Verso una nuova corporate governance

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Verso una nuova corporate governance
Verso una nuova corporate governance:
proposte e strumenti
Tavola rotonda Verso una nuova corporate governance: proposte e strumenti Roma, 7 giugno 2011 Sintesi della discussione a cura di Gianfranco Gianfrate
Negli utimi anni la corporate governance delle imprese italiane si è evoluta in modo rapido e
incisivo, ma, per molti versi, disordinato. Una evoluzione che, partita con le grandi
privatizzazioni degli anni novanta e volta a rendere il nostro mercato finanziario più
attraente per gli investitori italiani e stranieri, è stata perseguita inizialmente impiantando
nel nostro sistema diversi elementi di matrice anglosassone mutuati da contesti che
differiscono significativamente dall’Italia per strutture economiche e impianto legale. I
successivi interventi normativi, attuati spesso dietro la spinta del recepimento delle
direttive europee o sulla scorta di crolli della fiducia degli investitori a seguito di scandali
finanziari nazionali e internazionali, si sono poi concretizzati in ulteriori modifiche e
innesti normativi sovente realizzati perdendo di vista l’architettura complessiva del
quadro regolamentare. Se quindi la corporate governance italiana ha fatto importanti passi
in avanti in termini di stabilità e trasparenza, questi stessi passi in avanti hanno avuto la
conseguenza di accrescere la complessità del disegno regolamentare complessivo che
diviene, oggi, opportuno riorganizzare e semplificare. In questo contesto, la tavola rotonda
ha inteso fornire un contributo al dibattito sulla corporate governance italiana muovendo
dall’analisi delle best practice estere e proponendo nuovi spunti di riflessione per il sistema
nazionale.
Le proposte per una nuova corporate governance
Uno studio condotto da Eni con riguardo ai modelli di governance stranieri e alle best
practice riconosciute a livello internazionale ha enucleato una serie di proposte per
migliorare la funzionalità complessiva del governo delle imprese italiane. Le proposte,
tenendo conto del profilo dimensionale delle imprese, sono riferite principalmente alle
società quotate con sistema di amministrazione e controllo di tipo tradizionale.
Fra le proposte elaborate, un passaggio chiave è riservato alla ridefinizione delle funzioni
del Consiglio di Amministrazione (CdA). Il CdA dovrebbe infatti assumere un ruolo di
direzione strategica più che di mero controllo o di gestione dell’operatività dell’impresa.
Questo non implica, naturalmente, svuotare l’organo consiliare delle proprie competenze,
ma comporta una distinzione più marcata tra il ruolo del consiglio come organo di
indirizzo strategico e ruolo del management come decisore dei mezzi più idonei al
perseguimento degli indirizzi strategici stabiliti in sede consiliare. Altri compiti
fondamentali del consiglio rimangono, naturalmente, la nomina del CEO e degli altri top
executive e la predisposizione di adeguati piani di successione per queste cariche. Al fine di
contribuire adeguatamente al processo decisionale su questi aspetti, i consiglieri
dovrebbero essere caratterizzati da un adeguato mix di competenze, esperienze e
professionalità. Sotto questo profilo, vale la pena segnalare che, in un’ottica di confronto
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internazionale, i CdA italiani si caratterizzano per la relativa minore incidenza di
consiglieri con rilevanti esperienze manageriali.
Sempre in tema di composizione del CdA, l'assemblea degli azionisti dovrebbe svolgere
un ruolo più incisivo nella scelta degli amministratori. In questo senso, dal modello attuale
in cui gli azionisti scelgono quale lista di candidati supportare, si potrebbe passare a un
modello in cui si vota separatemente per ciascuno degli amministratori. Tale approcccio,
favorito in ambito internazionale dagli investitori istituzionali, consentirebbe alla platea
degli azionisti un esercizio più pieno e preciso dei propri diritti di voto. Sarebbe poi
auspicabile, come regola generale, al fine di garantire un sufficiente distacco e
indipendenza di giudizio, un periodo di cooling off nell’eventuale passaggio dalla carica di
consigliere a quella di sindaco della società.
Con riferimento al CdA, un'altra proposta fa riferimento all’introduzione dello staggered
board ovvero del meccanismo per cui i mandati dei diversi consiglieri hanno scadenze
differenziate. Tale opzione assicurerebbe stabilità e continuità nella gestione della società
pur lasciando in capo agli azionisti il diritto di rinnovare completamente il consiglio
nell’assemblea annuale. Sempre in tema di composizione del CdA, un accento particolare
va posto sulla diversity che non deve solo essere riferita alle differenze di genere – peraltro,
la normativa appena approvata supera di fatto la questione – ma anche a quelle di
background professionale e sociale. Un incremento della diversity si traduce infatti in un
arricchimento delle esperienze e competenze il quale, a sua volta, migliora la qualità della
dialettica, e quindi del processo decisionale, in seno al consiglio. In questo senso,
soprattutto per le imprese a forte vocazione internazionale, la nomina di amministratori
stranieri sarebbe un elemento fortemente positivo per il sistema di governance.
Un aspetto da non trascurare in tema di funzionamento del CdA è poi quello riferibile ai
principi di comportamento per gli amministratori. Fra le policy che il consiglio deve
implementare, merita infatti una menzione particolare quella relativa agli standard di
comportamento e di valori che devono essere seguiti da tutti i dipendenti della società e, in
primis, dagli amministratori. Tale scelta deve essere corredata da un adeguato sistema di
sanzioni nei casi di mancato rispetto degli standard fissati. Da menzionare è anche l’aspetto
della autovalutazione del consiglio prevista, peraltro, dal Codice di Autodisciplina.
Questo processo deve riguardare la valutazione non solo collegiale del CdA, ma anche del
contributo individuale di ciascun consigliere. Al fine di irrobustire il processo di
autovalutazione, sarebbe poi auspicabile anche l'intervento di un consulente esterno e
indipendente che assista il consiglio nel processo. Ruolo non trascurabile hanno poi i piani
di formazione (che dovrebbero continuare lungo tutto il mandato) per i nuovi consiglieri e
sindaci che devono poter acquisire tutte le conoscenze necessarie per l’efficace
svolgimento del loro compito sin dalle fasi iniziali dell’incarico.
Una attenzione particolare merita poi l’aspetto del ruolo del presidente del consiglio. Si
tratta di una figura la cui definizione è, per molti versi, trascurata dal nostro ordinamento,
ma che assume un ruolo centrale, soprattutto, nei sistemi di corporate governance
anglosassoni. Nel contesto italiano, i compiti del presidente sono sommariamente
articolati nelle scarne formule del Codice Civile, e sarebbe dunque opportuno esplicitare
in modo più articolato le funzioni di questa figura, che dovrebbe avere il compito non solo
di garantire il corretto svolgimento dei lavori consiliari (per esempio assicurandosi che gli
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amministratori ricevano una piena e tempestiva informativa a supporto delle decisioni),
ma anche di programmare i lavori del consiglio affinché esso possa assolvere in modo
efficace al proprio ruolo di indirizzo strategico dell’impresa. Sarebbe peraltro auspicabile
che, soprattutto nei casi di società ad azionariato diffuso, che il presidente fosse
indipendente all’atto della nomina.
Nei casi di società ad azionariato concentrato, sarebbe inoltre opportuno lasciare agli
statuti la facoltà di individuazione, da parte dell’azionista, dell’amministratore delegato
nella lista. L’assemblea stabilirebbe poi la remunerazione incluso un severance pay cap per
il compenso di liquidazione. Sempre in materia di amministratore delegato, andrebbe
previsto un divieto di cross-directorship, limitando in questo modo potenziali conflitti di
interessi.
Un'altra figura che meriterebbe maggior risalto nel nostro ordinamento è quella del
segretario del CdA. Occorrerebbe, anche in questo caso, esplicitarne meglio le funzioni e i
compiti incluso quello cruciale di gestire, sotto la guida del presidente, i flussi informativi
a supporto dell’attività consiliare. In considerazione della criticità di questo ruolo, sarebbe
opportuno prevedere dei requisiti specifici di nomina per il segretario in termini di
professionalità, onorabilità, e un limite al cumulo degli incarichi al fine di garantire
l’efficace svolgimento delle proprie funzioni.
In materia di conflitti d’interesse, molti progressi sono stati fatti inclusa la recente riforma
della disciplina relativa alle operazioni con parti correlate. Ulteriori aree di miglioramento
sono individuabili nel divieto per gli amministratori di assumere incarichi di consulenza
in società o imprese concorrenti, accompagnato dal divieto di acquistare azioni in imprese
concorrenti.
Passando al ruolo dei comitati del CdA, questi dovrebbero essere presieduti da
amministratori indipendenti e, in particolare, la presidenza di quello per il controllo
interno dovrebbe essere assegnata a un amministratore indipendente eletto nella lista delle
minoranze. In generale, anche per i comitati sarebbe opportuno, pur nel rispetto della
coerenza tra profili degli amministratori e natura del comitato, stabilire un rinnovo
periodico dei componenti al fine di distribuire meglio i carichi di lavoro. Sotto il profilo
del loro ruolo e composizione, anche i compiti dei comitati potrebbero essere rivisti e
rimodulati. Il comitato nomine (già previsto dal Codice di Autodisciplina) potrebbe
arricchirsi di ulteriori funzioni quali la definizione dei piani di successione del
management. Per quanto concerne, invece, il comitato per il controllo interno, le sue
funzioni potrebbero essere sfoltite, anche in considerazione della sovrapposizione dei
compiti di questo comitato con quelli del collegio sindacale. La proposta sarebbe quindi
quella di fare ordine nella attuale sovrapposizione dei ruoli e rapporti, da un lato, tra
comitato per il controllo interno e collegio sindacale, e, dall’altro, tra collegio sindacale e
organismo di vigilanza (D.lgs. 231/2001), dando quindi enfasi al ruolo del comitato per il
controllo interno in materia di rischi.
Una delle proposte elaborate va quindi nella direzione di concentare in maniera più chiara
i compiti di controllo in capo al collegio sindacale, mentre l’attvità del comitato per il
controllo interno si concentrerebbe sulla materia dei rischi.
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Sarebbe poi da valutare l'istituzione di un comitato per la corporate governance, che
definisca le politiche di governance e ne verifichi l'attuazione da parte della società. Questa
funzione potrebbe essere svolta, a seconda dei casi, da un comitato ad hoc o, per evitare la
proliferazione di nuovi comitati, da uno dei comitati già esistenti e, in particolare, a quello
per il controllo interno. Sempre in materia di controlli, una particolare attenzione
dovrebbe essere data al sistema di risk management, in relazione anche ai compiti del
consiglio che devono includere anche quello chiave di definizione dei livelli di rischio che
la società può assumere. Il tema del risk management non è relegato, peraltro, al consiglio
ma riguarda diverse funzioni e ruoli all’interno della società e il sistema di governance
dovrebbe garantire l’efficiente coordinamento dei diversi interlocutori e processi aziendali
coinvolti.
Nei rapporti con gli azionisti individuali, con gli investitori istituzionali, e con gli altri
stakeholder vanno, infine, promosse quelle inizitive che consentono un maggior
coinvolgimento di questi soggetti nella vita della società, anche sul piano della
partecipazione all’assemblea degli azionisti. Fermo restando infatti il diritto degli azionisti
a una completa informazione in merito alle materie all’ordine del giorno, sarebbe
opportuno snellire le procedure assembleari, individuando una adeguata disciplina per gli
interventi, e formulando in modo distinto gli argomenti posti all'ordine del giorno, in
modo che gli azionisti possano pronunciarsi separatamente su ciascuno di essi.
Il percorso per riformare la corporate governance italiana
E’ opportuno sottolineare, con riferimento alle proposte di riforma della corporate governace
italiana, che il nostro sistema si articola su tre livelli. Il primo è quello internazionale - e
quindi di matrice comunitaria - che in buona misura condiziona il secondo livello ovvero
quello della normativa nazionale. Il terzo livello fa riferimento, invece, al Codice di
Autodisciplina. Tenendo conto dei vincoli imposti dalla normativa internazionale, e
avendo individuato una adeguata “tecnica giuridica” per la riforma, si possono operare
quindi dei miglioramenti nel sistema italiano volti a consentire un più snello svolgimento
dei lavori e una maggiore continuità nelle attività degli organi societari. Tali miglioramenti
dovrebbero essere improntati su tre criteri: pragmatismo, considerando quindi le
specificità delle imprese italiane e la effettiva possibilità di adottare in modo generalizzato
sistemi di governance molto articolati; esperienza, intesa come la capacità di capitalizzare le
lezioni che sono venute dai mercati finanziari nazionali e internazionali negli ultimi anni;
ed efficienza, come necessario sforzo di distinguere e chiarificare i ruoli dei vari organi e
strumenti di governo societario.
Uno degli elementi ineludibili della riforma – su questo vi è un ampio consenso –
dovrebbe essere la razionalizzazione e semplificazione del sistema dei controlli che appare
oggi ridondante e con forti aree di ambiguità. Peraltro, alla complessità e onerosità
percepita dell’attuale sistema dei controlli può essere, perlomeno in parte, ascritta la
riluttanza degli imprenditori italiani a intraprendere il percorso di quotazione in borsa.
Altri elementi che dovrebbero essere affrontati da un progetto di riforma complessivo
sono il ruolo dei patti di sindacato e delle piramidi societarie, nonché la valorizzazione del
sistema dualistico (la cui adozione non ha talvolta risposto a criteri di ottimizzazione del
governo societario).
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Nodo cruciale rimane la trasparenza nella scelta degli amministratori e la capacità degli
azionisti di esprimere candidati qualificati all’altezza del ruolo e in grado di assolvere alle
funzioni di indirizzo strategico, e non di mero controllo, che il CdA dovrebbe assumere.
La questione dell’indipendenza degli amministratori è ancora aperta in Italia, dove diverse
e lacunose rimangono le definizioni di indipendenza. La conseguenza è che questo
attributo rimane, in non poche situazioni, di forma e non di sostanza. Infine, non va
trascurato il tema dell’interlocking directorate che, soprattutto con riferimento al comparto
bancario e assicurativo, vede l’Italia in una posizione di grave svantaggio rispetto agli altri
paesi europei con ricadute negative sul livello di trasparenza e concorrenzialità di alcuni
settori.
Non solo diritto: il profilo economico delle scelte di corporate governance
Focalizzarsi sugli aspetti giuridici delle questioni di corporate governance tralasciando la
dimensione economica rischia di essere fuorviante, soprattutto nel caso italiano, dove la
prevalenza di imprese di minori dimensioni, quasi sempre a controllo strettamente
famigliare, rende taluni modelli di governo societario comunque inadeguati.
Al di là del profilo dimensionale e del modello proprietario, anche le specificità settoriali e
le peculliarità della natura e missione delle imprese devono giocare un ruolo nella scelta
degli strumenti di corporate governance da adottare. E’ il caso per esempio delle imprese
“regolate” dove meccanismi di corporate governance ad hoc sono introdotti talvolta come
soluzione a problemi di natura regolamentare, o il caso delle società pubbliche dove le
scelte di governo societario sono, in realtà, trasferite al decisore politico. Anche le banche e
le istituzioni finanziarie meritano un discorso a parte, in quanto i relativi modelli di
governance devono rispondere a una molteplicità di vincoli e criticità che non sono
normalmente riscontabili negli altri settori. Basti considerare, sotto questo profilo, con
riferimento alle banche, la criticità del tema del risk management e della scelta in capo al
consiglio del livello di rischi da assumere.
Ma la distinzione chiave rimane, in Italia, certamente, quella tra l’esiguo numero di grandi
gruppi quotati per i quali l’adozione di modelli di governance avanzati appare possibile e
auspicabile, e l’elevato numero di imprese di minori dimensioni per i quali solo modelli
semplificati di governo societario sono perseguibili. Gli interventi di policy dovrebbero
quindi, da un lato, promuovere l’introduzione di elevati standard di corporate governance
allineati alle best practice internazionali per le società di maggiori dimensioni, ma, al tempo
stesso, predisporre degli strumenti di governo societario flessibili per le imprese di minori
dimensioni. Non va tralasciato a questo proposito che il tema del governo societario è
strettamente legato a quello dello sviluppo finanziario e strategico delle piccole e medie
imprese. In questo senso, l’adozione di meccanismi di corporate governance adeguati può
favorire la crescita dimensionale, geografica e tecnologica delle imprese, supportando
anche i meccanismi di ricambio generazionale.
La qualità della corporate governace e la protezione degli investitori sono dunque elementi
essenziali per la crescita della nostra economia considerando il ruolo che giocano
nell’attirare capitali (italiani e stranieri) verso la borsa, e nell’aprire canali di finanziamento
a vantaggio del nostro tessuto produttivo. Anche su un robusto e flessibile sistema di
corporate governance si fonda quindi, in uno scenario globale, la competitività del nostro
sistema finanziario e delle nostre imprese.
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