Elle - Maternity as a Master
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Elle - Maternity as a Master
Vog Vogliamo la maa aam! Ovvero una donna don consapevole che la maternità vale più di qualsiasi mas master (Maternity as a Master). M Perché quello è il momento in cui si acquisiscono competenze di problem p solving e di gestione gesti del team sempre più apprezzate sul la lavoro. Sembra una provocazione. Ma per le mamme mamm (e le aziende) è una risorsa preziosa prez d i marta g hE lm a 192 E l l E d i c E m b r E 2 0 1 5 El Eo no ra è un master che rende p più forti uomini e donne (Bur, 2014) in 187 pagine rivoluziona rivol i paradigmi e infrange i tabù relativi al difficile rapporto r tra maternità e lavoro. In un Paese, l’Italia, che ch si classifica al 114° posto al mondo per partecipazione partecipazion socio-economica delle donne, in cui l’occupazione femminile fem è inchiodata al 46 per cento (contro il 60 per cento ce della media europea), dove a n ton i on i copErtina shocking E titolo p r o V o c a t o r i o , il libro Maam. La maternità i n c h i e s t a una donna su quattro non rientra al lavoro dopo la maternità, tà, il tasso di fertilità è di 1,4 per cento (la soglia di sostituzione stituzione è 2,1 figli per donna) e le famiglie monoreddito to (quindi a rischio povertà) sono il 37 per cento, gli autori utori Andrea Vitullo e Riccarda Zezza raccontano la maternità come un periodo di crescita e aggiornamento to professionale. Utilizzando la genitorialità come metafora fora e palestra della leadership, infatti, nella visione di Maam l’esperienza generativa, se consapevole, non è più vissuta issuta come un problema o un ostacolo alla carriera maa può diventare, al contrario, un’importante risorsa per le aziende. «Nell’autunno del 2012», racconta Zezza, «sono sono stata invitata a Capri per presentare Piano C (il primo spazio di coworking dedicato alle le donne da lei fondato a Milano, ndr) a una conferenza di Giovani Imprenditori ori di Confindustria. Ascoltavo i relatori ori parlare di competitività e pensavo che, he, nonostante si sprecassero gli elogi sulla produttività femminile, la maternità rnità restava per noi donne il vero problema, roblema, il momento di rottura, ill muro da abbattere. Quando lavoravo ravo in Microsoft mi piaceva molto olto il termine SaaS (Software as a Service) e, mentre ero seduta in attesa del mio turno, ho scarabocchiato su un foglio l’acronimo cronimo Maam (Maternity as a Master, la maternità nità come master). E se dicessimo che la maternità è un master? Capovolgere completamente il punto di vista, considerando la maternità non più come una “malattia” da curare ma come un elemento di competitività, ività, forse, era l’unico modo per fare breccia sulla platea: a: devo ammettere che ha funzionato». Così, con quest’intuizione sottobraccio, Riccarda si è affidataa ad Andrea Vitullo, “guru” della leadership, executive coach oach e fondatore di Inspire (società che si occupa di training ining sui nuovi saperi necessari ai manager di oggi), e insieme nsieme hanno avviato ricerche approfondite sulla genitorialità orialità dal punto di vista biologico, sociologico e statistico. stico. «In estrema sintesi, ciò che è emerso da un anno di studi», commenta Vitullo, «è che curare, far cresceree e rendere forte un altro essere umano è la più istruttiva ttiva e vitale delle esperienze di leadership possibili. Non c’è simulatore di volo, percorso di sopravvivenzaa o team building che tenga rispetto all’avventura quotidiana otidiana di essere genitori. È paradossale continuare a pagare delle palestre artificiali quando è la vita stessa, tutti i giorni, a regalarci un allenamento naturale e gratuito». Una teoria innovativa che trova conferma nelle neuroscienze dove si dimostra come la maternità equivalga a una vera e propria finestra di sviluppo cerebrale attraverso la quale ogni madre (e talvolta anche qualche padre) sperimenta una serie di “meraviglie” che coinvolgono mente e corpo. Nel momento in cui una persona è chiamata ad accudire un altro individuo, infatti, è la natura stessa a renderla natural born leader ovvero più autonoma, forte e determinata. Oltre a questo, la “super energia” derivata dai cambiamenti ormonali in atto durante e dopo la gravidanza, l’attività di cura intensa e prolungata rivolta ai figli (così come a un genitore anziano o a un progetto importante) sviluppa una serie di competenze che rendono chi la attua più attenta, responsabile, intuitiva, paziente, concreta e focalizzata sull’essenziale. «Molte donne, spesso anche senza rendersene conto», osserva Vitullo, «proprio durante la maternità acquisiscono competenze di change management (capacità di governare il cambiamento) e problem solving (velocità nel risolvere i problemi) che possono rivelarsi utili anche dietro una scrivania». Rispetto alle evidenze sociologiche e comportamentali, inoltre, a partire dagli anni Settanta l’idea della “scarsità dei ruoli” (se dedico una parte di me al lavoro la negherò necessariamente alla famiglia) è stata progressivamente sostituita dalla teoria dell’“accumulo“ dei ruoli. Quest’ultima considera la sovrapposizione dei ruoli – per esempio, quello di madre, moglie, manager, viaggiatrice o sportiva – non più come un momento di conflitto ma piuttosto un’occasione per aumentare le energie, le capacità relazionali, le risorse emotive e i livelli di equilibrio trasmettendoli da un ambito all’altro. «La “transilienza”» (da “transizione” e “resilienza”), precisa Zezza, «è la “formula magica” utilizzata da Maam per descrivere il passaggio fluido delle competenze acquisite sul lavoro alla famiglia e dalla famiglia al lavoro: una definizione molto più efficace rispetto al superato concetto di multitasking». La terza e ultima buona notizia, infine, giunge dalla statistica. Una ricerca del Wellesley Centers for Women sulle caratteristiche femminili della leadership, condotto su 60 donne di potere americane, ha evidenziato come la parola maternità venisse “NoN c’è team buildiNg o simulatore di volo che regga il coNfroNto coN l’essere geNitori” E l l E d i c E m b r E 2 0 1 5 19 3 i n c h i e s t a spesso usata come un’allegoria e un esercizio della leadership, tanto da suggerire un secondo e più mirato studio sul tema intitolato Leadership: What’s Motherhood Got to Do with It? (Leadership: che cosa ha a che fare con la maternità?). Sulla base dei risultati ottenuti oltreoceano, Riccarda Zezza e Andrea Vitullo, tra giugno e settembre 2014, hanno lanciato un sondaggio su un campione casuale di lettrici del blog del Corriere della Sera, La 27esima Ora. Le risposte, raccolte tra 1.100 donne, hanno messo in luce che la maternità ha contribuito ad aumentare l’abilità nella gestione del tempo nell’87,5 per cento delle intervistate e la capacità di ascolto e l’energia messa nel “fare le cose” nell’86 per cento dei casi. E alle domande aperte: “Se pensi alle capacità che hai acquistato o migliorato occupandoti dei tuoi figli, quali diresti che usi con successo anche sul lavoro? Puoi fare un esempio concreto?”, le più segnalate sono state, al primo posto, time management, organizzazione e pianificazione (36,5 per cento), pazienza, tenacia e saper aspettare il momento (14,2 per cento), ascolto attivo (11,6 per cento) e multitasking, multishifting e multithinking (10,4 per cento). «Nonostante il sondaggio avesse portato a galla diversi problemi e casistiche legate all’incompatibilità tra famiglia e carriera», sottolinea Andrea Vitullo, «per la prima volta il linguaggio delle donne era cambiato. L’idea che la maternità venisse vissuta interiormente dalle madri manager come un vero e proprio “master” ha confermato la nostra intuizione e ha aperto le porte alla creazione di una massa critica femminile (e non solo) capace di portare con sé la trasformazione». Per scardinare i pregiudizi legati alla maternità e rendere consapevoli i lavoratori e le aziende del “capitale umano” che l’esperienza della genitorialità porta con sé, Vitullo e Zezza propongono workshop aziendali (tra gli altri “nomi” sono già stati coinvolti Pirelli, Luxottica, Valore D, Schneider Electric, Invitalia, Ikea, Poste Italiane e Unicredit) basati sulla rivoluzionaria teoria di Maam. «Coinvolgiamo dai 20 ai 30 manager per workshop», continua Vitullo, «lavorando su tre livelli: individuale, dove suggeriamo come usare le competenze della genitorialità sul lavoro (transilienza), rottura degli stereotipi e leadership generativa». Qui s’impara, per esempio, che uno degli aspetti fondamentali che delinea un “leader generativo” di successo è la capacità di partorire un progetto che gli sopravviva, indipendente e più forte di lui. Per fare questo è fondamentale che, con il passaggio all’età adulta, avvenga uno spostamento da un’auto-centratura tipica dell’età adolescenziale a una posizione più marginale rispetto al centro del quadro. Quello che in gergo tecnico si definisce less ego, l’esercizio di sgonfiamento dell’ego, la genitorialità lo insegna fin dal primo giorno di nascita del bambino. «Quando chiediamo ai capi d’azienda e agli amministratori delegati cosa succederebbe se “sparissero” per sei mesi, includendo nel divieto della presenza anche l’impossibilità di delegare, si scatena il panico. La maggior parte dei nostri leader», commenta Zezza, «creano dipendenze anziché “generare” infierendo danni enormi all’economia. La leadership, per essere materna, deve basarsi su quattro presupposti fondamentali: fare spazio, fecondare (un atto che richiede generosità), avere cura (essere in contatto con il mondo reale) e, infine, lasciare andare. Per questo motivo, le donne manager che scimmiottano modelli di potere maschile sono leader “sterili”, non apportano nessun valore aggiunto all’azienda». L’ultimo arrivato in “casa” Maam si chiama Maam U (dove la “u” sta per “you”), il primo e unico programma al mondo che trasforma l’esperienza del congedo di maternità in un momento di crescita anche professionale. Si tratta di un corso online che traduce la teoria di Maternity as a master in sette capitoli e che l’azienda può acquistare per licenza. Sottoposto alle proprie collaboratrici in congedo (ma è disponibile anche per i neopapà), Maam U trasforma l’assenza in un master che mette a fuoco e rafforza le competenze di relazione, cura, empatia e gestione della complessità. L’ottimismo di Riccarda e Andrea sulla sua efficacia è già palpabile ma per analizzare i primi risultati occorrerà attendere un anno. «A oggi, quello che ci manca di più», conclude Zezza, «sono dei modelli di leadership generativa. Se mi chiedessero di fare la ministra per le Pari opportunità accetterei la sfida per dimostrare che ci si può organizzare in modo diverso, a partire dall’esempio di Piano C. Noi donne non siamo né migliori né peggiori degli uomini: siamo diverse. Il giorno in cui diventeremo consapevoli che, proprio in questa diversità, risiede il nostro punto di forza, saremo Marta Ghelma delle bombe atomiche». “un lEadEr dovrEbbE gEnErarE un progEtto chE gli sopravviva, indipEndEntE E più fortE di lui” 1 94 E l l E d i c E m b r E 2 0 1 5