Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
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Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)
Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Problemi, prospettive, proposte Società Italiana di Ricerca Pediatrica SIRP Onlus Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Indice Prefazione G. Manfredi Presentazione del Libro bianco G. Andria LA RICERCA DI INTERESSE PEDIATRICO: PRESENTE E FUTURO Lo stato della ricerca di interesse pediatrico in Italia G. Ranucci, G. Andria La situazione "demografica" della pediatria di territorio, della pediatria ospedaliera, della pediatria accademica e le possibili linee di tendenza S. Bertelloni, P. Becherucci, A. Chiara, C. Fusco, M. Messina, A. Ravelli, M.E. Street Il ruolo delle Società scientifiche pediatriche nella promozione della ricerca clinica G. Corsello La selezione di giovani interessati alla ricerca clinica nella Neuropsichiatria infantile G. Cioni Il reclutamento dei ricercatori clinici negli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico A. Ravelli, A. Aiuti LA FORMAZIONE PER UNA CARRIERA DI RICERCA CLINICA: ESPERIENZE E PROPOSTE Rapporti tra la ricerca specialistica in pediatria e la ricerca specialistica nella medicina dell’adulto F. Chiarelli, L. Comegna, S. Franchini Cambiamenti recenti e proposte per l'avvio alla ricerca clinica degli studenti di Medicina C. Giannini, M.Ruggieri, A. Mohn Dalla Specializzazione alla ricerca: il percorso congiunto Specializzazione-Dottorato di ricerca e la proposta di Percorso formativo (sub)specialistico in Pediatria G. Saggese, G. Bona, L. Maiuri, A. Monzani 3 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) IL RECLUTAMENTO DEI GIOVANI MEDICIPER UNA CARRIERA ACCADEMICA Reclutamento nell’Università di giovani ricercatori dell’area pediatrica C. Pignata, E. Cirillo, G. Giardino L’esperienza dell’Abilitazione Scientifica Nazionale per i Settori Scientifico-Disciplinari pediatrici A. Biondi, P. Paolucci INIZIATIVE DELLA SIRP I giovani e la ricerca clinica pediatrica: tra formazione e “frustrazione” un rapporto sempre più difficile M. Mennini, T. Alterio, A. Bon, P. Berlese, F. Bosetti, L. De Martino, V. Insinga, R. Raschetti, A. Di Mauro, D. Vecchio Finanziamento di progetti di ricerca per giovani ricercatori R. Badolato TESTIMONIANZE Il punto di vista di chi ha deciso “di rischiare” (1) L. Marcovecchio Il punto di vista di chi ha deciso “di rischiare” (2) A. Giannattasio L’esperienza di chi ha seguito la sua vocazione...all’estero L. Titomanlio CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE A. Rubino 4 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) AUTORI Alessandro Aiuti Ordinario di Pediatria, Direttore dell’U.O di Pediatria Immunoematologica, Ospedale San Raffaele, Milano Tommaso Alterio Direttivo e Gruppo di Lavoro Ricerca in Pediatria, Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria Generoso Andria Presidente Società Italiana Ricerca Pediatrica, Emerito di Pediatria, Università Federico II, Napoli Raffaele Badolato Associato di Pediatria, Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali, Università degli Studi di Brescia Paolo Becherucci Pediatra di Famiglia, Vice-Presidente SICUPP, Firenze Paola Berlese Direttivo Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria Silvano Bertelloni UO Pediatria Universitaria , Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa Andrea Biondi Direttore della Clinica Pediatrica e Pro-Rettore per l’Internazionalizzazione, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Milano Andrea Bon Direttivo Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria Gianni Bona Direttore della Clinica Pediatrica, Università del Piemonte Orientale, Novara Francesca Bosetti Direttivo Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria Alberto Chiara Direttore UO Pediatria e Nido dell'Ospedale Civile di Voghera 5 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Francesco Chiarelli Direttore della Clinica Pediatrica, Università G. D’Annunzio, Chieti Giovanni Cioni Ordinario di Neuropsichiatria infantile e Direttore della Scuola di Specializzazione di Neuropsichiatria Infantile, Università di Pisa Emilia Cirillo Dottoranda di ricerca, Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali – Sezione di Pediatria, Università degli Studi di Napoli Federico II Laura Comegna Clinica Pediatrica, Università G. D’Annunzio, Chieti Giovanni Corsello Presidente Società Italiana di Pediatria e Federazione Società Scientifiche e Associazioni dell’Area Pediatrica, Direttore del Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno-Infantile “G. D’Alessandro”, Palermo Lucia De Martino Direttivo Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria Antonio Di Mauro Direttivo Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria Simone Franchini Clinica Pediatrica, Università G. D’Annunzio, Chieti Carlo Fusco Direttore Struttura Complessa di Neuropsichiatria Infantile, Arciospedale di Santa Maria Nuova, Azienda Ospedaliera di Reggio Emilia Antonietta Giannattasio Ricercatore universitario di Pediatria, Università Federico II, Napoli Cosimo Giannini Dirigente medico, Dipartimento di Pediatria, Università G. D’Annunzio, Chieti Giuliana Giardino Specializzanda in Pediatria e Dottoranda di ricerca, Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione di Pediatria, Università degli Studi di Napoli Federico II Vincenzo Insinga Direttivo Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria 6 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Mario Messina Ordinario, Direttore Clinica Chirurgica Pediatrica, Ospedale Santa Maria alle Scotte, Azienda Ospedaliero Universitaria Senese, Siena Luigi Maiuri Associato di Pediatria, Università del Piemonte Orientale, Novara Gaetano Manfredi Presidente Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, Rettore Università Federico II, Napoli Loredana Maria Marcovecchio Ricercatore universitario di Pediatria, Clinica Pediatrica Università G. D’Annunzio, Chieti Maurizio Mennini Gruppo di Lavoro Ricerca in Pediatria, Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria Angelika Anna Mohn Associato di Pediatria, Clinica Pediatrica Università G. D’Annunzio, Chieti Alice Monzani Dottoranda di Ricerca in Scienze e Biotecnologie Mediche, Università del Piemonte Orientale Paolo Paolucci Ordinario di Pediatria, Università di Modena e Reggio Emilia, Membro Comitato Pediatrico dell'EMA Massimo Pettoello-Mantovani Ordinario di Pediatria, Università di Foggia Paolo Petralia Direttore Generale Istituto Gaslini, Genova, Presidente Associazione Ospedali Pediatrici Italiani Claudio Pignata Associato di Pediatria, Responsabile UOC Immunologia pediatrica, Università Federico II, Napoli Giusy Ranucci Dottoranda di ricerca, Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione di Pediatria, Università Federico II, Napoli Roberto Raschetti Direttivo Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria 7 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Angelo Ravelli Ordinario di Pediatria, Responsabile UOSD Centro di Reumatologia, IRCCS Istituto Giannina Gaslini, Genova Armido Rubino Emerito di Pediatria, Università Federico II, Napoli Martino Ruggieri Ordinario di Pediatria, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Sezione di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile Università di Catania Giuseppe Saggese Presidente del Collegio Professori Universitari di Pediatria e della Conferenza Direttori Scuole di Specializzazione in Pediatria, Università di Pisa Maria Elisabeth Street Dirigente medico, Consigliere SIEDP, Programma Interaziendale di Endocrinologia Pediatrica di Reggio Emilia, S.C. Pediatria, IRCCS- Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia Luigi Titomanlio Ordinario di Pediatria, Université Sorbonne Paris Cité- Direttore Urgenze Pediatriche, Ospedale Robert Debré, Parigi, Francia Davide Vecchio Presidente Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria, Università degli Studi di Palermo 8 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Prefazione Gaetano Manfredi In preparazione 9 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Presentazione del Libro bianco Generoso Andria “La qualità dell’assistenza sanitaria in un Paese è direttamente correlata alla qualità della ricerca in campo clinico.” Questa affermazione nella sua ovvietà rischierebbe di essere banale, se non fosse del tutto vera. La Società Italiana di Ricerca Pediatrica (SIRP) intende, perciò, attirare l’attenzione della comunità pediatrica nazionale sulle problematiche relative al presente e al futuro dell’attività scientifica in campo clinico, che non riguarda peraltro solo il settore pediatrico, ma più in generale il mondo della medicina. Per questo motivo l’aggettivo “pediatrica” nel titolo di questo Libro bianco è messo tra parentesi. Non a caso il Rettore Gaetano Manfredi, Presidente della Conferenza dei Rettori, ci aggiorna con l’autorevolezza della sua carica istituzionale, sulla problematica più generale del reclutamento dei giovani nell’università e nelle carriere accademiche, che non riguarda soltanto la Scuola di Medicina, anche se essa presenta caratteristiche particolari, anzitutto per l’età più avanzata, rispetto ad altre (ex) Facoltà, con cui si consegue un titolo professionalizzante come la specializzazione. Il presente Libro bianco rappresenta la prima iniziativa relativa all’ impegno della SIRP su questo tema. Si darà per scontato che in Italia si investe poco in ricerca rispetto al Prodotto Interno Lordo, che il numero degli addetti alla ricerca è inferiore a quello di paesi con simili standard economici e sociali, che i progetti vengono spesso finanziati senza rispettare criteri di qualità, che le carriere accademiche sono spesso basate su valutazioni non meritocratiche. Il focus del Libro bianco sarà piuttosto sulla difficoltà di reclutamento di giovani medici motivati a una carriera nella ricerca clinica, senza i quali le prospettive per la qualità anche dell’assistenza non possono che essere preoccupanti. In campo internazionale è stata da tempo segnalata la progressiva diminuzione dei cosiddetti “Physician Scientists”, “Physician Investigators” “Clinician Scientists” o “Clinical Investigators”, cioè medici che abbiano avuto nel corso della loro formazione un’esperienza di ricerca, eventualmente anche di base, e siano quindi in grado di coordinare gruppi di ricerca clinica, con il vantaggio, rispetto a PhD o a laureati di area biologica o biotecnologica, di una preparazione ed esperienza anche derivata dall’esercizio professionale con pazienti. Per definire la progressiva penuria di Physician Scientist si sono usati termini come “endagered species” (Wyngaarden, 1979), 11 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) “the vanishing physician scientist” (Gordon, 2012), “the vulnerable physician scientist (Mirmira, 2014) e l’allarme per questa tendenziale scomparsa si ritrova, a partire dagli anni ‘80, in articoli della letteratura internazionale di vari paesi, dagli Stati Uniti (Wyngaarden, 1979; Goldstein e Brown, 1997; Rosenberg, 1999; Andriole et al, 2008; Brenner, 2012; Daniels, 2015; Milewicz et al., 2015) al Canada (Ballios e Rosenblum , 2014), dalla Germania (Bossé et al., 2011), al Regno Unito (Morel e Ross, 2014), dalla Francia (Corvol, 2015) al Giappone (Sakushima et al., 2015), da Singapore (Huang e Yong, 2013) al Kenya (Daniels et al., 2015). È strano che analoghe considerazioni non siano mai state espresse in Italia e non si ritrovino in nessuna pubblicazione rintracciabile su Pub Med con la stringa “Physician scientist AND Italy”. Si deve però sottolineare, che già nel 2003 la Commissione Formazione e Ricerca della SIP aveva sollevato il problema e lanciata per la prima volta l’idea di un percorso congiunto tra laurea e dottorato di ricerca, di fatto recepito successivamente nella legge di riforma universitaria 240/2010, per le stesse motivazioni riproposte oggi con questo Libro bianco. È stato in effetti stimato che a livello internazionale dal 1980 la percentuale media di Physician Scientist dedicati alla ricerca è scesa dal 5% al 1.5% (Dickler et al., 2007). Pertanto, nonostante i medici in formazione risultino in aumento, il numero assoluto di medici-scienziati è in declino ed in progressivo invecchiamento. Infatti la percentuale di budget per la ricerca dell’ NIH per laureati in Medicina oltre i 50 anni di età è passata dal 25% nel 1980 a più del 50% nel 2000 (Zemlo et al., 2000). I finanziamenti per progetti di ricerca clinici sono inoltre risultati in forte calo rispetto ai finanziamenti per le ricerche non cliniche, così che i Physician Scientist hanno sperimentato negli ultimi anni un alto tasso di fallimenti per le loro application (Dickler et al., 2007). Se il problema esiste per la ricerca clinica in generale, le stesse considerazioni sono applicabili alla ricerca clinica pediatrica (Pearce, 2006; Cornfield et al., 2013; Rubenstein e Kreindler., 2014; Nichols e Lister, 2015). L’American Academy of Pediatrics ha denunciato che negli ultimi 30 anni, accanto al depauperamento delle risorse dedicate alla ricerca pediatrica, si è assistito ad un decremento netto della quota di “Pediatrician Scientist” (Cornfield et al., 2014). Anche se una quantità considerevole di ricerca sulla salute infantile è stata condotta nei reparti ed ospedali pediatrici, molto è stato fatto da non pediatri. Questo vale in Europa, ma anche negli Stati Uniti. Basti pensare che meno della metà delle ricerche pediatriche finanziate dall’NIH sono state condotte all'interno degli ospedali pediatrici (Boat, 2007). Inoltre anche nei reparti pediatrici, gran parte della ricerca sulla salute dei bambini viene svolta da PhD non clinici; per esempio, all’ospedale dei bambini di Cincinnati, il 35% dei ricercatori non sono clinici (Boat, 2007). Trovare 12 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) un miglior equilibrio nei reparti pediatrici tra ricercatori clinici e non clinici è una sfida complessa che merita una seria e prospettica riflessione, considerato che la metodologia scientifica, la capacità tecnica, e l’intuito traslazionale sono tutti elementi importanti di un’unità di ricerca produttiva. Nei reparti pediatrici che fanno ricerca, mettere in contatto i clinici con i ricercatori di base può essere il modo migliore per accedere al know-how di ricerca ed alla tecnologia necessaria, sempre preservando il ruolo insostituibile del ricercatore pediatra. In una prima versione di questo progetto avevamo deciso di usare l’espressione “apoptosi” riferita alla ricerca clinica (pediatrica) proprio per sottolineare la tendenza a una “morte programmata”, in assenza di una presa di coscienza delle criticità e di una promozione di iniziative valide per avviare soluzioni concrete. Ci è poi sembrato più costruttivo partire da una valutazione “diagnostica” sui nodi che si stanno creando nel campo della ricerca clinica, per arrivare a possibili proposte “terapeutiche”. Qual è dunque la situazione della ricerca clinica di interesse pediatrico in Italia? I dati mostrati da Ranucci e Andria, derivati da una indagine sulle pubblicazioni di interesse pediatrico degli ultimi anni, mostrano che il contributo dei pediatri è incoraggiante e il loro impatto, non solo in termini quantitativi ma anche in termini qualitativi, è comparabile, se non superiore, a quello riscontrato con la stessa metodologia in altre nazioni europee con simili parametri economici e culturali, ma maggiori investimenti nell’ambito della ricerca. La ricerca di interesse pediatrico può essere svolta non solo in ambito accademico o negli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) ma anche da parte della pediatria ospedaliera o della pediatria del territorio. A questo proposito risulta interessante il contributo di Bertelloni e collaboratori, che hanno valutato la situazione “demografica” nelle varie componenti della pediatria italiana, per capire quali sono le conseguenze che una generale tendenza verso la diminuzione del numero dei pediatri potrà avere sulla ricerca clinica. Ovviamente se l’ingresso di giovani specialisti tende a ridursi, questo fenomeno non può che incidere negativamente anche sul reclutamento di pediatri che vogliano intraprendere una carriera in ricerca. Per restare alla “fotografia” del contesto attuale, Corsello riferisce sulla recente costituzione di una Federazione delle principali società scientifiche e di altre associazioni pediatriche nella FIARPED, con la finalità prevalente di garantire al bambino un’assistenza e una legislazione che tengano maggiormente conto dei suoi bisogni e dei suoi diritti, dalla nascita sino a tutta l’età evolutiva. Di questa Federazione fa parte anche la SIRP, che ha una vocazione specifica alla promozione della 13 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) ricerca ed è consapevole che il punto di vista delle società scientifiche, associazioni e sindacati pediatrici è di grande importanza per capire come è possibile orientare verso la ricerca giovani meritevoli e motivati, che certamente avrebbero sbocchi occupazionali più immediati nella pediatria del territorio o ospedaliera. Nella ricerca clinica dell’area pediatrica un ruolo fondamentale è svolto dalla Neuropsichiatria dell’infanzia e adolescenza, una specialità trasversale, che è particolarmente orientata nel formare i suoi specialisti per le cure primarie, secondarie e di alta specialità. Cioni illustra il contributo delle neuroscienze, comprese quelle dell’età evolutiva, nel progresso delle conoscenze e tratta il tema della selezione di giovani interessati alla ricerca clinica in questa importante specialità per il progresso delle conoscenze pediatriche. Ravelli e coll. relazionano su quanto si è realizzato o si intende realizzare per l’attrazione di giovani pediatri verso la ricerca clinica negli Istituti Pediatrici di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) e in altri nosocomi che aderiscono alla Associazione degli Ospedali Pediatrici Italiani (AOPI). È noto che una buona attività di ricerca clinica è svolta nell’ambito di settori specialistici della pediatria. Da qui sorge il problema del rapporto tra la ricerca specialistica per le patologie dei vari organi e apparati nell’età evolutiva e la ricerca specialistica corrispondente della medicina dell’adulto. Di questo argomento si occupano Chiarelli e collaboratori, commentando da un lato la crescente attenzione dei pediatri verso il mondo della medicina dell’adulto, per esempio per quanto riguarda le riviste su cui i risultati scientifici vengono pubblicati, dall’altro il rischio che le specialità pediatriche possano perdere, anche nel campo dell’assistenza, il ruolo preminente che a loro compete, per garantire al bambino e all’adolescente personale e ambienti dedicati alle esigenze dell'età evolutiva. Dopo questa panoramica sulla situazione e sul contesto in cui si svolge oggi in Italia la ricerca clinica pediatrica, seguono vari contributi che delineano lo stato dell’arte nella formazione per una carriera scientifica di pediatri. La preoccupazione e il grido d'allarme che la SIRP vuole sollevare riguarda recenti cambiamenti nelle normative, che si riferiscono al curriculum degli studi e al percorso verso la carriera accademica. 14 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Uno dei problemi che si intende segnalare è il ritardo, rispetto al passato, di un’esperienza anche solo iniziale nel campo della ricerca clinica, che potrebbe far sorgere una “vocazione” per l’attività scientifica in giovani motivati. Nuove recenti norme, soprattutto per l'accesso alle Scuole di specializzazione, hanno di fatto eliminato lo stimolo a impegnarsi in un lavoro di ricerca durante il corso di laurea: infatti la tesi di laurea, comunque un "unicum" nel panorama internazionale, non ha un reale valore per il voto di laurea e neanche per l'ammissione alla Scuola di specializzazione. È quindi difficile, oggi molto più che in passato, coinvolgere e impegnare uno studente di Medicina in un progetto scientifico. L'incertezza nella sede finale della Scuola di specializzazione, a seguito della selezione su base nazionale, spinge il giovane laureato a rimandare una eventuale collaborazione con un tutor per un lavoro di ricerca. Poi, almeno per i primi tre anni della Scuola di specializzazione, lo specializzando non riesce a garantire continuità in una collaborazione scientifica, data la giusta necessità di rotazioni tra le varie specialità, come previsto dal percorso formativo. Nell'ultimo biennio specialistico ci sarebbe una maggiore possibilità di attività di ricerca per un giovane motivato, soprattutto se questa attività fosse collegata a un programma di ammissione al dottorato di ricerca, utilizzando la norma prevista dalla riforma universitaria introdotta dalla legge 240/2010 dell'accorciamento di un anno del dottorato attraverso una sovrapposizione col corso di specializzazione. Purtroppo per il dottorato di ricerca l'esperienza è davvero deludente. I dottorati in scienze pediatriche sono di fatto scomparsi e i giovani pediatri possono ancora accedere a programmi di dottorato dalle denominazioni molto vaste, che certo non garantiscono più nel curriculum la caratterizzazione pediatrica del titolo. L'elemento più "scandaloso" è, tuttavia, la modalità di ammissione al corso di dottorato, che avviene per aree disciplinari molto eterogenee, in cui teoricamente un pediatra che supera la prova di ammissione potrebbe essere indirizzato a fare ricerca in un campo completamente diverso dalla pediatria. Poiché questo di fatto non avviene mai, sorge il fondato sospetto che a monte della prova esista una "lottizzazione" nelle quote dei posti disponibili per aree scientifico-disciplinari. Non è difficile immaginare quanto sia demotivante per un giovane scoprire che, per definizione, nell’esame di ammissione, nonostante la prova sia unica, non vengano scelti i migliori in assoluto, ma i migliori (almeno si spera) per i vari settori afferenti alla Scuola di dottorato. Gli interventi di Giannini e collaboratori, e di Saggese e Bona coi loro collaboratori approfondiscono che cosa è cambiato negli ultimi tempi, rispettivamente, nel corso di laurea in Medicina (per esempio per la preparazione della tesi di laurea) e nel nuovo ordinamento delle 15 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Scuole di specializzazione in Pediatria e Neuropsichiatria infantile per quanto riguarda spazi possibili da dedicare alla formazione in ricerca clinica. Entrambi i capitoli prospettano anche opportunità per la formazione scientifica che potrebbero essere offerte, da nuovi curricula, rispettivamente, del tipo MD-PhD del Corso di laurea in Medicina o da un percorso di Alta formazione post-specializzazione. Di fatto anche giovani meritevoli e motivati a perseguire un percorso formativo e di carriera di tipo scientifico, intorno ai 30-32 anni di età, si trovano di fronte a una scelta di vita che per vari motivi di tipo pratico, ancora più pressanti per il sesso femminile, li orienta verso uno sbocco professionale in campo ospedaliero o nella pediatria di famiglia. Pignata e collaboratori illustrano le problematiche relative al reclutamento nell’Università di giovani ricercatori dell’area pediatrica e soprattutto denunciano errori gravi che l’Università non può più consentire, proponendo misure ritenute utili per migliorare il reclutamento verso una carriera scientifica. In concreto che cosa offre l’università dopo la riforma della legge 240/2010? Considerando che una decisione verso una carriera accademica non può essere presa così tardi, è evidente che i giovani medici, già specialisti, avvertono il rischio di “accettare” un posto di ricercatore a tempo determinato di tipo A per cinque anni, senza sapere se potranno poi proseguire con le posizioni individuate dalla riforma universitaria con un posto di ricercatore di tipo B. Infatti il passaggio successivo a quest’ultimo, cioè un posto di professore associato, è attualmente condizionato dal superamento dell’abilitazione scientifica nazionale (ASN). Biondi e Paolucci, con l’esperienza maturata come commissari della prima e seconda tornata dell’Abilitazione Scientifica Nazionale per la macroarea di Pediatria e Neuropsichiatria infantile espongono interessanti riflessioni e formulano alcune proposte di cambiamento. Per superare la scarsa attrattività di giovani motivati verso la carriera scientifica e accademica occorre, quindi, attuare modifiche normative che riguardano il Corso di laurea, le Scuole di specializzazione, i master, il dottorato di ricerca, i concorsi per ricercatori universitari a tempo determinato e per professori associati. La SIRP è consapevole del fatto che il suo ruolo può essere soltanto quello di portavoce di una difficoltà che si avverte tra i giovani pediatri o più in generale tra i giovani medici specialisti. 16 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Illustrativo di questo disagio è il risultato di un'indagine promossa dalla SIRP tra i giovani medici e riassunta nel contributo di Mennini con i suoi colleghi dell'Osservatorio Nazionale degli Specializzandi in Pediatria (ONSP), da cui è possibile ricavare indicazioni sulle motivazioni che scoraggiano candidati interessati alla ricerca dal proseguire su questa strada, ma anche sulle motivazioni che convincono i più ”testardi” a continuare con determinazione. La SIRP non può fare molto di più, anche se ha in cantiere, come proposto da Pignata e collaboratori, la costituzione di un albo dei giovani ricercatori e di un network tra dottorandi, dottori di ricerca e pediatri ricercatori ancora precari. Per il successo di questa iniziativa in termini di fruizione da parte degli interessati è necessaria la collaborazione delle società scientifiche e associazioni pediatriche nel diffonderne la conoscenza. In quanto Onlus la SIRP ha anche in programma la raccolta di fondi per il finanziamento di progetti di ricerca per giovani e l’organizzazione di corsi di formazione alla ricerca clinica, come già effettuato recentemente con successo. Di questi programmi e realizzazioni Badolato offre una breve illustrazione. Dopo la descrizione dello stato attuale della ricerca pediatrica, la diagnosi delle problematiche che ostacolano soprattutto il reclutamento di giovani e la proposta di iniziative per sciogliere i nodi più importanti che rendono poco attraente una carriera di ricerca, è giusto concludere con una nota di ottimismo. Marcovecchio e Giannattasio raccontano le loro esperienze di pediatre che, attraverso percorsi diversi, hanno scelto di “rischiare” e sperabilmente a breve realizzeranno i loro obiettivi. Infine Titomanlio è testimone di un'esperienza vissuta all'estero, dove è giunto a livelli apicali non solo in campo ospedaliero, ma anche universitario, peraltro in età molto giovane per gli standard italiani. Egli si trova in una situazione privilegiata per una valutazione comparativa tra i meccanismi e i criteri di selezione dei migliori, attuati nelle Facoltà mediche in Francia, rispetto al sistema italiano, a cominciare dalla nostra abilitazione scientifica, per finire alle modalità dei concorsi universitari. Armido Rubino, promotore e primo presidente della SIRP, propone alcune considerazioni conclusive, che realisticamente richiamano l’attenzione sulla necessità di partire dalla “diagnosi” della situazione in cui si trova la ricerca clinica, ma con lo scopo di formulare concrete proposte “terapeutiche”, senza le quali la semplice denunzia dei problemi rischia di non portare a nessun cambiamento positivo. 17 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Il contenuto di questo Libro bianco sarà discusso nel Forum che si terrà a Napoli il 10 e 11 marzo 2016 e resta quindi solo il punto di partenza di un dibattito che la SIRP ha l’ambizione di diffondere, partendo dalla comunità pediatrica, nel mondo più ampio della ricerca clinica e di presentare alle istituzioni e ai decisori politici, perché intervengano opportunamente. L’importante è fare presto, senza ulteriori ritardi. REFERENZE Andriole DA, Whelan AJ, Jeffe DB. Characteristics and career intentions of the emerging MD/PhD workforce. JAMA. 2008; 300: 1165-73. Ballios BG, Rosenblum ND. Challenges facing physician scientist trainees: a survey of trainees in Canada's largest undergraduate and postgraduate programs in a single centre. Clin Invest Med. 2014; 37: E268-83. Boat TF. The future of pediatric research. J Pediatr. 2007; 151: S21-7. Bossé D, Milger K, Morty RE. Clinician-scientist trainee: a German perspective. Clin Invest Med. 2011; 34: E324. Brenner DA. Next-generation academic medicine. J Clin Invest. 2012; 122: 4280-2. Cornfield DN, Lane R, Abman SH. Creation and retention of the next generation of physicianscientists for child health research. JAMA, 2013; 309: 1781-82 Cornfield DN, Lane R, Rosenblum ND, et al. Patching the pipeline: creation and retention of the next generation of physician-scientists for child health research.J Pediatr. 2014; 165: 882-4. Corvol P. Le médecin chercheur, une espèce en voie d’évolution. Being a medical doctor and a scientist, a constantly evolving challenge. 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Prima ancora, però, occorre chiarire che cosa si intende per ricerca “pediatrica”: da un lato, è la ricerca che ha come oggetto tematiche più o meno direttamente correlate con la pediatria e la promozione della salute dell'età evolutiva (che definiremo "ricerca di interesse pediatrico") e, dall'altro lato, la ricerca promossa e coordinata da istituzioni e investigatori che appartengono al mondo pediatrico (che definiremo "ricerca svolta dai pediatri"). Partiamo, dunque, da una valutazione della situazione attuale, per quanto riguarda i livelli di produzione scientifica di interesse pediatrico, il contributo dei pediatri a questa produzione e l'impatto che essa ha, in termini quantitativi e qualitativi, nella più ampia comunità pediatrica internazionale. Una valutazione dell'attività scientifica condotta in Italia è fortunatamente diventata obbligatoria nel mondo universitario e in quello delle istituzioni di ricerca più importanti. Un dato sorprendente e quasi paradossale si rileva dalle indagini condotte dagli organi deputati alla valutazione della qualità (rapporto ANVUR 2013). A fronte di un numero basso di ricercatori e di risorse economiche investite per la ricerca scientifica rispetto al prodotto interno lordo (spesa per ricerca e sviluppo su PIL pari a 1.3 % per l’Italia come per la Spagna, versus 3.4 per il Giappone, 2.9 per la Germania, 2.8 per gli USA, 2.2 per la Francia,1.8 per il Regno Unito, 2.1 per l’Unione Europea a 15 membri, 1.9 per l’Unione Europea a 28 membri,) il numero dei lavori pubblicati dai autori italiani non è sostanzialmente diverso rispetto ad altri paesi europei, comparabili per parametri economici e culturali. Per esempio, in un campo di nicchia come quello della ricerca dedicata alle malattie rare, negli ultimi anni la produzione scientifica italiana è stata di assoluta preminenza in campo internazionale, probabilmente anche grazie agli investimenti di agenzie private di finanziamento, come Telethon (www.telethon.it). 23 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Ma che cosa è disponibile per la valutazione quantitativa e qualitativa della ricerca di interesse pediatrico? Nell’ambito della ricerca scientifica, l’azione di “monitoraggio” mira all’osservazione ed al controllo della produzione nel corso del suo stesso evolversi, al fine di raccogliere dati e informazioni, utili per correggere (o confermare) i processi in atto e per migliorarne, se opportuno, gli esiti. Il fine dell’azione di monitoraggio non è tanto quello di evidenziare comportamenti negativi da impedire o da sanzionare, ma piuttosto quello di individuare comportamenti positivi da incentivare o promuovere, perché possano essere efficacemente raggiunti gli obiettivi prefissati. In questa prospettiva la SIRP ha deciso di mettere in atto un’ azione di monitoraggio "qualitativo" della ricerca pediatrica in Italia, che si esplica soprattutto in un processo di documentazione (e quindi di memoria, di storicizzazione, di ricostruzione), di indagine e di diffusione delle informazioni, anche per stimolare una correzione delle aree "critiche". L’Osservatorio della Ricerca Pediatrica Italiana (ORPI) Da alcuni anni, prima all'interno della Società Italiana di Pediatria e più recentemente con la Società Italiana di Ricerca Pediatrica abbiamo monitorato attraverso l’ORPI la produzione scientifica svolta in Italia su tematiche di interesse pediatrico, cercando anche di valutare il contributo in prima persona dei pediatri, all'interno della comunità scientifica nazionale. L’ORPI fornisce, quindi, una “fotografia” della produzione scientifica in ambito pediatrico condotta da ricercatori del nostro paese. La metodologia usata è stata quella di ricavare da banche dati bibliometriche, in particolare Pubmed, i lavori pubblicati da autori italiani che avessero svolto un ruolo di coordinamento della ricerca, con l'esclusione, quindi, dei lavori in cui gruppi italiani erano stati solo collaboratori. Sono state usate apposite stringhe, che comprendono parole chiave, presenti nei titoli e negli abstract, utili per individuare anzitutto i temi di interesse pediatrico. Analoghe parole chiave sono state utilizzate nel campo "affiliation", per selezionare i lavori pubblicati, sempre con un ruolo di coordinamento, da autori afferenti a istituzioni pediatriche. Per ogni lavoro viene indicata l’area specifica o specialistica di appartenenza che è, per definizione, 24 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) "di interesse pediatrico". Un motore di ricerca consente di selezionare in un archivio generale le pubblicazioni che possono interessare al lettore, sulla base dei nomi degli autori, della specialità pediatrica, della rivista. La disponibilità di un “iperlink” al pdf dell’articolo consente anche il più rapido accesso al materiale in esteso, per un’analisi più approfondita. L’ORPI rappresenta, quindi, una base informativa facilmente accessibile ed interrogabile tramite il web. Con questo approccio si è potuto seguire nel tempo l'evoluzione della produzione scientifica italiana di interesse pediatrico e, all'interno di questa, la produzione coordinata da pediatri. I dati illustrati nella Tabella 1 mostrano una tendenza in aumento nel numero dei lavori pubblicati, presenti in Pubmed, sia come numero totale per tutte le aree scientifiche che come numero riferito ai lavori di interesse pediatrico. In questa fase, i dati sono stati raccolti fino al 2013, in quanto fino a quell'anno i lavori scientifici presenti in Pubmed riportavano soltanto l'affiliazione del primo autore, presumibilmente afferente all'istituzione che aveva coordinato la ricerca. Nei due anni più recenti sono invece riportate in Pubmed le affiliazioni di tutti gli autori che hanno collaborato e la stringa di ricerca usata seleziona, quindi, anche lavori in cui ricercatori italiani sono stati solo coautori. L'inclusione di questi ultimi inficerebbe la scelta metodologica iniziale di valutare la ricerca in campo pediatrico, riferendosi solo a coloro che hanno svolto un ruolo leader nella sua conduzione. Tabella 1.Lavori di “interesse pediatrico” (A) vs Lavori di ricercatori con “affiliation” pediatrica (B) ANNO 2008 2009 2010 2011 2012 2013 N° articoli (A) 2796 2883 2748 3600 3935 4145 N° articoli (B) 1269 1383 1434 1832 2046 2483 % articoli (B) 45,4 48 52,2 50,9 52 59,9 I dati raccolti dall’ORPI sono pubblicati periodicamente sul sito della SIRP ed inviati mediante una newsletter a tutta la comunità scientifica in contatto con la Società. I dati vengono altresì raccolti in un archivio disponibile online allo scopo di consentire analisi più ampie. Un’ulteriore parte importante della metodologia bibliometrica dell’ORPI è la ripartizione della produzione in aree specialistiche che sono state individuate nelle seguenti categorie: allergologia 25 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) (ALL), anestesia/rianimazione (ANE), biologia/biochimica/microbiologia (BIO), cardiologia (CAR), chirurgia (CHI), dermatologia (DER), diabetologia (DIB), diagnostica per immagini, (DIA) ematologia (EMA), emergenze (EMU), endocrinologia (END), epatologia, (EPA) farmacologia (FAR), fibrosi cistica (CIF), gastroenterologia (GAS), genetica clinica (GEN), ginecologia (GIN), immunologia (IMM), infettivologia e vaccini (INF), malattie metaboliche (MET), medicina alternativa (MAL), miscellanea (MIS), nefrologia/urologia (NEF), neonatologia/medicina prenatale (NEO), neurologia (NEU), nutrizione/obesità (NUT), oculistica (OCU), oncologia e trapianti (ONC), ortopedia (ORT), otorinolaringoiatria ed odontoiatria (ORL), pediatria generale/adolescentologia (PEG), pneumologia (PNE), psichiatria infantile (PSI), reumatologia (REU). Si può così definire meglio il profilo della ricerca pediatrica, l’impatto dei vari settori al suo interno e identificare per area d’interesse i ricercatori maggiormente attivi. La Figura 1 mostra che nel mese di gennaio 2016 – come negli ultimi mesi di monitoraggio - gli ambiti più rappresentati sono la neurologia, la genetica clinica, la psichiatria infantile e l’infettivologia. LAVORI PUBBLICATI PER AREA A GENNAIO 2016 50 45 40 35 44 40 34 34 30 25 20 15 10 5 0 23 19 15 15 15 13 13 12 10 7 7 7 6 6 5 5 4 4 3 3 2 2 2 2 2 1 1 0 Figura 1. Numero dei lavori per area specifica pubblicati nel mese di Gennaio 2016 L’ORPI attraverso il monitoraggio continuo della produzione scientifica pediatrica in Italia, consente anche di stimare la competitività dei ricercatori Italiani in Europa. Ha quindi come altro 26 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) potenziale obiettivo anche quello di essere un misuratore della qualità della produzione scientifica, mediante la stima di parametri bibliometrici ed in particolare dell’impact factor (journal impact ranking).Indubbiamente, l'approccio bibliometrico non è uno strumento ideale, perfettamente funzionante in tutti i settori ed in tutte le branche del sapere, ma funziona molto bene nell’ambito della ricerca scientifica bio-medica. Questo garantisce soprattutto per i programmi di ricerca, uno strumento importante per definire strategie politiche di “decision-making” e per valutare le priorità e i meriti. I potenziali beneficiari pertanto di questo strumento non sono soltanto i ricercatori stessi, ma anche le aziende, i decisori politici e le agenzie che finanziano ricerca e sviluppo. La disseminazione dei risultati dell’ORPI ha, infatti, anche l’obiettivo di favorire il reclutamento di ricercatori italiani da parte di istituzioni ed enti di ricerca e il finanziamento di progetti scientifici negli ambiti specifici d’interesse. L’ORPI ha già effettuato un’indagine sulla produzione della ricerca pediatrica italiana per una valutazione comparativa con altri paesi europei. Sono stati ottenuti con la stessa metodologia dati paragonabili a quelli italiani per: Regno Unito, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Svezia, Germania, Grecia. I risultati sono stati poi corretti per la percentuale di prodotto interno lordo pro capite, corretto per potere d’acquisto, che in ogni paese è investita per Ricerca e Sviluppo (Tabella 2). Tabella 2.Confronto tra paesi europei (intervallo temporale 01 / 05 / 2013 – 30 / 04 / 2014) PAESE Totale lavori Lavori Lavori interesse Ricercatori pediatrico pediatrici PILPPA* PIL-PPA per R&S (%) Spesa per R&S* REGNO UNITO 47.922 5293 2185 2.320,40 1,78% 41,3 GERMANIA 46.334 3267 2029 3.512,80 2,53% 88,9 ITALIA 34.977 3852 2613 2.035,40 1,09% 22,2 FRANCIA 32.294 2790 1741 2.534,50 2,11% 53,5 SPAGNA 24.652 1596 860 1.488,80 1,20% 17,9 P. BASSI 21.474 2606 1424 780,3 1,67% 13 SVEZIA 13.140 1497 627 418,2 3,73% 15,6 GRECIA 5.759 584 368 278 0,60% 1,7 *Miliardi U.S. $; PIL/PPA: Prodotto Interno Lordo (PIL) a parità dei poteri d'acquisto (PPA); R&S: Ricerca e Sviluppo Normalizzando i dati per i parametri su indicati, si vede che l'Italia si trova in una posizione del tutto paragonabile, rispetto agli altri paesi considerati (Tabella 3). 27 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Tabella 3. Confronto tra paesi europei (intervallo temporale 01 / 05 / 2013 – 30 / 04 / 2014) N° totale lavori / Spesa Lavori di interesse Pediatrico / Spesa Lavori di Ricercatori Pediatrici / Spesa GR 3388 GR 344 GR 216 NL 1652 NL 200 I 118 I 1576 I 174 NL 110 E 1377 UK 128 UK 53 UK 1160 S 96 E 48 S 842 E 89 S 40 F 604 F 52 F 33 D 521 D 37 D 23 GR; Grecia; NL: Paesi Bassi; I: Italia; E: Spagna; UK: Regno Unito; S: Svezia; F: Francia; D: Danimarca È interessante vedere come la Grecia risulti al primo posto per l’aspetto meramente quantitativo, perché, nonostante i parametri economici negativi, continua a pubblicare un discreto numero di lavori scientifici. Ma può bastare il dato quantitativo per giudicare la produzione in ricerca di un paese o, al suo interno, di una comunità scientifica, come quella pediatrica? Evidentemente no. Sempre utilizzando la banca dati Pubmed, abbiamo selezionato i lavori scientifici di un mese nell'anno 2013, verificando che le proporzioni tra i lavori di interesse pediatrico e i lavori prodotti da pediatri fossero ancora simili a quelle osservate nell'intero anno. L'unica eccezione è stata la Svezia. Ad ogni lavoro così selezionato abbiamo assegnato il punteggio di Impact Factor (IF) della rivista. Come già accennato, l'IF non è di per sé un parametro assoluto di valutazione della qualità della pubblicazione esaminata, ma è comunque da ritenersi in buona correlazione con la qualità stessa: una rivista con più alto IF molto probabilmente seleziona con maggior rigore i lavori e alla fine pubblica quelli di più elevata qualità scientifica. La Tabella 4 riporta per ogni nazione la percentuale dei lavori presenti in vari gruppi, definiti per range di IF, mettendo a confronto i lavori con affiliazione pediatrica degli autori e i lavori di interesse pediatrico, coordinati da autori appartenenti a istituzioni non pediatriche. 28 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Tabella 4. I.F. dei lavori su temi di interesse pediatrico prodotti dalla ricerca europea % Ricercatori NON Pediatri IF=0 IF=0-1 IF=1-3 IF=3-5 IF=5-10 IF>10 Ricercatori Pediatri IF=0 IF=0-1 IF=1-3 IF=3-5 IF=5-10 IF>10 I 30 6 34 17 7 6 I 20 6 52 14 6 2 UK D F E NL S GR 20 11 25 24 12 8 10 17 27 28 14 4 19 6 30 29 12 4 UK D F E NL S GR 32 5 35 15 10 3 34 4 35 16 9 2 18 2 40 26 9 3 20 24 28 26 48 19 22 5 4 2 1 19 1 35 34 7 4 15 2 30 29 19 5 23 2 45 20 6 4 14 8 46 26 3 3 38 9 29 19 5 - 25 29 39 7 - Certamente si nota che, per la produzione di autori pediatri, in alcune nazioni come i Paesi Bassi e la Francia è presente una quota maggiore di lavori pubblicati su riviste a più alto IF. Tuttavia in questo panorama europeo l'Italia non appare molto distante da altri paesi che investono di più nel settore della ricerca. Le indagini SIRP A Settembre 2015 la SIRP ha lanciato, in collaborazione con l' Osservatorio nazionale Specializzandi Pediatria (ONSP) la sua prima indagine sul reclutamento di giovani laureati in una carriera di ricerca clinica nell’area pediatrica (vedi capitolo di Mennini et al in questo Libro bianco).Scopo dell’indagine è stato cercare di spiegare il paradosso emerso dall’ORPI della ricerca pediatrica in Italia, che appare ricca a fronte di uno scarso investimento nel settore da parte dei governi del paese. Dall’ indagine condotta tra specializzandi, giovani specialisti, dottorandi e ricercatori universitari di tipo A, si capisce che una buona quota di giovani, durante il corso di laurea o di specializzazione, pur non avendo in prospettiva una chiara vocazione per la ricerca clinica, hanno contribuito all'attività scientifica dell'istituzione in cui operavano. È comunque da sottolineare che solo una quota minima degli intervistati ha prodotto lavori scientifici a primo nome. Questo indica che esiste 29 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) certamente un "lavoro nero" nel campo della ricerca scientifica in genere e nella ricerca clinica in particolare, inclusa ovviamente anche quella pediatrica. I risultati di un'indagine che è stata recentemente condotta da Astra Ricerche per incarico della Fondazione Pardi (Astraricerche, 2015AstraRicerche-Fondazione-Pardi-summary.pdf), confermano che una buona quota della "manodopera" che ha contribuito alla ricerca non è strutturata nei ranghi dei ricercatori e quindi non appare nelle statistiche internazionali che correlano prodotti scientifici e forza lavoro ufficiale impiegata in ricerca. Conclusioni Quali conclusioni si possono trarre da questa nostra indagine, condotta con metodologia, di cui riconosciamo i limiti? Non c'è dubbio che in Italia disponibilità dei fondi per la ricerca sia limitata. Tuttavia la scarsità delle risorse è aggravata dall'assurda gestione dei finanziamenti comunque disponibili, che manca di programmazione, tempi certi nei bandi e nella successiva erogazione dei fondi, per non parlare, purtroppo, della scarsa trasparenza e equità nelle valutazioni e nel riconoscimento del merito. Se la sfiducia nel sistema si somma al ritardo con cui un giovane laureato viene messo alla prova per le sue capacità di collaborare a un progetto di ricerca e alle incertezze del percorso di "carriera", legate al pur giusto superamento di parametri bibliometrici (quali le "mediane" dell'abilitazione Scientifica Nazionale), si capisce come anche il "lavoro nero" di giovani precari e non strutturati per la ricerca verrà progressivamente meno. Di conseguenza il panorama fino ad ora più che "decente" della ricerca pediatrica tenderà a peggiorare. E senza ricerca clinica di qualità, anche la qualità dell'assistenza inevitabilmente peggiorerà. Le soluzioni non sono semplici o chiare, ma è giusto che un grido d'allarme venga lanciato. Ed è questo che la SIRP intende fare, con l’ambizione di contribuire, pur conscia dei suoi limiti, a far crescere la futura generazione di medici-scienziati per la ricerca pediatrica in Italia. REFERENZE Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR). Rapporto sullo stato del Sistema Universitario e della Ricerca 2013. http://www.anvur.org/attachments/article/644/Rapporto%20ANVUR%202013_UNIVERSITA%20 e%20RICERCA_integrale.pdf 30 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) http://amanutricresci.com/wp-content/uploads/2014/11/BRAIN-DRAIN-ITALY-2014-AstraRicercheFondazione-Pardi-summary.pdf http://www.telethon.it/ricerca-progetti/progetti-finanziati Maurizio Mennini, Tommaso Alterio, Andrea Bon, et al. I giovani e la ricerca clinica pediatrica: tra formazione e “frustrazione” un rapporto sempre più difficile. In: Il futuro della ricerca clinica (pediatrica). Edizione SIRP. 2016 Ringraziamenti Gli autori ringraziano le dott.sse Simona Fecarotta e Valentina Pecorella per la loro preziosa collaborazione all’Osservatorio della Ricerca Pediatrica Italiana. 31 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) La situazione "demografica" della pediatria del ospedaliera e accademica e le possibili linee di tendenza territorio, Silvano Bertelloni, Paolo Becherucci, Alberto Chiara, Carlo Fusco, Mario Messina, Angelo Ravelli, Maria Elisabeth Street La patologia pediatrica: stato attuale Le migliorate condizioni sociali instauratesi progressivamente a partire dagli anni’50-’60 del secolo scorso, unitamente all’estensione delle coperture vaccinali e ad alcuni indiscutibili progressi nel campo della medicina, sono stati responsabili di un sostanziale cambiamento nelle più frequenti cause di morbosità e mortalità in età pediatrica (ACP, 2014; Ministero della Salute, 2015). Attualmente, accanto alle tradizionali attività proprie della Pediatria (bilanci di salute, attività di educazione sanitaria, counselling e supporto anche per i genitori, cura delle patologie acute) che pure rimangono causa frequente di consultazione sono emerse nuove priorità assistenziali che stanno modificando l’attività e le aree di interesse scientifico del Pediatra, come: • patologie croniche, gravi disabilità e/o malattie rare complesse (v. anche dopo); • disturbi dello sviluppo neuro-cognitivo e della salute mentale, questi ultimi in aumento soprattutto in età adolescenziale; • nuove patologie indotte da fattori ambientali (esempio: contaminanti endocrini, “Internet addiction disorder”); • nuove problematiche per patologie “classiche” (esempio: la diffusione dell’antibiotico – resistenza anche nei bambini “sani”); • minori appartenenti a famiglie in cui uno o entrambi i genitori non sono italiani. Nella pur variegata complessità del fenomeno, si delinea comunque la necessità di saper riconoscere e soddisfare bisogni assistenziali a volte peculiari e nuovi o riemergenti, che richiedono competenze e strumenti specifici; • aumento delle attività di “urgenza” (spesso più percepite che reali). Da tale situazione emerge l’esigenza di una trasformazione nell’erogazione delle cure territoriali ed ospedaliere pediatriche, di nuovi percorsi formativi e di una implementazione della ricerca in settori specifici. 33 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Organizzazione dell’assistenza pediatrica in Italia In Italia, l’assistenza sanitaria a infanzia e adolescenza è prevalentemente organizzata, per quanto riguarda gli specialisti di “area pediatrica”, nei seguenti settori principali : • Pediatria di famiglia (I livello); • Pediatria ospedaliera (comprensiva di quella universitaria, degli ospedali pediatrici e delle attività di sub-specialità pediatrica) (II-III livello); • Chirurgia pediatrica (e sub-specialità chirurgiche pediatriche, es. urologia pediatrica); • Neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza (ospedaliera e territoriale). Pediatria di famiglia In Italia, la Pediatria di famiglia rappresenta una rete capillare diffusa a tutto il territorio nazionale. Attualmente su un totale dei circa 14.000 Pediatri operanti nel servizio sanitario nazionale (dipendenti SSN, universitari, convenzionati, etc.) più della metà è rappresentata dai pediatri di famiglia (Pdf) (7.714; dati 2012 su deleghe sindacali). L’età di riferimento esclusiva è 0-6 anni, mentre tra 7 e 14 anni i genitori possono scegliere di far assistere il bambino sia dal Pdf che dal medico di medicina generale (MMG). Dopo il compimento del 14 anno di età l’adolescente viene preso in carico dal MMG, ma il Pdf può continuare ad assistere minori con patologie croniche, organiche o neuropsichiatriche, fino a 16 anni. Più del 70% dei Pdf assiste un numero di bambini maggiore a quello ritenuto ottimale cioè 800 (in media circa 900). Degli oltre 7500 Pdf, circa 4.100, pari al 53,4% ha un’età compresa tra i 55 e i 70 anni (proiezioni dati ENPAM 2010). I Pdf che raggiungeranno l’età massima pensionabile saranno oltre 6.100 tra il 2015 e il 2030. Questo considerevole numero di professionisti ha uno scarso impatto dal punto di vista della ricerca scientifica, soprattutto a livello internazionale, dove, tuttavia, l’“Union of National European Paediatric Societies and Associations” (EPA-UNEPSA) - a cui aderiscono per l’Italia la SIP, la FIMP e la SIRP - ha interesse a promuovere e pubblicare studi sui servizi sull’assistenza pediatrica in Europa, che è caratterizzata da notevole variabilità (Barak et al., 2010; Ercan et al. 2009). Tale situazione potrebbe migliorare in Italia con l’attivazione dell’indirizzo in Pediatria delle Cure Primarie, previsto nel Curriculum della nuova Scuola di Specializzazione in Pediatria, che la dovrebbe portare alla presenza di professionisti specificatamente formati per le cure primarie pediatriche auspicalmente anche dal punto di vista della ricerca clinica territoriale. 34 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Attività ospedaliere di Pediatria e Chirurgia pediatrica La Rete ospedaliera pediatrica risulta costituita da un numero abbastanza elevato di reparti di pediatria: 422 nel 2013 contro un fabbisogno calcolato di circa 300 in base agli standard del Progetto Obiettivo Materno-infantile (Ministero della Salute, 2000) fatte salve condizioni orogeografiche particolari. A fronte di questa situazione, la presenza del pediatra dove nasce e si ricovera un bambino è garantita continuativamente (h24) solo nel 50% degli ospedali. Delle 13 Aziende Ospedaliere Pediatriche, solo alcune sono in grado di assicurare una adeguata copertura di tutte le attività assistenziali per infanzia e adolescenza. Alcune subspecialità pediatriche risultano in sofferenza per la mancata programmazione di nuove “leve” o per mancata realizzazione di centri specialistici, anche transmurali (cioè interaziendali o interregionali), in cui concentrare risorse e minori ad alta complessità assistenziale (ACP, 2014; Ministero della Salute, bozza 2015; 8° Rapporto CRC, 2015). Sebbene in Italia sia presente la Pediatria di famiglia, che fornisce servizi assistenziali specialistici a livello territoriale, l’attuale tasso di ospedalizzazione nel nostro Paese è del 65/70 per mille, mentre il tasso di ospedalizzazione per la popolazione con età < 18 anni – neonati esclusi – è a livello europeo intorno a 35/40 per mille pur in assenza di cure primarie specialistiche pediatriche capillarmente diffuse e convenzionate con il SSN come in Italia. Inoltre, i tassi di ospedalizzazione in età pediatrica, in regime di ricovero ordinario, presentano un’elevata variabilità tra le varie Regioni con un minimo di 42.7%o in Veneto ed un massimo più che doppio (88.7%) in Puglia (Ministero della Salute, bozza 2015). Gli accessi pediatrici al Pronto Soccorso (PS) sono in progressivo aumento (attualmente circa 5.000.000 casi/anno) soprattutto per codici a bassa priorità assistenziale; infatti, i codici rossi rappresentano poco meno dell'1% e i codici gialli circa il 10% del totale (codici rosso e giallo = paziente critico). Un PS pediatrico è tuttavia presente in circa il 20-30% delle strutture e il 30% degli accessi pediatrici viene gestito dai medici dell'adulto. Il ricorso alle strutture di PS appare più evidente per le classi di età al di sotto dei 4 anni con un netto aumento delle richieste di assistenza in regime di urgenza nei primi mesi di vita. Vi è inoltre un incremento degli accessi e delle richieste di assistenza da parte degli adolescenti per i quali le attuali strutture pediatriche non sono sempre adeguate (Ministero della Salute, 2012; Ministero della Salute, bozza 2015). Questo elevato livello di attività, aggravato dall'applicazione della normativa europea relativa all'orario di lavoro, non favorisce, certo, lo sviluppo di ottimali percorsi di ricerca. 35 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Quasi il 30% dei pazienti in età 0-17 anni (in particolare l’85% dei pazienti in età adolescenziale 15-17 anni) viene ricoverato in reparti per adulti e, in molte zone del paese, la mancanza di strutture idonee per il ricovero degli adolescenti ad alto rischio riduce finanziamenti e possibilità di ricerca in un ambito particolarmente critico come quello adolescenziale (Bertelloni et al., 2009; Ministero della Salute, bozza 2015). La migrazione sanitaria, rappresenta ancora un fenomeno rilevante, in parte motivata da ragioni sanitarie oggettive (centri di alta specialità con maggiore attività di ricerca e di sperimentazione di terapie innovative, in particolare per quanto riguarda le malattie rare e croniche ad elevata complessità assistenziale), ma in parte “evitabile” perché dovuta ad una inadeguata allocazione dei presidi diagnostico-terapeutici, a disinformazione e a scarsa fiducia nella qualità delle strutture locali (Ministero della Salute, bozza 2015; 8° Rapporto CRC, 2015; Ospedalizzazione Pediatrica). Le previste azioni sulle cure primarie e sull’appropriatezza dei ricoveri dovrebbero portare una progressiva riduzione del tasso di ospedalizzazione pediatrico al 55%o nei prossimi tre anni per arrivare al 40%o nei successivi 3 anni (Ministero della Salute, bozza 2015) in modo da completare la riorganizzazione ospedaliera, con il fine di ridefinire il numero delle Unità Operative (UO) di Pediatria e le attività offerte anche attraverso l’istituzione di una rete “hub e spoke”, che potrebbe razionalizzare le attività assistenziali e favorire nuove possibilità di ricerca clinica. Per quanto riguarda la Neonatologia, la chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti/anno (133/521), prevista in attuazione dell’accordo in Conferenza Unificata del 16.12.2010 sul percorso nascita e secondo quanto previsto dall’articolo 15 della legge 135/2012 e alla successiva Intesa 5 agosto 2014 sul regolamento degli standard ospedalieri Stato-Regioni, non è stata ancora realizzata. Sono poi attive circa 120 UU.OO. di Terapia Intensiva Neonatale (TIN), di cui circa il 25% collocate in punti nascita con meno di 1000 parti/anno (Rapporto Osserva Salute 2014, Ministero della Salute, 2012). Dei circa 4000 pediatri che operano in ospedali pubblici o in Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, la Pediatria universitaria, che dovrebbe promuovere la ricerca e favorire l’inserimento dei giovani “Pediatrician Scientists” è formata – al 31/12/2015 - da 313 strutturati (professori ordinari, n = 54; professori associati, n = 109; ricercatori, n = 150) anche con un’età di specializzazione piuttosto avanzata indipendentemente dal ruolo (www.miur.it) ultimo accesso gennaio 2016). Il numero di centri di Chirurgia pediatrica (circa 60, dati Società Italiana di Chirurgia Pediatrica;~1/1.000.000 abitanti) risulta superiore rispetto a standard assistenziali ritenuti ottimali. 36 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Il bacino di utenza minimo per garantire una sufficiente casistica unitamente a una formazione specialistica e programmi di ricerca adeguati è infatti ritenuto pari a 1/2,5 milioni di abitanti (8° Rapporto CRC, 2015). La componente universitaria - al 31/12/2015 - è costituita da 47 strutturati tra professori ordinari (n = 13), professori associati (n = 18) e ricercatori (n = 16) (www.miur.it). Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’Adolescenza Le malattie croniche che coinvolgono il Sistema Nervoso Centrale, in modo esclusivo o in quadri multiorgano, sono oggi tra i disturbi pediatrici più frequenti, determinando un elevato assorbimento di risorse per le famiglie e per la società. A seconda delle realtà regionali, gli utenti dei Servizi di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (NPIA) sono compresi tra il 4 e l’8% della popolazione di età 0-18 anni; in pratica si tratta di oltre 400.000 bambini e adolescenti. Dal 2008 al 2013 si è inoltre evidenziato un incremento delle richieste di presa in carico; il numero di utenti che hanno avuto almeno un contatto con i Servizi di NPIA è aumentato infatti mediamente del 6-7% all’anno dal 2004 al 2011 e il numero di nuovi utenti nello stesso periodo è aumentato del 4-5%/ anno. I ricoveri in regime di degenza ordinaria per disturbi neurologici e psichiatrici dell’età evolutiva riguardano circa il 13% degli utenti dei servizi NPIA e sono distribuiti soprattutto nella fascia di età 0 – 3 anni (interventi diagnostici di tipo prevalentemente neurologico) e nella fascia di età 14- 18 anni (interventi di diagnosi e presa in carico per disturbi psichiatrici gravi, inclusi gli esordi psicotici precoci) (Ministero della Salute, bozza 2015). La NPIA è caratterizzata quindi da grande variabilità disciplinare. I neuropsichiatri ospedalieri hanno usualmente in carico patologie prevalentemente neurologiche (epilessia, cefalea, malattie neuromuscolari, neurodegenerative, neurometaboliche, ecc) o psichiatriche in fase acuta, mentre quelli che operano a livello territoriale hanno il compito prevalente di valutare minori con disturbi neuropsicologici/cognitivi (ritardo mentale, disturbi di apprendimento) e psichiatrici (generalmente in cronico). Il paziente pediatrico affetto da patologia neuropsichiatrica, specie nelle situazioni di patologie neurologiche di III livello, necessita una rete assistenziale che richiede la collaborazione tra NPIA Ospedaliera, NPIA dei Servizi territoriali, Pediatria Ospedaliera, spesso anche con il contributo delle (sub)specialità pediatriche, e Pediatra di famiglia. Esistono infine realtà ospedaliere di NPIA che svolgono funzione di Centri di riferimento e coordinamento per malattie rare neuro-genetiche e neurometaboliche, attraverso reti regionali che hanno lo scopo di prendere in carico globalmente il bambino, a partire dal complesso iter diagnostico, fino all’attuazione di piani terapeutici specifici per patologia. 37 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Il quadro assistenziale è caratterizzato da estrema variabilità sia inter-regionale che intra-regionale di accesso, risorse e diagnosi e dall’assenza di un sistema di monitoraggio complessivo della salute mentale in età evolutiva (8° Rapporto CRC, 2015). I Neuropsichiatri Infantili presenti nei servizi sono circa 900 a fronte degli almeno 1500 necessari, con un ricambio previsto di circa 70-90 specializzandi/anno a fronte dei 120 stimati per coprire i fabbisogni. Vi è inoltre una estrema disomogeneità tra le diverse regioni nell’organizzazione dei servizi e nella presenza al loro interno di tutte le figure professionali (mediche e non mediche) necessarie per garantire interventi appropriati e tempestivi. In Italia nel 2013 erano presenti complessivamente 324 posti letto di ricovero ordinario e 188 di DH per patologie neurologiche e psichiatriche dell’età evolutiva, anche questi con distribuzione non omogenea tra le diverse regioni. Ben 7 regioni non hanno alcun posto letto di ricovero ordinario nell’ambito del SSN. Dei 324 posti letto, quelli disponibili per i disturbi psichiatrici in adolescenza sono 79 (circa il 25%). Vi è inoltre la necessità di garantire un reale approccio multidisciplinare (che dovrebbe necessariamente includere i pediatri) ai disturbi neurologici e psichiatrici dell’età evolutiva anche strutturando Centri di Riferimento per patologie particolarmente rilevanti ed emergenti come i disturbi del comportamento alimentare in infanzia e adolescenza (attualmente in pratica assenti), che rappresentano un campo di rilevante interesse in ambito di ricerca (Ministero della Salute, bozza 2015). Dei 900 neuropsichiatri Infantili in attività, la componente universitaria è costituita – al 31/12/2015- da 77 strutturati tra professori ordinari (n = 17), professori associati (n = 21) e ricercatori (n = 39)(www.miur.it). Alcune problematiche emergenti La transizione dalle cure pediatriche alla medicina dell’adulto Tra gli aspetti peculiari della “care” ai minori vi è la transizione, cioè quel processo dinamico definibile come “il passaggio programmato e finalizzato di adolescenti e, in alcuni paesi anche di giovani adulti, soprattutto se affetti da problemi medici o neuro-psichiatrici di natura cronica, da un sistema di cure pediatrico ad uno orientato all’adulto”. Tale processo è attualmente una rilevante criticità, che condiziona in particolare gli ospedali che affrontano la cronicità e la disabilità più complessa, in quanto, nel nostro paese, la transizione è largamente frammentaria e mantiene i caratteri della volontarietà spontaneistica di cui si fanno 38 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) carico, fra mille difficoltà, gli operatori sanitari di singole realtà locali. Manca una cultura specifica e una ricerca approfondita per delineare i migliori modelli assistenziali a tale scopo anche sulla base di indicatori di esito (Bertelloni et al., 2008; Ministero della Salute, bozza 2015). La transizione rimane pertanto una realtà largamente disattesa, se non addirittura omessa, con una penalizzazione dei percorsi clinico-terapeutici. La transizione della “care” dovrebbe essere invece pianificata e gestita in modo coordinato al fine di garantire la qualità e la continuità dell’assistenza per tutti i giovani, in particolare per quelli con bisogni assistenziali speciali, secondo percorsi realizzati sulla base di evidenze scientifiche che assicurino i migliori risultati anche in base alle specifiche necessità che le varie condizioni patologiche richiedono (Bertelloni et al., 2008; Nagra et al., 2015). Infine, dovrebbero essere individuati adeguati percorsi di transizione dal Pdf al MMG anche per l’adolescente sano in modo che tale passaggio non rappresenti solo una mera pratica amministrativa. Hospice e terapia del dolore Le cure palliative pediatriche sono l’attiva presa in carico globale di corpo, mente e spirito del bambino e comprendono il supporto attivo alla famiglia attraverso percorsi assistenziali personalizzati, studiati sulle particolari esigenze del minore e della tipologia di malattia di cui soffre (OMS, 1998). I dati della letteratura indicano una prevalenza pari a 10/10.000 minori 0-17 anni, che necessitano di cure palliative pediatriche. Il personale esperto in tale settore, che deve lavorare presso centri di riferimento, richiede una preparazione specifica nei diversi ambiti socioassistenziali che condizioni non guaribili e dolore, non solo fisico, richiedono. La limitata numerosità dei pazienti, l’ampia distribuzione e la complessità di gestione, pongono peculiari problematiche organizzative, di formazione e di ricerca in cure palliative pediatriche (Ministero della Salute, bozza 2015; .Ministero della Salute, 2013) Malattie croniche complesse La prevalenza delle malattie croniche pediatriche è in costante incremento, sia per l’aumento di incidenza di patologie riconducibili agli stili di vita e a fattori di rischio ambientali sia per il miglioramento delle tecniche di assistenza neonatale e pediatrica con maggiore sopravvivenza di bambini affetti da patologie una volta precocemente fatali. Anche l’immigrazione può contribuire ad aumentare il numero di bambini e adolescenti con malattie croniche sia per una maggiore 39 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) incidenza di esiti correlati a trattamenti in condizioni di scarse risorse sanitarie sia per “l’importazione” di patologie genetiche a più alta incidenza in altre popolazioni. Le varie malattie croniche, pur riconoscendo eziologie e gravità medica e/o neuro-psichiatrica differenti, sono accomunate dalla necessità di presa in carico multidisciplinare, centrata sul paziente e sull’intero nucleo familiare, mirata a ottimizzare il trattamento per migliorare la qualità della vita, promuovere l’autonomia e l’inserimento sociale, ridurre il rischio di ulteriori complicanze. Per raggiungere tali risultati è necessario perfezionare, anche attraverso un’adeguata ricerca clinica, i presidi di cura (farmacologici, neuro-riabilitativi, fisiatrici, etc.) e realizzare un concreto modello assistenziale integrato tra Ospedale e Territorio che assicuri le cure secondo protocolli multidisciplinari, condivisi tra Centri Specialistici di riferimento e i servizi territoriali (Ministero della Salute, bozza 2015; ACP 2014). Malattie Rare Le Malattie Rare (MR) sono un gruppo di condizioni umane spesso su base genetica, definite dall’Unione Europea (UE) come patologie che hanno una prevalenza non superiore a 5/10.000 nell’insieme della popolazione comunitaria. Considerate complessivamente le MR sono circa 78000, nella maggior parte dei casi caratterizzate da rilevante gravità clinica, decorso cronico, esiti invalidanti o stigmatizzanti e onerosità del trattamento. Le MR sono molto eterogenee tra di loro e in genere complesse e multispecialistiche. Le limitate conoscenze scientifiche e la scarsità di informazione sia degli operatori sanitari sia dei pazienti costituiscono le maggiori criticità per una adeguata gestione del loro percorso diagnosticoterapeutico. La rarità delle singole malattie e la conseguente scarsità di conoscenze rendono indispensabile programmi di ricerca ad hoc e la sinergia a livello nazionale e internazionale tra centri qualificati anche dalla loro produzione scientifica (v. European reference networks). Lo scambio di informazioni, la collaborazione tra gli esperti, l’approccio multidisciplinare al paziente e un lavoro di ricerca e “care” in rete apportano un elevato valore aggiunto nel rispondere ai bisogni dei pazienti e delle loro famiglie, che spesso collaborano attivamente con i professionisti attraverso le associazioni dei pazienti/genitori per promuovere la ricerca clinica e di base (v. ad esempio Telethon) (Ministero della Salute). 40 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Evoluzione della “forza lavoro” pediatrica Per l’anno accademico 2014-2015, i contratti finanziati dallo Stato per gli specializzandi in Pediatria sono stati 390. Sommando ad essi i contratti di formazione specialistica a finanziamento regionale o privato si è arrivati ad un totale di 414 nuovi iscritti al primo anno di specializzazione in Pediatria, in aumento di circa il 16% rispetto all’anno precedente. Ipotizzando un numero costante di contratti di formazione specialistica intorno a 400/anno si formeranno circa 6.000 pediatri nel periodo 2015-2030. Questi nuovi professionisti costituiranno l’intera offerta dei nuovi pediatri per il SSN, comprendendo sia i Pdf sia coloro che saranno impegnati presso le strutture ospedaliere e universitarie. Il saldo tra i nuovi professionisti e quelli che andranno in pensione sarà certamente negativo, ma con possibili riflessi differenti nei vari “setting” assistenziali. Sebbene non si possano effettuare stime certe, a seguito della prevista ristrutturazione della rete ospedaliera e per effetto di un già registrato spostamento dei pediatri dall’ospedale alla pediatria territoriale, il numero stimato dei Pdf nei prossimi 15 anni potrebbe non scendere drasticamente. L’effetto correlato a tali complessi fenomeni potrebbe essere una carenza di pediatri anche in ambito ospedaliero e universitario, con particolare penalizzazione per le attività di cura e di ricerca per i bambini e gli adolescenti affetti da patologie croniche e rare ad alta complessità assistenziale, che rischiano di essere trattati in settori specialistici non adeguati ai minori, come quello dell’adulto, con una possibile penalizzazione della ricerca clinica pediatrica, che ha un ruolo di primo piano nel miglioramento delle conoscenze mediche e delle condizioni di salute di bambini e adolescenti. In questo contesto, si dovrà valutare l’impatto che avrà la riforma dell’ordinamenti didattici delle scuole di specializzazione (DM 4 febbraio 2015) e in particolare di quella di Pediatria. Sebbene il titolo professionale rimarrà unico, lo scenario futuro dipenderà anche dall’attivazione di tutti e tre i bienni di formazione subspecialistica e dall’offerta di documentati percorsi formativi di alta qualità nelle varie branche pediatriche, magari in forma consortile, da parte delle varie Università anche in base a concreti indicatori epidemiologici. Conclusioni In sintesi, il quadro complessivo attuale è quello di un elevato numero di Pediatri e Professionisti di Area Pediatrica dedicati all’assistenza a infanzia e adolescenza, spesso operanti in contesti troppo piccoli o frammentati, che a volte non permettono il raggiungimento di standard qualitativamente adeguati e senza un’ottimale disponibilità di risorse specialistiche e tecnologiche avanzate per impostare adeguati percorsi di ricerca clinica. Tale “forza lavoro” soprattutto in alcuni ambiti 41 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) professionali presenta un’anzianità di specializzazione piuttosto elevata, che pone problemi per la programmazione delle attività future, anche in considerazione delle variazioni delle priorità assistenziali e di ricerca nell’attuale Società. Si deve poi considerare che la Pediatria ha subito negli ultimi anni un importante cambiamento demografico a livello mondiale, legato al crescente numero di donne con specializzazione in Pediatria (Andrew, 2002). In USA, è stato stimato che le dottoresse rappresentano oltre il 70% dei residenti iscritti al programma di specializzazione in Pediatria (Alexander et al.,2009). Le donne hanno chiaramente una maggiore difficoltà nel conciliare la carriera di ricerca e la famiglia, per le esigenze legate alle gravidanze e alla maternità. Sempre in USA, un’indagine sui candidati MD-PhD è emerso come le donne credono molto meno alla potenziale carriera in ricerca e spesso optano spesso per un percorso differente, proprio per la percezione che la cura dei figli e la carriera di ricerca siano mutuamente esclusive (Andriole et al., 2008). Persistono inoltre diseguaglianze economiche legate al sesso nell’ambito delle carriere di ricerca nelle scienze umane (Brenner, 2012). In Italia, a fronte di una non grande differenza tra maschi e femmine nell’ambito di tutti i ruoli universitari pediatrici (maschi ~55%; femmine ~45%), a livello di Professori ordinari gli uomini sono l’87% e le donne solo il 13%. Considerando che la stragrande maggioranza dei medici che oggi scelgono la Pediatria sono donne, diventa prioritaria la gestione delle diseguaglianze legate al sesso dei percorsi di carriera per medico-scienziato. Vi è quindi la necessità di programmare il reclutamento nei vari ruoli in prospettiva di una ridefinizione dei vari setting assistenziali/di ricerca, che sia anche maggiormente in linea con gli altri paesi avanzati dell’Unione Europea in modo che l’inserimento di giovani pediatri/chirurghi pediatri/neuropsichiatri infantili in un percorso di studio e ricerca non risulti penalizzante. REFERENZE 8° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC) in Italia, anno 2014-2015 ACP. La salute dei bambini in Italia. Dove va la Pediatria? Giugno 2014 Alexander D, Boat T, Britto M, et al. Federation of Pediatric Organizations Task Force on Women in Pediatrics: considerations for part-time training and employment for research-intensive fellows and faculty. J Pediatr. 2009; 154: 1-3.e2 Andrews NC. The other physician-scientist problem: where have all the young girls gone? Nat Med. 2002; 8: 439-41. 42 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Andriole DA, Whelan AJ, Jeffe DB. Characteristics and career intentions of the emerging MD/PhD workforce. JAMA. 2008; 300: 1165-73. Barak S, Rubino A, Grguric J, et al. The future of primary paediatric care in Europe: reflections and Report of the EPA/UNEPSA Committee. Acta Paediatr. 2010; 99: 13-8 Bertelloni S, Chiavetta S, Volta C, et al. Novità in medicina dell’adolescenza. Prospettive in Pediatria 2008; 152: 192-198 Bertelloni S, Lombardi L, Perletti L. Il ricovero degli adolescenti in Pediatria. Quaderniacp 2009; 16: 156-160 Brenner DA. Next-generation academic medicine. J Clin Invest. 2012; 122: 4280-2. Ercan O, Alikasifoglu M, Erginoz E, et al. Demography of adolescent health care delivery and training in Europe. Eur J Pediatr. 200; 168: 417-26 Longhi M, Spinelli A. Salute Materno-infantile Rapporto Osserva salute 2014, pp 231-260 Ministero della Salute. “Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali in area pediatrico – adolescenziale: Le 10 linee di azione”. Bozza 30 ottobre 2015 Ministero della Salute. Documento tecnico sulle cure palliative pediatriche: 2013. www.salute.it (ultimo accesso gennaio 2016) Ministero della Salute. Le caratteristiche dell’ospedalizzazione pediatrica in Italia (dal neonato all’adolescente). www.ministerosalute.it Ministero della Salute. Piano nazionale malattie rare 2013-2016. www.ministerosalute.it Ministero della salute. PSN 1998-2000: Progetto Obiettivo Materno-infantile. GU 7-6-2000, Supplemento ordinario n. 89. Nagra A, M McGinnity P, Davis N, et al. Implementing transition: Ready Steady Go. Arch Dis Child Educ Pract Ed 2015; 100: 313–20. World Health Organization. Cancer Pain Relief and Palliative Care in Children. Geneva, 1998 www.miur.it, ultimo accesso gennaio 2016) 43 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) La ricerca in neuroscienze e la selezione di giovani interessati alla ricerca clinica in neuropsichiatria infantile Giovanni Cioni Premessa Il 21º secolo viene descritto come il secolo del cervello e le neuroscienze sono un settore scientifico in continuo ed enorme sviluppo. Basta pensare che digitando “brain” in PubMed si possono rilevare un numero di lavori che da poco più di 3.000 negli anni 60’ è passato a 30.000 negli anni 90’ fino più di 75.000 nel 2015. Elsevier (2014), con il contributo della Commissione Europea, della Federazione delle Società Europee di Neuroscienze (FENS), dell’Human Brain Project (HBP), della Fondazione Kavli e dell’ Istituto RIKEN per le Scienze del Cervello (BSI) ha condotto uno studio sullo stato attuale della ricerca in neuroscienze, per fornire spunti sulle priorità future di ricerca e di finanziamento. Lo studio si basa sui quasi 2 milioni di articoli scientifici sulle neuroscienze archiviati in Scopus e pubblicati tra il 2009 e il 2013 e incorpora gli abstract degli studi finanziati dall’NIH e dal Settimo Programma Quadro della Commissione Europea per la Ricerca e lo Sviluppo Tecnologico (FP7) per lo stesso lasso di tempo. Le scoperte più importanti presentate dal report sono le seguenti: La produttività della ricerca: nel periodo in considerazione, sono stati prodotti 1,79 milioni di articoli nel campo delle neuroscienze, vale a dire il 16% della produzione scientifica mondiale. Complessivamente nel 2013 i ricercatori europei e statunitensi hanno prodotto più del 70% della ricerca in neuroscienze. In termini di volumi di pubblicazione, USA, UK, Cina, Germania e Giappone si sono classificati nella top-five dei paesi più prolifici nel settore. La crescita maggiore è stata però sperimentata dalla Cina, sia in termini di ricerca prodotta, sia in termini del numero di articoli sul totale mondiale, rispettivamente l’11,6% e il 7,5%. L’impatto della ricerca: nel 2013 la misura ponderata dell’impatto delle citazioni per il settore di riferimento (FWCI) è stata 1,14. Ciò vuole significare che tali articoli sono stati citati il 14% in più della media di tutte le aree tematiche. La collaborazione: l’impatto delle citazioni (FWCI) degli articoli statunitensi elaborati in collaborazione con autori internazionali è stato maggiore del 56% rispetto all’impatto prodotto da articoli collaborativi pubblicati da autori provenienti da singole istituzioni. 45 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Tendenze emergenti: confrontando i temi più popolari (top concepts) e quelli rapidamente in ascesa (burstconcepts) è emerso che i secondi riguardavano principalmente questioni metodologiche, mentre i primi affrontavano temi come le malattie mentali e lo sviluppo di farmaci. I finanziamenti: se le ricerche finanziate dall’Istituto di Sanità (NIH) statunitense hanno riguardato principalmente l’impatto delle metanfetamine, della cannabis e della nicotina, quelle sovvenzionate dalla Commissione Europea hanno riguardato soprattutto l’uso dei farmaci antipsicotici nel trattamento della schizofrenia. La ricerca che trova la sua espressione in questi lavori è stata finanziata da più di 7 miliardi di dollari l'anno di fondi pubblici, principalmente (5.6 miliardi dagli USA), il resto dell'Europa ed in maniera sempre maggiore da altre parti del mondo e soprattutto la Cina (Markram, 2013). I temi studiati sono innumerevoli; tra i più recenti quelli del progetto USA e dell’European Human Brain Project (HBP), che si propongono di mappare il cervello umano in modo analogo a quello con cui è stato mappato il genoma. La sfida USA è stata lanciata nel 2013 da Barack Obama: “Siamo in grado di identificare galassie lontane milioni di anni luce, sappiamo studiare particelle più piccole dell'atomo, ma non abbiamo svelato il mistero di quella materia di 1.3 Kg che si trova tra le nostre orecchie”, annunciando un investimento iniziale di 100 milioni di dollari nel progetto BRAIN (Brain Research Through Advancing Innovative Neurotechnologies) che coinvolge istituzioni pubbliche come l’NIH e partner privati. Allo stesso tempo la UE ha finanziato con i primi 54 milioni di euro l’HBP, il più importante progetto per le neuroscienze europee che riunisce 87 istituti di ricerca sotto la guida dell’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne. L’HBP si propone di raccogliere in un supercomputer tutte le conoscenze di frammenti disponibili sul cervello umano, per mettere a punto un modello computazionale basato su 100 miliardi di neuroni (il numero delle cellule nervose del cervello). Si deve tuttavia ammettere che, a confronto questi enormi sforzi umani ed economici, l'effettivo beneficio per la società della ricerca in neuroscienze è stato abbastanza limitato, in particolare a confronto con il crescente bisogno di buona ricerca per fare buona assistenza nell'ambito delle malattie del sistema nervoso. Quest'ultime rappresentano un problema di salute di enorme importanza. Il “Global Burden of Disease” (GBD) del WHO misura il peso delle malattie utilizzando il Disability Adjusted Life Year (DALY).Questa misura combina gli anni di vita perduti per mortalità prematura con gli anni di vita perduti per il tempo vissuto in condizioni di vita peggiore rispetto a quelle di piena salute. L’analisi condotta anno per anno dal 1990 indica che 46 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) disturbi neurologici e psichiatrici, perlopiù cronici, ammontano a più del 15% del GBD dell'intera popolazione (più frequenti delle malattie cardiovascolari o di qualsiasi altro gruppo di malattie). Per noi neuropsichiatri infantili è importante ricordare che più del 50% di questi disturbi ha un esordio o comunque una causa determinante in età evolutiva e che per la maggior parte di essi un intervento tempestivo potrebbe cambiare positivamente la storia naturale di queste malattie. Sappiamo inoltre come in ambito pediatrico la medicina del presente e soprattutto quella del futuro si colloca da una parte nelle situazioni di emergenza, per fortuna abbastanza rare, soprattutto e sempre di più nell'ambito delle malattie croniche, tra le quali quelle del sistema nervoso sono le più frequenti ed importanti. Dobbiamo quindi concludere che nel secolo del cervello e di straordinarie scoperte sulle basi molecolari di tanti aspetti del funzionamento del cervello, sulle cause di molte malattie del SNC, sull’invenzione di straordinarie tecniche, capaci di imaging in vivo del sistema nervoso, molte malattie neuropsichiche, sempre più rilevanti per la salute, rimangono in larga parte inguaribili, anche se non più non trattabili. Siamo diventati sempre più capaci di rallentarne l'evoluzione, di migliorare i quadri clinici e la qualità della vita, ma non guarire. E’ quindi necessario fare ancora enormi progressi nell'ambito delle neuroscienze, perché i risultati di queste ricerche diventino effettivamente traslazionali. È necessario essere pazienti, perché il cervello è di un’enorme complessità e comprenderne lo sviluppo, il funzionamento e le patologie è molto difficile, ma di enorme importanza per la salute. Di qui gli enormi finanziamenti che sono stati e saranno sempre più messi a disposizione del settore, un potenziale volano straordinario anche di crescita economica, senza dimenticare però anche le grandissime implicanze etiche che hanno le ricerche più avanzate nell'ambito delle neuroscienze. La ricerca italiana nell'ambito delle neuroscienze Come sappiamo la ricerca italiana è globalmente di buona qualità. La lettura di un recente rapporto (2013) commissionato dal governo inglese a Elsevier, in cui si confrontano i risultati delle ricerche dei ricercatori inglesi con quelli di molte altre nazioni - tra cui l’Italia - sembra indicare che i ricercatori italiani sono molto efficienti, addirittura più efficienti degli statunitensi. In realtà la quantità totale di ricerca prodotta è inferiore a quella di altri paesi europei simili a noi per dimensioni, come Francia, Regno Unito e Germania. Però, siamo in buona posizione per quanto riguarda il rapporto tra risultati ottenuti e soldi spesi. Ne consegue in maniera abbastanza evidente 47 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) che il sistema della ricerca scientifica italiana è già molto efficiente e che difficilmente sarà possibile migliorare questi indici continuando a tagliare la spesa per la ricerca. Quanto detto sopra in generale per la ricerca, è vero anche nell'ambito delle neuroscienze, per le quali esiste in Italia una grande tradizione testimoniata anche dai premi Nobel, che vanno da Golgi alla Levi Montalcini, dagli eccellenti neuroscienziati come Moruzzi e i suoi allievi come Maffei e Rizzolatti ed altri di grande valore, protagonisti di straordinarie scoperte nell'ambito delle neuroscienze. I tanti ricercatori di eccellenza testimoniano il dono individuale di genio e dedizione dei nostri ricercatori, cui manca tuttavia nel sistema Italia una migliore organizzazione ed un approccio più meritocratico di valutazione. Un ottimo indicatore di quanto sopra è la capacità dei nostri migliori ricercatori, anche molto giovani, di vincere i più prestigiosi grant europei come per esempio l'ERC, ma, come sappiamo anche dalle polemiche giornalistiche di questi giorni, lavorando come sede all'estero e senza intenzione di tornare in Italia. Il nostro sistema formativo sembra capace di valorizzare nel processo formativo le capacità di genio e dedizione dei nostri ricercatori, ma non poi di consentire loro di esprimerle nel nostro paese. Nel proseguo di questo breve lavoro cercherò di illustrare meglio questo punto, venendo all'argomento della neuropsichiatria infantile e alle possibilità di formazione e lavoro di ricerca per giovani medici interessati alla ricerca sanitaria nel settore. La formazione dei giovani medici come potenziali ricercatori nell'ambito della neuropsichiatria infantile L’insegnamento di neuropsichiatria infantile esiste in molti - ma non in tutti - i corsi integrati di scienze pediatriche del sesto anno del Corso di Laurea di Medicina e Chirurgia, ed al massimo con 1 CFU. Anche per questo il numero di studenti che preparano la loro tesi di laurea in neuropsichiatria infantile è basso. Alle problematiche quantitative si aggiungono le note criticità comuni che nascono dalla mancanza di una formazione alla ricerca del corso di Medicina e Chirurgia, ed altre tipiche della materia, come reparti di specialità dove lo studente dovrebbe formarsi, che non sempre hanno massa critica sufficiente o non sono collegati con Laboratori (per es. molecolari o di imaging od altro) di grande qualità. L'altra potenziale fonte formativa è rappresentata dalle scuole di specializzazione in neuropsichiatria infantile che sono oggi 18, con un numero totale di contratti per l'anno accademico 201448 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) 15 di 90. Il panorama di queste scuole è anch’esso variegato, sia per le possibilità formative in termini di posti letto dedicati, sia per la possibilità di avere strutture di laboratorio di eccellenza, necessarie ai fini formativi assistenziali per una medicina specialistica moderna, sia per creare le conoscenze nell'ambito della ricerca ed il desiderio di continuare la formazione nell'ambito della ricerca stessa. Molto pochi sono i casi di specializzandi che chiedono di far coincidere l'ultimo anno della scuola specializzazione con il dottorato, pratica virtuosa ma spesso non appetibile né da parte del candidato anche in termini economici, né da parte dei direttori della scuola di specialità, che temono la perdita di un anno di forza lavoro per uno specializzando che si dedica all'attività di dottorato nell’ultimo anno. Pochi sono i medici neo-specialisti che poi accedano al successivo momento formativo che è quello del dottorato di ricerca. Sono attualmente 22 i dottorati di ricerca in Italia in cui è compreso l’SSD MED39 Neuropsichiatria Infantile, collocati in 16 sedi universitarie per la maggior parte afferenti alle Neuroscienze. Nell’ambito della carriera universitaria, che dovrebbe essere successiva al dottorato, i docenti del SSD MED39 sono oggi in Italia 77, di cui 18 professori ordinari, 20 professori associati e 39 ricercatori. Di questi ultimi solo 4 sono ricercatori a tempo determinato tipo A (3 anni + 2 secondo la legge 240/2010) ed uno soltanto è ricercatore a tempo determinato tipo B. Il ricercatore tipo B ha un posto per 3 anni, ma è l’unico con possibilità di “tenuretrack” ed afferenza successiva automatica al posto di professore associato se nel frattempo avrà ottenuto l'abilitazione nazionale. L'ultimo dato significativo e purtroppo anch’esso negativo per i numeri molto esigui è la presenza di assegnisti di ricerca nell'area della neuropsichiatria infantile, che sono in tutto soltanto 13. Il panorama della ricerca universitaria del SSD contenuto in questa descrizione è - come si vede estremamente limitativo. Possibilità per un giovane interessato alle neuroscienze cliniche dell'età evolutiva di presentare un progetto di ricerca su bandi di selezione su base competitiva Le fonti di finanziamento della ricerca sanitaria in Italia sono sia di natura pubblica che privata (vedi Tabella 1). Il contenitore principale in ambito pubblico è il Ministero della Salute attraverso i bandi di ricerca finalizzata che vengono emanati ogni anno od ogni due anni. Oltre al Ministero 49 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) della Salute vi sono il MIUR, le Regioni, il 5 × 1000. A queste fonti pubbliche si aggiungono nell'ambito privato le Fondazioni Bancarie, le Casse di Risparmio, l'AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca contro il Cancro), Telethon, altre associazioni per specifiche malattie (per es. Sclerosi Multipla ed altre) che costituiscono il privato non-profit. Ad esse si aggiungono poi come privato for profit le imprese farmaceutiche. Tabella 1. Fonti di finanziamento della ricerca sanitaria in Italia Erogatore Natura Note Ministero della Salute Pubblica Comprende la ricerca corrente e finalizzata e nell’interno di quest’ultima subcapitoli quali giovani ricercatori, progetti ordinari, progetti di rete ed altri AIFA Pubblica Ricerca indipendente sui farmaci MIUR Pubblica Comprende attualmente soprattutto i bandi PRIN e FIRB Regioni — 5xmille Cittadini — Fondazioni bancarie e Casse di Risparmio Privato non profit Comprende ricerca in ambito biomedico, scienze naturali e tecnologie AIRC Privato non profit Finanziamenti per progetti di ricerca e borse di studio a ricercatori Telethon Privato non profit Comprende diverse tipologie di finanziamento per ricercatori nell’ambito delle malattie rare Altre Fondazioni per specifiche patologie Privato non profit — Imprese farmaceutiche Privato non profit Dati contrastanti a seconda della fonte usata; Farmindustria indica che 2/3 viene speso in sviluppo e 1/3 in ricerca Con l'eccezione di quest'ultime, il cui investimento nella ricerca - almeno per l'Italia - si è però considerevolmente ridotto negli ultimi anni, il rapporto proporzionale tra finanziamento pubblico e privato alla ricerca sanitaria è fortemente sbilanciato per il primo (circa 2/3 verso 1/3). Alla luce degli ultimi progetti emanati e di cui si conoscono già i risultati in termini di progetti vincitori, fornirò ora alcuni dati relativi alla presenza delle neuroscienze, ed in particolare le neuroscienze dell'età evolutiva, nei diversi bandi, anche con alcune informazioni di confronto con le scienze pediatriche più generali. 50 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Iniziando dal PRIN-MIUR questo bando - di cui vi sono risultati della call 2010-12 (si è appena conclusa la presentazione della call 2015) - è desolante per la scarsità delle risorse messe a disposizione e per la sporadicità con cui il ministero emette il bando stesso. L'area 06 ha visto il successo di 38 progetti, di cui solo 3 nell'area delle neuroscienze (nessuno riferibile alle neuroscienze cliniche dell'età evolutiva); la presenza delle scienze pediatriche in generale tra i vincitori sembra limitata a un solo progetto. L'altro bando MIUR specificatamente dedicato ai giovani è stato il FIRB 2013. Dei 46 progetti risultati vincitori per la linea 1 le neuroscienze mediche hanno visto il successo solo di 7 progetti, di cui uno soltanto sembra nell'ambito delle neuroscienze cliniche. Telethon ha grandi meriti per la ricerca nell'ambito delle malattie rare nel nostro paese. L’Ente ha visto più di 450 milioni investiti in progetti di ricerca negli ultimi anni, con il finanziamento di 1556 ricercatori e di 2570 progetti di ricerca. Più di 470 sono state le malattie studiate in questi progetti di ricerca. Il sito Telethon indica 218 progetti di ricerca in corso in questo momento, per 41 tematiche di cui 17 riconducibili all'ambito delle neuroscienze. Telethon ospita bandi di ricerca per progetti esplorativi per ricercatori che lavorino in strutture di ricerca solide. Per specifiche tematiche vi sono anche i bandi del Career Award Program per Outstanding Young Scientists, bandi di cinque anni con possibilità anche per Therapeutic Clinical Trials. Le possibilità che ricercatori provenienti nell'ambito delle neuroscienze dell'età evolutiva e della neuropsichiatria infantile accedano a questi bandi sono estremamente scarse, tranne che afferiscano a gruppi di ricerca molto forti. I bandi più interessanti per giovani ricercatori sono quelli che appartengono ai bandi di ricerca finalizzata (RF) che ogni anno od ogni due anni vengono emessi dal Ministero della Salute. Questi bandi sono prevalentemente, ma non esclusivamente, indirizzati agli IRCCS (i 49 Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico), la fonte più rilevante di ricerca sanitaria del nostro paese, da cui provengono buona parte delle pubblicazioni in ambito sanitario. I dati dell'ultimo bando di ricerca RF 2013 sono molto interessanti per valutare le possibilità da parte di un giovane ricercatore interessato alle neuroscienze dell'età evolutiva di ottenere un finanziamento in Italia per svolgere un progetto di ricerca. Gli stanziamenti dell'ultimo bando di RF assommavano a 76 milioni di euro di cui 27.5 milioni per progetti “giovani ricercatori”, 10 milioni di euro per progetti di rete, 10 per progetti svolti in collaborazione con un ricercatore italiano all'estero, 5 per progetti cofinanziati dall'industria. Il resto del finanziamento era destinato a progetti 51 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) di ricerca finalizzata ordinari. Oltre agli IRCCS come sempre potevano presentare progetti l’ISS, le Aziende Ospedaliere afferenti alle diverse regioni ed altri enti. In totale i progetti presentati per l’RF 2013 sono stati 2999, cui è seguito un processo di selezione estremamente rigoroso, e quindi certamente troppo lungo, in larga parte affidato a revisori internazionali che sono stati più di 13.000, facenti capo a strutture di ricerca avanzata nel mondo (per lo più NIH). La selezione finale ha visto la recente proclamazione di 221 progetti risultati vincitori, con una percentuale di vincita di circa il 7%. I dati più interessanti ai fini del presente Report di ricerca sono quelle relativi ai risultati per i progetti giovani ricercatori (Tabella 2). Tabella 2. Risultati RF 2013 Ministero della Salute. Progetti Giovani Ricercatori: totali vincitori 93 PROGETTI CLINICO ASSISTENZIALI PROGETTI BIOMEDICI Vincitori 47 – Score ottenuto: 7 – 13.5 - Area Neuroscienze 19 (Neuroscienze età evolutiva 2) - Altre aree pediatriche 4 Vincitori 46 – Score ottenuto: 7-10 - Area Neuroscienze 13 (Neuroscienze età evolutiva 2) - Altre aree pediatriche 3 In totale sono risultati vincitori 93 progetti, di cui 47 nell'ambito clinico-assistenziale e 46 in quello biomedico. Dei progetti clinico-assistenziali risultati vincitori, 19 riguardavano il settore delle neuroscienze, ma solo 2 le neuroscienze dell’età evolutiva (un progetto dedicato ai disturbi dello spettro autistico e l'altro ai disturbi specifici dell'apprendimento), mentre altri 4 progetti assistenziali riguardavano altri argomenti della ricerca pediatrica. Per quanto riguarda i 46 vincitori dell'ambito biomedico, 13 afferivano all'area delle neuroscienze, di cui solo 2 alle neuroscienze dell'età evolutiva (un progetto sulla disabilità intellettiva e l'altro sul disturbi dello spettro autistico) e 3 ad altri settori delle scienze pediatriche. I risultati sono quindi buoni per le neuroscienze in generale, che sono fortemente rappresentate anche nell'ambito della rete degli IRCCS, ma decisamente molto meno favorevoli per le neuroscienze dell'età evolutiva, quindi per progetti che potevano coinvolgere ricercatori formati nell'ambito della neuropsichiatria infantile. Proporzionalmente sembra ancora peggiore la performance dei ricercatori appartenenti alle scienze pediatriche diverse dalle neuroscienze. 52 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Guardando anche alle altre categorie di progetti vincitori, diverse rispetto ai giovani ricercatori, ritroviamo un certo numero di progetti vincitori per argomenti di neuroscienze dell'età evolutiva nell'ambito dei progetti a rete e dei progetti ordinari e con cofinanziamento dell'industria. I risultati dell’RF 2013 sono di grande interesse anche per comprendere alcuni aspetti generali della ricerca sanitaria del nostro paese, per esempio in termini geografici (le performance delle strutture sanitarie del Centro Nord sono risultate 3-4 volte migliori rispetto al resto del paese). Alcune prospettive conclusive Come la pediatria, la neuropsichiatria infantile è una disciplina che vede insieme la componente ospedaliera ed universitaria o di IRCCS che opera in Centri di III o II livello, con quella extraospedaliera (quantitativamente molto più rilevante) che opera individualmente o in strutture di medicina territoriale. Entrambe queste medicine hanno un grande bisogno di ricerca, per poter fare sempre meglio l'assistenza. La scommessa è quella di poter creare strutture di ricerca assistenziale sempre più avanzate e di grande livello, che comprendono anche i Clinical Trial Centers, in cui tra l'altro sperimentare le terapie innovative che prima o poi irromperanno, grazie gli investimenti sulla ricerca nell'ambito delle neuroscienze. Tra di esse pensiamo ai farmaci che in tempi medi saranno a disposizione per la psicofarmacoterapia basata sulla natura fisiopatologica a livello molecolare nei diversi tipi del Disturbi dello Spettro Autistico, o la medicina rigenerativa nelle lesioni precoci del sistema nervoso o la sperimentazione, che già in parte è in atto, di biomarcatori per la diagnosi precoce di malattie neurologiche e psichiatriche, per monitorare l'andamento della malattia e l'efficacia di trattamenti innovativi. Accanto a questo tipo di ricerca vi è tuttavia un grande bisogno di buona ricerca assistenziale, basata sull'impiego massiccio di RCT, alla ricerca dell'evidenza dei trattamenti presenti e futuri, per la sperimentazione di nuovi modelli assistenziali di presa in carico delle malattie. La buona ricerca clinica così condotta ha portato delle modificazioni importanti nella presa in carico di alcune malattie croniche e nella qualità della vita di questi bambini. L’importanza di queste esperienze di ricerca con i suoi risultati sottolinea il dovere di migliorare la formazione dei neuropsichiatri infantili, e soprattutto dei giovani alla ricerca, perché possano diventare protagonisti di queste ricerche. Modifiche del processo formativo per questi giovani potrebbero essere inserite sia attraverso l'obbligatorietà di corsi dedicati alla ricerca clinica nel corso di medicina (anche per rendere più efficace e utile la tesi di laurea finale, la cui qualità dovrebbe essere resa migliore), ma soprattutto 53 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) attraverso corsi formativi alla ricerca ed esperienze obbligatorie nel corso della scuola di specializzazione. Un buon ricercatore, anche se opera in ambito della ricerca assistenziale, deve aver fatto esperienze di ricerca anche in ambito preclinico, almeno per gli aspetti metodologici. Le carenze strutturali di molte scuole di specialità possono trovare una soluzione soltanto attraverso strette collaborazioni tra più sedi universitarie e con enti di ricerca. Devono essere messi a disposizione degli specializzandi laboratori avanzati di ricerca che sono una fonte insostituibile per la loro formazione. L'esperienza della messa in rete e dei consorzi a scopo formativo nell'ambito della ricerca dev'essere anche la base essenziale dei master post-universitari dedicati alla ricerca clinica, nel caso della neuropsichiatria infantile, da caratterizzarsi anche per ambito per aree tematiche più specifiche. È necessario che più risorse vengano dedicate alla ricerca di tipo assistenziale, soprattutto quelle destinate ai giovani, ma anche nelle caratteristiche di progetti da prevedere nei bandi. Per esempio nei prossimi bandi RF del Ministero della Salute, è importante che tutti i ricercatori debbano essere giovani e con un discreto CV (per evitare numeri eccessivi di domande come ora avviene). Deve essere impedita l'indicazione del giovane ricercatore soltanto come “bandiera” all'interno di progetti gestiti di fatto da ricercatori più senior. Il Ministero della Salute sta studiando varie novità per i progetti giovani ricercatori, anche per le tematiche di bando che siano più funzionali al servizio sanitario nazionale. Ultimo aspetto già in parte accennato riguarda l'importanza delle reti tematiche e funzionali, per rendere produttiva la ricerca in neuroscienze cliniche nel nostro paese (Sandrini, 2015). Strutture sanitarie che hanno nella loro mission la ricerca sanitaria e cioè gli IRCCS si stanno organizzando per reti funzionali su mandato del Ministero, per esempio gli IRCCS di neuroscienze, in cui si stanno formando reti per le malattie neurodegenerative, per le piattaforme tecnologiche, per la neuroriabilitazione ed altre in via di organizzazione. È già stata indicata l’opportunità all’interno degli IRCCS di Neuroscienze di una struttura organizzativa dedicata alla neurologia ed alla psichiatria dell'età evolutiva, settori challenging sul piano scientifico e demanding quantitativamente e qualitativamente su piano assistenziale. I risultati ottenuti dell'ultimo bando RF sono indicativi per la situazione di difficoltà di questo ambito di ricerca, in particolare nei giovani ricercatori. L'unica risposta possibile è quella di un lavoro di rete dedicato al settore e quindi di una rete IRCCS dedicata alle neuroscienze dell'età evolutiva che comprende gli Istituti dedicati in maniera esclusiva al bambino ed all’adolescente, gli IRCCS di 54 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) neuroscienze dell’adulto per la loro parte sull’età evolutiva, ma anche i grandi IRCCS pediatrici per le loro strutture di neuropsichiatria e i grandi numeri di pazienti con i diversi disturbi del sistema nervoso che vi afferiscono, spesso per patologie singolarmente rare, ma anche per le tecnologie e laboratori di alta tecnologia e specializzazione dedicati. Questa rete ha ambizione di fare buona ricerca assistenziale, anche potenzialità formativa, al momento migliore rispetto a quanto alcuni reparti universitari possano offrire. La ricerca assistenziale in questo ambito deve andare anche oltre le strutture di eccellenza scientifica ed assistenziale, nelle modalità di coinvolgimento con le strutture territoriali. Questo lavoro per essere funzionale dovrà avere necessariamente uno stretto collegamento con le strutture territoriali di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (Sgandurra e Cioni, 2010). Gli studi RCT di efficacia di terapie innovative, e di sperimentazioni di modelli vedono come indispensabili questi collegamenti, da rendere possibili attraverso la formazione dei giovani medici alla ricerca clinica nella scuola di specializzazione. REFERENZE A report prepared by Elsevier for the UK’s Department of Business, Innovation and Skills (BIS). https://www.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/263729/bis-13-1297international-comparative-performance-of-the-UK-research-base-2013.pdf Cioni G., Sgandurra G. La ricerca in riabilitazione: un ponte tra università, ospedale e territorio. Giorn. Neuropsich. Età Evol. 2007; 27: 473-485. Markram H. Seven Challenges for neurosciences. Funct Neurol. 2013; 28: 145-151. Ministero della Salute .Ricerca finalizzata 2013, la Graduatoria dei progetti vincitori. http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?menu=notizie&p=dalministero&id=2243 Sandrini G. What are the perspectives for technology platforms in the field of neuroscience? Funct Neurol. 2015; 30: 89. World Health Organization, 2008. The Global Burden of Disease. 2004 Update. World Health Organization, Geneva. 55 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Il ruolo delle società scientifiche dell’area pediatrica nella promozione della ricerca Giovanni Corsello La ricerca scientifica è uno strumento insostituibile per garantire l’evoluzione delle conoscenze e delle competenze in campo clinico. Nello stesso tempo l’attività di ricerca è diventata uno degli indicatori di qualità più diffusi e accettati. Ricerca e innovazione sono le leve principali per la crescita e lo sviluppo di un paese moderno. Ricerca di base e ricerca traslazionale in un’area vasta come la pediatria devono porsi come un metodo di lavoro integrato e come un investimento per il futuro. Nel corso degli anni si è assistito in Italia ad un progressivo allontanamento dei laureati in medicina e chirurgia dall’addestramento alla ricerca scientifica dovuto a cause diverse tra cui la difficoltà di una pratica in tal senso durante il corso di laurea e in parte anche durante i corsi di specializzazione, per un prevalente addestramento di ordine professionalizzante; la carenza di proposte metodologiche strutturate verso la ricerca nelle Università e nelle scuole di specializzazione; la carenza di dottorati veramente orientati alla ricerca in area pediatrica (esperienze limitate per numero e tipologia). La pediatria come disciplina medica è nata nella seconda metà del XIX secolo con forti contenuti sociali. Sino a quell’epoca i bambini erano oggetto di interessi prevalentemente filantropici, ma non avevano intorno a loro un interesse scientifico chiaro e condiviso. Le malattie infettive, l’ematologia e la malnutrizione sono stati gli ambiti che per primi hanno avuto un impulso di ricerca, con ricadute notevoli in termini di miglioramento delle condizioni di salute dei bambini e di aumento della loro sopravvivenza. Le cliniche universitarie e i grandi ospedali pediatrici hanno ospitato a lungo ricercatori, che si sono dedicati nelle corsie e nei laboratori a potenziare le attività di studio e di ricerca, pur in assenza nella maggior parte dei casi di percorsi specifici e delineati a livello istituzionale. Il fiorire delle specialità pediatriche nel corso del XX secolo è stato una sorta di lievito che nel mondo occidentale ha dato un ulteriore contributo ai progressi scientifici nella pediatria. Le peculiarità del bambino, come soggetto che per i suoi processi di crescita e di sviluppo non può essere tout-court assimilato all’adulto, hanno consentito che si raggiungessero risultati di ricerca 57 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) importanti all’interno del mondo scientifico della pediatria, che sono stati progressivamente trasferiti in campo assistenziale. In Italia, la promozione della ricerca in pediatria non ha mai avuto una spinta istituzionale, né sono state messe in atto politiche ufficiali in favore delle attività di ricerca, soprattutto in direzione dei giovani medici che avessero voluto dedicarsi alle attività di ricerca. Anzi, in molti casi, la necessità di privilegiare le attività assistenziali e le attività di didattica, ha determinato un cambiamento del profilo di attività di giovani assunti per motivazioni di ricerca. È il caso di ricercatori o di assegnisti di ricerca che si sono trovati a dover privilegiare altre attività istituzionali a discapito degli obiettivi di ricerca sanciti nei contratti per cui si era ottenuto l’arruolamento. La carenza di risorse dedicate alla ricerca scientifica e l’insufficienza strutturale e logistica di molte realtà hanno favorito questo processo, che ha reso spesso difficile ed episodica l’attività di ricerca anche laddove ve ne erano le premesse e le potenzialità. Nelle Università diventa necessario e strategico definire modelli organizzativi e aree funzionali a supporto della ricerca, come viene diffusamente fatto per la didattica. Sono necessari non solo i manager per la didattica ma anche per la ricerca nelle diverse aree. Spesso i ricercatori di area biomedica e clinica sono autodidatti e devono gestire sia le attività organizzative di ricerca, che gli aspetti relativi alla tutela intellettuale e alla valorizzazione dei risultati della propria ricerca. È necessario reclutare il personale universitario in modo coerente con gli obiettivi di promuovere la ricerca e non utilizzarlo a scopi prevalentemente didattici o assistenziali, pur nella condivisione che la ricerca nelle discipline cliniche non può essere sganciata da una utile integrazione delle competenze. La pari dignità tra attività di ricerca e attività assistenziale va sancita ai vari livelli istituzionali. Le società scientifiche in molti casi hanno dovuto a volte vicariare le carenze istituzionali, come del resto hanno fatto anche il mondo delle associazioni o istituzioni internazionali e l’industria. Si sono creati network spontanei e collegamenti interistituzionali che hanno consentito alla ricerca pediatrica nel nostro paese di raggiungere risultati estremamente lusinghieri in molte aree, al punto da mettersi in linea con i risultati di paesi che hanno investito di più e meglio nella ricerca in termini di risorse umane, di laboratori e di fondi dedicati. L’integrazione tra ricerca di base e ricerca clinica in pediatria si è rivelata particolarmente fruttuosa in molte discipline specialistiche con ricadute sulla pratica pediatrica. Le malattie croniche, le malattie genetiche e le malattie rare, i nuovi farmaci e vaccini, solo per citare alcuni esempi, hanno 58 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) avuto negli ultimi anni un grande sviluppo grazie alle attività di ricerca, spesso promosse da aziende e industrie che hanno investito capitali privati nei settori dell’innovazione diagnostica e terapeutica. Per quanto riguarda nello specifico la pediatria, bisogna valorizzare di più le ricerche multidisciplinari, che includono anche le aree biologiche e le attività traslazionali, nonché i settori specialistici dell’adulto. Interazione e integrazione diventano fondamentali in questo ambito. Altro aspetto da curare, in parte collegato al precedente, è quello della internazionalizzazione, da attuare favorendo gli scambi e i contatti dei giovani ricercatori con le istituzioni di ricerca estere. In questo panorama nazionale, che non ha visto realizzarsi una programmazione delle attività di ricerca da parte delle istituzioni e le cui risorse finalizzate in questa direzione sono state in passato e restano allo stato attuale esigue, un ruolo importante possono giocare oggi le società scientifiche dell’area pediatrica. Le linee lungo le quali si possono indirizzare interventi efficaci da parte delle società scientifiche possono essere riassunte in: - Interventi di stimolo e di supporto verso giovani medici e ricercatori interessati a svolgere stage di ricerca in centri accreditati a livello nazionale e internazionale. Bandi e premi di ricerca possono rappresentare un volano per incentivare le attività dei giovani in questo senso, in particolar modo verso gli stati esteri. - Interventi di didattica orientati alla predisposizione di studi e ricerche possono essere svolti dalle società scientifiche attraverso corsi di formazione metodologici che comprendano anche la modalità di preparazione di paper scientifici in linea con gli standard internazionali. - Studi e ricerche multicentriche possono ricevere dalle società scientifiche un coordinamento utile per costruire dei network tra enti e istituzioni interessati a mettere insieme casistiche e approcci diagnostici di laboratorio. - Pubblicazione di lavori scientifici su riviste ad alto fattore di impatto possono essere supportati da interventi ad hoc delle società scientifiche di riferimento. - Pubblicazione di linee guida e di protocolli clinici in grado di favorire lo sviluppo di studi e di ricerche finalizzate. - Diffusione attraverso la partecipazione di ricercatori a eventi scientifici nazionali o internazionali in qualità di relatori per diffondere i contenuti delle ricerche svolte e pubblicate su riviste a diffusione internazionale. 59 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Il reclutamento dei ricercatori clinici negli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico Angelo Ravelli, Alessandro Aiuti, Paolo Petralia In preparazione 61 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) LA FORMAZIONE PER UNA CARRIERA DI RICERCA CLINICA: ESPERIENZE E PROPOSTE Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Rapporti tra la ricerca specialistica in Pediatria e la ricerca specialistica nella Medicina dell’adulto Francesco Chiarelli, Laura Comegna, Simone Franchini Il principio universale dell’evidence-based medicine (EBM) si fonda sulla necessità di utilizzare studi critici e di alta qualità come guida per una corretta pratica clinica, corroborata da evidenze solide pubblicate in letteratura (Guyatt et al., 2002). È giudizio generale, pienamente condiviso dall’EBM, che il gold standard tra le pubblicazioni scientifiche sia rappresentato dai randomized-controlled trials (RCTs) e dalle review sistematiche, che ne cumulano ed analizzano in modo critico i risultati(Pocock, 1983; Chalmers, 1998; Kleijnen et al., 1998). Le migliori review sistematiche e gli RCTs che hanno comportato le maggiori scoperte scientifiche sono stati e continuano ad essere pubblicati su riviste ad alto impatto scientifico. Tra queste rientrano - ad esempio - Annals of Internal Medicine, British Medical Journal, The Lancet, Journal of the American Medical Association, The New England Journal of Medicine, e ancora Nature, Science, Blood, Neurology, Circulation o Cell. Pubblicare su queste riviste è indipendente dalla provenienza del gruppo di ricerca, sia che si occupi di ricerca di base, di ricerca pediatrica o di medicina dell’adulto. Tra gli indicatori bibliometrici quello più diffuso è l’impact factor (IF), che misura l’importanza di una rivista. L’IF non esprime un giudizio intrinseco sul valore scientifico delle opere che appaiono in una determinata rivista (Fava et al., 2002), ma indica la serietà e la diffusione della rivista (Fabbris, 2011). Un punto di discussione rilevante è rappresentato dal differente impatto che hanno le principali riviste scientifiche che si occupano di uno specifico settore della medicina dell’adulto se confrontate con le riviste di ambito pediatrico, generali e specialistiche. Confrontando gli Impact Factor di alcune delle più diffuse riviste questa differenza appare evidente. La rivista pediatrica con più alto Impact Factor ha un valore di circa 7, per un valore medio di tutte le riviste che si aggira intorno al 3.5. Per quanto riguarda le riviste di medicina generale invece l’Impact Factor maggiore è quello del New England Journal of Medicine (55.873).Tale divario permane anche in campo specialistico (Tabella 1 e Tabella 2) (http://impactfactor.weebly.com). 65 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Tabella 1. Confronto Impact Factor tra riviste di medicina generale e riviste pediatriche (http://impactfactor.weebly.com). RIVISTE DI MEDICINA RIVISTE PEDIATRICHE GENERALE New Engl J Med 55,873 J Am Acad Child Psy 7,26 Lancet 45,217 Jama Pediatr 7,148 Jama-J Am Med Assoc 35,289 Arch Pediat Adol Med 5,731 Ann Intern Med Bmj-Brit Med J Arch Intern Med Plos Med 17,81 Pediatrics 17,445 Pediatr Obes 17,333 J Pediatr-Us 14,429 5,473 4,573 3,79 Tabella 2. Confronto Impact Factor tra riviste specialistiche dell’adulto e riviste specialistiche pediatriche (http://impactfactor.weebly.com). Endocr Rev Diabetes Diabetes Care Mol Endocrinol J Clin Endocr Metab Lancet Infect Dis Clin Infect Dis J Infect Dis J Infection Am J Res Crit Care Lancet Resp Med Thorax Nat Rev Neurosci Trends Cogn Sci Behav Brain Sci Nat Neurosci J Neurosci ENDOCRINOLOGIA 21,059 Pediatr Diabetes 8,095 J Clin Res Pediatr Endocrinol 8,42 J Pediatr Endocr Met 4,022 6,209 MALATTIE INFETTIVE 22,433 Pediatr Infect Dis J 8,886 5,997 4,441 PNEUMOLOGIA 12,996 Pediatr Pulm 9,629 8,29 NEUROLOGIA 31,427 Dev Med Child Neurol 21,965 J Child Neurol 20,771 Pediatr Neurol 16,095 Neuropediatrics 6,344 Child Nerv Syst 2,569 1,538 0,995 2,723 2,704 1,717 1,695 1,24 1,114 1114 66 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Ca-Cancer J Clin Nat Rev Cancer Lancet Oncol J Clin Oncol Blood Annu Rev Immunol Nat Rev Immunol Immunity Gastroenterology Gut Hepatology Eur Urol J Am Soc Nephrol Nat Rev Nephrol Semin Nephrol J Am Coll Cardiol Eur Heart J Suppl Eur Heart J Circulation Mol Psychiatr World Psychiatry Am J Psychiat Jama Psychiat Ann Rheum Dis Nat Rev Rheumatol Rheumatology EMATO-ONCOLOGIA 115,84 Pediatr Blood Cancer 37,4 J Pediatr Hemat Oncol 24,69 Pediatr Hemat Oncol 18,428 10,452 IMMUNOLOGIA 39,327 Pediat Allerg Immunol 34,985 Pediatr Infect Dis J 21,561 GASTROENTEROLOGIA 16,716 J Pediatr Gastr Nutr 14,66 11,005 NEFROLOGIA 13,938 Pediatr Nephrol 9,343 J Pediatr Urol 8,542 2,483 CARDIOLOGIA 16,503 Pediatr Cardiol 15,8 15,203 14,43 PSICHIATRIA 14,496 J Am Acad Child Psy 14,225 J Child Psycol Psyc 12,295 Eur Child Adoles Psy 12,008 REUMATOLOGIA 10,377 Pediatr Rheumatol 9,845 4,475 2,384 1,096 0,902 3,397 2,723 2,625 2,856 0,898 1,31 7,26 6,459 3,336 1,607 Un lavoro scientifico in ambito pediatrico avrà quindi un impatto maggiore sulla comunità scientifica se pubblicato su una rivista di medicina generale con maggiore IF/autorevolezza. Ma un gruppo che si occupa di ricerca pediatrica riesce a pubblicare su tali riviste non di settore? 67 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Prendendo in analisi i lavori pubblicati su una delle riviste più importanti, come il New England Journal of Medicine durante l’anno appena trascorso si nota come questa rivista ha pubblicato 1567 lavori, di questi solamente 110 sono lavori pediatrici, in percentuale il 7%. E lo stesso accade per altre numerose riviste. Quindi possiamo affermare che un gruppo di ricerca pediatrico riesce a pubblicare maggiormente su riviste pediatriche meno impattate. Una buona parte dei lavori pubblicati sulle maggiori riviste scientifiche è frutto della ricerca di grandi gruppi americani; ma a livello europeo rimane forte il contributo del Regno Unito, Germania, Francia e Italia. Numerosi sono gli studi multicentrici. Durante il 2015 la gran parte dei lavori pediatrici pubblicati su NEJM sono americani ma anche lavori di gruppi europei: 4 lavori per i gruppi italiani, 7 per gli inglesi e a seguire Germania, Francia, Olanda e Spagna. Non sono stati considerati in questa analisi studi multicentrici (www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed). Pubblicare il risultato di un lavoro di ricerca su tali riviste può costituire un obiettivo rilevante della ricerca pediatrica per poter diffondere nuove scoperte ed innovazioni diagnostico-terapeutiche in ambito pediatrico e dare maggiore visibilità e rilevanza ai risultati, che avrebbero così una più ampia diffusione e risulterebbero più facilmente fruibili per la comunità scientifica internazionale. Generalmente, le pubblicazioni su riviste ad alto IF (soprattutto trials clinici e studi sperimentali) presentano livelli di evidenza maggiori rispetto ai lavori pubblicati su riviste meno impattate (Chuback et al., 2012; Cashin et al., 2011). In particolare, riviste scientifiche che si occupano di ricerca clinica con IF elevato presentano mediamente livelli di evidenza più alti rispetto alle riviste pediatriche generiche e specialistiche, con IF inferiore. Gli autori di lavori scientifici con livelli di evidenza più alti tendono a preferire la pubblicazione su riviste con maggiore IF, come The New England Journal of Medicine o The Lancet. La differenza nei livelli di evidenza tra riviste ad alto e quelle a medio-basso IF potrebbe essere quindi un bias di sottomissione, in quanto gli autori parrebbero essere incentivati a sottomettere i propri lavori scientifici su riviste maggiormente impattate (Jacobson et al., 2015). Da ciò deriva un minor numero di lavori scientifici pubblicati su riviste ad alto IF ma con un citation index maggiore e livelli di evidenza mediamente più alti, di contro una grande mole di dati provenienti da pubblicazioni su riviste generiche a IF più basso ma che spesso costituiscono la base per la “best-practice” clinica nell’era dell’EBM. Questa dicotomia è ancora più evidente in ambito pediatrico. De Mauro e collaboratori hanno confermato questo dato, sottolineando che la qualità degli RCTs condotti in epoca neonatale e in età infantile e pubblicati su “high-impact clinical journals” (HICJ) è mediamente superiore rispetto a quelli pubblicati su 68 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) “general pediatric journal” (GPJ) (De Mauro et al., 2011). Pertanto, HICJ pubblicano sicuramente lavori scientifici con elevati livelli di evidenza, di ottima qualità e che rispettano criteri di validità e rigore scientifico (soprattutto nel caso di RCTs), tuttavia pubblicano soltanto una parte dei lavori scientifici che vengono invece resi fruibili dai GPJ con IF più basso ma che non vanno trascurati (Jacobson et al., 2015). I bambini costituiscono una fascia di popolazione notevolmente eterogenea e con caratteristiche individuali estremamente variabili, particolarmente bisognosa di tutela, che presenta differenze significative rispetto agli adulti. Sono importanti sempre nuove ricerche in ambito pediatrico per fasce di età e stadio di sviluppo; tuttavia, non sempre tali investimenti sembrano orientati sufficientemente verso l’ambito pediatrico (Klassen et al., 2008). Un ambito molto attivo della ricerca scientifica è quello della sperimentazione di nuovi farmaci, indirizzati a gruppi di popolazione generale, e pediatrica in particolare, con specifiche condizioni morbose. Tali medicinali devono essere testati prima di un loro commercializzazione ed impiego su larga scala e le sperimentazioni cliniche devono svolgersi tutelando al massimo i soggetti coinvolti nei test (ISTUD 2012). Le somministrazioni farmaceutiche pediatriche sono centinaia di milioni ogni anno; ciò nonostante, la maggior parte dei farmaci attualmente disponibili sul mercato è stata studiata e sperimentata quasi esclusivamente su pazienti adulti, e sono spesso privi dell’autorizzazione per l’uso specifico nei bambini (uso off-label). Ad esempio, nel periodo 1991-2001, l’FDA ha approvato 341 nuove molecole, di cui solo 69 (20%) sono state approvate anche per l’uso nei bambini. Negli anni il gap tra sperimentazione sull’adulto e sperimentazione pediatrica pare invariato o è addirittura aumentato (Steinbrook, 2002) (Figura 1). Mentre il numero di RCTs su popolazione adulta pubblicato negli ultimi 20 anni su HICJ è raddoppiato, nessun cambiamento ha riguardato invece la produzione di RCTs pediatrici (Cohen et al., 2007; Cohen et al., 2010). Inoltre gli RCTs su popolazioni pediatriche vengono pubblicati soprattutto su GPJ (come Pediatrics) piuttosto che su “general medical journals” (GMJs) (Cohen et al., 2007). Infine, il numero elevato di lavori diversi dagli RCTs (ad esempio, studi osservazionali ed epidemiologici) può fornire una spiegazione alternativa o suppletiva all’aumento di questo gap tra la ricerca in età adulta e quella in ambito pediatrico (Martinez-Castaldi et al., 2008) (Figura 1). 69 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Figura 1 – Nuove molecole indicate per l’uso pediatrico al momento dell’approvazione (dati sulle entità potenzialmente utili nei bambini sono stati raccolti solo fino al 1997) (Steinbrook, 2002). Globalmente meno del 15% di tutti i farmaci commercializzati e meno del 50% di quelli destinati all’uso pediatrico si basano su prove cliniche ottenute in popolazioni pediatriche (European Commission 2013). La carenza di farmaci autorizzati per l’uso pediatrico è la diretta conseguenza della scarsità di sperimentazioni cliniche pediatriche. Cohen et al. (2007) hanno mostrato che una netta prevalenza di RCTs su popolazione di soli adulti rispetto a quelli su popolazione mista o esclusivamente pediatrica (età 0-18 anni). È stato accertato, inoltre, un aumento sostanziale del numero di RCTs condotti sugli adulti rispetto a quelli condotti in pazienti pediatrici (Cohen et al., 2007). Il panorama non è migliore se guardiamo alla ricerca clinica condotta in Italia. Dati AIFA relativi al periodo 2000-2006 infatti mostrano che su 4252 sperimentazioni cliniche autorizzate nel nostro Paese, solo l’11,3% comprendeva soggetti fra 13 e 18 anni, e solo l’8,2% ha arruolato anche pazienti d’età inferiore a 12 anni. Infine, soltanto 99 studi comprendevano esclusivamente bambini con meno di 12 anni. Le classi di farmaci maggiormente studiate sono state gli antibiotici per uso sistemico, i farmaci per l’apparato respiratorio e le terapie ormonali sostitutive con ormone sintetico (AIFA 2007). Analogamente, nel periodo 2004-2009 solo il 9,8% delle sperimentazioni cliniche autorizzate nel nostro paese comprendeva soggetti fra 13 e 18 anni, e l’8,9% ha arruolato pazienti fino a 12 anni; solo 70 studi avevano la popolazione pediatrica come soggetto principale di studio 70 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) (AIFA 2010). Infine, su 676 studi clinici autorizzati nel 2011 meno del 10% ha coinvolto soggetti con meno di 18 anni (AIFA 2012). Figura 2 – Numero di pubblicazioni di RCTs, divisi per età, nelle cinque principali riviste scientifiche internazionali di ambito medico, nel periodo 1985-2004 (Cohen et al., 2007). Un’analisi pubblicata nel 2008 e condotta su 189 studi su popolazione adulta e su 181 su popolazione pediatrica ha mostrato che tra gli studi sugli adulti rispetto a quelli su bambini la maggior parte erano RCTs (23.8% negli adulti vs 8.8% nei bambini) o review sistematiche/ metanalisi (10.6% vs. 1.7%) ed erano più frequentemente di tipo interventistico e legati alla sperimentazione di nuove procedure diagnostiche e terapeutiche (38,1 vs 17,7%). Decisamente meno comuni gli studi tipo cross-sectional (16.9% vs. 40.9%) ed epidemiologici (6.4% vs. 26.5%) (Martinez-Castaldi et al., 2008). Tra le cause che limitano la conduzione di studi clinici pediatrici vanno ricordati: la difficoltà di reperire un campione di studio sufficiente, soprattutto nell’ambito delle malattie rare; la notevole eterogeneità della popolazione pediatrica nelle diverse fasce d’età; la necessità di formulazioni farmaceutiche ad hoc per l’età pediatrica; la necessità del consenso informato dei genitori. Ai pediatri spesso mancano dati sui profili di sicurezza ed efficacia dei farmaci nella fascia pediatrica, tenendo conto che: il meccanismo molecolare di interazione può essere diverso; i meccanismi 71 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) fisiopatologici dei processi morbosi possono risultare peculiari; i profili farmacocinetici e farmacodinamici sono caratteristici dell’epoca dello sviluppo, quindi non traslabili da modelli adulti (Klassen et al., 2008). Rappresentano una eccezione gli studi sperimentali in ambito oncologico (Steinbrook, 2002). Il numero relativamente ridotto di casi disponibili costringe a ridurre la potenza dello studio e comporta un costo elevato per raccogliere un congruo numero di pazienti, con la necessità di strutturare lo studio come multicentrico. (AIFA 2012). Un gruppo internazionale di esperti di metodologia clinica ha creato un forum allo scopo di sviluppare degli standard per la ricerca in ambito pediatrico per incrementare la disponibilità di RCTs pediatrici di alta qualità (http://www.ifsrc.org/) (Klassen et al., 2008). Inoltre, l’Europa e gli Stati Uniti hanno emanato leggi e regole che incoraggiano le compagnie farmaceutiche ad investire una parte delle loro risorse nella ricerca sul paziente pediatrico, al fine di ottenere dati sull’efficacia, la sicurezza e i profili farmacocinetici e farmacodinamici dei nuovi agenti farmacologici. Ciò nonostante, ad oggi non si evince una riduzione netta del gap con la produzione scientifica sull’adulto (Bosch, 2008; Benjamin et al., 2006; Boots et al., 2007). Per superare i suddetti limiti e implementare la ricerca pediatrica è fondamentale quindi la continua integrazione con i gruppi di ricerca della medicina dell’adulto. Basti pensare ai progressi in tema di terapie con farmaci biologici o alle terapie ormonali sostitutive con ormone umano ricombinante. Il primo farmaco sperimentato è stato l’etanercept (recettore solubile del TNF). Successivamente molte altre molecole biologiche (anakinra, infliximab, adalimumab, ecc.) sono state sintetizzate e sperimentate soprattutto in campo reumatologico, gastroenterologico, ematologico ed oncologico. Dai primi risultati ottenuti da studi nell’adulto si è poi partiti per la sperimentazione clinica nel paziente pediatrico. La limitata disponibilità di prodotti medicinali specifici per i bambini ha creato un mercato farmaceutico "orfano", con inevitabile prescrizione di numerosi farmaci “off-label”. Ad ogni modo l’interazione tra ricerca clinica pediatrica e ricerca clinica nella medicina dell’adulto può generare o aumentare il rischio di invasione della medicina dell’adulto anche nell’assistenza dei bambini con patologie specialistiche: tale rischio può essere prontamente prevenuto attraverso una ricerca scientifica sempre più ricca di contenuti e nuove evidenze, che permetta anche di stilare linee guida validate al fine di limitare la generalizzazione degli interventi clinici sulla base delle evidenze disponibili sulla popolazione adulta. Inoltre sviluppare tali linee guida significa monitorare efficacemente le stesse evidenze scientifiche ed individuare le aree di incertezza verso cui indirizzare la ricerca clinica, soprattutto nei settori specialistici della pediatria. Un’agenzia 72 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) nazionale per la ricerca clinica e l’appropriatezza sarebbe la risposta ideale per limitare l’ingerenza della ricerca sull’adulto su quella pediatrica (SIP 2012). In conclusione, un argomento dibattuto nella comunità scientifica risulta essere quello della scelta della rivista verso la quale indirizzare la pubblicazione del proprio lavoro scientifico: produrre numerosi lavori scientifici, pubblicandoli su riviste con IF medio-basso oppure elaborare un numero contenuto di lavori da indirizzare però a riviste altamente impattate. Ad un approccio iniziale parrebbe quasi di contrapporre una produzione scientifica di tipo quantitativo, a scapito della qualità, ad una qualitativa, con elevati livelli di evidenza e ristretti criteri di validità e rigore scientifico. In realtà l’obiettivo dovrebbe essere quello di incrementare i livelli di evidenza di tutti i lavori scientifici pubblicati, al fine di ridurre il rischio di bias e di incrementare l’impatto scientifico delle pubblicazioni (Jacobson et al., 2015). REFERENZE AIFA, 11° Rapporto Nazionale, 2012. AIFA, 6° Rapporto Nazionale, 2007. AIFA, 9° Rapporto Nazionale, 2010. Benjamin DK Jr, Smith PB, Murphy MD, et al. Peer-reviewed publication of clinical trials completed for pediatric exclusivity. JAMA. 2006; 296:1266-73. Boots I, Sukhai RN, Klein RH, et al. Stimulation programs for pediatric drug research – Do children really benefit? Eur J Pediatr. 2007; 166: 849-55. Bosch X. Europe follows U.S. in testing drugs for children. Science 2008; 309: 1799. Cashin MS, Kelley SP, Douziech JR, et al. The levels of evidence in pediatric orthopaedic journals: where are we now? J Pediatr Orthop. 2011; 31: 721–5. Chalmers I. Unbiased, relevant and reliable assessments in health care. BMJ. 1998; 317: 1167-8. 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Tra queste, certamente hanno svolto un ruolo essenziale sia i processi di globalizzazione, con maggiori possibilità di scambi culturali, sia l’input operato sul sistema universitario che è stato spinto sempre più verso una maggior competitività con l’introduzione della possibilità di caratterizzare l’efficienza e la produttività dei differenti atenei. Nel corso degli anni si è assistito così a modifiche dell’orientamento degli studenti che risultano sempre più indirizzati verso una “carriera clinica” già a partire dalla metà del loro percorso di laurea orientandosi pertanto (sempre più precocemente) verso un futuro “che guarda” al successivo corso di specializzazione. Tali cambiamenti, nei percorsi di orientamento verso gli studi di medicina, sono in realtà già presenti sin dagli ultimi anni della scuola secondaria di secondo grado (o “scuola superiore”), dopo l’introduzione degli esami di ammissione a numero limitato ai Corsi di Laurea di Medicina e Chirurgia. Nel corso degli (ultimi) anni, infatti, gli studenti della scuola superiore che desiderano orientare i propri percorsi verso lo studio della medicina “attivano” (a partire dagli ultimi due anni del loro corso di studi scolastici superiori) un tipo di preparazione rivolto verso conoscenze generali, logiche, matematiche e scientifiche di tipo medico, volte al superamento dell’esame di ammissione finale ai Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia. Gli effetti di questo processo di evoluzione sono facilmente documentati dal fatto che tutti i settori scientifico-disciplinari preclinici e dell’area BIO risultino ad oggi appannaggio quasi esclusivo di laureati provenienti da corsi di laurea diversi da quello di Medicina e Chirurgia. Come altra conseguenza si è assistito nel corso dell’ultimo ventennio a una progressiva e marcata riduzione della quantità di tesi di laurea svolte negli insegnamenti del primo biennio del Corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Appare inoltre maggiormente evidente la diminuzione del numero di medici che concorrono a dottorati di ricerca preclinici, che è ancora più marcata nei concorsi per i ruoli di ricercatore negli stessi settori scientifico-disciplinari. Tali cambiamenti drastici del sistema di 75 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) educazione e formazione medica hanno determinato una progressiva perdita dello stesso valore delle tesi di Laurea in Medicina e Chirurgia. Infatti, sempre più, gli studenti sono proiettati verso la formazione specialistica post-laurea con scarso interesse nello svolgimento di un proprio programma di ricerca, rivolto alla stesura di una tesi sperimentale. Spesso, i lavori di tesi risultano non direttamente svolti, nelle loro singole sezioni, dagli studenti, i quali invece, sempre più frequentemente, prediligono tesi compilative e prive di ogni diretto coinvolgimento in attività di ricerca. Lo svolgimento di un programma di ricerca è spesso ritenuto un impegno lungo e pesante, privo di un reale vantaggio ai fini del raggiungimento del titolo di studio. Solo in una piccola percentuale di soggetti è presente una diretta vocazione per la ricerca. Ciò che si sta verificando è il progressivo allontanamento dei laureati in Medicina e Chirurgia dall’addestramento alla ricerca scientifica, le cui cause si potrebbero riassumere come segue: • la difficoltà a confrontarsi in maniera continuativa con la ricerca durante il corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia; • la carenza di una proposta didattica che integri l’addestramento alla professione medica con quello alla ricerca; • la difficoltà a continuare il percorso formativo post-laurea con il Corso di Dottorato, che entra in competizione con lo svolgimento della Scuola di Specializzazione. Sulla base di tali cambiamenti e carenze del sistema di formazione delle Scuole di Medicina e Chirurgia, si dovrebbe optare per un processo di formazione di tipo multifunzionale e flessibile, in grado di identificare le diverse vocazioni dei discenti, al fine di valorizzare le capacità cliniche e, laddove presenti, anche quelle scientifiche. Le attitudini di alcuni dei nostri allievi alla ricerca dovrebbero essere evidenziate già nel corso di laurea, di per sé lungo, al fine di non disperdere questo patrimonio, che, se abbandonato a se stesso, con un corso di specializzazione successivo fortemente e giustamente professionalizzante, correrebbe il rischio di essere estinto. Questo effetto negativo potrebbe essere ulteriormente favorito dai processi di cambiamento introdotti dalla globalizzazione con centralizzazione delle risorse a livello mondiale e in strutture virtuose, e trasferimento tecnologico e valorizzazione della ricerca in sedi specifiche. Tali effetti sono evidenziati dal problema noto come “fuga dei cervelli” che comporta la perdita di professionisti potenzialmente produttivi per il nostro paese: allo stesso tempo, però va ricordato come questi professionisti, per diventare tali, necessitino di un percorso variegato e di un passaggio (quasi) “obbligato” in istituzioni estere, per completare la propria formazione. Per questo da un lato i corsi di studio devono dotarsi di percorsi di eccellenza che 76 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) identifichino gli studenti più portati per la ricerca e che permettano la differenziazione del titolo acquisito al termine del periodo di studio. L’attivazione di corsi di eccellenza rappresenta certamente un importante processo di cambiamento volto allo sviluppo di sistemi di alta formazione in area sanitaria, in quanto proprio la nostra tipologia di corsi deve, e sempre più dovrà in futuro, presentare la doppia valenza di preparazione di un medico specialista, ma anche, per una minoranza non meno importante, di un “ricercatore clinico” (“physician-scientist” o “physician-investigator”). In tale prospettiva in un numero sempre più crescente di paesi a livello mondiale sono stati creati e sviluppati nuovi percorsi formativi associati ai corsi di Medicina e Chirurgia tipicamente descritti dal programma integrato definito come MD-PhD. Il Programma MD/PhD [dall'inglese MD: Medical Doctor; e dal latino PhD: Philosophiæ Doctor] è un percorso destinato a studenti in Medicina fortemente motivati. Ha essenzialmente l’obiettivo di preparare i futuri medici a operare nel punto di incontro tra la medicina clinica e la ricerca sperimentale. Pertanto il programma MD/PhD nasce dalla volontà di investire sulla formazione di medici con particolari capacità e potenzialità di guidare la transizione o la “traslazione” “bench-tobedside” che permetta in modo rapido di trasferire i risultati dal laboratorio al paziente, in quella che si definisce appunto “Medicina Traslazionale”. L’obiettivo didattico è istruire un gruppo ristretto di studenti di Medicina e Chirurgia affinché sviluppino interesse e competenza alla ricerca e vengano motivati a continuare dopo la laurea il loro percorso formativo con l’acquisizione del Dottorato di Ricerca. Questo Programma preparerà giovani medici capaci di lavorare in scienze di base, traslazionali e cliniche per incrementare conoscenze mirate allo sviluppo e all’applicazione di nuovi approcci di prevenzione, diagnosi e terapia. Cenni storici sul “MD-Ph Dprogram”: stato dell’arte negli Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna Il programma MD-PhD negli Stati Uniti è stato avviato negli anni ‘50, con il primo “Medical Scientist Training Program grant” (MSTPgrants) supportato dal National Institute of General Medical Sciences (NIGMS) nel 1964 presso tre principali università americane(National Institute of General Medical Sciences, 1998). Nel corso dei successivi 50 anni, un numero sempre più crescente di corsi sono stati attivati sia da parte del MSTP che da parte di altre istituzioni e degli stessi atenei. Nel 2009 si è calcolato che circa il 3.2% (547/16,838) di tutti i laureati in medicina che hanno superato l’abilitazione del Liaison Committee on Medical Education (LCME), hanno precedentemente frequentato un corso MD–PhD (Association of American Medical Colleges,2012, 77 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) 2015). Nel 2011 si è documentato un marcato incremento del numero di corsi relativi al programma MD-PhD, (presente in circa 111 delle 131 delle Scuole di Medicina degli Stati Uniti) (Andrioleet al., 2008; Barzansky e Etzel, 2011; Jeffeet al., 2014). Ulteriori dati dimostrano come nell’anno accademico 2012-2013, sono stati attivati circa 43 programmi supportati dal MSTP(Institutions, 2015). Ad oggi, il MSTP prevede il coinvolgimento di circa 45 università per un totale di 890 candidati, ed inoltre circa 75 Scuole di Medicina negli Stati Uniti supportano privatamente dei corsi MD/PhD non sponsorizzati dal NIGMS-MSTP training. Gli studenti afferenti a tale corso di studi sono direttamente coinvolti in un programma di formazione che prevede sia scienze biomediche di base e di laboratorio che un training clinico formativo incluso nel corso di Medicina. Al termine di tale processo formativo i laureati acquisiscono il titolo di MD-PhD e la maggior parte prosegue al propria carriera nel campo della ricerca di base e clinica. Il percorso di studio per gli studenti del programma MD-PhD è generalmente diviso in tre parti, definite sulla base del periodo necessario per il raggiungimento dei crediti formativi e descritti secondo una cadenza temporale (2-4-2 anni), con possibili variazioni della durata dei singoli periodi. Il primo periodo del programma MD/PhD prevede una fase iniziale di due anni caratterizzato da un coinvolgimento diretto dello studente in un periodo di studio e di corsi pre-clinici. Tale prima fase era poi associata dapprima ad un secondo periodo di circa 3 o più anni rivolto al completamento del PhD program con attività di ricerca e stesura dei risultati relativi alla propria attività e successivamente ad un terzo periodo di circa due anni di training clinico al fine del raggiungimento della laurea in Medicina. Per tutti gli studenti selezionati, il programma prevede la copertura di almeno 6 anni di supporto economico extra che riguardano un salario, la possibilità di essere esenti da lezioni ed una modesta somma economica per viaggi e materiali necessari relativi alle attività di ricerca da svolgere. Molti dei finanziamenti del MSTP sono borse di studio del National Research Service e perciò studenti con cittadinanza americana o anche in assenza di cittadinanza americana ma in possesso di regolare visto di soggiorno, quale per esempio registrazioni I-151 o I-551. Nel corso degli ultimi 20 anni tale approccio si è mostrato deficitario dal punto di vista di coesione tra “medical e graduate training”. Per tale motivo il modello organizzativo ha subito delle modifiche con un più precoce inserimento delle attività cliniche e di ricerca nelle fasi precoci del percorso di studio che poi vengono proseguite ed implementate nel corso dei successivi anni. Sebbene i diversi centri possono presentare ampie variabilità ed autonomia nella organizzazione dei programmi di 78 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) studio, si è assistito alla partecipazione full-time dei candidati ad attività cliniche in fasi sempre più precoci del percorso di studi ed ad una maggior flessibilità del curricula del corso per ogni candidato. Analisi effettuate dal “Medical Scientist Training Program committee” negli Stati Uniti nel corso degli anni hanno permesso di dimostrare come il programma è risultato efficiente nel raggiungimento degli obbiettivi prefissati. In particolare, dati ottenuti da analisi del 2014, hanno permesso di confermare che i laureati che hanno terminato l’American MD/PhD program hanno un maggiore tasso percentuale di successo delle applications per numerosi finanziamenti supportati dal National Institute of Health (NIH) [tra cui RPG e R01 grant) (site, 2015). Inoltre, sebbene solo l’1.5% di tutti laureati in Medicina degli Stati Uniti nel periodo post-laurea ha proseguito un’attività e una carriera di ricerca scientifica, è stato dimostrato come tale percentuale cresca enormemente nel corso degli anni. Infatti, si calcola che circa l’89% dei candidati del programma MD/PhD nel periodo successivo alla laurea rivesta ruoli presso istituti accademici o di ricerca di alto rilievo scientifico con attività di ricerca (Schwartz e Gaulton, 1999;Garrison e Deschamps, 2014). Risultati simili sono stati dimostrati anche in altri paesi quali il Canada, dove circa il 70% dei finanziamenti supportati dal “Canadian Institutes of Health Research (CIHR)” sono stati vinti da candidati precedentemente coinvolti in un programma MD/PhD. Nel periodo compreso tra il 2004 e il 2013, il numero totale di laureati provenienti da un programma integrato MD/PhD in Canada è risultato essere pari a circa 234 soggetti. Il report del NIH Physician-Scientist Workforce (PSW) Working Group del 2014, tuttavia, ha posto l’attenzione su alcuni allarmanti dati riguardanti importanti fattori che nel corso degli anni sembrano influenzare negativamente il raggiungimento degli obbietti del programma MD/PhD. In particolare il gruppo di analisi ha dimostrato un maggior tasso di fuoriuscita dal programma dei candidati ammessi al programma MD/PhD con contestuale aumento dell’età media dei medici-scienziati. Tale ultimo effetto risulta come diretta conseguenza sia della maggior età media all’inizio del programma che da una riduzione del numero di soggetti di giovane età che scelgono tale programma di studio con conseguente riduzione di soggetti di giovane età che andranno a sostituire coloro che andranno in pensione (Milewicz et al., 2015). Altre carenze del sistema sono state poste da studi condotti in Canada(CIHR Evaluation Unit, 2015). In particolare, componenti critiche in grado di influenzare negativamente la richiesta di partecipazione ai corsi integrati MD/PhD sono direttamente rappresentate da: (1) l’eccessiva lunghezza del corso rispetto al ciclo di Medicina e Chirurgia; (2) la mancanza di fondi ed in particolare di fondi dedicati; (3) minore remunerazione economica al termine del corso integrato rispetto a quello ottenuto con acquisizioni di lauree specialistiche; (4)ritardo di acquisizione dell’indipendenza economica raggiunta spesso più tardivamente rispetto al normale corso di laurea in Medicina e Chirurgia; (5) 79 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) l’assenza di figure di tutoraggio in grado di facilitare la formazione degli studenti; (6) mancanza di strutture/attrezzature appropriate per la formazione clinica e di ricerca degli studenti; (7) l’assenza di un appropriato tempo dedicato allo svolgimento di attività di ricerca. Tali fenomeni sono ora in via di discussione al fine di sopperire e contrastare tali effetti. In particolare risulta importante attivare processi in grado di attrarre un maggior numero di nuovi membri interessati a tale programma ed ad una minore età anagrafica, con riduzione di tutti quei processi di logoramento evidenziati nel corso di studi tra cui in particolare la lunga durata e l’utilizzo di canali differenziati e specifici per tali programmi. Anche alcuni paesi europei hanno adottato nel corso degli anni il programma MD/PhD ricalcando, con piccole variazioni, il sistema americano e tra questi la Gran Bretagna, la Germania (Bosse et al., 2011), la Svizzera (Kuehnleet al., 2009), oltre all’Australia(Poweret al., 2003) e Singapore(Hooi et al., 2005). La più lunga tradizione del programma MD/PhD in Gran Bretagna è rappresenta dai programmi attivi presso l’università di Cambridge a partire dal 1989 e lo “University College of London” (UCL) a partire dal 1994 (Coxet al., 2012;Stewart, 2012). In Gran Bretagna, gli studenti del programma MB/PhD iniziano il periodo formative del PhD dopo aver completato una iniziale periodo formativo che prevede l’acquisizione del titolo di “Bachelor’s degree (iBSc)”. Dati recenti calcolano che circa 30 studenti all’anno raggiungono annualmente il titolo di MB/PhD con una prevalenza annua pari al 0.5% del numero totale di laureati in Medicina e Chirurgia (Indicators, 2015). Dati disponibili dimostrano che la maggior parte degli studenti afferenti al programma completano il periodo di studi in circa 3.5 anni. Inoltre, in circa 79% dei laureate, si documenta la persistenza di un interesse diretto e un diretto impiego in attività di ricerca clinica (Bosse et al., 2011; Kuehnle Ket el., 2009)ed una percentuale pari al 45% risulta impiegato e prosegue la propria attività con un percorso clinico in istituzioni accademiche (“academic foundation, post-doctoral scientist/fellow, lecturer or professors”). In un recente studio condotto in Gran Bretagna è stato dimostrato come 4 (pari a circa il 14%) delle scuole di Medicina intervistate hanno attivato un programma MB/PhD, mentre in altre 5 scuole sono state attivate le procedure per il possibile inizio del corso nei prossimi anni (Barnett-Vanes et al. 2015). 80 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Programma MD/PhD in Italia In Italia, il programma MD/PhD, è stato sperimentato in due importanti atenei Italiani: nell’Università degli Studi di Torino e alla Sapienza Università di Roma. Successivamente, il modello adottato presso gli atenei di Torino e Roma, è stato parzialmente esteso anche ad altri atenei. Il percorso MD/PhD in Italia è oggi strutturato come percorso formativo aggiuntivo al Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia a partire dal 2° anno e porta al conseguimento simultaneo della Laurea in Medicina e Chirurgia e del certificato di alta qualificazione denominato “Diploma in Medicina Sperimentale”. A tal fine, la Scuola di Medicina [che porta al conseguimento di tale Diploma], promuove in particolare la formazione e la ricerca nell’ambito di tutte le scienze di base e cliniche, per la risoluzione di problemi di interesse medico raffigurandosi nelle seguenti caratteristiche: • multidisciplinarità scientifica; • correlazione tra scienze di base e scienze cliniche; • collegamento con l’ambiente assistenziale; • collegamento con il mondo imprenditoriale; • internazionalizzazione. Il percorso consiste nella frequentazione di un numero massimo di tre corsi tra quelli proposti e nella preparazione di una tesi sperimentale correlata. I corsi sono soprattutto pratici e consistono in lunghi periodi di frequenza e addestramento alla ricerca presso i laboratori e i reparti della Scuola di Medicina. Il doppio percorso permette di acquisire competenze e crediti formativi per i Corsi di Dottorato di Ricerca. La successiva iscrizione al Corso di Dottorato è un'opzione offerta ai diplomati e non un percorso obbligatorio. L’accesso al programma avviene attraverso un concorso nazionale per esami che viene svolto nei tempi e secondo le modalità ogni anno previste dal bando con indipendenza all’interno dell’Ateneo: l’accesso al concorso e dunque al programma è riservato agli studenti iscritti al 1° anno del corso di laurea (C.d.L.) in Medicina e Chirurgia di qualunque Università italiana. Il concorso verte su materie di base pre-mediche e sulle motivazioni del candidato/a. Sulla base dell’offerta formativa dell’ateneo, solo i candidati in posizione utile saranno ammessi al Programma e contemporaneamente frequenteranno il 2° anno di Medicina e Chirurgia. L'ammissione è condizionata dal superamento, entro la sessione autunnale, e nell’anno di iscrizione di tutti gli esami previsti per il 1° anno del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia dell’Università di provenienza con la media uguale o superiore a 27/30. Le attività didattiche, teoriche e pratiche, 81 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) dei corsi aggiuntivi, saranno svolte e coordinate da docenti delle Scuole di Medicina e Chirurgia e Scienze dalla Salute e delle Scuole di Dottorato, e sono nella maggior parte dei casi fruite a titolo gratuito. Il percorso formativo prevede la contemporanea frequenza del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia e del percorso aggiuntivo di Medicina Sperimentale. Quest’ultimo prevede, durante gli anni dal 2° al 6° del Corso di Laurea in Medicina, corsi specifici che coprano argomenti di ricerca di base, traslazionale e clinica, ove i primi siano propedeutici ai successivi, e che non possono essere affrontati all’interno del Corso di Laurea. L’attività Didattica è disciplinata da un apposito regolamento contenente (tra gli altri) i corsi proposti. I percorsi formativi di norma vedranno una sequenza di corsi che potranno essere di ricerca di base e clinica nello specifico settore (medicina, chirurgia, patologie materno-infantili, neuro-psichiatria) variamente combinati. L’allievo segue un percorso individuale, che sceglie autonomamente, in linea con le proprie attitudini e aspirazioni, e discute e concorda con il Comitato Didattico-Scientifico. Allo studente è garantita la massima flessibilità non solo nella scelta iniziale ma anche nel rimodellamento successivo del percorso. Inoltre, l’organizzazione del percorso permette anche la possibilità che lo studente venga guidato a costruirsi un curriculum personalizzato. I corsi aggiuntivi hanno contenuti teorico-pratici di alto valore scientifico e consistono soprattutto in attività da svolgere nei laboratori e nei reparti afferenti. I corsi sono integrati da programmi di scambio con le istituzioni universitarie più prestigiose a livello nazionale ed internazionale e dall'organizzazione di cicli di conferenze di particolare valore scientifico e culturale. Il percorso formativo prevede in ogni caso lo sviluppo di un progetto di ricerca da parte dello studente, concordato con i docenti responsabili dei corsi frequentati e approvato dal Comitato Didattico-Scientifico. Il progetto dovrà essere svolto in maniera sempre più autonoma e diventerà oggetto della tesi di Laurea e della tesi di Diploma. La tesi dovrà perciò obbligatoriamente essere sperimentale. Ogni triennio viene svolta una verifica sulla proposta dei Corsi con la possibilità di rimodellare il percorso inserendo nuovi corsi e/o sostituendo quelli già indicati. Durante tale periodo ogni allievo è affiancato da un tutor nominato dal Comitato Didattico-Scientifico durante tutto il periodo della frequenza del programma. Ogni allievo è tenuto ad aggiornare il proprio tutor sull'avanzamento degli studi sia per quanto riguarda i corsi ordinari del Corso di Laurea sia per quanto riguarda il piano di studi e il progetto di ricerca. Per ogni allievo è previsto l’accertamento dell’acquisizione dei crediti che avviene attraverso la presentazione al Comitato DidatticoScientifico del lavoro sperimentale svolto nel periodo di frequenza del corso. Sulla base di quanto svolto durante il programma integrato, per ogni allievo può essere presa in considerazione la possibilità di abbreviare la durata del corso di dottorato da tre a due anni in virtù del riconoscimento dei predetti studi ai fini del conseguimento del titolo di dottore di ricerca. Gli studenti del Corso di 82 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Laurea magistrale in Medicina e Chirurgia, ritenuti idonei a partecipare al percorso integrato MD/PhD, in aggiunta ai 360 crediti necessari per il conseguimento della laurea, devono acquisire, a partire dal secondo semestre del 2° anno della laurea magistrale, ulteriori 60 crediti per attività formative dedicate in modo particolare all’approfondimento di aspetti metodologici specifici e interdisciplinari di base, propedeutiche alle attività di ricerca da svolgere nel corso del biennio di dottorato, da intraprendere dopo il conseguimento della laurea magistrale. L’ammissione alla Scuola di dottorato in Scienze Biomediche dei laureati che hanno partecipato alle attività aggiuntive e acquisito i relativi crediti è subordinata al superamento di una selezione da svolgersi a cura di un’apposita Commissione nominata dal Rettore, su proposta del Consiglio Direttivo della Scuola stessa. Nel corso dei restanti due anni del percorso MD/PhD i dottorandi devono frequentare una delle strutture di riferimento della Scuola e sviluppare un progetto di ricerca nell’ambito della biomedicina. Il titolo di dottore di ricerca si consegue a conclusione dei due anni, all’atto del superamento dell’esame finale, che è subordinato alla presentazione di una tesi che illustri una ricerca originale, condotta con sicurezza di metodo e dalla quale emergano risultati di rilevanza scientifica adeguata. Gap dell’attuale sistema e possibili proposte di cambiamento Nel 1979, Wyngaarden, tentò di porre all’attenzione della collettività un importante problema riguardante segni di una possibile evoluzione verso l’estinzione dei ricercatori clinici [“physicianinvestigators”], ovvero di un’importante componente di comunicazione e traslazione tra ricerca e attività clinica. Tale affermazione derivò dall’osservazione della tendenza in rapido declino del numero di differenti figure di ricercatori (post-doctoral fellows, research-career-development awardees e research-project-grant-principal investigators) arruolati dal NIH degli Stati Uniti, sebbene in tale paese siano stati da tempo attivati programmi specifici MD/PhD. Varie sono le spiegazioni alla base di tale importante e allarmante fenomeno. Tale effetto può risultare alquanto paradossale se si considerano i continui progressi della scienza caratterizzati dal miglioramento di diagnosi, trattamento e prevenzione di un numero di patologia sempre più ampio. Tale paradosso può essere spiegato da numerose considerazioni che coinvolgono tutte le differenti tappe del complesso e spesso lungo percorso formativo. È stata posta l’attenzione su un’erronea informazione dei possibili candidati già al momento del reclutamento nei college, dove spesso gli studenti sono informati sulla possibilità di diventare medici o ricercatori scoraggiando la possibilità di poter accedere a corsi più complessi che prevedono l’arruolamento di circa il 2% di tutti gli 83 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) studenti di Medicina. Questo primo gap è ulteriormente rinforzato dalle commissioni di reclutamento degli studenti in Medicina che spesso non risultano più propense al reclutamento di candidati con precedenti esperienze di ricerca o che spesso non sono in grado di descrivere le potenzialità e la componente attrattiva di programmi rivolti alla formazioni di figure professionali in grado di conciliare l’attività clinica e di laboratorio. Inoltre, la possibilità di svolgere un progetto di ricerca da parte degli studenti nel corso degli studi del corso di laurea in Medicina è spesso dipendente dalle richieste dello studente stesso e solo una piccola percentuale di soggetti esprime tale propensione. La maggior parte dei laureati, inoltre, sebbene altamente istruita con un ampio bagaglio culturale, termina il proprio percorso con un importante debito economico risultante dal proprio corso di studi e ammontante a circa $90.000, riducendo pertanto l’interesse in un possibile futuro in ricerca e orientando la propria attenzione al raggiungimento di iniziali guadagni economici al fine di abbattere i debiti maturati. Inoltre, la possibilità di attività di ricerca è prevista solo nel corso di specializzazioni, ma tale periodo è spesso troppo limitato nel tempo, e/o viene svolto in maniera superficiale, né è in grado di fornire fondi specifici per intraprendere una lunga carriera di ricerca scientifica che consentano di fronteggiare le esigenze economiche della famiglia, ulteriormente aggravate dai carichi di spese. La maggior parte dei soggetti che decidono di perseguire le proprie aspirazioni di ricerca e clinica devono spesso fronteggiare le crescenti esigenze di aumentare la propria attività clinica sino a coprire oltre il 70-75% del salario, riducendo pertanto a solo il 25-30% circa il tempo dedicato alla formulazione di ipotesi di studio, alla ricerca di fondi, e alla formazione di un team di ricerca. Tale gap rappresenta un’importante carenza del sistema di formazione medico-scientifica. Infatti, sebbene la Scuola di Medicina esula dal compito propriamente definito del “come ottenere le risposte scientifiche” dal complesso e spesso lungo processo della ricerca di laboratorio, essa rappresenta certamente il posto ideale dove far emergere un elevato numero di domande riguardanti lo stato di salute e le varie patologie valutate nel quotidiano la cui risposta può essere ottenuta attraverso la ricerca di base e/o la ricerca clinica. Infatti, dal diretto coinvolgimento quotidiano dei ricercatori clinici nella diagnosi delle differenti patologia e nelle cure dei malati nasce la centralità del loro ruolo nella complessa rete di persone dedicate alla cura e prevenzione della salute pubblica. Il ruolo chiave del ricercatore clinico non è solo basato sulla capacità di porre appropriati temi di ricerca ma anche sul suo ruolo di permettere un flusso bidirezionale delle informazioni e comunicazioni. Infatti il ricercatore clinico è in una posizione ideale di comunicazione e collaborazione da un lato con i puri ricercatori (dottori di ricerca o PhD scientists) e dall’altro con il personale medico e paramedico. La mancanza di tale figura avrebbe rilevanti effetti negativi sul sistema della prevenzione e cura delle malattie e sul sistema sanitario in quanto non permetterebbe un opportuno e proficuo orientamento delle risorse al 84 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) fine di migliorare la qualità di vita e la sopravvivenza della popolazione. Tuttavia, nel corso dell’ultimo ventennio, sempre più studenti sono proiettati alla formazione specialistica post-laurea con scarso interesse nello svolgimento di un proprio programma di ricerca, rivolto alla stesura di una tesi sperimentale. Tale fenomeno è ulteriormente fortificato dalle nuove norme di regolamentazione dell’accesso al corso di specialistica post-laurea che prevede una perdita di valore del lavoro di tesi svolto durante il corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Per tale motivo i lavori di tesi risultano spesso non direttamente svolti dagli studenti con predilezione di tesi compilative, in quanto l’attività di ricerca viene considerata un carico di lavoro aggiuntivo e a volte ritardante il raggiungimento di un’iniziale introduzione nel mondo del lavoro e la successiva fase di crescita professionale rappresentata dal corso di specializzazione. Al tempo stesso, la piccola percentuale di studenti con vocazione nella ricerca che decidono di optare per i percorsi combinati non presentano vantaggi che possano incentivare l’interesse in tale percorso formativo caratterizzato da intensi periodi di studio ed impegno in attività di ricerca e attività clinica. Tutto questo sta determinando un progressivo allontanamento dei laureati in Medicina e Chirurgia dall’addestramento alla ricerca scientifica. Tale fenomeno è spesso favorito dall’assenza negli atenei di strutture amministrative apposite e con il compito di rappresentare il punto di colloquio diretto tra gli Atenei ed i futuri ricercatori. Nella prospettiva di un recupero della vocazione scientifica di base e traslazionale del medico, e della sua formazione, le Scuole di Medicina e Chirurgia dei singoli Atenei hanno un ruolo determinante di facilitatori e di accompagnatori del processo stesso. È ormai fondamentale passare da una logica di lavoro in cui il ricercatore è un factotum che svolge, gestisce ed amministra la propria attività scientifica, a quella di lavoro in team in cui la struttura amministrativa crea per il ricercatore tutte le strutture/attrezzature necessarie alla preparazione, presentazione e gestione del proprio progetto di ricerca, fino alla eventuale tutela di proprietà intellettuale e trasferimento sul mercato dei risultati. L’attività formativa della Facoltà di Medicina e Chirurgia del III millennio dovrebbe essere perciò rivolta alla preparazione dei suoi discenti secondo un processo che non sia rivolto alla sola preparazione di un buon medico, ma che predisponga, laddove esista la vocazione, anche ad una capacità scientifica, di ricerca, e di trasferimento delle conoscenze prodotte verso il mercato globale. Inoltre, come già accade in diverse realtà europee quali la Germania, al fine di permettere una adeguata differenziazione degli studenti coinvolti in programmi MD/PhD, si dovrebbero stabilire due tipologie di lauree: (a) una più medica, con acquisizione del titolo di medico e 85 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) possibilità di ulteriori sbocchi verso attività specialistica-professionale; e (b) una più specifica “medica-scientifica” con acquisizione del titolo di Dottore in Medicina, ma con maggior sbocchi nel campo della ricerca e accademica-clinica. Tale processo dovrebbe essere cosi rivolto al potenziamento del valore di tesi di laurea degli studenti afferenti al programma MD/PhD i quali al termine del processo formativo acquisirebbero comunque il titolo di Dottore in Medicina. Al contrario gli studenti direttamente coinvolti nel corso di laurea in Medicina e Chirurgia potrebbe proseguire il proprio corso di Laurea senza elaborare una tesi di Laurea al termine del corso ed acquisire il titolo di Medico. Tali variazioni permetterebbero una adeguata differenziazione dei due percorsi formativi. L’osservazione dei punti di forza e di debolezza dei nostri percorsi formativi e soprattutto l’analisi critica dei risultati ad oggi ottenuti in altri atenei internazionali potrebbe facilitare il processo di miglioramento delle scuole di Medicina e Chirurgia del nostro paese al fine di poter raggiungere un elevato grado di competitività e produttività del nostro sistema di formazione dei giovani medici e dei ricercatori clinici. Tali concetti sono la chiave di volta per innovare la formazione universitaria del medico in particolare per ripensare al rapporto fra strutture della formazione e dell’amministrazione dei nostri Atenei. In parallelo, l’attività di ricerca ha assunto un ruolo più rilevante rispetto ai decenni passati, come indicatore di qualità e per fornire quel valore aggiunto utile (necessario) per il mantenimento del ruolo centrale dell’Università nella Società. Ricerca e Innovazione sono, infatti, le principali leve per la crescita e lo sviluppo di un Paese moderno e l’Università può e deve giocare un ruolo determinante in questa partita. REFERENZE Activities of Graduates of the NIGMS Medical Scientist Training Program. Bethesda MNIoHh. Andriole DA, Whelan AJ, Jeffe DB. Characteristics and career intentions of the emerging MDPhD workforce. JAMA. 2008;300:1165-1173 Association of American Medical Colleges. Diversity in Medical Education: Facts and Figures 2012. Washington DAoAMC. https://members.aamc.org/eweb/upload/Diversity%20in%20Medical%20Education%20Facts%20an d%20Figures%202012.pdf. 2015 Barnett-Vanes A, Ho G, Cox TM. Clinician-scientist MB/PhDtraining in the UK: A nationwide survey of medical school policy.BMJ open. 2015; 5: e009852 86 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Barzansky B, Etzel SI. Medical schools in the United States, 2010-2011. JAMA. 2011; 306: 10071014 Bossé D, Milger K, Morty RE. Clinician-scientist trainee: A German perspective. ClinInvestMed. 2011; 34: E324 Brass LF, Akabas MH, Burnley LD, et al. Are MD-PhD programs meeting their goals? An analysis of career choices made by graduates of 24 MD-PhD programs. AcadMed. 2010; 85: 692-701 CIHR Evaluation Unit CIoHRSCAPER. Http://www.Cihr-irsc.Gc.Ca/e/45365.Html#a3. 2015 Cox TM, Brimicombe J, Wood DF et al. The Cambridge Bachelor of Medicine (MB)/Doctor of Philosophy (PhD): Graduate outcomes of the first MB/PhD programme in the UK. Clin Med(London). 2012; 12: 530-534 Garrison HH, Deschamps AM. NIH research funding and early career physician scientists: Continuing challenges in the 21st century. FASEB J. 2014; 28: 1049-58 Hooi SC, Koh DR, Chow VT. The NUSMBBS-PhD programme: Nurturing clinician-scientists for tomorrow. AnnAcadMedSingapore. 2005; 34: 163C-165C Indicators. HaaGO, http://www.oecd-ilibrary.org/social-issues-migration-health/health-at-a-glance2011_health_glance-2011-en. 2015UK. GMCTsomeapit, http://www.gmc uk.org/publications/somep2012.asp. 2015 Institutions. NIoGMSMSTPM, http://www.nigms.nih.gov/Training/InstPredoc/PredocInstMSTP.htm. 2015site. NP-SWPREoECNPoP-SwaMDNW, http://report.nih.gov/. 2015 Jeffe DB, Andriole DA, Wathington HDet al. Educational outcomes for students enrolled in MDPhD programs at Medical School matriculation, 1995-2000: A national cohort study. Acad Med. 2014; 89: 84-93 Kuehnle K, Winkler DT, Meier-Abt PJ.Swiss national MD-PhD -program: An outcome analysis. Swiss Med Wkly. 2009; 139: 540-546 Milewicz DM, Lorenz RG, Dermody TS, et al. Rescuing the physician-scientist workforce: The time for action is now.J ClinInvest. 2015; 125: 3742-3747 National Institute of General Medical Sciences. MSTP Study: The Careers and Professional Activities of Graduates of the NIGMS Medical Scientist Training Program. Bethesda MNIoHh, 1998. Power BD, White AJ, Sefton AJ. Research within a medical degree: The combined MB BS-PhD program at the University of Sydney.Medical JAust. 2003; 179: 614-616 Schwartz P, Gaulton GN. Addressing the needs of basic and clinical research: Analysis of graduates of the University of Pennsylvania md-phd program. JAMA. 1999; 281: 96-97, 9 Stewart GW. An MBPhD programme in the UK: The UCL experience. ClinMed (London). 2012; 12: 526-529 Wyngaarden JB. The clinical investigator as an endangered species. N Engl J Med1979; 301:12549. 87 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Dalla Specializzazione alla ricerca: il percorso congiunto Specializzazione-Dottorato di ricerca e la proposta di Percorso formativo (sub)specialistico in Pediatria Giuseppe Saggese, Gianni Bona, Luigi Maiuri, Alice Monzani Modifiche normative per la Scuola di Specializzazione di Pediatria Il 4 febbraio 2015 è stato emanato il Decreto Interministeriale di Riordino delle Scuole di Specializzazione (DI n.68). Il Decreto ha pienamente recepito la proposta di modifiche avanzate al MIUR ed al CUN dalla Conferenza dei Direttori delle Scuole di Specializzazione di Pediatria in un documento presentato già nel 2012. La considerazione preliminare che ha ispirato la proposta di modifiche da parte della Conferenza è stata quella che la pediatria viene identificata sul piano didattico-formativo dal settore scientifico disciplinare MED/38 “Pediatria generale e specialistica”, a significare che la pediatria deve essere considerata alla stregua della “medicina interna” del bambino comprendente, in un percorso unitario, sia la pediatria generale delle cure primarie e secondarie, sia i suoi settori specialistici. Un primo importante risultato ottenuto è stato quello che, a fronte della diminuzione generale della durata delle Scuole di Specializzazione attuata dal MIUR, la durata della pediatria è stata mantenuta di 5 anni. Questo primo risultato è stato preliminare per il secondo risultato ottenuto, cioè quello riguardante la nuova articolazione del percorso formativo. Nel trattare il nuovo percorso della Scuola di Specializzazione, in questa sede verranno presi in esame soprattutto quegli aspetti che fanno riferimento all’attività di ricerca che lo specializzando può svolgere durante la sua formazione. Secondo il Decreto, il nuovo percorso comprende, in analogia con il modello europeo di formazione specialistica previsto dall’European Board of Pediatrics, un primo triennio o curriculum di base, seguito da un biennio o curriculum della formazione specifica e dei percorsi elettivi. Nella figura è riportato lo schema dell’intero percorso formativo con le varie tipologie di attività formative e i relativi CFU. 89 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Il curriculum di base (triennio) è destinato all’acquisizione di un bagaglio di saperi comuni che tutti i pediatri devono possedere, indipendentemente dalla collocazione professionale futura. Gli obiettivi formativi del curriculum pediatrico di base si articolano in conoscenze, competenze professionali ed abilità nella pediatria generale e nei diversi ambiti specialistici della pediatria. Dunque lo specializzando viene esposto già dai primi anni anche ad una serie di attività, sia teoriche che professionalizzanti, riguardanti le (sub)specialità pediatriche. Come riportato nel Decreto, lo specializzando deve infatti eseguire con responsabilità diretta e crescente autonomia 500 visite specialistiche distribuite nei vari settori specialistici. Quindi, anche nella prima fase del triennio, lo specializzando frequentando durante le sue rotazioni i reparti specialistici, può iniziare a seguire progetti di studio e di ricerca clinica. Dopo il triennio, abbiamo il biennio della formazione specifica e dei percorsi elettivi con 3 indirizzi: 1) pediatria generale delle cure primarie o territoriali, 2) pediatria generale delle cure secondarie od ospedaliere, 3) ambiti specialistici della pediatria. Come riportati nel Decreto, gli obiettivi formativi del biennio sono finalizzati a consolidare ed approfondire le competenze già in essere, ad acquisirne di nuove ed a tracciare lo specifico profilo professionale e culturale che deve possedere il pediatra che si troverà ad operare nell’ambito delle cure primarie territoriali o delle cure secondarie ospedaliere o in uno tra gli ambiti pediatrici specialistici predisposti dalla Scuola di Specializzazione. Tali obiettivi si articolano in: a) obiettivi 90 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) formativi comuni a tutti i medici in formazione specialistica; e b) obiettivi formativi di ambito specialistico - professionale. Quanto osservato significa che la Scuola ha l’obiettivo di formare uno specialista in pediatria “a tutto tondo”, cioè uno specialista in grado di iniziare a svolgere la professione in qualsiasi ambito di lavoro si troverà ad operare una volta specializzato. Pertanto, i curricula del biennio della formazione specifica devono essere funzionali a completare la formazione del pediatra e a contribuire a definire il profilo professionale che lo specializzando pensa di ricoprire in futuro. In particolare, per quanto riguarda i curricula dei percorsi (sub)specialistici pediatrici (inclusivi di quello di neonatologia), essi non devono essere pensati come percorsi finalizzati a formare un “subspecialista” pediatra, bensì come momenti formativi propedeutici ad un percorso di alta formazione da svolgersi e completarsi in un tempo successivo al conseguimento del Diploma di Specialità. Durante il biennio (sub)specialistico, lo specializzando deve continuare la sua formazione in pediatria generale, neonatologia ed emergenza-urgenza. Pertanto ogni Scuola di Specializzazione deve essere in grado di formare un pediatra che andrà ad operare nelle cure primarie o secondarie, indipendentemente dagli indirizzi specialistici che vorrà/potrà attivare. Questa impostazione è seguita anche nel curriculum della Specializzazione in Pediatria del Royal College - Regno Unito, dove la durata dell’intero percorso va da 5 a 8 anni. I primi 3 anni rappresentano il tronco comune, o Core Training (CT); al termine lo specializzando può continuare il percorso di pediatra generale oppure orientarsi verso le (sub)specialità, percorso quest’ultimo che può continuare per altri 2-3 anni (ST6-ST8). Lo specializzando che opta per un percorso formativo (sub)specialistico deve comunque consolidare la sua formazione in pediatria generale e, dopo i primi 5 anni, ottiene il titolo di “specialista in pediatria”. Dunque, come già osservato, i curricula dei percorsi (sub)specialistici devono essere considerati come momenti formativi propedeutici ad un processo formativo da svolgersi e completarsi dopo la Scuola di Specializzazione. Fatte queste preliminari considerazioni, lo specializzando che opta per un indirizzo (sub)specialistico ha sicuramente l’opportunità di svolgere un’attività di ricerca clinica, essere inserito in progetti di ricerca e partecipare alla stesura di pubblicazioni. Un’attività di ricerca clinica può essere svolta anche frequentando l’indirizzo delle cure primarie e delle cure secondarie, ma, ovviamente, i settori (sub)specialistici rappresentano campi sicuramente appropriati per svolgere attività di ricerca. 91 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Come riportato nel Decreto (art. 5 comma 1), le attività svolte nei settori specialistici del biennio saranno riportate nel supplemento al diploma che correda il diploma di specializzazione e che certifica l’intero percorso formativo svolto dallo specializzando. Il supplemento al diploma fornisce al contempo dati per un “benchmark” tra le Scuole ed inoltre potrà servire, nel contesto della libera circolazione dei professionisti in Europa, per permettere ai nostri pediatri di presentare le credenziali professionali maturate nel corso degli anni della Scuola. Sicuramente un aspetto importante da affrontare riguarda l’attivazione degli indirizzi del biennio. È già stato osservato che la Scuola ha l’obiettivo di formare un pediatra in grado di lavorare in qualsiasi ambito professionale: territorio, ospedale, centri di 3° livello. Al contempo, uno dei principi ispiratori del nuovo Decreto è stato quello di legare maggiormente la formazione agli sbocchi lavorativi del futuro pediatra: da qui gli indirizzi del biennio che, come rilevato, hanno il significato di orientamento professionale. Per quanto riguarda in particolare gli indirizzi (sub)specialistici, il Decreto sottolinea che la Scuola può attivare gli indirizzi che essa “è in grado di offrire”. Questo implica che, nell’ambito delle singole Scuole, si dovrà realizzare un processo di accreditamento, che idealmente non dovrebbe trattarsi di un auto-accreditamento. La Conferenza dei Direttori delle Scuole di Specializzazione dovrà essere proattiva in questo senso, definendo dei criteri (strutture, casistica, personale strutturato dedicato, attività scientifica, etc.) in base ai quali una Scuola possa attivare un determinato ambito specialistico. Naturalmente, si dovrà anche tenere conto del fabbisogno dei (sub)specialistici, che dovrà essere basato su criteri demografici ed epidemiologici, analogamente a quanto viene fatto negli Stati Uniti. È chiaro che, in questo senso, tra le varie (sub)specialità la neonatologia riveste un ruolo peculiare rappresentando un’esigenza assistenziale importante. Per quanto riguarda infine i contenuti formativi degli indirizzi (sub)specialistici (acquisizioni culturali e manuali), essi sono stati definiti, per ciascun indirizzo, dalla Conferenza dei Direttori delle Scuole di Specializzazione e sono riportati in dettaglio nell’allegato al Decreto (pagg. 52-58). Il percorso congiunto Specializzazione-Dottorato di ricerca Per il medico in formazione in Pediatria che sia interessato ad ampliare il proprio curriculum verso la ricerca clinica sono attualmente disponibili o in fase di attuazione due opzioni. Il regolamento delle Scuole di Specializzazione prevede, per i Medici in formazione che intendano proseguire il percorso formativo con orientamento verso la ricerca clinica, la possibilità di un percorso congiunto specializzazione-dottorato di ricerca. Tale entità è normata dalla Legge n. 240 92 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) del 30 dicembre 2010, articolo 19, che recita: “è consentita la frequenza congiunta del corso di specializzazione medica e del corso di dottorato di ricerca. In caso di frequenza congiunta, la durata del corso di dottorato è ridotta ad un minimo di due anni”. Ad integrazione, il Decreto Ministeriale 8 febbraio 2013 n. 45 del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, prevede all'articolo 7 le modalità di raccordo tra i corsi di dottorato e le scuole di specializzazione mediche, come segue: a) lo specializzando deve risultare vincitore di un concorso di ammissione al corso di dottorato presso la stessa università in cui frequenta la scuola di specializzazione; b) la frequenza congiunta può essere disposta durante l'ultimo anno della scuola di specializzazione e deve essere compatibile con l'attività e l'impegno previsto dalla scuola medesima a seguito di nulla osta rilasciato dal consiglio della scuola medesima; c) il collegio dei docenti del corso di dottorato dispone l'eventuale accoglimento della domanda di riduzione a seguito di valutazione delle attività di ricerca già svolte nel corso della specializzazione medica e attestate dal consiglio della scuola di specializzazione; d) nel corso dell'anno di frequenza congiunta lo specializzando non può percepire la borsa di studio di dottorato. A partire dall'ultimo anno di specializzazione, lo specializzando può quindi orientarsi verso la ricerca, con il vantaggio di poter conseguire un ulteriore titolo in soli due anni anziché tre. Pur col vantaggio di una norma di legge che ne sancisce l’ufficialità, il percorso congiunto ha 2 limiti: il primo, costituito dalla difficoltà di avviare a una tipologia di PhD che non sempre, anzi quasi mai ha una connotazione pediatrica, alla luce anche del recente riordino dei Dottorati, è un limite relativo poiché rappresenta un progetto di ricerca inserito in un contesto allargato, spesso lontano dai temi inerenti la Pediatria, ma può costituire uno stimolo per il giovane ricercatore ad allargare gli orizzonti della sua vocazione alla ricerca. Il secondo è invece più difficilmente superabile ed è rappresentato dalla disparità di trattamento economico fra lo specializzando titolare di contratto e il borsista PhD. Certo si può ovviare con assegni di ricerca o altra modalità, ma tutto ciò non favorisce certamente l’arruolamento. 93 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Il percorso formativo (sub)specialistico in Pediatria Le (sub)specialità pediatriche costituiscono un tema di grande rilevanza per la Pediatria, in quanto hanno rappresentato la parte più qualificante del suo sviluppo scientifico-culturale negli ultimi 30 anni. Tale sviluppo ha avuto, e sempre di più avrà, importanti ricadute sulla qualità delle cure fornite dai pediatri nei settori specialistici della pediatria, come, ad esempio, la neonatologia, l’emato-oncologia, l’endocrinologia, la gastroenterologia, la pneumologia, la nefrologia, la neurologia, l’immunologia, la reumatologia, la cardiologia. Un esempio significativo è quello delle malattie croniche che, oggi, grazie alle migliorate possibilità di diagnosi e terapia riguardano fino al 18% della popolazione pediatrica. Tali patologie hanno bisogni speciali di cura e richiedono, in un contesto multidisciplinare, un’assistenza pediatrica specialistica. Quindi vi è oggi una forte necessità di pediatri (sub)specialisti in grado di affrontare problematiche assistenziali specifiche. Per questo motivo, al fine di completare la formazione (sub)specialistica del pediatra, iniziata durante la Scuola di Specializzazione, la Conferenza dei Direttori delle Scuole di Specializzazione, in sinergia con il Collegio dei Professori Universitari di Pediatria (COPUPE) e la Società Italiana di Pediatria (SIP), ha presentato al MIUR e al CUN una proposta di attivazione di un percorso formativo (sub)specialistico in Pediatria, da effettuarsi dopo la Scuola di Specializzazione. Tale proposta è stata accettata ed il progetto è ora in fase di attuazione. Lo scopo è quello di definire dei percorsi formativi (sub)specialistici, collegati in successione alla Scuola di Specializzazione, che vadano a integrare il biennio effettuato in una determinata (sub)specialità in modo da completare la formazione (sub)specialistica ottenendosi un diploma/certificazione di pediatra (sub)specialista in una delle suddette branche della pediatria. Tali percorsi avrebbero la finalità di formare pediatri (sub)specialisti di alto livello destinati a sbocchi professionali in ospedali pediatrici e centri di terzo livello. Struttura del percorso Il percorso formativo (sub)specialistico verrà svolto in più sedi, comunque non più di 2-3, consorziate ed individuate secondo requisiti prestabiliti. La sede amministrativa sarà unica con possibile rotazione. Il percorso sarà strutturato in 1-2 anni, anche in relazione alle diverse (sub)specialità. Dovranno essere predisposti dei syllabus, in cui verranno identificate, per ciascuna (sub)specialità, le conoscenze e le competenze pratiche da acquisire e su cui verrà organizzato il percorso. Dovrà 94 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) essere prevista anche una rotazione dei discenti, in quanto alcune competenze possono essere ottenute in alcune sedi piuttosto che in altre. L’attività svolta sarà prevalentemente di tipo professionalizzante, anche in termini di CFU. L’attività didattica formale verrà svolta attraverso lezioni frontali, discussioni di casi clinici, seminari, journal club. Particolare rilievo avrà la partecipazione attiva del discente a progetti di ricerca e alla collaborazione nella stesura di pubblicazioni. Inoltre, è possibile prevedere alcuni percorsi con orientamento prevalente verso la ricerca clinica specialistica, configurando così un'ulteriore opzione per i giovani pediatri interessati alla ricerca, in questo caso con taglio ancor più specifico nell'ambito delle (sub)specialità. Requisiti delle sedi Le sedi dovranno possedere casistica adeguata, ambienti dedicati, strumentazione necessaria, personale medico strutturato ed infermieristico dedicato allo specifico settore specialistico. Le sedi dovranno svolgere un’attività clinico-scientifica di eccellenza, ad esempio essere sede di centri di riferimento nazionale o regionale, oppure essere sede di reti di eccellenza per determinate patologie nell’ambito dello specifico settore (sub)specialistico pediatrico o presidi di reti per le malattie rare. La sede dovrà poter documentare una rilevante attività scientifica e di ricerca. Il possesso dei requisiti delle sedi sarà valutato da un board costituito per ciascun percorso e composto da 3-4 riconosciuti esperti del settore, di cui uno straniero. Requisiti dei discenti I discenti dovranno avere ottenuto la specializzazione in pediatria con, preferenzialmente, un supplemento al diploma che documenti di aver seguito il biennio di indirizzo nel settore (sub)specialistico del percorso. I requisiti curriculari dei discenti riguarderanno i loro livelli di autonomia, l’attività scientifica e di ricerca svolta. Per quanto riguarda il loro numero, trattandosi di un percorso professionalizzante, il numero dovrà essere necessariamente ridotto e commisurato alle necessità di (sub)specialisti pediatri nel settore. 95 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Valutazione finale La valutazione finale dovrà tenere conto delle capacità acquisite dal discente, in particolare per quanto riguarda il saper risolvere in totale autonomia problemi clinici, il saper eseguire le necessarie procedure specifiche del settore (sub)specialistico, il saper impostare un progetto di ricerca ed avere partecipato alla stesura di pubblicazioni scientifiche. Il diploma Il diploma rilasciato dalle Università, di concerto con il Ministero della Salute, sancirà l’acquisizione di competenze (sub)specialistiche in un determinato settore della Pediatria. Sulla strada per la realizzazione di questa opzione formativa post-Specializzazione non va infine trascurata la definizione dei costi che essa comporterà e l'individuazione di possibili finanziamenti per la loro sostenibilità. Resta da chiedersi quale significato possano assumere i Master di ricerca clinica in ambito pediatrico e se sia opportuno e vantaggioso orientare lo Specializzando al percorso di dottorato di ricerca. Probabilmente, al fine di snellire un percorso formativo già di per sé lungo ed articolato, si potrebbe prevedere che il biennio di formazione specifica sia già abilitante al conseguimento del diploma di (sub)specialità pediatrica. Inoltre, per favorire l'attitudine alla ricerca, la frequenza di Master di II livello inerenti la ricerca clinica in ambito pediatrico non dovrebbe essere preclusa durante il percorso di dottorato, ma anzi incentivata, al fine di realizzare appieno il curriculum di Alta formazione a cui fa riferimento il DI n.68. Resta da chiedersi quale significato possano assumere i Master di ricerca clinica in ambito pediatrico e se sia opportuno e vantaggioso orientare lo Specializzando al percorso di dottorato di ricerca. Probabilmente, al fine di snellire un percorso formativo già di per sé lungo ed articolato, si potrebbe prevedere che il biennio di formazione specifica sia già abilitante al conseguimento del diploma di (sub)specialità pediatrica. Inoltre, per favorire l'attitudine alla ricerca, la frequenza di Master di II livello inerenti la ricerca clinica in ambito pediatrico non dovrebbe essere preclusa durante il percorso di dottorato, ma anzi 96 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) incentivata, al fine di realizzare appieno il curriculum di Alta formazione a cui fa riferimento il DI n.68. REFERENZE Althouse LA, Stockman JA. The pediatric workforce: an update on general pediatrics and pediatric subspecialties workforce data from the American Board of Pediatrics. J Pediatr2011; 159: 1036-1040. Conferenza Permanente Direttori Scuole di Specializzazione di Pediatria, “Proposta di revisione del DM 1 Agosto 2005 - Riassetto delle Scuole di Specializzazione” Decreto Interministeriale 4 febbraio 2015 n. 68, “Riordino Scuole di Specializzazione di area sanitaria”. Graw M, Ng G. The Royal College of Paediatrics and Child Health programme for subspeciality training. Arch Dis Child 2006;91:71-73. Percorso (sub)specialistico pediatrico post-Scuola di Specializzazione. Conferenza Direttori Scuole di Specializzazione, COPUPE, SIP. 97 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) IL RECLUTAMENTO DEI GIOVANI MEDICI PER UNA CARRIERA ACCADEMICA Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Reclutamento nell’Università di giovani ricercatori dell’area pediatrica Claudio Pignata, Emilia Cirillo, Giuliana Giardino Introduzione In ambito universitario, garantire il turn over del personale docente in Pediatria rappresenta una necessità accademica per le finalità istituzionali direttamente inerenti la formazione del medico durante il corso di laurea. Se si considera, tuttavia, che una buona attività di didattica deve necessariamente prevedere un’ottima formazione scientifica del personale docente, e che le due attività di ricerca e didattica si auspica non debbano essere disgiunte, si evince che il problema del reclutamento dei giovani in una carriera di ricerca e universitaria è soprattutto un problema di formazione scientifica, che tenga conto delle nuove istanze e dei nuovi scenari della Medicina moderna. Basti pensare che Medicina traslazionale, Medicina sperimentale e Medicina personalizzata o di precisione rappresentano tre approcci ai problemi del malato, inesistenti appena due decadi orsono. Inoltre, accanto alla finalità precipuamente istituzionale vi è anche una finalità indiretta, ma a essa collegata, rappresentata dall’esigenza più generale di mantenere in vita quei settori di ricerca pediatrica, clinica e traslazionale, di rilevante profilo scientifico, la cui costruzione, protratta nell’arco di oltre tre decadi, ha richiesto lunghi periodi di formazione dei “senior” presso prestigiose istituzioni internazionali e intenso lavoro sinergico tra reti, in una dimensione interdisciplinare. In premessa va sottolineato che i professori universitari di area MED38, delle 3 fasce, erano 438 in Italia al 31.12.2010 e 354 (- 20%) ad oggi. Inoltre nel 2015, sono stati assunti in Italia solo 21 ricercatori MED38 di fascia A e nessuno di fascia B, nonostante le, sia pur modeste, disponibilità di budget. La situazione di grave sofferenza della Pediatria riflette solo in parte la sofferenza dell’Università in generale, in quanto in altri settori la decurtazione di organico è meno evidente. Ad esempio nel settore BIO10 si è passati da 863 docenti in organico nel 2010 a 809 nel 2015 (6.25%) e in quest’ultimo anno sono stati assunti nel nostro Paese più del doppio di ricercatori a tempo determinato rispetto al settore MED38. Il problema del reclutamento è evidentemente un problema di formazione del “giovane ricercatore”, di cronogramma del precariato in area biomedica, di legislazione ai sensi della legge di riforma universitaria 240/2010 con specifico riferimento ai requisiti per il reclutamento e la progressione in 101 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) carriera universitaria dei giovani, di definizione di “profili di competenza” dei giovani ricercatori, che siano funzionali alle esigenze scientifiche delle diverse e numerose aree di ricerca di interesse pediatrico, e di incontro tra domanda e offerta. La formazione del “giovane ricercatore” Il problema della formazione dei giovani medici ricercatori verso una carriera accademica o scientifica non è solo problema italiano, ma riguarda, sia pure in misura diversa, tutti i Paesi che gravitano in area anglosassone. Ad esempio, negli Stati Uniti dagli anni Ottanta, nell’arco dei successivi 30 anni, si è registrata una riduzione dal 5 all’1.5% del numero di medici che dedicano una parte significativa della loro carriera professionale alla ricerca (Dickler et al, 2007). Inoltre, l’età media dei ricercatori è notevolmente aumentata mentre si è ridotto il numero complessivo di ricercatori (Milewicz et al, 2015). Mentre nel 1980 solo il 25% dei grants veniva assegnato a ricercatori di età superiore a 50 anni, attualmente circa la metà è vinto da ricercatori di età superiore a 50 anni. Le principali cause identificate negli Stati Uniti per la riduzione del numero di ricercatori sono riconducibili ai seguenti fenomeni (Cornfield et al,, 2013): • La riduzione dei fondi destinati alla ricerca e la limitata disponibilità di fondi per assumere giovani ricercatori e per creare posizioni stabili per i ricercatori di età più avanzata, che abbiano intrapreso percorsi di formazione e avvio alla ricerca, determina che gli aspiranti giovani ricercatori siano spesso scoraggiati nell’intraprendere la carriera di ricerca. • I curricula dei corsi di laurea in Medicina e delle specializzazioni di ambito medico possono ulteriormente limitare la formazione di medici ricercatori. Per esempio, negli Stati Uniti, l’Accreditation Council for Medical Assurance impone l’inserimento delle Scuole in programmi di “quality assurance”. I nuovi requisiti per la certificazione da parte dell’American Board of Pediatrics fellowship, implicano competenze nella cura dei pazienti complessi, lo svolgimento della maggior parte dell’attività al letto dell’ammalato e la necessità di documentare gli obiettivi raggiunti. Ciò limita notevolmente il tempo che i giovani ricercatori, anche più motivati, possono dedicare ad acquisire gli strumenti per intraprendere un’attività di Medicina traslazionale. • Il medico aspirante ricercatore è in genere svantaggiato rispetto ai PhD di area non medica quando viene richiesto un finanziamento per un progetto di ricerca. Difatti, per le ragioni di 102 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) cui sopra, il medico ha dedicato spesso una minima parte della sua formazione all’attività di ricerca. • Il crescente numero di donne in pediatria. Nel 2009, il 73% dei medici iscritti ai corsi di specializzazione in Pediatria e il 62% dei borsisti in ambito pediatrico erano donne (Alexander et al, 2009). Molte donne ritengono che sia più difficile avere successo in una carriera di ricerca, soprattutto a causa delle difficoltà nel conciliare carriera e famiglia, in particolare relativamente alle esigenze della gravidanza e dei figli. In uno studio eseguito su studenti candidati a un programma MD-PhD negli Stati Uniti si è osservato che le donne erano molto meno fiduciose delle loro capacità di intraprendere una carriera scientifica e hanno abbandonato i percorsi di formazione alla ricerca prima e in maggior numero rispetto ai loro colleghi di sesso maschile (Barkin et al, 2010). Da ciò deriva che un ruolo fondamentale nella creazione della nuova generazione di medici ricercatori debba essere svolto dalle Scuole di specializzazione attraverso la formazione di curricula personalizzati per aspiranti medici-ricercatori. Tali obiettivi possono essere raggiunti solo attraverso una profonda modifica del percorso di studio, che preveda per gli specializzandi interessati a intraprendere una carriera scientifica, sia in ambito accademico che non, un’ampia parte dedicata all’attività di ricerca e una parte dedicata alla traslazione dei risultati ottenuti al letto dell’ammalato. A sostegno di ciò, c’è l’evidenza che negli Stati Uniti la maggior parte dei laureati MD/PhD prosegue la carriera in ambito di ricerca (Andriole et al, 2008). Tuttavia, negli Stati Uniti tra il 2000 e il 2006 solo il 2.3% (1833 su 79104) dei laureati in Medicina ha seguito un programma MD/PhD (Andriole et al, 2008). Al fine di promuovere la formazione di una nuova generazione di medici ricercatori, l’American Board of Pediatrics ha realizzato l’”Integrated Research Pathway”, un curriculum per aspiranti giovani ricercatori con i seguenti obiettivi: • Fornire meccanismi per svolgere le attività di ricerca durante la fase di formazione pediatrica di base; • Favorire la transizione verso una carriera di medico - ricercatore; • Garantire allo studente di acquisire le competenze necessarie per operare nell’ambito della ricerca. Il Residency program ha una durata complessiva di 3 anni ed è aperto a laureati MD o MD/PhD. Un intero anno può essere dedicato ad attività di ricerca e in tale periodo un massimo del 20% delle attività complessive può essere dedicato all’ambito clinico esclusivo. Va tuttavia sottolineato che la formazione di un ricercatore non ammette soluzioni di continuo. Pertanto, al fine di evitare finestre nella formazione del giovane ricercatore, si potrebbe ipotizzare, come possibile modello di 103 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) “Experimental residency program” in Italia, tenendo conto che il Corso di Specializzazione in Pediatria nel nostro Paese, ha la durata di 5 anni, un primo triennio durante il quale il 20 % delle attività deve essere dedicato alla ricerca e un biennio finale in cui il 60 % delle attività sia dedicato all’attività sperimentale. Durante questo periodo va garantita allo specializzando la possibilità di fruire di corsi dedicati all’acquisizione di skills propedeutici alla formazione del giovane ricercatore. Alcuni anni orsono la SIRP ha promosso un’indagine conoscitiva tra I Coordinatori di Corsi di Dottorato di area pediatrica con la finalità di acquisire informazioni sulla tipologia di studente che frequentava i Corsi, sulla numerosità dei dottorandi di area pediatrica, sulla caratterizzazione in indirizzi scientifico-culturali dei Corsi, sulla congruenza tra gli indirizzi e la robustezza scientifica delle aree culturali nel nostro Paese, in un periodo di analisi di 5 anni. Il risultato di tale indagine ha messo in luce significative criticità del sistema, solo in minima parte corrette dalla legge 240 di riordino del sistema universitario, o, in alcuni casi, addirittura peggiorate. Tra le criticità più rilevanti vanno annoverate la congruenza solo parziale tra indirizzi e i punti di forza della ricerca pediatrica in Italia, essendo l’indirizzo spesso indice più della vocazione professionalizzante dei proponenti in quel dato sotto-settore che dell’orientamento scientifico, e la non efficacia dell’istituto del dottorato nel promuovere il turn over dei docenti, a fronte di un considerevole numero di dottorandi iscritti ai corsi (328 in 5 anni, di cui il 58% di laureati in Medicina). L’aspetto del turn over risulta addirittura aggravato dalla legge 240, in quanto essa prolunga ulteriormente la fase del reclutamento del giovane ricercatore di area medica, senza che l’acquisizione del titolo di Dottore di Ricerca abbia un valore definito nei processi di selezione. Accanto a queste criticità principali, venivano, inoltre, rilevate la mancanza di un network nazionale degli Istituti di ricerca, che promuovesse l’offerta formativa orientata sulle reali esigenze scientifiche, in base ai punti di forza nella ricerca, e la scarsa o nulla pubblicizzazione dei profili formativi dei Dottori, che ne valorizzasse la competenza e caratterizzazione scientifica nella fase di ingresso nel mercato del lavoro. Infine, non vi era alcun aggancio del processo di formazione a un processo sequenziale di mantenimento in vita della figura professionale, che evitasse il “drop off” del giovane aspirante ricercatore in formazione. Requisiti per il reclutamento dei giovani secondo la legge 240/2010 L’Art. 24 al punto 3, nei rispettivi commi a e b, prevede l’istituzione di contratti di ricercatore a tempo determinato. I contratti del tipo A hanno durata triennale e sono prorogabili una volta per soli 104 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) due anni, previa valutazione positiva dell’attività di ricerca svolta. Quale requisito per l’accesso, il titolo di dottore di ricerca o specialista medico. I contratti del tipo B hanno durata triennale e non sono rinnovabili. Essi sono riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti di tipo A, ovvero, a coloro che hanno usufruito per almeno 3 anni di assegni di ricerca o di borse post-dottorato, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in Atenei stranieri. Nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, nel terzo anno di contratto di tipo B, l'Università valuta il titolare del contratto stesso e il conseguimento dell'abilitazione scientifica di cui all'articolo 16 della medesima legge. In caso di esito positivo della valutazione, il titolare del contratto alla scadenza dello stesso, è inquadrato nel ruolo dei professori associati. In caso di valutazione negativa il contratto non è rinnovabile. In sostanza, le Università effettuano una valutazione analitica dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche, valutando altresì il contributo individuale alle attività di ricerca. Si evince da tale scenario come sia importante che, accanto agli specifici profili professionali, sia determinante tener conto dei parametri bibliometrici del candidato nell’attribuzione di un contratto del tipo B, in previsione del superamento dell’abilitazione scientifica nazionale per il ruolo di professore associato. La valutazione dei parametri bibliometrici risulta, inoltre, di fondamentale importanza nella programmazione effettuata dai differenti Dipartimenti, cui le Pediatrie italiane afferiscono. Su tale punto è auspicio della SIRP che si attui un’indagine conoscitiva dei giovani, che aspirano alla carriera accademica, su base volontaria e autocertificativa, che abbia la finalità di identificare su scala nazionale i candidati con maggiore competitività scientifica. Incontro tra domanda e offerta: i profili di competenza Un esempio di strumento telematico di incontro tra offerta e domanda è fornito dall’European Society for Paediatric Research(ESPR), una Società storicamente molto attenta alla promozione della ricerca in Pediatria e alla formazione alla ricerca mediante pubblicizzazione di “post-graduate training programs”. Questa Società rappresenta un buon punto di riferimento internazionale, in quanto si propone di creare opportunità di incontro tra scienziati delle diverse aree scientifiche e culturali della Pediatria. Ha l’ambizione di fornire al ricercatore pediatra un’occasione di confronto interdisciplinare, finalizzato altresì a favorire collaborazioni scientifiche tra le diverse branche subspecialistiche della pediatria. La traslazionalità trova la sua espressione nell’attenzione riposta dall’ESPR al “patient care”. A titolo di esempio, nel corso dell’ultimo Meeting tenutosi nel 2014 sono stati proposti 8 corsi precongressuali incentrati sullo state dell’arte della ricerca clinica di base, 105 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) della “patient-centred care” e di linee guida con precipua finalità applicativa. Per quanto concerne specificamente il reclutamento dei giovani verso una carriera di ricerca in Pediatria, la Società promuove programmi per brevi scambi internazionali per ricercatori nelle fasi iniziali della carriera, allo scopo di favorire le collaborazioni internazionali (“Early Investigators Exchange Program”). Inoltre, essa dispone di un link di “Job offers”, in cui è possibile visualizzare le diverse proposte lavorative da parte di Cliniche Universitarie europee con interesse verso la ricerca pediatrica. In ambito accademico internazionale, la maggior parte delle principali Università americane, quali ad es. le Università Harvard, Yale e Standford, dispone di “Jobs offer links” o “Career opportunities links”, che rappresentano una sorta di “Meetic” della ricerca pediatrica. Un esempio è fornito dal sito ARIES (https://academicpositions.harvard.edu), primo portale on-line per coloro che aspirano a una position accademica ad Harvard, mentre, nel caso dell’Università Yale è stato predisposto un link “Staffing and Career development” (http://www.yale.edu/hronline/careers/). Questi siti sono caratterizzati dalla possibilità di creare un proprio account personale, inserire un curriculum vitae, ricevere notifiche e visualizzare lo stato di avanzamento relativo alla propria application. Punto comune tra i vari siti è rappresentato dalla prerogativa di definire puntualmente quali competenze sono richieste, i requisiti, e il tipo di lavoro che andrà svolto. Molto più complesso il sito “Jobs offering” dell’National Institute of Health (NIH) (https://www.jobs.nih.gov/) che prevede link differenti a seconda del tipo di carriera (scientifica, amministrativa, esecutiva) e che presenta un programma di offerta anche per “students and recent graduates”. Ad esempio, nell’ambito dell’ “Intramural research program” vengono indicate diverse opportunità di “tenured tracks”, ovvero una tipologia di contratto che indica un percorso finalizzato al raggiungimento di una posizione lavorativa a tempo indeterminato, la cui finalità è quella di offrire a ricercatori la possibilità di intraprendere un percorso formale finalizzato ad acquisire abilità necessarie per divenire un “tenured researcher”, ovvero un ricercatore stabile. Attualmente, nelle Università Italiane non vi è consuetudine a pubblicizzare richieste di competenze specifiche in portali ad hoc, ma ci si limita a pubblicizzare in siti individuali di Ateneo bandi specifici per concorsi di dottorato, assegni di ricerca e posti di ricercatore. Per tale motivo sarebbe auspicabile la creazione di una piattaforma digitale nel sito SIRP, che secondo il modello ESPR, permetta un censimento dei giovani aspiranti ricercatori, e che ne valorizzi i profili formativi di competenza. 106 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Errori gravi che l’Università non può consentire e misure utili per migliorare il reclutamento Che cosa l’Università può fare per garantire il fisiologico turn over dei docenti, con particolar riferimento al turn over in area clinico-traslazionale, e la sopravvivenza delle aree scientifiche esistenti ? • Incoraggiare l’avvio di una formazione scientifica già durante il corso di laurea, valorizzando la tesi sperimentale; • Promuovere l’istituzione di percorsi formativi di Medicina sperimentale durante i Corsi di Specializzazione in Pediatria; • Evitare che il reclutamento dei giovani segua solo logiche dei settori scientifico-disciplinari, privilegiando al contrario il reclutamento tenendo conto dei punti di forza rappresentati dalle aree di sinergia culturale con forte valenza interdisciplinare; • Identificare le aree di sinergia culturale interdisciplinari che rappresentino punti di forza delle Scuole di Medicina, da privilegiare nell’attribuzione delle risorse per il reclutamento; • Vigilare ex ante che l’attività di tutorship del giovane ricercatore sia adeguata a consentire il prosieguo della carriera accademica nelle fasi successive in cui è prevista l’acquisizione dell’abilitazione scientifica; • Evitare che vi siano soluzioni di continuo nelle varie fasi della tenured track, che incoraggino il giovane in formazione ad abbandonare la carriera accademica (“drop off”); • Scoraggiare la politica del finanziamento esclusivo ai gruppi eccellenti, consentendo la sopravvivenza anche ai gruppi medi, che costituiscono la grande massa critica del sistema ricerca in tutti i Paesi. Il rischio attuale è che si creino dei vulnus nel percorso di formazione scientifica del giovane aspirante ricercatore di area biomedica che favoriscano di fatto il “drop off”. Tutorship inadeguata, reclutamento in aree deboli, soluzioni di continuo tra le varie fasi del precariato, formazione troppo orientata agli aspetti professionalizzanti, sono alcuni dei punti critici, illustrati schematicamente nella Figura 1A, cui prestare attenzione per porre rimedio e tentare di ritornare a quel modello virtuoso di reclutamento degli anni 70’-80’ ben raffigurato nel cartoon illustrato nella Figura 1B, in cui ogni fase era finalizzata a incoraggiare l’avvicinamento alla ricerca. 107 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Figura 1 A Figura 1 B Ideazione: Prof. G. Salvatore Per gentile concessione del Presidente della Scuola di Medicina, Univ. Federico II: Prof. L. Califano 108 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) REFERENZE Alexander D, Boat T, Britto M et al. Federation of Pediatric Organizations Task Force on Women in Pediatrics: considerations for part-time training and employment for research-intensive fellows and faculty. J Pediatr. 2009; 154: 1-3.e2 Andriole DA, Whelan AJ, Jeffe DB. Characteristics and career intentions of the emerging MD/PhD workforce. JAMA. 2008; 300: 1165-73. Barkin SL, Fuentes-Afflick E, Brosco JP et al. Unintended consequences of the Flexner report: women in pediatrics. Pediatrics. 2010; 126: 1055-7. Cornfield DN, Lane R, Abman SH. Creation and retention of the next generation of physicianscientists for child health research. JAMA, 2013; 309: 1781-2 Dickler HB, Fang D, Heinig SJ et al. New physician-investigators receiving National Institutes of Health research project grants: a historical perspective on the "endangered species". JAMA. 2007; 297: 2496-501. Milewicz DM, Lorenz RG, Dermody TS. Rescuing the physician-scientist workforce: the time for action is now.J ClinInvest. 2015; 125: 3742-7 109 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) L’esperienza dell’ Abilitazione Scientifica Nazionale per i Settori Scientifico-Disciplinari pediatrici Andrea Biondi e Paolo Paolucci Il percorso della carriera accademica e la descrizione del suo profilo è un tema di confronto in tutte le società del mondo occidentale (Asch e Weinstein, 2014). È elemento comune la constatazione che il numero di medici con l’ambizione alla ricerca, elemento fondamentale nella descrizione di un profilo accademico, si sta progressivamente riducendo. Questo elemento non è indifferente in un tempo di rapidissima evoluzione delle conoscenze in campo scientifico, con le straordinarie opportunità di una medicina che si declina sempre più nella comprensione di meccanismi e in approcci innovativi di terapia. In questa premessa di complessità si collocano alcune riflessioni sulla recente esperienza del concorso di Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), con l’obiettivo di contribuire al dibattito sul futuro della ricerca pediatrica. I dati relativi all’ASN nel settore concorsuale 06/G1 “Pediatria Generale Specialistica e Neuropsichiatria infantile”. Nei concorsi ASN 2012 sono stati dichiarati idonei al ruolo di Professore Ordinario (PO) 66 dei 139 partecipanti (47.5%), e 142 su 280 (51%) per quanto riguarda l’idoneità a Professore Associato (PA). Nell’ambito dell’idoneità di I fascia, su 66 idonei (ASN 2012), 45 (68%) risultavano in ruolo come Universitari, mentre 21 (32%) ricoprivano incarichi prevalentemente come Ospedalieri o all’interno di IRCCS (n.12). Nell’ambito dell’idoneità di II fascia (ASN 2012), su 142 abilitati 60 (42.2%) ricoprivano ruoli universitari, mentre 82 (57,8%) avevano incarichi Ospedalieri o all’interno di IRCCS (n.30). I dati indicano che, almeno da un punto di vista scientifico (obiettivo dell’ASN), rispettivamente il 32% per i PO e il 57.8% come PA, il profilo “accademico” è oggi presente in diverse strutture di diagnosi e cura pediatriche al di fuori dell’Università. È da riconoscere all’ ASN il risultato di avere 111 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) fatto emergere questo dato, con le ovvie implicazioni rispetto alla reale possibilità che un idoneo abbia di inserirsi in ambito accademico. Le modalità concorsuali precedenti di idoneità rendevano comunque praticamente impossibile questa prospettiva. Per quanto riguarda il genere dei candidati, emerge per gli idonei di I fascia la netta prevalenza di genere maschile (91% vs 9%), dato identico per universitari e non universitari. La situazione persiste, meno netta, tra i non abilitati (71% vs 29%) e la distanza tra generi si riduce notevolmente per gli universitari (55% vs 45%), ma non per i non universitari (85% vs 15%). Tra gli idonei di II fascia, persiste in minore misura la prevalenza di genere maschile (62% vs 38%), maggiore per i non universitari (67% vs 33) rispetto agli universitari (55% vs 45%). Una situazione simile si osserva tra i non idonei di II fascia. Nell’insieme, questi dati sembrano confermare come a livello universitario esista uno spazio minore per il genere femminile rispetto al maschile per quanto riguarda la I fascia, fatto per altro noto. La situazione appare sensibilmente migliore per quanto riguarda la II fascia specie in ambito universitario, dato che potrebbe essere letto come la tendenza nel tempo a maggiori opportunità per le ricercatrici, verosimilmente più giovani. Al contrario, nell’ambito non universitario, o per scelta o 112 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) per disponibilità, il genere femminile sembra ambire meno a sviluppare l’attività scientifica e di ricerca. Un altro dato di particolare interesse (anche se già noto per la popolazione dei Docenti Universitari italiani) riguarda l’età degli idonei. Il 91% degli idonei a PO ha un’età ≥ 47 anni, mentre solo il 9% ha un’età < 47 anni. I dati relativi all’età dei PA sono più incoraggianti di quelli dei PO. Infatti, nel caso dei PA circa il 60% degli idonei ha un’età ≥ 47 anni, mentre circa il 40% ha un’età < 47 anni. Il dato dell’età suggerisce almeno due aspetti da considerare: • coloro che hanno una più forte vocazione alla ricerca devono sottostare ad una lunga "anticamera", condizionata dalla mancanza di progettazione (chi fa cosa e perché), dalla pochezza delle risorse economiche e da sconcertanti dinamiche concorsuali universitarie dei decenni scorsi; • nel percorso della cosiddetta riforma Gelmini, resta da verificare se i 5 anni previsti come Ricercatore a tempo determinato di tipo A (magari dopo un Dottorato o a conclusione della Scuola di Specializzazione) rendano possibile il raggiungimento dei titoli che nella ASN erano richiesti per idoneità a PA e che rappresenta di fatto un prerequisito per accedere a un posto di ricercatore di tipo B con “tenure track” per il ruolo di PA. Verosimilmente, è ragionevole orientarsi piuttosto sui dieci anni di attività per raggiungere i titoli utili per l’idoneità, ma probabilmente, piuttosto che ai numeri e ai vari parametri bibliometrici, che tentano di “spaccare il capello in quattro”, a volte in modo del tutto ragionieristico, dovremmo guardare a quello che accade nel resto del mondo. Ad esempio, in un percorso virtuoso, il ruolo di “Assistant Professor” viene riconosciuto come primo step della carriera accademica, non necessariamente con titoli bibliometrici confrontabili con quelli richiesti dall’ASN per l’idoneità a PA. Ovviamente, questa prospettiva è attuabile in contesti in cui la ricerca e l’università sono considerate un investimento del e per il Paese, e risulta più facile di fatto selezionare i migliori, anche come conseguenza della mobilità dei Docenti che in Italia è assolutamente marginale. I criteri di valutazione La valutazione dell’impatto dell’attività scientifica è un ambito di grande discussione anche nelle riviste scientifiche (Glasziou et al, 2014). 113 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Non esiste un metodo ottimale, ma quello scelto per l’ASN è sicuramente un elemento di valutazione all’estero, dove, tuttavia, il percorso di selezione è più articolato. L’esperienza dei “Search Committee “per la selezione del Professore nelle Università di altri paesi, considera il curriculum vitae (CV) nella sua globalità e non necessariamente nei singoli score bibliometrici. In questa prospettiva sarebbe, perciò, importante fare tesoro dell’esperienza dell’ASN 2012/2013 per introdurre alcuni correttivi proprio in relazione alla valutazione scientifica del CV del candidato. Le autocitazioni,, comprese le autocitazioni tra gruppi contigui che ricercano nello stesso settore, sono solo uno dei tanti esempi possibili di distorsione. Come pure bisognerebbe rendere non valutabili d’ufficio le pubblicazioni frutto solo dell’appartenenza ad un gruppo nazionale o internazionale. Sicuramente, si dovrebbe fare ricorso a modelli di CV uniformi, non per limitare l’autonomia di espressione dei candidati, ma per evitare il rischio che alcuni scrivano dei “romanzi di vita”, a volte poco sensati, rispetto ad altri, in genere più qualificati scientificamente, che hanno considerato così ampiamente noto il loro profilo da ritenere di poter presentare un CV non completo, esponendosi al rischio di farsi valutare su una documentazione carente e insufficiente per esprimere un giudizio esaustivo. Un ultimo aspetto riguarda il fenomeno dell’arbitraria riduzione dell’attività accademica con un processo che potremmo definire di “ringiovanimento” della propria produzione scientifica, facendo scomparire alcuni lavori dal proprio CV per ottenere il miglioramento degli indicatori bibliometrici, ma continuando ad avvalersi di altri titoli maturati negli stessi anni in cui sono sati volutamente “oscurati” decine di lavori nazionali. Analogamente a quanto osservato sopra, l’effetto di ringiovanimento è stato a volte così esagerato che non è stato possibile valutare alcuni candidati su una documentazione divenuta troppo carente per potere esprimere un giudizio. Attualmente, il dibattito internazionale è sempre più orientato verso il riconoscimento della natura multidimensionale della valutazione della ricerca, caratteristica che la commissione per il settore concorsuale 06/G1 “Pediatria Generale Specialistica e Neuropsichiatria infantile” ha percorso da antesignana. Infatti, gli indicatori basati sulle citazioni sono ritenuti sempre meno oggettivi e affidabili se utilizzati al di fuori di un contesto più ampio, relativo alla formazione scientifica e alle esperienze professionali del soggetto da valutare. Questo però pone il problema di come recuperare e standardizzare le informazioni relative ad aspetti non strettamente bibliometrici. I modelli di CV che si stanno diffondendo ''anche'' con il supporto della comunità dei bibliometristi sono essenzialmente due: • l’Acumen Portfolio 114 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) (http://research-acumen.eu/wp-content/uploads/Blank_AcumenPortfolio.v13x.pdf); • il Becker Model (https://becker.wustl.edu/sites/default/files/becker_model-reference.pdf, febbraio 2014 !!!). È interessante osservare come la commissione per i Settori pediatrici, nonostante le critiche ricevute in seguito a tale proposito, abbia precorso i tempi muovendosi in questa direzione di innovativa e più esaustiva valutazione dei candidati, proprio introducendo molti dei titoli successivamente proposti e pubblicati nei suddetti modelli. Tant’è che il numero dei ricorsi è stato del tutto trascurabile rispetto alle centinaia di candidati valutati e, cosa più rilevante, nessun ricorso è stato accolto nei diversi TAR nazionali e nel TAR Lazio, in particolare, al contrario di quanto avvenuto per altre commissioni dell’ASN. Inoltre, è auspicabile che in futuro, una volta “selezionati” da parte dell’ANVUR gli item ritenuti fondamentali dai modelli ottimali di valutazione esistenti, la “prova” del valore scientifico della propria attività di ricerca debba essere fornita e documentata direttamente dai candidati. Lo scopo non sarebbe certo quello di ridurre il lavoro delle commissioni, ma esclusivamente di introdurre un valore “pedagogico” per chi intenda intraprendere la carriera accademica, nel senso di far conoscere preventivamente o “ab initio” cosa, quanto, di che livello, in che tempi e in quali contesti si è chiamati a produrre scientificamente per sviluppare curricula degni di nota, in grado di raggiungere un’alta probabilità di giudizio positivo. Un tale scenario eviterebbe la “imbarazzante” e poco “virtuosa” presentazione da parte di alcuni candidati della propria attività scientifica sottoposta al su citato processo di “ringiovanimento” delle pubblicazioni. ASN e carriera accademica di giovani Medici Il numero dei Medici che scelgono di dedicarsi all’attività di ricerca nell’ambito di un percorso che possa aprirli alla carriera accademica è sempre più limitato ed è motivo di grande preoccupazione in tutti i Paesi occidentali (Rorthberg, 2012). Quale percorso è oggi possibile quando un Medico conclude la sua Specializzazione all’età di 29-30 anni? Durante il periodo di Specializzazione il Medico Specializzando straniero è coinvolto nell’attività clinica anche con livelli di autonomia e di responsabilità maggiori di quelli richiesti in Italia. Il sistema in molti Paesi della EU è certamente più flessibile: la scuola di specializzazione è basata su contratti di lavoro ed il titolo si acquisisce non al termine di un corso (come in Italia) ma quando si sono ottenuti i titoli richiesti per sostenere l’esame finale del Board. Durante tale periodo è possibile dedicarsi per 1-2 anni ad attività di 115 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) ricerca, sempre che si riesca a trovare l’Istituzione disposta ad accoglierti. Per il nostro Medico con la vocazione per la ricerca l’alternativa, è quella di iniziare un percorso di training, per poi recarsi in autorevoli Istituzioni in Italia e all’estero (elemento importante di valutazione di un CV!) per un periodo di post-doc. A circa 32 anni, quando il CV è ancora molto limitato come pubblicazioni, il nostro giovane Specialista potrebbe anche iniziare il percorso di 3+2 anni di Ricercatore di tipo A. Nella migliore delle ipotesi riuscirebbe ad accumulare i crediti sufficienti di indici bibliometrici per poter competere, già a 37-38 anni, per un’idoneità per PA, o in alternativa decidere di tornare a fare il Medico e magari proseguire nell’attività di ricerca, ma senza perseguire una carriera accademica;: i dati dei Medici non Universitari che hanno ottenuto l’idoneità sembra confermare questa prospettiva. In conclusione l’ASN ha indubbiamente reso più trasparente un percorso di valutazione dell’idoneità scientifica dei candidati alla carriera universitaria, facendo emergere competenze e profili che non sarebbero mai stati giudicati idonei a questa carriera con le precedenti modalità concorsuali. Ciò si è tradotto in un virtuoso (anche se limitato) numero di “chiamate” di Professori in diverse sedi accademiche. Resta, al contrario, il fatto che per la maggiore parte degli idonei “non universitari” l’ottenuta idoneità costituisce solo un titolo di merito e probabilmente non di opportunità. Resta nello sfondo la difficoltà di definire compiti e richieste del profilo del Professore nell’ambito di discipline mediche per la complessità attuale degli oneri di responsabilità clinica e amministrativa, a cui si devono aggiungere quelli istituzionali della didattica e della ricerca. (Sapey, 2015). REFERENZE Asch DA, Weinstein DF. Innovation in medical education. N Engl J Med. 2014; 371: 794-5 Glasziou P, Macleod M, Chalmers I et al Reducing waste from incomplete or unusable reports of biomedical research. Lancet. 2014; 383: 267-76 Rorthberg MB. Overcoming the obstacles to research during residency—what does it take? JAMA. 2012; 308: 2191–92 Sapey E. Work-life balance in academic medicine. Lancet. 2015; 385 Suppl 1: S6-7. 116 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) INIZIATIVE DELLA SIRP Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) I giovani e la ricerca clinica pediatrica: tra formazione e “frustrazione” un rapporto sempre più difficile Maurizio Mennini, Tommaso Alterio, Andrea Bon, Paola Berlese, Francesca Bosetti, Lucia De Martino, Vincenzo Insinga, Roberto Raschetti, Antonio Di Mauro, Davide Vecchio La Società Italiana di Ricerca Pediatrica (SIRP) e l’Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria (ONSP), al fine di sensibilizzare la comunità scientifica e accademica, le istituzioni e i decisori politici nonché l’opinione pubblica sul concreto rischio della progressiva “estinzione” della ricerca clinica pediatrica (e medica in generale), hanno promosso la diffusione di due questionari on-line, accessibili mediante piattaforma open source e distribuiti mediante diversi canali informatici (sito web, newsletter, profili dedicati sui social network) di entrambe le Società. I risultati delle rispettive indagini dal titolo: “Indagine sul reclutamento di giovani laureati in una carriera di ricerca clinica nell’area pediatrica” e “L’apoptosi annunciata della ricerca clinica (pediatrica)”, sono integralmente riportati (per i quesiti schematizzabili in grafico) agli allegati A e B del presente documento ed accessibili in extenso alla sezione “questionari” del sito www.onsp.it. Ad eccezione dei quesiti anagrafici o curricolari, è stata prevista la possibilità di opzionare più risposte e di recepire commenti liberi da parte degli intervistati. In totale sono stati ricevuti 312 questionari interamente compilati in ogni sezione, di cui 125 appartenenti alla prima indagine, 187 alla seconda. In entrambe, la risposta degli Specialisti in formazione in Pediatria è stata sempre la più ampia con una partecipazione in percentuale pari, rispettivamente, a circa il 70 ed il 50% degli intervistati. La prima indagine ha voluto indagare l’interesse da parte dei giovani sul reclutamento in una carriera di ricerca clinica, ma anche di comprendere la percezione degli stessi sulle dinamiche che ne regolano l’accesso. Il campione di coloro che hanno partecipato era così composto: 68,8% Specializzando in Pediatria; 13,6% Specializzando in altra Specializzazione; 9,6% Dottorando di Ricerca; 5,6% specialista in Pediatria da meno di 6 anni; 1,6% borsista o assegnista post-dottorato; 0,8% Ricercatore a tempo determinato. La quasi totalità degli intervistati (93,6%) ritiene che un periodo formativo nel settore della ricerca clinica o di base possa essere utile per un giovane medico, anche non intenzionato a intraprendere una carriera in un Ateneo o in un’Istituzione Scientifica. Il 71,2% ha già avuto qualche esperienza di ricerca durante il percorso pre- o post-laurea e tali esperienze si sono svolte prevalentemente nel 119 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) corso della specializzazione (61,4%) rispetto al periodo pre-laurea (43,2%). Solo il 64,5% dichiara, però, di essere riuscito nella pubblicazione di lavori in extenso. Il 61,6% è interessato a proseguire questo genere di attività, ma mentre il 21,6% afferma che non potrà proseguire, pur volendo, il 15,2% ha già deciso di abbandonare. Tra chi ritiene di non poter proseguire le motivazioni più indicate sono: nel 63,8% la scarsità in Italia di fondi pubblici e privati e nel 55,3% l’incertezza circa prospettive di lavoro stabile entro tempi accettabili e la mancanza di supporto nella struttura in cui si opera. Dato incontrovertibilmente positivo è invece quello che emerge dalle motivazioni che maggiormente spingono a perseguire questa passione: l’89% infatti dichiara in maniera convinta che la ricerca insegna una metodologia applicabile anche alla pratica clinica. Allo scopo di esplorare la reale percezione di un più ampio campione di operatori circa la difficoltà di reclutamento di giovani medici in una carriera di ricerca clinica e del conseguente rischio di una sua progressiva “estinzione”, è stata distribuita una seconda indagine per la quale sono state registrate ed analizzate 187 risposte complete. Il 97,8% dei partecipanti si è dichiarato laureato in Medicina e Chirurgia, il 47,8% specializzando in Pediatria, il 29% già specialista in Pediatria, il 14% già specialista o specializzando in altre specialità, l’8,6% dottorando e lo 0,5% dottore di ricerca in Scienze Pediatriche. Il 67,7% degli intervistati lavora attualmente presso una struttura universitaria, il 14% presso un IRCCS, il restante 18% ha un contratto presso un’azienda ospedaliera o opera nel territorio in attività diverse da quelle precedentemente elencate. La fascia di età prevalente del campione è quella inferiore ai 35 anni ed in totale solo il 19,9% dichiara di possedere un impiego a tempo indeterminato. Anche in questa indagine oltre il 90% degli intervistati asserisce che la ricerca clinica è fondamentale per una buona qualità dell’assistenza in Pediatria. In quest’ottica l’87,6% sostiene la necessità di reclutare, formare e avviare ad una carriera scientifica dei clinici capaci di gestire gruppi di ricerca, sebbene il setting ed il timing di svolgimento dell’attività specifica appaia eterogeneo nelle risposte e non tutti, in merito, sembrano possedere idee chiare. Infatti, mentre il 70% circa dichiara che la ricerca si svolge primariamente negli Atenei e negli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, il 30% asserisce di non essere affatto d’accordo con tale affermazione. In più, il 10% degli intervistati non concorda sulla tesi che il reclutamento degli interessati all’attività di ricerca sia avvenuto (fino a poco tempo fa) negli ultimi anni del corso di laurea, per poi proseguire attraverso le canoniche tappe accademiche, e circa il 25% si dichiara solo parzialmente d’accordo con quest’affermazione. Questi dati aprono poi una parentesi critica sugli effetti del concorso nazionale di accesso alle Scuole di Specializzazione. Il 45,7% crede infatti che l’attuale procedura selettiva abbia influito negativamente sulla “voglia” di svolgere una tesi sperimentale e/o di intraprendere un percorso di ricerca, il 32,3% lo crede solo 120 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) parzialmente, mentre il 22% non crede abbia influito in alcun modo. L'assegnazione casuale ad una Scuola di specializzazione, anche se con criterio trasparente e meritocratico, secondo il 58% del campione ha provocato una diminuzione dell'interesse dello specializzando a essere coinvolto in un’attività scientifica e una simile percentuale concorda sul fatto che l'avvio a un'attività di ricerca è ormai rimandata all'ingresso in un programma di Dottorato di Ricerca, e quindi - più o meno intorno ai trent'anni di età. E dopo il dottorato? Il 59,2% è scettico sull’efficacia della riorganizzazione della carriera universitaria con le due possibili figure di Ricercatore in tipo A e tipo B ed il 64% ritiene, inoltre, che l'abilitazione scientifica nazionale per Professore Associato richieda il superamento di mediane difficilmente raggiungibili entro i quarant'anni; mediane ritenute altresì non superabili anticipatamente anche con la permanenza in laboratori o centri qualificati di rilevanza nazionale e/o internazionale. Questo stato dei fatti suggerisce al 68,8% degli intervistati che sia facile prevedere che i soli giovani (anche se meritevoli e motivati) che possano permettersi di "rischiare" un investimento di almeno 10 anni di attività, siano quelli appartenenti a "famiglie" o "cordate" in grado di garantire una partecipazione "simbolica" a pubblicazioni del gruppo ed un "appoggio" al momento del bando dei posti di ricercatore a tempo determinato. Il 93,6% (di cui il 72,6% totalmente e il 21% parzialmente) conclude che questo scenario sia evidentemente l'esatto contrario di qualunque garanzia di meritocrazia e di pari opportunità - sia di partenza che di percorso - e finisca col fare optare per sbocchi occupazionali più immediati e remunerativi. Del resto è evidente al 79,6% e parzialmente evidente al 15,1% degli intervistati, che nell’Università stia avvenendo una fuoriuscita abbastanza simultanea di professori di ruolo in materie cliniche senza una sostituzione o un avvicendamento di nuove figure, più giovani e soprattutto a tempo indeterminato. Il 78% ritiene che occorra maggiore chiarezza in tempi brevi, per evitare che generazioni di giovani meritevoli (in particolare di pediatri potenzialmente motivati) scelgano strade "più sicure" e rapide per la programmazione della loro vita professionale e personale. Infine, si è tentato di coinvolgere gli intervistati nella valutazione di possibili proposte volte al miglioramento della situazione descritta. Nel periodo pre-laurea la proposta che appare maggiormente condivisa (74,2% totalmente e 22,6% parzialmente) è l’esposizione precoce a un’attività di ricerca clinica allo scopo di far nascere, ovviamente in una minoranza di studenti o specializzandi, una “vocazione” prima dell’insorgenza di altre necessità che spingano a scegliere differenti sbocchi professionali. Anche una riorganizzazione e valorizzazione del periodo di tesi di laurea appare una possibile alternativa (favorevole il 69,4% del campione) al pari della costituzione di un percorso combinato del tipo MD/PhD a partire dal III-IV anno del corso di Laurea in 121 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Medicina (64,5%). Il 79,6% concorda sulla necessità di prevedere attività di ricerca nel core curriculum della Scuola di Specializzazione, specialmente nell'ultimo biennio negli indirizzi dedicati alle cure secondarie ed alle specialità pediatriche, riconosciuti come potenzialmente più inclini ad una formazione e coinvolgimento nella ricerca clinica. Il 77,4% apprezza inoltre l’idea di programmare Master in specialità pediatriche (successivi alla specializzazione) con curricula che prevedano anche attività di ricerca ed approva la necessità di finanziamenti pubblici e privati a progetti per giovani ricercatori, cercando tuttavia di evitare che i giovani fungano da “prestanome” per tutor più “anziani” (rischio concretamente riconosciuto per il 96,2% del campione). È opportuno sottolineare che il 94,6% riconosce l’importanza dell’attività dell’Osservatorio della Ricerca Pediatrica Italiana, promosso dalla SIRP, per il monitoraggio periodico dell’attività scientifica di interesse pediatrico, se svolta da gruppi italiani “leader” nelle ricerche. Il 96,2% sostiene, inoltre, che sia necessario promuovere e pubblicizzare attività di ricerca dei più giovani, anche attraverso l’istituzione di un albo dei giovani ricercatori e la costituzione di “network” tra dottorandi, dottori di ricerca e pediatri ricercatori ancora “precari”, promuovendo in definitiva la costituzione di nuovi strumenti poiché la rinuncia dei giovani pediatri a una “rischiosa” carriera di ricerca clinica è anche causata dalla scarsa “credibilità” che gli stessi ripongono nell’attuale sistema. In conclusione, la “apoptosi”, cioè la “morte programmata” della ricerca clinica, appare ormai avviata per la quasi totalità degli intervistati e potrà essere fermata solo attraverso una sensibilizzazione e mobilitazione di quanti, nell'Università, negli Istituti di Ricerca, nella classe politica e, non da ultimo, nell'opinione pubblica, hanno a cuore il destino della scienza e della cultura nel nostro paese. 122 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Allegato A Reclutamento di giovani laureati in una carriera di ricerca clinica nell’area pediatrica N. Partecipanti = 125 1. Sesso Maschi (31) Femmine (94) 24.8% 75.2% 2. Qual è la tua posizione attuale? Neolaureato (0) Specializzando in Pediatria (86) Specialista in Pediatria da < 6 anni (7) Specializzando in ‘altra specializzazione’ (17) Specialista in ‘altra specializzazione’ da < 6 anni (0) Dottorando di ricerca (12) Dottore di ricerca da < 3 anni (0) Borsista, assegnista, contrattista post-dottorato (2) Ricercatore a tempo determinato (1) 0% 68.8% 5.6% 13.6% 0% 9.6% 0% 1.6% 0.8% 3. Pensi che un periodo formativo nel settore della ricerca clinica/di base possa essere utile per un giovane medico, anche non intenzionato ad intraprendere una carriera nell’università o in una istituzione scientifica? Sì (117) No (8) 93.6% 6.4% 4. Hai già avuto qualche esperienza di ricerca durante il tuo percorso pre/post laurea? Sì (89) No (36) 71.2% 28.8% Se Sì, quando (puoi indicare anche più di una risposta)? Durante il periodo pre-laurea (38) Durante la laurea (50) Durante la specializzazione (54) Durante il dottorato di ricerca (9) Altro (2) 43.2% 56.8% 61.4% 10.2% 2.3% 123 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) 5. Al momento hai interesse a svolgere attività di ricerca clinica? Sì, intenzionato a perseguire tale interesse (77) Sì, ma non posso perseguire tale interesse(27) No (19) 61.6% 21.6% 15.2% Se Sìe sei interessato a perseguire tale interesse, per quali motivazioni? (puoi indicare anche più di una risposta) Ho fiducia nelle mie capacità e nella mia determinazione (39) Il gruppo in cui lavoro è forte scientificamente (15) Il gruppo in cui lavoro rispetta la meritocrazia (9) Ritengo che un’esperienza di ricerca insegni una metodologia applicabile anche alla pratica clinica (73) Posso permettermi di ‘rischiare’ economicamente per qualche anno (4) Voglio seguire la mia vocazione, ma trasferendomi all’estero (6) Nessuna delle precedenti (1) 47.6% 18.3% 11% 89,0% 4.9% 7.3% 1.2% Se Sì e non puoi perseguire tale interesse, per quali motivazioni? (puoi indicare anche più di una risposta) Non posso permettermelo per motivi economici (stipendio basso) (13) Considero incerte le prospettive di lavoro stabile entro tempi accettabili (26) L’impegno per la ricerca è incompatibile con una ‘normale’ vita familiare/personale (17) I fondi pubblici e privati per progetti e gruppi di ricerca sono scarsi in Italia (30) Noto mancanza di supporto/supervisione nella struttura in cui opero (26) Ho scarsa fiducia nel rispetto della meritocrazia nella struttura in cui opero (11) Nessuna delle precedenti (2) 27.7% 55.3% 36.2% 63.8% 55.3% 23.4% 4.3% 6. Hai pubblicato lavori in extenso (no abstract)? Sì (80) No (44) 64.5% 35.5% 124 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Allegato B L'“apoptosi” annunciata della ricerca clinica (pediatrica) N. Partecipanti = 187 Punteggio: 1 = non sono d’accordo – 2 = sono parzialmente d’accordo – 3= sono d’accordo 1 2 3 1.6% 1.6% 6.4% 9.1% 92% 89.3% 2.1% 10.2% 87.7% 3.2% 24.6% 72.2% 10.2% 25.7% 64.2% 22.5% 32.1% 45.5% 18.2% 24.1% 57.8% 15% 31% 54% 10.7% 38% 51.3% 11.8% 24.1% 64.2% 11.8% 31.6% 56.7% PREMESSA 1.La ricerca clinica è fondamentale per una buona qualità dell'assistenza. 2.La buona ricerca clinica deve essere coordinata (anche) da clinici con formazione nella ricerca sperimentale. 3.È indispensabile, quindi, reclutare, formare e avviare a una carriera scientifica clinici, esperti anche nella gestione di gruppi di ricerca. 4.La ricerca clinica si svolge primariamente nell'università e negli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, ma anche negli ospedali, nella medicina e pediatria di famiglia, nell’industria e in altri istituti e laboratori impegnati nella ricerca applicata e di base. 5.Fino a poco tempo fa, negli ambienti clinici universitari il "reclutamento" di giovani per potenziali carriere di ricerca cominciava già negli ultimi anni del corso di laurea, per proseguire durante la specializzazione e continuare col dottorato di ricerca e assegni di ricerca fino all'eventuale sbocco in un posto di ricercatore a tempo indeterminato. LA DIAGNOSI 6.Il cambiamento delle modalità di accesso alle Scuole di specializzazione, che ha certamente favorito una maggiore garanzia di meritocrazia, ha notevolmente ridotto l'interesse dello studente in Medicina per una tesi sperimentale di buon livello e quindi ha di fatto eliminato questo primo contatto dello studente con un’attività di ricerca più o meno qualificata sotto la guida di un “tutor”. 7.L'assegnazione a una Scuola di specializzazione ("casuale", anche se con criterio trasparente e meritocratico) ha fatto diminuire l'interesse dello specializzando a essere coinvolto in un’attività scientifica, anche perché il curriculum delle Scuole di specializzazione non prevede, né privilegia, una parziale attività di ricerca dello specializzando, peraltro a rischio di essere “utilizzato” durante gli ultimi due anni all’interno del sistema sanitario con impegno assistenziale totale. 8.L'avvio a un'attività di ricerca è ormai rimandato all'ingresso in un programma di dottorato di ricerca, anche se in parte sovrapponibile all'ultimo anno della scuola di specializzazione, come previsto dalla c.d. legge Gelmini-N. 240/2010. Questo significa che il giovane specialista matura una reale decisione ad intraprendere una carriera di ricerca ("a rischio") più o meno intorno ai trent'anni di età 9.Secondo le normative vigenti nell’università, dopo il dottorato si apre un percorso costituito da 3 + 2 anni di ricercatore di tipo A e 3 anni di ricercatore di tipo B, quest'ultimo con la garanzia di una "tenure track", cioè della disponibilità di un “budget” per un posto di professore associato, a condizione che si sia conseguita l'abilitazione scientifica nazionale. 10. L'abilitazione scientifica nazionale per professore associato richiede il superamento di mediane, che sono difficilmente superabili entro i quarant'anni (il termine del percorso delineato sopra). 11. Le mediane previste dall'abilitazione scientifica nazionale non sono neppure superabili con una più o meno lunga permanenza in laboratori o centri qualificati, anche stranieri, dove la produzione scientifica in termini quantitativi è di solito limitata e magari senza nessuna garanzia di forte impatto dal punto di vista delle citazioni 125 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) 12. In questo contesto è facile prevedere che giovani, anche meritevoli e motivati, che possano permettersi di "rischiare" un investimento di almeno 10 anni di attività, siano solo quelli che appartengono a "famiglie" o "cordate" in grado di "garantire" una partecipazione "simbolica" a pubblicazioni del gruppo e un "appoggio" al momento del bando dei posti di ricercatore a tempo determinato 13. Questo scenario è evidentemente l'esatto contrario di qualunque garanzia di meritocrazia e di pari opportunità, sia di partenza che di percorso. 14. Se questo scenario è verosimile per la ricerca clinica in generale, lo è a maggior ragione per la ricerca clinica pediatrica, in quanto il giovane specialista in pediatria (che non appartenga a "famiglie" o "cordate") può non essere motivato a continuare per tanti anni una strada fortemente a rischio per il raggiungimento di una conclusione positiva, a fronte di sbocchi occupazionali più immediati e più remunerativi, come quello della pediatria di famiglia. 15. Probabilmente la situazione non è identica per gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, benché le possibilità di posizioni stabili siano difficili anche in quell'ambiente. 16. Si ha l'impressione che la comunità accademica della Medicina clinica (e della Pediatria in particolare) non avverta il rischio di uno svuotamento dei ranghi di ricercatori clinici, causato dalla scarsa attrattività di una carriera di ricerca clinica per giovani meritevoli e potenzialmente motivati. 17. La realtà è che nell'università si sta già verificando una fuoriuscita abbastanza simultanea di professori di ruolo in materie cliniche (entrati nei ruoli universitari più o meno contemporaneamente negli anni '80) senza una sostituzione con nuove figure, più giovani, a tempo indeterminato (questo è dimostrato dallo scarso numero di ricercatori a tempo determinato, reclutati in tutte le università dopo l'approvazione della c.d. legge Gelmini-N. 240/2010, in confronto al numero di vincitori di concorsi per ricercatore a tempo indeterminato negli anni precedenti). 18. La c. d. legge Gelmini e i regolamenti dell'abilitazione scientifica nazionale sono in questo momento oggetto di ripensamento, ma occorre fare chiarezza in tempi brevi, per evitare che generazioni di giovani meritevoli (in particolare di pediatri potenzialmente motivati) scelgano strade "più sicure" e rapide per la programmazione della loro vita professionale e personale. 7.5% 23.5% 69% 6.4% 21.4% 72.2% 6.4% 25.1% 68.4% 12.3% 38.5% 49.2% 5.3% 26.7% 67.9% 5.3% 15% 79.7% 3.7% 18.2% 78.1% 3.7% 22.5% 73.8% 7% 24.1% 69% 8% 27.3% 64.7% 4.3% 16% 79.7% 4.8% 17.6% 77.5% 3.7% 32.1% 64.2% 3.7% 13.4% 82.9% LE PROPOSTE DI TERAPIA 19. L’esposizione precoce a un’attività di ricerca clinica è fondamentale per far nascere una “vocazione” prima di raggiungere un’età in cui le necessità della vita spingano a scegliere differenti sbocchi professionali. Ovviamente le proposte di seguito esposte richiederebbero un cambiamento dei corsi di studio (lauree, specializzazione) valide per tutta l’università e non solo per le Scuole di Medicina (o addirittura per la sola Pediatria) 20. Proposte per il periodo pre-laurea: ripensare al significato della tesi di laurea nella Scuola di Medicina (un unicum italiano per tutti i corsi di laurea anche triennali) che potrebbe essere rivalutato se contribuisse realmente al voto di laurea finale o di nuovo costituisse un titolo per il successivo percorso formativo (ammissione alla specializzazione, a corsi di dottorato, etc.); 21. considerare un percorso tipo MD/PhD, anche se all’estero inizia dopo alcuni anni di college e in Italia potrebbe partire dal III-IV anno del corso di Laurea in Medicina, dopo la conclusione del biennio/triennio in discipline di base. 22. Proposte per la Scuola di specializzazione e i Master: prevedere attività di ricerca nel curriculum della Scuola di specializzazione, specialmente nell'ultimo biennio, per l’indirizzo dedicato alle cure terziarie, che è potenzialmente più incline a un’impostazione di ricerca clinica; 23. programmare Master in specialità pediatriche, successivi alla Specializzazione, con curricula che prevedano anche attività di ricerca 24. Proposte per l’abilitazione scientifica nazionale: è necessario migliorare la valutazione dei titoli per i candidati più giovani, anche se essi già sono al momento “avvantaggiati” dalle normalizzazioni per età accademica. 25. Finanziamenti pubblici e privati a progetti per giovani ricercatori, evitando, tuttavia, il rischio che i giovani fungano da “prestanome” per “tutor” più anziani. 126 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) 26. Osservatorio della ricerca pediatrica italiana con monitoraggio periodico dell’attività scientifica di interesse pediatrico, svolta da gruppi italiani “leader” nelle ricerche (e non solo collaboratori); 27. Pubblicizzazione delle attività di ricerca dei più giovani, anche attraverso l’istituzione di un albo dei giovani ricercatori e la costituzione di “network” tra dottorandi, dottori di ricerca e pediatri ricercatori ancora “precari”; 28. Organizzazione di un convegno e successiva pubblicazione di un “Libro bianco” sulle tematiche oggetto del presente documento, cioè sul pericolo concreto di scomparsa della figura del pediatria ricercatore (“Pediatrician scientist”); 29. Finanziamento di progetti di ricerca, privilegiando in particolare il ruolo dei giovani. 30. La rinuncia dei giovani pediatri ad una “rischiosa” carriera di ricerca clinica è anche causata dalla scarsa “credibilità” del sistema universitario. La vera riforma dell'università certamente richiederebbe una rivoluzione circa il rigoroso rispetto da parte dei suoi operatori di principi etici. Tuttavia è anche indispensabile attuare con urgenza un regime in cui si valuti, con criteri obiettivi e onesti, il merito delle strutture universitarie e dei loro membri e si punisca il demerito (la sola premialità, senza sanzioni severe per chi demerita, è inutile). 31. L' “apoptosi”, cioè la morte programmata della ricerca clinica nei luoghi in cui essa si svolge, è ormai avviata e potrà essere fermata solo attraverso una sensibilizzazione e mobilitazione di quanti, nell'università, negli istituti di ricerca, nella classe politica e, non da ultimo, nell'opinione pubblica, hanno a cuore il destino della scienza e della cultura nel nostro paese. 5.3% 21.4% 73.3% 3.7% 18.2% 78.1% 5.3% 25.7% 69% 3.2% 15% 81.8% 4.8% 12.8% 82.4% 2.7% 16% 81.3% 127 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Caratteristiche dei partecipanti all’indagine (1) 128 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Caratteristiche dei partecipanti all’indagine (2) 129 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Finanziamento di progetti di ricerca per giovani ricercatori Raffaele Badolato Il contesto italiano La Ricerca Scientifica Italiana è afflitta da una condizione di cronico sotto finanziamento che si è aggravata negli anni recenti per via delle difficoltà economiche che hanno interessato l’intera regione europea. Per quanto concerne la ricerca clinica queste difficoltà sono state ulteriormente aggravate in Italia dalla frammentazione delle competenze e dallo scarso coordinamento tra Università, Enti di ricerca, Regioni e Ministero della Salute (Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca, 2013) (Figura 1). Inoltre, i costi della ricerca clinica appaiono in costante e regolare aumento, tanto da rendere ancora più difficile lo sviluppo di carriere nell’ambito della ricerca clinica (Basso, 2007; Erdmann, 2005).Tutto questo contribuisce a mantenere un marcato squilibrio anagrafico dell’età media dei Docenti italiani (Marcato, 2010). Nonostante queste difficoltà, i dati dell’Osservatorio della Ricerca Pediatrica, gestito dalla SIRP, suggeriscono che negli anni passati molti Ricercatori Italiani hanno prodotto un rilevante numero di lavori scientifici in ambito pediatrico. Questo suggerisce che adeguati investimenti di tipo economico e di risorse umane potrebbero determinare un significativo sviluppo della ricerca pediatrica in Italia (Szilagyi et al., 2011). Questi stessi aspetti si riscontrano egualmente anche quando si valuti il finanziamento dei Giovani Ricercatori. Ma, in questo caso, gli effetti del sotto finanziamento della Ricerca avranno anche l’effetto di ridurre le possibilità di ricambio generazionale di Ricercatori e Docenti universitari e di mantenere l’età media dei Docenti universitari italiani tra le più alte in Europa. Si deduce, pertanto che un intervento che favorisca le carriere dei giovani Ricercatori e Docenti universitari è indispensabile per evitare il depauperamento dell’Università Italiana. Per quanto riguarda la definizione di Giovani Ricercatori, l’analisi dei Bandi di progetti di ricerca indirizzati ai giovani suggerisce che generalmente l’età limite è fissata in 40 anni, quando in altri Paesi il limite è invece usualmente più basso. Questi concetti sono stati peraltro già diffusi dai mezzi di informazione, cosicché negli anni scorsi, si è fatta strada la giusta convinzione dei legislatori e dei vari Governi degli ultimi anni che occorresse riservare una quota non marginale dei finanziamenti alle nuove leve della Ricerca e dell’Università. Limitandosi ai finanziamenti Italiani il MIUR ha finanziato 55 Ricercatori dell’Area Scienze della vita attraverso i Fondi Sir - Scientific 131 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Independence of young Researchers per un importo di € 53.520.612. Dalla lista dei progetti finanziati si evince che solo due di questi sembrano indirizzati a chiarire problemi di interesse pediatrico(http://sir.miur.it/index.php/finanziati/index). Negli anni 2008, 2010, 2012, 2013, il MIUR aveva anche promosso Bandi relativi al Programma Futuro in Ricerca http://futuroinricerca.miur.it/. Anche nel 2015, il Ministero della Salute ha finanziato 93 progetti giovani nell’ambito del Programma Fondi di Ricerca Finalizzata e Giovani Ricercatori 2013, riservato a Ricercatori con meno di 40 anni. L’Associazione Italiana per la Ricerca contro il Cancro ha un programma denominato My First AIRC Grant (MFAG) dedicato a ricercatori sotto i 40 anni che non hanno mai avuto un finanziamento AIRC e che dovrebbero costituire uno strumento concreto con cui i ricercatori possono avviare la propria ricerca indipendente. Nel 2015 l’AIRC ha finanziato 44 progetti che coprono i costi della Ricerca e lo stipendio di due borsisti che lavorano al progetto. Questi stessi obiettivi sono condivisi dal programma Dulbecco Telethon Institute Career Award che finanzia per 5 anni Scienziati Italiani impegnati nell’ambito delle malattie genetiche senza una posizione permanente in Italia. A differenza degli altri programmi, quello sostenuto da Telethon non ha un limite di età prestabilito, sebbene i candidati con età superiore ai 40 anni vengano scoraggiati. Nell’ultimo decennio i programmi di finanziamenti europei si sono posti l’obiettivo di aumentare gli investimenti in ricerca dei singoli paesi membri della comunità europea e di favorire l’integrazione delle Ricerche nazionali in un unico ambiente di ricerca (Chessa et al., 2013). Nonostante il nostro Paese abbia condiviso in linea di principio questi obiettivi, i risultati sono stati modesti. Sia per la quota di investimenti in ricerca che è rimasta al di sotto della media europea che per la capacità di successo nell’ottenere gli stessi Fondi europei. Per quanto concerne questi finanziamenti, i dati relativi ai Fondi dello European Research Council (ERC) evidenziano come il tasso di successo dei Ricercatori Italiani nell’ottenere i Fondi ERC sia più basso rispetto alla media degli altri Paesi, specialmente quando l’analisi si limiti agli Starting Grant (Figura 2A e 2C). Nonostante ciò, si evince come l’efficacia dei finanziamenti è probabilmente molto buona, tanto che, misurando il numero di citazioni per Ricercatore, questo indice è inferiore solo a quello dei Ricercatori di Olanda e Svizzera (Figura 2B)(Raponi, 2013). L’effetto dei Finanziamenti ERC ha peraltro un importante effetto sulle carriere dei nostri Ricercatori in quanto la legislazione Italiana prevede che i vincitori degli Starting Grant ERC possano accedere direttamente al ruolo di Professore Associato attraverso l’intervento del MIUR. Si 132 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) tratta di una misura con forte impatto sulla crescita dell’Università che potrebbe contribuire in misura significativa al rinnovamento dell’Università, se le risorse degli Atenei finalizzate al reclutamento facessero riferimento in modo più preciso alle capacità dei Ricercatori di ottenere Fondi di Ricerca. Nell’ambito di questi finanziamenti è difficile evincere quanti di questi siano di ambito pediatrico e potenzialmente in grado di favorire lo sviluppo di carriere scientifiche in questo ambito. Valutando il titolo dei progetti sembrerebbe che, fatta eccezione per quelli finanziati da Telethon che sono spesso indirizzati su malattie di interesse pediatrico, gli altri programmi siano poco attenti alla Medicina dell’età evolutiva. Il ridotto finanziamento ai progetti di interesse pediatrico lo si può dedurre anche dall’analisi del Fondi PRIN (Programma di Ricerca di Interesse Nazionale) che evidenzia come il numero dei progetti finanziati ai Pediatri si sia andato riducendo nel tempo (Figura 3). È evidente che tale paucità di finanziamenti a giovani Ricercatori con interesse per le malattie pediatriche potrebbe anche essere dovuta a una scarsa capacità di favorire lo sviluppo di carriere indirizzate alla ricerca per i giovani specialisti in Pediatria (Labini & Zapperi, 2010; Rubino, 2008). Questo aspetto, che è analizzato in altra parte del Libro bianco, potrebbe incidere sul numero di domande di Grant provenienti dall’area pediatrica. Occorre porre in evidenza come sia importante perseguire l’indipendenza e l’autonomia dei Ricercatori nello svolgimento del progetto oggetto di finanziamento. In alcuni casi, si può osservare come i progetti possano essere presentati a nome di giovani, ma vengano invece svolti da altro Docente che non potrebbe concorrere al Bando per via dei limiti di età. Questo tipo di stratagemma comporta un danno non solo per l’Ente finanziatore a causa dell’aggiramento dei criteri di partecipazione, ma limita pesatamente la capacità del giovane di sviluppare una carriera indipendente. Questa situazione, che è piuttosto frequente nell’Università Italiana, non si osserva in altre Nazioni, dove la mobilità dei Ricercatori e Docenti rispetto alla sede universitaria impedisce che si costituisca una condizione di dipendenza tra il Maestro e l’Allievo. Le proposte e iniziative della SIRP Visto che tra gli obiettivi Statutari della SIRP vi è la promozione della “ricerca scientifica finalizzata alla protezione della salute in età evolutiva”, la nostra Società vorrebbe lavorare al fine di favorire sia l’aumento delle risorse finalizzate alla ricerca pediatrica sia a indirizzare i giovani Pediatri a occuparsi di ricerca. Pur nella pochezza delle risorse disponibili la Società ha già 133 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) promosso incontri scientifici indirizzati ai giovani, con l’obiettivo di formare i Pediatri alla metodologia della Ricerca Scientifica. La SIRP nell’ambito delle Società scientifiche di interesse pediatrico, recentemente federate nella Federazione delle Società scientifiche e delle Associazioni dell’Area Pediatrica (FIARPED), intende proporre iniziative di ricerca clinica su tematiche trasversali alle varie aree specialistiche, quale ad esempio la sperimentazione per farmaci da usare per l’età evolutiva. Tuttavia, affinché la Società possa avere un impatto reale sulla ricerca pediatrica in Italia, occorrerebbe che fosse capace di intrecciare rapporti di collaborazione più stretti non solo con le Società pediatriche, ma anche con le organizzazioni dei pazienti che sono i veri conoscitori delle esigenze dei malati e che potrebbero contribuire efficacemente nel delineare gli obiettivi dei progetti. Lo sviluppo di un nuovo rapporto della nostra Società con le organizzazioni dei pazienti e dei genitori sarebbe importante al fine di una corretta analisi dei bisogni e di una adeguata pubblicizzazione della SIRP presso la Società civile, secondo modelli di finanziamento della ricerca già sviluppati in altri ambiti (Boote et al., 2015). A questo potrebbe contribuire un rapporto più stretto con l’Associazione degli Ospedali Pediatrici Italiani, che consentirebbe di avere la giusta attenzione alle necessità territoriali e ai programmi di ricerca e sviluppo delle aziende ospedaliere che assistono i pazienti pediatrici. È intenzione della SIRP selezionare attraverso un proprio Comitato scientifico le proposte di finanziamento sulla base di rigorosi criteri meritocratici, per dare garanzie agli Enti finanziatori sulla effettiva validità del progetto. Ai fini di un ruolo corretto della SIRP, sarebbe essenziale un coinvolgimento delle altre Società di ambito pediatrico, ed in particolare delle Società pediatriche specialistiche che svolgono direttamente attività di divulgazione scientifica e attività di promozione di progetti di ricerca nell’ambito delle rispettive aree di interesse. Con la costituzione della FIARPED si è creata l’opportunità di elaborare e sviluppare in quella sede strategie di finanziamento della Ricerca di interesse pediatrico e di promozione di Carriere. A questo scopo, sarebbe utile che Presidenti delle Società pediatriche specialistiche - o loro delegati - entrassero a fare parte del Comitato scientifico della SIRP per favorire una adeguata condivisione dei programmi di ricerca, soprattutto se di interesse “trasversale” alle varie aree specialistiche. Per provvedere al finanziamento dei progetti selezionati, la SIRP si propone di rivolgersi a Fondazioni ed Enti finanziatori oltre che ad Investitori privati. Attraverso lo sviluppo di internet sono diventate popolari nuove modalità di finanziamento basate su siti capaci di raccogliere risorse per lo sviluppo di startup (kickstarter.com) o anche per la 134 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) realizzazione di progetti di ricerca con impatto sanitario (medstartr.com). Questo tipo di richiesta di finanziamenti richiederebbe un’analisi economica più precisa, al fine di fornire ulteriori strumenti di valutazione agli eventuali investitori o ai benefattori privati. È’ evidente che uno sviluppo di questo genere comporterebbe alcune difficoltà aggiuntive nell’elaborazione dei grant, ma consentirebbe di aumentare le probabilità di successo della raccolta fondi (Pellegrino & Saracino, 2015). Attraverso questa strategia la SIRP si candida, quindi, a diventare allo stesso tempo un punto di incontro tra le esigenze dei pazienti e gli interessi dei giovani ricercatori a sviluppare le proprie carriere in ambito pediatrico. REFERENZE Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca. (2013). Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca. Retrieved from http://www.anvur.org/attachments/article/644/Rapporto ANVUR 2013_UNIVERSITA e RICERCA_integrale.pdf Basso, G. Costi attuali dei trials clinici di cura e di ricerca dell ’ AIEOP.2007. 6; 20–22. Boote, J. D, Twiddy M., Baird W et al.Supporting public involvement in research design and grant development: a case study of a public involvement award scheme managed by a National Institute for Health Research (NIHR) Research Design Service (RDS). Health Expectations : An International Journal of Public Participation in Health Care and Health Policy, 2015. 18;5: 1481– 93. doi:10.1111/hex.12130 Chessa, A, Morescalchi A, Pammolli F, et al. European policy. Is Europe evolving toward an integrated research area? Science (New York, N.Y.).2013. 339; 6120: 650–1. doi:10.1126/science.1227970 Erdmann, J. Researchers facing increasing costs for clinical research, with few solutions. Journal of the National Cancer Institute, 2005. 97;20: 1492–4. doi:10.1093/jnci/dji363 Labini, F. S, Zapperi, S. I ricercatori non crescono sugli alberi. Laterza, 2010. Marcato, P. S. Fattori economici, umani e normativi nella crisi della ricerca scientifica universitaria, 2010. 1–7. Pellegrino, G, Saracino, B.Annuario Scienza Tecnologia e Società 2015, Il Mulino, 2015. 11th ed. Raponi, R. (). Lo stato della ricerca in Italia. Dai doveri costituzionali alle reali ragioni dei tagli ai finanziamenti nel settore della ricerca. Amministrativamente, 2013. 10; 1–25. Rubino, A. Dove va la Pediatria. Prospettive in Pediatria, 2008. 38; 96–101. 135 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Szilagyi, P. G, Haggerty, R. J, Baldwin, C. D,et al. . Tracking the careers of academic general pediatric fellowship program graduates: academic productivity and leadership roles. Academic Pediatrics, 11;3: 216–23. doi:10.1016/j.acap.2011.02.005 FIGURE Figura 1 A. Andamento delle risorse destinate al PRIN (milioni di euro). Fonte: Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca. ANVUR 2013. MIUR- Direzione generale per il coordinamento e lo sviluppo della ricerca. 160 140 134 137 137 131 126 120 110 106 96 100 100 82 75 80 60 39 40 20 0 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 Figura 1 B. Rapporto tra quota di finanziamenti ottenuti e quota al contributo al bilancio dell’Unione, contributo effettivo e al netto della correzione per Olanda, Regno Unito e Svezia. Fonte: Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca. ANVUR 2013 E-CORDA-Proposals 136 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Figura 2. Finanziamenti ERC Fonte: Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca. ANVUR 2013. European Research Council –FP7 2A 137 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) 2B 2C 138 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Figura 3: Assegnazione dei Fondi PRIN ai Pediatri rispetto al totale dei Finanziamenti. 139 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) TESTIMONIANZE Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Il punto di vista di chi ha deciso di "rischiare" (1) Loredana Marcovecchio Uno sguardo alle prospettive di una carriera accademica in Italia Per un giovane medico/pediatra essere impegnato nella ricerca rappresenta un'opportunità unica per contribuire all’avanzamento delle conoscenze mediche e più in generale al progresso della società. L’avvio di una carriera universitaria è un momento delicato per un giovane, prevedendo un percorso lungo ed impegnativo: occorre dedicarsi all’obiettivo con molta determinazione, perseveranza, impegno personale e spirito di sacrificio. Inoltre, si tratta di un percorso associato a numerose incertezze: l’ambiente offre una carriera assai incerta, che dipende da un lato dal maturare di un potenziale scientifico personale difficilmente prevedibile, e dall’altro da cambiamenti del quadro istituzionale che potranno essere più o meno favorevoli. Molto dipende dunque dall’impegno personale, dalle capacità individuali, ma vi è anche una forte influenza da parte delle circostanze in cui si opera: è molto importante trovarsi nel giusto ambiente, con disponibilità di infrastrutture e fondi per la ricerca. È importante anche incontrare le giuste persone/maestri che sappiano guidare il giovane nel suo percorso e siano disposti a trasmettere i giusti insegnamenti e la giusta metodologia di ricerca. È fondamentale che chiunque decida di intraprendere una carriera nel mondo della ricerca trovi gratificazione nel proprio lavoro e sia convinto dell’importanza dell’obiettivo da perseguire. Nel nostro Paese, le politiche degli ultimi anni hanno fortemente penalizzato il ruolo della ricerca scientifica e sminuito l’interesse dei giovani nei suoi confronti. Le statistiche parlano chiaro: l'Italia ha un numero di dottorandi inferiore rispetto ad altri Paesi europei. Inoltre, lo stipendio dei dottorandi italiani, anche dopo aggiustamento per il costo della vita, è inferiore a quella dei loro colleghi provenienti dai paesi dell'Europa occidentale. Nel corso degli ultimi anni c’è stato anche un ridimensionamento dei programmi post-dottorato, in termini di fondi e disponibilità. Confrontando il reclutamento prima e dopo la riforma della legge 240/2010, dati recenti, raccolti dell'Associazione Dottorandi e Dottori di ricerca (ADI), hanno messo in evidenza come i buoni propositi siano naufragati di fronte alla realtà dei numeri. Se, infatti, prima del 2010 il tasso di reclutamento dei ricercatori (a tempo indeterminato) era di circa 1.700 all'anno, nel 2013 le Università hanno assunto 812 ricercatori a tempo determinato di tipo A e 96 ricercatori a tempo determinato di tipo B, per un totale di 908 ricercatori a tempo determinato. 143 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Inoltre, le riforme degli ultimi anni hanno anche reso il percorso di formazione alla ricerca lungo e incerto. Per cui, anche i giovani più meritevoli, dotati di talento e delle giuste doti per “far ricerca”, devono essere pronti a "rischiare", ad investire una media di 10-15 anni prima di raggiungere una posizione di stabilità, quale ad esempio quella di ricercatore tipo b, propedeutico a una posizione di professore associato. Tuttavia, in base a recenti statistiche, tale posizione verrebbe garantita solo ad un ricercatore su 100. Pertanto, la carriera universitaria, che dovrebbe ‘generare’ individui liberi e creativi, in Italia, produce dipendenza, incertezza e servilismo. Ciò incide sfavorevolmente sulle scelte dei giovani laureati, che spesso rinunciano al sogno di una carriera accademica, propendendo realisticamente per professioni più remunerative. In particolare, per un giovane pediatra la prospettiva di una posizione ospedaliera è senz’altro più ‘appealing’ in termini di remunerazione, ma anche di conciliazione con vita familiare e sociale. L’altro risvolto negativo del sistema universitario italiano è quello di sperimentare una costante “fuga di competenze”. I ricercatori vanno dove la ricerca ha maggiori finanziamenti, dove dà maggiore gratificazione, dove la remunerazione è più alta. Nell’ambiente accademico vi è poi una disparità di genere, con la presenza di una sola donna ogni tre ricercatori. Procedendo progressivamente nel percorso di formazione e nella carriera di ricerca la componente femminile tende a ridursi. Dati recenti indicano che le donne rappresentano ben il 60% rispetto alla totalità degli studenti laureati; la loro presenza si riduce però al 44% lungo gli step iniziali del percorso di ricerca, per poi scendere fino al 18% ai livelli di carriera più avanzati. Considerando che tra i giovani specialisti in pediatria, le donne prevalgono, questo si traduce in un ulteriore ostacolo ad avere giovani pediatri che si orientino verso la carriera accademica. Le ricercatrici sono dunque di meno, e ciò dipende dal fatto che è difficile fare carriera per varie difficoltà, tra cui conciliare la vita lavorativa con la vita fuori dal lavoro (famiglia, figli). L’ esperienza personale La mia “storia accademica” è quella di una persona che, fin dall'inizio della sua formazione medica, ha nutrito un forte interesse per la ricerca clinica, ed è stata conquistata dall’idea di conciliare attività clinica e di ricerca. La mia passione per la ricerca è infatti nata e progressivamente maturata durante gli anni dell’università, quando, attraverso lo studio della medicina nelle sue varie branche ho acquisito la consapevolezza che molto è noto su varie patologie ma che ci sono anche tanti quesiti irrisolti, e molti continuano ad emergere quotidianamente nella gestione dei pazienti. Ciò ha stimolato la mia innata curiosità e desiderio di approfondire soprattutto aspetti relativi alle patologie endocrino- 144 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) metaboliche in età pediatrica, e a cercare di dare un mio piccolo contributo per una migliore comprensione di processi fisiopatologici e l’identificazione di nuove strategie preventive e terapeutiche. Forte motivazione, spirito di sacrificio, coraggio e soprattutto desiderio di perseguire un sogno sono stati gli elementi che mi hanno aiutato nel lungo percorso formativo post-laurea, che dopo circa 11 anni mi ha permesso di ottenere una posizione di ricercatore di tipo B, solo di recente. Nonostante non possa negare che il percorso finora sia stato lungo e non semplice, e che tuttora sia pieno di incertezze, tuttavia, penso che l’aspetto incoraggiante della mia esperienza sia che anche un giovane che “non porti un cognome importante”, che non abbia “origini nobili” possa ambire ad un posto nel mondo universitario. Ci sono alcuni elementi del mio percorso sui quali vorrei soffermarmi. 1) Il primo punto è stata la mia scelta di optare per un dottorato di ricerca subito dopo la Laurea in Medicina, posticipando l’ingresso nella Scuola di Specializzazione in Pediatria. Tale scelta è stata vista da molti, sia coetanei che persone con maggiore esperienza, con molto scetticismo. Una scelta solo da taluni definita ‘coraggiosa’. Per me, invece, è stata una scelta motivata da una forte passione per la ricerca e dal sogno di poter intraprendere una carriera universitaria. Un elemento che non ho considerato nel momento in cui ho fatto tale scelta è stata l’aspetto remunerativo, forse sia per l’effetto di un po’ di ingenuità, legata alla giovane età e della mancanza di esperienze lavorative remunerate precedenti, ma soprattutto perché in quel momento la prospettiva di una potenziale carriera universitaria veniva prima. Tra l’altro, l’unico dottorato a cui potevo presentare la domanda in quel momento aveva la durata di 4 anni, ma anche questo aspetto non mi ha distolto dalla mia scelta. 2) Un altro punto importante penso sia stata l’offerta di trascorrere un periodo formativo all’estero, che ha rafforzato la mia scelta. Già durante gli anni dell’università avevo desiderato fare una esperienza all’estero, ma avevo sempre posticipato ciò al fine di completare il percorso di studi universitari entro i termini. Durante il dottorato ho avuto la possibilità di trascorrere un lungo periodo in un centro di eccellenza per la ricerca nell’ambito della Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica presso l’Università di Cambridge (UK). Sono poi tornata nella stessa struttura come post doc dopo il conseguimento del dottorato. Penso che un periodo formativo all’estero, presso un centro di eccellenza, sia fondamentale per qualsiasi giovane che voglia intraprendere la carriera accademica. Per me è stato un motivo di crescita non solo professionale ma anche personale. È stata un’esperienza senz’altro difficile 145 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) sotto vari punti di vista: aspetto economico (costi di vita maggiori/spese per viaggi, etc), inserimento in un ambiente nuovo, rappresentato da un centro di eccellenza per la ricerca in pediatria, nonché le difficoltà incontrate poi nel re-inserimento nell’ambiente universitario di origine al ritorno in Italia. 3) Un ulteriore aspetto del mio percorso formativo è stato poi l’ingresso in specializzazione dopo il dottorato. Devo dire che passare dal mondo della ricerca a quello della clinica mi ha permesso di trasferire le competenze acquisite durante la formazione alla ricerca in ambito clinico, quali rigore e metodologia scientifici, capacità di utilizzare al meglio il proprio tempo, capacità coordinative nel lavoro di gruppo/équipe. Questo mi è stato molto di aiuto. Tuttavia, non nego che il periodo di formazione specialistica sia stato molto impegnativo, perché durante tali anni ho dovuto portare avanti anche attività di ricerca ‘nei ritagli di tempo’, al fine di consolidare il mio curriculum e, soprattutto, per evitare “gaps” nella attività di ricerca che vengono sempre visti negativamente in sede di concorsi. 4) Un ulteriore punto che vorrei sottolineare sono le incertezze generate dai cambiamenti avvenuti durante il mio periodo formativo e quelle generate dalla carenza di fondi. In particolare, la famosa ‘legge Gelmini’ (legge 240/2010) è entrata in vigore proprio mentre ero nel cuore del mio percorso formativo, facendo decadere quella posizione di ricercatore a tempo indeterminato nella quale avevo sperato quando avevo iniziato il mio dottorato di ricerca. L’incertezza è un elemento caratterizzante della carriera universitaria. Tuttora, vivo una qualche incertezza, in attesa che venga bandita la prossima tornata di abilitazione scientifica nazionale, pre-requisito per poter avanzare nella mia carriera universitaria tra tre anni. Inoltre, numerose e costanti sono le incertezze connesse con la difficoltà di ottenere fondi per progetti di ricerca, fondi che sono sempre limitati e per i quali non sempre l’assegnazione avviene sulla base di valutazioni obiettive e meritocratiche. Pertanto, le frustrazioni, i fallimenti sono tanti e bisogna avere il coraggio di guardare avanti e fare sempre nuovi tentativi. Conclusioni Il percorso della carriera accademica è di sicuro lungo, con intrinseche difficoltà, frustrazioni e incertezze, ma anche grandi soddisfazioni quando si ottengono risultati validi. A mio giudizio la passione, la determinazione, lo spirito di sacrificio, la dedizione alla ricerca insieme ad un forte senso di responsabilità verso se stessi e tutta la comunità scientifica sono 146 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) caratteristiche fondamentali per un giovane che vuole emergere e dare il suo contributo per il progresso delle conoscenze scientifiche. È importante credere nei propri ideali e nei propri sogni e fare di tutto per raggiungerli. Rischiare è senz’altro un aspetto che caratterizza la scelta della carriera universitaria, ma del resto il rischio fa parte di tutte le scelte. Solo “pochi eletti” hanno un percorso ben pianificato e senza rischi. I giovani e il loro entusiasmo sono essenziali per l'avanzamento della ricerca. Pertanto, ritengo che sia essenziale promuovere e potenziare la ricerca nel nostro Paese, attraverso investimenti in formazione scientifica di giovani medici e aumentando le opportunità per coloro che desiderano impegnarsi nella ricerca medica. Inoltre, è fondamentale l’implementazione di un concetto molto importante, quale quello della ‘meritocrazia’, concetto di cui si parla tanto, ma che poi viene applicato poco. Manca ancora nel nostro Paese, in ambito universitario, un sistema che permetta di selezionare in base al merito e una politica in grado di dare vere opportunità a chi lo merita. 147 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Il punto di vista di chi ha deciso di "rischiare" (2) Antonietta Giannattasio Nella “produzione della conoscenza”, le Università hanno un ruolo fondamentale, in quanto principali fornitrici di formazione, ricerca e innovazione. La capacità formativa dell’Università Italiana è dimostrata dall’alta qualità della produzione scientifica nel nostro Paese e dal reclutamento di un elevato numero di studenti e ricercatori italiani all’estero. I ricercatori italiani sono al 7° posto di una graduatoria internazionale per numero di citazioni delle pubblicazioni. Tuttavia, la ricerca scientifica in Italia presenta numerose problematiche, alcune delle quali sono: • Scarsezza di disponibilità in termini di posti liberi e fondi • Numero di ricercatori in Italia = metà rispetto a Francia e Germania • Età media a cui si diventa ricercatore = 38 anni • Età media degli universitari italiani = 50 anni (il 27% dei quasi 20 mila professori ordinari ha più di 65 anni e il 54% dei docenti supera i 50 anni, contro il 41% della Francia e il 32% della Spagna) • Drastica riduzione del turn-over nelle università nel triennio 2009-2012 • Scarsa meritocrazia nel reclutamento e progressione di carriera dei ricercatori • Percentuale del PIL dedicato alla ricerca tra le più basse dei paesi del G8 (solo la Spagna è in coda all’Italia) A queste criticità si è aggiunto negli ultimi anni il nuovo sistema di reclutamento dei ricercatori universitari nell’unica forma possibile di “RTD” (Ricercatori a Tempo Determinato tipo A o tipo B, legge Gelmini n. 240/2010). In base a tale legge, il ricercatore è diventato un “precario”, con contratti di durata triennale prorogabili per soli due anni, per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità, criteri e parametri definiti con decreto del Ministro. Tanti i problemi legati alla figura di RTD. Innanzitutto, i ricercatori di tipo B, quelli relativamente più “stabili”, hanno avuto poco successo negli Atenei. Diverse sono le ragioni: essi prevedono l’inserimento nella programmazione di una più onerosa futura posizione di professore associato; i ricercatori a tempo indeterminato in servizio e in esaurimento vedono giustamente il percorso privilegiato degli RTD-B come una concorrenza sleale: infine, il meccanismo della tenure track, popolare nel mondo anglosassone, qui da noi non è stato compreso appieno. Il risultato è che oggi su un totale di 2649 RTD in servizio negli Atenei statali, 148 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) solo 255 sono RTD-B. Un altro dei tanti problemi degli RTD riguarda il tempo a disposizione del ricercatore per poter raggiungere un livello di maturità scientifica e rientrare nei parametri minimi (mediane) previsti dalle abilitazioni nazionali a professore associato (attualmente unico modo per restare a tempo indeterminato nell’università italiana) all’interno dei singoli settori disciplinari. Questo calcolo, pur considerando fra i valori l’età accademica, prevede la verifica della produttività scientifica degli ultimi 10 anni, un tempo nel quale i ricercatore ha modo di condurre ricerche e un livello di produttività scientifica coerente con i criteri descritti dalle abilitazione. L’incoerenza in tal senso riguarda il fatto che gli RTD non hanno a disposizione un lasso di tempo di 10 anni, pur sommando un eventuale periodo dottorale e da assegnista, nel quale comunque la maturità scientifica del ricercatore è in fase di formazione. Quindi un RTD si trova ad avere a disposizione un numero di anni decisamente più basso per conseguire un livello di produttività, con conseguente grande difficoltà nel poter rientrare negli indicatori previsti dalle abilitazioni nazionali. Le scarse risorse economiche disponibili per i contratti di RTD e per le attività di ricerca in generale, le condizioni economiche migliori in altri Paesi rispetto all’Italia, le prospettive di una più rapida e gratificante progressione di carriera, spingono ogni anno i ricercatori italiani ad abbandonare il nostro Paese e recarsi all’estero. Ma per chi decide di restare, quali e quante sono le possibilità di fare ricerca? C’è chi, come la sottoscritta, che decide di “ritornare all’università con il contratto RTD tipo A, con una scelta personale condivisa da pochi e criticata da molti. Il mio personale percorso, che definirei tortuoso, ha visto le seguenti come tappe principali: laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università Federico II di Napoli nel 2001 (pochi giorni dopo il compimento del 24° anno di età), specializzazione in Pediatria presso la stessa Università nel 2006, dottorato di ricerca conseguito nel 2009. Dal 2007: precaria dell’AOU Federico II (contratto assistenziale di tipo libero-professionista, di 38 ore settimanali, presso il Centro di Riferimento Pediatrico per l’HIV). Dopo 4 anni di tale contratto, mal retribuito, poco tutelato, con necessità di “integrare” con altre attività (sostituzioni di pediatria di base, turni di guardia in cliniche convenzionate…) con conseguente meno tempo da dedicare alla ricerca, la decisione: lasciare l’università per un contratto ospedaliero a tempo determinato (avviso pubblico), trasferirsi in un’altra regione (Basilicata), abbandonare (forse) la ricerca. Dopo un anno di avviso pubblico, vengo assunta, previo concorso, a tempo indeterminato, presso lo stesso ospedale lucano… e poi… nel 2014, dopo un breve “periodo” a Campobasso presso l’Università del Molise, ecco un concorso per RTD tipo A all’Università Federico II. E a questo punto che si fa? Ci si rimette in gioco, si fa il concorso, si vince il concorso, si accetta il contratto, si ritorna dall’ottobre 2014 all’Università Federico II, rinunciando intanto anche ad un trasferimento per mobilità dalla Basilicata all’ASL di Caserta. 149 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) E poi? Cosa succederà al termine dei tre anni di RTD? Questo ve lo diremo alla prossima puntata! In conclusione, le nostra università sono (malgrado tutto) una miniera d’oro di talenti frustrati da un sistema imballato, incapace di valorizzarli. Quello che si è affermato in Italia non è un sistema flessibile del lavoro di ricercatore, ma un sistema di precariato in cui anche il contratto di ricercatore a tempo determinato è diventato oramai una chimera. 150 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) L’esperienza di chi ha seguito la sua vocazione...all’estero Luigi Titomanlio Come si sviluppa la carriera universitaria di un pediatra in un Paese diverso dell’Italia? In questo breve documento introdurrò il sistema di valutazione personale e scientifica francese, che mi ha permesso all’età di 42 anni di essere nominato Professore Ordinario di Pediatria nella prestigiosa Università Paris 7 - Sorbonne Paris Cité di Parigi, e allo stesso tempo Primario universitario del reparto di Urgenze Pediatriche dell‘Ospedale Robert Debré. Tale reparto parigino è tra i più grandi e reputati in Europa, con 87.000 visite nel 2015, e rappresenta un fiore all’occhiello del sistema sanitario francese. Premessa: si può intraprendere una carriera universitaria di alto livello se ci sono delle condizioni favorevoli: la voglia, le capacità, e soprattutto il sostegno di persone care e dei mentori, che ti incoraggiano e ti guidano nel lungo percorso. Sono riconoscente a tutti i miei mentori, ma nominerò solo quelli che hanno interesse per il lettore di questo articolo. Dopo aver conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia e poi la Specializzazione in Pediatria all‘Università Federico II di Napoli, ho iniziato un dottorato di ricerca nella stessa Università, sotto la guida del Prof. Generoso Andria. Spinto dalla volontà di apprendere la Neurologia Pediatrica, che in Italia percorre vie diverse dal resto del mondo, sono partito per Parigi per terminare il dottorato e perfezionarmi in neuropediatria, sotto la guida del Prof. Philippe Evrard. Essendo la carriera di ricerca in Italia complessa (non mi dilungo), e essendo valorizzato in Francia, ho continuato un post-dottorato nel laboratorio INSERM diretto dal Prof. Pierre Gressens, di comune accordo con tutti i sopracitati Professori. Per la clinica, mi è stato offerto un posto di Chef de Clinique (fellow resident, posto che si ottiene dopo la specializzazione) al fine di sviluppare la neuropediatria acuta nel reparto di Urgenze Pediatriche dirette all’epoca dal Prof. Jean-Christophe Mercier. Ho poi percorso tutte le tappe che portano in Francia ad un posto di Ordinario. Come si fa a diventare Professore Ordinario di Pediatria in Francia? Prima di tutto, quanti ce ne sono? Poco più di un centinaio. Il numero di Ordinari per tutte le discipline è quasi fisso anno per anno, poiché dipende dal Ministero, che attribuisce i posti di Ordinario alle diverse Facoltà in base alle performance degli 151 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) studenti agli esami nazionali, alle pubblicazioni e ai grant internazionali ottenuti. È poi il Consiglio di ogni Facoltà a distribuire i posti di Ordinario tra le varie discipline della Facoltà. In pratica, i posti sono pochi ed in competizione. Come si fa a garantire un buon candidato per il proprio reparto? Il Professore in ruolo pre-seleziona dei candidati potenziali, anche più di uno per reparto. In genere si scelgono i migliori, attraverso un sistema di commissioni multiple che dettaglierò in basso. Capirete che scegliere dei candidati su base non meritocratica espone il reparto, l’ospedale e la Facoltà alla perdita di un posto di Ordinario, che rappresenta un declassamento severo per la funzionalità di ciascuna di queste strutture. Come si cerca di garantire la meritocrazia? Nel sistema francese i candidati: 1) sono valutati da una commissione ospedaliera, che può mettere un veto, e che classifica alla fine tutti i candidati al posto di Ordinario secondo l’interesse che rivestono per l’Ospedale; 2) sono valutati da una commissione universitaria, che può mettere un veto, e che classifica tutti i candidati al posto di Ordinario secondo l’interesse universitario che rivestono per la Facoltà; 3)devono avere ottenuto una abilitazione nazionale a dirigere delle ricerche (HDR). Per ottenerla, si deve aver svolto un post-dottorato in un laboratorio di ricerca nazionale, e si deve essere valutati da una commissione nazionale indipendente. Quest’ultima ha diritto di veto e si basa su dei reviewer del curriculum del candidato, senza alcun rapporto con la struttura di origine (forse inutile dirlo), che effettuano anche una visita sul sito per discutere in privato con il personale, al fine di verificare che il candidato sappia pubblicare, trovare fondi di ricerca e coordinare un team di laboratorio (in breve, verificano che non sia un altro a farlo per lui). 4) devono avere dei requisiti minimi, essenzialmente: - essere stati Chef de Clinique per almeno 2 anni - avere un Diploma nazionale per l’insegnamento - avere svolto una mobilità di 1 anno in una struttura indipendente dalla struttura di origine, di preferenza all’estero - avere pubblicato bene nella sotto-disciplina, cioè avere un numero di punti minimo allo score francese SIGAPS. Il calcolo dei punti si basa sulla posizione dell’autore, sul numero di autori, sul tipo di pubblicazione e sul quartile di appartenenza della rivista nella sotto disciplina (The 152 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Lancet per l’internista ha lo stesso valore di Pediatrics per il pediatra). L’H-index e gli altri indici sono valutati nell’ambito dell’ottenimento dell’HDR (punto 3). 5) dopo avere valicato i punti precedenti, devono essere validati dal Consiglio nazionale dell‘Università, sottosezione pediatrica, composto da Professori Ordinari, in due sessioni progressive ad anni diversi (pre-CNU e CNU). Anche qui, ci sono dei reviewer che si basano anche su una visita sul sito per discutere del candidato con altri docenti, il direttore dell’Ospedale, la commissione medica, il preside di Facoltà, il personale medico e paramedico del reparto, il personale del laboratorio, e gli studenti. Lo scopo di queste visite è di nominare un candidato che sia appoggiato dall’Ospedale, dalla Facoltà e dal reparto, e che non sia il frutto di una nomina non meritocratica (tralascio le differenti sotto-categorie), poiché nuocerebbe a medio e lungo termine al prestigio di tutte queste strutture. 6) infine, devono essere approvati dal Ministero della Salute e dal Ministero dell’Università, che raccolgono tutti i documenti delle differenti commissioni, e che hanno ovviamente diritto di veto se giudicano il candidato non idoneo. Non dettaglierò la carriera per il Primariato universitario, dirò solo che richiede anch’essa il passaggio di un numero significativo di commissioni, con lo scopo di non trovarsi un primario « buono solo a pubblicare » e incapace di gestire un’équipe (o il contrario). L’interesse della collettività resta in primo piano. Per concludere, in Francia ottenere un posto di Professore Ordinario e di Primario universitario ad una giovane età è possibile, anche per uno straniero senza « meriti non meritocratici » (forse non è italiano, ma si capisce). Attenzione al fatto che la strada è molto lunga, difficile ed estremamente competitiva. A titolo di esempio, per ottenere il posto che occupo, ho passato 20 commissioni. Forse è questo il prezzo da pagare per un sistema di qualità. Quel che ho trovato utile nel sistema francese è il pre-orientamento: si identificano dei potenziali candidati ad un posto universitario, e si sostengono affinché possano mostrare quel che valgono in realtà. Visto il numero di commissioni indipendenti, con diritto di veto e a difficoltà crescente, si selezionano all’inizio solo i candidati che hanno davvero un profilo universitario: l’interesse comune prevale sull‘interesse personale poiché in caso contrario ci rimettono tutti, e nessuno è disposto a perdere. 153 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) Considerazioni conclusive Armido Rubino A volte le “Vie del Signore” appaiono davvero “infinite”. In Italia (il Paese con molti record negativi nel quadro europeo riguardo al sostegno, finanziario e normativo, alle attività di ricerca scientifica e alla formazione dei giovani alla ricerca) accade che la ricerca scientifica svolta dalle istituzioni pediatriche e, più in generale, la “ricerca scientifica di interesse pediatrico”, sia di buon livello e del tutto competitiva se confrontata con gli altri Paesi europei inclusi quelli molto più fortunati dal punto di vista del sostegno alla ricerca scientifica. Lo dimostrano i dati sulle pubblicazioni scientifiche raccolti, negli anni più recenti, dalla SIRP grazie all’impegno di Generoso Andria e dei Soci che con lui hanno collaborato. Ma è bene non cullarsi su questi fatti. Purtroppo sono ben noti i dati negativi generali sul sistema universitario e della ricerca scientifica nel nostro Paese (istituzioni pediatriche incluse) relativamente sia alla cosiddetta “fuga dei cervelli” verso altri Paesi, sia alla persistente insufficienza delle risorse e delle opportunità offerte ai giovani (in particolare i giovani medici) per una carriera accademica, sia alla persistente e generale scarsità di meritocrazia nei processi selettivi. Benvenuto dunque questo Libro bianco della SIRP, che pone al centro dell’attenzione il problema del reclutamento dei giovani medici per una carriera accademica nel nostro Paese, con particolare riferimento ai rapporti fra formazione alla ricerca scientifica, formazione alle attività assistenziali e rapporti con le prospettive di lavoro. Il tutto visto guardando in particolare al “medico pediatra”, con i suoi connotati specifici ma anche come esemplificativo di un problema più generale. È appena il caso di ricordare che il giusto punto di equilibrio fra formazione e lavoro richiede un “parlarsi” fra i due ambiti per rendersi l’un con l’altro coerenti: cosa tanto più necessaria (ma anche teoricamente più facile!) dal momento che i partecipanti ai due ambiti sono, in larga misura, le stesse istituzioni e le stesse persone! Tuttavia… Mi pare ormai assodato, fino a costituire un luogo comune, che sia ormai passato il tempo in cui formazione e lavoro erano viste come due fasi distinte. Siamo invece nel tempo in cui alla formazione di base segue la formazione continua, con un intreccio tra formazione e lavoro che continua per l’intera durata della vita lavorativa. Ciò malgrado, ci si ritrova spesso a discutere di formazione e lavoro come se si trattasse di due fasi distinte, l’una successiva all’altra. Guardando 155 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) allo specifico del medico (ad esempio pediatra) e del ricercatore impegnati in una carriera accademica, il problema diverrebbe privo di soluzione se lo si dovesse impostare come il succedersi di tre distinte fasi: la formazione del medico, la formazione del ricercatore, il lavoro nel sistema della ricerca e/o dell’Università. Non molti decenni orsono in Italia la specializzazione in pediatria durava tre anni mentre la formazione alla ricerca era…affidata al caso più o meno fortunato. Tuttavia quella generazione di pediatri promosse la ripresa dei contatti internazionali soprattutto con il mondo anglosassone, un progressivo e straordinario sviluppo sia della pediatria generale sia delle specialità pediatriche nel nostro Paese, con la crescita di numerosi Centri di eccellenza scientifica competitivi a livello internazionale e, al tempo stesso, una forte cultura di pediatria generale che, accanto alla pediatria ospedaliera, assumeva e dava sostanza alla “pediatria di famiglia” (oggi un autentico e positivo unicum in Europa per quanto riguarda le cure all’età pediatrica). Oggi se per la formazione di un pediatra clinico e ricercatore dovessimo prevedere un iter di sei anni per conseguire la Laurea in Medicina e Chirurgia seguito da cinque anni per la Specializzazione in pediatria e da ulteriori tre anni per un Dottorato di Ricerca o comunque un Corso abilitante alla ricerca scientifica, avremmo una formazione “completata” all’età di 32 anni nella migliore delle ipotesi. E se dovessimo tener conto di insufficienze, risorse e normative governanti l’accesso alle strutture universitarie e di ricerca scientifica (il tutto con tempi operativi tipici di un Paese come l’Italia afflitto da una burocrazia asfissiante) avremmo accessi al sistema universitario e della ricerca fra i 35 e i 40 anni nella migliore delle ipotesi. Avremmo cioè quella che Generoso Andria chiama l’ ”apoptosi” della figura del ricercatore e docente universitario in medicina e in particolare in pediatria. Dunque cosa fare? Cosa tentare di promuovere? Sembrano emergere due strade anche dagli eccellenti contributi a queste giornate sul “futuro della ricerca clinica (pediatrica)”. La prima strada riguarda il “programma MD/PhD” discusso da Claudio Pignata, Emilia Cirillo e Giuliana Giardino. A me pare importante che si proceda su questa strada anche in Italia. Non dovrebbe essere difficile formulare una proposta per le indispensabili approvazioni con relativi decreti ministeriali, con un curriculum appropriato sia rispetto alle finalità di un’attività medicoassistenziale sia a quella di ricerca scientifica di tipo biomedico. C’è il rischio che nella fase preparatoria e propositiva si possa incorrere in un confuso affollarsi di tutti i settori scientificodisciplinari presenti nelle Scuole di Medicina con richieste disordinate di “crediti formativi”, 156 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) perdendo di vista la visione di insieme. Si tratterà perciò, nella fase propositiva, di mantenere saldamente la barra su una “formazione generale alla ricerca scientifica di interesse biomedico”. Ma per quanto riguarda la formazione alla ricerca scientifica di specifico interesse pediatrico, credo vadano anche perseguite le possibilità offerte dalle nuove norme riguardanti la specializzazione in pediatria emanate circa un anno fa con apposito decreto ministeriale. Si tratta di una opportunità che, se correttamente utilizzata, può produrre ottimi risultati per la formazione del pediatra ricercatore. Mi riferisco al decreto ministeriale, discusso in queste giornate da Giuseppe Saggese e altri, che finalmente configura la specializzazione in pediatria secondo il modello comunemente indicato come “europeo” (in quanto da tempo operativo nella maggior parete dei Paesi europei): un triennio di insegnamento teorico e pratico di pediatria generale seguito da un biennio che può essere, a scelta del candidato, o ancora di pediatria generale (per le cure primarie ovvero per le cure secondarie) oppure per una delle numerose specialità pediatriche oggi ben riconosciute (dalla neonatologia alla adolescentologia ovvero una delle numerose specialità d’organo o apparato: le cosiddette specialità pediatriche per le cure di terzo livello, destinate soprattutto alle strutture universitarie e alle grandi istituzioni pediatriche ospedaliere e di alta specializzazione). Ma va al riguardo precisato che tale decreto (e relativo modello operativo) è allo stato delle cose privo di effetti e sarebbe destinato a restare tale se la comunità pediatrica italiana non procedesse a promuovere tre fatti. In primo luogo è necessario che per ciascuno degli indirizzi di alta specializzazione previsti sia definita la numerosità dei posti a livello nazionale, ovviamente sulla base dei reali fabbisogni di salute pediatrica. In secondo luogo, ferma restando la competenza di ogni Scuola di specializzazione pediatrica per la formazione nell’indirizzo di pediatria generale (nel quadro delle norme di legge vigenti che configurano una forte collaborazione fra il sistema universitario e il sistema sanitario), è necessario che siano ben individuati i criteri sulla base dei quali le singole sedi universitarie possano essere riconosciute per le attività formative relative alle specifiche specialità pediatriche (criteri che la stessa comunità pediatrica dovrebbe individuare e che ovviamente non possono non includere il riconoscimento di un’attività di ricerca scientifica svolta in una o più specialità pediatriche, attività documentata attraverso la produzione nella letteratura scientifica internazionale). In terzo luogo è indispensabile che ciascuna sede universitaria nel Paese si adegui a quanto è già individuato come obbligo di legge (peraltro tuttora inevaso): il rilascio, in allegato al titolo di 157 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) specializzazione, di un “supplemento al diploma” nel quale sia precisata l’avvenuta acquisizione del titolo di specialista in una determinata specialità pediatrica o viceversa nell’indirizzo di pediatria generale. Va notato, con qualche preoccupazione, che a tutt’oggi, a distanza di circa un anno dal citato decreto ministeriale che istituiva l’attuale assetto normativo della Scuola di specializzazione in pediatria, le suddette tre condizioni non sono soddisfatte, cosicché il decreto di cui sopra è a tutt’oggi privo di effetti. Urge perciò un’azione decisa della comunità pediatrica perché possano concretizzarsi le tre suddette condizioni. Questo consentirebbe agli specializzandi degli anni quarto e quinto un’attività formativa che sarebbe al tempo stesso di tipo clinico e di tipo scientifico. Potrebbe allora bastare solo un ulteriore anno di formazione alla ricerca perché si possa ritenere del tutto sufficiente la formazione medesima per concorrere alle selezioni relative all’inquadramento nelle strutture di ricerca di interesse pediatrico, universitarie o ospedaliere. Tale ulteriore anno potrebbe essere costituito da una partecipazione abbreviata a un Corso di Dottorato (come è già consentito dalla normativa vigente) ovvero dalla partecipazione a Corsi annuali di ricerca post-specialistica se andasse a buon fine l’iniziativa di cui trattano in questo Libro bianco Giuseppe Saggese, Gianni Bona, Luigi Maiuri e Alice Monzani. È bello e giusto che in un Libro bianco su “Il futuro della ricerca clinica (pediatrica)” si tratti anche dei problemi riguardanti il reclutamento dei giovani medici per una carriera accademica. Tuttavia credo che a proposito di reclutamento qualcosa vada aggiunta. L’impressionante “fuga dei cervelli”, gli innumerevoli esempi di giovani italiani che, formatisi in Italia vanno a mietere successi e conseguire eccellenti situazioni lavorative in altri Paesi ci dicono che, malgrado molte difficoltà l’attuale sistema formativo italiano non sta poi tanto male. E ci dicono che, fermo restando un ulteriore impegno per migliorare i processi formativi, occorrerebbe intervenire anche su altro. E quest’altro chiama in causa la politica nel Paese e l’accademia (quella universitaria in generale, quella medica e quella pediatrica in particolare). La politica di ogni colore che ha finora guidato il Paese è responsabile di una pluridecennale e persistente insufficienza di risorse destinate all’Università e al sistema della ricerca scientifica, sotto ogni aspetto e in particolare riguardo alla numerosità delle posizioni di docente e ricercatore. Basti un dato: abbiamo l’Università più anziana del mondo: dei 13.239 Professori Ordinari (pochi in assoluto rispetto ad altri Paesi) nessuno ha meno di 35 anni e solo il 15% ha meno di 40 anni (A. Galdo. Ultimi. Edizioni Einaudi, 2016). Dunque ben altro occorre, sia in risorse finanziarie sia nella 158 Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) numerosità delle posizioni di ricercatori e docenti, sia nelle disposizioni normative che “rendono poco attraente una carriera di ricerca” e di fatto “ostacolano soprattutto il reclutamento di giovani”, per usare le parole di Generoso Andria nella presentazione di questo Libro bianco. Ma occorre anche riconoscere che il male forse più grande, la colpa più grave nei confronti dei giovani di questo Paese vanno cercati nel campo delle valutazioni comparative fra più candidati da parte di quanti sono chiamati a giudicare. Fatte ovviamente salve le tante eccezioni, troppo spesso si dimentica che la funzione del docente universitario, in quanto maestro dei più giovani, è tutta nel formare il giovane medesimo al più alto livello qualitativo possibile e porlo nelle migliori condizioni culturali e pratiche per concorrere con successo nelle valutazioni comparative per l’accesso alle posizioni di docente o di ricercatore. Formazione in questo senso nei confronti di tutti non significa e non giustifica alcuna illegittima protezione nei momenti valutativi. Quando il docente è chiamato a svolgere funzioni giudicanti nelle valutazioni comparative per l’accesso di giovani alle posizioni di docente o ricercatore, il suo compito non può che essere uno: giudicare chi sia il (oppure i) più meritevole(i), con la massima obiettività e onestà intellettuale. Purtroppo mi sembra doveroso riconoscere che troppo spesso il sistema delle valutazioni nelle prove concorsuali nel nostro Paese è viziato da comportamenti che non costituiscono esattamente scelta del più meritevole tra tutti i candidati indipendentemente dalle loro precedenti afferenze. Aiutare i giovani medici nell’accesso alle carriere accademiche nel nostro Paese significa anzitutto impegnarsi al meglio per la loro formazione, ma significa anche garantire a loro assoluta onestà intellettuale nelle valutazioni comparative, sempre e comunque indipendentemente da ogni elemento che non faccia parte di un giudizio di merito. Sono convinto che offrire ai giovani la fiducia che il sistema Paese sia del tutto meritocratico costituisca il modo migliore per trattenerli nel nostro Paese. Maggiore impegno da parte dello Stato per creare opportunità di lavoro e maggiore credibilità dei meccanismi valutativi sul terreno della meritocrazia: sono questi gli strumenti per trattenere i giovani nel sistema universitario e della ricerca scientifica in questo Paese. 159