FINANZIARE LA RICERCA PER LA SALUTE 2015

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FINANZIARE LA RICERCA PER LA SALUTE 2015
FINANZIARE LA RICERCA PER LA SALUTE 2015
I progetti protagonisti dell’incontro pubblico nella Sala dello Stabat Mater di Bologna
Appuntamento sabato 7 febbraio dalle 9 alle 13
Bologna, 5 febbraio 2015 – Sabato 7 febbraio dalle 9 alle 13 nella Sala dello Stabat Mater della Biblioteca Comunale
dell’Archiginnasio di Bologna, la Fondazione promuove l’incontro pubblico Finanziare la ricerca per la salute
2015. Il contributo della Fondazione del Monte. Anche quest’anno, come già accaduto nel 2014, sarà
l’occasione per fare il punto sull’attività del settore Ricerca Scientifica, per illustrare i criteri che regoleranno le
richieste dei contributi in questo ambito, e per raccontare il lavoro e i risultati di otto progetti finanziati tra il
2011 e il 2012 già conclusi. Gli otto progetti sono stati selezionati tra i tanti meritevoli approvati, perché ritenuti
adeguatamente rappresentativi delle finalità perseguite dalla Fondazione in questo settore. L’incontro si svolge
nell’ambito del programma culturale della Società Medica Chirurgica, che ha la sua storica sede proprio
all’Archiginnasio.
Dopo i saluti del Presidente della Società Medica Chirurgica di Bologna, Roberto Corinaldesi, e del Presidente
della Fondazione del Monte, Marco Cammelli, sono in programma gli interventi di Eleonora Porcu,
Coordinatore della Commissione Ricerca Scientifica del Consiglio di Indirizzo della Fondazione, di Antonio
Panaino, Consigliere di Amministrazione della Fondazione e predecessore di Eleonora Porcu alla Commissione,
e di Luigi Bolondi, Consigliere di Amministrazione della Fondazione delegato al settore Ricerca Scientifica. Poi
toccherà ai responsabili degli otto progetti, che saranno divisi in due gruppi, moderati rispettivamente da Luigi
Bolondi e Antonio Panaino, e da Eleonora Porcu e Giorgio Cantelli Forti, già Consigliere di Amministrazione
delegato al settore Ricerca Scientifica della Fondazione.
I meccanismi cerebrali responsabili della dipendenza dalle droghe
La dipendenza da sostanze d’abuso costituisce una delle minacce più gravi per la salute pubblica in termini di
diffusione e mortalità, ma non è ancora stata individuata una terapia farmacologica veramente efficace a causa
della conoscenza ancora incompleta dei meccanismi neurofisiologici su cui si basa. Gli studi finora condotti
indicano che la lunga permanenza nel tempo di questa condizione deriva da una forma “aberrata” di
apprendimento, basata su modificazioni nella forza della trasmissione sinaptica nel circuito cerebrale che si attiva
durante le esperienze gratificanti, il sistema mesocorticolimbico. Il gruppo di ricerca in Neurofisiologia
coordinato da Giorgio Aicardi nel Dipartimento di Scienze per la qualità della vita dell’Università di Bologna,
grazie al finanziamento della Fondazione del Monte, ha svolto uno studio elettrofisiologico in vitro che ha
consentito di individuare e caratterizzare nuovi elementi legati ai fenomeni fisiologici che attengono al
funzionamento di questo tipo particolare di memoria. Questi risultati possono contribuire allo sviluppo di nuovi
approcci terapeutici nel trattamento della tossicodipendenza e non solo, visto che i processi analizzati sono
coinvoltiti anche in altre patologie come la depressione maggiore, disordini alimentari, emesi, dolore cronico,
disordini del sonno, autismo e schizofrenia.
Sonno e processi di memoria nell’uomo
Il progetto di ricerca curato da Carlo Cipolli, del Laboratorio di Psicologia del DIMES dell’Università di Bologna,
ha avuto come obiettivo l’individuazione delle relazioni tra le caratteristiche dell’attività cerebrale registrabile
durante il sonno a livello dell’ippocampo (che è la parte del cervello dove si consolidano le nuove informazioni e
diventano memoria) e l’apprendimento di nuove informazioni spaziali (dalle quali dipende gran parte delle
interazioni dell’uomo con l’ambiente di vita e di lavoro). L’attività cerebrale durante il sonno successivo
all’apprendimento di un compito di navigazione spaziale è stata registrata in pazienti con epilessia focale
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farmacoresistente, ai quali erano stati impiantati alcuni elettrodi intracerebrali a fini diagnostici presso il Centro
di Chirurgia per l’Epilessia “C. Munari” dell’Ospedale Niguarda di Milano. E’ stata scelta questa rara popolazione
di pazienti in quanto consente di registrare l’attività cerebrale durante il sonno sia con il metodo tradizionale
degli elettrodi collocati sulla superficie cutanea cerebrale, sia con il metodo stereo-elettroencefalografico, cioè con
elettrodi collocati direttamente nell’ippocampo. Il processo di consolidazione delle nuove informazioni spaziali è
risultato efficace durante il sonno cosiddetto lento (cioè nella prima parte del sonno notturno) successivo alla loro
acquisizione. Questo conferma la funzione attiva del sonno nel processo complessivo di apprendimento di nuove
informazioni tramite la riattivazione (replay) delle loro tracce a livello ippocampale ed evidenzia l’importanza di
preservare l’architettura fisiologica del sonno per facilitare l’apprendimento e l’integrazione cognitiva di nuove
informazioni nell’uomo.
Supercentenari in Emilia Romagna: ricerca di una firma genetica di longevità
Lo studio dell’invecchiamento umano ha assunto negli ultimi anni un’importanza centrale a causa della vera e
propria rivoluzione demografica dovuta all’invecchiamento generale della popolazione. I centenari rappresentano
uno dei migliori modelli per lo studio delle caratteristiche dell’invecchiamento estremo e dei fattori genetici ed
ambientali associati all’invecchiamento con successo. La longevità è infatti da considerarsi come il risultato di
meccanismi di adattamento particolarmente efficienti e di una spiccata capacità di rimodellamento. Lo studio
finanziato dalla Fondazione del Monte è stato coordinato da Claudio Franceschi del Dipartimento di Medicina
Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell’Università di Bologna, e ha coinvolto 83 soggetti di 105 anni e oltre:
33 in Emilia-Romagna, 29 in Lombardia e 21 in Calabria. Per la maggior parte (77%) sono donne e tra loro c’è
un solo fumatore. Per ognuno di loro sono state registrate le caratteristiche generali, lo stato cognitivo e
funzionale, le principali patologie, i farmaci assunti ed è stato eseguito un prelievo di sangue. I risultati ottenuti
evidenziano che i soggetti di 105 anni e più sono caratterizzati da un basso indice di massa corporea, bassi livelli
di colesterolo e glucosio plasmatico e bassi valori della pressione sistolica e diastolica. Sul DNA di questi soggetti
è stato effettuato uno studio di genetica (sequenziamento completo dei genomi) e di epigenetica (metilazione del
DNA) anch’esso su tutto il genoma. L’analisi di questa grandissima quantità di dati è in corso utilizzando
metodologie statistiche e modelli avanzati. Sono anche in corso studi di metagenomica (microbioma intestinale),
glicomica (N-glicani circolanti) e proteomica (proteoma circolante) che alla fine consentiranno per la prima volta
una visione integrata (medicina sistemica) dell’invecchiamento in salute e della longevità umana.
Alla ricerca di nuovi farmaci per prevenire e curare la malattia di Alzheimer
Il percorso di ricerca per la scoperta di nuovi farmaci è lungo e tortuoso e gli sforzi richiesti per il
raggiungimento di questo obiettivo sono notevoli e onerosi. Proprio sulla ricerca di nuovi farmaci ha lavorato il
gruppo coordinato da Vincenza Andrisano, gruppo che fa riferimento ai Dipartimenti di Scienze per la Qualità
della salute e Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna. I malati di Alzheimer sono più di 6 milioni in
Europa ed oltre un milione in Italia, dove ogni anno si registrano 150.000 nuovi casi. Il lavoro del gruppo è
incentrato sulla ricerca e sviluppo di metodologie strumentali e di metodi combinati in grado di monitorare i
processi patologici a livello molecolare, permettendo la costruzione di modelli in vitro e di sistemi analitici
appropriati per la caratterizzazione di nuovi composti attivi sui bersagli molecolari selezionati. Tramite
l’applicazione di questi metodi integrati, la ricerca del gruppo ha portato allo sviluppo di svariate classi di piccole
molecole attive su bersagli molecolari convalidati della malattia di Alzheimer (aggregazione amiloidea,
iperfosforilazione della proteina tau, trasmissione colinergica, etc.), molte di queste a carattere multifunzionale. In
particolare una molecola (NP61) ha dimostrato attività multifunzionale su topi transgenici ed è in corso la sua
sperimentazione clinica.
Modelli sperimentali per identificare terapie innovative per tumori incurabili
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Il cancro è la prima causa di morte nell’età compresa da 0 a 18 anni nei paesi industrializzati. Ogni anno, circa
200.000 bambini nel mondo, 12.000 bambini in Europa (circa 1.500 in Italia) sono colpiti da cancro. In Europa,
circa 3.000 bambini (circa 500 in Italia) muoiono ogni anno di cancro. C’è quindi un evidente ed urgente bisogno
di cure più efficaci e meno tossiche per i tumori dei bambini. Il progetto finanziato dalla Fondazione del Monte
(responsabile scientifico Roberto Tonelli, Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna)
ha riguardato lo sviluppo di nuovi modelli preclinici sperimentali per l’analisi anti-tumorale di nuove molecole da
impiegare nel trattamento di tumori incurabili dei bambini (tra cui il Neuroblastoma, Rabdomiosarcoma,
Medulloblastoma, Leucemie Acute) e dell’adulto. Lo sviluppo di modelli sperimentali appropriati è uno step
fondamentale per la ricerca preclinica oncologica di nuove terapie. Sono stati sviluppati nuovi modelli preclinici
in vivo non invasivi. Successivamente, il progetto di ricerca si è focalizzato sull’utilizzo dei nuovi modelli
sperimentali messi a punto per caratterizzare molecole di origine naturale come potenziali nuovi farmaci per
l’oncologia pediatrica e per alcuni tumori incurabili dell’adulto (tra cui il tumore a piccole cellule del polmone
causato dal fumo di sigaretta). I risultati ottenuti hanno fornito promettenti indicazioni di attività anti-tumorale
specifica e tossicità molto ridotta rispetto ai farmaci attualmente in uso. I dati sperimentali hanno anche prodotto
due pubblicazioni scientifiche su due riviste internazionali.
Implicazioni genetiche nello sviluppo dell’ipertensione e dell’ipercolesterolemia
L’aumento della prevalenza dell’ipertensione e dell’ipercolesterolemia è attribuito alla invecchiamento della
popolazione, e a fattori di rischio comportamentali quali, dieta ricca di grassi, scarsa attività fisica, esposizione a
fumo di sigaretta, obesità, diabete. Tuttavia, vi è un numero non trascurabile di casi di ipertensione per i quali
non è possibile identificare fattori di rischio noti. La genetica potrebbe costituire una valida risposta per questi
casi, in quanto rappresenta una delle principali cause di variabilità interindividuale sia nel rischio di sviluppare una
patologia che nella risposta alla terapia. La necessità di predire lo sviluppo di una patologia e gli effetti di una
terapia hanno dato il via, grazie anche al completamento del Progetto Genoma Umano, ad una nuova disciplina
della medicina nota come Medicina Predittiva. In questo quadro si pone lo studio finanziato dalla Fondazione,
coordinato da Sergio D’Addato del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna, e
condotto su un’ampia parte della popolazione di Brisighella (Ravenna), scelta perché tipico esempio di una
comunità che ha mantenuto nel corso degli anni uno stile di vita piuttosto rurale e omogeneo. Gianmichele
Massimo del dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna ha selezionato e analizzato
1.566 soggetti di età compresa tra i 30 e i 90 anni. Il numero dei soggetti non affetti da ipertensione è risultato
essere quasi il doppio, 1023, rispetto ai soggetti ipertesi, 543. Dall’analisi genetica appare che sia possibile
identificare un genotipo che possa sviluppare ipertensione, e che in parte possa giustificare i soggetti con
ipertensione primaria. Il lungo lavoro di incrocio dei dati restituirà informazioni utili per costruire la prevenzione
e la cura di patologie così comuni alla popolazione.
Effetti di alcuni polifenoli vegetali sulla funzione riproduttiva
Il consumo abituale di frutta e verdura è la base per una sana alimentazione e può costituire una forma di
prevenzione nei confronti di patologie quali le malattie cardiovascolari e neoplastiche. Ricerche recenti hanno
evidenziato i componenti chimici in gran parte responsabili degli effetti protettivi della dieta; il Resveratrolo
(Res), membro della famiglia degli stilbeni, ne è un esempio in virtù degli effetti benefici che, assunto con il vino,
avrebbe sulla salute umana. Il Res è una fitoalessina prodotta da parecchie piante in difesa da agenti patogeni.
Sebbene sia presente in almeno 72 specie di piante, come eucalipto, abete rosso e giglio, e in cibi come arachidi e
loro derivati, le fonti di Res più rilevanti sono gli acini d’uva. Il progetto di ricerca, coordinato da Carlo Tamanini
del Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie dell’Università di Bologna, si è proposto di valutare in vitro
l’effetto del Res sui gameti maschili e femminili. Per quanto riguarda i gameti femminili, si è scelto il suino che
presenta, sia da un punto di vista anatomico che fisiologico, notevoli affinità con l’uomo; per quanto riguarda i
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gameti maschili è invece stato utilizzato il cavallo. Tra i risultati ottenuti, è stata confermata la capacità del Res di
migliorare le performances di ovociti suini in termini di evoluzione embrionale.
Studio di composti vegetali per la cura dell’osteoporosi
Il progetto è stato sviluppato presso il Laboratorio di Fisiopatologia Ortopedica e Medicina Rigenerativa
dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, , coordinato da Donatella Granchi in collaborazione con Ferruccio
Poli del Dipartimento di Biologia Evoluzionistica Sperimentale dell’Università di Bologna. La più diffusa malattia
da alterato rimodellamento osseo è l’osteoporosi, caratterizzata da uno squilibrio fra l’attività di riassorbimento e
di deposizione di tessuto mineralizzato. Gli esiti di questa malattia hanno un forte impatto sul piano sanitario,l
sociale ed economico. Ad esempio, le fratture osteoporotiche sono fra le maggiori cause di mortalità, nel 50% dei
casi determinano un calo dell’autosufficienza e nel 20% è necessario il ricovero a lungo termine. I farmaci usati
nella terapia dell’osteoporosi devono essere impiegati continuativamente e regolarmente, ma sono costosi e
generano effetti collaterali che spesso inducono il paziente ad interrompere le cure. Approcci terapeutici
alternativi, da impiegare in sostituzione o in combinazione a dosi inferiori dei farmaci convenzionali, potrebbero
migliorare l’aderenza alla terapia e influenzare positivamente il risultato clinico. Il contributo concesso dalla
Fondazione del Monte ha permesso di studiare l’attività farmacologica di composti di origine vegetale
comunemente usati nella medicina ayurvedica e scelti in base alla loro potenziale efficacia nella cura delle malattie
ossee. In base alle caratteristiche chimiche dei decotti ed alla loro capacità di inibire il riassorbimento osseo senza
interferire con la formazione di nuovo tessuto, sono state selezionate le piante da sottoporre ad uno studio
farmacologico più approfondito.
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