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«Un controprogetto diretto per
salvare capra e cavoli»
A colloquio con l’esperta di diritto europeo Christa Tobler sulle difficoltà di
applicazione dell’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa e sul progetto
di legge approvato dal Consiglio nazionale
/ 14.11.2016
di Luca Beti
Nodo gordiano, quadratura del cerchio, missione impossibile. Sono solo tre delle innumerevoli
metafore che negli ultimi mesi sono state usate per descrivere le difficoltà legate all’applicazione
dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa. Dal febbraio 2014, gli attori del mondo politico,
accademico ed economico si arrovellano il cervello per formulare una soluzione che salvi «capra e
cavoli», ossia una legge che rispetti sia l’articolo costituzionale approvato dal popolo sia gli accordi
bilaterali con l’Unione europea.
Negli ultimi due anni e mezzo, Christa Tobler, esperta di diritto europeo, ha seguito con attenzione il
dibattito a Berna e a Bruxelles. «Con un controprogetto diretto all’iniziativa Rasa si potrebbe
chiedere al popolo di approvare l’aggiunta di un breve testo all’articolo 121a che vincolerebbe la sua
applicazione al rispetto degli obblighi di diritto internazionale», indica la professoressa presso le
università di Basilea e Leiden, in Olanda. Intanto, gli ingranaggi della politica continuano a girare,
ora più in fretta di prima visto che il tempo stringe. Nella sessione invernale, il Consiglio degli Stati
dovrà dibattere sul progetto di legge approvato dal Nazionale, la cosiddetta preferenza indigena
light. In seguito il Consiglio federale elaborerà un controprogetto diretto all’iniziativa Rasa (dal
tedesco, Raus aus der Sackgasse, fuori dal vicolo cieco). Nell’intervista, Christa Tobler traccia
un’esauriente panoramica di questa intricata matassa.
Dal febbraio 2014, l’Unione europea e la Svizzera dibattono sull’applicazione dell’iniziativa
contro l’immigrazione di massa. Quali segnali giungono da Bruxelles?
L’UE ha più volte ricordato alla Svizzera che l’applicazione dell’articolo 121a deve rispettare
l’accordo sulla libera circolazione delle persone e che non tollererà alcuna discriminazione nei
confronti dei cittadini dell’UE.
In settembre, il Consiglio nazionale ha approvato la cosiddetta preferenza indigena light,
una soluzione all’acqua di rose per non mettere a repentaglio i bilaterali con l’UE.
Tuttavia, a Bruxelles questa proposta piace poco.
L’UE non si è ancora espressa ufficialmente su queste questioni. Ci sono solo dei documenti interni
in cui si indicano possibili conflitti con l’accordo sulla libera circolazione delle persone. Ma per il
momento non c’è ancora una presa di posizione ufficiale, anche perché in Svizzera ci troviamo nel
bel mezzo del processo legislativo.
Lei sostiene che il progetto di legge del Nazionale è troppo light. Dello stesso avviso è
anche la Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio degli Stati. Secondo lei quali
modifiche non violerebbero l’accordo sulla libera circolazione delle persone?
Oltre all’obbligo di annuncio voluto dal Consiglio nazionale, si potrebbe inserire un tempo d’attesa,
per esempio di alcuni giorni, prima di pubblicare il bando di concorso; un tempo necessario per
valutare se ci sono possibili candidati disoccupati in Svizzera. Inoltre si potrebbe dare il diritto agli
uffici di collocamento regionali di proporre dei candidati a un datore di lavoro. Dal mio punto di
vista, queste soluzioni volte a ridurre la disoccupazione in Svizzera e limitare l’immigrazione
rispettano l’accordo sulla libera circolazione delle persone.
Quali altre proposte potrebbero invece risultare più indigeste a Bruxelles?
L’obbligo per i datori di lavoro di convocare a un colloquio d’assunzione i candidati proposti dagli
Uffici regionali di collocamento (URC) potrebbe far storcere il naso all’UE. Un’altra è la richiesta di
motivare in forma scritta la mancata assunzione di una persona disoccupata agli URC. Secondo me
queste due ulteriori misure (approvate il 7.11 dalla Commissione degli Stati, ndr) sono ancora
compatibili con l’accordo sulla libera circolazione delle persone. Invece, l’obbligo per i datori di
lavoro di scegliere i candidati indigeni violerebbe di sicuro tale accordo.
Non stiamo giocando con il fuoco? Anche se in forma ufficiosa, il servizio giuridico della
Commissione europea ha segnalato che già la preferenza indigena light non è
completamente compatibile con l’accordo sulla libera circolazione delle persone.
Il Consiglio nazionale ha proposto un sistema basato su tre livelli. L’obbligo di annuncio (livello due)
non è stato oggetto di critiche, se non a causa di un malinteso. Problematico è invece il terzo punto.
Quest’ultimo dà la possibilità al Consiglio federale di ricorrere a misure correttive appropriate per
limitare l’immigrazione dall’UE e dagli Stati dell’Associazione europea di libero scambio (AELS). Nel
caso in cui questi provvedimenti dovessero essere incompatibili con l’accordo sulla libera
circolazione delle persone, un comitato misto formato di rappresentanti dell’UE e della Svizzera
dovrà trovare una soluzione consensuale. È quest’ultimo passaggio a non piacere al servizio
giuridico della Commissione europea poiché questa procedura è già definita – anche se in maniera
diversa – nel famoso articolo 14.2 dell’accordo sulla libera circolazione delle persone. È la cosiddetta
clausola di salvaguardia che descrive l’iter da seguire per trovare una via d’uscita in caso di gravi
difficoltà di ordine economico e sociale in uno Stato.
Dopo il voto sulla Brexit, l’UE si trova in una situazione piuttosto difficile e quindi non
vuole certo creare un precedente con la Svizzera.
Certo, è proprio così. Dopo la votazione nel Regno Unito, la discussione intorno alla libera
circolazione delle persone si è ulteriormente inasprita e irrigidita. In questo momento l’UE non vuole
di sicuro creare un precedente, facendo delle concessioni alla Svizzera che potrebbero complicare le
trattative con Londra.
Una questione di politica interna rimane ancora irrisolta: l’applicazione dell’iniziativa
contro l’immigrazione di massa. La preferenza indigena light non rispetta l’articolo
costituzionale.
In effetti, il Consiglio nazionale ha preferito il rispetto dei bilaterali all’applicazione alla lettera della
Costituzione. Il progetto di legge della Camera del popolo tenta di regolare l’immigrazione con
misure di lotta contro la disoccupazione in Svizzera. Ma non è ciò che c’è scritto nell’articolo 121a: il
testo parla di tetti massimi, contingenti e di preferenza per gli svizzeri sul mercato del lavoro.
E quindi hanno ragione gli esponenti dell’UDC quando sostengono che si sta assistendo al
«funerale della democrazia diretta»?
Mi sembra un’affermazione un po’ forte. Infatti ci troviamo di fronte a un problema estremamente
complesso. Di primo acchito il testo costituzionale sembra abbastanza chiaro. Tuttavia nell’articolo si
parla anche di interessi globali dell’economia svizzera, che però verrebbero lesi con un’applicazione
rigida del testo. Ma è anche vero che c’è un grosso divario tra il progetto di legge del Nazionale e
l’articolo costituzionale.
La questione è quindi come colmare questo divario.
Con l’iniziativa Rasa il popolo potrebbe ribaltare il voto del 9 febbraio 2014 e cancellare l’articolo
121a dalla Costituzione federale. L’altra possibilità è la presentazione di un controprogetto diretto a
questa iniziativa. È ciò che intende fare il Consiglio federale. Si potrebbe lasciare l’articolo sulla
regolazione dell’immigrazione, inserendo però una restrizione che vincolerebbe l’applicazione di
quest’ultimo al rispetto degli obblighi di diritto internazionale, come gli accordi bilaterali o la
Convenzione AELS. Da un punto di vista giuridico sarebbe una possibilità per salvare capra e cavoli.