Questa trasformazione corrisponde alla concezione di una parte della dottrina, che, al momento della revisione del Codice, chiede, considerando insufficiente la trasformazione della sistematica di pensiero del Codice attuale, che il diritto sia interamente sottomesso al principio ecclesiologico della comunione, come criterio epistemologico fondante della differenza tra il diritto 31 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 canonico e gli altri diritti. Tale principio, detto pure d’immanenza, consiste nel richiedere che venga tolto dal Codice tutto ciò che rinvia ad una concezione societaria della Chiesa, che organizzerebbe quest’ultima a partire da concetti e categorie giuridiche propri ad ogni società giuridicamente perfetta (com’è lo Stato e come lo faceva il cosiddetto “diritto pubblico ecclesiastico”). In questa prospettiva, l’applicazione del principio d’immanenza avrebbe imposto che tutti gli elementi costitutivi della Chiesa trovassero un’unità strutturale, di cui la comunione fosse il criterio di realizzazione. In tal modo, ogni antinomia, soprattutto individuopotere, che facesse preesistere il fedele alla Chiesa ed ogni prospettiva funzionale, si troverebbero superate dalla partecipazione di ogni elemento alla realtà di comunione della Chiesa. Per cui, secondo questi autori, la priorità data ai doveri sui diritti e l’abbandono della qualifica che dava loro la legge fondamentale eliminano la conflittualità strutturale (anche se di fatto essa è possibile ed esiste) del rapporto fedele-gerarchia, soggiacente al contrario, al rapporto cittadino-stato, determinato dalla preesistenza della persona umana e dall’urgenza di garantire uno spazio autonomo all’individuo. Si tratta, dunque, di un approccio del concetto di diritto del fedele in un modo autonomo, a partire da una riflessione ecclesiologica, che non ha niente a che vedere con le prospettive societarie dei diritti moderni e il loro sviluppo. Vedere quale esempio la posizione di E. Corecco in Considerazioni sul problema dei diritti fondamentali del cristiano nella chiesa e nella società. Aspetti metodologici della questione, in E. Corecco, Ius et communio. Scritti di diritto canonico, a cura di Graziano Borgonovo e Arturo Cattaneo. PIEMME, 1997, p. 245-278: 1. Nell’ordinamento costituzionale dello Stato moderno, la nozione di diritto fondamentale significa originariamente due cose: la preesistenza della persona come soggetto giuridico nei confronti dello Stato e, in conseguenza, la garanzia di uno spazio di autonomia per l’individuo. 2. La struttura costituzionale della Chiesa Cattolica non ha come scopo quello di garantire la realizzazione dei diritti dei fedeli, ma lo scopo della costituzione della Chiesa è di garantire che la Parola e i Sacramenti celebrati oggi nella Chiesa sono ancora la stessa Parola e gli stessi Sacramenti istituiti da Cristo. 3. I diritti specifici dei cristiani non sono preesistenti alla Chiesa, ma, conferiti da Essa mediante il battesimo e gli altri sacramenti. 4. Il concetto di autonomia 32 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 individuale derivante dai diritti fondamentali non è applicabile alla Costituzione della Chiesa per analogia con quello che il carattere fondamentale del diritto implica nelle società moderne. 5. Il concetto di comunione spiega il modo con cui è capito il rapporto tra individuo e collettività. b) Anche se meno condivisa oggi, un’altra posizione dottrinale va menzionata, perché consente di porre un problema teorico fondamentale riguardante la natura societaria della Chiesa. C’è chi vorrebbe sottomettere la Chiesa ai diritti fondamentali dell’uomo in virtù del principio secondo il quale tutte le società organizzate, dov’è esercita una potestà, devono rispettare questi diritti. Le persone vanno protette. In questo caso la Chiesa dovrebbe ricevere i diritti definiti per tutti gli uomini. Una tale posizione dottrinale parte da un principio: la Chiesa è una comunità come le altre e, comunque, non sfugge al dovere di riconoscere ai fedeli, che sono come i cittadini delle società politiche, una protezione contro l’esercizio della potestà ecclesiastica. c) Altre posizioni dottrinali si richiamano ad una concezione della Chiesa quale società specifica, il cui scopo è unico rispetto agli scopi delle società statali. È voluta da Cristo quale comunità, in cui i battezzati ricevono la grazia di Dio mediante i sacramenti, dovendo realizzare nella storia il progetto divino di radunare tutti gli uomini sotto il Figlio di Dio. Le persone giuridicamente collocate come fedeli, godono, in virtù di una comune condizione, di uguaglianza di dignità e d’azione e ricevono uno statuto giuridico comune fatto di doveri e diritti dovuti a tutti. Questo tratto specifico comporta come conseguenza il porre le persone in un rapporto assolutamente diverso nei confronti della missione affidata da Cristo alla sua Chiesa. Il battesimo, atto giuridico fondamentale d’acquisizione della condizione canonica di persone e d’incorporazione al Popolo di Dio, attribuisce il dovere e il diritto di lavorare, affinché il messaggio divino di salvezza raggiunga sempre di più incessantemente tutti gli uomini di ogni tempo e dell’universo intero. Dalla natura di società della Chiesa, deriva il concetto di doveri e diritti riconosciuti al fedele, persona umana che ha ricevuto il battesimo. La specificità della Chiesa rispetto alle comunità politiche, stabilita dalla maggior parte degli autori come elemento fondamentale della loro tesi, non ha per conseguenze il cercare un concetto essenzialmente diverso o sui generis di diritti e doveri, ma di società diversa stante la sua natura e le sue finalità 33 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 salvifiche e escatologiche (già e non ancora). Perciò il battezzato ha in primis doveri e diritti naturali che la Chiesa riceve (ad. es. il diritto di associazione, il diritto di scegliere liberamente uno stato di vita, il diritto alla libertà religiosa….) e che il fedele accetta di attuare nel nuovo quadro ecclesiologico, in cui è stato accolto (autolimitazione). Ha in secundis altri doveri e diritti propri scaturiti dal battesimo e dagli altri sacramenti in virtù della natura e della finalità specifica della Chiesa. È il ruolo del magistero ecclesiastico di esprimere o elaborare i doveri e i diritti delle persone nella Chiesa. A questo punto è importante ricordare che è necessario che il diritto canonico dia una priorità ai doveri rispetto ai diritti. La Chiesa è organizzata gerarchicamente senza che la distinzione chierici-laici del Can. 207 sia una ripresa della distinzione tra gli statuti diversi e inuguali delle società democratiche con la loro prospettiva funzionale. Alcuni fedeli ricevono una partecipazione specifica alla missione di Cristo. Da questo, si deduce che i doveri e i diritti dei fedeli non possono essere espressi senza che sia valutata la possibilità che essi concorrano a promuovere l’identità o la natura comunionale e il bene comune della chiesa. a) Stati delle persone e partecipazione alla missione della Chiesa. 1. Eguaglianza tra i fedeli: l’inciso del Can. 208. La partecipazione comune dei fedeli all’apostolato è presentata dal Can. 208 come una “cooperazione all’edificazione del Corpo di Cristo”. Can. 208 - Fra tutti i fedeli, in forza della loro rigenerazione in Cristo, sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano all’edificazione del Corpo di Cristo, secondo la condizione e i compiti propri di ciascuno. ** Can. 208 - Inter christifideles omnes, ex eorum quidem in Christo regeneratione, vera viget quoad dignitatem et actionem aequalitas, qua cuncti, secundum propriam cuiusque condicionem et munus, ad aedificationem Corporis Christi cooperantur. Nel Codice il termine “cooperazione” può avere il senso di partecipazione alla missione della Chiesa. Nel Can.208, ha un 34 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 senso preciso che gli dà l’importante inciso “secondo la condizione e la funzione propria di ciascuno”. Quest’inciso è stato oggetto di discussioni dottrinali nel momento della revisione del Codice. In effetti, con l’inciso, il canone afferma che tutti i fedeli sono uguali nella dignità e nell’azione, ma questa uguaglianza lascia intatta la differenza di cooperazione all’edificazione del Corpo di Cristo, secondo lo stato nel quale si trovano dette persone. Alcuni fecero notare che l’inciso trasformava lo spirito del testo conciliare, riferimento del canone, poiché sostituiva l’aggettivo “comune” che, nel testo, qualificava il termine “azione”. I fedeli erano dunque detti attivi, ma ineguali. Inoltre, si aggiungeva che, in tal modo, il canone dimostrava la sua dipendenza dalle tesi del diritto pubblico ecclesiastico (messa in rilievo dell’aspetto societario della Chiesa) che, d’altronde, si voleva superare. L’inciso è stato mantenuto fino alla redazione finale. Come spiegarlo se non con la volontà manifesta di proteggere il concetto stesso dell’uguaglianza tra fedeli? In effetti, il termine uguaglianza rinvia a una nozione chiave dell’idea stessa di democrazia, che evoca lo statuto di ogni persona di fronte al potere. In tale modo l’uguaglianza, che deriva dall’incorporazione al Cristo mediante il battesimo, non dovrebbe permettere con la redazione del Can.208, di assimilare: 1) il fedele al cittadino, 2) il potere a una rappresentazione, 3) la Chiesa ad una democrazia. 2. Tre stati fondamentali (Can. 207). della partecipazione all’interno della affrontato senza che si sia esaminato canonico lega l’esercizio e l’acquisizione stato delle persone. Il problema fondamentale Chiesa non può essere il modo in cui il diritto delle funzioni ufficiali allo Can. 207 - § 1. Per istituzione divina vi sono nella Chiesa i ministri sacri, che nel diritto sono chiamati anche chierici; gli altri fedeli poi sono chiamati anche laici. § 2. Dagli uni e dagli altri provengono fedeli i quali, con la professione dei consigli evangelici mediante voti o altri vincoli sacri, riconosciuti e sanciti dalla Chiesa, sono consacrati in modo speciale a Dio e danno incremento alla missione salvifica della Chiesa; il loro stato, quantunque non riguardi la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia alla sua vita e alla sua santità. ** Can. 207 - §1. Ex divina institutione, inter christifideles sunt in Ecclesia ministri sacri, qui in iure et clerici vocantur; ceteri autem et laici nuncupantur. §2. Ex utraque hac parte habentur christifideles, qui professione consiliorum evangelicorum per vota aut alia sacra ligamina, ab Ecclesia agnita et sancita, suo peculiari modo Deo consecrantur et Ecclesiae 35 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 missioni salvificae prosunt; quorum status, licet ad hierarchicam Ecclesiae structuram non spectet, ad eius tamen vitam et sanctitatem pertinet. Il Can. 207 distingue 3 stati: clericale, laicale e lo stato di quelli che hanno fatto la professione dei consigli evangelici mediante voti o altri vincoli sacri riconosciuti e sanciti dalla Chiesa. La parola stato è anche usata per descrivere lo stato dei laici che vivono nel matrimonio (stato coniugale) (Can. 226 § 1). a) Distinzioni tra stato personale e statuto di funzione. Il canonista spagnolo Fornés ha studiato la storia della parola stato. Già era usata dal diritto romano che lo distingueva dalla parola ordo. La prima riguardava la capacità giuridica delle persone, cioè i suoi doveri e i suoi diritti. Questa capacità era stabile. L’ordo si riferiva alle persone che compivano una funzione pubblica. San Tommaso pure distingueva le due nozioni: lo stato è ciò che riguarda la persona in un modo permanente, l’ordo non riguarda la persona in modo che essa possa lasciare l’ordo senza perdere il suo stato. Oggi vige ancora questa distinzione che, tuttavia, non è espressa come tale nel CIC del 1983. Lo stato può essere detto personale quando si riferisce alle capacità (doveri e diritti) acquistate stabilmente da una persona mediante un atto sacramentale (battesimo, cresima, ordinazione presbiterale o consacrazione episcopale, matrimonio) o non sacramentale (voti o vincoli sacri). In conseguenza, sono stati personali: lo stato di chierico, lo stato di laico, lo stato di membro d’istituto di vita consacrata. Si può, inoltre, parlare dello statuto funzionale o di funzione quando si riferisce ai doveri e diritti acquisiti per compiere un incarico che sia un ufficio ecclesiastico (Can. 145) con potestà di governo o meno o una delega (Can.131 § 1)11. Ad esempio, si può parlare del chierico (che ha doveri e diritti in virtù dello stato personale), nominato parroco (che ha doveri e diritti in virtù dello statuto di funzione in questo caso legati all’ufficio ecclesiastico di parroco) o cappellano (che ha doveri e diritti in virtù dello statuto di funzione). Un laico (stato personale) può essere nominato giudice (statuto di funzione) o economo diocesano (statuto di funzione). Un membro d’istituto di vita consacrata (stato personale) può ricevere l’incarico di superiore dell’istituto (statuto di funzione). Il Can. 207 § 1 affronta la distinzione tra i due stati di chierici e di laici facendo riferimento implicito alla costituzione gerarchica della Chiesa, la quale dà delle capacità diverse ai chierici e ai laici. 11 Rimandiamo al corso sulle Norme generali, il commento della parte che riguarda l’ufficio ecclesiastico. 36 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 b) La distinzione tra gli stati. Il Can. 207 del CIC vigente ha stranamente ripreso senza modificarlo il Can. 107 del CIC del 1917. Esso era ancora sulla scia del pensiero del periodo iniziato nel XII secolo. Secondo Fornés, tra il XII secolo e il XVIII secolo, c’è stato un trasferimento progressivo del concetto di status personale dal “settore privato” al “settore pubblico” o costituzionale della Chiesa. Nella cristianità, c’erano due ordines o funzioni, quelli riservati ai chierici e quelli riservati ai laici, facendo si che la società fosse divisa tra persone, esercitanti funzioni diverse, perché avevano degli statuti personali diversi per diventare poi il proprio di una societas inequalis. Poi, all’epoca di Suarez, è nata la distinzione tra status communis (clericale e laicale) e status perfectionis, che distingue, da un lato, i chierici e i laici, dall’altro, quelli che hanno pronunciato i voti. Lo stato di perfezione “determinat, perficit ac elevat statum vitae christianae: et omnis status qui aliquid altius vel aliquid aupereragationis addit illi generi vitae comunis, sub statu perfectionis comprehenditur”. Il Can. 207 § 2, come i canoni che riguardano la vita consacrata, ha abbandonato questa distinzione. Di fatto, definendo quello che è lo statuto dei consacrati a Dio, il canone recita che “quantunque non riguarda la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia alla sua vita e alla sua santità”. Anche il Can. 574 affronta la questione in un modo differente. Can. 574 - § 1. Lo stato di coloro che professano i consigli evangelici in tali istituti appartiene alla vita e alla santità della Chiesa e deve perciò nella Chiesa essere sostenuto e promosso da tutti. § 2. A questo stato alcuni fedeli sono da Dio chiamati con speciale vocazione, per usufruire di un dono peculiare nella vita della Chiesa e, secondo il fine e lo spirito del proprio istituto, giovare alla sua missione di salvezza. ** Can. 574 - §1. Status eorum, qui in huiusmodi institutis consilia evangelica profitentur, ad vitam et sanctitatem Ecclesiae pertinet, et ideo ab omnibus in Ecclesia fovendus et promovendus est. §2. Ad hunc statum quidam christifideles specialiter a Deo vocantur, ut in vita Ecclesia peculiari dono fruantur et, secundum finem et spiritum instituti, eiusdem missioni salvificae prosint. b) Distinzione chierici-laici e organizzazione della Chiesa. 37 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Considerando la legislazione attuale della Chiesa, si considera un’organizzazione delle funzioni che sia indipendente dello stato clericale o laicale delle persone, in modo che il principio di uguaglianza delle persone abbia come conseguenza il situarle in una priorità funzionale rispetto all’acquisizione del potere. 1. L’organizzazione della Chiesa nel Codice 1917. Il concetto di organizzazione della Chiesa, sul quale si fondava il Codice del 1917, poggiava sulla priorità data allo stato clericale. Il diritto stabilisce, infatti, un rapporto stretto, vale a dire esclusivo, tra la funzione esercitata nella Chiesa e lo statuto giuridico o sociale del chierico che lo esercita. Così, in materia d’organizzazione della Chiesa, non solo lo stato e lo statuto delle persone avevano un ruolo di primaria importanza, ma addirittura lo stato clericale, vale a dire lo stato personale di coloro che, secondo il Can.108 e successivi, potevano pretendere alla qualifica di chierici. Per questo il Codice del 1917 non permetteva ai laici di acquisire “uffici ecclesiastici”, vale a dire esercitare le funzioni ufficiali comprese nel senso stretto del Can.145 (CIC 1917). In tali condizioni, l’organizzazione della Chiesa, in altri termini l’organizzazione delle diverse funzioni all’interno della Chiesa, ricalcava perfettamente la gerarchia tra i chierici, gerarchia d’ordine quando si considerava il potere che veniva dall’ordinazione, gerarchia di giurisdizione quando si parlava della diversa estensione dei poteri di governo e di magistero ricevuti nella missione canonica proveniente dall’autorità. 2. Stato clericale e ufficio nel Codice del 1917. Il fatto d’aver dedicato una così gran parte del libro ai chierici era una conseguenza della concezione dell’organizzazione della Chiesa, di cui abbiamo appena parlato. Infatti, questi canoni trattavano sia lo statuto giuridico dei chierici, che i problemi inerenti all’organizzazione della Chiesa in quanto tale. Nella prima parte, il Codice esaminava i “chierici in generale” (Can. 208-214 CIC 1917). Vi si davano le regole concernenti la loro incardinazione, i loro diritti, i loro obblighi e logicamente, gli uffici ecclesiastici in questa parte del canone, poiché i chierici erano i soli a poter assolvere simili funzioni ufficiali (Can. 118 CIC 1917). ** Can. 118 CIC 1917. Soli clerici possunt potestatem sive ordinis sive iurisdictionis ecclesiasticae et beneficia ac pensiones ecclesiasticas obtinere. 38 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Era logico non parlarne altrove. Allo stesso modo, la seconda parte conteneva una descrizione delle diverse funzioni che formavano l’organizzazione della Chiesa e dello statuto dei chierici che lo esercitavano. Questa descrizione figurava sotto il titolo “i chierici in particolare” (Can. 215-486 CIC 1917), fatto che manifestava chiaramente che stato clericale e ufficio erano legati a tal punto da far coincidere il quadro dell’organizzazione della Chiesa con la descrizione dello statuto dei chierici che esercitavano le funzioni. 3. L’organizzazione della Chiesa nel Codice del 1983. Il piano del Libro II del Codice del 1983 dimostra che la concezione dell’organizzazione della Chiesa è evoluta, in particolare il legame esclusivo tra questa e lo stato clericale. La vecchia presentazione, che riduceva l’organizzazione della Chiesa alla gerarchia tra i membri del clero, è scomparsa. Il nuovo Libro II, che abbiamo già descritto sopra, oltre alle parti inerenti alla descrizione degli stati e statuti giuridici delle persone, contiene una parte dedicata alla “costituzione gerarchica della Chiesa”. Il fatto di aver distaccato la presentazione dell’organizzazione della Chiesa, da una parte, quella dello stato clericale, dall’altra parte, quella che tratta in generale dello stato delle persone, dimostra che si tende a concepire quest’organizzazione in un modo più funzionale. 4. Organizzazione della Chiesa e stato delle persone. In effetti, la struttura del Libro II del Codice attuale è interessante perché situa l’organizzazione della Chiesa in un’altra prospettiva rispetto a quella contenuta nel Codice del 1917. La descrizione dell’organizzazione uffici, consigli e organi, che formano la costituzione gerarchica della Chiesa, deve occupare un posto secondario, poiché ogni distinzione tra le persone deve essere collocata in rapporto all’uguaglianza fondamentale, che deriva dalla condizione giuridica comune del fedele. Ciò evita che sia dimenticato e messo da parte (allontanato) il principio costitutivo della partecipazione di tutti alla missione della Chiesa. Sciolta da un rapporto esclusivo con i chierici, la costituzione gerarchica tende a diventare una gerarchia di funzioni più che una gerarchia di persone. Ma, ed è questo il punto in cui il diritto canonico presenta una concezione propria dell’organizzazione della Chiesa, non è possibile affermare che il Codice presenti l’organizzazione della Chiesa in una prospettiva solamente funzionale. Infatti, non stacca interamente l’organizzazione delle funzioni ecclesiastiche dallo stato delle persone che devono esercitare tali funzioni. 39 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 L’evoluzione consiste, dunque, nel fatto che è stato abbandonato il rapporto tra organizzazione della Chiesa e stato clericale, ma non tra organizzazione della Chiesa e stato delle persone. In altri termini, gli uffici che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa non possono essere assolti dai fedeli indipendentemente dal loro stato. 5. Il Sacramento dell’ordine. Il ruolo sostenuto dal Sacramento dell’ordine è all’origine di questa concezione. Questo sacramento, dice il Can. 1008 (modificato nel M.P. Omnium in mentem del 15 dicembre 2009), costituisce alcuni fedeli ministri consacrati e deputati ad essere pastori del Popolo di Dio. Can. 1008 - Con il Sacramento dell’ordine per divina istituzione alcuni tra i fedeli, mediante il carattere indelebile con il quale vengono segnati, sono costituiti ministri sacri; coloro cioè che sono consacrati e destinati a servire, ciascuno nel suo grado, con nuovo e peculiare titolo. ** Can. 1008 - Sacramento ordinis ex divina institutione inter christifideles quidam, charactere indelebili quo signantur, constituuntur sacri ministri, qui nempe consecrantur et deputantur ut, pro suo quisque gradu, novo et peculiari titulo Dei il populo inserviant. Il termine “deputantur” del Can. 1008 è giuridico (vedere la traduzione debole sopra del termine “deputantur” nel Can. 1008 in italiano). Rinvia all’utilizzazione del termine nel Can. 225 §1 che concerne tutti i fedeli “deputati da Dio all’apostolato in virtù del battesimo e della cresima”. In entrambi i casi, la delega è d’ordine sacramentale. Per quanto riguarda i ministri consacrati, essa è fondata su una partecipazione specifica alle tre grandi funzioni del Cristo. Riguardo i vescovi e i sacerdoti, il canone 1009 § 3 precisa chiaramente che questa partecipazione è realizzata “ nella persona di Cristo Capo”, il che significa che tra la partecipazione fondata sul battesimo e quella fondata sull’ordinazione esiste una differenza essenziale. L’inciso era stato volutamente valorizzato nel testo del Can. 1008 prima del cambiamento voluto dal M.P. Omnium in mentem mediante l’aggiunta tardiva di questo inciso (vedere il testo infra n° 7). La storia della redazione del canone mostra, in effetti, che essa è entrata nel testo preparatorio nel 1978, per evitare, dice il relatore della commissione, il pericolo di un potere troppo grande esistente nel Popolo di Dio, sottratto ai vescovi e il pericolo di far scomparire la differenza, che non è distinzione, tra il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio 40 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 ministeriale. A ciò s’aggiungeva il termine “pastore”, al quale il Codice attribuisce un significato specifico in seguito al decreto Christus Dominus del Concilio Vaticano II. Questo termine è un attributo del ministero gerarchico e si sono rifiutati di dargli la grande portata, che avrebbe permesso di integrare coloro che operavano alla missione pastorale, come i laici che hanno ricevuto un ministero. 6. Il Sacramento dell’ordine e l’organizzazione della Chiesa. Questo spiega perché, nel Codice attuale, alcuni uffici sono dedicati alla realizzazione della partecipazione specifica ricevuta nel Sacramento dell’ordine e, a questo titolo, riservati a coloro che hanno ricevuto il Sacramento dell’ordine. È il caso degli uffici di governo o di partecipazione al governo, oppure di delegati sapendo che la ricerca dottrinale sullo statuto di questi ultimi non è chiusa. È anche il caso degli uffici “che si occupano interamente delle anime, il cui espletamento richiede l’esercizio dell’ordine sacerdotale” che non potrebbero essere validamente attribuiti a chi non è ancora investito del sacerdozio (Can.150). Can. 150 - L’ufficio che comporta la piena cura della anime, ad adempiere la quale si richiede l’esercizio dell’ordine sacerdotale, non può essere conferito validamente a colui che non è ancora stato ordinato sacerdote. ** Can. 150 - Officium secumferens plenam animarum curam, ad quam adimplendam ordinis sacerdotalis exercitium requiritur, ei qui sacerdotio nondum auctus est valide conferri nequit. Quest’ultimi sono coloro che detengono l’incarico pastorale stabile di una comunità gerarchica, come l’incarico di vescovo diocesano o di parroco in una parrocchia. Bisogna aggiungere, infine, alcuni uffici circoscritti ad una parte dell’incarico pastorale, come il cappellano di un particolare gruppo di fedeli (Can.564), o uffici che necessitano, per essere esercitati della ricezione degli ordini per amministrare i sacramenti, come il canonico penitenziere di una diocesi (Can.508). 7. I diaconi. Il M.P. Omnium in mentem del 15 dicembre 2009 (testo in latino in fine delle dispense, allegato III) ha cambiato il Can. 1008 promulgato nel 1983 che recitava: Can. 1008 (oggi soppresso) Con il Sacramento dell’ordine per divina istituzione alcuni tra i fedeli mediante il carattere indelebile con il 41 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 quale vengono segnati, sono costituiti ministri sacri; coloro cioè che sono consacrati e destinati a pascere il popolo di Dio, adempiendo nella persona di Cristo Capo, ciascuno nel suo grado, le funzioni di insegnare, santificare e governare. Il M.P. ha promulgato un nuovo canone: Nuovo testo del canone promulgato dal M.P. Omnium in mentem (15 dicembre 2009). Attentione ! Controllate se il vostro CIC ha inserito il nuovo testo del canone. Can. 1008 - § 3. Coloro che sono costituiti nell’ordine dell’episcopato o del presbiterato ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, i diaconi invece vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità. Il nuovo testo promulgato corrisponde meglio al brano conciliare riguardante il diaconato: «In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi ai quali vengono imposte le mani “non per il sacerdozio ma per il servizio”. Sostenuti dalla grazia sacramentale, in comunione con il vescovo e col suo presbiterio, essi sono al servizio del popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità» (LG, 29). Secondo il Can. 1008, promulgato nel 1983, il diacono riceveva la capacità di esercitare una funzione in persona Christi capitis senza introdurre una distinzione tra esso e il vescovo e il sacerdote. Così faceva il Catechismo della Chiesa Cattolica nel suo numero 1582. Giovanni Paolo II aveva modificato il brano del catechismo dopo la sua pubblicazione. La Commissione teologica internazionale aveva pure fatto riflessioni dalle quali s’ispira il M.P. del 15 dicembre 2009, Omnium in mentem. Esso reinserisce nel CIC una concezione del diaconato come grado del Sacramento dell’ordine, dando la capacità di servire il popolo di Dio, ma senza essere una partecipazione al sacerdozio di Cristo e senza ricevere un ministero di presidenza esercitato in persona Cristi capitis, il quale rimane il proprio dei fedeli che hanno ricevuto il sacerdozio in ragione del ruolo particolare del sacramento dell’eucaristia. Invece, il diacono attua la missione di servizio del popolo, come ordinato, capace di (abile a) ricevere uffici o missioni “nella diaconia della liturgia, della parola e della carità”. Il nuovo Can. 1008 ha abbandonato la menzione dei tria munera, sia quando parla della consacrazione e della deputazione dei fedeli che ricevono il Sacramento dell’ordine per il servizio (contrariamente al vecchio Can. 1008 del CIC del 1983), sia quando descrive nel Can. 1009 l’abilitazione dei diaconi a servire il popolo di Dio. 42 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 8. I laici e l’organizzazione della Chiesa. La concezione dell’organizzazione della Chiesa aggiornata a partire dal Libro II del Codice dà la possibilità ai laici di adempiere ad uffici o esercitare incarichi nei limiti esposti sopra. Questa situazione non è soltanto il frutto di un’evoluzione dottrinale. Si spiega anche attraverso la storia recente dello sviluppo delle funzioni, ministeri o uffici esercitati da laici prima della promulgazione del Codice. Per motivi si supplenza dei chierici impediti o diventati meno numerosi, alcuni laici sono stati autorizzati ad eseguire dei compiti, cioè ad adempiere uffici fino a quel momento riservati ai chierici. Spesso le autorizzazioni erano temporanee e dovevano essere applicate in circostanze definite. Ma, in altri casi, la supplenza era meno chiara, se non assente, come nel Motu proprio di Paolo VI Ministeria quaedam del 15 agosto 1972 (in Ench. Vaticanum, 4, n. 1479-1770) che, trasformando l’organizzazione degli ordini minori mediante i quali si diventava chierici, creava due uffici liturgici, lettori e accoliti, e invitava le conferenze episcopali a proporre la creazione di altri uffici, in cui, questa volta, non si parlava più di supplenza, ma si studiasse la questione nella prospettiva di una missione affidata ai laici. 9. Questa pratica contribuì molto a rendere manifesto che le funzioni ufficiali nella Chiesa, soprattutto l’ufficio ecclesiastico, non erano più esclusivamente legati allo stato clericale e, per natura, non erano più estranei alla condizione laicale. Essa trova il primo termine nel Codice del 1983. Al Can. 228, si dichiara che i laici, ritenuti “idonei”, possono essere chiamati ad adempiere ad uffici e funzioni ecclesiastiche; quanto a coloro di cui è stata riconosciuta la “competenza”, essi possono essere periti (esperti) nei consigli. Oltre a questo canone generale, altri precisano che i laici possono essere chiamati ad esercitare funzioni specifiche per l’esercizio delle tre funzioni. È il caso del Can. 759, in cui si dichiara che i laici “possono essere chiamati a cooperare con il Vescovo ed i preti nell’esercizio del Ministero della Parola”. È, altresì, il caso del Can. 129, § 2 per la funzione del governo e del Can. 230 per la funzione della santificazione, in cui si ritrovano, tra l’altro, i due ministeri liturgici di accolito e lettore. Ma resta fermo il principio che, al di fuori delle riserve fatte dalla legislazione sugli uffici che spettano ai chierici, esiste una libertà di attribuzione di incarichi o uffici che può riguardare sia i chierici che i laici, essendo una questione d’opportunità la scelta del legame tra stato della persona ed incarico da adempiere. 43 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Can. 228 - § 1. I laici che risultano idonei, sono giuridicamente abili ad essere assunti dai sacri Pastori in quegli uffici ecclesiastici e in quegli incarichi che sono in grado di esercitare secondo le disposizioni del diritto. § 2. I laici che si distinguono per scienza adeguata, per prudenza e per onestà, sono idonei a prestare aiuto ai Pastori della Chiesa come esperti o consiglieri, anche nei consigli a norma del diritto. ** Can. 228- §1. Laici qui idonei reperiantur, sunt habiles ut a sacris Pastoribus ad illa officia ecclesiastica et munera assumantur, quibus ipsi secundum iuris praescripta fungi valent. §2. Laici debita scientia, prudentia et honestate praestantes, habiles sunt tamquam periti aut consiliarii, etiam in consiliis ad normam iuris, ad Ecclesiae Pastoribus adiutorium praebendum. Can. 129 - § 1. Sono abili alla potestà di governo, che propriamente è nella Chiesa per istituzione divina e viene denominata anche potestà di giurisdizione, coloro che sono insigniti dell’ordine sacro, a norma delle disposizioni del diritto. § 2. Nell’esercizio della medesima potestà, i fedeli laici possono cooperare a norma del diritto. ** Can. 129 §1. Potestatis regiminis, quae quidem ex divina institutione est in Ecclesia et etiam potestas iurisdictionis vocatur, ad normam praescriptorum iuris, habilis sunt qui ordine sacro sunt insigniti. §2. In exercitio eiusdem potestatis, christifideles laici ad normam iuris cooperari possunt. Can. 230 - § 1. I laici di sesso maschile, che abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa. § 2. I laici possono assolvere per incarico temporaneo la funzione di lettore nelle azioni liturgiche; cosí pure tutti i laici godono della facoltà di esercitare le funzioni di commentatore, cantore o altre ancora a norma del diritto. § 3. Ove le necessità della Chiesa lo suggeriscano, in mancanza di ministri, anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il battesimo e distribuire la sacra Comunione, secondo le disposizioni del diritto. ** Can. 230 §1. Viri laici, qui aetate dotibusque pollent Episcoporum conferentiae decreto statutis, per ritum liturgicum praescriptum ad ministeria lectoris et acolythi stabiliter assumi possunt; quae tamen ministeriorum collatio eisdem ius non confert ad sustentationem remunerationemve ab Ecclesia praestandam. § 2. Laici ex temporanea deputatione in actionibus liturgicis munus lectoris implere possunt; item omnes laici muneribus commentatoris, cantoris aliisve ad normam iuris fungi possunt. §3. Ubi Ecclesiae necessitas id suadeat, deficientibus ministris, possunt etiam laici, etsi non sint lectores vel acolythi, quaedam eorundem officia supplere, videlicet ministerium verbi exercere, precibus liturgicis praeesse, baptismum conferre atque sacram Communionem distribuere, iuxta iuris praescriptas. Can. 759 - I fedeli laici, in forza del battesimo e della confermazione, con la parola e con l’esempio della vita cristiana sono testimoni dell’annuncio evangelico; possono essere anche chiamati a cooperare con il Vescovo e con i presbiteri nell’esercizio del ministero della parola. ** Can. 759 - Christifideles laici, vi baptismatis et confirmationis, verbo et vitae christianae exemplo evangelici nuntii sunt testes; vocari etiam possunt ut in exercitio ministerii verbi cum Episcopo et presbyteris cooperantur. 44 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 c) Quadro d’esercizio dei doveri e diritti. 1. I doveri e i diritti descritti nel CIC, cioè nella la lista dei Can. 208-223, non sono presentati in un ordine che riveli una volontà di classificazione secondo la loro importanza. I più importanti, che trovano un fondamento diretto nel battesimo e che appartengono allo statuto di fedele, sono il dovere al quale è legato un diritto descritto sorprendentemente nella parte dedicata al laico (Can. 225 § 1), ma di fatto attribuito a tutti i fedeli e ripreso nel Can. 211. Can. 225 - § 1. I laici, dal momento che, come tutti i fedeli, sono deputati da Dio all’apostolato mediante il battesimo e la confermazione, sono tenuti all’obbligo generale e hanno il diritto di impegnarsi, sia come singoli sia riuniti in Associazioni, perché l’annuncio della salvezza venga conosciuto e accolto da ogni uomo in ogni luogo; tale obbligo li vincola ancora maggiormente in quelle situazioni in cui gli uomini non possono ascoltare il Vangelo e conoscere Cristo se non per mezzo loro. ** CAN. 225 § 1 - Laici, quippe qui uti omnes christifideles ad apostolatum a Deo per baptismum et confirmationem deputentur, generali obligatione tenentur et iure gaudent, sive singuli sive in consociationibus coniuncti, allaborandi ut divinum salutis nuntium ab universis hominibus ubique terrarum cognoscatur et accipiatur; quae obligatio eo vel magis urget iis in adiunctis, in quibus nonnisi per ipsos Evangelium audire et Christum cognoscere homines possunt. Can. 211 - Tutti i fedeli hanno il dovere e il diritto di impegnarsi perché l’annuncio divino della salvezza si diffonda sempre piú fra gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo. ** Can. 211 - Omnes christifideles officium habent et ius allaborandi ut divinum salutis nuntium ad universos homines omnium temporum ac totius orbis magis magisque perveniat. È legato a questo diritto-dovere l’obbligo “di sforzarsi di condurre una vita santa” e di “promuovere la nascita e la santificazione continua della Chiesa” (Can. 210). Dopo avere stabilito il principio di uguaglianza fra tutti i fedeli, il Codice fa seguire questa enunciazione dalla dichiarazione d’obbligo di mantenere nello stesso modo d’agire la comunione con la Chiesa (Can. 209), cioè imposizione-obbligo a tutti i fedeli. Quanto all’ultimo canone (Can. 223), esso presenta il limite dell’esercizio dei diritti, facendo riferimento al bene comune della Chiesa, di cui “i fedeli, sia individualmente che raggruppati in Associazioni, devono tener conto” (autolimitazione dovuta ai fedeli). Per di più aggiunge, in considerazione del bene comune, “spetta all’autorità ecclesiastica regolare l’esercizio dei diritti propri ai fedeli” (limitazione da parte 45 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 dell’autorità). Questi tre canoni sono fondamentali. È pertanto da loro che i diritti e doveri dei fedeli devono essere capiti ed interpretati. 2. Dovere di comunione con la Chiesa. La comunione forma un quadro generale d’esercizio dei diritti e doveri che s’impone a tutti. Can. 209 - § 1. I fedeli sono tenuti all’obbligo di conservare sempre, anche nel loro modo di agire, la comunione con la Chiesa. § 2. Adempiano con grande diligenza i doveri cui sono tenuti sia nei confronti della Chiesa universale, sia nei confronti della Chiesa particolare alla quale appartengono, secondo le disposizioni del diritto. Can. 210 - Tutti i fedeli, secondo la propria condizione, devono dedicare le proprie energie al fine di condurre una vita santa e di promuovere la crescita della Chiesa e la sua continua santificazione. ** Can. 209 § 1. Christifideles obligatione adstringuntur, sua quoque ipsorum agendi ratione, ad communionem semper servandam cum Ecclesia. §2. Magna cum diligentia officia adimpleant, quibus tenentur erga Ecclesiam tum universam, tum particularem ad quam, secundum iuris praescripta, pertinent. ** Can. 210. Omnes christifideles, secundum propriam condicionem, ad sanctam vitam ducendam atque ad Ecclesiae incrementum eiusque iugem sanctificationem promovendam vires suas conferre debent. Il canone parla d’obbligo, dimostra, pertanto, l’importanza della volontà nell’appartenere alla Chiesa. Sul piano giuridico, il rispetto dell’obbligo di mantenere la comunione è valutato nel foro esterno. L’obbligo si riferisce, comunque, al foro interno o foro della coscienza, ma l’allontanamento o mancanza di adesione interna, se non si manifestano nel foro esterno e non sono qualificati dal diritto o dall’autorità, non comportano effetti giuridici nell’esercizio dei diritti e doveri. In compenso, com’è dimostrato nel commento dei cc. 96 e 205, fuori dalla comunione con la Chiesa, nelle condizioni stabilite da questi canoni, l’esercizio dei doveri e diritti derivanti dal battesimo non potrebbe più essere rivendicato. Il rifiuto o la negazione, mediante un atto esterno, di uno degli elementi sui quali si fonda la comunione della Chiesa, comporterebbe l’allontanamento da questa comunione. Ma il dovere di comunione con la Chiesa obbliga anche a fare di questa un elemento abituale dell’esercizio dei diritti e doveri, con la carità e la solidarietà (Can. 223, § 1). Questo dovere è generale e, come tale, appare più come un dovere morale, che come un obbligo giuridico. Per questo motivo per rispettarlo e per metterlo in pratica 46 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 è necessario poterlo inserire nelle istituzioni, in cui il legame con la Chiesa e i suoi membri sia organicamente realizzato. 3. Il bene comune. Il bene comune di cui parla il Can. 223 è una realtà che s’integra in tutto il diritto canonico come una dinamica, che ha come scopo il garantire la comunione della Chiesa e il realizzare le condizioni per l’edificazione del Corpo di Cristo, di cui parla il Can. 208. Can. 223 - § 1. Nell’esercizio dei propri diritti i fedeli, sia come singoli sia riuniti in Associazioni, devono tener conto del bene comune della Chiesa, dei diritti altrui e dei propri doveri nei confronti degli altri. § 2. Spetta all’autorità ecclesiastica, in vista del bene comune, regolare l’esercizio dei diritti che sono propri dei fedeli. ** Can. 223 § 1. In iuribus suis exercendis christifideles tum singuli tum in consociationibus adunati rationem habere debent boni communis Ecclesiae necnon iurium aliorum atque suorum erga alios officiorum. §2. Ecclesiasticae auctoritati competit, intuitu boni communis, exercitium iurium, quae christifidelibus sunt propria, moderari. A tale proposito la definizione soddisfa di più lo spirito giuridico del termine comunione. La lista dei doveri e dei diritti è chiara partendo dal bene comune della Chiesa, di cui i fedeli devono e possono assicurare la promozione. Raramente definita come tale al di fuori del Can. 223, § 2, benché tutti i fedeli, secondo la propria condizione, ne siano responsabili, la considerazione del bene comune spiega che il diritto stabilisce doveri e non soltanto diritti e impone limiti d’azione alle persone. Il diritto canonico appare così, dice Paolo VI, “come una legge che promuove e protegge, che equilibra, nel miglior modo possibile, considerati i limiti della nostra condizione umana, i diritti e i doveri corrispettivi, la libertà e la responsabilità, la dignità della persona, e le sovrane esigenze del bene comune”. È il caso di tutti i doveri e diritti che in modo diretto o indiretto implicano la partecipazione alla realizzazione della missione affidata alla Chiesa. d) Fedeli e pastori nell’esercizio dei doveri e diritti. 1. Doveri e diritti nei confronti dei pastori. I due primi paragrafi dei cc. 212 e 213 determinano alcuni doveri e diritti concernenti il rapporto dei fedeli con i pastori della Chiesa. 47 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Can. 212 - § 1. I fedeli, consapevoli della propria responsabilità, sono tenuti a osservare con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori, perché rappresentano Cristo, dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della Chiesa. § 2. I fedeli hanno il diritto di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri. ** Can. 212 § 1. Quae sacri Pastores, utpote Christum repraesentantes, tamquam fidei magistri declarant aut tamquam Ecclesiae rectores statuunt, christifideles, propriae responsabilitatis conscii, christiana oboedientia prosequi tenentur. §2. Christifidelibus integrum est, ut necessitates suas, praesertim spirituales, suaque optata Ecclesiae Pastoribus patefaciant. Can. 213 - I fedeli hanno il diritto di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti. ** Can. 213 - Ius est christifidelibus ut ex spiritualibus Ecclesiae bonis, praesertim ex verbo Dei et sacramentis, adiumenta a sacris Pastoribus accipiant. Il modo, in cui sono redatti questi canoni, dà l’impressione di ristabilire un’opposizione fra chierici e laici o di ridurre la figura del fedele a quella del laico, due tendenze, tuttavia, che il Codice in questa nuova parte vuole superare. La questione poggia interamente sulla materia dei doveri e diritti che sono oggetto di una definizione. Bisogna, in effetti, far vedere che, se l’esistenza di questi doveri o diritti non dipende dai pastori, la loro esecuzione non può essere fatta senza il loro intervento, in nome della missione pastorale ricevuta e che, in materia, essi stessi sono tenuti ai doveri e ai diritti che si chiede loro di regolare. È il caso del Can. 213 che determina il diritto dei fedeli di ricevere, da parte dei pastori, l’aiuto che proviene dai beni spirituali della Chiesa. È anche il caso del secondo paragrafo del Can. 212: “i fedeli”, dichiara, “hanno la libertà di far conoscere ai pastori della Chiesa i loro bisogni, soprattutto spirituali, come pure i loro desideri”. Questa libertà trova radice nell’appartenenza alla Chiesa, che autorizza i fedeli in quanto suoi membri, a chiederle di assumersene i bisogni. Tale richiesta si rivolge ai pastori, poiché l’accesso alle aspirazioni necessita decisioni di governo, che rientrano nel campo dell’esercizio del potere ricevuto. 2. L’obbedienza ai pastori. Il canone parla dell’obbedienza cristiana a ciò che i pastori consacrati, come rappresentanti di Cristo, dichiarano in quanto maestri della fede o decidono in quanto capi della Chiesa (Can. 212, § 1). All’inizio, menziona la 48 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 propria responsabilità di ogni fedele per mettere in risalto che l’appartenenza alla Chiesa richiede da parte del fedele un’adesione al magistero della chiesa riguardante la sua costituzione gerarchica e una consapevolezza delle conseguenze per il suo atteggiamento nei confronti di quelli che hanno ricevuto l’incarico particolare di agire in nome della Chiesa. Il canone fa in primo luogo allusione all’attività dottrinale del Supremo Pontefice e del Collegio dei Vescovi come pure dei Vescovi in comunione con il Capo del collegio e i suoi membri. I Can. 752 e 753 parlano, secondo i casi, di “sottomissione religiosa dell’intelligenza e della volontà” e di “reverenza religiosa dello Spirito”. Non è il caso di questo canone che parla dell’obbedienza come lo fa il Can. 754 che parla dell’obbligo “di osservare le costituzioni e i decreti che la legittima autorità della chiesa propone per esporre una dottrina e per proscrivere opinioni erronee”. Il Can. 754 colloca l’atteggiamento obbligatoriamente richiesto nell’ambito della funzione governativa esercitata dai pastori (ordine governativo) e non del contenuto della loro dichiarazione (adesione dei fedeli al Magistero) (vedere la differenza di uso delle parole tra il Can. 752 e il Can. 754). L’obbedienza consiste nel rispettare il diritto di coloro che esercitano la carica ecclesiale di scrutare, annunciare ed esporre fedelmente il “deposito della fede” affidato da Cristo alla Chiesa, anche per la quale i pastori hanno ricevuto una missione particolare (vedere il Can. 1371: § 1. Sia punito con una giusta pena 1° chi…insegna una dottrina condannata dal Romano Pontefice o dal Concilio ecumenico o respinge pertinacemente la dottrina di cui nel Can. 150 § 2 o nel Can. 752 ed ammonito dalla Sede apostolica o dall’ordinario non ritratta. 2° chi in altro modo non obbedisce alla sede apostolica o al superiore che legittimamente gli comanda o gli proibisce e dopo l’ammonizione persiste nella sua disobbedienza.) La non sottomissione e la non osservanza di queste decisioni sarebbero atti di rifiuto della funzione e del potere dati per diritto ai pastori. Ciò è confermato dalla fine del Can. 212 che riguarda la potestà di governo dei pastori (… o dispongono come capi della chiesa). e) Libertà e diritti protetti specificamente dalla Chiesa. 1. La libertà d’opinione. La terza parte del Can. 212 è abitualmente considerata come una legislazione sulla libertà d’opinione nella Chiesa. 49 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Can. 212. § 3. In rapporto alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità della persona. ** Can. 212 § 3- Pro scientia, competentia et praestantia quibus pollent, ipsis ius est, immo et aliquando officium, ut sententiam suam de hisquae ad bonum Ecclesiae pertinent sacris Pastoribus manifestent eamque, salva fidei morumque integritate ac reverentia erga Pastores, attentisque communi utilitate et personarum dignitate, ceteris christifidelibus notam faciant. Questa libertà appartiene ad ogni fedele, anche se è detto che essa dev’essere esercitata secondo la scienza, la competenza e il prestigio di cui godono i fedeli. Il canone ne fa anche un dovere perché riguarda il bene della Chiesa. L’esercizio della libertà di opinione deve tenere conto dell’utilità comune e della dignità delle persone. I limiti imposti sono quelli che legano tutti i fedeli della Chiesa, l’integrità della fede e dei costumi, ma anche il rispetto della missione specifica dei pastori. Lo stabilire questi limiti dà credito alla tesi secondo la quale certi diritti dei fedeli sono ricevuti all’interno del diritto canonico, cosicché tale libertà sarebbe la conseguenza della ricezione all’interno dell’ordinamento canonico della libertà d’opinione riconosciuta a ogni uomo che fa parte di una società umana. Questa concezione collega, dunque, la libertà d’opinione al fatto di essere membro della Chiesa e carica di diritto il mettere concretamente in opera tali affermazioni. Si deve d’altronde distinguere la libertà d’opinione e la questione dell’opinione pubblica nella Chiesa (vedere sul punto, P. Valdrini, Opinione pubblica, sensus fidelium e diritto canonico, in Il diritto ecclesiastico, 108, 1997, p. 89-102). 2. Diritto al rito e alla propria spiritualità. Stando ai termini del Can. 214, i fedeli hanno il diritto di rendere culto a Dio secondo le disposizioni del proprio rito approvato dai legittimi pastori della Chiesa e alla propria spiritualità. Can. 214 - I fedeli hanno il diritto di rendere culto a Dio secondo le disposizioni del proprio rito approvato dai legittimi Pastori della Chiesa e di seguire un proprio metodo di vita spirituale, che sia però conforme alla dottrina della Chiesa. ** Can. 214 - Ius est christifidelibus, ut cultum Deo persolvant iuxta praescripta proprii 50 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 ritus a legitimis Ecclesiae Pastoribus approbati, utque propriam vitae spiritualis formam sequantur, doctrinae quidem Ecclesiae consentaneam. I commentatori del Codice danno generalmente al termine rito una grande estensione. Si potrebbe, infatti, pensare che il canone si dovrebbe applicare unicamente nella Chiesa Cattolica latina poiché esistono in essa, oltre al rito romano, alcuni riti come l’ambrosiano o il rito mozarabico, ai quali si aggiungono il rito straordinario o il rito anglicano approvato dalla Santa Sede. La lettura dei canoni del Codice che fanno allusione a questi diversi riti, notoriamente nella parte riguardante la somministrazione e la ricezione dei Sacramenti, autorizza a dare ragione ai commenti. Tale diritto riguarda, quindi, tanto i fedeli delle Chiese orientali, dette rituali (vedere il Can. 28 del CCEO), che quelli della Chiesa latina, che godono di un rito appropriato. Si deve aggiungere che il rendere un culto a Dio, secondo le disposizioni del proprio rito, deve essere “approvato dai legittimi pastori”. Il diritto non dà la possibilità di esercizio senza che i pastori abbiano valutato l’attuazione del diritto. Ad esempio, sarà necessario che, in una chiesa particolare, ci sia un numero sufficiente di fedeli per creare una comunità con uso di un rito specifico approvato. Per quanto riguarda il seguire un proprio metodo di vita spirituale, anche in questo caso, la libertà costitutiva riconosciuta al fedele sarà esercitata con rispetto della dottrina della Chiesa. 3. Libertà d’associazione. I fedeli possono esercitare individualmente o riuniti in associazioni la missione ricevuta nel battesimo. Can. 215 - I fedeli hanno il diritto di fondare e di dirigere liberamente Associazioni che si propongono un fine di carità o di pietà, oppure Associazioni che si propongono l’incremento della vocazione cristiana nel mondo; hanno anche il diritto di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali finalità. ** Can. 215 - Integrum est christifidelibus, ut libere condant atque moderentur consociationes ad fines caritatis vel pietatis, aut ad vocationem christianam in mundo fovendam, utque conventus habeant ad eosdem fines in communi persequendos. La realizzazione della missione in forma individuale è allo stesso tempo un dovere e un diritto, ma, in forma associata, essa si basa sulla libertà di “fondare e dirigere Associazioni aventi come scopo la carità o la pietà oppure destinate a promuovere la vocazione cristiana nel mondo”, cioè finalità specifiche della Chiesa e ciò significa che i fedeli dovrebbero realizzare scopi che non sono propri alla Chiesa, usando il diritto di associazione nelle società dove sono. La libertà di riunirsi per perseguire unitamente gli 51 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 stessi fini è protetta e regolata al tempo stesso. La protezione della libertà individua già nel riconoscimento legislativo della libertà di azione e di iniziativa; essa sarà anche indirettamente protetta dalla possibilità offerta a tutti i fedeli di difendersi dalla violazione dei loro diritti. Ma essa è regolata nel momento in cui, in applicazione di un insieme legislativo completo vertente sull’esercizio del diritto di associazione, i fedeli non possono realizzare la loro volontà di partecipazione senza rispettare alcune condizioni, che diano all’autorità il diritto di riconoscimento o di approvazione del modo in cui detta libertà è messa in pratica. Il Can. 216 dichiara in modo generale che nessuna attività può avvalersi della qualifica di “cattolica” senza il consenso dell’autorità ecclesiastica. 4. Diritto all’educazione cristiana. Per realizzare la vocazione cristiana, ricevuta nel battesimo, i fedeli godono anche del diritto all’educazione cristiana. Can. 217 - I fedeli, in quanto sono chiamati mediante il battesimo a condurre una vita conforme alla dottrina evangelica, hanno diritto all’educazione cristiana, con cui possano essere formati a conseguire la maturità della persona umana e contemporaneamente a conoscere e a vivere il mistero della salvezza. ** Can. 217 - Christifideles, quippe qui baptismo ad vitam doctrinae evangelicae congruentem ducendam vocentur, ius habent ad educationem christianam, qua ad maturitatem humanae personae prosequendam atque simul ad mysterium salutis cognoscendum et vivendum rite instruantur. Questo diritto è il complemento del dovere di condurre una vita conforme alla dottrina del Vangelo, che la Chiesa lega direttamente all’esercizio dell’attività missionaria dei fedeli. Dovere e diritto in quanto tali non sono che la conseguenza del dovere assegnato alla Chiesa di fare tutto il possibile, affinché le persone beneficino delle migliori condizioni per esercitare la missione. Alcuni canoni legiferano con maggiore precisione su questo diritto, in modo che, se non ne fosse tenuto conto, la sua non realizzazione colpirebbe direttamente il bene delle persone chiamate ad “acquistare la maturità della persona umana e contestualmente a conoscere e a vivere il mistero della salvezza”. Colpirebbe indirettamente anche il bene comune della Chiesa, perché la partecipazione di tutti i fedeli alla missione è l’elemento principale di questo bene comune. 5. Libertà di ricerca. La stessa volontà d’equilibrio tra protezione del bene comune della Chiesa e regolazione dell’attività dei fedeli 52 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 riguarda la libertà di ricerca di coloro che si dedicano alle discipline sacre. Can. 218 - Coloro che si dedicano alle scienze sacre godono della giusta libertà di investigare e di manifestare con prudenza il loro pensiero su ciò di cui sono esperti, conservando il dovuto ossequio nei confronti del magistero della Chiesa. ** Can. 218 - Qui disciplinis sacris incumbunt iusta libertate fruuntur inquirendi necnon mentem suam prudenter in iis aperiendi, in quibus peritia gaudent, servato debito erga Ecclesiae magisterium obsequio. Questo diritto è fondamentale, sia per assicurare il progresso della conoscenza nelle materie riguardanti la fede e la morale, che per riconoscere il ruolo delle scienze sacre nell’esercizio della funzione magistrale stessa. Tale libertà è detta “giusta”, in virtù dei limiti provenienti dal diritto dei pastori di assicurare il rispetto del Magistero (Can. 752). Il canone non parla di questo diritto, ma contiene l’obbligo di rispetto del Magistero da parte di colui che fa ricerca. Sono state definite regole simili riguardo a opinioni espresse da persone competenti in una materia in cui esercitano la libertà di scienza: “coloro che si dedicano alle discipline sacre godono di una giusta libertà di espressione, prudente, della loro opinione nelle materie in cui sono competenti”. Qui, ancora, dovere e diritto sono indissolubilmente legati. Il dovere dei ricercatori e insegnanti è definito in modo generale nel canone che dovrebbe chiarire il Libro III sulla funzione d’insegnamento della Chiesa. Il rapporto con il Magistero dipende dal contenuto dei testi proposti. La regolazione di questa libertà fondamentale di ricerca e di espressione delle opinioni è dovuta all’esercizio della funzione magisteriale propria dei pastori. Spetta a questi ultimi non solo conoscere l’unità della fede, ma anche garantire ai fedeli un insegnamento della Chiesa che, giuridicamente, possiede un carattere pubblico, vale a dire ufficiale, senza tuttavia che ricerche condotte a titolo di pubblica missione siano fatte al di fuori del confronto con il Magistero o espresse senza che sia riconosciuta la sua preponderanza. 6. Libertà di scelta di uno stato di vita. I fedeli godono della scelta di uno stato di vita senza che debba essere imposto loro obbligo alcuno. Can. 219 - Tutti i fedeli hanno il diritto di essere immuni da qualsiasi 53 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 costrizione nella scelta dello stato di vita. ** Can. 219 - Christifideles omnes iure gaudent ut a quacumque coactione sint immunes in statu vitae eligendo. Questa libertà è codificata nelle parti legislative riguardanti gli impegni negli stati principali di chierici, nei membri di un istituto o di una Società di vita apostolica e nell’acquisizione dello stato matrimoniale. Il campo d’esercizio di questa libertà è volontariamente limitato dall’assenza di costrizioni sulle persone così che non possa essere rivendicato un diritto ad acquisire i due stati essenziali di consacrato e chierico per i quali, tradizionalmente, la legislazione lascia all’autorità competente interessata il potere discrezionale di accettare o rifiutare persone che si presentano. 7. Diritto alla giustizia ecclesiastica. In materia di protezione dei diritti, il diritto canonico fa riferimento a un’antica tradizione che Graziano ha raccolto in una celebre formula “parem esset iura condere nisi qui ea tueatur”, secondo la quale è inutile dare diritti alle persone se nello stesso tempo non si dà loro il mezzo di difendere la loro violazione. Questo principio è rispettato, come mostra il Can. 1400 che introduce la legislazione del Libro VII. Esso presenta il sistema ecclesiastico detto di doppia giurisdizione: ordinaria, per difendere i diritti propri e degli altri fedeli, amministrativa, per presentare ricorsi contro la violazione dei diritti da parte dell’autorità, che esercita il potere esecutivo. Un diritto fondamentale della persona è d’altra parte menzionato come tale e beneficia di una protezione speciale, il diritto alla reputazione. Il CIC 1983 dichiara: Can. 220 - Non è lecito ad alcuno ledere illegittimamente la buona fama di cui uno gode, o violare il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità. Can. 221 - § 1. Compete ai fedeli rivendicare e difendere legittimamente i diritti di cui godono nella Chiesa presso il foro ecclesiastico competente a norma di diritto. § 2. I fedeli hanno anche il diritto, se sono chiamati in giudizio dall’autorità competente, di essere giudicati secondo le disposizioni di legge, da applicare con equità. § 3. I fedeli hanno il diritto di non essere colpiti da pene canoniche, se non a norma di legge. ** Can. 220 - Nemini licet bonam famam, qua quis gaudet, illegitime laedere, nec ius cuiusque personae ad propriam intimitatem tuendam violare. 54 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 ** Can. 221 §1. Christifidelibus competit ut iura, quibus in Ecclesia gaudent, legitime vindicent atque defendant in foro competenti ecclesiastico ad normam iuris. §2. Christifidelibus ius quoque est ut, si ad iudicium ab auctoritate competenti vocentur, iudicentur servatis iuris praescriptis, cum aequitate applicandis. §3. Christifidelibus ius est, ne poenis canonicis nisi ad normam legis plectantur. I giudizi nella Chiesa si fanno secondo una procedura stabilita di cui ogni fedele può esigere l’applicazione. Il Codice parla di un’applicazione “con equità”. Questa menzione lascia pensare che il rigore nel diritto non debba mai essere ricercato in se stesso, ma debba essere sottoposto al principio canonico della priorità del bene della persona. Lo stesso principio del rispetto del diritto deve essere applicato nell’uso del diritto penale verso le persone. f) Doveri nei confronti della Chiesa. 1. Doveri di solidarietà. Lo sviluppo del bene comune impone che ogni fedele partecipi all’instaurazione dei mezzi d’azione apostolica della Chiesa. La sovvenzione ai bisogni della Chiesa è un dovere, che il Can. 222, § 1 applica non soltanto all’apostolato e alle opere caritatevoli, ma anche al farsi carico dei ministri della Chiesa. Can. 222- § 1. I fedeli sono tenuti all’obbligo di sovvenire alle necessità della Chiesa, affinché essa possa disporre di quanto è necessario per il culto divino, per le opere di apostolato e di carità e per l’onesto sostentamento dei ministri. § 2. Sono anche tenuti all’obbligo di promuovere la giustizia sociale, come pure, memori del comandamento del Signore, di soccorrere i poveri con i propri redditi. ** Can. 222 § 1. Christifideles obligatione tenentur necessitatibus subveniendi Ecclesiae, ut eidem praesto sint quae ad cultum divinum, ad opera apostolatus et caritatis atque ad honestam ministrorum sustentationem necessaria sunt. § 2. Obligatione quoque tenentur iustitiam socialem promovendi necnon, praecepti Domini memores, ex propriis reditibus pauperibus subveniendi. Alcuni avrebbero preferito che questo canone avesse un contenuto più specificamente ecclesiastico, in cui apparisse l’obbligo di condivisione fatto ai cristiani. In questo spirito lo stesso canone sviluppa il dovere di promozione della giustizia sociale mediante una partecipazione finanziaria dei fedeli a delle azioni, in 55 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 particolare verso i poveri. L’esistenza di un simile dovere nello statuto giuridico dei fedeli è valorizzata dalla dottrina, poiché questa affermazione mostra che il bene comune della Chiesa non è scindibile dal bene comune della società. C) I doveri e i diritti dei fedeli laici a) Fedeli, laici, chierici. 1. Laici e chierici. Il Codice non dà nessuna definizione del laico. Sta dunque alla dottrina il mettere in chiaro elementi che compongono la figura giuridica di questa particolare categoria di fedeli. Nella parte riferita agli obblighi e diritti dei laici, otto canoni descrivono il loro statuto giuridico (cc. 224-231). Altri sono dispersi nei libri del Codice. Per chi vuol mostrare il modo in cui il Codice presenta i rapporti tra chierici e laici, il Can. 207, § 1 serve abitualmente come riferimento (vedere sopra). Tratta direttamente la distinzione tra le due categorie di persone, fondando nel diritto divino l’esistenza di ministri consacrati o chierici: “Gli altri”, dice, “sono chiamati laici”. L’aspetto marginale del posto assegnato ai laici in rapporto ai chierici non sfugge generalmente a nessuno. Il fatto di prendere nella dovuta considerazione la seconda parte del canone, nella quale lo stato di consacrato mediante voti o altri legami riconosciuti o approvati è presentato come essenziale alla vita della Chiesa; favorisce, è vero, un approccio più positivo alla distinzione chierici-laici. Da un lato, questo fatto mostra che ogni distinzione tra le persone è secondaria in rapporto alla condizione giuridica fondamentale del fedele, dall’altro, ricorda che i rapporti tra le persone nella Chiesa non si riducono alle relazioni chiericilaici. Tuttavia, anche se si può ammettere, a partire da questo fatto, che la struttura della Chiesa è “carismatico-istituzionale” (attenersi al solo primo paragrafo del canone equivarrebbe a presentare la Chiesa come società ineguale), rimane posto il problema, poiché molti avrebbero preferito che il cambiamento di sistematica del Libro II si traducesse in un modo più positivo di parlare dei laici sul loro rapporto con i chierici. 2. Il laico: un non ordinato. La possibile cattiva accoglienza del Can. 207, § 1 viene dal modo in cui il Codice è stato redatto, che 56 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 necessita da parte della dottrina l’istituzione di un legame tra canoni dispersi. In questo canone, che distingue i ministri consacrati e “gli altri”, l’elemento prevalente della distinzione è lo statuto sacramentale degli ordinati. Com’è stato dimostrato sopra, a proposito del concetto canonico di organizzazione della Chiesa, lo statuto dei ministri consacrati, che contiene la capacità di esercitare certe funzioni nella Chiesa, è fondato sulla ricezione del Sacramento dell’ordine. La redazione del Can. 1008 è rilevante: mediante il Sacramento dell’ordine, dice, “alcuni tra i fedeli” sono costituiti ministri consacrati. Anche se prima di essere chierici questi fedeli sono appartenuti allo stato laicale, il Codice non dice “certi laici”. Lo stato laicale non è, dunque, il grado inferiore di una gerarchia tra due stati canonici, ma uno stato di pieno diritto che indica la condizione giuridica del fedele. Lo statuto dei laici, proveniente dal battesimo, è, dunque, uno statuto sacramentale, che si distingue dallo statuto acquisito col Sacramento dell’ordine. La prospettiva del canone è in primo luogo “funzionale”, nel senso in cui la diversa partecipazione alle funzioni del Cristo data ad alcuni fedeli, attraverso il Sacramento dell’ordine, pone anche in uno stato. Dal punto di vista della cooperazione alla missione, questo stato permette che sia realizzata una partecipazione specifica alla missione ricevuta da ogni battezzato. È, dunque, la redazione del primo paragrafo del canone che si presta a confusione, più che il suo significato che può essere formulato in questo modo: nella Chiesa, alcuni fedeli sono ordinati, altri no. 3. Laico e fedele. Si pone una questione che riguarda la relazione tra lo stato di fedele e lo stato di laico. Un modo di considerare questa relazione potrebbe portare a pensare che il laico sia un “semplice fedele”, che, in quanto tale, realizza la figura giuridica puramente simbolica del fedele. In questo caso, nonostante l’introduzione di questa nuova figura giuridica, si ritroverebbe mascherato il binomio o dualismo esclusivo chierico-laico. Il testo del Codice permette di risolvere la questione. Il Can. 224, che segue direttamente i canoni che descrivono lo statuto giuridico (doveri e diritti) dei fedeli e introduce l’insieme legislativo riferito ai laici, dichiara che: Can. 224 - I fedeli laici, oltre agli obblighi e ai diritti che sono comuni a tutti i fedeli e oltre a quelli che sono stabiliti negli altri canoni, sono tenuti agli obblighi e godono dei diritti elencati nei canoni del presente titolo. Can. 224 - Christifideles laici, praeter eas obligationes et iura, quae 57 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 cunctis christifidelibus sunt communia et ea quae in aliis canonibus statuuntur, obligationibus tenentur et iuribus gaudent quae in canonibus huius tituli recensentur. I laici ricevono, dunque, uno statuto giuridico specifico, che arricchisce lo statuto legato alla condizione di battezzato. Il loro statuto è costituito da una parte, dai doveri e diritti ricevuti nel battesimo, dall’altra, dai doveri e diritti provenienti dalla loro condizione specifica di laico, che, per essere realizzata, non richiede, al di fuori del battesimo, la ricezione d’altri sacramenti. Laico è dunque la condizione comune del fedele nella quale si entra tramite il battesimo, senza che questa condizione sia oggetto di altra scelta o successiva da parte della persona, né di chiamata da parte della Chiesa, contrariamente allo statuto del chierico, la cui origine diretta è la ricezione del Sacramento dell’ordine che modifica lo statuto fondamentale ricevuto nel battesimo. b) La missione dei laici. 1. La missione dei laici. Il Can.225 § 1 si rivolge tanto ai laici che ai fedeli. Contiene la descrizione generale della missione che spetta loro, cioè lavorare affinché il messaggio divino della salvezza sia conosciuto e ricevuto da tutti gli uomini in tutta la terra. Can. 225 - § 1. I laici, giacché, come tutti i fedeli, sono deputati da Dio all’apostolato mediante il battesimo e la confermazione, sono tenuti all’obbligo generale e hanno il diritto di impegnarsi, sia come singoli sia riuniti in Associazioni, perché l’annuncio della salvezza venga conosciuto e accolto da ogni uomo in ogni luogo; tale obbligo li vincola ancora maggiormente in quelle situazioni in cui gli uomini non possono ascoltare il Vangelo e conoscere Cristo se non per mezzo loro. ** Can. 225 § 1 - Laici, quippe qui uti omnes christifideles ad apostolatum a Deo per baptismum et confirmationem deputentur, generali obligatione tenentur et iure gaudent, sive singuli sive in consociationibus coniuncti, allaborandi ut divinum salutis nuntium ab universis hominibus ubique terrarum cognoscatur et accipiatur; quae obligatio eo vel magis urget iis in adiunctis, in quibus nonnisi per ipsos Evangelium audire et Christum cognoscere homines possunt Si ritrova qui, formulato meglio, l’enunciato del canone 211, dal contenuto simile, relativo allo statuto dei fedeli. Il Codice non fa nessuna distinzione formale riguardo ai luoghi d’esercizio della missione, fatto che autorizzerebbe non solo a separare la missione esercitata nel mondo e nella Chiesa, ma anche a rinchiudere il laico nella laicità e il chierico nel sacro. Su questo punto il Codice 58 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 presenta una concezione dell’apostolato in cui, non essendo dissociati Chiesa e mondo, è ripresa una nozione sviluppata spesso dal Magistero ordinario dei Papi. Questa è ancora una conseguenza, che appare nella redazione del testo codificato, dell’affermazione del Can. 208, secondo il quale i fedeli, mediante il battesimo, sono uguali nella loro cooperazione all’edificazione del Corpo del Cristo. 2. La missione nel mondo. Nella realizzazione della missione affidata alla Chiesa, viene assegnata, tuttavia, una prevalenza alla missione dei laici nel mondo, per la quale, il Can.225 § 2 parla di (un) dovere particolare. Can. 225 § 2. Sono tenuti anche al dovere specifico, ciascuno secondo la propria condizione, di animare e perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico e in tal modo di rendere testimonianza a Cristo, particolarmente nel trattare tali realtà e nell’esercizio dei compiti secolari. ** Can. 225 § 2. Hoc etiam peculiari adstringuntur officio, unusquisque quidem secundum propriam condicionem, ut rerum temporalium ordinem spiritu evangelico imbuant atque perficiant, et ita specialiter in iisdem rebus gerendis atque in muneribus saecularibus exercendis Christi testimonium reddant. Senza che l’azione nell’ambito secolare sia riservata ai laici, essa è un dovere che spetta loro personalmente. Tale dovere deve essere capito nel senso di dovere specifico rispetto ai fedeli che appartengono ad un altro stato, in particolare i chierici. Costoro, come fedeli, avranno anche una missione da compiere nel mondo, ma limitata dall’ingresso in una condizione, il cui statuto contiene un’altra preponderanza. Ognuno secondo la propria condizione, dice il canone, i “ laici” sono anche tenuti al particolare dovere d’impregnare di spirito evangelico, di perfezionare l’ordine temporale e di rendere così testimonianza al Cristo, sopratutto nella gestione di quell’ordine e nel compimento degli incarichi secolari. Il Codice non menziona luoghi di realizzazione della missione nel mondo. Testo legislativo, che lascia al magistero il compito di dare le precisazioni indispensabili, esso si limita ad una affermazione generale del dovere e del diritto che spetta più specificamente ai laici e definisce le loro condizioni d’esercizio. LG, 31: Col nome di laici si intende qui l'insieme dei cristiani ad esclusione dei membri dell'ordine sacro e dello stato religioso sancito nella Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col battesimo e costituiti popolo di Dio e, nella loro misura, resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la 59 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano. Il carattere secolare è proprio e peculiare dei laici. Infatti, i membri dell'ordine sacro, sebbene talora possano essere impegnati nelle cose del secolo, anche esercitando una professione secolare, tuttavia per la loro speciale vocazione sono destinati principalmente e propriamente al sacro ministero, mentre i religiosi col loro stato testimoniano in modo splendido ed esimio che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini. Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità. A loro quindi particolarmente spetta di illuminare e ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente legati, in modo che siano fatte e crescano costantemente secondo il Cristo e siano di lode al Creatore e Redentore. c) Diritti e doveri dei laici. 1. Diritto alla libertà del cittadino. Il Can. 227 richiama il diritto dei fedeli laici di vedersi riconosciuta nell’ambito della società, la libertà che appartiene a tutti i cittadini. Can. 227 - E’ diritto dei fedeli laici che venga loro riconosciuta nella realtà della città terrena quella libertà che compete ad ogni cittadino; usufruendo tuttavia di tale libertà, facciano in modo che le loro azioni siano animate dallo spirito evangelico e prestino attenzione alla dottrina proposta dal magistero della Chiesa, evitando però di presentare nelle questioni opinabili la propria opinione come dottrina della Chiesa. ** Can. 227 - Ius est christifidelibus laicis, ut ipsis agnoscatur ea in rebus civitatis terrenae libertas, quae omnibus civibus competit; eadem tamen libertate utentes, curent ut suae actiones spiritu evangelico imbuantur, et ad doctrinam attendant ab Ecclesiae magisterio propositam, caventes tamen ne in quaestionibus opinabilibus propriam sententiam uti doctrinam Ecclesiae proponant. Questa rivendicazione si rivolge alla Chiesa e sopratutto si applica alle relazioni tra laici e pastori. La Chiesa, dichiara la Costituzione Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, “perseguendo la finalità salvifica che le è propria, non comunica soltanto all’uomo la vita divina, (essa) diffonde anche, e in certo modo, nel mondo intero, la luce che questa vita divina irradia... Così, per ciascuno dei suoi 60 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 membri come per tutta la comunità che forma, la Chiesa crede di poter largamente contribuire a umanizzare sempre di più la famiglia degli uomini e la sua storia” (GS, 40 c). I laici, ai quali spettano personalmente, benché non esclusivamente, le professioni ed attività “secolari” (GS, 43 b), godono di una libertà di scelta e di una autonomia d’azione, la cui origine va ricercata nel modo in cui la Chiesa concepisce il suo ruolo nel mondo. L’istituzione di questo diritto è, dunque, non soltanto la conseguenza del dovere particolare dei laici di agire nell’ambito temporale, ma si inserisce nella logica di un’idea conciliare dei rapporti della Chiesa con la comunità politica. 2. L’esercizio della libertà riconosciuta ai laici dev’essere articolato con una necessaria attenzione alla dottrina sociale presentata dal magistero della Chiesa. Parlando di attenzione, il Codice scarta i termini quali rispetto o obbedienza, che dal punto di vista giuridico, esigerebbero dalle persone l’applicazione di principi definiti dal Magistero. Il riconoscimento di una libertà dei laici nel campo temporale comporta il diritto di accettare il principio dell’esercizio autonomo delle loro responsabilità, alla luce del Magistero in materia sociale. I laici devono aspettarsi dai pastori, dice il Concilio Vaticano II, “luci e forze spirituali”. Essi non pensino, tuttavia, che i loro pastori abbiano una competenza tale da poter fornire loro la soluzione concreta e immediata. Da una parte, dai doveri e diritti ricevuti nel battesimo, dall’altra, dai doveri e diritti provenienti dalla loro condizione specifica di laico, che, per essere realizzata, non richiede, al di fuori del battesimo, la ricezione d’altri sacramenti. Laico è, dunque, la condizione comune del fedele nella quale si entra tramite il battesimo, senza che questa condizione sia oggetto di scelta da parte della persona, né di chiamata da parte della Chiesa, contrariamente allo statuto del chierico, la cui origine diretta è la ricezione del Sacramento dell’ordine che modifica lo statuto fondamentale ricevuto nel battesimo. 3. Doveri nello stato coniugale. Benché il matrimonio possa essere stato contratto dai diaconi permanenti, che, con l’ordinazione, appartengono alla categoria dei chierici, un canone dell’insieme legislativo sui laici è dedicato al “dovere di lavorare all’edificazione del Popolo di Dio attraverso il matrimonio e la famiglia” (Can. 226). Il diritto canonico parla di “stato matrimoniale” (Can.1063) o di “stato coniugale” (Can.226). La 61 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 nozione di stato si riferisce al carattere stabile dei doveri e diritti reciproci acquisiti nel matrimonio. Si entra nello stato e si esce dallo stato matrimoniale secondo le condizioni determinate dal diritto e quando si è pronunziata la Chiesa. Per quanto riguarda la responsabilità delle persone che sono nello stato matrimoniale, il canone parla di vocazione e d’impegno nell’edificazione del polpolo di Dio. Sono qui prese in esame le tre grandi funzioni affidate alla Chiesa e alle quali partecipa ogni fedele, come mostrano alcuni canoni sparsi, che riprendono questi obblighi e questi diritti. Questi canoni, in virtù della concezione della famiglia sviluppata dal Magistero della Chiesa, legano l’esercizio delle tre funzioni senza peraltro disgiungerle. Cosicché, è detto nel paragrafo secondo dello stesso canone, l’incarico dell’insegnamento del messaggio evangelico appartiene specificamente ai genitori. Can. 226 - § 1. I laici che vivono nello stato coniugale, secondo la propria vocazione, sono tenuti al dovere specifico di impegnarsi, mediante il matrimonio e la famiglia, nell’edificazione del popolo di Dio. § 2. I genitori, poiché hanno dato ai figli la vita, hanno l’obbligo gravissimo e il diritto di educarli; perciò spetta primariamente ai genitori cristiani curare l’educazione cristiana dei figli secondo la dottrina insegnata dalla Chiesa. ** Can. 226 § 1. Qui in statu coniugali vivunt, iuxta propriam vocationem, peculiari officio tenentur per matrimonium et familiam ad aedificationem populi Dei allaborandi. § 2. Parentes, cum vitam filiis contulerint, gravissima obligatione tenentur et iure gaudent eos educandi; ideo parentum christianorum imprimis est christianam filiorum educationem secundum doctrinam ab Ecclesia traditam curare Spetta loro “in primo luogo, aggiunge, assicurare l’educazione cristiana dei figli secondo la dottrina trasmessa dalla Chiesa. L’incarico di santificare, che qui è da intendersi in un senso largo come partecipazione alla comunicazione della vita divina, per la quale lo statuto di ogni categoria di fedeli è definito, spetta, in parte, ai laici, ma soprattutto ai genitori, ai quali si chiede di vivere la loro vita di coniugi “in uno spirito cristiano” e di dare “un’educazione cristiana ai figli” (Can.835 § 4). Infine, l’esercizio della carica “regale” del Cristo diventa per i genitori un “obbligo molto grave” contestualmente al diritto di educare i figli. 4. Diritto e dovere riguardanti la formazione dottrinale. Il Can. 217 definisce già il diritto dei fedeli a un’educazione cristiana nella quale figura la formazione dottrinale. Il Can. 229 affronta direttamente il dovere e il diritto dei laici ad acquisire la 62 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 conoscenza della dottrina, di cui rileva il carattere indispensabile per la vita cristiana e l’apostolato. In questa parte generale, il Codice parla di un mezzo per una conoscenza “ più profonda” della dottrina, senza togliere altri mezzi lasciati a discrezione delle persone, sulle quali incombe la responsabilità di vegliare sull’applicazione di questi doveri e diritti. Can. 229 - § 1. I laici, per essere in grado di vivere la dottrina cristiana, per poterla annunciare essi stessi e, se necessario, difenderla, e per potere inoltre partecipare all’esercizio dell’apostolato, sono tenuti all’obbligo e hanno il diritto di acquisire la conoscenza di tale dottrina, in modo adeguato alla capacità e alla condizione di ciascuno. § 2. Hanno anche il diritto di acquistare quella conoscenza piú piena delle scienze sacre che viene data nelle università e facoltà ecclesiastiche o negli istituti di scienze religiose, frequentandovi le lezioni e conseguendovi i gradi accademici. § 3. Cosí pure, osservate le disposizioni stabilite in ordine alla idoneità richiesta, hanno la capacità di ricevere dalla legittima autorità ecclesiastica il mandato di insegnare le scienze sacre. ** Can. 229 § 1. Laici, ut secundum doctrinam christianam vivere valeant, eandemque et ipsi enuntiare atque, si opus sit, defendere possint, utque in apostolatu exercendo partem suam habere queant, obligatione tenentur et iure gaudent acquirendi eiusdem doctrinae cognitionem, propriae uniuscuiusque capacitati et condicioni aptatam. § 2. Iure quoque gaudent pleniorem illam in scientiis sacris acquirendi cognitionem, quae in ecclesiasticis universitatibus facultatibusve aut in institutis scientiarium religiosarum traduntur, ibidem lectiones frequentando et gradus academicos consequendo. § 3. Item, servatis praescriptis quoad idoneitatem requisitam statutis, habiles sunt ad mandatum docendi scientias sacras a legitima auctoritate ecclesiastica recipiendum. Il mezzo è l’acquisizione di conoscenza e di gradi accademici nelle università, facoltà e istituti che hanno ricevuto competenza per insegnare le scienze sacre e assegnare diplomi di laurea. I laici non sono tenuti fuori dall’insegnamento delle scienze sacre, poiché hanno le capacità di ricevere un incarico di insegnamento. Il termine “capacità” indica l’importanza attribuita a questo diritto e nello stesso tempo i suoi limiti. L’insegnamento delle scienze sacre non è riservato ai chierici, ma non esiste il diritto ad ottenere un mandato. L’assegnazione di un incarico, più che altro discrezionale, dovrebbe essere soggetta a una valutazione dell’idoneità dei candidati, senza che il fatto di possedere le condizioni richieste obblighi l’autorità a riconoscere il pieno esercizio della capacità. 5. Diritto e dovere per i laici che esercitano un servizio nella Chiesa. Il Can. 231 considera il caso particolare dei laici, che sono 63 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 chiamati ad adempiere alcune funzioni nella Chiesa, in modo temporaneo o permanente. Queste funzioni sono chiamate “servizio” dal Codice nell’intento di ricoprire ogni forma di partecipazione alla missione della Chiesa, che sia stata affidata dall’autorità in vista di una finalità spirituale o temporale. Can. 231 - § 1. I laici, designati in modo permanente o temporaneo ad un particolare servizio della Chiesa, sono tenuti all’obbligo di acquisire la adeguata formazione, richiesta per adempiere nel modo dovuto il proprio incarico e per esercitarlo consapevolmente, assiduamente e diligentemente. § 2. Fermo restando il disposto del Can. 230, § 1, essi hanno diritto ad una onesta remunerazione adeguata alla loro condizione, per poter provvedere decorosamente, anche nel rispetto delle disposizioni del diritto civile, alle proprie necessità e a quelle della famiglia; hanno inoltre diritto che si garantiscano la previdenza sociale, le assicurazioni sociali e l’assistenza sanitaria. ** Can. 231 §1. Laici, qui permanenter aut ad tempus speciali Ecclesiae servitio addicuntur, obligatione tenentur ut aptam acquirant formationem ad munus suum debite implendum requisitam, utque hoc munus conscie impense et diligenter adimpleant. § 2. Firmo praescripto Can. 230, §1, ius habent ad honestam remuerationem suae condicioni aptatam, qua decenter, servatis quoque iuris civilis praescriptis, necessitatibus propriis ac familiae providere valeant; itemque iis ius competit ut ipsorum praevidentiae et securitati sociali et assistentiae sanitariae, quam dicunt, debite prospiciatur. Un dovere generale di formazione appropriata è imposto alle persone che rivestono queste funzioni, come pure l’obbligo di svolgere il loro compito con coscienza. Ne vengono loro alcuni diritti sociali: hanno diritto a una remunerazione, che permetta loro di provvedere decentemente ai loro bisogni e a quelli delle loro famiglie. La Chiesa è tenuta in questo punto a rispettare le disposizioni del diritto civile. Le persone utilizzate allo scopo di esercitare funzioni direttamente pastorali, come i catechisti permanenti o i laici che servono negli ospedali e nelle scuole, devono ricevere una “nomina” allo scopo di definire il compito affidato. La Chiesa dà priorità a questa lettera di missione su un eventuale contratto di lavoro, essendo i due atti di natura diversa. La nomina è un atto amministrativo, il cui autore è il vescovo diocesano o un titolare della potestà di governo. Un contratto è un atto, la cui forza obbligante viene dalla volontà reciproca delle persone. I laici che assicurano un servizio nella Chiesa hanno diritto anche alla previdenza sociale e all’applicazione delle regole 64 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 di garanzia in caso di malattia o d’incapacità. Il canone deve essere applicato nell’ambito del diritto statale di ogni paese. D) I ministri consacrati o chierici Il Codice dedica 60 canoni alla legislazione speciale sui chierici. Questo numero di canoni, cospicuo rispetto alla legislazione sui fedeli e sui laici, è dovuto al fatto che i fedeli acquistano uno statuto particolare con l’ordinazione. I chierici acquistano il diritto a una partecipazione specifica alle tre funzioni affidate alla Chiesa e, a questo titolo, sono oggetto di una particolare attenzione del diritto nella loro formazione, nel loro legame con la Chiesa, nei loro doveri e diritti ed anche, poiché sono in uno stato in cui sono entrati volontariamente, nella loro uscita dallo stato clericale. Quest’insieme ha trovato un posto eminente nel Libro II. Sarebbe stato difficile per i redattori del Codice continuare a far figurare questo corpo di canoni prima di quelli riguardanti i laici, dato il cambiamento da apportare rispetto al Codice del 1917. La dinamica del Can. 208, che situa le relazioni tra le persone in una prospettiva d’uguaglianza e investe ognuna delle parti, evidenziando il carattere costitutivo di ogni stato per la realizzazione della missione della Chiesa, doveva essere visibile nel piano. a) La formazione dei chierici. 1. Formazione alla missione. Il Codice afferma il “ diritto proprio ed esclusivo” (Can.232) della Chiesa di formare coloro che sono destinati ad essere chierici. Can. 232 - La Chiesa ha il dovere e il diritto proprio ed esclusivo di formare coloro che sono destinati ai ministeri sacri. ** Can. 232. Ecclesia officium est atque ius proprium et exclusivum eos instituendi, qui ad ministeria sacra deputantur. Il Codice del 1917, che ricordava già la libertà di formazione dei chierici, aveva fatto figurare 20 canoni dedicati ai seminari nella parte che trattava il Magistero ecclesiastico. Si considerava all’epoca che la formazione data ai chierici preparasse sopratutto alla funzione di insegnare e predicare. Il Codice del 1983, malgrado alcune esitazioni dei redattori, ha riunito questi canoni a quelli che riguardanti i chierici e ha permesso che lo scopo della formazione 65 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 apparisse più legato all’esercizio delle tre cariche della Chiesa. La descrizione della formazione rimane generale. Il Codice è, su questo punto, una “legge quadro”, che necessita l’intervento d’altri legislatori; questi, promulgando un diritto particolare, dovrebbero definire le regole di formazione e i programmi di studio, come fatto per l’Italia. 2. I Seminari. La preparazione all’esercizio delle cariche ecclesiastiche si fa nei seminari maggiori e minori. Quest’ultimi, o istituzioni analoghe, non sono obbligatori ma sono mantenuti e incoraggiati per incrementare vocazioni (Can. 234) mediante una formazione religiosa particolare, unita ad un insegnamento scientifico e umanistico. Can. 234 - § 1. Si mantengano, dove esistono, e si favoriscano i seminari minori o altri istituti simili; in essi, allo scopo di incrementare le vocazioni, si provveda a dare una particolare formazione religiosa insieme con una preparazione umanistica e scientifica; anzi, se lo ritiene opportuno, il Vescovo diocesano provveda all’erezione del seminario minore o di un istituto analogo. § 2. A meno che in casi determinati le circostanze non suggeriscano diversamente, i giovani che intendono essere ammessi al sacerdozio siano forniti della stessa formazione umanistica e scientifica con la quale i giovani di quella regione vengono preparati a compiere gli studi superiori. ** Can. 234 - § 1. Serventur, ubi exsistunt, atque foveantur seminaria minora aliave instituta id genus, in quibus nempe, vocationum fovendarum gratia, provideatur ut peculiaris formatia religiosa una expedire iudicaverit Episcopus dioecesanus, seminarii minoris similisve instituti erectioni prospiciat. § 2. Nisi certis in casibus adiuncta suadeant, iuvenes quibus animus est ad sacerdotium ascendere, ea ornentur humanistica et scientifica formatione, qua iuvenes in sua quisque regione ad studia superiora peragenda praeparantur. In compenso, i seminari maggiori sono obbligatori. Devono essere istituiti in linea di massima in ogni diocesi, da una parte, perché permettono ai futuri chierici di avere già delle relazioni con la Chiesa particolare e il presbiterio nel quale dovranno lavorare, dall’altra, perché l’esistenza di un seminario in una diocesi favorisce la nascita di vocazioni, di cui il Codice del 1983 rende direttamente responsabile la comunità dei fedeli. Su questo piano, i canoni del Codice applicano le domande formulate dal Concilio Vaticano II nel decreto Optatam totius. La Chiesa, si diceva, non vuole abbandonare “l’esperienza dei secoli trascorsi” pur riconoscendo la necessità di un adattamento delle regole in 66 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 funzione delle trasformazioni del tempo presente e della diversità dei popoli e delle regioni. Estratto della Costituzione Pastorem Dabo vobis (Enchiridion Vaticanum, 13, n° 1444-1454) n° 60-61 60. La necessità del Seminario Maggiore — e dell'analoga Casa religiosa — per la formazione dei candidati al sacerdozio, autorevolmente affermata dal Concilio Vaticano II,382 è stata riaffermata dal Sinodo con queste parole: « L'istituzione del Seminario Maggiore, come luogo ottimo di formazione, è certamente da riaffermarsi quale normale spazio, anche materiale, di una vita comunitaria e gerarchica, anzi quale casa propria per la formazione dei candidati al sacerdozio, con superiori veramente consacrati a questo ufficio. Questa istituzione ha dato moltissimi frutti lungo i secoli e continua a darli in tutto il mondo ».383 Il seminario si presenta sì come un tempo e uno spazio; ma si presenta soprattutto come una comunità educativa in cammino: è la comunità promossa dal Vescovo per offrire a chi è chiamato dal Signore a servire come gli apostoli la possibilità di rivivere l'esperienza formativa che il Signore ha riservato ai Dodici. …/… L'identità profonda del seminario è di essere, a suo modo, una continuazione nella Chiesa della comunità apostolica stretta intorno a Gesù, in ascolto della sua Parola, in cammino verso l'esperienza della Pasqua, in attesa del dono dello Spirito per la missione. Una simile identità costituisce l'ideale normativo che stimola il seminario, nelle più diverse forme e nelle molteplici vicissitudini, che in quanto istituzione umana registra nella storia, a trovare una concreta realizzazione, fedele ai valori evangelici ai quali si ispira e capace di rispondere alle situazioni e necessità dei tempi. Il seminario è, in se stesso, un'esperienza originale della vita della Chiesa: in esso il Vescovo si rende presente attraverso il ministero del rettore e il servizio di corresponsabilità e di comunione da lui animato con gli altri educatori, per la crescita pastorale e apostolica degli alunni. I vari membri della comunità del seminario, riuniti dallo Spirito in un'unica fraternità, collaborano, ciascuno secondo il proprio dono, alla crescita di tutti nella fede e nella carità, perché si preparino adeguatamente al sacerdozio e quindi a prolungare nella Chiesa e nella storia la presenza salvifica di Gesù Cristo, il buon Pastore. Già sotto un profilo umano, il Seminario Maggiore deve tendere a diventare « una comunità compaginata da una profonda amicizia e carità, così da poter essere considerata una vera famiglia che vive nella gioia ». Sotto il profilo cristiano, il seminario si deve configurare, continuano i Padri sinodali, come « comunità ecclesiale », come « comunità dei discepoli del Signore nella quale si celebra la stessa Liturgia (che permea la vita di spirito di preghiera), formata ogni giorno nella lettura e nella meditazione della Parola di Dio e con il sacramento dell'Eucaristia e nell'esercizio della carità fraterna e della giustizia, una comunità nella quale, nel progresso della vita comunitaria e nella vita di ciascun suo membro, risplendono lo Spirito di Cristo e l'amore verso la Chiesa ». …/… 67 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 61. Il seminario è, dunque, una comunità ecclesiale educativa, anzi una particolare comunità educante. Ed è il fine specifico a determinarne la fisionomia, ossia l'accompagnamento vocazionale dei futuri sacerdoti, e pertanto il discernimento della vocazione, l'aiuto a corrispondervi e la preparazione a ricevere il Sacramento dell’ordine con le grazie e le responsabilità proprie, per le quali il sacerdote è configurato a Gesù Cristo Capo e Pastore ed è abilitato e impegnato a condividerne la missione di salvezza nella Chiesa e nel mondo. b) Incardinazione ed escardinazione dei chierici. 1. L’incardinazione è il legame mediante il quale un chierico s’inserisce in una diocesi, una prelatura personale, un istituto di vita consacrata o una Società di vita apostolica. Questo legame è conseguenza dell’ordinazione al diaconato, in modo che nessun chierico possa essere detto “acefalo” o “ senza legame”: Can. 265 - Ogni chierico deve essere incardinato o in una Chiesa particolare o in una Prelatura personale oppure in un istituto di vita consacrata o in una società che ne abbia la facoltà, in modo che non siano assolutamente ammessi chierici acefali o girovaghi. ** Can. 265 Quemlibet clericum oportet esse incardinatum aut alicui Ecclesiae particulari vel praelaturae personali, aut alicui instituto vitae consecratae vel societati hac facultate praeditis, ita ut clerici acephali seu vagi minime admittantur. 2. La nozione d’incardinazione. L’incardinazione non è definita nel Codice. Il suo significato emerge dal paragone dei canoni attuali con quelli del Codice del 1917. Nel vecchio Codice, era sopratutto l’aspetto disciplinare dell’incardinazione ad essere sottolineato, dando un carattere preponderante al legame gerarchico che essa creava tra l’incardinato e il superiore. Tale concezione si spiega sopratutto con la storia dell’istituzione. Il Codice del 1917 rinforzava, codificandolo, il desiderio del Concilio di Trento di assicurare la stabilità dei chierici, perché a partire dal XII secolo, la pratica delle ordinazioni assolute e l’introduzione dei titoli di ordinazione detti “del patrimonio” e del “beneficio”, che limitavano il servizio del chierico e determinavano i suoi mezzi di sussistenza, avevano permesso una grande mobilità o facilità di passaggio tra le diocesi. Il mantenimento dei titoli di ordinazione nel vecchio Codice scindeva l’aspetto disciplinare dell’incardinazione dal servizio nella diocesi. L’ingresso dei due titoli detti “del servizio della diocesi” e “della missione” e sopratutto il fatto che, in pratica, essi si siano progressivamente imposti per soppiantare i vecchi titoli, hanno contribuito a spostare la preponderanza data fino ad allora al 68 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 legame gerarchico derivante dall’incardinazione. Nel Codice del 1983, la preponderanza è data alla relazione di servizio stabilita dall’incardinazione, la quale, per realizzarsi, deve passare attraverso l’istituzione di un legame gerarchico con un superiore. 3. Il Concilio Vaticano II ha descritto questo legame di servizio unicamente per i sacerdoti. L’incardinazione trova un senso e un fondamento nella partecipazione al sacerdozio di Cristo in modo che essa appaia come la realizzazione, in una istituzione, di una “missione di salvezza di proporzioni universali”. PO 10 b: Inoltre, le norme sull'incardinazione e l'escardinazione vanno riviste in modo che quest’antichissimo istituto, pur rimanendo in vigore, sia però più rispondente ai bisogni pastorali di oggi. E lì dove ciò sia reso necessario da motivi apostolici, si faciliti non solo una distribuzione funzionale dei presbiteri, ma anche l'attuazione di peculiari iniziative pastorali in favore di diversi gruppi sociali in certe regioni o nazioni o addirittura continenti. A questo titolo, lo scopo o fondamento dell’incardinazione riguarda pure i sacerdoti membri di Istituti di vita consacrata, di Società di vita apostolica o di Prelature personali, non incardinati nelle diocesi. Le loro attività apostoliche, partecipando alla missione propria dell’istituzione nella quale sono entrati, sono la realizzazione della “preoccupazione di tutte le Chiese” legata all’ordinazione. Quindi tutti i sacerdoti, “sia diocesani che religiosi” afferma il Concilio Vaticano II, partecipano in unione col vescovo, all'unico sacerdozio di Cristo e lo esercitano con lui. Pertanto, essi sono costituiti provvidenziali cooperatori dell'ordine episcopale. Nell'esercizio del sacro ministero il ruolo principale spetta ai sacerdoti diocesani, perché, essendo essi incardinati o addetti ad una Chiesa particolare, si consacrano tutti al suo servizio, per la cura spirituale di una porzione del gregge del Signore. Perciò, essi costituiscono un solo presbiterio ed una sola famiglia, di cui il vescovo è come il padre. Questi, per poter meglio e più giustamente distribuire i sacri ministeri tra i suoi sacerdoti, deve poter godere della necessaria libertà nel conferire gli uffici e i benefici; ciò comporta la soppressione dei diritti e dei privilegi che in qualsiasi modo limitino tale libertà” (CD, 28). 4. Il passaggio da una diocesi ad un’altra. Il principio di stabilità dei chierici molto garantito nel Codice del 1917, rendeva difficile il passaggio da una diocesi ad un’altra. Diverse situazioni pastorali 69 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 alla metà di quel secolo avevano mostrato la mancanza di elasticità delle regole del Codice del 1917 nel rispondere ai nuovi bisogni. Per dar loro un grado giuridico, il legislatore era stato costretto a trovare alcune soluzioni giuridiche originali. Il Concilio Vaticano II ha chiesto che si adattasse ai bisogni pastorali attuali questa “vecchissima istituzione”. Le nuove regole (cc.267-272), riprese dal M.P. di Paolo VI “Ecclesiae sanctae” (6 agosto 1966), pur mantenendo il principio di stabilità, facilitano il passaggio da una diocesi ad un’altra e sopratutto offrono diverse possibilità che esistono, come nel vecchio Codice, di ricorrere all’escardinazione. Can. 268 - § 1. Il chierico che si trasferisce legittimamente dalla propria Chiesa particolare in un’altra, dopo cinque anni viene incardinato in quest’ultima per il diritto stesso, purché abbia manifestato per iscritto tale intenzione sia al Vescovo diocesano della Chiesa ospite, sia al Vescovo diocesano proprio e purché nessuno dei due abbia espresso un parere contrario alla richiesta entro quattro mesi dalla recezione della lettera. § 2. Con l’ammissione perpetua o definitiva in un istituto di vita consacrata o in una società di vita apostolica, il chierico che a norma del Can. 266, è incardinato in tale istituto o società, viene escardinato dalla propria Chiesa particolare. Can. 272 - L’Amministratore diocesano non può concedere l’escardinazione e l’incardinazione, come pure la licenza di trasferirsi in un’altra Chiesa particolare, se non dopo un anno di sede episcopale vacante e col consenso del collegio dei consultori. ** Can. 268 § 1. Clericus qui a propria Ecclesia particulari in aliam legitime transmigraverit, huic Ecclesiae particulari, transacto quinquennio, ipso iure incardinatur, si talem voluntatem in scriptis manifestaverit tum Episcopo dioecesano Ecclesiae hospitis tum Episcopo dioecesano proprio, neque horum alteruter ipsi contrariam scripto mentem intra quattuor menses a receptis litteris significaverit. §2. Per admissionem perpetuam aut definitivam in institutum vitae consecratae aut in societatem vitae apostolicae, clericus qui, ad normam Can. 266, §2, eidem instituto aut societati incardinatur, a propria Ecclesia particulari excardinatur. ** Can. 272 - Excardinationem et incardinationem, itemque licentiam ad aliam Ecclesiam particularem transmigrandi concedere nequit Administrator dioecesanus, nisi post annum a vacatione sedis episcopalis, et cum consensu collegii consultorum. 5. L’escardinazione. L’escardinazione è l’iscrizione in un’altra Chiesa particolare, dopo aver ottenuto dal vescovo della diocesi dove si è incardinati, una lettera che autorizzi il passaggio al servizio dell’altra Chiesa e dopo avere ricevuto dal vescovo della diocesi, in cui ci si propone di essere incardinati, una lettera detta 70 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 “d’incardinazione” (Can. 267). La validità della procedura dell’incardinazione, quindi, e dell’escardinazione dipende da questo scambio di lettere. L’escardinazione segue ipso facto l’ottenimento dell’incardinazione richiesta. Il Can. 270 presenta l’escardinazione come un diritto del chierico incardinato, senza tuttavia usare il termine. Can. 270 - L’escardinazione può essere lecitamente concessa solo per giusti motivi, quali l’utilità della Chiesa o il bene del chierico stesso; tuttavia non può essere negata se non in presenza di gravi cause; però il chierico che ritenga gravosa la decisione nei suoi confronti e abbia trovato un Vescovo che lo accoglie, può fare ricorso contro la decisione stessa. ** Can. 270. Excardinatio licite concedi potest iustis tantum de causis, quales sunt Ecclesiae utilitas aut bonum ipsius clerici; denegari autem nonpotest nisi exstantibus gravibus causis; licet tamen clerico, qui se gravatum censuerit et Episcopum receptorem invenerit, contra decisionem recurrere. Il Codice mantiene l’equilibrio tra i motivi di un’accettazione e i motivi di un rifiuto da parte dell’autorità. L’escardinazione, dice, può essere lecitamente concessa solo per giusta causa, come l’utilità della Chiesa o il bene del clero stesso. Può essere rifiutata solo in caso di gravi motivi. È, inoltre, permesso ad un chierico che si consideri leso e che abbia trovato un vescovo che lo riceva di ricorrere contro la decisione. Tale possibilità di ricorso rivela l’esistenza di un diritto, ma le condizioni di ottenimento dell’escardinazione indicano che l’esercizio di questo diritto è oggetto di una regolazione, che lega il chierico richiedente all’autorità. L’accesso ad una richiesta d’escardinazione non è, dunque, un favore, ma la conseguenza di un giudizio dell’autorità, di cui un ricorso potrebbe verificare la giustizia. 6. Nel Can. 269, che definisce il diritto del vescovo che incardina, l’incardinazione che comporta l’effetto d’escardinazione ha più l’aspetto di un favore. C. 269. - Il Vescovo diocesano non proceda all’incardinazione di un chierico se non quando: 1° ciò sia richiesto dalla necessità o utilità della sua Chiesa particolare e salve le disposizioni del diritto riguardanti l’onesto sostentamento dei chierici; 2° gli consti da un documento legittimo la concessione dell’escardinazione e inoltre abbia avuto opportuno attestato da parte del Vescovo diocesano di escardinazione, se necessario sotto segreto, sulla vita, sui costumi e sugli studi del chierico; 3° il chierico abbia dichiarato per iscritto al Vescovo diocesano stesso di volersi dedicare al servizio della nuova Chiesa particolare a norma del diritto. 71 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 ** Can. 269. Ad incardinationem clerici Episcopus dioecesanus ne deveniat nisi: (1) necessitas aut utilitas suae Ecclesiae particularis id exigat, et salvis praescriptis honestam sustentationem clericorum respicientibus; (2) ex legitimo documento sibi constiterit de concessa excardinatione, et habuerit praeterea ab Episcopo dioecesano excardinanti, sub secreto si opus sit, de clerici vita, moribus ac studiis opportuna testimonia; (3) clericus eidem Episcopo dioecesano scripto declaraverit se novae Ecclesiae particularis servitio velle addici ad normam iuris. Essa è certamente sottoposta alla raccolta d’elementi procedurali indispensabili affinché possa essere presa la decisione, come l’esistenza del documento legittimo che prova che è concessa l’escardinazione oppure la dichiarazione scritta del chierico che afferma di voler assumere servizio nella nuova Chiesa particolare. È anche determinata dal bisogno o dall’utilità della Chiesa particolare che deve procedere all’incardinazione e alle possibilità di offrire mezzi di sussistenza al chierico. Ma non v’è nulla di definitivo in materia di ricorsi. Il vescovo può esercitare su questo punto un potere discrezionale che lo porterà ad accettare o rifiutare la richiesta che gli è stata fatta. 7. Permesso di passare per un tempo determinato ad un’altra Chiesa particolare. I chierici incardinati possono chiedere il permesso di passare, per un certo periodo di tempo, al servizio di un’altra Chiesa particolare, pur mantenendo il legame d’incardinazione con la Chiesa particolare di origine. Poiché tale legame crea dei diritti, questi dovrebbero essere mantenuti durante la loro assenza. Si tratta, tuttavia, di un favore che non è determinato da alcuna condizione di ottenimento. Tuttavia, una volta ottenuta, essa può, mediante convenzioni, creare dei diritti. Il vescovo conserva il diritto di richiamare il chierico, “per una giusta causa” dice il Can. 271 § 3, rispettando le convenzioni passate e l’equità naturale. 8. In compenso, nel caso in cui il passaggio a un’altra Chiesa particolare fosse motivata dalla necessità di esercitare il ministero in una regione in grave penuria di sacerdoti, il vescovo che deve rilasciare il permesso dovrebbe prendere in considerazione, questa volta, la situazione della sua Chiesa particolare. Bisognerebbe che il rifiuto fosse motivato da uno stato di necessità della Chiesa particolare (Can. 271 § 1) o da una mancanza d’attitudine del chierico. 72 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Can. 271 - § 1. Al di fuori di una situazione di vera necessità per la propria Chiesa particolare, il Vescovo diocesano non neghi la licenza di trasferirsi ai chierici che sappia preparati e ritenga idonei ad andare in regioni afflitte da grave scarsità di clero, per esercitarvi il ministero sacro; provveda però che, mediante una convenzione scritta con il Vescovo diocesano del luogo a cui sono diretti, vengano definiti i diritti e i doveri dei chierici in questione. § 2. Il Vescovo diocesano può concedere ai suoi chierici la licenza di trasferirsi in un’altra Chiesa particolare per un tempo determinato, rinnovabile anche piú volte, in modo però che i chierici rimangano incardinati nella propria Chiesa particolare e, se vi ritornano, godano di tutti i diritti che avrebbero se avessero esercitato in essa il ministero sacro. § 3. Il chierico che è passato legittimamente ad un’altra Chiesa particolare, rimanendo incardinato nella propria Chiesa, per giusta causa può essere richiamato dal proprio Vescovo diocesano, purché siano rispettate le convenzioni stipulate con l’altro Vescovo e l’equità naturale; ugualmente, alle stesse condizioni, il Vescovo diocesano dell’altra Chiesa particolare potrà, per giusta causa, negare al chierico la licenza di un ‘ulteriore permanenza nel suo territorio. ** Can. 271 § 1. Extra casum verae necessitatis Ecclesiae particularis propriae, Episcopus dioecesanus ne deneget licentiam transmigrandi clericis, quos paratos scit atque aptos aestimet qui regiones petant gravi cleri inopia laborantes, ibidem sacrum ministerium peracturi; prospiciat vero ut per conventionem scriptam cum Episcopo dioecesano loci, quem petunt, iura et officia eorundem clericorum stabiliantur. §2. Episcopus dioecesanus licentiam ad aliam Ecclesiam particularem transmigrandi concedere potest suis clericis ad tempus praefinitum, etiam pluries renovandum, ita tamen ut iidem clerici propriae Ecclesiae particulari incardinati maneant, atque in eandem redeuntes omnibus gaudeant iuribus, quae haberent si in ea sacro ministerio addicti fuissent. §3. Clericus qui legitime in aliam Ecclesiam particularem transierit propriae Ecclesiae manens incardinatus, a proprio Episcopo dioecesano iusta de causa revocari potest, dummodo serventur conventiones cum altero Episcopo initae atque naturalis aequitas; pariter, iisdem condicionibus servatis, Episcopus dioecesanus alterius Ecclesiae particularis iusta de causa poterit eidem clerico licentiam ulterioris commorationis in suo territorio denegare. 9. Incardinazione a pieno diritto. Infine, l’incardinazione in un’altra Chiesa particolare potrebbe essere effetto di una manifestazione della volontà d’un chierico già passato a questa chiesa, in cui avesse esercitato un ministero da almeno cinque anni compiuti. L’incardinazione a pieno diritto fa seguito alla domanda scritta del chierico e al tacito consenso dei due vescovi interessati in un lasso di tempo di quattro mesi. Can. 268 - § 1. Il chierico che si trasferisce legittimamente dalla propria Chiesa particolare in un’altra, dopo cinque anni viene incardinato in quest’ultima per il diritto stesso, purché abbia manifestato per iscritto tale intenzione sia al Vescovo diocesano della Chiesa ospite, sia al Vescovo diocesano proprio e purché 73 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 nessuno dei due abbia espresso un parere contrario alla richiesta entro quattro mesi dalla recezione della lettera. § 2. Con l’ammissione perpetua o definitiva in un istituto di vita consacrata o in una società di vita apostolica, il chierico che a norma del Can. 266, è incardinato in tale istituto o società, viene escardinato dalla propria Chiesa particolare. ** Can. 268 §1. Clericus qui a propria Ecclesia particulari in aliam legitime transmigraverit, huic Ecclesiae particulari, transacto quinquennio, ipso iure incardinatur, si talem voluntatem in scriptis manifestaverit tum Episcopo dioecesano Ecclesiae hospitis tum Episcopo dioecesano proprio, neque horum alteruter ipsi contrariam scripto mentem intra quattuor menses a receptis litteris significaverit. § 2. Per admissionem perpetuam aut definitivam in institutum vitae consecratae aut in societatem vitae apostolicae, clericus qui, ad normam Can. 266, §2, eidem instituto aut societati incardinatur, a propria Ecclesia particulari excardinatur. Questo caso illustra meglio la flessibilità del diritto attuale in materia e la possibilità che offre di far fronte ai problemi nuovi di mobilità nell’esercizio delle cariche pastorali. c) Doveri e diritti dei chierici. Lo statuto giuridico dei chierici stabilisce una legislazione di diritti e doveri nell’intento di garantire la specificità dell’esercizio del ministero sacro dei chierici. Questo statuto è quello dei ministri della Chiesa. Contrariamente a ciò che il Codice dichiarava a proposito di quello dei laici, questo statuto non si aggiunge integralmente a quello del fedele. I doveri e i diritti dei fedeli rimangono acquisiti nel battesimo, ma alcuni saranno adattati, modificati o vietati all’esercizio, a causa delle cariche particolari che spettano ai chierici. La lista dei doveri e dei diritti (cc. 273-289) è meno lunga di quella fornita dal vecchio Codice e non entra in altrettanti dettagli. Bisogna vedervi un eccesso di prudenza del diritto, che vuole evitare che le prescrizioni diventino caduche con il tempo, come per alcune del Codice del 1917. Perché più che dalla determinazione dei doveri e dei diritti, dipende anche dalla competenza di legislatori particolari e soprattutto dai vescovi diocesani. 1. Dovere d’obbedienza. Il primo canone dell’insieme legislativo (Can. 273) comincia con il ricordare l’obbligo per tutti i chierici, di manifesta “reverenza” ed “obbedienza” verso il Pontefice romano ed il proprio ordinario. Tale dovere fa già parte dello statuto giuridico dei fedeli (Can. 212 § 1). Qui, esso è l’applicazione dell’obbedienza dovuta ai pastori, ma, questa volta, riguarda i fedeli che hanno, con l’ordinazione, un legame specifico con i vescovi ed il Papa, 74 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 essendo gli uni e gli altri, con cariche specifiche, ministri del Popolo di Dio. Il contenuto del Can. 274 § 2 s’inserisce in questa linea. I chierici sono tenuti ad accettare e ad adempiere fedelmente gli incarichi che l’ordinario ha affidato loro. Quest’obbligo è conseguenza della loro incardinazione. Il canone parla d’obbligo o di dovere di adempiere un ufficio, non di un diritto. Lo si faceva a partire dal penultimo schema preparatorio del Codice attuale. Le discussioni, cui ha dato luogo il progetto di soppressione di questo canone, dimostrano che s’è voluto scartare il termine “diritto”, per evitare le ambiguità riguardanti la comprensione del ministero nella Chiesa e l’atteggiamento dei chierici nei suoi riguardi. 2. Doveri che riguardano le condotte e la vita personale. Lo statuto giuridico dato ai chierici mira all’imposizione di una condotta e di una vita personale in rapporto con la missione “in nome della Chiesa”, che è loro affidata. Essi hanno il dovere, come tutti i fedeli, di condurre una vita santa, ma per ogni chierico esiste un motivo particolare per perseguire la santità, poiché è consacrato a Dio a nuovo titolo con la ricezione del Sacramento dell’ordine (Can. 276). Il celibato, al quale si devono attenere, li unisce “facilmente al Cristo con un amore indiviso” e permette loro di “consacrarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini” (Can. 277). Essi devono condurre una vita semplice e povera, legata alla loro diocesi (cc. 282 e 283). Inoltre, essi devono astenersi da tutto quello che non si addice allo stato clericale (Can. 285). Il diritto d’associazione è loro riconosciuto come ad ogni fedele, ma le raccomandazioni del Codice indicano che si tiene al fatto che essi privilegino l’ingresso in associazioni, i cui statuti siano stati approvati dall’autorità e i cui scopi siano in relazione con l’esercizio del loro ministero e con il loro statuto di ordinati. Infine, si proibisce loro di fondare e di partecipare ad associazioni, il cui scopo e l’azione siano incompatibili con lo stato clericale e possono intralciare l’adempimento dell’incarico che è stato loro affidata (Can. 278). 3. Doveri e diritti di funzione. I doveri e diritti dei chierici, che riguardano la loro vita personale e la loro condotta, si capiscono già in relazione alle funzioni che la Chiesa chiede loro di esercitare. Certi obblighi e certi diritti, ma soprattutto le interdizioni, hanno un rapporto più diretto con lo sviluppo e la garanzia dell’esercizio del ministero sacro. Così l’obbligo di proseguire gli studi o di frequentare cicli di conferenze (Can. 279), il diritto ad una 75 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 remunerazione (Can. 281), l’obbligo di portare l’abito clericale (Can. 284), il divieto di rivestire cariche pubbliche, che comportino una partecipazione all’esercizio del potere civile (Can. 285 § 3), il divieto, senza il consenso dell’ordinario, di gestire beni appartenenti ai laici o di rivestire cariche secolari, che comportino l’obbligo di rendere conto (Can. 285 § 4), il divieto di prendere parte attiva nella direzione delle associazioni sindacali o nei partiti politici, a meno che un giudizio dell’autorità non stabilisca che un simile impegno sia necessario alla difesa dei diritti della Chiesa o alla promozione del bene comune (Can. 287 § 2); infine, il divieto di entrare come volontari nell’esercito, non addicendosi il servizio militare permanente allo stato clericale (Can. 289). Questi divieti sono riserve fatte dal diritto alla libertà d’azione legata allo statuto di fedeli, riserve che, come emerge, dal contenuto di ogni canone, possono essere sciolte dall’Ordinario, mediante una dispensa, che concede, al chierico che lo richiede, la possibilità di agire contro il diritto o al di fuori del diritto. 4. Doveri e diritti dei diaconi permanenti. I diaconi permanenti sono chierici. Lo statuto descritto sopra è loro applicabile. Non sono tenuti al celibato, tuttavia, la loro situazione è particolare in rapporto agli altri chierici, cosicché un certo numero di obblighi non li riguarda. Pertanto, non sono tenuti a portare l’abito clericale, possono rivestire cariche pubbliche con partecipazione al potere civile e non rientrano nell’interdizione riguardante la gestione dei beni, i legami finanziari o l’esercizio delle cariche che comportino l’obbligo di rendere conto (Can. 288). La loro remunerazione dipende dalla loro condizione ministeriale nella Chiesa. È stabilito il principio secondo il quale ogni diacono permanente, interamente consacrato al ministero ecclesiastico, riceva una remunerazione, ma se esercita una professione civile o riceve una remunerazione per una professione esercitata in precedenza, non riceverà niente dalla Chiesa (Can. 283 § 3). Qui, inoltre, bisognerà tener conto delle situazioni particolari, che dipendono da un giudizio dell’autorità, e che potrebbe a sua volta dar luogo a decisioni o regolamenti particolari. d) Perdita dello stato clericale. Il Codice del 1917 parlava di riduzione del chierico allo stato laicale. Il nuovo vocabolario indica meglio che si 76 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 tratta della perdita degli obblighi e diritti propri dello stato clericale e, contestualmente, di un ritorno allo stato laicale, in cui si trovava il chierico prima della sua ordinazione. Can. 290 - La sacra ordinazione, una volta validamente ricevuta, non diviene mai nulla. Tuttavia il chierico perde lo stato clericale: 1° Per sentenza giudiziaria o decreto amministrativo con cui si dichiara l’invalidità della sacra ordinazione; 2° mediante la pena di dimissione irrogata legittimamente; 3° per rescritto della Sede Apostolica; tale rescritto viene concesso dalla Sede Apostolica ai diaconi soltanto per gravi cause, ai presbiteri per cause gravissime. Can. 291 - Oltre ai casi di cui al Can. 290, n. 1, la perdita dello stato clericale non comporta la dispensa dall’obbligo del celibato: questa viene concessa unicamente dal Romano Pontefice. Can. 292 - Il chierico che a norma del diritto perde lo stato clericale, ne perde insieme i diritti e non è tenuto ad alcun obbligo di tale stato, fermo restando il disposto del Can. 291; gli è proibito di esercitare la potestà di ordine, salvo il disposto del Can. 976; con ciò egli è privato di tutti gli uffici, di tutti gli incarichi e di qualsiasi potestà delegata. Can. 293 - Il chierico che ha perduto lo stato clericale non può essere nuovamente ascritto tra i chierici, se non per rescritto della Sede Apostolica. ** Can. 290 - Sacra ordinatio, semel valide recepta, numquam irrita fit. Clericus tamen statum clericalem amittit: (1) sententia iudiciali aut decreto administrativo, quo invaliditas sacrae ordinationis declaratur; (2) poena dimissionis legitime irrogata; (3) rescripto Apostolicae Sedis; quod vero rescriptum diaconis ob graves tantum causas, presbyteris ob gravissimas causas ac Apostolica Sede conceditur. ** Can. 291 - Praeter casus de quibus in Can. 290, n. 1, amissio status clericalis non secumfert dispensationem ab obligatione coelibatus, quae ab uno tantum Romano Pontifice conceditur. ** Can. 292 - Clericus qui statum clericalem ad normam iuris amittit, cum eo amittit iura statui clericali propria, nec ullis iam adstringitur obligationibus status clericalis, firmo praescripto Can. 291; potestatem ordinis exercere prohibetur, salvo praescripto Can. 976; eo ipso privatur omnibus officiis, numeribus muneribus e potestate qualibet delegata. ** Can. 293. Clericus qui statum clericalem amisit, nequit denuo inter clericos adscribi, nisi per Apostolicae Sedis rescriptum. 1. Perdita dello stato clericale. La perdita dello stato clericale non dev’essere confusa con la dichiarazione d’invalidità dell’ordinazione. Un’ordinazione può essere dichiarata invalida con sentenza giudiziaria, procedura stabilita nel Libro VII (cc. 1708-1712), o con un decreto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. In questo caso il chierico, diacono, sacerdote o vescovo, ritorna laico. Di fatto, la sentenza o il decreto dichiara che la persona non è mai stata chierico. Perde i suoi doveri e diritti di chierico. La 77 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 perdita dello stato clericale è effetto della sentenza (doppia sentenza conforme) o del decreto che dichiara l’invalidità dell’ordinazione (Can. 290 1°). Le cause riguardano i soggetti o i mezzi tramite i quali è stato celebrato il sacramento. Nel caso di ordinazione valida (Can.290, 2°-3°), la perdita dello stato clericale, si deve distinguere 3 casi: 1. Caso di una sanzione penale in applicazione delle regole del libro VI del CIC 1983: una sanzione penale espiatoria ferendae sententiae, quando c’è un delitto (Can. 1321), può decidere la dimissione dallo stato clericale (Can. 1364 § 2,Can. 1367 § 1, Can. 1370 § 1, Can. 1387, Can. 1394 § 1, Can. 1395 §1), dopo un processo giudiziale (Can. 1342 § 2 e Can. 1452 § 1,2°), mai, secondo il Can. 1342 § 2 CIC del 1983, un decreto extragiudiziale. 2. Caso di un decreto amministrativo emanato dalla Congregazione per il clero in applicazione di facoltà speciali. In fatti, in deroga al c. 1342 § 2 citato sopra (vietando di portare un decreto extragiudiziale di dimissione dallo stato clericale), il 18 aprile 2009, la Congregazione per il clero della Curia romana ha ricevuto dal Santo Padre (lettera N. 2009 0556) facoltà speciali: 1) la facoltà speciale di trattare e di presentare al Papa, allo scopo di ricevere l’approvazione specifica della sua decisione, i casi di dimissioni dallo stato clericale “in poenam” dei chierici che hanno attentato al matrimonio e che sono colpevoli dei peccati esterni citati nel Can. 1395 § 1 e 2, al seguito di una procedura amministrativa; 2) la facoltà di intervenire secondo il Can. 1399 per dichiarare sanzioni, quale la dimissione dello stato clericale, pure dopo una procedura amministrativa; 3) la facoltà di dichiarare la perdita delle stato clericale dei chierici che hanno abbandonato il ministero per un periodo superiore a 5 anni consecutivi sempre per una procedura amministrativa. 3. Caso di una richiesta seguita da un rescritto di dispensa dagli obblighi e diritti della stato clericale. La richiesta di dispensa è rivolta alla Santa Sede personalmente da un sacerdote o un diacono, che chieda di essere dispensato dagli obblighi e diritti propri dello stato clericale. I motivi devono essere gravi nel caso di un diacono, gravissimi nel caso di un sacerdote. Dopo un’istruzione fatta nella diocesi, questa richiesta dev’essere presentata davanti alla Congregazione per il clero, secondo una 78 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 procedura la cui instaurazione, rivista molte volte, risale a Paolo VI. 3. Gli effetti della perdita dello stato clericale. L’effetto di tali decisioni influisce sullo statuto giuridico del chierico. Il suo stato diventa quello del laico nella Chiesa. Non può più esercitare uffici o cariche riservati ai chierici, né ricevere deleghe di potere (Can. 292). Nel caso in cui la sua ordinazione restasse valida, non potrebbe più esercitare i poteri sacramentali ricevuti nell’ordinazione, salvo il caso in cui, pur non avendone ricevuto la facoltà, fosse portato ad ascoltare la confessione sacramentale di una persona in pericolo di morte (Can. 976). 4. La dispensa del celibato non è legata automaticamente alla perdita dello stato clericale (Can. 291) e dev’essere chiesta separatamente; lo sarebbe unicamente nel caso di ordinazione invalida. Prima del 1989, dopo un’istruzione diocesana, la Congregazione per la dottrina della fede era competente per ricevere le richieste di dispensa. Dal 1989 al 2005, fu la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ad essere competente. Dal 2005 in poi, è la Congregazione per il clero. La pratica della Santa Sede è espressa in una lettera circolare della Congregazione per la dottrina della fede ancora valida (1980). Nell’esame delle domande che sono indirizzate alla Sede Apostolica, oltre il caso dei sacerdoti che, avendo abbandonato da molto tempo la vita sacerdotale, desiderano regolarizzare una situazione irreversibile, la Congregazione prende in considerazione il caso di coloro che non avrebbero dovuto ricevere l’ordinazione sacerdotale, sia perché, ad esempio, è mancata loro la libertà o la responsabilità necessarie, sia perché i superiori responsabili non hanno saputo giudicare in tempo opportuno e in modo prudente ed adeguato se il candidato era veramente adatto a vivere definitivamente nel celibato consacrato. Una lettera circolare della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti (che, come detto sopra, dal 1989 alle 2005 ha avuto la competenza per ricevere le domande di perdita dello stato clericale) dà indicazioni complementari per i richiedenti che non hanno ancora 40 anni compiuti allorché un’inchiesta d’istruttoria dimostra una particolarità che mette in luce una situazione fisico-psicologica del richiedente, preliminare e concomitante alla sua ordinazione (la lettera circolare è applicata oggi dalla Cong. per il clero). 79 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Dal 18 aprile 2009, la dispensa del celibato può anche essere dichiarata dalla Congregazione per il clero, per facoltà speciali, ricevute dal Papa (vedere sopra n. 1, a) insieme alla dispensa delle obbligazioni sacerdotali, a seguito di una procedura amministrativa che impone una sanzione di perdita dello stato clericale. Quando è concessa la dispensa dal celibato, il chierico perde lo stato clericale con tutti gli obblighi e doveri, tranne il diritto dei cc. 976 e 986 § 2. Un vescovo diocesano non può dispensare dal celibato ecclesiastico, anche, come indica il Can. 87 § 2: “quando sia difficile il ricorso alla santa Sede e insieme nell’attesa vi sia pericolo di grave danno”. II. Le persone giuridiche e le comunità associative. A) Le associazioni di fedeli. 1. Partecipazione alla missione della Chiesa. Il diritto d’associazione dei fedeli, radicato nel battesimo (Can. 215), è costituito dalla nozione di partecipazione alla missione della Chiesa, che le persone sono chiamate ad esercitare individualmente o collettivamente (vedere pure il Can. 225 § 1). Il Can. 298 introduce una parte della legislazione in cui è inquadrato giuridicamente l’esercizio di questo diritto senza che la legislazione entri nel dettaglio di prescrizioni che, da quel momento, dipendono da altri testi legislativi e amministrativi generali o, soprattutto, da statuti. Secondo i termini stessi del canone introduttivo, chierici o laici insieme possono associarsi per esercitare attività che rilevano per le funzioni della Chiesa riguardanti l’insegnamento o il culto o altre attività d’apostolato, cioè, attività d’evangelizzazione, opere di carattere religioso o sociale. Can. 298 - § 1. Nella Chiesa vi sono Associazioni, distinte dagli istituti di vita consacrata e dalle società di vita apostolica, in cui i fedeli, sia chierici, sia laici insieme, tendono, mediante l’azione comune, all’incremento di una vita piú perfetta, o alla promozione del culto pubblico o della dottrina cristiana, o ad altre opere di apostolato, quali sono iniziative di evangelizzazione, esercizio di opere di pietà o di carità, animazione dell’ordine temporale mediante lo spirito cristiano. ** Can. 298 § 1. In Ecclesia habentur consociationes distinctae ab institutis vitae consecratae et societatibus vitae apostolicae, in quibus christifideles, sive clerici sive laici sive clerici et laici simul, communi opera contendunt ad perfectiorem vitam fovendam, aut ad alia apostolatus opera, scilicet ad evangelizationis incepta, ad pietatis vel caritatis opera exercenda et ad ordinem temporalem christiano spiritu animandum. 80 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 In ogni caso, i fedeli sono portati a creare associazioni di natura diversa dalle comunità gerarchiche e, come indica il canone, dagli istituti di vita consacrata e dalle società di vita apostolica. 2. I tre elementi costitutivi delle associazioni. Le comunità gerarchiche (chiese particolari, parrocchie, cappellanie): 1) sono sempre istituite dall’autorità; 2) l’appartenenza dei membri è legata alla realizzazione di un criterio obiettivo (domicilio, uso di una lingua, rito…); 3) sono organizzate secondo regole determinate dal diritto universale o particolare, per regolamentare in modo gerarchico la cura pastorale della comunità nell’ordine dei tria munera. Le associazioni o comunità associative sono anch’esse costituite da tre elementi fondamentali, che, di fronte ai tre elementi ricordati prima, marcano la loro identità giuridica: 1) Esse sono liberamente volute dai fedeli in virtù d’un diritto di associarsi, che fa parte dello statuto fondamentale dei fedeli. All’esercizio di questo diritto potrebbe opporsi la mancanza di “criteri d’ecclesialità” di un’associazione. L’Esortazione apostolica sulla vocazione e la missione dei laici, Christifideles laici di Giovanni Paolo II (1988), presenta tali criteri come i grandi principi che ogni associazione deve rispettare per essere in comunione con la Chiesa e collocare la sua azione nella prospettiva della sua missione. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Christifidelis laici, in Enchiridion Vaticanum, 11, 1988-1989, n. 1726-1732. Criteri di ecclesialità per le aggregazioni laicali 30. E' sempre nella prospettiva della comunione e della missione della Chiesa, e dunque non in contrasto con la libertà associativa, che si comprende la necessità di criteri chiari e precisi di discernimento e di riconoscimento delle aggregazioni laicali, detti anche «criteri di ecclesialità». Come criteri fondamentali per il discernimento di ogni e qualsiasi aggregazione dei fedeli laici nella Chiesa si possono considerare, in modo unitario, i seguenti: -Il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità, manifestata «nei frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli»(109) come crescita verso la pienezza della vita cristiana e la perfezione della carità(110). In tal senso ogni e qualsiasi aggregazione di fedeli laici è chiamata ad essere sempre più strumento di santità nella Chiesa, favorendo e incoraggiando «una più intima unità tra la vita pratica dei membri e la loro fede»(111). -La responsabilità di confessare la fede cattolica, accogliendo e proclamando la verità su Cristo, sulla Chiesa e sull'uomo in 81 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 obbedienza al Magistero della Chiesa, che autenticamente la interpreta. Per questo ogni aggregazione di fedeli laici dev'essere luogo di annuncio e di proposta della fede e di educazione ad essa nel suo integrale contenuto. -La testimonianza di una comunione salda e convinta, in relazione filiale con il Papa, perpetuo e visibile centro dell'unità della Chiesa universale(112), e con il Vescovo «principio visibile e fondamento dell'unità»(113) della Chiesa particolare, e nella «stima vicendevole fra tutte le forme di apostolato nella Chiesa»(114). La comunione con il Papa e con il Vescovo è chiamata ad esprimersi nella leale disponibilità ad accogliere i loro insegnamenti dottrinali e orientamenti pastorali. La comunione ecclesiale esige, inoltre, il riconoscimento della legittima pluralità delle forme aggregative dei fedeli laici nella Chiesa e, nello stesso tempo, la disponibilità alla loro reciproca collaborazione. - La conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa, ossia «l'evangelizzazione e la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro coscienza, in modo che riescano a permeare di spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti»(115). In questa prospettiva, da tutte le forme aggregative di fedeli laici, e da ciascuna di esse, è richiesto uno slancio missionario che le renda sempre più soggetti di una nuova evangelizzazione. - L'impegno di una presenza nella società umana che, alla luce della dottrina sociale della Chiesa, si ponga a servizio della dignità integrale dell'uomo. 2) L’appartenenza a queste associazioni è costitutivamente volontaria e libera. Riguarda tutte le categorie di persone indipendentemente dal loro stato (chierico, laico e membro di IVC e di SVA), anche se, come abbiamo visto, l’esercizio di questo diritto è oggetto d’una regolamentazione per i chierici (Can. 278 § 2 e 3) e per coloro che fanno parte di istituti di vita consacrata o di società di vita apostolica. 3) I fedeli possono organizzare liberamente l’associazione secondo la loro volontà. La dovranno descrivere negli statuti. Qui sarà prevista la maggiore o minore autonomia d’azione dei fedeli nel rapporto con la gerarchia. Per questo elemento è importante la distinzione tra associazione pubblica ed associazione privata, successivamente analizzata. Come mostreremo in seguito, essa comprende il fatto di una maggiore o minore regolamentazione da parte dell’autorità dell’esercizio del diritto d’associazione. 82 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 b) Associazioni private e pubbliche nel Codice del 1983. 1. Classificazione nel CIC del 1917. Benché la legislazione canonica riguardante le associazioni risalisse proprio al XIII secolo, il vecchio Codice riprendeva alcuni elementi legislativi contenuti in testi di diritto moderno, emanati dal Concilio di Trento, da costituzioni pontificie e da decisioni delle Congregazioni della Curia romana. In questo Codice, la classificazione delle associazioni si faceva in funzione dei loro scopi e della loro condizione giuridica. Pertanto si distinguevano: 1) secondo una prima forma di classificazione, gli ordini terziari, in cui era ricercata la perfezione spirituale dei membri, le pie unioni, con lo scopo di svolgere opere di carità e di pietà, e le confraternite per la promozione del culto pubblico. 2) secondo un’altra forma di classificazione, le associazioni erette, sempre dotate di una personalità morale dall’autorità ecclesiastica e le associazioni approvate dall’autorità, con o senza personalità morale. In questi due tipi di associazioni, la gerarchia giocava un ruolo importante, non solo al momento dell’erezione, ma anche per vigilare l’esercizio delle attività. Ad esse, si aggiungevano le associazioni raccomandate, il cui statuto non era chiaro. Infine, benché non menzioniate nel Codice, le associazioni di fatto, sulle quali l’autorità ecclesiastica non si era pronunciata. Tra quest’ultime, erano contate le associazioni dette laiche, vale a dire che si governavano da sole sotto vigilanza della gerarchia come le ha definite la Resolutio Corrientensis del 13 novembe 1920 (in AAS, 13, 1921, p. 135-141), introducendo un’altra distinzione tra associazioni ecclesiastiche e associazioni laiche. 2. La distinzione privata/pubblica del Codice del 1983 è nuova. Essa presenta due grandi tipi d’associazione: le associazioni pubbliche (Associazioni erette dall’autorità ecclesiastica) e le associazioni private (associazioni create con convenzione privata tra fedeli). Né dal vocabolario del Codice del 1917, né dalla classificazione che offriva, sono state riprese. Quanto alle due qualificazioni, pubblica e privata, applicate alle associazioni, esse non sono definite nel Codice. Si spiega così il fatto che, dalla promulgazione del nuovo Codice del 1983, la distinzione ha suscitato gli interrogativi o addirittura le opposizioni della dottrina. La distinzione trova un quadro legislativo nel libro I sulle norme generali, ai cc. 113-123 sulle persone giuridiche (vedere le dispense del corso 20104 Valdrini/Ripa sulle Norme generali) 83 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Raccogliendo l’eredità giuridica romana, il diritto canonico ha, fin delle origini, accoltò la nozione di personalità morale. Il Codice del 1983, come quello del 1917, definisce le norme generali che reggono la personalità giuridica, prima d’esporre le regole concernenti la categoria particolare di persone che costituiscono le associazioni. Nozione di persona giuridica Persona morale e persona giuridica: ad immagine della maggior parte dei codici di Stato, il Codice del 1917 concepiva solo la nozione di persona morale, accanto a quella di persona fisica. Il Codice del 1983 stabilisce in questo punto una distinzione tra le persone morali che esistono in virtù del diritto divino (la Chiesa Cattolica e la Sede apostolica) e le altre persone giuridiche, create da una disposizione del diritto ecclesiastico. Una simile distinzione è dettata soprattutto da una concezione della Chiesa organizzata all’immagine delle società civili. Benché faccia capo ad una realtà comunitaria della Chiesa, evidente nel Codice del 1983, essa è criticata da coloro che, considerando soprattutto la Chiesa come una comunione, vedono in essa, un riemergere della scuola di diritto pubblico ecclesiastico e della Chiesa concepita come società perfetta e la rimproverano di non riconoscere un’esistenza autonoma alle persone giuridiche, particolarmente alle chiese locali. Definizione.: per il Can.113 § 2 del Codice del 1983, le persone giuridiche sono dei soggetti di diritti e di obblighi, il che significa renderle uguali sul piano della capacità giuridica, alle persone fisiche. Il Codice del 1917 si limitava a distinguere le persone morali collegiali, come i capitoli, le congregazioni e le associazioni di fedeli, dalle persone non collegiali, tra cui, le parrocchie, le diocesi, ma anche gli enti benefici e le mense. Il Codice del 1983 mette un po’ d’ordine in questa classificazione disparata resuscitando la nozione romana di universitas (insieme). Il Can.115 distingue, infatti, in seno alle persone giuridiche, gli insiemi di cose, materiali e spirituali, degli insiemi di persone formati da almeno tre membri. A questa prima distinzione se ne sovrappone una seconda, tra gli insiemi di persone collegiali e non collegiali. Essa si riferisce al modo in cui è diretta la persona giuridica. Tutte queste persone giuridiche, qualunque sia il loro statuto, ricevono la personalità dall’autorità competente solo per finalità che se accordino con la missione della Chiesa, realmente utili, che evitino gli interessi individuali e che siano provvista di mezzi sufficienti. Regime generale: oltre alla definizione delle condizioni in cui sono prese le decisioni di una persona giuridica di natura collegiale, il Codice del 1983 stabilisce due regole generali relative alle persone giuridiche: la prima è la necessità di un’approvazione dei loro statuti da parte dell’autorità competente che precede l’acquisizione della loro personalità; la seconda riguarda la durata della persona giuridica: se questa è, per sua natura, perpetua, può tuttavia essere sciolta dall’autorità competente o esserlo legittimamente se resta inattiva per una durata di cent’anni. A queste regole generali, s’aggiungono altre regole particolari che regolano le due categorie di persone giuridiche, pubbliche e private. 3. Persone giuridiche pubbliche e private. Il Can. 116 indica che esistono due tipi di persone giuridiche: le persone pubbliche e le persone private. Le prime rivestono, in nome della Chiesa e nell’ottica del bene pubblico, la carica che è stata loro affidata; le seconde agiscono a proprio nome e secondo lo scopo prioritario della loro fondazione, purché quest’ultimo sia in accordo con le missione della Chiesa. Obbediscono entrambe a regimi diversi. Le persone giuridiche pubbliche: queste esistono, in effetti, o per disposizione del diritto, o per decreto speciale dell’autorità competente. Il loro rappresentante è designato dal diritto universale o particolare o dagli statuti. Disposizioni precise, infine, regolano le loro funzioni e divisioni e la devoluzione dei loro beni e diritti in caso d’estinzione. 84 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Le persone giuridiche private: al contrario, il regime delle persone private è lasciato molto più alla libertà dei loro statuti. Pertanto essi stabiliscono liberamente le loro condizioni di rappresentanza o di devoluzione dei beni in caso d’estinzione. Solo la creazione della persona privata suppone l’intervento dell’autorità competente per decreto speciale. Ma il Codice da se non crea nessuna persona giuridica privata. c) Le associazioni private 1. Le associazioni private nel CIC del 1983. La condizione giuridica abituale di un’associazione è lo statuto d’associazione privata dovuta alla convenzione tra fedeli, sulla quale interverrà l’autorità ecclesiastica in un modo descritto dal CIC. Can. 299 - § 1. I fedeli hanno il diritto di costituire Associazioni, mediante un accordo privato tra di loro per conseguire i fini di cui al Can. 298, § 1, fermo restando il disposto del Can. 301, §1. ** Can. 299 § 1. Integrum est christifidelibus, privata inter se conventione inita, consociationes constituere ad fines de quibus in Can. 298, §1 persequendos, firmo praescripto Can. 301, §1. Vale a dire che può essere creata ogni specie d’associazione, ma, come abbiamo detto sopra, nel momento in cui esse rispettano i “criteri d’ecclesialità”. Sono private, perché il fondamento della loro esistenza resta la convenzione privata stabilita tra fedeli. Per essere chiamate private, tali associazioni devono presentare i loro statuti all’autorità ecclesiastica, affinché essi siano riconosciuti (per le associazioni private senza personalità giuridica) o approvati (per le associazioni private con personalità giuridica). 2. Le associazioni di fatto. Se tali associazioni non chiedono il riconoscimento degli statuti, possono essere dette associazioni di fatto, benché il CIC non menzioni questa categoria. Alcuni gruppi sono costituiti e hanno attività nella Chiesa senza avere alcun riconoscimento canonico. Sembra che tale diritto non possa essere loro tolto. Il Can. 299 § 3 (vedere sotto), che stabilisce che nessuna associazione privata è ammessa nella Chiesa a meno che i suoi statuti non siano riconosciuti dall’autorità competente, non sembra violato. Questo canone riguarda, in effetti, le associazioni sottoposte alle condizioni previste nella legislazione, in modo che le associazioni di fatto non possano pretendere l’applicazione di 85 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 questo diritto. I limiti contenuti nel Can. 301 §1, che determinano lo statuto pubblico di alcune associazioni in virtù del loro fine, dovrebbero essere rispettati. Le associazioni di fatto possono quindi esistere nella Chiesa, senza statuto pubblico né privato, ma nel quadro d’esercizio del diritto definito dal Codice, però non saranno riconosciute dall’autorità come lo sono le associazioni private. 3. “In Ecclesia agnoscitur”. Per quanto riguarda le associazioni private, il Can. 299 § 3 usa due parole. La prima, “agnoscitur”, è applicata all’associazione. La seconda, recognoscantur, è applicata agli statuti. Can. 299 - § 3. Nessuna Associazione privata dei fedeli è riconosciuta nella Chiesa, se i suoi statuti non sono esaminati dall’autorità competente. ** Can. 299 - § 3. Nulla christifidelium consociatio privata in Ecclesia agnoscitur, nisi eius statuta ab auctoritate competenti recognoscantur. La traduzione della prima parola (agnoscitur) non può essere “riconosciuta” nel senso che l’autorità darebbe un diritto di esistere all’associazione. Il senso è piuttosto sapere che l’associazione esista come associazione privata e, concretamente, far sì che essa possa esercitare i diritti definiti alle comunità associative nella diocesi, sul territorio di una Conferenza episcopale o al livello universale (ad esempio, partecipare ad un voto per la designazione di membri di un sinodo diocesano). Un’associazione di fatto esiste nella Chiesa, anche se l’autorità non la riconosce e, quindi, non potrà avere tutti i diritti che hanno le associazioni private. La traduzione del CIC in francese (traduzione della Société internationale de droit canonique et de législations comparées) della parola agnoscitur è ambigua: “Aucune association privée de fidèles n’est admise dans l’Eglise à moins que ses statuts ne soient reconnus par l’autorité compétente». La parola admise (dal verbo admettre) significa ammetta, dando l’impressione che l’autorità accetti che l’associazione possa esistere nella Chiesa (vedere le traduzioni: spagnola: no se admite, argentina: reconocer, inglese: recognize, tedesca: anerkannt). Agnoscitur, quindi, significa accettare che l’associazione esista nella Chiesa con lo statuto canonico di associazione privata. Vedremo più avanti il problema della recognitio degli statuti. 86 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 4. Il riconoscimento degli statuti. Il Codice obbliga ogni associazione a redigere degli statuti. Questi, sull’esempio di quelli che si esigono per un’associazione civile, devono definire gli scopi o l’obbiettivo sociale dell’associazione, la sede, il governo e le condizioni richieste per farne parte e determinare i modi d’azione del gruppo. Dall’associazione stessa può essere aggiunto un regolamento che prevede, ad esempio, il modo di fare le assemblee e il modo pratico di designare le persone per gli incarichi previsti negli statuti. Per le associazioni private, gli statuti devono essere, a seconda dei casi, riconosciuti o approvati dall’autorità. Il riconoscimento è obbligatorio per la costituzione dell’associazione privata e (vedere sotto) l’approvazione, quando l’associazione chiede la personalità giuridica. Il riconoscimento dell’autorità consiste nell’esaminare se le regole statutarie elaborate riguardino degli elementi che formano l’unità della Chiesa, se gli scopi dell’associazione, come la partecipazione alla missione della Chiesa, possano essere realizzate nello statuto di associazione privata (costituzione), se i membri possano esercitare i loro diritti e doveri tramite l’organizzazione scelta da fondatori (appartenenza dei membri e organizzazione). Quest’atto non è discrezionale e non contiene un giudizio sull’opportunità di costituire quell’associazione, anche se il Codice definisce un diritto dell’ordinario a vigilare con cura affinché sia evitata la dispersione delle forze e affinché l’esercizio dell’apostolato sia rivolto al bene comune (Can. 323 § 2). È interessante studiare i casi di rifiuto di riconoscimento da parte dell’autorità. Sembra che una decisione di rifiuto dovrebbe essere motivata e sarebbe oggetto di ricorso amministrativo e, possibilmente, di ricorso contenziosoamministrativo. 5. Le associazioni con personalità giuridica. Un’altra distinzione riguarda l’acquisizione della personalità giuridica secondo il diritto. Un’associazione privata può chiedere il riconoscimento degli statuti, senza che le sia necessariamente data la personalità giuridica. Questa dev’essere oggetto di una domanda da parte dell’associazione stessa e di un decreto formale dell’autorità competente, dopo avere approvato gli statuti (Can. 322 § 1). Avendo ottenuto la personalità giuridica, l’associazione non cambia carattere: resta associazione privata, ma con personalità giuridica. Se tale associazione privata richiede la personalità giuridica (Can. 322 § 2), gli statuti devono essere approvati (probati). 87 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Can. 322 - § 1. Un’associazione privata di fedeli può acquistare personalità giuridica per decreto formale dell’autorità ecclesiastica competente di cui al Can. 312. § 2. Nessuna Associazione privata di fedeli può acquistare personalità giuridica se i suoi statuti non sono stati approvati dall’autorità ecclesiastica di cui al Can. 312, § 1; tuttavia l’approvazione degli statuti non cambia la natura privata dell’associazione. ** Can. 322 - § 1. Consociatio christifidelium privata personalitatem iuridicam acquirere potest per decretum formale auctoritatis ecclesiasticae competentis, de qua Can. 312. § 2. Nulla christifidelium consociatio privata personalitatem iuridicam acquirere potest, nisi eius statuta ab auctoritate ecclesiastica, de qua in Can. 312, §1, sint probata; statutorum vero probatio consociationis naturam privatam non immutat. L’approvazione (probatio), senza possedere un vero carattere discrezionale, autorizza l’autorità ad esprimere un giudizio sugli elementi statutari in funzione degli scopi e dell’obbiettivo dell’associazione. Per l’acquisizione della personalità giuridica privata, il Codice usa il termine probatio, che si distingue dal termine approbatio, usato per l’acquisizione della personalità giuridica pubblica (Can. 314). Corrisponderebbero a due atti di natura diversa? Il termine, è vero, è usato in modo equivalente in parti del Codice. Ci si potrebbe augurare, tuttavia, che venga fatta una distinzione che definisca la differenza tra l’associazione pubblica e l’associazione privata, avente una personalità giuridica. Il Can. 322 § 2 dichiara, in effetti, che l’approvazione degli statuti non modifica la natura privata dell’associazione. 6. L’autonomia dell’associazione privata. L’autonomia dell’associazione privata è costitutiva. I fedeli, dice il Can. 321, dirigono e governano le loro associazioni private secondo le disposizioni degli statuti. Tuttavia, come tutte le associazioni nella Chiesa, esse sono sottomesse alla vigilanza dell’autorità ecclesiastica. Can. 305 - § 1. Tutte le associazioni di fedeli sono soggette alla vigilanza dell’autorità ecclesiastica competente, alla quale pertanto spetta aver cura che in esse sia conservata l’integrità della fede e dei costumi e vigilare che non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica; ad essa perciò spetta il diritto e il dovere di visitare tali Associazioni, a norma del diritto e degli statuti; sono anche soggette al governo della medesima autorità secondo le disposizioni dei canoni seguenti. § 2. Sono soggette alla vigilanza della Santa Sede le associazioni di qualsiasi genere; sono soggette alla vigilanza dell’Ordinario del luogo le associazioni diocesane e le altre, in quanto esercitano la 88 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 loro azione nella diocesi. ** Can. 305 § 1. Omnes christifidelium consociationes subsunt vigilantiae auctoritatis ecclesiasticae competentis, cuius est curare ut in iisdem integritas fidei ac morum servetur, et invigilare ne in disciplinam ecclesiasticam abusus irrepant, cui itaque officium et ius competunt ad normam iuris et statutorum easdem invisendi; subsunt etiam eiusdem auctoritatis regimini secundum praescripta canonum, qui sequuntur. § 2. Vigilantiae Sanctae Sedis subsunt consociationes cuiuslibet generis; vigilantiae Ordinarii loci subsunt consociationes dioecesanae necnon aliae consociationes, quatenus in dioecesi operam exercent. Tale influenza è limitata nel suo oggetto e nel suo modo d’azione: da una parte, mira alla presentazione della fede e dei costumi e alla sorveglianza sugli abusi, dall’altra, essa agisce secondo il diritto e gli statuti. Il moderatore o presidente dell’associazione, così come coloro che formano il consiglio, sono liberamente designati. La stessa libertà è lasciata alla scelta del consigliere spirituale che dovrà essere un sacerdote, che eserciti legittimante un ministero nella diocesi, dice il Can. 324. L’amministrazione dei beni è libera, ma l’autorità ecclesiastica ha un diritto di vigilanza sull’impiego di questi beni, che dovrà essere in accordo con gli scopi dell’associazione e deve vigilare sul loro uso in caso di beni acquisiti mediante donazioni. Infine, la dissoluzione dell’associazione, si fa secondo gli statuti, cosa che lascia ai membri la facoltà di deciderla (Can. 326 § 1). L’autorità potrebbe essere condotta a dissolverla contro la volontà dei suoi membri, se le sue attività causassero un grave danno alla dottrina o alla disciplina ecclesiastica o provocassero uno scandalo tra i fedeli. d) Le associazioni pubbliche. 1. Associazioni erette. Le associazioni saranno pubbliche, se la loro esistenza non deriverà soltanto dalla volontà dei fedeli che la compongono, ma da un decreto dell’autorità che le costituisce e dà loro una personalità giuridica. Il decreto d’erezione costituisce l’associazione come persona giuridica pubblica in vista dell’esercizio di una partecipazione pubblica alla missione della Chiesa. È questa partecipazione pubblica di un gruppo di fedeli, che si potrebbe chiamare anche, con una certa sfumatura, ufficiale, che definisce nel modo migliore la natura di questa figura giuridica. Per capire lo statuto di quest’ultima, ricordiamo che le comunità gerarchiche (quindi non associative), come le diocesi e la parrocchia, hanno sempre uno statuto pubblico, perciò godono dello statuto di persona giuridica pubblica. La qualifica del loro 89 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 statuto deriva dal fatto che la comunità è stata istituita, eretta dall’autorità. Come esse, ma senza essere comunità gerarchiche, le associazioni pubbliche sono sempre erette dall’autorità, quindi, non possono esistere partendo da una semplice convenzione privata tra i membri come le associazioni private. Però, un canone, dal contenuto curioso, permette all’autorità, se lo considerasse necessario, di erigere delle associazioni di fedeli al fine di perseguire direttamente o indirettamente altri fini spirituali, ai quali non è stato sufficientemente provveduto dalle iniziative private (Can. 301 § 2). Can. 301 § 2. L’autorità ecclesiastica competente, se lo giudica opportuno, può erigere Associazioni di fedeli anche per il conseguimento diretto o indiretto di altre finalità spirituali alle quali non sia stato sufficientemente provveduto mediante iniziative private. ** Can. 301 § 2. Auctoritas ecclesiastica competens, si id expedire iudicaverit, christifidelium consociationes quoque erigere potest ad alios fines spirituales directe vel indirecte prosequendos, quorum consecutioni per privatorum incepta non satis provisum sit. È un caso di supplenza. Però l’associazione rimane sempre un raggruppamento di fedeli che accettano di partecipare alla missione della Chiesa e perciò ricevono uno statuto di associazione pubblica. Il fatto che l’autorità possa, in forma suppletiva, fondare un’associazione pubblica per adempiere una missione, non trascura il fatto che la partecipazione di gruppi di fedeli alla missione della Chiesa sia costitutiva. Il principio associativo è salvo poiché il substrato materiale dell’associazione è il risultato della volontà dei fedeli d’agire in comune. In effetti, senza questa volontà, una simile associazione, anche eretta dall’autorità, non avrebbe ragione d’essere. Se la volontà dei fedeli è necessaria perché esista e agisca l’associazione, lo statuto pubblico non può essere acquisito quale conseguenza della volontà dei fedeli, ma della volontà dell’autorità. 2. “Nomine Ecclesiae”. Le associazioni pubbliche agiscono in nome della Chiesa (nomine Ecclesiae). Le persone giuridiche pubbliche sono degli insiemi di persone o di cose, costituiti dall’autorità ecclesiastica competente al fine di svolgere in nome della Chiesa, nei limiti che si sono fissati e secondo le disposizioni del diritto, l’incarico specifico che è stato loro affidato in funzione del bene pubblico (Can. 116). In primo luogo, sono le comunità 90 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 gerarchiche. Il loro statuto viene dalle attività che vi si svolgono in nome della Chiesa, affidate a quel tipo di comunità (in queste comunità, le tre funzioni d’insegnamento, di santificazione e di governo sono esercitate insieme) e dalla strutturazione della partecipazione alle grandi funzioni riservate a un ministro ordinato (vescovo diocesano o parroco). In secondo luogo, sono le comunità associative, alle quali è consegnata la qualifica di “pubblico”. Così il Codice riconosce ad alcune associazioni il fatto d’agire “in nome della Chiesa”, quindi presenta un modo particolare, collettivo e ufficiale, di cooperazione dei fedeli nelle attività della Chiesa, in virtù della capacità ricevuta nel battesimo. Questo modo impegna la Chiesa e, in certo modo, la gerarchia. Certo, il fatto di riservare l’espressione “in nome della Chiesa” al modo in cui le associazioni pubbliche agiscono può essere contestato, poiché tutte le associazioni, in senso lato, agiscono per il bene della Chiesa. Bisogna tener presente che l’espressione assume qui un carattere puramente giuridico e tecnico. Essa non definisce unicamente il legame con la Chiesa, comune a tutte le associazioni, ma corrisponde ad un modo di cooperare alla missione propria della Chiesa, di cui le comunità gerarchiche e le persone che esercitano funzioni ufficiali (uffici canonici) sono investite di diritto. L’espressione significa, dunque, che le associazioni pubbliche, accanto alle comunità gerarchiche, il cui statuto e scopo sono definiti dal diritto, ricevono un riconoscimento ufficiale del loro modo di cooperare alla missione della Chiesa e non della gerarchia come faceva pensare il vecchio vocabolo “mandato”, usato nel quadro di applicazione delle regole del Codice del 1917. 3) Le finalità specifiche o riservate. Le associazioni pubbliche possono perseguire delle finalità che portino naturalmente al conseguimento dello statuto di associazione pubblica. Così dichiara il Codice al Can. 301 §1 secondo il quale alcune associazioni dovranno obbligatoriamente essere erette come associazioni pubbliche, quando il loro scopo è l’insegnamento della dottrina cristiana, la promozione del culto pubblico o il perseguimento delle finalità riservate all’autorità ecclesiastica. Can. 301 § 1. Spetta unicamente all’autorità ecclesiastica competente erigere Associazioni di fedeli che si propongano l’insegnamento della dottrina cristiana in nome della Chiesa o l’incremento del culto pubblico…. ** Can. 301 § 1. Unius auctoritatis ecclesiasticae competentis est erigere christifidelium consociationes, quae sibi proponant doctrinam christianam nomine Ecclesiae tradere aut cultum publicum promovere,… 91 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Ma la formula “in nome della Chiesa”, usata dal Can. 116 §1, per parlare degli insiemi di persone che acquisiscono la personalità giuridica, permette di stabilire che avrebbero pure un carattere pubblico le associazioni che impegnano il nome stesso della Chiesa più delle associazioni private, le quali sono autonome (però sotto la vigilanza dell’autorità). Così dice la seconda parte del Can. 301 § 1: Can. 301 - § 1 … oppure che intendano altri fini il cui conseguimento è riservato, per natura sua, all’autorità ecclesiastica. ** Can. 301- § 1… vel quae alios intendant fines, quorum prosecutio natura sua eidem auctoritati ecclesiasticae reservatur. Per questa ragione, come sarà dimostrato in seguito, il carattere pubblico con le sue importanti conseguenze sull’attività dell’associazione, comporta un inquadramento giuridico più stretto del caso di associazioni a carattere privato. 4. Gli statuti e l’organizzazione dell’associazione. Gli statuti sono approvati al momento dell’istituzione dell’associazione, ma anche ogni cambiamento apportato negli statuti dovrà essere oggetto di una nuova approvazione da parte dell’autorità che ha istituito l’associazione (Can. 314). Le associazioni pubbliche non godono di un‘autonomia di organizzazione così grande come quella che spetta alle associazioni private. La ragione dipende dal fatto che è applicata loro una stretta collaborazione con la missione ufficiale della Chiesa. Il diritto riconosce loro l’iniziativa di condurre la loro attività nel quadro dei propri scopi e obiettivi, ma il Can. 315 dichiara che, in questo, esse sono rette dai loro statuti sotto l’alta direzione dell’autorità ecclesiastica. Can. 315 - Le associazioni pubbliche possono intraprendere spontaneamente quelle che sono confacenti alla loro indole; tali Associazioni sono dirette a norma degli statuti, però sotto la superiore direzione dell’autorità ecclesiastica di cui al Can. 312, § 1. ** Can. 315 - Consociationes publicae incepta propriae indoli congrua sua. sponte suscipere valent, eaedemque reguntur ad normam statutorum, sub altiore tamen directione auctoritatis ecclesiasticae, de qua in Can. 312, §1. Questa tutela appare in alcuni momenti fondamentali della vita dell’associazione: in primo luogo, al momento della nomina, dell’istituzione o della conferma, che spetta all’autorità; in secondo 92 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 luogo, al momento della nomina del cappellano o elemosiniere, atto che l’autorità può esercitare liberamente o, qualora fosse opportuno, dopo aver consultato i dirigenti dell’associazione. Can. 317 - § 1. Se non si prevede altro negli statuti, spetta all’autorità ecclesiastica di cui al Can. 312, § 1, confermare il moderatore dell’associazione pubblica eletto dalla stessa, istituire colui che è stato presentato, oppure nominarlo secondo il diritto proprio; la stessa autorità ecclesiastica poi nomina il cappellano o l’assistente ecclesiastico, dopo aver sentito, se risulta opportuno, gli officiali maggiori dell’associazione. ** Can. 317 § 1. Nisi aliud in statutis praevideatur, auctoritatis ecclesiasticae, de qua in Can. 312, §1, est consociationis publicae moderatorem ab ipsa consociatione publica electum confirmare aut praesentatum instituere aut iure proprio nominare; cappellanum vero seu assistentem ecclesiasticum, auditis ubi id expediat consociationis officialibus maioribus, nominat auctoritas ecclesiastica. Inoltre, se l’associazione è costituita in funzione dell’apostolato, l’incarico di moderatore è subordinato ad una condizione: non possono essere moderatori le persone che rivestono cariche direttive in partiti politici. Infine, l’amministrazione dei beni, che rientrano nella categoria dei beni ecclesiastici, si fa secondo gli statuti, ma sotto la direzione dell’autorità alla quale bisogna rendere conto annualmente. 5. Conflitti tra l’associazione e l’autorità. Il principio stabilito che dà l’alta direzione dell’associazione all’autorità, secondo il diritto e gli statuti, si applica in caso di difficoltà e conflitti. Un commissario che abbia l’incarico di governare provvisoriamente l’associazione potrebbe essere nominato in circostanze speciali (Can. 318). Il moderatore può essere oggetto di misura di revoca e l’elemosiniere può essere allontanato. Contrariamente alle associazioni private, che possono determinare il loro modo di soppressione, le associazioni pubbliche possono essere soppresse solo dall’autorità che le ha istituite. La procedura di soppressione potrebbe essere prevista dagli statuti. Il Codice impone soltanto che siano ascoltati i moderatori e gli ufficiali maggiori. 6. I membri. Il Codice dà le regole riguardanti i membri delle associazioni unicamente per le associazioni pubbliche. Il Can. 316 dichiara che i fedeli, i quali abbiano pubblicamente abiurato la fede cattolica o che siano separati dalla comunione con la Chiesa o che siano colpiti da scomunica, non possono essere ammessi in 93 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 quell’associazione. Allo stesso modo, se i casi enumerati riguardano le persone che fanno parte di un’associazione pubblica, queste dovrebbero essere respinte applicando le regole statutarie. Sembra, tuttavia, che lo sviluppo della vita associativa attuale abbia portato a considerare in maniera positiva il problema della partecipazione dei non cattolici e anche dei non cristiani alle associazioni. È il caso, soprattutto, dei gruppi che perseguono scopi sociali o caritatevoli. Nella soluzione di questo problema, il carattere pubblico o privato dell’associazione avrà un ruolo importante, poiché, nel primo caso, l’associazione è portata a collaborare con la missione propria della Chiesa e della gerarchia, all’occorrenza ricevendo una missione pubblica. Ma la finalità dell’associazione e i suoi scopi saranno determinanti. La mancanza di criteri d’ordine legislativo o regolamentare impone un trattamento statutario della questione. È infatti a questo livello che potrebbe essere esaminato ogni caso senza che il diritto d’associazione, che il Codice presenta come libertà, ne venga colpito. 7. La garanzia. Bisogna, quindi, pensare che l’associazione pubblica non sia altro che un’associazione sulla cui attività ed organizzazione, per il modo di cooperazione alla missione, il diritto mantiene alcune riserve. Tale principio, che trova la sua applicazione in altre parti del Codice, darebbe al carattere pubblico di un’associazione, una funzione di garanzia da parte dell’autorità sull’attività di alcune associazioni senza che le altre, non pubbliche, siano relegate in una categoria gerarchicamente inferiore. e) Categorie di associazioni. 1. Le associazioni internazionali, nazionali e diocesane. Le associazioni si distinguono in primo luogo in funzione dell’autorità che le ha fondate o riconosciute. 94 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Can. 312 - § 1. L’autorità competente ad erigere associazioni pubbliche è: 1° la Santa Sede per le associazioni universali e internazionali; 2° la Conferenza Episcopale nell’ambito del proprio territorio per le associazioni nazionali, quelle cioè che sono destinate, mediante l’erezione stessa, ad esercitare la loro attività in tutta una nazione; 3° il Vescovo diocesano nell’ambito del suo territorio per le associazioni diocesane, non però l’Amministratore diocesano; tuttavia sono eccettuate le associazioni per le quali il diritto di erezione è riservato ad altri per il privilegio apostolico. 2° la Conferenza Episcopale nell’ambito del proprio territorio per le associazioni nazionali, quelle cioè che sono destinate, mediante l’erezione stessa, ad esercitare la loro attività in tutta una nazione; 3° il Vescovo diocesano nell’ambito del suo territorio per le associazioni diocesane, non però l’Amministratore diocesano; tuttavia sono eccettuate le associazioni per le quali il diritto di erezione è riservato ad altri per il privilegio apostolico. ** Can. 312 - § 1. Ad erigendas consociationes publicas auctoritas competens est: (1) pro consociationibus universalibus atque internationalibus Sancta Sedes; (2) pro consociationibus nationalibus, quae scilicet ex ipsa erectione destinantur ad actionem in tota natione exercendam, Episcoporum conferentia in suo territorio; (3) pro consociationibus dioecesanis, Episcopus dioecesanus in suo territorio, non vero Administrator dioecesanus, iis tamen consociationibus exceptis quarum erigendarum ius ex apostolico privilegio aliis reservatum est. Questa distinzione non modifica il carattere privato o pubblico delle associazioni (il Can. 312 parla solo delle associazioni erette ma può essere applicato alle associazioni private con personalità giuridica o meno). Queste possono essere universali o internazionali se esse sono erette o dichiarate private dalla Santa Sede, nazionali quando sono erette o dichiarate private dalla Conferenza dei vescovi e diocesane quando lo sono dal vescovo diocesano. Il Codice fornisce scarsi criteri di riconoscimento di questi diversi tipi d’associazione. Con l’esperienza dovrebbero chiarirsi alcuni criteri ed essere presentati dall’autorità con delle istruzioni, con la pratica legislativa della Chiesa, come pure dalla giurisprudenza. Si può, tuttavia, dare per certo che la determinazione statutaria dell’estensione dell’attività dell’associazione è un elemento determinante. Essa è menzionata per le associazioni nazionali. Il Can. 312 § 1 e 2, in effetti, dice che queste associazioni sono destinate ad esercitare le loro attività su un territorio nazionale. Essa non lo è per le associazioni erette o dichiarate private da un vescovo diocesano. Si conclude, tuttavia, che l’attività di queste ultime è in primo luogo esercitata nella diocesi, ma che un’associazione di questo tipo può estendere la sua attività al di là dei limiti di questa se, per lo meno, niente stabilisce nei suoi 95 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 statuti che essa debba limitare la sua azione. Per agire al di fuori della diocesi in quanto associazione, essa dovrebbe semplicemente ricevere il consenso del vescovo diocesano (se è pubblica Can. 312 § 2) o farsi riconoscere da lui (se è privata). Can. 312- § 2. Per erigere validamente nella diocesi un’associazione o una sua sezione, anche se ciò avviene in forza di un privilegio apostolico, si richiede il consenso scritto del Vescovo diocesano; tuttavia il consenso del Vescovo diocesano per l’erezione di una casa di un istituto religioso vale anche per l’erezione, presso la stessa casa o presso la chiesa annessa, di una Associazione propria di quell’istituto. ** Can. 312 § 2. Ad validam erectionem consociationis aut sectionis consociationis in dioecesi, etiamsi id vi privilegii apostolici fiat, requiritur consensus Episcopi dioecesani scripto datus; consensus tamen ab Episcopo dioecesano praestitus pro erectione domus instituti religiosi valet etiam ad erigendam in eadem domo vel ecclesia ei adnexa consociationem quae illius instituti sit propria. 2. Le associazioni nazionali. Per diventare nazionale, un’associazione dovrebbe introdurre nei suoi statuti, dopo l’accettazione della Conferenza dei vescovi, che l’attività su tutto il territorio della nazione è costitutiva della realizzazione dei suoi scopi. In tal caso, è il suo statuto che dovrebbe darle il carattere nazionale e non lo sviluppo pratico della sua attività o la volontà dei suoi membri. Per la determinazione dei criteri riguardanti le associazioni nazionali, alcune Conferenze di vescovi hanno già pubblicato testi che danno indicazioni in proposito fin dall’uscita del Codice, come la Conferenza Episcopale portoghese, la Conferenza spagnola e la Conferenza episcopale francese (vedere il nostro testo: Associations canoniques nationales. Réflexions doctrinales, in Bulletin officiel de la Conférence des Evêques de France, 1992, p. 545-551 – pubblicato pure in L’année canonique, t. 34, 1991, p. 165-174). Per le associazioni internazionali, un testo dà delle indicazioni che possono essere utilizzate per conoscere gli elementi che consentono di qualificarle come tali. Linee guida che contengono i criteri di definizione delle Organizzazioni cattoliche internazionali (ancora un tipo specifico di associazione) sono state rese pubbliche dal Consiglio dei laici in 1971, vale a dire prima della promulgazione del Codice del 1983. Su questo punto restano interessanti. Questo testo specifica bene che non basta, per un’associazione dichiararsi internazionale, per esserlo. Non solo questo carattere è acquisito con lo statuto dato dall’autorità, ma in più deve’essere dimostrato. Tra i criteri proposti, bisogna che l’organizzazione abbia dei membri nei diversi paesi, favorisca gli 96 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 scambi, le comunicazioni e i dialoghi tra loro, prepari i suoi membri a uno spirito internazionale e sviluppi in loro il senso di responsabilità a questo livello, abbia una visione universale, che superi il quadro delle nazioni e delle regioni, possa infine realizzare il criterio di mettere in comune attività, iniziative ed apporti delle diverse componenti nazionali o regionali. Infine, ogni associazione pubblica acquisisce la personalità giuridica in ragione del decreto di erezione (Can. 313). Can. 313 - Un’associazione pubblica, come pure una confederazione di associazioni pubbliche, per lo stesso decreto con cui viene eretta dall’autorità ecclesiastica competente a norma del Can. 312, è costituita persona giuridica e riceve, per quanto è richiesto, la missione per i fini che essa si propone di conseguire in nome della Chiesa. ** Can. 313. - Consociatio publica itemque consociationum publicarum confoederatio ipso decreto quo ab auctoritate ecclesiastica ad normam Can. 312 competenti erigitur, persona iuridica constituitur et missionem recipit, quatenus requiritur, ad fines quos ipsa sibi nomine Ecclesiae persequendos proponit. 4. Le associazioni affidate o raccomandate. L’autorità ecclesiastica può lodare un’associazione o raccomandare ai fedeli la partecipazione ad alcune associazioni. Can. 298 - § 2. I fedeli diano la propria adesione soprattutto alle associazioni erette, lodate o raccomandate dall’autorità ecclesiastica competente. Can. 299 - § 2. Tali Associazioni, anche se lodate o raccomandate dall’autorità ecclesiastica, si chiamano Associazioni private. ** Can. 298 - § 2. Christifideles sua nomina dent iis praesertim concociationibus, quae a competenti auctoritate ecclesiastica aut erectae aut laudatae vel commendatae sint. ** Can. 299 § 2. Huiusmodi consociationes, etiamsi ab auctoritate ecclesiastica laudentur vel commendentur, consociationes privatae vocantur. Questa pratica è fondata sulla possibilità per l’autorità di emettere un giudizio di opportunità sull’iniziativa lasciata ai fedeli in fatto d’esercizio del diritto d’associazione, in funzione del bene comune della diocesi o dell’intera Chiesa. Il giudizio dell’autorità non ha conseguenze sul carattere privato o pubblico dell’associazione stessa. Ciò mette in risalto il fatto che il riconoscimento o l’approvazione degli statuti non sono un giudizio sull’interesse dell’associazione riguardo al bene comune della Chiesa, ma l’intervento dell’autorità quando alcuni fedeli esercitano il loro diritto di associazione per partecipare alla missione della Chiesa. 97 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Invece, tramite la laudatio o la commendatio, l’autorità fa conoscere la sua opinione sull’opportunità di aderire ad associazioni private o pubbliche, perché esse sono importanti per la Chiesa particolare o il territorio della Conferenza dei vescovi o l’intera Chiesa. 5. Le associazioni clericali. Contrariamente a ciò che potrebbero far pensare le loro denominazioni, le associazioni clericali non sono composte unicamente da chierici. I laici possono farne parte a condizione che queste associazioni siano dirette da chierici. Inoltre, gli scopi dell’associazione devono riguardare l’esercizio dell’ordine sacro, come il ministero parrocchiale o quello della predicazione. Inoltre, l’associazione deve essere dichiarata clericale dall’autorità. Can. 302 - Le associazioni dei fedeli si chiamano clericali se sono dirette da chierici, assumono l’esercizio dell’ordine sacro e sono riconosciute come tali dall’autorità competente. ** Can. 302 - Christifidelium consociationes clericales eae dicuntur, quae sub moderamine sunt clericorum, exercitium ordinis sacriassumunt atque uti tales a competenti auctoritat agnoscuntur. Negli schemi del Codice del 1983, si vede che avevano pensato di dare a queste Associazioni la possibilità d’incardinare i chierici. Questa possibilità fu scartata cosicché, accanto agli istituti di vita consacrata clericali, alle società clericali di vita apostolica e alle prelature personali, che possono incardinare, esiste una sorta di raggruppamento di diaconi o di sacerdoti dagli obiettivi simili, ma la cui appartenenza dei membri ad una diocesi resta preponderante. Intanto, alcune Associazioni clericali hanno ricevuto il diritto d’incardinare. 6. Le associazioni di laici. Il Codice menziona una categoria di associazioni: le associazioni di laici, non perché esse sono un particolare tipo d’associazione, ma perché, sembra, il legislatore voglia riprendere nei loro riguardi alcune regole, già assegnate in modo generale alle altre categorie. Queste associazioni sono sopratutto quelle che si propongono di animare l’ordine temporale di spirito cristiano e che favoriscono così, largamente, l’unione intima della fede e della vita (Can. 327). Sia private che pubbliche, esse s’iscrivono nella logica di una missione propria data ai laici nella Chiesa. Can. 327 - I fedeli laici tengano in grande considerazione le 98 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 associazioni costituite per fini spirituali di cui al Can. 298, specialmente quelle che si propongono di animare mediante lo spirito cristiano le realtà temporali e in tal modo favoriscono intensamente un rapporto piú intimo fra fede e vita. Can. 328 - Coloro che dirigono le associazioni di laici, anche quelle erette in forza di un privilegio apostolico, facciano in modo che le proprie Associazioni collaborino, dove ciò risulta opportuno, con altre Associazioni di fedeli e che sostengano volentieri le diverse opere cristiane, soprattutto quelle esistenti nello stesso territorio. Can. 329 - I moderatori delle associazioni di laici facciano in modo che i membri dell’associazione siano debitamente formati all’esercizio dell’apostolato specificamente laicale. ** Can. 327 -Christifideles laici magni faciant consociationes ad spirituales fines, de quibus in Can. 298, constitutas, eas speciatim quae rerum temporalium ordinem spiritu christiano animare sibi proponunt atque hoc modo intimam inter fidem et vitam magnopere fovent unionem. ** Can. 328 - Qui praesunt consociationibus laicorum, iis etiam quae vi privilegii apostolici erectae sunt, curent ut suae cum aliis christifidelium consociationibus, ubi id expediat, cooperentur, utque variis operibus christianis, praesertim in eodem territorio exsistentibus, libenter auxilio sint. ** Can. 329 - Moderatores consociationum laicorum curent, ut sodales consociationis ad apostolatum laicis proprium exercendum debite efformentur. 7. Gli ordini terziari. La designazione di ordini terziari viene da S. Francesco d’Assisi, che chiama così i gruppi di fedeli che, accanto ai gruppi (uomini e donne), che conducono una vita conventuale, restano nel mondo per tendere alla perfezione cristiana (gli uomini e le donne da cui il terz’ordine). In linea con questa tradizione, il Codice attuale permette agli istituti religiosi (istituti di vita consacrata e istituti secolari) di costituire delle associazioni che offrano ai loro membri la possibilità di condurre una vita apostolica, pur partecipando allo spirito degli istituti di riferimento. Can. 303 - Le associazioni i cui membri conducono una vita apostolica e tendono alla perfezione cristiana partecipando nel mondo al carisma di un istituto religioso, sotto l’alta direzione dell’istituto stesso, assumono il nome di terzi ordini oppure un altro nome adatto. ** Can. 303 - Consociationes, quarum sodales, in saeculo spiritum alicuius instituti religiosi participantes, sub altiore eiusdem instituti moderamine, vitam apostolicam ducunt et ad perfectionem christianam contendunt, tertii ordines dicuntur aliove congruenti nomine vocantur. 99 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 8. Il nome di “cattolico”. L’uso della denominazione di “cattolico” da parte di un’associazione è regolamentato. È sottoposto al consenso dell’autorità ecclesiastica, che ha riconosciuto o eretto l’associazione. Can. 300 - Nessuna Associazione assuma il nome di <<cattolica>>, se non con il consenso dell’autorità ecclesiastica competente a norma del Can. 312. ** Can. 300. Nulla consociatio nomen “catholica” sibi assumat, nisi de consensu competentis auctoritatis ecclesiasticae, ad normam Can. 312. Tale principio si applica qui, come in altri campi, in relazione alla dichiarazione del Concilio Vaticano II nel Decreto sull’apostolato dei laici: “nessuna iniziativa può chiamarsi cattolica senza il consenso dell’autorità ecclesiastica legittima”. L’applicazione del principio per le associazioni è stato finora poco studiato dalla dottrina. Gli elementi forniti dal Pontificio Consiglio per i laici, nel 1971, per le Organizzazioni internazionali cattoliche, sono un punto di riferimento interessante, anche se si riconosce il loro carattere suppletivo prima della promulgazione del Codice del 1983. Secondo il documento romano, un’organizzazione internazionale cattolica poteva fregiarsi della qualifica di cattolica a condizione di mantenere un riferimento preciso di conformità con il Vangelo e con l’insegnamento del Magistero, una volontà d’inserirsi nello sforzo pastorale della Chiesa, una preoccupazione per l’educazione alla fede tra i suoi membri, una disponibilità di servizio in settori quali l’evangelizzazione e la santificazione, ecc. Infine, un’adesione allo spirito del Concilio Vaticano II e delle relazioni specifiche con la gerarchia ecclesiastica. Questi criteri sono generali, forse un po’ troppo, al punto che si può pensare che dovrebbero applicarsi a tutte le associazioni. Essi lasciano aperta la questione, cui non si trova risposta in un testo giuridico, non soltanto delle condizioni richieste perché sia dato tale consenso, ma anche delle conseguenze della facoltà di servirsi del nome di cattolico per l’attività delle associazioni, in particolare di quelle associazioni private. 10. Il riconoscimento civile. In molti paesi, un problema difficile da trattare riguarda l’esercizio del diritto associativo canonico nell’ambito delle leggi dello Stato. Può darsi che i fedeli vogliano godere dei diritti riconosciuti alle associazioni civili, mentre gli scopi dell’associazione creata riguardano l’attività propria della 100 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Chiesa. Questo caso pone un problema di principio. I fedeli hanno un’attività nella Chiesa senza statuto canonico come se fossero associazioni di fatto. Si tratta di sapere se, stanti alcuni scopi sui quali il diritto canonico ha fatto riserve, l’autorità potrebbe esigere che l’associazione chieda uno statuto canonico. In alcuni paesi, i fedeli costituiscono associazioni civili accanto alle associazioni canoniche quando queste non hanno un rilievo giuridico civile e, quindi, i fedeli non possono godere degli effetti civili delle dichiarazioni nell’ambito del diritto statale. In Francia, ad esempio, molte associazioni canoniche, per ragioni pratiche, hanno anche uno statuto di associazione dichiarata civilmente. Questi casi pongono la questione della preponderanza da concedere agli statuti canonici, questione più facile da risolvere nel caso delle associazioni private che nel caso delle associazioni pubbliche. In effetti, l’attività e l’organizzazione delle associazioni pubbliche sono più inquadrate dal diritto, cosicché è generalmente ammesso il principio di una necessaria articolazione degli statuti in favore della legislazione canonica. Questa pratica che, per garantire il funzionamento autonomo del diritto d’associazione canonica, consiste nell’usare mezzi legittimi per impedire che sia esercitato senza controllo il diritto civile d’associazione, comporta reali problemi teorici e pratici. Come si vede, il diritto delle persone giuridiche è oggi all’origine di numerosi problemi dottrinali dalle implicazioni pratiche evidenti. Come abbiamo già detto, è lo sviluppo recentissimo dell’attività associativa nella Chiesa che ne è la causa. I canonisti sono sollecitati spesso su questi punti. In alcuni anni, la dottrina canonica ha fornito un considerevole sforzo di aggiornamento di nuove categorie il cui carattere operativo dev’essere sancito dalla pratica. Molte sono le questioni non ancora risolte. 101 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Allegato I Testi del Concilio Vaticano II LG, 8: “Questa è l'unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica [12] e che il Salvatore nostro, dopo la sua resurrezione, diede da pascere a Pietro (cfr. Gv 21,17), affidandone a lui e agli altri apostoli la diffusione e la guida (cfr. Mt 28,18ss), e costituì per sempre colonna e sostegno della verità (cfr. 1 Tm 3,15). Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa Cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui [13], ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità cattolica”LG.14. Il santo Concilio si rivolge quindi prima di tutto ai fedeli cattolici. Esso, basandosi sulla sacra Scrittura e sulla tradizione, insegna che questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza. Solo il Cristo, infatti, presente in mezzo a noi nel suo corpo che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salvezza; ora egli stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr. Gv 3,5), ha nello stesso tempo confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano per il battesimo come per una porta. Perciò non possono salvarsi quegli uomini, i quali, pur non ignorando che la Chiesa Cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare. Sono pienamente incorporati nella società della Chiesa quelli che, avendo lo Spirito di Cristo, accettano integralmente la sua organizzazione e tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti, e che inoltre, grazie ai legami costituiti dalla professione di fede, dai sacramenti, dal governo ecclesiastico e dalla comunione, sono uniti, nell'assemblea visibile della Chiesa, con il Cristo che la dirige mediante il sommo Pontefice e i vescovi. Non si salva, però, anche se incorporato alla Chiesa, colui che, non perseverando nella carità, rimane sì in seno alla Chiesa col «corpo», ma non col «cuore». Si ricordino bene tutti i figli della Chiesa che la loro privilegiata condizione non va ascritta ai loro meriti, ma ad una speciale grazia di Cristo; per cui, se non vi corrispondono col 102 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 pensiero, con le parole e con le opere, non solo non si salveranno, ma anzi saranno più severamente giudicati. UR, 3: In questa Chiesa di Dio una e unica sono sorte fino dai primissimi tempi alcune scissioni (15), condannate con gravi parole dall'Apostolo (16) ma nei secoli posteriori sono nate dissensioni più ampie, e comunità considerevoli si staccarono dalla piena comunione della Chiesa Cattolica, talora per colpa di uomini di entrambe le parti. Quelli poi che ora nascono e sono istruiti nella fede di Cristo in tali comunità, non possono essere accusati di peccato di separazione, e la Chiesa Cattolica li circonda di fraterno rispetto e di amore. Coloro infatti che credono in Cristo ed hanno ricevuto validamente il battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa Cattolica. Sicuramente, le divergenze che in vari modi esistono tra loro e la Chiesa Cattolica, sia nel campo della dottrina e talora anche della disciplina, sia circa la struttura della Chiesa, costituiscono non pochi impedimenti, e talvolta gravi, alla piena comunione ecclesiale. Al superamento di essi tende appunto il movimento ecumenico. Nondimeno, giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo (17) e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa Cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore (18). Inoltre, tra gli elementi o beni dal complesso dei quali la stessa Chiesa è edificata e vivificata, alcuni, anzi parecchi ed eccellenti, possono trovarsi fuori dei confini visibili della Chiesa Cattolica: la parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, e altri doni interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili. Tutte queste cose, le quali provengono da Cristo e a lui conducono, appartengono a buon diritto all'unica Chiesa di Cristo. Anche non poche azioni sacre della religione cristiana vengono compiute dai fratelli da noi separati, e queste in vari modi, secondo la diversa condizione di ciascuna Chiesa o comunità, possono senza dubbio produrre realmente la vita della grazia, e si devono dire atte ad aprire accesso alla comunione della salvezza. Perciò queste Chiese (19) e comunità separate, quantunque crediamo abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non son affatto spoglie di significato e di valore. Lo Spirito di Cristo infatti non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, la cui forza deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa Cattolica. 103 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Tuttavia i fratelli da noi separati, sia essi individualmente, sia le loro comunità e Chiese, non godono di quella unità, che Gesù Cristo ha voluto elargire a tutti quelli che ha rigenerato e vivificato insieme per formare un solo corpo in vista di una vita nuova, unità attestata dalle sacre Scritture e dalla veneranda tradizione della Chiesa. Infatti solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è il mezzo generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza. In realtà noi crediamo che al solo Collegio apostolico con a capo Pietro il Signore ha affidato tutti i tesori della Nuova Alleanza, al fine di costituire l'unico corpo di Cristo sulla terra, al quale bisogna che siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio. Il quale popolo, quantunque rimanga esposto al peccato nei suoi membri finché dura la sua terrestre peregrinazione, cresce tuttavia in Cristo ed è soavemente condotto da Dio secondo i suoi arcani disegni, fino a che raggiunga gioioso tutta la pienezza della gloria eterna nella celeste Gerusalemme. 104 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 ALLEGATO II CONFERENZA IN OCCASIONE DEL 40mo ANNIVERSARIO DELLA PROMULGAZIONE DEL DECRETO CONCILIARE "UNITATIS REDINTEGRATIO" (ROCCA DI PAPA, 11-13 NOVEMBRE 2004) INTERVENTO DEL CARD. WALTER KASPER, PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI Rocca di Papa, presso il Centro Mondo Migliore Giovedì, 11 novembre 2004 Il decreto sull’ecumenismo – una nuova lettura dopo 40 anni …/… III. "Subsistit in" – espressione di un’ecclesiologia storicamente concreta La dinamica escatologica e pneumatologica necessitava di una delucidazione concettuale. Questa chiarificazione è stata fornita dal Concilio nella Costituzione sulla Chiesa, con la formula molto discussa del "subsistit in": la Chiesa di Gesù Cristo sussiste nella Chiesa cattolica (LG 8). Il redattore principale della Costituzione sulla Chiesa, G. Philips, è stato abbastanza lungimirante da prevedere che sul significato del "subsistit in" molto inchiostro sarebbe stato ancora versato.5 In effetti, questo flusso d’inchiostro continua ad essere versato e probabilmente ne occorrerà ancora dell’altro prima di chiarire le questioni sollevate. Durante il Concilio, il "substit in" ha sostituito il precedente "est" 6. Esso contiene in nuce l’intero problema ecumenico7. L’"est" affermava che la Chiesa di Gesù Cristo "è" la Chiesa cattolica. Questa stretta identificazione della Chiesa di Gesù Cristo con la Chiesa cattolica è stata ribadita in seguito anche dalle Encicliche "Mystici corporis" (1943) e "Humani generis" (1950)8. Tuttavia, la stessa "Mystici corporis" riconosce che vi sono persone che, seppur non battezzate, appartengono alla Chiesa cattolica per loro desiderio (DS 3921). Per questo motivo, Papa Pio XII, già nel 1949, aveva condannato un’interpretazione esclusiva dell’assioma "Extra ecclesiam nulla salus"9. 105 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Il Concilio ha potuto fare un notevole passo avanti grazie al "subsistit in". Si è voluto rendere giustizia al fatto che, al di fuori della Chiesa cattolica, non vi sono soltanto singoli cristiani, ma anche "elementi di Chiesa"10, ed anche Chiese e Comunità ecclesiali che, pur non essendo in piena comunione, appartengono di diritto all’unica Chiesa e sono per i loro membri mezzi di salvezza (LG 8; 15; UR 3; UUS 10-14). Il Concilio sa dunque che, al di fuori della Chiesa cattolica, esistono forme di santità che vanno fino al martirio (LG 15; UR 4; UUS 12; 83). Di conseguenza, la questione della salvezza dei non cattolici non è più risolta a livello individuale a partire dal desiderio soggettivo di un individuo, come è indicato da "Mystici corporis", ma a livello istituzionale ed in modo ecclesiologico oggettivo. La nozione del "subsistit in" significa, nell’intenzione della Commissione teologica del Concilio, che la Chiesa di Cristo ha il suo ‘luogo concreto’ nella Chiesa cattolica; nella Chiesa cattolica, si incontra la Chiesa di Cristo ed è lì che essa si trova concretamente11. Non si tratta di un’entità puramente platonica o di una realtà meramente futura; essa esiste concretamente nella storia e si trova concretamente nella Chiesa cattolica12. Compreso in tal modo, il "subsistit in" assume l’istanza essenziale dell’"est". Tuttavia, non descrive più il modo secondo il quale la Chiesa cattolica intende se stessa in termini di "splendid isolation" , ma prende atto della presenza operante dell’unica Chiesa di Cristo anche nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali (UUS 11), sebbene esse non siano ancora in piena comunione con lei. Nel formulare la sua identità, la Chiesa cattolica stabilisce un rapporto dialogico con queste Chiese e Comunità ecclesiali. Di conseguenza, il "subsistit in" è erroneamente interpretato quando si fa di esso il fondamento di un pluralismo e di un relativismo ecclesiologico, affermando che l’unica Chiesa di Cristo sussiste in numerose Chiese e che la Chiesa cattolica è semplicemente una Chiesa accanto ad altre. Simili teorie di pluralismo ecclesiologico contraddicono la comprensione della propria identità che la Chiesa cattolica – come d’altronde anche le Chiese ortodosse – ha sempre avuto nel corso della sua Tradizione, comprensione che lo stesso Concilio Vaticano II ha voluto fare sua. La Chiesa cattolica rivendica per sé, nel presente come nel passato, il diritto di essere la vera Chiesa di Cristo, nella quale è data tutta la pienezza dei mezzi di salvezza (UR 3; UUS 14), ma adesso essa prende coscienza di ciò in modo dialogico, tenendo conto delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Il Concilio non afferma nessuna nuova dottrina, ma motiva un nuovo atteggiamento, rinuncia al trionfalismo e formula la tradizionale comprensione della propria identità in modo realistico, storicamente concreto e, si potrebbe dire, addirittura umile. Il Concilio sa che la Chiesa è in cammino nella storia, per realizzare concretamente nella storia ciò che è ("est") la sua natura più profonda. Si ritrova questa visione umile e realistica principalmente in Lumen gentium 8, laddove il Concilio, con il "subsistit in", fa spazio non solo ad elementi della Chiesa al di fuori della sua struttura visibile, ma anche a membri e a strutture di peccato nella Chiesa stessa13. Il popolo di Dio conta 106 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 anche peccatori tra le sue fila, con la conseguenza che la natura spirituale della Chiesa non appare chiaramente ai fratelli separati ed al mondo, la Chiesa ha la sua parte di responsabilità nelle divisioni esistenti, e la crescita del Regno di Dio è ritardata (UR 3 s.). D’altra parte, le Comunità separate a volte hanno sviluppato meglio alcuni aspetti della verità rivelata, cosicché, nella situazione di divisione, la Chiesa cattolica non può sviluppare pienamente e concretamente la propria cattolicità (UR 4; UUS 14). Per questo, la Chiesa ha bisogno di purificazione e di rinnovamento, e deve incessantemente percorrere la via della penitenza (LG 8; UR 3s; 6 s; UUS 34 s; 83 s). Questa visione autocritica e penitente costituisce il fondamento del cammino del movimento ecumenico (UR 5-12). Essa comprende la conversione ed il rinnovamento, senza i quali non può esservi ecumenismo, ed il dialogo, che, più di uno scambio di idee, è uno scambio di doni. In questa prospettiva escatologica e spirituale, lo scopo dell’ecumenismo non può essere concepito come un semplice ritorno degli altri nel seno della Chiesa cattolica. La meta della piena unità può essere raggiunta soltanto attraverso l’impegno animato dallo Spirito di Dio e la conversione di tutti all’unico capo della Chiesa, Gesù Cristo. Nella misura in cui siamo uniti a Cristo, saremo anche uniti gli uni agli altri e realizzeremo concretamente ed in tutta la sua pienezza la cattolicità propria della Chiesa. Questo obiettivo è stato definito teologicamente dal Concilio come unità-communio. 107 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 ALLEGATO III PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI ACTUS FORMALIS DEFECTIONIS AB ECCLESIA CATHOLICA Città del Vaticano, 13 marzo 2006 Prot. N. 10279/2006 Eminenza/Eccellenza Reverendissima, Da tempo, non pochi Vescovi, Vicari giudiziali e altri operatori del Diritto Canonico hanno sottoposto a questo Pontificio Consiglio dubbi e richieste di chiarimento a proposito del cosiddettoactus formalis defectionis ab Ecclesia catholica, di cui ai canoni 1086, § 1, 1117 e 1124 del Codice di Diritto Canonico. Si tratta, infatti, di un concetto nuovo nella legislazione canonica e diverso dalle altre modalità piuttosto “virtuali” (basate cioè su comportamenti) di abbandono “notorio” o semplicemente “pubblico” della fede (cfr. cann. 171, § 1, 4°; 194, § 1, 2°; 316, § 1; 694, § 1, 1°; 1071, § 1, 4° e § 2), circostanze in cui i battezzati nella Chiesa cattolica o in essa accolti sono tenuti alle leggi meramente ecclesiastiche (cfr. Can. 11). Il problema è stato attentamente esaminato dai competenti Dicasteri della Santa Sede al fine di precisare innanzitutto i contenuti teologico-dottrinali di tale actus formalis defectionis ab Ecclesia catholica, e successivamente i requisiti o le formalità giuridiche necessarie perché esso si configuri come un vero “atto formale” di defezione. Dopo aver avuto, riguardo al primo aspetto, la decisione della Congregazione per la Dottrina della Fede ed aver esaminato in sede di Sessione Plenaria l’intera questione, questo Pontificio Consiglio comunica agli Em.mi ed Ecc.mi Presidenti delle Conferenze Episcopali quanto segue: 1. L’abbandono della Chiesa cattolica perché possa essere validamente configurato come un veroactus formalis defectionis ab Ecclesia, anche agli effetti delle eccezioni previste nei predetti canoni, deve concretizzarsi nella: a) decisione interna di uscire dalla Chiesa b) attuazione e manifestazione esterna di questa c) recezione da parte dell’autorità ecclesiastica competente di tale decisione. cattolica; decisione; 2. Il contenuto dell’atto di volontà deve essere la rottura di quei vincoli di comunione – fede, sacramenti, governo pastorale – che permettono ai fedeli di ricevere la vita di grazia all’interno della Chiesa. Ciò significa che un tale atto formale di defezione non ha soltanto un carattere giuridico-amministrativo (l’uscire dalla Chiesa nel senso anagrafico con le rispettive conseguenze civili), ma si configura come una vera separazione dagli elementi costitutivi della vita della Chiesa: suppone quindiun atto di apostasia, eresia o scisma. 108 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 3. L’atto giuridico-amministrativo dell’abbandono della Chiesa di per sé non può costituire un atto formale di defezione nel senso inteso dal CIC, giacché potrebbe rimanere la volontà di perseverare nella comunione della fede. D’altra parte l’eresia formale o (ancor meno) materiale, lo scisma e l’apostasia non costituiscono da soli un atto formale di defezione, se non sono concretizzati esternamente e se non sono manifestati nel modo dovuto all’autorità ecclesiastica. 4. Deve trattarsi, pertanto, di un atto giuridico valido posto da persona canonicamente abile e in conformità alla normativa canonica che lo regola (cfr. cann.124-126). Tale atto dovrà essere emesso in modo personale, cosciente e libero. 5. Si richiede, inoltre, che l’atto venga manifestato dall’interessato in forma scritta, davanti alla competente autorità della Chiesa cattolica: Ordinario o parroco proprio, al quale unicamente compete giudicare l’esistenza o meno nell’atto di volontà del contenuto espresso al n. 2. Di conseguenza, soltanto la coincidenza dei due elementi – il profilo teologico dell’atto interiore e la sua manifestazione nel modo così definito – costituisce l’actus formalis defectionis ab Ecclesia catholica, con le relative sanzioni canoniche (cfr. Can. 1364, § 1). 6. In questi casi, la stessa autorità ecclesiastica competente provvederà perché nel libro dei battezzati (cfr. Can. 535, § 2) venga fatta l’annotazione con la dicitura esplicita di avvenuta “defectio ab Ecclesia catholica actu formali”. 7. Rimane, comunque, chiaro che il legame sacramentale di appartenenza al Corpo di Cristo che è la Chiesa, dato dal carattere battesimale, è un legame ontologico permanente e non viene meno a motivo di nessun atto o fatto di defezione. Nella sicurezza che codesto Episcopato, conscio della dimensione salvifica della comunione ecclesiastica, comprenderà bene le motivazioni pastorali di queste norme, profitto delle circostanze per confermarmi con sentimenti di fraterno ossequiodell’Eminenza/Eccellenza Vostra Reverendissima dev.mo in Domino Julián Card. Herranz Presidente Bruno Bertagna Segretario La presente comunicazione è stata approvata dal Sommo Pontefice, Benedetto XVI, che ne ha disposto la notifica a tutti i Presidenti delle Conferenze Episcopali. 109 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 ALLEGATO IV BENEDICTUS PP. XVI LITTERAE APOSTOLICAE MOTU PROPRIO DATAE OMNIUM IN MENTEM QUAEDAM IN CODICE IURIS CANONICI IMMUTANTUR Omnium in mentem Constitutio Apostolica Sacrae disciplinae leges, die 25 mensis Ianuarii anni 1983 promulgata, revocavit Ecclesiam, utpote quae communitas sit spiritualis simul ac visibilis atque hierarchice ordinata, iuridicis normis indigere «ut exercitium munerum ipsi divinitus concreditorum, sacrae praesertim potestatis et administrationis sacramentorum rite ordinetur». His enim in normis eluceat semper oportet, ex una parte, unitas doctrinae theologicae et canonicae legislationis, ex altera vero pastoralis praescriptorum utilitas quibus ecclesiastica instituta in animarum bonum ordinantur. Quo efficacius autem et necessaria haec unitas doctrinalis et ordinatio in finem pastoralem in tuto ponantur, mature perpensis rationibus, suprema Ecclesiae auctoritas quandoque decernit opportunas normarum canonicarum mutationes vel additiones in easdem inducit. Haec quidem est ratio ad promulgationem Nos movens praesentium Litterarum, quae duas respiciunt quaestiones. Imprimis, in canonibus 1008 et 1009 Codicis Iuris Canonici de sacramento Ordinis, essentialis distinctio firmatur inter sacerdotium commune fidelium et sacerdotium ministeriale simulque dissimilitudo ostenditur inter episcopatum, presbyteratum et diaconatum. Nunc vero, postquam, auditis Patribus Congregationis pro Doctrina Fidei, veneratus Decessor Noster Ioannes Paulus IIimmutandum esse statuit textum numeri 875 Catechismi Ecclesiae Catholicae, eum in finem ut aptius quoad diaconos doctrina recoleretur Constitutionis dogmaticae Lumen gentium (n. 29)Concilii Vaticani II, perficiendam esse Nos quoque censemus normam canonicam hanc eandem rem respicientem. Quapropter, audita sententia Pontificii Consilii de Legum Textibus, decernimus ut verba ipsorum canonum immutentur ut infra. Cum sacramenta praeterea eadem sint pro universa Ecclesia, unius supremae auctoritatis est probare et definire quae ad eorum validitatem sunt requisita, necnon decernere quae ad ordinem in eorum celebratione servandum spectant (cfr Can. 841), quae sane omnia pro forma quoque in matrimonii celebratione servanda valent, si saltem alterutra pars in Ecclesia catholica baptizata sit (cfr canones 11 et 1108). 110 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 Statuitur quidem in Codice Iuris Canonici eos fideles, qui “actu formali” ab Ecclesia defecerint, legibus ecclesiasticis non teneri circa formam canonicam matrimonii (cfr Can. 1117), circa dispensationem ab impedimento disparitatis cultus (cfr 1086), necnon circa licentiam pro matrimoniis mixtis requisitam (cfr Can. 1124). Ratio et finis huius exceptionis a norma generalicanonis 11 eo spectabant, ut matrimoniorum ab iis fidelibus contractorum nullitas vitaretur ob defectum formae canonicae vel ob impedimentum disparitatis cultus. Horum autem annorum experientia ostendit, e contra, novam hanc legem pastoralia problemata haud pauca genuisse. Imprimis difficilis apparuit determinatio et practica configuratio, singulis in casibus, huius actus formalis defectionis ab Ecclesia, sive quoad eius substantiam theologicam sive quoad ipsius aspectum canonicum. Multae praeterea exsurrexerunt difficultates cum in actione pastorali tum in tribunalium praxi. Etenim e nova lege oriri videbantur, saltem oblique, commoditas ac veluti adiumentum apostasiae illis in locis ubi fideles catholici exigui sunt numero, vel ubi iniquae vigent leges matrimoniales discrimina statuentes inter cives ratione religionis; difficilis praeterea fiebat reditus horum baptizatorum qui novum contrahere exoptarent matrimonium canonicum, post prioris ruinam; denique, ut alia omittamus, horum matrimoniorum permulta devenerant de facto pro Ecclesia matrimonia sic dicta clandestina. His omnibus positis, atque accurate perpensis sententiis sive Patrum Congregationis pro Doctrina Fidei et Pontificii Consilii de Legum Textibus, sive etiam Conferentiarum Episcopalium quibus consultatio facta est circa utilitatem pastoralem servandi aut abrogandi hanc exceptionem a norma generali canonis 11, necessarium apparuit abolere hanc regulam in canonicarum legum corpus nunc vigens introductam. Auferenda proinde decernimus in eodem Codice verba: "neque actu formali ab ea defecerit"canonis 1117, "nec actu formali ab ea defecerit" canonis 1086 § 1, et "quaeque nec ab ea actu formali defecerit" canonis 1124. Itaque hac de re auditis Congregatione pro Doctrina Fidei atque Pontificio Consilio de Legum Textibus itemque rogatis sententiam Venerabilibus Fratribus Nostris S.R.E. Cardinalibus Dicasteriis Romanae Curiae Praepositis, quae sequuntur decernimus: Art. 1. Textus Can. 1008 Codicis Iuris Canonici ita immutatur ut posthac absolute sic sonet: "Sacramento ordinis ex divina institutione inter christifideles quidam, charactere indelebili quo signantur, constituuntur sacri ministri, qui nempe consecrantur et deputantur ut, pro suo quisque gradu, novo et peculiari titulo Dei populo inserviant”. Art. 2. Can. 1009 Codicis Iuris Canonici posthac tres paragraphos habebit, quarum prima et secunda constent textu vigentis canonis, tertiae vero novus textus ita sit redactus ut ipse Can. 1009, § 3 absolute sic sonet: "Qui constituti sunt in ordine episcopatus aut presbyteratus missionem et facultatem agendi in persona Christi Capitis accipiunt, diaconi vero vim populo Dei serviendi in diaconia liturgiae, verbi et caritatis". Art. 3. Textus Can. 1086, § 1 Codicis Iuris Canonici sic immutatur: 111 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 "Matrimonium inter duas personas, quarum altera sit baptizata in Ecclesia catholica vel in eandem recepta, et altera non baptizata, invalidum est". Art. 4. Textus canonis 1117 Codicis Iuris Canonici sic immutatur: "Statuta superius forma servanda est, si saltem alterutra pars matrimonium contrahentium in Ecclesia catholica baptizata vel in eandem recepta sit, salvis praescriptis Can. 1127, § 2". Art. 5. Textus canonis 1124 Codicis Iuris Canonici sic immutatur: "Matrimonium inter duas personas baptizatas, quarum altera sit in Ecclesia catholica baptizata vel in eandem post baptismum recepta, altera vero Ecclesiae vel communitati ecclesiali plenam communionem cum Ecclesia catholica non habenti adscripta, sine expressa auctoritatis competentis licentia prohibitum est". Quaecumque vero a Nobis hisce Litteris Apostolicis Motu Proprio datis decreta sunt, ea omnia firma ac rata esse iubemus, contrariis quibuslibet non obstantibus, peculiari etiam mentione dignis, eaque in Actorum Apostolicae Sedis commentario officiali promulgari statuimus. Datum Romae, apud Sanctum Petrum, die XXVI mensis Octobris anno MMIX, Pontificatus Nostri quinto. BENEDICTUS PP. XVI © Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana 112 CORSO 20103 / IL DIRITTO DEL POPOLO DI DIO: I FEDELI, LE PERSONE E LE ASSOCIAZIONI NELLA CHIESA Prof. PATRICK VALDRINI / ANNO ACCADEMICO 2011-2012 113