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TEORIA E PRATICA MILITARE NEL XV SECOLO:
L'EQUES SCOPPIECTARIUS
NEI MANOSCRITTI DI
MARIANO TACCOLA
E I PRIMI ARCHIBUGIERI A CAVALLO
di Marco Merlo © 2013
1
TEORIA E PRATICA MILITARE NEL XV SECOLO:
L'EQUES SCOPPIECTARIUS NEI MANOSCRITTI DI MARIANO TACCOLA E I PRIMI
ARCHIBUGIERI A CAVALLO
di Marco Merlo
Chiunque si sia interessato alle primitive armi da fuoco avrà certamente avuto modo di vedere
un’immagine del XV secolo: il disegno di un cavaliere in armatura, sopra un cavallo bardato, che
regge in una mano una lunga miccia accesa e nell’altra una bombardella manesca. Questo disegno,
che esiste in due varianti, viene spesso usato per dimostrare come le armi da fuoco venissero
impiegate dai cavalieri già nel Quattrocento. La realtà è un po’ più complessa poiché le due
immagini sono tratte dai due più celebri manoscritti di Mariano Taccola: la carta 21r del De
ingeneis e la carta 75v del De machinis. Queste due opere sono state a lungo trascurate dalla
storiografia a causa di pregiudizi di natura esclusivamente estetica, e solo negli ultimi anni si è
iniziato a considerarli come documenti storici di grande interesse e importanza; nonostante ciò
queste due carte non hanno particolarmente colpito gli studiosi che fin’ora ne hanno fatto
rapidissimi commenti, compresi i due fac-simile esistenti1.
MARIANO TACCOLA E LA TRATTATISTICA QUATTROCENTESCA
Le informazioni sulla vita di Mariano, figlio del vignaiolo Jacopo, detto Taccola, sono ancora
piuttosto lacunose2: nato a Siena nel 1382, fu forse uno dei più significativi sperimentatori e ideatori
di artifici meccanici del Quattrocento. Iscritto alla corporazione dei giudici e notai di Siena (dalla
quale fu radiato per ben due volte), fu camerlengo della Casa della Sapienza, periodo durante il
quale partecipò alla vita universitaria; come scultore in legno collaborò alla costruzione del coro del
duomo; fu sovrintendente ai trasporti e ingegnere idraulico nella sua città. I suoi servigi, si pensa nel
campo dei trasporti3, gli valsero dalle autorità cittadine una pensione di 28 lire e 16 soldi l’anno, che
negli anni Quaranta del XV secolo gli permise di ritirarsi a vita privata. Figura eclettica, coniugava
in sé una cultura notarile classica e un sapere tecnico-scientifico, così come altri personaggi del
primo Rinascimento, con alcuni dei quali intrattenne rapporti di amicizia e professionali, come con
il pittore e cronachista Bindino da Travale e il figlio Giovanni, lo scultore Jacopo della Quercia, che
fece da padrino al battesimo della figlia di Mariano, il pittore Domenico di Bartolo, l’umanista
Mariano Sozzini, a cui fece visionare almeno uno dei suoi manoscritti, e Filippo Brunelleschi4.
Il Quattrocento è il secolo che segna l’inizio della sperimentazione tecnico-scientifica, sulla scia
dell’Umanesimo: figure professionali differenti si erano cimentate nell’ideazione e nella
progettazione di macchinari e artifici di diversa natura. Molti di questi progetti rimanevano
Per la stesura di questo lavoro devo ringraziare di cuore il professor Alessandro Vitale Brovarone, che ne ha seguito gli
sviluppi e mi ha aiutato nelle traduzioni, il professor Mario Castiglioni per i preziosi consigli in materia chimica, le
stimolanti discussioni con Giorgio Dondi e Roberto Gnavi, i suggerimenti della professoressa Petra Pertici e la preziosa
consulenza di Silvia di Pasquale.
1
PRAGER, SCAGLIA, MONTAG 1971; SCAGLIA 1971.
2
Si veda la raccolta di documenti inerenti la vita del Taccola in: BECK 1969, pp. 27-32. Per notizie sui membri della
famiglia di Taccola: BACCI 1936, p. 386.
3
BECK 1969, p. 31. Nonostante che nei suoi scritti vi sia una notevole percentuale di macchine per gli
approvvigionamenti idrici, dalla documentazione d’archivio nota non risulta che Taccola abbia contribuito in modo
significativo ai seri problemi idraulici della propria città: BALESTRACCI 1990, p. 29.
4
BECK 1969, pp. 13-18; GALLUZZI 1996, p. 20.
2
inattuabili sul piano concreto per una mancanza di tecnologia, come i numerosi disegni di
palombari (tra i quali il più antico sembra essere stato progettato proprio da Taccola)5, che in teoria
erano stati ideati ma nella pratica mancavano sia i materiali per realizzarli sia alcune conoscenze
teoriche sulla pressione dell’acqua. Altri invece venivano sperimentati materialmente, passando dal
disegno alla costruzione della macchina, esperimenti che tuttavia potevano rivelarsi fallimentari.
Proprio Taccola e Brunelleschi hanno in questo senso vissuto entrambe le esperienze. Brunelleschi
costruì un’imbarcazione a pale, chiamata il Baldone, che pare essere stata progettata da Taccola6,
per il trasporto dei conci da Pisa verso i cantieri di Firenze, che però naufragò nell’Arno dopo aver
percorso pochi metri. Invece uno dei disegni più celebri di Taccola illustra un argano per il
sollevamento di grossi blocchi di pietra, chiamato “argano di Brunelleschi”7. Questa macchina con
ogni probabilità fu ideata dal senese e da lui costruita per aiutare il Brunelleschi, quasi sicuramente
per la realizzazione della cupola del Duomo di Firenze8.
Dalla fusione di arti con mestieri e dai confronti tra i saperi e tra le attività pratiche nel XV secolo
nasce una prima forma di tecnologia che favorì la diffusione di una tipologia di testi incentrata sulla
progettazione delle più diverse macchine e costruzioni9, spesso progettate come sperimentazione
finalizzata al raggiungimento dei limiti consentiti dalle possibilità pratiche10: argani per differenti
scopi, macchine che si muovono o che sfruttano la forza idraulica o eolica, imbarcazioni,
costruzioni architettoniche di diversa natura (dalle facciate delle chiese alle fortificazioni), oggetti
in pietra o metallo, tecniche per la fusione o per il sollevamento delle campane, fino alla
teorizzazione del volo di Leonardo. Come vedremo meglio tra poco questi testi non rappresentano
una tipologia omogenea, ma se si volesse ricercarne degli elementi comuni questi senza dubbio
risiederebbero nella centralità che tutti danno agli stratagemmi militari, alle macchine belliche e
l’attenzione per le armi da fuoco11. Che figure professionalmente vicine al mondo dell’architettura e
dell’ingegneria si siano cimentate nella ideazione di strumenti bellici non deve stupire: fin dal XII
secolo, da quando compaiono i primi nomi di genieri militari, sappiamo che questi lavoravano non
solo durante gli assedi, costruendo macchine da attacco e da difesa, ma erano noti anche in capo
“civile”12, come testimonia ulteriormente il taccuino di Villard de Honnecourt, composto nei primi
decenni del XIII secolo, nel quale, tra schizzi e progetti di cattedrali, seghe idrauliche, statue e
automi, è disegnata in una carta la piattaforma di un trabucco13. L’origine di testi tecnici
5
BECK 1969, p. 24.
6
PRAGER 1946, pp. 109-135.
7
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Ms. Palatino 776, c. 10r.
8
PRAGER, SCAGLIA 1971.
9
GILLE 1985, p. 318.
10
BATTISTI, SARACCO BATTISTI 1984, pp. 24-31.
11
FRANCHETTI PARDO 2001, pp. 331-359.
12
SETTIA 2005, pp. 32-34; MERLO 2004, p. 90. Si veda inoltre il recente intervento di Aldo Settia al convegno
Circolazione di uomini e scambi culturali tra città (secoli XII-XIV), Pistoia 13-16 maggio 2011, dal titolo L'ingegnere
errante e il mercato delle tecnologie militari, di cui è prevista la pubblicazione negli atti.
13
Parigi, Bibliothèque Nationale de France, fr. 19093, c. 30r. Villard nel testo dice che nella carta successiva presenterà
l’alzato del trabucco, ma questo disegno manca. Villard stesso nel taccuino, alla carta 2r, è rappresentato armato di
usbergo, cappello di ferro, scudo (ma questo è stato aggiunto da una mano posteriore) e regge, appesa al polso, una
spada dalla punta tagliata e l'impugnatura a gancio, chiaramente un'arma mutuata da uno strumento da carpenteria, utile
a differenti scopi, e una virga o geometralis pertica per calcolare le misure. Questi maestri costruttori risultano
possedere molteplici capacità professionali nell’ambito dell’edificazione sia in guerra sia in tempo di pace, in grado di
soprintendere ogni fase di queste attività, dalla progettazione all’esecuzione materiale. Sempre in Francia all’inizio del
XIII secolo è documentata l’attività di mastro Simone, abile nel costruire e demolire fortificazioni tanto da essere
appellato magister fossarium, ma anche esperto nella realizzazione di costruzioni “civili”. Per tutte le sue abilità
nell’ideare, progettare e mettere in esecuzione macchine e artifici di vario genere viene definito doctus geometricalis:
3
quattrocenteschi però si può far ricondurre agli scritti di Guido da Vigevano, realizzati tra il 1328 e
il 1348, e il Bellifortis di Conrad Kyeser, composto tra il 1395 e il 1405; negli anni compresi tra il
1420 e il 1440 Giovanni Fontana scrive il Bellicorum instrumentorum liber, il De trigono balistario
e il Secretum de thesauro experimentorum ymaginationis hominum; tra il 1430 e il 1492 si data il
trattato del cosiddetto Anonimo delle Guerre Ussite14; del 1455 è il celebre trattato De re militari di
Roberto Valturio; nel 1450 Leon Battista Alberti scrisse il De re aedificatoria e nel 1460 Pietro
Averlino, noto come Filarete, compose il Trattato di architettura; dopo il 1470 si colloca la raccolta
di progetti e disegni di Bonaccorso di Vittore Ghiberti; è datato tra il 1450 e il 1480 il taccuino
anonimo Ms. Palatino 767 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, così come il manoscritto
Additional 34113, attribuito a una mano anonima senese, oggi alla British Library di Londra;
mentre i Trattatati di architettura, ingegneria e arte militare di Francesco di Giorgio Martini sono
stati scritti nel 1479-1480 e nel 1489; intorno al 1480 è datato il taccuino, composto da 29 carte,
dell’architetto Hans Hammer, importante anche per possedere un glossario che traduce circa cento
termini tecnici dall’ungherese al tedesco15; invece è collocabile all’ultimo quarto del XV secolo il
trattato Ingenieur, Kunst-und Wunderbuch della Die Herzogin Anna Amalia Bibliothek di Weimar,
biblioteca dove sono conservati anche alcuni disegni e progetti di Georg Hartmann; infine, a cavallo
tra il XV e il XVI secolo, Leonardo da Vinci compose i suoi celeberrimi trattati.
Le affinità tra questi testi sono talmente spiccate che nel 1582 il Bellicorum instrumentum liber16
del Fontana fu legato insieme al trattato dell’Anonimo delle Guerre Hussite17, e solo in anni
relativamente recenti è stato possibile stabilire l’identità di ognuno dei due manoscritti18. Anche il
De Ingeneis e il Bellicorum instrumentum liber sono stati legati insieme fino ad anni molto recenti,
tanto da essere compresi entrambi ancora oggi nella medesima rilegatura e condividere la
segnatura19.
La prima osservazione che si può fare su questa serie di autori è prima di tutto la provenienza che,
al fianco di una discreta percentuale di autori tedeschi, è praticamente tutta italiana, con una
prevalenza senese e fiorentina. In secondo luogo la natura eterogenea di questi scritti: alcuni
prevalentemente militari, come il testo di Conrad Kyeser o il trattato di Valturio. Altri trattano di
“ingegni” in generale, con una rilevante presenza di macchine belliche come il trattato
dell’Anonimo delle guerre Ussite o i trattati di Francesco di Giorgio Martini. Ma anche eterogenei
nella tipologia testuale: molti sono taccuini, appunti dell’autore per i più diversi utilizzi, come il
testo del Ghiberti20 o alcuni scritti di Leonardo come il Codice di Madrid21; tra questi alcuni erano
addirittura pensati per essere tenuti segreti, tanto da escogitare espedienti per non renderne agevole
MORTET, DESCHAMPS 1929, doc. XC, pp. 181-191. Leonardo Pisano, noto come Fibonacci, nel suo trattato Practica
Geometriae del 1223, illustra il procedimento geometrico per calcolare l’altezza delle torri. In questo contesto non
sembra un esercizio di memotecnica o di geometria, così come appare nei trattati quattrocenteschi, come in Taccola
stesso (ad esempio alla carta XXVIIr del Liber tertius de ingeneis ac edifitiis non usitatis: Firenze, Biblioteca Nazionale
Centrale, Palatino 766), ma un sistema sicuro ed efficace per gli eserciti, finalizzato alla messa in pratica delle tecniche
ossidionali: Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. 2186, cc. 92-125.
14
L'Anonimo era un ingegnere tedesco o boemo che fu attivo molto probabilmente dalla metà del XV, ma le proposte
di datazione dell'opera oggi più accreditate tendono a collocarla oltre questo limite cronologico: Anonymous of the
Hussite Wars pp. 29-32, 35-39.
15
FUTAKY 1981, pp. 231-238.
16
Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Cod. Icon. 242.
17
Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Codex Latinus Monacensis, 197,1.
18
BATTISTI, SARACCO BATISTI 1984, p. 24.
19
La segnatura del De Ingeneis è Codex Latinus Monacensis, 197, mentre quella del Bellicorum instrumentum liber è il
Codex Latinus Monacensis, 197,1: BATTISTI, SARACCO BATISTI 1984, pp. 24-25
20
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Banco Rari, 228.
21
Madrid, Biblioteca Nacional de España, ms. 8937.
4
la lettura, come i codici cifrati di Giovanni Fontana22 o la celeberrima scrittura al rovescio usata da
Leonardo in alcuni suoi codici. Altri sono invece veri e propri trattati concepiti per essere diffusi,
come i manoscritti di Valturio o dell’Alberti, la cui fortuna è testimoniata anche dalla precoci
edizioni a stampa (1472 il primo e 1485 il secondo)23. Alcune di queste opere hanno un carattere più
concreto, come i trattati di Leon Battista Alberti, di Filerete, del Ghiberti e di Francesco di Giorgio;
altri, come quelli del Fontana, di Valturio o di Taccola stesso avevano un aspetto più visionario,
incentrati nel proporre nuove e originali soluzioni meccaniche, spesso in bilico tra scienza e
immaginario, caratteristica che tuttavia concorse nel decretarne il successo.
Anche le macchine belliche vanno considerate come gli altri progetti: da un lato sperimentazioni
teoriche, virtuosismi grafici di armi o attrezzatura bellica di grande interesse teorico ma
assolutamente irrealizzabili sul piano pratico (tanto che nelle annotazioni dei disegni di un altro
progettista senese, Bartolomeo Neroni detto il Riccio, questo tipo di macchine sono chiamate
fantasie)24, mentre dall’altro lato descrizioni di macchine già esistenti, perfezionate o applicate in
modo nuovo.
Evidenti all’interno di questa trattatistica, che si potrebbe definire tecnico-militare, sono i debiti
reciproci; come ebbe modo di osservare Gino Arrighi «circa le conoscenze, che mi piacerebbe
allora dire scientifico-tecniche o vuoi tecnico-scientifiche, non può dirsi in senso assoluto ciò che
un architetto sapeva bensì che avrebbe potuto sapere perché ciò che è saputo nell’universale, il
singolo può sapere. Comunque è certo che le comunicazioni e gli scambi di informazioni, attraverso
incontri e vie orali o lettura di testi, anche in quel periodo avvenivano in modo qualitativo e
quantitativo assai più rilevante di quanto comunemente si creda»25. In effetti il De Ingeneis e il De
Machinis hanno numerose affinità con il Bellicorum instrumentum liber, anche se Taccola è meno
«intellettualistico e colto» del Fontana26. Molti disegni e progetti di Francesco di Giorgio, che fu
proprietario di almeno un’opera di Taccola27, sono mutuati, se non interamente copiati, da quelli di
Mariano. Gli esempi più significativi sono i manoscritti conservati a Torino, il Trattato di
architettura28 e il Militare29, nei quali l’eco dei progetti di Taccola si avverte con puntualità30.
Secondo Michelini Tocci alcuni disegni del De ingeneis conservato a Monaco sono di mano di
Francesco di Giorgio31, cosa che farebbe credere che il manoscritto sia stato in suo possesso. A loro
volta i manoscritti di Francesco di Giorgio influenzarono profondamente l’opera di Leonardo, che
poté visionare di almeno uno dei Trattati, forse ne fu addirittura proprietario, probabilmente per
dono dello stesso Francesco di Giorgio32.
22
BATTISTI, SARACCO BATISTI 1984, pp. 35-38.
23
Il trattato di Valturio in questo senso si segnala come il primo libro illustrato riprodotto con la stampa a caratteri
mobili.
24
Quest’opera è opera più tarda rispetto a quelle fin qui descritte (prima metà del XVI secolo) e anche l’impianto è
differente: le macchine belliche sono disegnate in una sola carta, la 26v, e si tratta di scale d’assalto; a questa vanno
aggiunte altre due carte in cui sono esposti i progetti di macchine per la preparazione della polvere nera (cc. 32r, 33r).
Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, Autografi e disegni, S.IV.6.
25
ARRIGHI 1987, p. 153
26
BATTISTI, SARACCO BATISTI 1984, p. 25.
27
TORRI 1993., pp. 43-44.
28
Torino, Biblioteca Reale, Saluzzo 148.
29
Torino, Biblioteca Reale, Militare 383.
30
BECK 1969, p. 24
31
BECK 1969, p. 12.
32
FIORE 2008, p. 213.
5
Ma se il De ingeneis aveva influenzato profondamente la cultura tecnica senese, il Liber tertius de
ingeneis ac edifitiis non usitatis influenzò sensibilmente quella fiorentina33. Il manoscritto Palatino
767 di Firenze34 riporta numerose copie di progetti di Taccola. Nei concretissimi disegni del
taccuino di Buonaccorso Ghiberti non solo si possono identificare numerosi progetti di meccanismi
tratti dal Liber tertius, ma si riscontrano gli stessi disegni di animali. A carta XLv, sempre del Liber
tertius, si trovano disegni che palesano un preciso interesse per il volo degli uccelli, che sembrano
aver influenzato gli studi di Leonardo35.
L’auto-definizione che si dava Taccola, quella di “Archimede senese”, probabilmente non era
solo in riferimento all'ingegno di Archimede, ma anche all'impegno del siracusano nel costruire
macchine belliche dai micidiali effetti in tempo di guerra: si pensi alle impressionanti macchine
impiegate durante l'assedio di Siracusa del 212 a.C., come tramandato da Polibio e Plutarco36.
Tuttavia nella Siena del Quattrocento lo sviluppo delle armi da fuoco e la presenza di tecnici
specializzati nella loro ideazione, fusione e uso costituiva una tradizione alla quale Taccola poteva
essersi ispirato.
LE ARMI DA FUOCO A SIENA NEL XV SECOLO
Nella Siena del Quattrocento la tradizione tecnica era particolarmente sviluppata, in particolare
venivano sperimentate nuove soluzioni pratiche e teoriche per l’artiglieria. La Repubblica senese
aveva attirato a se una grande quantità di mastri bombardieri forestieri, che andavano ad affiancare i
maestri e fabbri locali. Le armi da fuoco assurgevano in città anche a simbolo di potenza militare,
tanto che durante la guerra dei Pazzi tutte le artiglierie senesi, insieme a quelle catturate ai
fiorentini, furono messe in mostra davanti al Palazzo Pubblico «che pareva un monte di bronzo a
vedere che erano in tutto 22 bombarde a piè il palazzo in sul campo»37
La vecchia storiografia locale individuava nel 1390 l’anno in cui le armi da fuoco fecero la loro
prima comparsa tra gli armamenti senesi38. In realtà il comune fu particolarmente attento nel
recepire le novità in questo campo e la presenza di armi da fuoco è documentata a partire dagli anni
Cinquanta del XIV secolo39: nel 1357, e dal 1362 al 1363, è documentata l'attività di Grazia di
Fetto, fabbro pagato per la fabbricazione di bombardis et papalloctis40. Nel 1381 il maestro
Guglielmo di Ivo è stipendiato dalla città per una anno, con l’incarico ad laborandum de bombardis
33
Quest’osservazione a portato molti commentatori a pensare che il Liber tertius sia arrivato a Firenze già nel
Quattrocento, probabilmente durante la permanenza dell’imperatore Sigismondo: BECK 1969, p. 24.
34
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Palatino 767.
35
Anche Leonardo, con ogni probabilità, entrò in possesso di alcuni lavori di Taccola: SHELBY 1975, pp. 466-475.
36
RUSSO 2010, pp. 131-138. La prima opera di Archimede tradotta in latino risale al XII secolo, per opera di Gerardo di
Cremona, mentre tutte le altre, ad esclusione di tre, furono tradotte intorno al 1269 da Guglielmo di Moerbeke: GIMPEL
2002, p. 166. Una tradizione del XVIII secolo attribuiva addirittura ad Archimede l’invenzione della polvere nere per
finalità belliche: SIMMS 1987.
37
ANGELUCCI 1970, pp. 561-562.
38
MALAVOLTI 1559, II, p. 169b.
39
È probabile che a Siena le armi da fuoco fossero note anche negli anni precedenti, considerando che il primo
documento europeo che testimoni un’arma da fuoco è fiorentino: l’11 febbraio 1326 il comune stabilì che si sarebbero
dovuti nominare due maestri per fabbricare bocche da fuoco e proiettili ASF, Provvisioni, all’anno, c. 65. Trascrizione
del documento in: DONDI 1997, pp. 32-33. Ma questa considerazione, esclusivamente basata su quest’osservazione,
deve trovare una reale conferma.
40
Per il 1357: LISINI 1893, p. 14. Per gli anni 1362 e 1363: ANGELUCCI 1870, pp. 516-517. Le artiglierie gettate da
Grazia di Fetto erano destinate a fortificazioni del contado. Dotare di armi da fuoco i castelli situati nelle aree rurali era
una prassi molto comune e ben documentata nel Trecento europeo. Nelle città invece sembra che queste venissero
collocate in luoghi di importanza strategica, soprattutto durante sommosse o rivolte: MERLO 2012, p. 71 e nota 89.
6
vel alio magisterio41. Mentre nel 1392 tale maestro Simone de Senis fu pagato da Vercelli per aver
impennato verrettoni con papiro42, sicuramente usati per le bocche da fuoco, anche se la
specificazione del materiale farebbe pensare alla tradizione senese degli stomboli43. Nel 1407 è
attivo a Siena Ugo di Gherardo teutonico44; nel 1413 Sano di Giovanni da Siena svolgeva l’attività
di bombardiere a Prato quando le autorità senesi ne richiesero il servizio in patria45; Giovanni di
Guglielmo da Siena, forse il padre del maestro Sano poc’anzi citato, attivo tra l’Emilia e la
Romagna, è richiamato in patria nel 1417: figura eclettica, qualificato già alla fine del Trecento
come magister bombardorum, faber et magister lignaminis46. Ma al rifiuto di questi il comune di
Siena, probabilmente alla ricerca di artiglieri per la guerra contro Bertoldo Orsini, conte di
Pitigliano47, il 17 di aprile del 1417 inviò una lettera a Paolo Guinigi, signore di Lucca, nella quale
richiedevano i servizi di un non nominato maestro di bombarde e abile ingegnere che in quel
momento si trovava a Lucca presso il Guinigi48. Mentre il 15 maggio, sempre dello stesso anno, le
autorità senesi chiedevano alla signoria di Città di Castello i servigi di Francesco da Piperno,
magister bombardorum, et bonus ingenierius49, e nel luglio dello stesso anno assoldò Barone di
Matteo da San Gimignano50. In anni più vicini all’opera di Taccola la disponibilità della Repubblica
senese di mastri bombardieri, sia locali sia forestieri, continuava a essere rilevante, tanto che fu
necessario redigere un registro, il Libro delle Bombarde, su cui annotare le spese sostenute dal
comune proprio per le bombarde e i loro artefici51: nel 1424 Siena invia una lettera di
raccomandazione a Firenze in favore di Antonio di Angelo di Michele52, che se l’identificazione
con Angelo delle bombarde, ipotizzata dall’Angelucci, risultasse corretta com’è plausibile, sarebbe
stato non solo fonditore di artiglierie, ma anche fabbricante di aste per verrettoni, sicuramente da
caricare nelle bocche da fuoco53, produttore di salnitro e capace di lavorare altre sostanze, quali
vernici, zolfo, trementina, ragia, pece e pece greca, gli stessi ingredienti indispensabili per il fuoco
41
ANGELUCCI 1870, pp. 520-521.
42
ANGELUCCI 1869, p. 25.
43
Gli stomboli erano frecce avvolte da tubi di pergamena riempiti di resine e altri elementi infiammabili che, caricati in
appositi organi, venivano lanciati contro il nemico: ANGELUCCI 1870, pp. 495-497; SETTIA 1993, pp. 302-303; MERLO
in corso di stampa.
44
ANGELUCCI 1870, p. 528.
45
ANGELUCCI 1870, p. 529.
46
MILANESI 1854, pp. 83-85; ANGELUCCI 1870, p. 529.
47
MILANESI 1854, p. 89 e relativa nota.
48
MILANESI 1854, p. 88: quodam magistro bombardo et bono ingenero, quem intelligimus isthac vestra civitate moram
trahere.
49
MILANESI 1854, pp. 85-86.
50
MILANESI 1854, p. 89.
51
I registri sono due: Archivio di Stato di Siena (d’ora in avanti ASS), Conc. 2556, che raccoglie la documentazione dal
12 aprile 1468 al 29 ottobre 1471; ASS, Conc. 2557, con documenti dal 1 gennaio 1472 al 19 settembre 1477). Archivio
di Stato di Siena, Archivio del Concistoro del comune di Siena. Inventario, Roma 1952, p. 414.
52
MILANESI 1854, pp. 116-117.
53
Nel Trecento e nel Quattrocento i cannoni non venivano caricati solo con le palle, ma anche con verrettoni. La
testimonianza iconografica più antica sulle armi da fuoco europee (la seconda in assoluto in ordine cronologico) mostra,
in una miniature del De secretis secretorum e in un’altra del De nobilitatibus, sapientiis et prudentiis regum, manoscritti
entrambi di Walter de Milemete e datati al 1326, un’arma da fuoco di grosso calibro caricata con verrettoni.
Rispettivamente: Londra, British Library, Ms. Additional 47680, c. 44v; Oxford, Library of Christ Church, Ms. 92, 70v.
Ancora nel XV secolo tale uso è testimoniato, tra le altre fonti, dal disegno più celebre di Roberto Valturio: una arabica
machina ad expugnatione urbium, una torre d’assalto a forma di drago, dalla cui bocca fuoriesce un cannone nell’atto di
sparare un verrettone.
7
greco e gli stomboli, che probabilmente il maestro Angelo continuava a produrre54. Nel 1430 furono
gettate 45 o 50 bonbardette da tenere a mano dai fabbri Meo di Mazzone e Antonio del Mazza55;
mentre, sempre nello stesso anno, il chiavaio Giacomo di Giovanni di Vita gettò una bombarda, 25
bonbardette e produsse polvere nera (forse per le armi da lui create)56. Nel 1431 Giovanni di
Tofano di Magio, celebre campanaio senese, produsse polvere nera e l’anno successivo gettò una
bombarda57. Nel 1432 sono attivi i bombardieri Pasqua tedesco e il maestro Corrado58. Nel 1441 a
Siena era attivo Sano di maestro Andra di Sano59. Dagli anni Cinquanta del Quattrocento è
documentata l’attività di Agostino da Piacenza, uno dei più celebri maestri di bombarde attivi a
Siena60, e nel 1447 è debitore del comune il bombardiere Andrea da Trento, che doveva restituire
alle autorità senesi 65 libbre bronzo per il valore di 35 lire61. Nel 1454, e forse anche l’anno
precedente, Ottollo di Antonio da Milano era stipendiato dalla città come maestro di bombarde; nel
1470 si stabilì a Siena il magistro bombardorum Giovanni di Giovanni da Zagabria62, che il 3
agosto 1472 ebbe l’incarico di colare due bombarde63.
Sono stipendiati dal comune come bombardieri anche figure che con ogni probabilità non erano
solamente fonditori, ma abili artiglieri, militari di professione capaci di manovrare direttamente sul
campo le bocche da fuoco. Nel 1416 Ildebrandino Teutonico combatte nell’esercito senese contro
Bertoldo Orsini, insieme ad altri bombardieri, quasi certamente con il compito di dirigere
l’artiglieria64; mentre il già ricordato Barone di Matteo da San Gimignano, è pagato ad saggitandum
cum bombardis et aliis execitiis trabuchorum et bricolarum, de quibus, prout asseritur, est bonus
magister et bene peritus65. Nel 1423 è stipendiato il magister bobbardorum Antonio da Siena per
aver preso parte ai combattimenti contra Morlupuni66. Altri nomi noti sono Stefano di Stefano della
Magna e il maestro Giovanni bombardiere, attivi a Siena nel 1432; nel 1441 sono stipendiati Andrea
di Giacomo de Nagni e maestro Giovanni di Giovanni de Alamania. Quest’ultimi due sono a capo
di una condotta di sessanta uomini, quattro cavalli e due ragazzi, armati di lance e targoni, venti
bombardelle e dieci balestre67. Giovanni in particolare era pagato in bombarderium comunis per
tempus trium mensium futurorum et triarum ad beneplacitum, e nel registro della Camera del
Comune è qualificato come mastro di schioppetti e bonbardiere68, ma è probabile che la fonte si
riferisca più alle sue doti di comandante che di fabbricatore.
54
ANGELUCCI 1870, pp. 532-533.
55
ASS, Camera del Comune 11, c. 192v.
56
ASS, Camera del Comune 11, c. 196v.
57
ANGELUCCI 1870, p. 534
58
ANGELUCCI 1870, p. 535.
59
BACCI 1936, p. 439.
60
ANGELUCCI 1870, PP. 540-541. Si veda anche: ERMINI 2008, pp. 390-401.
61
ASS, Camera del Comune 12, c. 108v. Nel 1453 il debito era ancora insoluto: ASS, Camera del Comune 13, c. 108r.
62
Ricordato anche come magister campanarum et bombardorum: HORVÀTH 1925, pp. 4-5. Si veda anche ERMINI 2008,
pp. 401-410.
63
64
MILANESI 1854, pp. 349-350.
MONTÙ 1934, p. 270.
65
MILANESI 1854, p. 89 e relativa nota..
66
GAYE 1839, p. 179.
67
ANGELUCCI 1870, p. 539.
68
ASS, Camera del Comune 11, cc. 495v, 499v, 504r, 507v.
8
Anche nella pratica si osserva come la maggioranza dei maestri di bombarde fossero senesi e
tedeschi, con qualche forestiero proveniente dalle aree lombarde, proprio come italiani, con una
preponderanza toscana, e tedeschi sono la maggioranza dei trattatisti che in questi anni si
occuparono di tali argomenti.
L’ARCHIBUGIERE A CAVALLO NEI DISEGNI DI MARIANO TACCOLA
Tutti questi specialisti avevano creato a Siena una tradizione nella quale s’inserisce anche
Taccola, soprattutto per i suoi progetti sulle armi da fuoco. Le sue opere note sono tre e si dividono
in due tipologie testuali.
Il De ingeneis69 è una raccolta di disegni, molti dei quali corredati da commento, che Mariano ha
raccolto tra il 1419 e il 1433 (ma aggiunge annotazioni almeno fino al 1449). In molte carte si
osservano glosse e manicule, la maggior parte delle quali probabilmente di mano dello stesso
Taccola, frutto delle sue riflessioni e ripensamenti nel corso degli anni. È chiaramente un taccuino
per uso personale ma, come vedremo meglio, non lo tenne in segretezza, come fecero altri autori,
facendolo visionare in più occasioni, nonostante Brunelleschi gli consigliasse Noli cum multis
paticipare inventiones tuas70. Probabilmente anche grazie alla prodigalità con cui mostrò i suoi
progetti si devono alcune lussuose copie, fatto insolito per un taccuino71. Interessante a questo
proposito osservare come nel De Ingeneis Mariano abbia pensato a un sistema di indici tematici:
rendendosi probabilmente conto che la quantità degli argomenti trattati, che andavano
mescolandosi, richiedeva un’indicizzazione decise di segnare tutte le carte che trattavano un
determinato tema: ad esempio alla carta 13v Mariano segna, sotto il titolo de bombardis, tutte le
carte in cui tratta le armi da fuoco.
Anche se questo manoscritto fu iniziato prima, l’opera più antica di Taccola è considerata il Liber
tertius de ingeneis ac edifitiis non usitatis72, proprio perché si tratta di un’opera di natura differente,
destinata fin dall’inizio alla diffusione73. Iniziato intorno al 1427 e completato 1433, riguarda
principalmente la meccanica delle acque, non sono note copie, ma a Firenze sono conservati nel
Palatino 76774 alcune progetti tratti dal Liber tertius.
Nel 1449, forse approfittando della “pensione”, il Taccola decise di mettere ordine alle sue carte,
selezionò buona parte dei disegni del De Ingeneis e li ripropose in un manoscritto, il De machinis75.
A differenza dei precedenti lavori si tratta di un’opera esteticamente curata, sia nella grafia
(abbandona i tipici caratteri notarili per una scrittura più libraria, così come per il lessico) sia nei
disegni, molto più artistici e meno illustrativi; i testi sono più sintetici ma ugualmente efficaci ed è
privo di glosse o annotazioni. Sono note tre copie conservate a New York, Venezia e Parigi76. La
copia veneziana è in parte di mano di Taccola stesso ma la copia parigina fu quella che godette di
fortuna maggiore, anche rispetto all’originale. Nel 1869 Auguste Demmin dimostra di essere a
conoscenza del trattato di Taccola, poiché riproduce nella sua opera un cane corazzato e un gatto
69
Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Codex Latinus Monacensis 197.
70
Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Codex Latinus Monacensis 197, c. 107v; TORRI 1993, p. 42.
71
Londra British Library, Additional 34113; Urbino, Collezione avv. Santini, Codex Santini.
72
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Palatino 766.
73
BECK 1969, p. 11.
74
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Palatino 767.
75
Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Codex Latinus Monacensis 28800.
76
New York, Public Library, Spencer Collection, ms. 136; Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Codex Latinus
2941; Parigi, Bibliothèque Nationale de France, lat. 7239.
9
dotato di congegno incendiario, entrambi contenuti nel De Machinis77, segnalando che le immagini
sono tratte da un manoscritto conservato nella biblioteca Hauslaub di Vienna, senza accennare
all'autore dell'opera78. Ma quando l'erudito francese riprodusse, nello stesso lavoro, l'archibugiere a
cavallo prese a modello la copia parigina79, segnalando il manoscritto come proveniente dall'antica
biblioteca di Borgogna80 e opera di Paolo Santini81. Il Demmin fu uno dei primi autori che sostenne
come il disegno dell'eques scoppiectarius testimoni l'uso da parte dei cavalieri di bombardelle, ma
commenta che gli archibugieri a cavallo sarebbero stati impiegati con successo solo grazie
all'invenzione del meccanismo a serpe e, successivamente, a ruota, palesando la perplessità che alla
metà del XV secolo i cavalieri potessero usare efficacemente a cavallo le armi da fuoco. Tuttavia,
come vedremo nel corso della trattazione, le considerazioni di Demmin non sono più state messe in
discussione e generalmente accettate anche in lavori recenti82.
L’archibugiere a cavallo, a carta 21r del De ingeneis, sembra essere un’intuizione di Taccola, un
utilizzo dell’arma da fuoco manesca, già largamente diffusa, che non era ancora stato pensato. In
questa carta l’autore ha posto sotto l’immagine una lunga spiegazione sul funzionamento e gli
utilizzi tattici di questa novità:
Si imprimos ingressum et insubltum vis comfringere inemicos et hostes tuos fac priomo quod
// tu habeas equos assuetos et securos ut in bobbardarum troquatione ne spaveant sed secure //
vadant contra hotes et homines armati debent esse super equos cum armis de dectis sine aliquo
panno // lino vel lano ut non in aliquo modo incendantur propter ingnem quem fert in manu
cum funiculo sulfoso quod // semper modicatim ardet et debet secum habere malleum ferri
lateralem ut pilam bobbarde contundere // in ea possit Et in asside selle piras coppulatas in
quibus ex uno latere sit pulver bobbarde et ex a= // lio sint pile plumbee que pire dicuntur
vulgariter bisacce de quorio Et ponamus quod ipsi bobbardarii // non possit facere cum pilis
plumbeis que dicuntur pallotte posunt prius providere secum habere ema= // nfani tota de ligno
dulci preparata ad unam mensuram secum in piris cum palloctis lapidis et cetera et opportet
//malleus sit longi colly ut in fundo foraminis manfani percutere et oserrare possit Et quando
isti bob= // barderii sunt misti in prelio in vice bobbardarum operentur enses atque mucrones
contra eorum inemicos et hostes, et cetera // prout in designo supra cernitur e et equi eorum
bobbardariorum debent coriis vel maleis ferri armati esse // testeras equorum totis ferri cum
aculeo in cervice sine aliquo panno lino vel lano ad fugiendum ignem. Ex duobus // causis equi
debent esse armati quia arma equi defendunt eum ab igne funiculi quod ecus si sentieverit
ignem // furiaretur ac miserit se prostratum eius dolore et cetera. Et alia causa est assignanda
quod in primo bello semper sit // maior pugna quam in secundo ac etiam hostes conarentur
interficere equos bobbardoriorum ut minus periculum // in prelio receperint Et cetera// Nota
quod cornus vel aculeus in fronte equi sit ad terrorem hostium ut aliquid operatur // in
difensione bobbardarii dum ipse operatur bobbardam et cetera83.
77
Rispettivamente tratte dalle cc. 57r, 15v.
78
DEMMIN 1869, p. 485.
79
La copia di Parigi non possiede i disegni del cane corazzato e del gatto con il congegno incendiario.
80
DEMMIN 1869, p. 533.
81
DEMMIN 1869, p. 83.
82
Hanno ribadito il pensiero di Demmin Aroldi (AROLDI 1961, pp. 115-117), Van den Brink (VAN DEN BRINK 1970, tav.
LII A e B), Reid (REID 1979, p. 58), Partington (PARTINGTON 1999, pp. 177-178) e recentemente Scalini (Archibugi
2010, p. 6).
83
«Se al primo attacco o assalto vuoi mettere in rotta i nemici e avversari, è necessario prima di tutto che tu abbia
cavalli abituati e affidabili perché nello scambio di colpi di bombarda non prendano paura, ma vadano con sicurezza
contro i nemici. Gli uomini armati stiano sui cavalli con armi senza tessuti di lino o di lana, perché in nessun modo
possano incendiarsi a causa del fuoco che tiene in mano nella miccia di zolfo accesa, che brucia pian piano
continuamente. E deve sempre avere al fianco un martello di ferro col quale possa calettare la palla della bombarda
10
Questo testo, che si segnala anche per grande interesse linguistico, ci da numerose informazioni.
L’impiego tattico che Mariano teorizza consiste nello scompaginare le file avversarie prima della
carica vera e propria; un fuoco preliminare mirato all’indebolimento dei ranghi avversari, uccidendo
e spaventando le prime file, per correre minor pericolo successivamente, durante lo svolgimento
della battaglia. Una tattica che ricorda molto la dottrina militare romana di “uccidere senza essere
uccisi”84, di cui Taccola poteva essere a conoscenza grazie ai testi latini che l’Umanesimo sta
riscoprendo in questi anni85. Nello scontro vero e proprio il cavaliere utilizzerà le sue armi difensive
e offensive normalmente, come era tradizionale uso, quindi è necessario che lo schioppettiere abbia
con sé sia l’armamento individuale da cavaliere sia tutti gli oggetti che gli permettano di utilizzare
la bombardella manesca. Allo scopo è prima di tutto indispensabile che i cavalli di questi uomini
siano addestrati a non essere spaventati dal rumore delle armi da fuoco, cosa che implicitamente ci
segnala che ancora alla metà del XV secolo i cavalli da guerra non erano sistematicamente
ammaestrati a sopportare tale frastuono. Si preoccupa di avvertire che né il cavallo né il cavaliere
indossino tessuti di lino o lana, poiché questi rischierebbero di prendere fuoco: infatti per utilizzare
la bombardella il cavaliere deve tenere in mano, sempre accesa, una miccia trattata con zolfo.
L’armamento difensivo del cavallo deve essere pertanto in cuoio o in maglia di ferro; la testiera
deve essere in ferro, con possibilmente un corno in mezzo alla fronte, che serve prevalentemente
per atterrire gli avversari ed essere in qualche misura utile al cavaliere (supponiamo per appoggiare
parte dell’attrezzatura). Assicurata all’arcione anteriore è posta la forcella che dovrà fissare la
bombardella durante l’operazione di sparo per ridurre l’effetto del rinculo.
La bombardella è legata al cavaliere, come si vede nel disegno, da una corda che tiene a tracolla,
fissata al calcio di ferro dell’arma che termina con un occhiello appositamente studiato.
Nell’arcione posteriore è assicurata una bisaccia che deve contenere da una parte la polvere nera e
dall’altra le palle di piombo, che dice essere comunemente chiamate pallotte, in modo che i
materiali per il caricamento dell’arma siano sempre a portata di mano e allo stesso tempo il loro
peso sia distribuito ed equilibrato su entrambi i fianchi dell’animale.
dentro di essa. Sull’ arcione della sella ci siano dei sacchi appaiati, di modo che da un lato ci sia la polvere per la
bombarda, dall’ altro le palle di piombo; queste sacche si chiamano in volgare “bisacce di cuoio”. Ma immaginiamo che
i detti bombardieri non possano fare con le palle di piombo che si chiamano “pallotte”, si possono allora procurare di
avere con sé tappi fatti di legno dolce, tutti preparati d’uno stesso diametro, portandoli con sé nei sacchi contenenti
palle di pietra ecc. È necessario che il martello abbia il collo lungo per poter spingere e comprimere bene i manfani
verso il fondo del buco.
Quando invece i bombardieri sono nella mischia della battaglia usino spade e armi bianche invece delle bombarde
contro i loro nemici e avversari, come si vede sopra nel disegno.
I cavalli di detti bombardieri devono essere armati con cuoi o con maglie di ferro, con le testiere di detti cavalli
completamente di ferro, con un corno sulla sommità del collo, senza nessun tessuto di lino o di lana per evitare che
prendano fuoco.
Per due cause i cavalli debbono essere armati: perché le armi del cavallo lo difendono dal fuoco della miccia (poiché il
cavallo se sentisse il fuoco si imbizzarrirebbe e si getterebbe a terra per il dolore, eccetera); la seconda causa è che nel
primo scontro la battaglia è più forte che nel secondo, e i nemici cercherebbero di uccidere i cavalli dei bombardieri per
ridurre (da subito) il pericolo che avranno nel corso della battaglia.
Nota che il corno o spunzone in mezzo alla fronte del cavallo è fatto per spaventare i nemici, e per essere in qualche
modo di protezione per il bombardiere mentre prepara la bombarda».
84
I romani, già nell’età repubblicana, erano soliti, prima del cozzo tra i due schieramenti, praticare un intenso fuoco
sugli avversari con le macchine da lancio, gli arcieri, i frombolieri e, infine, con i giavellotti e i pila dei legionari, con lo
scopo di eliminare più nemici possibile prima del contatto diretto. LE BOHEC 1992, pp. 159-196.
85
Come il trattato dell’Anonimo del De Rebus Bellicis o l’Epitoma di Vegezio, testi in cui questa dottrina militare
romana traspare con chiarezza.
11
Di grande interesse è l’espediente tecnico che Mariano segnala nel caso in cui le pallottole di
piombo non siano disponibili. Consiglia di usare le palle di pietra, ma poiché queste possono essere
di dimensioni leggermente differenti l’una dall’altra è necessario un accorgimento. Tutte le
bombarde, a prescindere dalle dimensioni, erano progettate con camera di diametro minore rispetto
all'anima, in modo da poter contenere nella camera, la parte di diametro inferiore, la carica di
polvere da sparo, mentre nell’anima, di maggior diametro, il proiettile. Per dare una migliore carica
propulsiva al proiettile l’imbocco della camera doveva essere tappato con un turacciolo di legno
morbido, ed è indispensabile che il suo diametro sia delle dimensioni precise dell’imbocco della
camera stessa, in modo da chiudersi il più ermeticamente possibile. In questa maniera, una volta
innescata la polvere, durante la deflagrazione, nella camera si accumulerà per saturazione il gas
della polvere, che farà immediatamente saltare il tappo dando maggiore forza propulsiva alla palla
di pietra. Taccola quindi raccomanda che il cavaliere porti nelle bisacce anche dei turaccioli di
legno morbido, che chiama manfani86, ovviamente tutti della stessa misura, e un martello (che
disegna sia legato al fianco del cavaliere sia in alto a sinistra per farne vedere con precisione i
dettagli), che abbia il becco (che chiama “collo”) sufficientemente lungo per poter battere al fondo
del cilindro superiore il turacciolo. Siamo a conoscenza che questi turaccioli fossero stati usati in
alcuni esemplari di calibro più grosso. Il Gaibi aveva riportato il funzionamento di una bombardella
del genere mortaio (di dimensioni più grandi rispetto a quelle manesche)87 così come descritto da
Andrea Rusio nella Cronaca di Treviso del 1376. In questo testo si dice che il foro dell’imbocco
della camera deve essere tappato conficcandovi dentro un turacciolo di legno, qui detto concone;
ma in questo testo vengono menzionati solo i proiettili di pietra88. Il manoscritto di Taccola però ci
rende noto che questi turaccioli di legno dovessero essere utilizzati sistematicamente in tutte le
armi da fuoco manesche quando venivano impiegati i proiettili di pietra anziché quelli di piombo,
esattamente come nello scritto di Rusio, fatto che indirettamente c’informa che tale accorgimento
fosse necessario sia per le armi del genere mortaio sia per quelle manesche ogni volta che venivano
caricate con palle di pietra. L’Angelucci segnalava che ferreti, martelli et maxie ferri a sclopis,
presenti in molti inventari fin dalla seconda metà del XIV secolo, servissero per caricare le
bombardelle dalla bocca89, ma alla luce di questa carta è probabile che la loro precisa funzione fosse
quella di conficcare i turaccioli più che per spingere dentro i proiettili.
Questa carta, come molte altre del manoscritto, presenta tre annotazioni eseguite in un secondo
momento, probabilmente da Taccola stesso90. Una, che sembra uscire dalla bocca del cavaliere,
recita diaulo aitaci tu amen (trascritta al fianco da una mano di epoca successiva in diavolo aiutaci
tu); sicuramente non si tratta di una maledizione nei confronti dell’arma da fuoco, così come si
legge in tanta parte della letteratura coeva, poiché Mariano non sembra avere pregiudizi del genere
su questa tipologia di armamento (disegna e progetta numerose armi da fuoco). Forse vuole
semplicemente indicare il micidiale effetto dello stratagemma unito al forte fracasso dell’esplosione
e l’intenso odore dello zolfo rilasciato dalla miccia. Ma l’annotazione che più di tutte qui interessa è
86
In molte località della Toscana, soprattutto nel senese, tutt’oggi il termine manfano è usato dialettalmente per indicare
un tappo, in particolare quello per le botti del vino.
87
Quattro celebri bombardelle del genere mortaio di area sabauda, giunte fino a noi, sono illustrate in: NICOLLE 1988,
schede e illustrazioni nn. 1342, 1343, 1344 e 1345
88
GAIBI 1965, pp. 29-30: obtuso foramine illo cum concono uno ligneo intra calcato, et lapide rotundo praedictae
buccae imposto (quel foro deve essere chiuso con un concone di legno conficcato dentro e la pietra rotonda infilata nella
bocca).
89
ANGELUCCI 1869, p. 28.
90
Nella carta ci sono inoltre gli schizzi di altre tre armi da fuoco. In alto è disegnata una bombardella manesca montata
su un teniere di legno, mentre al lato destro del disegno principale si trovano due bombarde a “pipa”. Apparentemente
queste armi non c’entrano nulla con il progetto complessivo, a meno che Mariano non avesse voluto indicare che i
cavalieri avrebbero potuto scegliere armi da fuoco alternative al modello messo in mano alla figura principale.
12
una ricetta che aggiunge in alto a destra: Arsenicus mistus cum polvere magis alongie // proiscitur
lapis bombarda91.
L’aggiunta di arsenico nella preparazione della polvere nera è consigliato con una certa frequenza
nei trattati quattrocenteschi92. Nel corso del XV secolo non c’è solo la sperimentazione della armi
da fuoco e dei proiettili, ma anche delle polveri. L’arsenico prende fuoco a 180° C ma dalla sua
combustione scaturisce un solido (As2O3) anziché un gas, come sarebbe necessario per la
deflagrazione delle armi da fuoco, e forse anche per questo si rendeva necessario il manfano.
Tuttavia è probabile che Taccola, come altri suoi contemporanei, ne facessero realmente uso perché
le polveri per le armi da fuoco erano povere di salnitro93.
Questa è una sostanza che va appositamente raccolta e nel Medioevo i suoi utilizzi erano molto
scarsi. La diffusione del salnitro e del distillato di salnitro nei ricettari medievali è documentata a
partire dagli anni Trenta del XV secolo, sopratutto in ricette cosmetiche94: nel ricettario di Chicago
è consigliata, per eliminare macchie da un panno di lana o di lino, una polvere di ossa di castrato
oppure una sostanza a base di quattro parti di salnitro fino, dieci parti di zolfo vivo e sei parti di
carbone di salice; in alternativa a queste, sempre nel ricettario di Chicago, è suggerito l'uso di
polvere di bombarda95.
Philippe Contamine, nel suo fondamentale saggio sulla guerra medievale, calcolava che
attualmente è considerata, come proporzione ottimale nelle ricette per la polvere da sparo, il 74,64%
di salnitro, l'11,85% di zolfo e il 13,51% di carbone. In una tabella riporta le percentuali
medievali96, dalla quale si desume che nel corso del Trecento la percentuale di salnitro si aggirava
mediamente intorno al 66,6 % (con l'11,2% di zolfo e il 22,2% di carbone), anche se non siamo
precisamente informati sul gradi di purezza dei tre ingredienti. Durante i primi quattro decenni del
XV secolo in Germania e in Borgogna il salnitro raggiungeva il 71% circa, con il 12,9% di zolfo e il
16,1% di carbone. In Francia, intorno al 1430, la polvere nera si divideva in "piccola polvere",
polvere leggermente più potente e polvere molto forte. La prima era composta dal 57% di salnitro, il
28,6% di zolfo e il 14,3% di carbone; la seconda con il 62,5% di salnitro, 25% di zolfo, il 12,5% di
carbone; la terza aumentava la dose di salnitro al 66,7%, e diminuiva lo zolfo al 22,2% e il carbone
al 11,1%. Interessante è confrontare queste percentuali con le dosi consigliate da Francesco di
Giorgio Martini97 che, come ipotizzato da Francesco Benelli, potrebbe aver principiato la sua
carriera di tecnico militare iniziando proprio dalla fusione di artiglierie98. Egli distingue le polveri a
seconda dell'arma da caricare: le bombarde che sparano proiettili di almeno 200 libbre devono
essere caricate con una polvere che abbia almeno il 50% di salnitro, il 28,6 % di zolfo e il 21,4% di
carbone; la polvere per le spingarde e le bombarde più piccole (del tipo mortaio) devono avere il
57,1% di salnitro, il 28,6 di zolfo e il 21,4% di carbone. Nei calibri minori consiglia una maggiore
dose di salnitro: la polvere per i passavolanti, basilischi e cerbottane dovrebbe contenere almeno il
91
«Arsenico mischiato alla polvere scaglia la pietra della bombarda più lontano».
92
PARTINGTON 1999, pp. 144-185.
93
Per una completa trattazione sul salnitro durante il Rinascimento: HALL 1997, pp. 74-79.
94
A. CAFFARO, G. FALANGA, Il Libellus di Chicago. Un ricettario veneto di arte, artigianato e farmaceutica (secolo
XV), Salerno 2006, p. 49 nota 68.
95
CAFFARO, FALANGA 2006, p. 83.
96
CONTAMINE 1980, p. 273.
97
Sul ruolo di tecnico militare di Francesco di Giorgio nell’arsenale della Repubblica di Siena, la Camera del Comune
si veda l’intervento R. FARINELLI, M. MERLO, La Camera del Comune: miniere, metallurgia, armi tenuto durante il
convegno L’età dei Petrucci: cultura e tecnologia a Siena nel Rinascimento, giornate di studio in memoria di Giuseppe
Chironi, svoltesi in Archivio di Stato a Siena il 19 e 20 ottobre 1012, di cui è prevista la pubblicazione degli atti.
98
BENELLI 2008, pp. 437-450.
13
61,5%, e il 23,1% di zolfo e 15,4 di carbone. Invece, sempre Francesco di Giorgio, indicava come
ottimali per schioppetti e archibugi polveri composte dal 73,7% di salnitro, 15,8% di zolfo e dal
10,5% di carbone. Il dato più evidente se confrontiamo le percentuali contenute in queste ricette,
assieme alle altre riportate dalla tabella di Contamine, e in particolar modo osservando quelle di
Francesco di Giorgio, è come non vi fosse una ricerca per una polvere ottimale, più efficace
possibile, ma ogni tipologia di arma da fuoco richiedeva preparazioni differenti: polveri troppo
potenti avrebbero fatto esplodere il pezzo, poiché volata e camera di scoppio non avrebbero resistito
alla deflagrazione, relegando la possibilità di aumentare i dosaggi delle polveri solo per i pezzi di
eccellente fattura: ogni 0,45 kg di polvere produceva 1,1 mc di gas alla combustione99.
L'efficacia della polvere dipende non solo dal giusto dosaggio degli ingredienti ma anche dalla
purezza delle sostanze100, la loro omogeneità e finezza. Macinare finemente ogni elemento, spesso
ricorrendo ai mulini, poteva non bastare: l'instabilità della miscela formata dai tre ingredienti base si
scomponeva a ogni scossa, cosicché il salnitro, la sostanza più pensante, cadeva sul fondo, mentre il
carbone risaliva. Per questo motivo, probabilmente tra il 1420 e il 1430, fu introdotta la granitura
della polvere101. La polvere, trattata secondo questo procedimento102, si presentava a granuli,
piccole palline tra le quali poteva passare l'ossigeno, consentendo una combustione praticamente
istantanea. Ma ancora alla metà del XV secolo ci si chiedeva se tale polvere fosse la più adatta a
caricare qualunque tipo di arma da fuoco103. In effetti nell’inventario della Camera del Comune di
Siena, redatto il 5 giugno 1460, la polvere è suddivisa in grossa e sottile, probabilmente da
intendersi in granuli o macinata104.
La seconda osservazione sui dati riportati da Contamine è che le percentuali di salnitro
aumentano con il passare degli anni, quando colture e raccolte sistematiche venivano introdotte in
tutto il continente.
Il salnitro venne individuato in Europa solo nella seconda metà del XIII secolo105; la sua rarità è
testimoniata Oltralpe dal confronto con i prezzi di questa sostanza, normalmente prodotta
localmente, e dello zolfo, che di regola veniva importato dall'Italia. Nei Paesi Bassi e nel principato
di Liegi, sia nel XIV sia nel XV secolo, a parità di peso, lo zolfo italiano costava la metà del salnitro
di produzione autoctona, sia allo stato naturale (detto “zolfo vivo”), sia in pani (“in canna”) sia
frantumato (“in zolle”)106.
Solo nel tardo XIV secolo fu possibile ricreare artificialmente le condizioni per ottenere il
salnitro, che fino a quest’epoca veniva raccolto dove si formava naturalmente: il procedimento
consisteva nell’accelerare il decadimento del materiale organico e prevenire il deflusso del nitrato di
sale sviluppato nelle piantagioni di salnitro, semplici ammassamenti del composto. La più antica
99
REID 2010, p. 78.
100
La valutazione della purezza dello zolfo, ad esempio, fu uno degli aspetti più importanti, tanto che prima di essere
venduto veniva accuratamente esaminato. In una miniatura dell'inizio del XV secolo si vede il mercante di zolfo far
esaminare a un esperto un barile di zolfo fuso: Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Codex Germanicus 600, c. 9r.
Sulla purezza dello zolfo: CAFFARO, FALANGA 2006, p. 81 e nota 174; TEOFILO 2000, pp. 106-107.
101
VON ESSENVEIN
1872, p. 25.
102
Per produrre polvere in granuli era necessario umettare la polvere bagnandola con acquavite, aceto o altre sostanze,
in modo da formare i granuli; in seguito bisognava farli essiccare al sole.
103
CONTAMINE 1980, p. 274.
104
ASS, Camera del Comune 18, c. 4v.
105
DEVRIES 1992, p. 143; PARTINGTON 1999, pp. 42-90; CHASE 2009, p. 108.
106
GAIER 1973 , pp. 186-188.
14
coltura di salnitro nota è del 1388 a Francoforte e nel decennio successivo il salnitro prodotto
artificialmente fu usato quasi esclusivamente per le più importanti forniture di polvere nera107.
Un documento testimonia le difficoltà che ancora nel XV secolo s’incontravano per la produzione
del salnitro. Proprio a Siena il 3 luglio 1430108 (quindi in anni molto vicini all’annotazione di
Taccola) venne dato in concessione al maestro di bombarde Antonio di Angelo un terreno nel
contado, nel quale possa fare il proprio lavoro senza arrecare danno (terrenum in quibuscumque
socis in quibus non faceret damnum), disposizione che indica quanto fosse pericoloso questo
lavoro. Incidenti mortali erano frequenti nel lavoro del mastro bombardiere109, solo a titolo di
esempio nel 1456 il maestro di bombarde Maso di Bartolomeo morì a causa di un’esplosione nella
sua officina110. Nel documento del 3 luglio del 1430 viene inoltre stabilito che i contadini debbano
cedere a maestro Antonio di Angelo la legna dei boschi per fare il salnitro (cedere ligna silvestra
pro faciando de salnitro) affinché il maestro possa produrne la quantità necessaria per il suo
lavoro111: un interessamento politico precoce per le colture di salnitro. Ad esempio a Venezia, dove
lo sviluppo delle artiglierie e della polvere nera trovò precocemente uno spazio importante per la
difesa del territorio e la guerra navale, furono create “nitriere artificiali” per la coltura del salnitro
solo a partire dalla metà del XVI secolo112.
Un altro requisito necessario affinché la polvere nera sia efficace è la rapidità con cui i suoi
composti prendono fuoco. Contrariamente al salnitro, i composti dell’arsenico erano molto
diffusi113, impiegati in moltissime preparazioni anche mediche. A compensare la carenza di salnitro
vennero quindi sperimentati differenti tipi di ingredienti infiammabili: in tutti questi casi si tratta di
sperimentazioni, «proto polveri da sparo»114, nelle quali sono consigliati ingredienti facili da
reperire nei laboratori medievali, come appunto l'arsenico, o tradizionalmente usati nelle miscele
incendiarie a scopo bellico come oli, canfora, resine, acquavite115. Sostanze che a Siena ancora negli
anni Venti del XV secolo il maestro Antonio di Angelo continuava a lavorare116, necessarie alla
preparazione del fuoco greco117 e per gli ordigni incendiari, che proprio a Siena sembrano avere una
certa diffusione già dal 1229, come le ampolle di vetro riempite con oleum petroleum, dotate di uno
stoppino da accendere e scagliate tramite fionde, probabilmente in metallo118, o i già ricordati
stomboli. Tradizioni a cui Taccola sicuramente si è ispirato, come dimostrano la quantità di soldati
107
KELLY 2004, p. 34-35
108
Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, G. MILANESI, Orafi e mastri di pietra, ms. P. III 23, c. 4r.
109
Alcuni interessanti esempi sono riportati in BRAVETTA 1919, p. 77.
110
HÖFLER 1984, pp. 389-394.
111
Difficile interpretare correttamente la decisione di raccogliere proprio la legna silvestre. Si potrebbe pensare che
questa fosse necessaria ad accendere il fuoco, ma per tale scopo sarebbe stata sufficiente qualunque tipo di legna. È
anche probabile che la legna silvestre potrebbe essere stata usata per creare colture di salnitro. Infatti accatastando la
legna appena raccolta dai boschi contro un muro di pietra, dopo qualche tempo (da uno a due anni), sulla parete crescerà
una notevole quantità di salnitro.
112
Talmente importante per lo Stato veneziano che la sua raccolta fu istituzionalizzata e messa sotto il controllo del
Provveditore delle Artiglierie: GIRARDI 1998, p. 11.
113
Già nell'antichità i metalli arsenicali in lega con il rame erano conosciuti e utilizzati per la forgiatura di armi:
GIARDINO 2010, pp. 182-188.
114
CASTIGLIONI 2008, p. 29.
115
Altre sostanze spesso presenti nelle ricette della polvere nera, insieme a ingredienti più bizzarri come urina di uomo
che beve acquavite: PARTINGTON 1999, pp. 144-185.
116
ANGELUCCI 1870, pp. 532-533.
117
FINÓ, 1970, pp. 15-30; PASCH 1998, pp. 359-368.
118
ANGELUCCI 1870, pp. 495-497; BOCCIA 1973, pp. 201-202; SETTIA 1993, pp. 302-303; MERLO in corso di stampa.
15
nell’atto di lanciare ampolle incendiarie, sia a mano sia con l’ausilio di cazafrusti o balestre, che
egli disegna nei suoi appunti119.
Partington segnala la ricetta di Taccola, ma non ne rimane colpito perché curiosamente non
attribuisce il manoscritto all’inventore senese. Il manoscritto, all’epoca in cui Partington scrisse il
suo saggio, era noto da tempo e, nonostante comparissero i primi autorevoli studi che gettavano
luce sul De Ingeneis e sul De machinis, che pure cita120, non accetta l’attribuzione di quest'ultimo
al Taccola, ritenendo originale il manoscritto conservato a Parigi121, che in realtà è una copia più
tarda del De machinis di Paolo Santini122.
Anche nel De machinis, così come nella copia parigina a carta 79v, lo schioppettiere a cavallo
viene riproposto ma, come visto, si tratta di un’opera di natura differente, destinata a essere diffusa,
che infatti non riporta la ricetta della polvere nera, appunto personale di Taccola.
L’annotazione più significativa della carta 21r del De ingeneis, per la redazione di questo
secondo manoscritto, è quella che si trova tra le zampe del cavallo, segnata da una manicula. Questa
è una sorta di riassunto delle macchine e stratagemmi più utili per conseguire la vittoria123. Un
appunto con ogni probabilità di Mariano che deve essergli servito per elaborare il De machinis.
L’eques scoppiectarius doveva essere un progetto a cui Taccola teneva molto e per il quale aveva
studiato molto, come testimonia uno schizzo preparatorio a carta 126r del De Ingeneis.
Evidentemente l’inventore senese non smise di perfezionare la sua idea e la ripropose a carta 75v
del De machinis.
In questo testo la didascalia esplicativa è molto sintetica e si limita agli aspetti più tecnici:
Eques scoppectarius oportet quod ipse sit totus // armatus et equs eius sit totus bardatus ne a
funiculo ardente ledantur nec a pulvere bonbardule sive // scoppiecti et in sella habeat peras
sive bisaccas in quibus sint pulver et // pillule plubee scoppiecti et sibi deficientibus pulvere
imgne sive lapillis // potest se defendere ac offendere hostes ense suo Et quando sunt
scoppectari ad facendum // primum insultum hostibus suis faciunt maximum timorem ac //
tormentum et sunt causa de hostibus victoriam reportandi eccetera124.
Le differenze con il precedente manoscritto sono minime. Il cavaliere nel disegno indossa
un’armatura più moderna: se nel De ingeneis indossava una tipica armatura del tardo Trecento,
inizio Quattrocento, con un bacinetto con camaglio e una panziera, nel De machinis indossa
un’armatura da uomo d’arme di metà XV secolo, con elmetto con visiera, cosa che denota
un’attenzione precisa e puntuale sugli sviluppi degli armamenti in generale125. La testiera del
119
A titolo di esempio si vedano le carte 48v, 49r e 136r del De Ingeneis. Mentre a carta 67v, nella stessa opera,
disegna due congegni per lanciare ampolle esplosive con le fionde.
120
PARTINGTON 1999, pp. 177-178.
121
Parigi, Bibliothèque Nationale de France, ms. Codex Latinus 7239.
122
Opera donata, probabilmente dall’umanista Ciriaco d’Ancona, al sultano Maometto II.
123
L’annotazione dice: Iumanta cum bombarde // Equi cum tegillis trasversos // Targones ambulatori // Vinum cum
sonnifero // Et comestibilis et // Testudines ambulatori // Et curri dant victoriam (Giumenta con bombarda; cavalli con
travi diagonali; targoni mobili; vino con sonnifero; e cose da mangiare e; testuggini mobili; e carri danno la vittoria).
124
«È opportuno che lo schioppettiere a cavallo sia tutto armato e il suo cavallo sia tutto bardato affinché non sia ferito
dalla miccia ardente ne dalla polvere della bombardella o dagli schioppi. E in sella abbia sacchi o bisacce nei quali ci
siano la polvere e le palle di piombo degli schioppi, e se gli dovessero mancare polvere, fuoco o pallottole si possa
difendere o attaccare i nemici con la sua arma bianca. E quando sono gli schioppettieri a condurre il primo attacco ai
danni dei propri nemici, causino il maggior spavento e sofferenza e sono la causa della vittoria che verrà riportata sui
nemici».
125
BOCCIA 1991, p. 48.
16
cavallo, che qui sembra di cuoio126, non possiede più il corno (probabilmente ritenuto
eccessivamente ingombrante e sostanzialmente inutile sul piano pratico). Il martello e le bisacce
sono disegnate ai piedi del cavallo (e non più sull'arcione posteriore del cavallo), e sopra hanno una
b minuscola, scritta anche sopra l’arcione posteriore della sella, a indicare il punto esatto dove
mettere le bisacce. È segnalato, con la parola ignis, il fuoco sul focone dello schioppo, oltre che
quello della miccia, indicando in questo modo ancora una volta il pericolo che può derivare per
cavallo e cavaliere dalle fiamme libere.
È interessante osservare come nei secoli XIV e XV le bombardelle manesche e del tipo mortaio
fossero chiamate comunemente bombarde, esattamente come le pesanti artiglierie, senza distinzione
di calibro, dimensioni o utilizzo127, mentre attualmente, per esigenze terminologiche e
catalografiche, è convenzionalmente preferibile distinguere le armi di grosso calibro, le bombarde
propriamente dette128, da quelle più piccole, che definiamo bombardelle. Spesso i contemporanei
per indicare quest’ultime usavano alternativamente al termine bombarda quello di sclopum
(maggiormente usato per le armi da fuoco manesche), nomi dal valore onomatopeico, indicanti
proprio il forte rumore che queste causavano con lo sparo e che per lungo tempo ha continuato ad
attirare l’attenzione dei contemporanei129. Nel lessico dei documenti senesi, forse a causa
dell’importante presenza di specialisti, è sovente distinta l’arma da fuoco manesca da quelle di
grosso calibro: le armi da fuoco manesche realizzate nel 1430 dai fabbri Meo di Mazzone e Antonio
del Mazza sono dette bonbardette, e nel documento è specificato che si tratti di armi da tenere a
mano130; nello stesso anno, tra le armi da fuoco gettate da Giacomo di Giovanni di Vita, figurano 25
bonbardette131; nel 1441 maestro Giovanni di Giovanni de Alamania è qualificato come mastro di
schioppetti e bonbardiere132, e tra gli uomini della sua condotta alcuni sono armati di
bombardette133, terminologia usata in alcuni progetti anche da Francesco di Giorgio. Taccola stesso
nel De ingeneis usa indistintamente, per tutte le armi da fuoco, il termine bobbarda (anch’esso
molto comune nei documenti senesi), ma nel De machinis, per indicare quelle manesche, preferisce
il termine scopiectum, diminutivo di scopium, e in un solo caso, proprio per mostrare l’arma
dell’eques scoppiectarius, adotta il diminutivo bonbardula, che viene trascritto anche nella copia
parigina134. È uno dei rari esempi di testo quattrocentesco nel quale l’arma da fuoco è differenziata
anche nel lessico per le dimensioni135.
126
Nella copia quattrocentesca di Iacopo di Mariano, che narra la battaglia di Montaperti, ma che contestualizza al XV
secolo alcuni aspetti della vita civile e militare, è detto che a Siena le testiere di cuoio avessero una certa diffusione,
prodotte anche con materiali di fortuna. Infatti il cronista narra che i cavalieri tedeschi si dettero a con/perare quante
chuoia erano in Siena da fare suola discharpette de / le quali feciero armadure di chavagli et similmente tesstiere da /
cavagli: Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. D.57, c. 2v.
127
GAIBI 1965, p. 33.
128
La struttura delle bombarde di grosso calibro si differenziava da quelle manesche solo per le dimensioni, mentre gli
elementi costitutivi e il sistema di funzionamento erano i medesimi. Per un approfondimento: SMITH, BROWN 1989;
SMITH, DEVRIES 2005, pp. 262-315.
129
DONDI, 1997, pp. 34-39.
130
ASS, Camera del Comune 11, c. 192v.
131
ASS, Camera del Comune 11, c. 196v.
132
ASS, Camera del Comune 11, cc. 495v, 499v, 504r, 507v.
133
ANGELUCCI 1870, p. 539.
134
Auguste Demmin, che faceva riferimento proprio alla copia parigina, chiama il modello di bombardella dello
schippettiere a cavallo pètrinal: DEMMIN 1869, p. 83.
135
Una distinzione lessicale sulle dimensioni delle bombarde si trova nei medesimi anni anche nelle Marche. Quando
Iacopo d’Adriano, o da Gayvano, entrò a Osimo nel 1445, gli furono fornite dalla città granaglie e un bombarda grossa,
e poco tempo dopo Iacopo richiese sempre alle autorità di Osimo duobus bombardellis de pulvere et lapidibus:
PACIARONI 1983, pp. 98-99.
17
Non si tratta quindi di un documento che testimonia un utilizzo delle primitive armi da fuoco
manesche136 da parte dei cavalieri sui propri cavalli, come è stato teorizzato anche recentemente137,
piuttosto l’ideazione di un impiego di queste armi mai sperimentato fino a questo momento.
I trattati tecnico militari, come visto, nel corso del Quattrocento ebbero particolare fortuna, ma la
storiografia s’interroga ancora su quali potessero essere i lettori di queste opere e quanto possano
aver influenzato lo svolgimento delle guerre, poiché nella prassi militare l’esperienza pratica
superava quella teorica e i comandanti militari, per la messa in campo di artifici e stratagemmi, si
avvalevano della collaborazione di specialisti, molto spesso prezzolati.
L’INNOVAZIONE TECNICA NELLA GUERRA DEL QUATTROCENTO TRA TEORIA E PRATICA
Sappiamo che molti principi e autorità politiche, proprio per l’importante presenza di maestri
esperti in artiglieria, si rivolsero al comune di Siena per ottenere i servigi di taluni maestri.
Il 7 novembre 1457 Federico da Montefeltro scrisse una lettera alla Repubblica, nella quale
richiedeva presso il suo esercito il celebre gettatore di artiglierie Agostino da Piacenza, in quel
momento a Siena, che aveva conosciuto durante la sua convalescenza in città. Il Montefeltro
vorrebbe al suo servizio il maestro Agostino per la fonditura di artiglierie da impiegare contro il
nemico comune Sigismondo Malatesta138, che qui non è superfluo ricordare essere stato il protettore
di Roberto Valturio, l’altro grande ideatore di macchine belliche. Abbiamo già detto dell’attività
itinerante di Giovanni di Guglielmo da Siena e della richiesta dei fiorentini dei servigi di Antonio di
Angelo di Michele. Anche Taccola offrì le sue competenze all’imperatore Sigismondo quando si
trovava a Siena. Il Taccola, dedicando all’imperatore il Liber tertius de ingeneis ac edifitiis non
usitatis, scriveva alla carta LXVIIII: Pro te serenissimus principe Sicismundo […] rogo Deum
omnipotentem et Verbum Patris per quem omnia facta sunt te conservet in fide, sanitate longeva
atque karitate, ut pugnare possis contra hostes nostros ac de ipsis victoriam reportate possis, e
aggiungeva Maestati sacre tue Ser Mariano Iacobi, camerarium Domus Sapientie de Senis, qui
libellum hunc composuit et me designavit semper recomendo, et ipsum in familiarem unum ex illis
vestre curie dignemini recipere ac ingeniorum super aquis magistrum aprobare autoritate vestri
privilegi, cuius ententio est in partibus vestris Ungarie habitare et ibidem dies suos finire, et in
omnibus aquarum edifitiis attendere et in codicibus omnia facta et gesta per vos reges Ungarie et
anticessores vestros describere, iusta suum posse de quolibet loco recogliere et in dictis codicibus
in principio marginis designare ac miniari storias. Non appare come una semplice ricerca di un
mecenate, ma sembra esserci un attento programma politico filo imperiale, a partire dall’indicazione
hostes nostros. Il nemico comune è chiaramente Firenze, com’è meglio esplicitato alla carta
LXXIIIv139. Taccola è quindi disposto a trasferirsi presso la corte imperiale in Ungheria, anche fino
alla morte, offrendo le proprie capacità non solo in campo militare (per le quali evidenzia il
contenuto del Liber tertius) ma elenca le sue competenze, compresa la possibilità di redigere
cronache, disegni e miniature che celebrino l’imperatore e i suoi predecessori. Ma nonostante ciò
non sembra che l’imperatore abbia accolto presso la corte Mariano.
136
Queste con ogni probabilità vennero impiegate sistematicamente per la prima volta intorno al 1405: GIMPEL 2002, p.
249.
137
Archibugi 2010, p. 6.
138
GAYE 1839, pp. 178-179; MILANESI 1854, pp. 298-299.
139
Feliciter finit tertia pars libelli de edifitiis ac ingeneis completa in domo Sapientie civitatis Senarum, in anno Domini
millesimo.CCCCXXXII., die .XII. mensis ianuarii, dum Senenses et Florentini malam viciniam pergebant. Il disegno
stesso di questa carta, un vecchio guerriero in armatura, con indosso il copricapo di Sigismondo, armato di scudo e
spada calpesta la coda di un leone (allegoria di Firenze) e, tra le nubi, compare Cristo che rivolge al guerriero le parole:
Defende oves meas ex quibus te custodem elegi. Inoltre alla carta XXXIIIr ricorda come la città di Siena sia sempre
stata fedelissima all’imperatore.
18
Non sappiamo però se lo scarso interesse dimostrato dall’imperatore verso il Taccola possa essere
imputato a un pregiudizio nei confronti dei suoi progetti, come una vecchia storiografia militare
leggeva per i progetti dell’opera di Roberto Valturio140.
I trattati tecnici come quelli di Giovanni Fontana, di Taccola, dell’Anonimo delle guerre Ussite o
di Valturio rappresentavano una nuova tipologia di trattato militare, differente da quelli nati o
copiati a partire dal Tardo Antico, a cominciare dalla celeberrima opera di Vegezio, anche se si
scorgono delle eccezioni. Un’opera che influenzò in modo diretto la nuova trattatistica fu senz’altro
il libro X dell’opera di Vitruvio, nel quale sono descritte le macchine sia civili sia militari141, ma
ancora di più l’Anonimo del De rebus bellicis, composto nel IV secolo142. In questo trattato l’autore
fornisce alcuni consigli politici e militari per riportare l’impero di Roma agli antichi splendori. Sulla
base di un’esperienza bellica, che l’Anonimo sicuramente aveva, illustra alcune macchine da guerra
particolarmente suggestive e che dice aver visto all’opera. Questo testo ebbe una certa fortuna
proprio nel Quattrocento, epoca alla quale risalgono le copie oggi conservate; queste sono corredate
dalle illustrazioni delle macchine belliche, probabilmente copiate dall’opera più antica, il codice che
era conservato presso il Capitolo della cattedrale di Speyer, oggi perduto143. Nelle miniature del
codice di Oxford, la copia più nota e datata al 1436144, è stata riconosciuta la mano di Peronet
Lamy, che negli anni Quaranta del XV secolo era al servizio di Amedeo VIII di Savoia145. In queste
illustrazioni è evidente come ci sia un rapporto di dipendenza tra il trattato del IV secolo e le opere
di Guido da Vigevano e del Kyeser146, ma la conoscenza nel Quattrocento del De rebus bellicis e
delle sue illustrazioni, oltre alla sua profonda influenza nei nuovi trattati tecnici, è palesata da
un’annotazione di Leonardo147. Anzi del rapporto espresso da Leonardo tra fortificazioni e
artiglierie si trova eco, anche lessicale, in Machiavalli148, divenendo elemento determinante anche
per le teorie militari non esclusivamente legate alle questioni meramente tecniche149.
Le opere tecniche quattrocentesche, al di là della suggestione e ispirazione classica, erano il
prodotto, come espresso da Aldo Settia, di un vicendevole scambio «fra trattati militari di
ispirazione letteraria e gli appunti segreti degli ingegneri militari. Questi ultimi si sforzavano da un
lato di materializzare con il disegno le vaghe indicazioni contenute in Vegezio e Frontino, e d’altra
parte si appropriavano di consigli, accorgimenti e trovate»150, come appunto Fontana, Taccola e
Valturio. Senz’altro più concreti, all’interno di questa tipologia testuale, erano i progetti di
Francesco di Giorgio, del Ghiberti o di Filerete, ma anche in questi talvolta la ricerca
dell’innovazione, prevalentemente nel campo militare, accondiscendeva a quelle che per il lettore
moderno possono sembrare stravaganze. La critica non ha guardato con lo stesso pregiudizio alle
macchine disegnate da Leonardo, anch’esse molto poco concrete e ispirate a un’idea di
140
Ad esempio: PROMIS 1841; STICCA 1912; PIERI 1938, p. 106. Un’efficace sintesi sulla questione: SETTIA 2008, pp.
44-45 e nota bibliografica.
141
VITRUVIO 2008, pp. 457-533.
142
Le cose della guerra 2001.
143
È conservato un unico frammento e privo di illustrazioni: Harbourg, Fürstlich Oettingen-Wallerstein’sche
Bibliothek, Schloss Harbourg, Ms. I, 2,2°, 37.
144
Oxford, Bodleian Library, Oxoniensis Canonicianus class. Lat. Misc. 378.
145
EDMUNDS 1964, pp. 138-140.
146
BERTHELOT 1900, pp. 295, 420.
147
BERTHELOT 1902, p. 119.
148
ZANZI 2008, pp. 88-96.
149
Sui mutamenti militari, sia teorici sia pratici, della guerra alla fine del XV secolo: KEEN 1999, pp. 273-291.
150
SETTIA 2008, p. 48.
19
classicismo151, ma è stata presa in esame l’idea innovativa che vi era alla base. Se si pensa che i
progetti di Leonardo sono profondamente debitori dei manoscritti di Francesco di Giorgio, come
d’altro canto quest’ultimi sono a loro volta debitori dei progetti di Taccola152, non si può che
concordare con l’asserzione di Settia, secondo la quale «tutto l’affaccendarsi attorno alle armi da
fuoco rende il secolo XV – almeno nel limitato ambito militare – in qualche modo simile
all’incessante sviluppo tecnologico dei giorni nostri, nei quali risultati appena raggiunti vengono
rapidamente superati da altri sempre nuovi»153. La sperimentazione, anche quella spinta verso i
confini dell’irreale, contribuiva notevolmente al progresso tecnologico verso il quale il Quattrocento
stava procedendo154, ponendo il macchinismo fantastico come dato di fondo del pensiero tecnico
antico e moderno155.
La tradizione dei trattati militari, a partire da Vegezio e da Frontino, era stata per il Medioevo
significativa, ma fino alla metà del XIV secolo non sembra che questi abbiano influito
sensibilmente nella prassi militare156. Trattati di differente natura erano stati scritti e copiati per
tutto il Medioevo, anche con una certa fortuna157, soprattutto se si pensa all’influenza dell’opera di
Vegezio158, «ma quale che fosse l’importanza (in ogni caso ridotta) della formazione teorica e
intellettuale, è certo che l’esperienza pratica la soverchiava sotto ogni aspetto»159. Tra XIII e XIV
secolo l’Anonimo del Pulcher tractatus de materia belli affermava egli stesso che l’arte bellica si
impara con la pratica e l’esercizio più che con le lettere, benché anche la scienza letteraria possa
essere utile160. Ancora all’inizio del Trecento Teodoro Paleologo, redigendo il suo trattato, si
scusava con il lettore per la sua imperizia nella scrittura, affermando: «nell’arte delle armi o pratica
di guerra non si riscontra necessità di quel tipo di scienza o di abilità di scrittura, ma inclinazione
naturale e pratica delle armi […] E noi vediamo che gli uomini d’armi sono tutti incolti e non si
inesperti di scrittura»161.
Ma dalla metà del Trecento la guerra subì importanti e significativi cambiamenti, dalle istituzioni
militari agli armamenti, compresa una nuova percezione della teoria e della trattatistica.
L’Umanesimo aveva influenzato profondamente anche la dottrina militare, soprattutto
nell’emulazione della gloriosa tradizione militare greca e romana e, ancor più, nel tentativo di
superarla162.
151
Si pensi ai celebri disegni di carri falcati, che erano ispirati alle quadrighe con cui Antioco e Mitridate avevano
gettato nello scompiglio l’esercito romano, copiati dal De rebus bellicis e proposti nel Codice sul volo degli uccelli
(Torino, Biblioteca Reale, Ms. Varia 95) e nel codice Arundel (Londra, British Museum, Cod. Arundel, c. 1030). In
quest’ultimo codice, nella stessa carta è disegnato anche il celebre carro armato coperto, che nella concezione teorica e
nella progettualità pratica non era differente dal drago di Roberto Valturio. Oppure si pensi alla gigantesca balista
disegnata nel Codice Atlantico (Milano, Biblioteca Ambrosiana, S 194 inf, c. 53r).
152
BENELLI 2008, pp. 444-445. Francesco Benelli sostiene inoltre che Francesco di Giorgio abbia studiato anche il De
re militari di Valturio.
153
SETTIA 2008, p. 50.
154
Per questi argomenti si veda il catalogo Prima di Leonardo 1991, p. 495.
155
Le cose della guerra 2001, p. XXIII.
156
Per una sintesi sull’argomento con ricchi riferimenti bibliografici: BARGIGIA, SETTIA 2006, pp. 11-13, 70-72, 74-77;
SETTIA 2008, pp. 67-88.
157
Per una sintesi sui trattati militari medievali: CONTAMINE 1980, pp. 173-176, 289-300; MERLO 2013, pp. 504-515.
158
RICHARDOT 1980, pp. 71-99, 101-143.
159
CONTAMINE 1980, p. 296.
160
Pulcher tractatus de materia belli 1927, p. 42. SETTIA in corso di stampa.
161
Les enseignements 1983, p. 35. Ringrazio il prof. Alessandro Vitale Brovarone per la traduzione.
162
MALLET 1983, pp. 180-184; SETTIA 2008, pp. 35-65.
20
La didattica e l’apprendistato presso un celebre condottiero divennero, dalla fine del XIV secolo,
parte fondamentale, si direbbe formativa, per un comandante militare, poiché il combattimento
s’imparava «stando al fianco come allievo di un condottiero famoso e non sfogliando libri»163,
come ancora asseriva Diomede Carafa nel Memoriale inviato al duca di Calabria nel 1479164; la
nuova trattatistica assumeva quindi forme originali e concrete165.
Prima del Quattrocento l’esperienza pratica sembra essere stata molto più importante della teoria,
anche di quella tecnica, come dimostra un episodio dell’assedio di Wurle: alla fine del XII secolo la
città fu conquistata dagli slavi e, dopo un lungo assedio, i tedeschi non erano riusciti a espugnarla. Il
cavaliere tedesco Guncelino di Zuerin, che aveva partecipato alcuni anni prima all’assedio di
Crema, suggerì di costruire machinas multas come quelle che aveva avuto modo di osservare in
Lombardia, dimostrando che ancora a quell’epoca l’esperienza di un buon osservatore potesse
sopperire alle conoscenze teoriche166. Ma alcuni taccuini e trattati, simili a quello di Villar
d’Honnecourt o di Guido da Vigevano, potevano circolare con maggiore frequenza rispetto a ciò
che tramandano le fonti167. Sempre verso la fine del XII secolo infatti Goffredo Plantageneto, per
espugnare un castello nella valle della Loira, fu aiutato da un monaco del monastero di Marmoutier.
Questi disse di aver letto in una copia di Vegezio un procedimento per fabbricare ordigni incendiari,
che in effetti furono di grande utilità per il Plantageneto168. Tuttavia la ricetta per tale preparazione,
che viene puntualmente descritta nella cronaca169, non si trova in nessuna delle copie note di
Vegezio, fatto che induce a pensare a un trattato estremamente debitore dell’Epitoma, ma di natura
differente, più tecnica.
Dalla metà del XIV secolo lo studio della teoria militare iniziò a trovare spazio nella formazione
pratica dei condottieri. Molto probabilmente alla base di alcune vittorie ottenute dal Amedeo VI,
conte di Savoia, come ad Abres nel 1364, vi era lo studio fatto in gioventù del De regimine
principum di Egidio Romano e dell’opera di Vegezio170, che furono acquistate per lui a Parigi
quando aveva dodici anni, proprio con lo scopo di educarlo alla guerra171. Alcuni stratagemmi
impiegati da John Hawkwood dimostrano come il condottiero inglese fosse a conoscenza del
trattato di Frontino172. Ma dal XV secolo la conoscenza della trattatistica tecnica sembra influire
maggiormente, e in maniera spesso evidente, nella pratica di guerra.
Durante l’assedio di Neuss, condotto da Carlo il Temerario tra il 1474 al 1475, un cavaliere
castigliano, ritenuto particolarmente ingegnoso (etimoit estre de très subtile et clère invention),
163
MALLET 1983, pp. 180-181.
164
«Et certo se vede quillo mestieri no se impara per scola né per libro, ma sulo per pratica»: PIERI 1933, p. 209
165
Si veda ad esempio l’opera di Philippe de Clève o di Antonio Cornazzano: SETTIA 2008, pp. 28-30, 52-61.
166
Cronica Slavorum, pp. 304, 310. Per le macchine belliche durante le campagne del Barbarossa in Italia: MERLO
2004.
167
SETTIA 1993, pp. 281-284.
168
Croniques des comtes d’Anjou 1913, pp. 218-219.
169
Jussit igitur cadum ferreum ligaminibus ferreis astrictum, forii dependente catena, nucum et seminis cannabi et lini
oleo impleri et cadi patentia opportuno itidem ferri clavo forti, ferreo, fortiter cavillato, sigillari. Taliter autem
impletum jubet in fornace ignea tamdiu reponi donec nimio ardore totus incandesceret et oleum intus fervescens
ebulliret ; qui extractus, catenaprius supcrjectis aquis refrigerata, mangonelli conto innectitur et a fundibulariis summa
vi et cautela directus in connexum foraminis robur, sicat igneus erat, infigitur. Solvitur impetu, subjecte materie fit
incentivum; oleum vero effusum, ignis alimenta subministrans, in flammarum globos coalescit . Lambens flamma unice
evomens incrementa, tribus introrsum mansionibus combustis, vix homines ab incendio immunes dimittit.
170
RICHARDOT 1998, pp. 49-50.
171
MERLO 2012, p. 61 e nota 36.
172
CAPOFERRO 2006, p. 304.
21
mostrò al duca un suo progetto disegnato su carta per la costruzione di una macchina bellica: una
scala che si muoveva come un ponte levatoio, per la quale diceva di essersi ispirato ai suggerimenti
di Vegezio; visionato il progetto il duca decise di mettere a disposizione del cavaliere castigliano
quanto reputasse necessario per la sua costruzione173. Illuminanti sono gli inventari di alcune
biblioteche di comandati militari174, tra cui merita una citazione quella di Guichard Dauphin, capo
dei balestrieri del regno di Francia all’inizio del Quattrocento, che contava numerose opere di
carattere bellico, tra cui una copia del trattato di Teodoro Paleologo175. Già Petrarca, ribadendo il
concetto che l’arte della guerra si acquisisce con la pratica e non con la lettura, aveva tuttavia
copiato alcuni capitoli di un trattato militare, non specificato, su richiesta dell’amico condottiero
Luchino Dal Verme. Quest’ultimo, ringraziando il Petrarca, si rammarica di non avere il tempo
sufficiente per dedicarsi a queste letture176.
È particolarmente suggestiva l’idea che un condottiero di grande capacità ed esperienza, come il
Dal Verme, per le sua azioni belliche potesse trarre insegnamento dallo studio dei trattati177. Ma
anche Braccio da Montone volle per sé una copia di Vegezio in volgare (probabilmente per
comprenderla appieno), commissionandola a maestro Venanzo de Bruschino de Camerino,
cancelliere del comune di Perugia, e pare conoscesse molto bene la prassi militare romana,
informazione che apre suggestivi orizzonti178. D’altra parte oggi sappiamo che non tutti gli uomini
d’arme erano illetterati. All’inizio del XV secolo un soldato di ventura, probabilmente di nome
Domenico, sicuramente un fante, redasse un proprio taccuino, uno zibaldone ricco di annotazioni,
versi di Virgilio, Petrarca e altri autori, ovviamente preghiere, tabelle per risolvere problemi
matematici, ricette per guarire la febbre e altri appunti179, nei quali dimostra non solo una discreta
cultura letteraria, ma anche grafica180. Anche le iscrizioni incise in questi anni sulle armi
testimoniano una cultura di armaioli e combattenti a volte anche raffinata181.
Difficile, in questo contesto, pensare che i progetti dei trattati tecnico-militari del XV secolo non
abbiano in alcun modo influenzato la prassi militare. A Siena, il 7 aprile del 1495, la Balìa discuteva
l’arrivo di un quantitativo di polvere nera e archibugi, la cui relazione fu fatta da Antonio Barili, che
aveva avuto modo di ispezionare la merce, con il disegno in mano facci intednare ad quelle in che
termini la cosa si trovi182. Ciò potrebbe dimostrare come disegni e progetti potessero avere
importanti finalità pratiche, anche all’interno delle istituzioni preposte agli approvvigionamenti
militari.
Taccola, nonostante i consigli di segretezza del Brunelleschi183, sottopose diverse volte i suoi
progetti all’attenzione di alcuni personaggi: il 15 agosto 1441, annotava Mariano stesso a carta 96r
173
MOLINET 1927, pp. 47-48. Lo stesso cronista sottolinea come nel libro di Vegezio e aultres vénérables aucteurs trés
récomandes at autorisés en art militare raccomandino l’impiego di ingegnose macchine belliche: MOLINET 1927, p.47 .
174
CONTAMINE 1980, pp. 295-296.
175
LE ROUX DE LINCY 1843, pp. 518-527.
176
Francesco Petrarca e Luchino dal Verme, pp. 24-25. Su questa lettera si veda: BARGIGIA, SETTIA 2006, pp. 13-14.
177
Anche se Petrarca, disquisendo di pratica bellica con l’amico condottiero, era preoccupato di non fare la figura del
retore Formione che aveva tentato di impartire lezioni di strategia nientemeno che ad Annibale Francesco Petrarca e
Luchino dal Verme, p. 24.
178
SETTIA 2008, p. 44.
179
Pisa, Biblioteca Universitaria, ms. 70.
180
MACHET in corso di stampa.
181
A tale proposito si veda: MERLO 2008-2009.
182
ASS, Balia 553, c. 62v. Ringrazio vivamente Philippa Jackson per avermi segnalato il documento.
183
«Non parlare a molti delle tue scoperte»: Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Codex Latinus Monacensis 197, c.
107v; TORRI 1993, p. 42.
22
del De Ingeneis, mostrò al Dominus Antonius Catelano, un prelato di Tolosa, un rotolo con alcuni
suoi disegni di machine et tormenta antiqua184. Ma il 9 dicembre 1438, scrive sempre Taccola a
carta 79r della stessa opera, fece vedere i suoi progetti a Pietro Michelis, uno degli ambasciatori
senesi inviati presso l’imperatore Sigismondo dopo la sua incoronazione a Roma, avvenuta il 31
marzo 1433, e che quest'ultimo volesse mostrarli al condottiero Antonio Piccinino185.
Il Piccinino, dopo la guerra contro il conte di Pitigliano, assalì i territori senesi, espugnando il
castello di Cetona, attaccando Sarteano e facendo scorrerie nel grossetano186. Sotto il suo comando
fece l’apprendistato Federico da Montefeltro, che ricordiamo essere stato, oltre che un abilissimo
stratega e tattico, raffinato bibliofilo. Ancora in età avanzata il Montefeltro ricordava con affetto
l’antico maestro, tanto che nella su biblioteca, tra gli autori moderni, figurava una copia della Vita
di Niccolò Piccinino, «primo precettore del duca medesimo nell’arte militare»187, redatta da Iacopo
di Poggio Bracciolini. L’esperienza di Federico l’aveva portato a riconoscere le indubbie qualità di
Agostino da Piacenza come bombardiere, in una città ricca di tradizione tecnico-militare, così come
Pietro Michelis aveva intuito che i progetti di Taccola avrebbero potuto interessare in qualche modo
Antonio Piccinino. Un interesse non solo teorico per i progetti di Taccola potrebbe essere
confermato dalla notizia che il manoscritto conservato in Biblioteca Marciana, solo in parte mano di
Taccola, fu donato a Bartolomeo Colleoni188 (a cui il giurista Bartolomeo Cipolla dedicò anche il
De imperatore militum deligendo)189, altro grande e abile condottiero che, dopo un breve
apprendistato presso il Carmagnola, si formò proprio presso la scuola di Braccio da Montone190, dal
quale potrebbe aver appreso anche l’importanza per lo studio della trattatistica.
Senza dubbio i progetti più concreti dell’Alberti191, di Filerete e di Francesco di Giorgio
influenzarono, sia nella teoria sia nella pratica, lo sviluppo delle fortificazioni, delle tecniche
ossidionali e dell’artiglieria192. Ma non solo: dal XV secolo divenne fondamentale la
184
Taccola qui scrive che il prete tolosano visionò, oltre al rotolo, anche i disegni contenuti in questa carta.
185
Anno 1438 et di 9 di dicembre domino, domino petro de michelis de Senis in in designis bonbardam ad bussolam ad
ciconiam ad vitem tunc dixit volebat immediate conferre cum famulo francisci piccini.
186
MALAVOLTI 1559, III, pp. 50, 52; BANCHI 1979, pp. 44-58.
187
DA BISTICCI 1951, p. 206.
188
THORNDIKE 1966, p. 7 nota 5.
189
Glasgow, University Library, Hunteriano 275.
190
RICOTTI 1845, III, pp. 120-126.
191
Nella sua opera viene introdotto il concetto della regolarità delle linee delle strutture difensive, premessa
indispensabile per la nascita della trace italienne: PARKER 1999, p. 27
192
Siamo molto meglio informati per il XVI secolo quando, terminata la fase di sperimentazione, i progetti erano
finalizzati alla messa in pratica. Ancora all’inizio di questo secolo per l’arte militare propriamente detta la lettura dei
trattati sembra ancora non avere molto peso senza un’esperienza pratica, come dimostra l’aneddoto raccontato da
Matteo Bandello, che molti autori, anche contemporanei, hanno spesso usato per dimostrare il carattere poco pratico
Dell’arte della guerra di Machiavelli. Bandello racconta di una manovra che Machiavelli voleva far fare alla truppa in
piazza d'arme, davanti a Giovanni dalle Bande Nere; ne nacque tale confusione che intervenne il condottiero di casa
Medici. Costui con un paio di secchi ordini fece effettuare la manovra voluta da Machiavelli con incredibile facilità e, in
questo modo, i militi poterono andare al rancio: «Egli vi deveria sovvenir di quel giorno quando il nostro ingegnoso
messer Niccolò Machiavelli sotto Milano volle far quell'ordinanza di fanti di cui egli molto innanzi nel suo libro de
l'arte militare diffusamente aveva trattato [...] Messer Niccolò quel dì ci tenne al sole più di due ore a bada per ordinar
tre mila fanti secondo quell'ordine che aveva scritto [...] Ora veggendo voi che messer Niccolò non era per fornirla così
tosto, mi diceste: - Bandello, io vo' cavar tutti noi di fastidio e che andiamo a desinare. - E detto alora al Machiavelli che
si ritirasse e lasciasse far a voi, in un batter d'occhio con l'aita dei tamburini ordinaste quella gente in vari modi e forme
con ammirazione grandissima di chi vi si ritrovò» (BANDELLO 1813, pp. 64-66; ILARI 2011, p. 234.). Invece per quanto
riguarda l’ideazione di soluzioni tecniche, architettoniche e ingegneristiche, la situazione era mutata: la produzione di
armi, di qualunque tipologia, aveva raggiunto livelli di eccellenza, e il rapporto tra teoria e pratica militare era
strettissimo. Non era più necessario immaginare e tentare di costruire strumenti bellici straordinari. Basti osservare i
23
razionalizzazione e la fortificazione degli accampamenti militari193 e, sopratutto nella pianura
Padana, la guerra fluviale assumeva importanza maggiore rispetto ai secoli precedenti194: necessità
militari a cui i trattatisti quattrocenteschi come Taccola tentarono di proporre soluzioni innovative,
anche se spesso irrealizzabili. In particolare si osserva l’impegno dell’Archimede senese nei
progetti di canalizzazione delle acque, a cui dedica praticamente tutto il Liber tertius de ingeneis ac
edifitiis non usitatis. Secondo queste nuove esigenze belliche, dalla metà del Quattrocento,
moltissime fortificazioni furono ampliate, restaurate e ricostruite seguendo le nuove prospettive
architettoniche, sulla scia delle imminenti necessità militari. Nella sola Firenze, all’epoca del
Magnifico, si era creato quello che è stato definito un vero e proprio «gotha “dei maestri di pietra e
di legname”», tra cui spiccava Francesco di Giovanni detto il Francione, che fu a capo degli
intendenti che coadiuvarono lo stesso Federico di Montefeltro, quando tra il 1472 e il 1474, la rocca
di Volterra dovette essere ricostruita, dopo l’assedio condotto proprio da signore di Urbino195. Dalla
scuola della sua bottega uscirono altri celebri architetti come Giuliano e Benedetto da Maiano,
Giuliano e Antonio il Vecchio da Sangallo, Baccio e Piero Pontelli, che influenzarono sicuramente
personalità come Francesco d’Angelo detto La Cecca, Luca del Caprina, Domenico di Francesco,
meglio noto come il Capitano, e Bernardo Corbinelli196.
Sappiamo essere impegnati materialmente in queste attività tecnico-militari artisti e architetti197
come Domenico da Firenze, Filippo Brunelleschi, Francesco di Giorgio Martini, Leon Battista
disegni del senese Bartolomeo Neroni, detto il Riccio, in cui, tra le macchine belliche, hanno posizione rilevante
congegni per pestare la polvere nera, attività che all'inizio del XVI secolo era necessario perfezionare (Siena, Biblioteca
Comunale degli Intronati, Autografi e disegni, S.IV.6, cc. 32r, 33r). Non solo i trattati erano principalmente finalizzati
alla messa in pratica, ma sappiamo con certezza che i fonditori di cannoni erano anche in grado di manovrare sul campo
le artiglierie. Un artista ardimentoso e maestro assoluto nella fusione del bronzo come Benvenuto Cellini sapeva usare
alla perfezione le armi da fuoco. Egli stesso racconta che dagli spalti di Roma assediata dagli imperiali, prese
accuratamente la mira con un archibugio e colpì a morte il Connestabile di Borbone. Invece, quando trovò rifugio in
Castel Sant’angelo, corse sugli spalti per sostituire i bombardieri del Papa, che non volevano fare fuoco sulle proprie
case, e con un gruppo di compagni direzionò e azionò le artiglierie della fortezza, pare anche con eccellenti risultati:
CELLINI 1991, pp. 77-79 (per il rapporto di Benvenuto Cellini con le armi: PINTI 1996, pp. 9-18).
Ma siamo anche ben informati sul rapporto tra i condottieri, gli architetti e la produzione letteraria tecnica. A tale
proposito si vedano a titolo d’esempio le vicende del condottiero perugino Iano Bigazzini, fratello del dotto Girolamo, il
quale intrattenne rapporti con molti intellettuali dell’epoca, tra cui Giovanni Battista Caporali; quest’ultimo dedicò un
volgarizzamento a stampa dell’opera di Vitruvio proprio al Bigazzini, facendolo ritrarre in armi nel frontespizio (Siena,
Biblioteca Comunale degli Intronati, B.LXX.A.1): Architetti a Siena 2009, pp. 187-189.
Per una panoramica sull’argomento: PARKER 1999, pp. 25-35. Un interessante taglio metodologico, con un’importante
dissertazione sulla Pirotechnia di Vanoccio Biringuccio, teorico senese di primo piano molto attento alle implicazioni
pratiche, è offerta in VITALE BROVARONE 1995. Per il rapporto tra la trattatistica tecnico-militare, l’aristocrazia e le
rapide scalate sociali che le conoscenze tecniche permettevano nel Cinquecento: PEPPER 2003, pp. 117-147. Tra i
numerosi architetti che dovettero la loro fama e il loro prestigio anche grazie alle capacità in campo militare, come
Michele Sanmicheli (DAVIS, HEMSOLL 2004), si veda l’illuminante caso dell’ingegnere militare Gianmaria Ogliati, che
lavorò anche a Siena: LEYDI 1989. Specificatamente sulla situazione senese nel Cinquecento: PEPPER, ADAMS 1995.
193
MALLET 1983, pp. 172-173.
194
Per la guerra fluviale nella pianura Padana nel XV secolo si veda: MALLET 1983, pp. 177-180. Un’accurata analisi
sulla guerra fluviale nella stessa area nei secoli precedenti: ROMANONI 2008.
195
BENELLI 2008, p. 442.
196
LAMBERINI 2008, p. 222.
197
Già il 12 aprile 1334 le autorità fiorentine incaricavano Giotto per dirigere tutti i lavori di edilizia cittadina, non solo
la celebre costruzione del Duomo, ma anche l’ampliamento e la manutenzione delle mura e delle opere militari (pro
comuni Florentie eligere et deputare dictum magistrum Giottum in magistrum et gubernatorem laboreri et operis
Sanctae Reparatae, et constructionis et perfectionis murorum civitatis Florentiae, et fortificationis ipsius civitatis):
GAYE 1839, pp. 481-482. Nel corso del Trecento alcuni interventi alle mura fiorentine furono effettuati sotto la
direzione di Andrea Pisano e dell’Orcagna.
24
Alberti, Baccio Pontelli, Giuliano e Antonio Giamberti da Sangallo, detto il Vecchio, e Leonardo da
Vinci198.
Negli anni Settanta Francesco di Giorgio fu chiamato da Federico di Montefeltro per
sovrintendere alla ristrutturazione e alla riorganizzazione delle fortificazioni nelle sue terre, e in
questa circostanza imparò direttamente dal Duca alcune astuzie e stratagemmi bellici utili alla
costruzione pratica delle fortificazioni199, affinando così le sue attitudini militari. Mentre a Siena,
durante la signoria di Pandolfo Petrucci, Francesco di Giorgio fu nominato operaio della Camera
del Comune, assieme allo stesso Pandolfo e a Paolo Vannocci Biringucci, padre del più celebre
Vanoccio200, in un ruolo istituzionale che sfruttava le sue competenze teoriche e pratiche201.
Molti condottieri dovettero senz’altro avvalersi della consulenza di ingegneri per alcune opere
artificiali da impiegare nelle azioni campali: nel 1429 Filippo Brunelleschi tentò di sommergere
Lucca deviando le acque del Serchio e proprio Niccolò Piccinino, nel 1438, fece scavare in una sola
notte un fossato lungo oltre sette chilometri, tra Soave e l’Adige, per impedire l’avanzata a sud
dell’esercito comandato dallo Sforza. Roberto da Sanseverino, per attaccare Ferrara nel 1482, fece
costruire, in soli due giorni, una strada di oltre sette chilometri che si reggeva su un argine e su dei
ponti appositamente costruiti, attraversando gli acquitrini del Polesine compresi tra l’Adige e il
Po202. Nel 1495 Francesco di Giorgio fu tra i primi ingegneri, se non il primo, che riuscì a far saltare
una fortezza, quando minò mediante delle gallerie Castelnuovo a Napoli203, e non può passare
inosservato che nei disegni di Francesco di Giorgio, come in quelli del Taccola204, da cui potrebbe
aver preso spunto, vi sia un’abbondanza di progetti per gallerie di mina.
Sappiamo che molti di questi specialisti operavano anche nel mezzo dei combattimenti: due
lettere del duca di Urbino, scritte nel 1478 dai campi di battaglia della guerra contro Firenze205,
confermano che lo stesso Francesco di Giorgio si trovava al fianco del condottiero durante gli
scontri armati206, così come era presente, con un ruolo di comando, all’assedio di Castellina, in cui
fu fatto uso massiccio del fuoco delle bombarde207. Il 17 aprile 1488 Francesco di Angelo, detto La
Cecca, e il Francione furono nominati da Lorenzo il Magnifico «architetti e ingegneri sopra le
artiglierie e macchine atte all’espugnazione delle terre e sopra l’edificazione e riparazione delle
fortezze»; tuttavia La Cecca perse la vita il 26 dello stesso mese, colpito da un verrettone di balestra
all’assedio di Piancaldoli, mentre «attendeva con ingegni e cave a far rovinare le mura di quella
rocca»208.
198
MALLET 1983, pp. 168-176. Sull’impegno di Giuliano e Antonio da Sangallo nel costruire fortificazioni: TADDEI
2008, pp. 231-253. Su Leonardo architetto militare: PEDRETTI 2008.
199
MALLET 1983, p. 170; FIORE 2008, p. 212; BENELLI 2008, p. 442, 445.
200
CHIRONI 1993, pp. 376-395.
201
Si veda l’intervento R. FARINELLI, M. MERLO, La Camera del Comune: miniere, metallurgia, armi tenuto durante il
convegno L’età dei Petrucci: cultura e tecnologia a Siena nel Rinascimento, giornate di studio in memoria di Giuseppe
Chironi, svoltesi in Archivio di Stato a Siena il 19 e 20 ottobre 1012, di cui è prevista la pubblicazione degli atti.
202
I tre esempi sono riportati da Mallet, insieme ad altri significativi episodi: MALLET 1983, pp. 174-176.
203
MALLET 1983, pp. 171-172.
204
A titolo di esempio si vedano i progetti di galleria di mina alle carte cc. 47v, 49r del De Machinis conservato a
Monaco.
205
Sull’argomento: SIMONETTA 2003, pp. 261-282.
206
ADAMS 1995, p. 116.
207
BENELLI 2008, p. 447.
208
LAMBERINI 2008, p. 222.
25
In questo contesto è impossibile non guardare attentamente alla fortuna dei trattati tecnici. Si
pensi all’opera di Valturio, il trattato considerato dalla critica più fantasioso. L’opera è dedicata a
Sigismondo Malatesta, protettore di Valturio, condottiero di fama; anche lui, secondo la prassi,
aveva svolto l’apprendistato presso Francesco Sforza. Il trattato, scritto in elegante latino e ricco di
citazioni da fonti classiche, rilette in chiave contemporanea, ebbe particolare fortuna209. Si contano
non meno di ventuno copie; la sua precoce edizione a stampa fu la prima opera con illustrazioni e,
allo stesso tempo, il primo trattato a essere riprodotto con i caratteri mobili, per opera di tale
Iohannes ex Verona oriundus, Nicolai cyrurgie medici filius, artis impressorie magister a Verona
nel 1472210, e le ristampe furono numerose; fu presto tradotto in svariate lingue e nella sua copia si
cimentarono numerosi insigni copisti. Uno di questi fu il celebre umanista veronese Felice
Feliciano. Questi si dedicò spesso alla copia di trattati militari, tra cui il già citato codice Hunteriano
275 di Galsgow211, dedicato da Bartolomeo Cipolla al Colleoni, nel quale il giurista indicava
proprio quest’ultimo condottiero più adatto a prendere il comando supremo dell’esercito veneziano,
rispetto a Gentile da Leonessa212. Teresa De Robertis ha identificato la mano di Feliciano anche nel
Valturio della Biblioteca Riccardiana213. La studiosa segnalava come per questo manoscritto il
copista veronese avesse usato una manierata littera antiqua e non la solita scrittura che lo
contraddistingueva214. Questo tipo di lettera antiqua veniva usata dall’umanista, continua la De
Robertis, su commissione ed è la medesima scrittura che usò per copiare il De imperatore militum
deligendo di Glasgow. Ma «benché la coincidenza possa apparire suggestiva», esclude che possa
trattarsi di una scrittura che Feliciano adottava abitualmente per la trascrizione dei trattati militari.
Alla luce di quanto detto sopra, appare invece probabile che questa tipologia di testi potesse portare
i committenti a richiedere una scrittura di stampo umanista, semplice da leggere, che consentisse di
usufruire al meglio il testo, soprattutto da parte di lettori occasionali come condottieri e comandanti
militari. Anche le immagini di questo testo escono dallo stile solito di Feliciano: prospettive
improbabili con figure umane sproporzionate rispetto alle costruzioni architettoniche215. Un chiaro
scopo didascalico, elementare ma efficace, per illustrare le macchine di Valturio, opera nella quale
l’autore si cimenta nella complessa operazione di dare forma fisica alle nozioni scritte espresse nei
trattati di Vegezio e Frontino, disegni che presentano suggestive, quanto importanti, analogie con il
De rebus bellicis216.
Un ulteriore dimostrazione di quanto le macchine belliche, anche di fogge fantasiose, fossero
conosciute e tenute in una certa considerazione dai guerrieri d’esperienza è testimoniato da una
delle copie del trattato sul combattimento di Hans Talhoffer. Questi, combattente di grande
esperienza, fu maestro d’armi del cavaliere svevo Leutold von Königsegg e alla metà del XV secolo
era titolare di una scuola di scherma a Zurigo. Scrisse un interessante trattato sulle tecniche di
combattimento: a mani nude e con armi di diversa natura, sia a piedi sia a cavallo, la cui copia più
antica è datata 1443217. La copia conservata a Copenhagen218 possiede numerose carte con
illustrazioni a colori che mostrano al lettore non solo le varie tecniche di combattimento, ma anche i
209
Si vedano i saggi contenuti in Le macchine fantastiche 1988.
210
FATTORI 1990, pp. 269-181.
211
ALEXANDER 1977, pp. 19-20.
212
RUFFINO 1981, pp. 709-713.
213
Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. 174.
214
DE ROBERTIS 1998, pp. 86-89.
215
CASTIGLIONI 1988, pp. 25-30.
216
Le cose della guerra 2001, p. XVII.
217
Gotha, Forschungsbibliothek Schloss Friedenstein, ms. Chart. A 558.
218
Copenhagen, Det Kongelige Bibliotek, Ms. 290 2°.
26
rituali e preparativi prima di un duello e le armi: nelle prime carte sono rappresentati alcuni
espedienti militari, come i metodi per attraversare un fiume, ma la maggior parte di esse illustra
macchine belliche, molto simili a quelle di Taccola, di Valturio e dell’Anonimo delle Guerre
Hussite, quest’ultimo chiaramente debitore del Talhoffer219.
GLI SCHIOPPETTIERI A CAVALLO NELLA PRASSI MILITARE DEL XV SECOLO
Nonostante il costo di una bombardella potesse essere sostenuto da un singolo cavaliere, è
difficile dire se lo stratagemma dell'eques scoppiectarius sia mai stato applicato. L’organizzazione
degli eserciti di metà XV secolo permetteva una certa “razionalizzazione” degli schieramenti220:
l’organizzazione della cavalleria in “lance” e “lance spezzate” avrebbe certamente consentito di
destinare una piccola parte di cavalieri (prevedibilmente quelli delle prime linee) all’utilizzo di armi
da fuoco, così come pensato dal Taccola. Lionello Giorgio Boccia, in conclusione del suo saggio
sugli armamenti difensivi nei manoscritti di Taccola, si chiedeva quanto tali stratagemmi, tra cui lo
schioppettiere a cavallo, abbiano influenzato la cultura militare quattrocentesca221.
La sperimentazione di un corpo di cavalieri armati con armi da fuoco, narra Paolo Giovio, fu
messa in pratica per la prima volta da Camillo di Niccolò Vitelli di Città di Castello: Primus in
Italia sclopetariorum equitum turmam instituit, quod equitum genus postea intermissum est quum
nimia atque inabili sclopetorum longitudine praepedirentur 222. Nonostante l’inadeguatezza delle
armi da fuoco per il combattimento a cavallo, come segnalava Giovio, un corpo di schioppettieri a
cavallo fu effettivamente sperimentato dal Vitelli durante la guerra di Napoli nel 1496. Non
sappiamo quale tipologia di schioppo avessero adottato e se, o in quale misura, il corpo voluto dal
Vitelli fosse ispirato all’idea di Taccola223, ma la prova sul campo fu certo positiva: accerchiò,
vicino a Lucera, una compagnia di 700 fanti al comando di Hederling e l'affrontò con tiri di balestra
e di schioppo224. Il Ricotti, che non dimenticava di ribadire l’inadeguatezza delle armi da fuoco
dell'epoca per il combattimento a cavallo a causa della «molta lunghezza e il grave peso delle
armi», ricostruisce la piccola battaglia mettendo in evidenza che gli archibugieri del Vitelli, armati
alla leggera e in inferiorità numerica, tergiversarono anziché caricare, ma proprio questi momenti
d’indecisione furono decisivi: i tedeschi, vedendo i cavalleggeri immobili, avanzarono in ranghi
serrati e, solo a questo punto, il Vitelli ordinò ai propri uomini di circondare i tedeschi e bersagliarli
con gli archibugi. Nonostante le grosse perdite i fanti dell’Hederling resistettero e contrattaccarono
rompendo l’accerchiamento, ma l’azione fu interrotta per l’arrivo dei rinforzi francesi in aiuto degli
archibugieri montati225. Dopo tale esperienza, per la verità non particolarmente entusiasmante,
troviamo «cavalleria con gli schioppetti» nell’esercito veneziano già l’anno successivo, durante la
219
Tra i riferimenti più chiari al testo del Talhoffer vi è un palombaro, molto simile a quello del manoscritto
dell’Anonimo. Jeffrey Hull dimostra come il testo di Hans Talhoffer sia a sua volta debitore del testo di Conrad Kyeser:
Fight Earnestly 2006, pp. 384-389, 421-422.
220
MALLET 1983, pp. 113-149.
221
BOCCIA 1991, p. 54.
222
GIOVIO 1551, p. 165.
223
Possiamo solo rilevare che il Vitelli, essendo di Città di Castello, avrebbe potuto, almeno in via teorica, essere
venuto a conoscenza della carta di Taccola. Questa deduzione, che vuole essere una semplice impressione, non è dettata
da nessuna prova documentaria, ma dall'osservazione della vicinanza della città del Vitelli a Siena, entrambi luoghi di
precoce diffusione delle armi da fuoco (ricordiamo, come detto più sopra, che nel 1417 Siena chiedeva i servigi del
maestro di bombarde Francesco da Piperno proprio alla signoria di Città di Castello, dove il bombardiere lavorava), e da
tutti i tentativi, già accennati, con cui Taccola provava e diffondere i contenuti delle sue carte, che effettivamente, come
visto, passarono tra le mani di numerosi ingegneri, architetti, artisti e condottieri.
224
GIOVIO 1581, p. 85.
225
RICOTTI 1845, p. 311.
27
guerra contro Firenze226. Non doveva trattarsi di un corpo minuto, poiché furono assoldati per
essere contrapposti ai trecento balestrieri a cavallo, che i fiorentini avevano armato in previsione di
uno scontro con gli stradiotti della Serenissima.
Il Vitelli, qualche anno dopo, ricostituì il corpo sperimentato nella guerra di Napoli. Assieme ai
fratelli Paolo e Vitellozzo, nel 1502, sostenne militarmente la ribellione di Arezzo contro Firenze.
Questa volta non si trattava di una sperimentazione, ma di un vero e proprio squadrone formato da
veterani, che tuttavia attirava ancora la curiosità dei contemporanei. Così descrive Arcangelo
Visdomini il contingente del Vitelli ad Arezzo: «Tutti soldati vecchi, fra i quali aveva mille
archibugieri a cavallo, nuova foggia di milizia ritrovata e usata da Paolo e Vitellozzo Vitelli»227.
Anche per questi due corpi di cavalleggeri non sappiamo quale tipologia di arma da fuoco
avessero in dotazione228, ma possiamo ritenere, in mancanza di altre prove, che potessero anche
essere impiegati come fanteria montata. In effetti le bombardelle manesche presentavano eccessive
difficoltà durante le operazioni di sparo a cavallo229. Il solo rinculo di un’arma del genere era molto
potente, quindi la forcella, che in entrambi i disegni di Taccola sembra essere fissata all’arcione
anteriore con un anello (in modo che quando non serva possa essere ripiegata e non ingombrare le
manovre del cavaliere), un sistema che il Taccola aveva studiato con attenzione230, non sarebbe
stata in grado di attutire pienamente il contraccolpo del rinculo, che sarebbe gravato in modo non
trascurabile anche sul petto del cavaliere231.
Molti esemplari sono infatti dotati di un uncino, posto sotto la canna (le cosiddette “bombardelle
a uncino”) , che permetteva di assicurarle a un supporto, come un parapetto o un pavese, in modo da
attutire il rinculo. Altri esemplari invece possiedono al termine del calcio un anello, ma si tratta di
armi particolarmente lunghe, da utilizzare sugli spalti delle fortificazioni o a piedi, e l’anello,
sempre rivolto verso l’alto, si presume servisse per impugnarle e brandirle, diversamente da quello
disegnato da Taccola232. Esistono pochi esemplari che possiedono l’occhiello in posizione
perpendicolare rispetto al focone, una di esse è la celebre bombardella del Tøjhusmuesum di
Copenhagen, che tuttavia sembra essere troppo lunga per poter essere usata a cavallo, come invece
sosteneva Reid proprio confrontandola con la celebre copia parigina del testo di Taccola233. Esiste
però un esemplare notevolmente più corto, databile alla metà del XV secolo, conservato presso lo
Stadtmuseum di Colonia, il cui calcio termina con un occhiello che sembra essere stato torto fino a
quando questo non ha raggiunto la posizione perpendicolare rispetto al focone. Questo pezzo
assomiglia in modo inequivocabile ai due disegnati da Taccola. Una delle poche spiegazioni che si
226
BEMBO 1552, p. 45.
227
PIZZATI 1842, p. 214.
228
Siamo invece molto meglio informati sugli archibugieri a cavallo a partire dagli anni Trenta del XVI, avranno larga
diffusione presso tutti gli eserciti europei: RICOTTI 1845, p. 311 e nota 1; GAIBI 1968, pp. 23-24.
229
Sulle caratteristiche tecniche del sistema d’accensione a miccia: CALAMANDREI 2003, pp. 13-17.
230
A c. 65r del De Ingeneis Mariano progetta alcuni sistemi per sostenere le bombardelle manesche e uno di questi è
proprio una forcella fissata alla parte bassa della pancia dell’archibugiere attraverso una cintura, proprio come quella
dell’eques scoppiectarius.
231
Come abbiamo visto la potenza di un'arma da fuoco, e quindi il suo rinculo, erano proporzionali alla carica della
polvere, ma una miscela non troppo potente, senz'altro più adatta a far diminuire la violenza del rinculo, in questo caso
avrebbe gravemente inficiato, se non azzerato, sul campo l'efficienza dell'arma.
232
L'ipotesi di un loro utilizzo a cavallo è avanzata in: VAN DEN BRINK 1970, tav. LII A e B. Nelle tavole di questo
contributo viene riprodotto lo schippettiere a cavallo del De Ingeneis e della copia parigina.
233
REID 1979, p. 58. In queste pagine William Reid, come Van den Brink, Mario Scalini e molti altri studiosi, sostiene
che il disegno del manoscritto sia una testimonianza sull’effettivo utilizzo delle armi da fuoco manesche a cavallo già
nel Quattrocento. Anche Aroldi sostenne tale teoria, anche lui pubblicando la riproduzione dell'eques scoppiettarius
della copia parigina: AROLDI 1961, pp. 115-117.
28
possono dare in merito alle caratteristiche di quest’arma (ammesso che le modifiche non siano state
eseguite in epoca successiva, cosa che però non sembrerebbe probabile) è che si tratti di dettagli
realizzati per poter usare l’arma a cavallo.
La bombardella manesca del resto si prestava poco all’armamento del combattente montato. La
miccia sempre accesa avrebbe impegnato una delle mani del cavaliere, ostacolando la presa delle
redini o delle altre armi, differentemente da quanto avrebbe consentito un archibugio a serpe.
Il meccanismo d’accensione a serpe234, innovazione tecnica applicata alle armi da fuoco
manesche, probabilmente ideata già alla fine del Trecento ma documentata a partire dalla fine del
primo decennio del XV secolo, fu un’invenzione che segnerà le armi da fuoco per almeno trecento
anni, in alcuni casi anche oltre235. Quest’invenzione ha alla base alcune modifiche della struttura
originaria, molto semplice, degli archibugi236: il focone venne trapanato sul lato destro della canna,
anziché sul dorso (come invece gli esemplari disegnati da Taccola) e il teniere in legno, composto
da un semplice bastone (assente nei modelli raffigurati nei due disegni dell’archibugiere a cavallo)
scomparirà in favore di una cassa composta da un fusto, dov’è alloggiata la canna, e un calcio.
Il congegno di sparo è collocato lungo la mezzeria del teniere ed è molto semplice, un solo
elemento metallico forma il serpentino, così chiamato per la tipica forma a S, i cui due bracci
escono rispettivamente sopra e sotto il teniere. La leva da premere per lo sparo è mutuata alla
manetta della balestra. Stringendo la leva, la parte superiore del serpentino, a cui era fissata la
miccia sempre accesa, si poggiava sullo scodellino innescando la polvere. Una volta terminata la
pressione sulla manetta il serpentino riportava la miccia in posizione di riposo, senza ulteriori
operazioni237. Questo meccanismo è riprodotto in un disegno di Francesco di Giorgio Martini del
1468238 e in una carta del codice di Leonardo conservato a Madrid239.
Le attestazioni più antiche di questo nuovo meccanismo sono prevalentemente iconografiche: in
ordine cronologico l’attestazione più precoce si trova in due miniature del manoscritto di area
austriaca Vindobonensis 3069240, datato al 1411241. Nel 1431 in Borgogna è documentata una spesa
per coulevrines de cuivre enfustée en baston, dont les deux d’icelles sont en façon d’arbaleste, l’une
à clef et l’autre sans clef et pour six schambres242. Si aggiunga una miniatura tedesca del 1420
(pubblicata da Brown senza indicare ne luogo di conservazione ne collocazione del manoscritto)243
e una miniatura della cronaca di Jean Froissart conservata alla Biblioteca Civica di Bratislava del
1468244. Nell’Ingenieur, Kunst-und Wunderbuch245, compaiono molte armi da fuoco, non solo
manesche ma anche da posta, dotate di meccanismo a serpe. La diffusione di questo nuovo
234
Per una sintesi sull’evoluzione del meccanismo a serpe: CALAMANDREI 2003, pp. 19-40.
235
Armi di questo tipo verranno prodotte e impiegate da alcune truppe ancora nel corso del Settecento: DONDI 1981, pp.
19-31.
236
Che tuttavia non andava a modificare la struttura essenziale della canna che rimaneva composta dalle due camere
cilindriche.
237
DONDI 2009, pp. 52-56.
238
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, II.I.141, c. 48r. CLEPHAN 1906, p. 9, 40.
239
Madrid, Biblioteca Nacional de España, ms. 8937, c. 18v.
240
Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Vindobonensis 3069. Le miniature sono riprodotte in BLACKMORE
1965, p. 9.
241
MENHARDT 1961, p. 857; UNTERKIRCHER 1971, p. 49; Anleitung 2000, p. 25-27.
242
DONDI 2009, p. 55.
243
BROWN 1980, p. 24.
244
Pubblicata in BLACKMORE 1965, ma senza riportare segnatura e numero di carta.
245
Weimar, Die Herzogin Anna Amalia Bibliothek, Fol. 328.
29
congegno è testimoniata dai progetti di armi da fuoco disegnati da Martin Merz, l’armaiolo
dell’elettore di Baviera, realizzati intorno al 1475246. Invece alcuni esemplari, collocabili
cronologicamente verso la fine del XV secolo, sono conservati presso il Museo Nazionale di
Zurigo247.
Il dato da rilevare in questa sede è che uno degli archibugi a serpe rappresentato nel manoscritto
viennese 3069 è impugnato da un centauro nell’atto di mirare ed esplodere un colpo, mentre la
miniatura tedesca del 1420, pubblicata da Brown, rappresenta un cavaliere inseguirne un altro
brandendo quella che sembra un’arma da fuoco manesca, dalla cui canna fuoriesce una fiammata.
Wiliam Reid segnalava che nella Biblioteca Richelieu di Parigi esisteva un manoscritto del
Quattrocento in cui era illustrato un tiratore a cavallo armato di schioppo248. Questo nuovo
congegno in effetti sarebbe stato molto più adatto al combattimento a cavallo, ma oltre a queste due
miniature non abbiamo testimonianze di un loro impiego effettivo da parte di truppe montate nelle
guerre del Quattrocento.
La più antica attestazione certa, però, di un effettivo impiego di armi da fuoco manesche da parte
di cavalieri sui propri cavalli è del 1510. Luigi Da Porto nel novembre del 1509 ottenne dalla
Serenissima la condotta di cinquanta cavalli leggeri, armati di lance e balestre. Egli, in una delle sue
lettere, inviata nel maggio 1510 all’amico vicentino Ghelino dei Ghelini249, racconta che a Cividale
aveva commissionato per sé e per i propri uomini, «alcuni piccoli schioppi […] di tre spanne da
portare legati alle coperte de’ cavalli dinanzi agli arcioni, con i quali avvicinandosi alla squadra
nemica senza che si accorgesse di schioppo alcuno, si potea tirando a tempo e luongo farle gran
danno; perciocché non ischioppi, ma più presto mazze di ferro parea che dinnanzi s’avesser legate».
Uno stratagemma che pare aver dato i suoi frutti: la lettera infatti continua narrando all’amico di
Vicenza che la squadra avversaria, numericamente superiore, stando ferma in ranghi serrati «senza
punto muoversi, e que’ che scaramucciavano tenendo a mostrare il loro valore nell’aperta
campagna», poteva essere avvicinata dal Da Porto e dai suoi uomini e, con soli quindici archibugi
contro cavalieri «che in mano tenevano solamente a finzione le lance», i cavalleggeri e il loro
comandante riuscirono a «farvi le più spesse botte ch’io potessi tirare con questi schioppi»,
lasciando sul campo sessanta cavalli e diversi nemici. Il Da Porto continua la lettera all’amico
constatando quanto quell’azione fosse «de’ di più felici che finora io abbia avuto mai nella vita
mia».
La lettera non indica il meccanismo di sparo degli archibugi commissionati dal Da Porto, che
sembrano simili a quelli dei cavalleggeri veneziani ricordati dal Bembo, ma offre numerosi indizi.
Claude Blair aveva osservato, proprio commentando questa lettera250, che vi è esplicitato come
questi schioppi, una volta premuto il grilletto, sparassero immediatamente251, senza far passare i
pochi secondi necessari tra l’innesco della polvere e lo sparo del proiettile, difetto tipico delle armi
a miccia come le bombardelle. In secondo luogo evidenziava il fatto che queste armi fossero portate
davanti all’arcione, seminascoste legate alle coperte dei cavalli, ma pronte allo sparo. Ciò indica che
non funzionavano con una miccia, la quale necessariamente avrebbe richiesto di rimanere sempre
accesa, con la fiamma libera. Pertanto, concludeva Blair, che si poteva trattare soltanto di un
246
Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Codex Germ. 599.
247
GESSLER 1928, tav. 43.
248
REID 2010, pp. 84-85.
249
Lettere storiche 1857, pp. 193-194.
250
BLAIR 1996, pp. 13-44.
251
La lettera infatti dice: «tirando a tempo e luongo» e «senza vedere onde venissero, sortivano e lo schioppo la
percossa subitamente».
30
meccanismo a ruota252, e individuava nella lettera una delle sue attestazioni più antiche. Quindi
ipotizzava un’origine italiana di questo sistema d’accensione, considerando che la prima
testimonianza è di mano di Leonardo, e si tratta di alcuni disegni di congegni a ruota per
l’accensione del fuoco, tra cui due completi meccanismi per armi da fuoco253. Bisogna anche notare
come, dalla lettera inviata al Ghibellini, il Da Porto lasci intendere che l'idea di acquistare queste
armi e dotarne i propri cavalleggeri sia venuta autonomamente al Da Porto stesso.
Senza ulteriori indicazioni è difficile dire se l’idea di Taccola venne realmente messa in pratica
anche solo come esperimento, pur sapendo che l’inventore senese testò nella pratica più d’una delle
sue macchine. Impossibile affermare con sicurezza che l’arma da fuoco conservata a Colonia possa
testimoniare, se non proprio una sperimentazione dell’idea di Taccola, almeno l’utilizzo di armi da
fuoco manesche da parte dei cavalieri già alla metà del XV secolo, anche se l’ipotesi possa essere
presa seriamente in esame. Ma in questa sede valeva la pena soffermarsi sulle due carte di Mariano,
troppo spesso citate al di là del loro reale senso, e segnalare il valore innovativo di un'idea che, per
quanto difficilmente realizzabile, troverà efficace sviluppo solo dal XVI secolo, quando
l’evoluzione delle conoscenze tecniche permetterà la costruzione di armi da fuoco con nuovi sistemi
di accensione, e porre attenzione ai testi originali e il loro scopo effettivo.
252
Per una sintesi sull’evoluzione del meccanismo a ruota: CALAMANDREI 2003, pp. 41-66.
253
Milano, Biblioteca Ambrosiana, S 194 inf, c. 56v. Per la precisione la seconda attestazione è del 1505 circa, in alcuni
disegni del manoscritto Löffelholz (andato perduto durante la seconda guerra mondiale). La terza nel registro di conti
del cardinale Ippolito d’Este, in cui, nel 1507, veniva segnata la spesa per un’arma a ruota. Allo stesso anno della lettera
del Da Porto, il 1510, sono datate le pistole balestre, con meccanismo a ruota, conservate nell’Armeria del Consiglio dei
Dieci nel Palazzo Ducale di Venezia. BLAIR 1996, PP. 16-17.
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