La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (titolo in

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La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (titolo in
La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (titolo in francese
Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne) è un testo giuridico
francese, che esige la piena assimilazione legale, politica e sociale delle donne
ed è stata pubblicata nel settembre 1791 dalla scrittrice Olympe de Gouges sul
modello della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789
proclamata il 26 agosto dello stesso anno.
Si tratta del primo documento che invoca
l'uguaglianza giuridica e legale delle donne in
rapporto agli uomini ed è stato pubblicato allo
scopo di essere presentata all'Assemblée
Nationale per esservi adottata.
La Dichiarazione dei diritti della donna e della
cittadina costituisce un'imitazione critica della
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del
cittadino, che elenca i diritti validi solo per gli
uomini, allorché le donne non dispongono del
diritto di voto, dell'accesso alle istituzioni
pubbliche, alle libertà professionali, ai diritti di
possedimento. Il testo denuncia la mancanza
di
libertà
delle
donne
e
chiede
il
riconoscimento di una serie di garanzie ed
opportunità che rendano effettivi i principi
della Rivoluzione anche per le donne.
L'autrice vi defende, non senza ironia sulle
considerazioni dei pregiudizi maschili, la causa
delle donne, scrivendo che « La donna nasce
libera e ha uguali diritti all'uomo ». Volendo, si
può dire che Olympe de Gouges criticò la
Rivoluzione francese di aver dimenticato le
donne nel suo progetto di libertà e di
uguaglianza.
In seguito, Robespierre proibì le associazioni femminili, chiuse i loro clubs ed i
loro giornali, mentre Olympe de Gouges veniva ghigliottinata (novembre 1793)
«per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso» ed «essersi
immischiata nelle cose della Repubblica».
Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina
Preambolo
Le madri, le figlie, le sorelle, rappresentanti della nazione, domandano di
costituirsi in assemblea nazionale. Considerando che l'ignoranza, l'oblio o il
disprezzo dei diritti della donna sono le sole cause delle sventure pubbliche
della corruzione dei governi, esse si sono risolte a esporre in una solenne
dichiarazione i diritti naturali inalienabili e sacri della donna, affinché questa
dichiarazione costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, ricordi
incessantemente i loro diritti e i loro doveri, affinché gli atti del potere delle
donne e quelli del potere degli uomini, potendo in ogni istante essere
confrontati con il fine di ogni istituzione politica, ne siano più rispettati, affinché
i reclami delle cittadine fondati ormai su principi semplici e incontestabili, siano
sempre rivolti al mantenimento della costituzione, dei buoni costumi e alla
felicità di tutti. Di conseguenza, il sesso superiore in bellezza e in coraggio,
nelle sofferenze materne riconosce e dichiara in presenza e con gli auspici
dell'Essere supremo, i Diritti seguenti della Donna e della Cittadina:
N.B. Come la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, anche la Dichiarazione dei diritti
della donna e della cittadina è costituita da un preambolo e 17 articoli. Si tratta di un
accostamento polemico che rivendica anche per le donne, il sesso superiore sia in bellezza che
in coraggio, nelle sofferenze della maternità, quegli spazi di dignità e libertà solennemente
sanciti per l’uomo.
Articolo 1
La Donna nasce libera e ha gli stessi diritti dell'uomo. Le distinzioni sociali non
possono essere fondate che sull'interesse comune.
N.B. Come il preambolo, anche alcuni dei 17 articoli ricalcano, nella struttura e nel contenuto,
la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che, all’articolo I, così recita: «Gli uomini
nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate
che sull’utilità comune». Anche i successivi articoli II, III, IX, XII e XV ripropongono
letteralmente la Dichiarazione dell’89, limitandosi a sostituire la parola «donna» a quella di
«uomo» o ad aggiungerla.
Articolo 2
Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e
imprescrittibili della Donna e dell'Uomo: questi diritti sono la libertà, la
proprietà, la sicurezza e soprattutto la resistenza alla oppressione.
Articolo 3
Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione, che l'unione
della Donna e dell'Uomo: nessun organo, nessun individuo può esercitare
autorità che non provenga espressamente da loro.
Articolo 4
La libertà e la giustizia consistono nel restituire tutto ciò che appartiene ad
altri; così l'unico limite all'esercizio dei diritti naturali della donna, la perpetua
tirannia dell'uomo cioè, fa riformato dalle leggi della natura e della ragione.
N.B. E’ questo uno degli articoli più significativi, completamente riscritto, in esso si afferma che
in nome della libertà e della giustizia gli uomini devono rinunciare a ciò che non appartiene loro
e, in particolare, devono rinunciare alla tirannia che esercitano sulle donne e che impedisce
loro di esercitare i propri diritti naturali.
Articolo 5
Le leggi della natura e della ragione proibiscono tutte le azioni nocive alla
società: tutto ciò che non è proibito dalle leggi sagge e divine, non può essere
impedito e nessuno può essere costretto a fare ciò che esse non ordinano.
Articolo 6
La legge deve essere l'espressione della volontà generale;tutte le Cittadine e i
Cittadini devono concorrere personalmente o con i loro rappresentanti alla sua
formazione; essa deve essere uguale per tutti. Tutte le cittadine e tutti i
cittadini essendo uguali ai suoi occhi, devono essere ugualmente ammessi a
tutte le dignità posti e impieghi pubblici, secondo le loro capacità e senza altra
distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti.
Articolo 7
Non ne è esclusa nessuna donna; essa è accusata, arrestata e detenuta nei
casi stabiliti dalla Legge. Le donne obbediscono come gli uomini a questa
Legge rigorosa.
Articolo 8
La legge deve stabilire solo pene strettamente e evidentemente necessarie e
nessuno può essere punito se non in virtù di una Legge stabilita e prolungata
anteriormente al delitto e legalmente applicata alle donne.
Articolo 9
Su ogni donna dichiarata colpevole la Legge esercita tutto il rigore.
Articolo 10
Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni anche di principio, la donna
ha il diritto di salire sul patibolo, essa deve avere pure quello di salire sul podio
sempre che le sue manifestazioni non turbino l'ordine pubblico stabilito dalla
Legge.
N.B. Anche quest’articolo, completamente riformulato rispetto al corrispondente della
Dichiarazione dell’89, rivendica con forza, anche per le donne, la libertà d’opinione di cui
godono gli uomini.
Articolo 11
La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più
preziosi della donna poiché queste libertà assicura la legittimità dei padri verso
i figli. Ogni cittadino può dunque dire liberamente, io sono la madre di un figlio
vostro, senza che un pregiudizio barbaro la forzi a nascondere la verità salvo a
rispondere dell' abuso di questa libertà dei casi stabiliti dalla Legge.
N.B. La libertà di opinione rivendicata nell’articolo precedente in linea di principio, è ora
applicata ad una concreta e specifica esigenza femminile: il riconoscimento dei figli nati al di
fuori del vincolo matrimoniale, senza che le ragazze madri, nubili e vedove abbiano a
vergognarsene ed il diritto ad attribuirne la paternità.
Articolo 12
E' necessario garantire maggiormente i diritti della donna e della cittadina;
questa garanzia deve essere istituita a vantaggio di tutti e non solo di quelle
cui è affidata.
Articolo 13
Per il mantenimento della forza pubblica e per le spese di amministrazione, i
contributi della donna e dell' uomo sono uguali; essa partecipa a tutti i lavori
ingrati a tutte le fatiche, deve quindi partecipare anche alla distribuzione dei
posti, degli impieghi, delle cariche, delle dignità e dell' industria.
Articolo 14
Le Cittadine e i Cittadini hanno il diritto di constatare da sé o tramite i loro
rappresentanti, la necessità del contributo. Le Cittadine possono aderirvi
soltanto con l' ammissione di un' uguale divisione, non solo nella fortuna, ma
anche nell' amministrazione pubblica e determinare la quantità, l' imponibile, la
riscossione e la durata dell' imposta.
Articolo 15
La massa delle donne coalizzata con gli uomini per la tassazione ha il diritto di
chiedere conto della sua amministrazione a ogni agente pubblico.
Articolo 16
Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei
poteri determinata, non ha costituzione; la costituzione nulla se la
maggioranza degli individui che compongono la Nazione non ha cooperato alla
sua redazione.
Articolo 17
Le proprietà sono di tutti i sessi riuniti o separati; esse hanno per ciascuno un
diritto inviolabile e sacro;nessuno può esserne privato come vero patrimonio
della natura, se non quando la necessità pubblica legalmente constatata, lo
esiga in modo evidente e a condizione di una giusta e preliminare indennità.
N.B. La Dichiarazione si chiude con la significativa introduzione del principio di comunione dei
beni a seguito del rapporto matrimoniale, principio dal quale scaturirà la rivendicazione della
loro divisione in parti uguali in caso di separazione o divorzio.
La lenta integrazione dei Diritti Fondamentali della Donna, nel mondo
occidentale e nell'età moderna dunque parte dalla fine XVIII secolo (1791) con
Olympe de Gouges che scrive la Dichiarazione dei diritti della donna e della
cittadina e prosegue nel 1804 con il Codice civile napoleonico nel quale si
ritorna a sancire l’inferiorità della donna ribadendo l’autorità del padre e del
marito su di essa.
Nella seconda metà del XIX secolo, con l’industrializzazione, la donna viene
inserita nel lavoro nelle fabbriche e il movimento femminista si propone la
conquista dei diritti civili e dei diritti politici.
Nel 1881, Anna Maria Mozzoni scrittrice e donna politica, fonda, in Italia, la
Lega promotrice degli interessi femminili.
Nel 1890, Anna Michailovna Kuliscioff, politica russa esule in Italia, promuove
la discussione sui diritti delle donne all'interno del movimento socialista con
una conferenza sul "Monopolio dell'uomo".
Nel 1893, il diritto di voto viene concesso alle donne in Nuova Zelanda.
Nel 1903, viene fondata, in Inghilterra, da Emmelline Pankhurst la Women’s
Social and Political Union (WSPU), popolarmente definita movimento delle
suffragette che propugnava l’estensione del suffragio elettorale alle donne.
Nel 1917, con la Rivoluzione Bolscevica le donne ottengono il diritto di voto in
URSS.
Nel 1918, le suffragette inglesi ottengono il diritto di voto.
Nel 1920, gli Stati Uniti d’America concedono il voto alle donne.
Nel 1944, nasce a Roma l'Unione Donne Italiana (UDI) e nel 1946, le donne
riescono a esercitare il diritto di voto in Italia e in Francia. In Italia votano per
la prima volta in occasione del referendum che istituisce la Repubblica.
In Italia, nel 1950, viene approvata la legge sul congedo per maternità per le
lavoratrici; nel 1960 la legge che permette l’accesso a tutte le professioni; nel
1961 l’ammissione alla magistratura; nel 1962 viene abolita la norma che
permetteva il licenziamento in caso di matrimonio; nel 1970 la legge sul
divorzio, nel 1971 la legge sulla tutela delle lavoratrici madri, nel 1975 la
riforma del diritto di famiglia, nel 1978 la Legge sulla interruzione volontaria di
gravidanza e nel 1991 la legge sulle Pari Opportunità.
Fino a giungere al 2006 (31 maggio) con il Codice della Pari opportunità tra
uomo e donna e al 2007 (24 luglio) con la pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale della Comunicazione del Ministro per i diritti e le pari opportunità, del
Ministro per le politiche giovanili e le attività sportive e del Ministro
dell''interno, in merito alla dichiarazione della Consulta giovanile per le
questioni relative al pluralismo religioso e culturale sul tema “donna e società”.
A San Marino, il diritto di voto attivo alle donne venne introdotto, solo come
principio, con la legge 23 dicembre 1958. Bisognerà attendere le elezioni del
1964 per arrivare al concreto esercizio di tale diritto. Un contributo notevole
per l’affermazione di questo diritto viene dato dal Comitato per l’emancipazione
della donna, costituitosi nel 1955. Bisognerà attendere il 1973 per il
riconoscimento dell’elettorato passivo ed il 1° aprile del 1981 perché una
donna assurga alla più alta carica dello Stato (S.E. Maria Lea Pedini).
La Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei
confronti della donna del 1979 obbliga gli Stati a condannare qualsiasi forma
di discriminazione della donna e a promuoverne l’eliminazione con tutti i mezzi
adeguati. Essa non contiene nessuna disposizione specifica in relazione alla
problematica della violenza. All’articolo 6 impegna semplicemente gli Stati
contraenti a prendere misure per abolire qualsiasi forma di traffico di donne e
di sfruttamento della prostituzione.
L’Assemblea generale dell’ONU ha dato prova in varie risoluzioni della propria
volontà di non tollerare ulteriormente la violenza sulle donne.
Nella Dichiarazione sull’eliminazione della violenza nei confronti delle
donne del 1993 la Comunità degli Stati ha concordato per la prima volta la
seguente definizione di “violenza nei confronti delle donne” (art. 1): “ogni atto
di violenza indirizzato al genere femminile che rechi o possa recare alle donne
un pregiudizio o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, compresa la
minaccia di tali atti, la coazione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella
vita pubblica che nella vita privata”.
Per violenza sulle donne si intendono in particolare i seguenti atti (art. 2):
a) la violenza fisica, sessuale e psicologica usata in seno alla famiglia,
comprese le percosse, le sevizie sessuali inflitte alle fanciulle in casa, le
violenze legate alla dote, lo stupro coniugale, le mutilazioni genitali e altre
pratiche tradizionali pregiudizievoli alla donna, la violenza non coniugale e la
violenza legata allo sfruttamento;
b) la violenza fisica, sessuale e psicologica usata in seno alla collettività,
compreso lo stupro, le sevizie sessuali, le molestie sessuali e l’intimidazione sul
lavoro, nelle istituzioni di formazione e altrove, il prossenetismo e la
prostituzione forzata;
c) la violenza fisica, sessuale e psicologica perpetrata o tollerata dallo Stato,
ovunque essa si verifichi.
L’articolo 4 chiarisce che gli Stati non possono far valere né usi e costumi, né
tradizioni, né considerazioni di carattere religioso per sottrarsi ai loro doveri
riguardo all’eliminazione della violenza sulle donne. Gli Stati sono tenuti a
prevenire, esaminare e punire con la dovuta diligenza (la cosiddetta “due
diligence”) le violenze sulle donne, indipendentemente dal fatto che tali atti
siano stati perpetrati dallo Stato o da persone private.
L’Assemblea generale dell’ONU ha approvato ulteriori importanti dichiarazioni:
Nel 1998 una dichiarazione che sollecita gli Stati ad affrontare seriamente e in
maniera globale la lotta alla violenza sulle donne (“Crime prevention and
criminal justice measures to eliminate violence against women”,
A/RES/52/86).
Nel 2003 una dichiarazione che sollecita misure per l’eliminazione della
violenza domestica (A/RES/58/147, “Elimination of domestic violence
against women”, del 22.12.2003).
Nel 2004 una dichiarazione contro i reati d’onore perpetrati contro donne e
minori (A/RES/59/165, “Working towards the elimination of crimes
against women and girls committed in the name of honour”, del
20.12.2004).
La Convenzione interamericana per la prevenzione, la sanzione e
l’eliminazione della violenza contro le donne del 9.6.1994 (la cosiddetta
“Convenzione di Belém do Pará“, in vigore dal 5.3.1995, 31 Stati contraenti) è
un accordo impegnativo per la lotta a tale forma di violenza. Secondo la
Convenzione, le vittime possono presentare un ricorso alla Commissione
interamericana dei diritti umani (art. 12).
Il Protocollo alla Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli
relativo ai diritti della donna dell’11.7.2003 tutela esplicitamente la donna
africana dalla violenza indirizzata al suo genere (in particolare gli art. 3 a 5).
La Commissione sulla eliminazione della discriminazione nei confronti delle
donne (CEDAW - Commitee on the Elimination of Discrimination Against
Women), ha esplicitato come segue ciò che intende per discriminazione della
donna: la violenza sessuale che compromette o preclude alle donne la
possibilità di esercitare i diritti umani sanciti dal diritto internazionale pubblico
o dalle convenzioni sui diritti umani e le libertà fondamentali rappresenta una
discriminazione. Per quanto riguarda la violenza meritano un particolare rilievo
i seguenti obblighi degli Stati contraenti: prendere ogni misura adeguata “al
fine di modificare gli schemi e i modelli di comportamento socio-culturale degli
uomini e delle donne e giungere ad una eliminazione dei pregiudizi e delle
pratiche consuetudinarie o di altro genere, che siano basate sulla convinzione
dell’inferiorità o della superiorità dell’uno o dell’altro sesso o sull’idea di ruoli
stereotipati degli uomini e delle donne” (art. 5 lett. a e art. 2 lett. f);
Prima parte, art. 2.f : "Gli Stati parte condannano la discriminazione nei confronti delle
donne in ogni sua forma, convengono di perseguire con ogni mezzo appropriato e senza
indugio una politica tendente a eliminare la discriminazione nei confronti delle donne e a
questo scopo si impegnano a prendere ogni misura adeguata, comprese le disposizioni di
legge, per modificare o abrogare ogni legge, disposizione, regolamento, consuetudine o pratica
che costituisca discriminazione nei confronti delle donne".
Prima parte, art. 5.a : "Gli Stati parte prendono ogni misura adeguata al fine di modificare
gli schemi e i modelli di comportamento socio-culturale degli uomini e delle donne e giungere a
un’eliminazione dei pregiudizi e delle pratiche consuetudinarie o di altro genere che siano
basate sulla convinzione dell’inferiorità o della superiorità dell’uno o dell’altro sesso o sull’idea
di ruoli stereotipati degli uomini e delle donne".
vietare il traffico di donne (art. 6); garantire il diritto al lavoro (art. 11);
garantire il diritto alla salute (art. 12); considerare la situazione delle donne
delle zone rurali (art. 14); assicurare la parità di diritti nel matrimonio e in
seno alla famiglia (art. 16).
Nelle raccomandazioni generali del Comitato per l’eliminazione della
discriminazione nei confronti della donna si trovano le seguenti precisazioni
rilevanti ai fini della problematica della violenza:
• Parità nel matrimonio e nei rapporti familiari v. Raccomandazione
generale n. 21/1994
• Violenza sulle donne v. Raccomandazione generale n. 19 /1992 e
Raccomandazione generale n. 12/1989
• Escissione v. Raccomandazione generale n. 14/1990
Mary Robinson, Alto Commissario ai Diritti dell’Uomo, alla Assemblea Generale
delle Nazioni Unite, nel novembre 1997, diceva : "Voglio essere una potente
voce morale che si esprime in difesa di tutte le vittime dell'oppressione, della
discriminazione e dell'esclusione, a qualsiasi Paese esse appartengano e di
qualsiasi natura siano i soprusi che esse subiscono".
Il principio di universalità dei Diritti Umani viene contestato da alcuni governi
confessionali, al primo posto quelli islamici, che vogliono perseverare
nell'attuazione della discriminazione perpetrata soprattutto ai danni delle
donne, ma contemporaneamente giustificare il loro comportamento al cospetto
degli altri Paesi.
Il Diritto di Universalità, è bene ricordarlo non vuole imporre una Cultura
Unica, ma vuole che la libertà di coscienza e di giudizio venga garantita,
cercando di preservare la Differenza.
L'universalità, quindi, non è sinonimo di uniformità.
Nella Dichiarazione Programmatica di Pechino, del 1995, paragrafo 118,
possiamo leggere che la violenza perpetrata nei confronti delle donne, ha
prodotto come effetto il potere degli uomini, e la conseguente discriminazione,
che le donne hanno patito, ha rallentato lo sviluppo dell'autonomia femminile.
Testimonianza di atrocità commesse in nome della tradizione, le possiamo
trovare nei riti di passaggio di molti Paesi africani e del Medio Oriente, che
prevedono la mutilazione degli organi genitali esterni come passo necessario,
da compiere nel pieno rispetto di riti atavici, per consacrare il passaggio dalla
fanciullezza alla vita adulta. La violenza contro le donne, comprese quelle
domestiche, sono da considerarsi elemento integrante del modello culturale di
molti Paesi non necessariamente arretrati.
Questi "interventi" compiuti in condizioni igieniche discutibili, da persone
investite del potere del rito, ma non certo della conoscenza medica necessaria,
sono l'esempio più eclatante della violazione dei diritti più elementari della
donne.
Il numero delle adolescenti che ha subito una mutilazione di questo tipo, ad un
calcolo approssimativo risulta essere di circa 130 milioni.
Numerosi sono i Documenti Ufficiali in cui vengono menzionate le violenze e le
discriminazioni che hanno come soggetto le donne, come un male da estirpare
attraverso interventi efficaci tesi alla totale cancellazione del fenomeno, ne
sono un esempio la Quarta Conferenza Mondiale per i Diritti della Donna
(1995), la Dichiarazione di Vienna (1993), in cui tutti i Paesi venivano
sollecitati a ratificare la Convenzione dell'ONU sull'eliminazione delle
discriminazioni nei confronti delle donne (nel 1997 solo 162 Stati su 190
avevano ratificato il documento, si spera che per il 50° anniversario della
Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo anche i 28 Stati restanti adottino tali
disposizioni).
Nel 2006 (27 novembre), è stata presentata ufficialmente a Madrid nell’ambito
di una Conferenza ad alto livello alla quale è intervenuto, nella sua veste di
Presidente del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, il Segretario di
Stato per gli Affari Esteri della Rep. di San Marino e che ha visto la
partecipazione dei più alti rappresentanti del Consiglio d’Europa, la Campagna
paneuropea contro la violenza nei confronti delle donne, compresa la violenza
domestica, promossa dal Consiglio d’Europa.
Tale Campagna si inserisce in una serie di attività internazionali che hanno
come scopo lo sviluppo di mentalità collettive, in cui il rispetto dei diritti delle
donne diventi finalmente un patrimonio autentico, incontestabile e radicato
nella cultura e nella società: la violenza, fisica e psicologica, perpetrata nei
confronti delle donne è una quotidiana realtà, che oltrepassa le frontiere
nazionali e che non conosce distinzioni sociali o economiche. Secondo dati
affidabili, la violenza domestica è presente, e addirittura abituale, in tutti gli
Stati europei e in tutte le fasce della società.
La Campagna europea mira a svolgere un ruolo essenziale in termini di
sensibilizzazione e di impulso, affinché tutti insieme, Consiglio d’Europa,
Governi, Parlamenti, popoli europei, compiamo passi concreti verso
l’eliminazione della violenza contro le donne.
E una campagna produce risultati positivi quando promuove un impegno, uno
sforzo corale in cui allo Stato, alle istituzioni, ai servizi, alla scuola si affiancano
i cittadini, le loro rappresentanze organizzate, le istituzioni locali, le
associazioni.
Vorrei dunque concludere, riportando le parole rivolte dalla Ecc.ma Reggenza
(S.E: Antonio Carattoni e S.E. Roberto Giorgetti) , in occasione della
presentazione a San Marino, nel corso di un’Udienza presso il Pubblico Palazzo,
della Campagna paneuropea contro la violenza nei confronti delle donne,
compresa la violenza domestica, promossa dal Consiglio d’Europa:
”Se è vero che è necessario rafforzare il livello di coscienza per comprendere la
complessità di un fenomeno talora sottovalutato, anche perché sottilmente
sfumato nelle sue dinamiche e nelle sue motivazioni, è altresì necessario che,
oltre ad un obiettivo di civiltà, noi tutti ci prefiggiamo di raggiungere l’obiettivo
di nuove formule di dialogo che, attraverso la collaborazione di ogni
componente della società, possano consentirci di conseguire traguardi di vera
crescita civile.
…
Un cambio di mentalità per quanto riguarda la violenza domestica nei confronti
delle donne, mentalità purtroppo ancora diffusa anche in occidente dove
tradizionalmente si è sviluppata la civiltà più progredita, ma dove, purtroppo,
tale genere di sopruso è un problema sociale, potrà essere direttamente
proporzionale alla buona riuscita di un forte impegno collettivo.”

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