Le Cento Città, n. 50
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Le Cento Città, n. 50
1 Sommario Le Cento Città * Direttore Editoriale Mario Canti Comitato Editoriale Fabio Brisighelli Romano Folicaldi Natale G. Frega Giuseppe Oresti Giancarlo Polidori Direzione, redazione, amministrazione Associazione Le Cento Città [email protected] Direttore Responsabile Edoardo Danieli Prezzo a copia Euro 10,00 Abb. a tre numeri annui Euro 25,00 Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale 70% CN AN Reg. del Tribunale di Ancona n. 20 del 10/7/1995 Stampa Errebi Grafiche Ripesi Falconara M.ma Periodico quadrimestrale de Le Cento Città, Associazione per le Marche Sede, Piazza del Senato 9, 60121 Ancona. Tel. 071/2070443, fax 071/205955 [email protected] www.lecentocitta.it 3Editoriale Non solo turismo, per favore di Mario Canti 6Il Saggio Il Parco archeologico di Forum Sempronii. Scavi e ricerche 1974-2012 di Mario Luni 11 La letteratura Spazialità e soggettività nella scrittura di Dolores Prato di Alfredo Luzi 17 Economia politica Francesco Coletti economista e sociologo di Alberto Pellegrino 25 Le mostre Franco Cacciaguerra (Milano 1926-Roma 1973) Palazzo Gradari, mostra antologica di Grazia Calegari 26 Da Rubens a Maratta Le meraviglie del Barocco nelle Marche di Costanza Costanzi 29 L’Arte Luigi Serra per la Galleria Nazionale delle Marche di Grazia Calegari * Hanno collaborato a questo numero: Grazia Calegari, Mario Canti, Costanza Costanzi, Mario Luni, Alfredo Luzi, Alberto Pellegrino, Giovanni Danieli In copertina 34 Libri ed Eventi di Alberto Pellegrino 42 Vita dell’Associazione di Giovanni Danieli Numero 50 de Le Cento Città Le Cento Città, n. 50 TVS è fermamente convinta dell’importanza di saper riconoscere la bellezza in tutte le sue forme. Per questo, da sempre è impegnata nella produzione di articoli per la cottura che si distinguono per design e funzionalità. Ma l’amore per il bello di TVS si esprime anche nella collezione di opere d’arte, che conta opere di pregio realizzate dai più importanti autori del periodo dal XIV secolo al XIX secolo. L’opera qui presentata ne è solo un esempio. Floriano Bodini, Cavallo e Nudo di donna (Gemonio di Varese 1933 - Milano 2005) www.tvs-spa.it | TVS Spa_Via Galileo Galilei, 2_ Fermignano (PU) Italy AD Amore per il bello, passione per l’utile. Editoriale 3 Non solo turismo, per favore di Mario Canti Sui rapporti che intercorrono, o meglio dovrebbero intercorrere, tra tipologie di beni culturali,caratteri dell’insediamento e valorizzazione turistica le Cento Città organizzarono già nel giugno 2007, in collaborazione con l’ANCE, un incontro pubblico a San Benedetto sul tema: “il sistema turistico in Italia e nelle Marche” nel corso del quale fu presentata la ricerca svolta dallo Studio Ambrosetti dal titolo: Sistema turismo Italia – proposte per essere vincenti. Nell’occasione la relazione presentata dalle Cento Città mise in evidenza le difficoltà che la valorizzazione turistica del patrimonio culturale incontra laddove questo si presenta diffuso sul territorio, al di fuori di singoli aggregati urbani o di aree di consolidata notorietà come è il caso delle Marche; occorre prendere atto che in passato il “grande tour” ha costituito per una considerevole parte dei beni culturali del Paese una eccezionale ed irripetibile operazione di marketing dalla quale sono risultato praticamente esclusi i territori di alcune regioni, ivi comprese le Marche. Si fece notare altresì, in quella stessa sede, che lo sviluppo delle tecnologie informatiche di raccolta e distribuzione dei dati riguardanti il patrimonio storicoartistico potevano consentire di proporre per la prima volta una conoscenza varia ed approfondita della cosiddetta “Italia Minore”, quella delle piccole città, dei borghi, del paesaggio rurale, che è poi anch’esso una testimonianza culturale. L’esperienze condotte nelle Marche ed in altre regioni italiane hanno comunque posto in evidenza la necessità di poter disporre di informazioni, in primo luogo relative al patrimonio culturale, digitalizzate o digitabili, che siano accessibili da chiunque voglia prenderne conoscenza, e magari utilizzarle per fare o promuovere attività turistiche. Allo stato questa disponibilità appare difficilmente realizzabile, per la molteplicità dei soggetti proprietari (Stato, Enti Locali, Diocesi, Fondazioni e privati vari), per l’incoerenza dei sistemi catalografici adottati, ma anche e soprattutto a causa del debole coordinamento tra organi dello Stato e altri soggetti e dello scarso interesse che, all’attualità, tutti questi soggetti, pubblici e privati,dimostrano per la conoscenza e l’ordinamento dei dati relativi ai diversi patrimoni, non solo culturali, di cui si potrebbe disporre. Da un esame della situazione e’ emersa una significativa riduzione da parte del Ministero per i Beni Culturali delle attività di indirizzo e coordinamento dei cataloghi del patrimonio, che pure gli erano state affidate al momento della sua istituzione, mentre nelle Marche è stato rilevato l’abbandono da parte della Regione delle attività dirette od indirette di catalogazione e di mappatura dei Beni Culturali a cui in passato si era interessata in modo particolare, si veda ad esempio lo stato delle perimetrazioni delle aree archeologiche, finalizzate alla tutela e, talora, alla valorizzazione delle stesse. A fronte di queste carenze e di questa disorganicità dei dati conoscitivi si assiste alla proliferazione di portali, quasi sempre incompleti, portalini e porticelle realizzati dagli Enti Locali marchigiani con l’intento di promuovere lo sviluppo del turismo sui loro territori; intenzione lodevole ma probabilmente poco produttiva considerato le esigenze reali del turismo, soprattutto di quello marchigiano che, in larga misura, ha un carattere itinerante proprio per la dispersione dei beni sul territorio. A nostro avviso la Marche nel loro insieme possiedono una grande capacità attrattiva potenziale che si riduce quando si conLe Cento Città, n. 50 siderano i singoli centri o ambiti territoriali che, seppure bellissimi e ricchi di testimonianze artistiche, non possono reggere il confronto con i centri e le aree consolidate sotto il profilo turistico. Le Marche dovrebbero essere offerte nel loro insieme, per la potenzialità incredibile di soddisfare richieste diverse, storicoartistiche, ambientali e paesaggistiche, enogastronomiche; ma sarebbe necessario consentire a queste diverse esigenze di individuare i punti o gli insiemi che meglio possono soddisfarle; per ottenere questo risultato occorre fornire la intera offerta al visitatore reale o potenziale, quale quello che a casa sua progetta una visita su google earth magari alcuni mesi prima di venire effettivamente. Nella nuova mappatura delle risorse turistiche ogni punto deve essere indicato con le sue caratteristiche specifiche, in primo luogo quelle relative alla localizzazione, così che la visita sia programmabile con certezza ed in anticipo, ma anche modificabile al momento, sulla spinta di sollecitazioni dianzi inattese e suscitate dal viaggio stesso; i punti di interesse turistico debbono essere i più diversi e variati possibile, la gamma dei beni culturali deve essere la più completa possibile, comprendere cioè anche beni musicali, bibliotecari, paesaggistici e, naturalistici, e, ovviamente, essere corredata dagli eventi culturali previsti, essa deve, in tutti i casi,essere accompagnata da ogni altra informazione utile sui servizi e le attrezzature disponibili nel territorio. Per facilitare l’utente la rete dei punti di interesse turistico che cosi si viene a realizzare potrà’ essere suggerita anche secondo itinerari o aree di prevalente interesse in relazione a specifiche categorie di utenti i, ai loro interessi, alle loro disponibilità economiche e temporali, alla presenza di eventi particolari, quali Mario Canti 4 Il carnevale a Offida. ad esempio mostre e concerti occasionali. All’interno di questa rete di punti di interesse turistico dovranno rivestire un ruolo centrale i beni culturali, poiché non v’è dubbio che essi costituiscano la maggiore attrazione, insieme alla bellezza del paesaggio ed alla affabilità della popolazione; queste caratteristiche hanno indotto non pochi visitatori occasonali ad acquisire successivamente delle abitazioni, così da divenire cittadini delle Marche, a carattere temporaneo o permanente a seconda dei casi. A favore della digitalizzazione dei dati interessanti i beni culturali ed il turismo si vanno impegnando, come sopra detto, un numero sempre maggiore dei nostri enti locali, purtroppo la frammentazione e l’episodicità delle iniziative riduce, e talora cancella, le possibilità sviluppare le ricerche relative sia alle fonti (i beni) che agli strumenti (i sistemi informativi). La diffusione in Italia e all’estero della conoscenza sempre più approfondita del patrimonio culturale e la sempre maggiore facilità di accesso ai dati relativi allo stesso potrebbero costituire per tutto il Paese, ed anche per le Marche,un vero e proprio brand, con ricadute significative anche sul piano economico. Quanto fin qui si è cercato di porre in evidenza ha riguardato il ruolo che il turismo può rivestire nell’economia del Paese, ed in particolare le condizioni da soddisfare per avere lo sviluppo di una economia turistica rispondente alle caratteristiche culturali ed insediative delle Marche. Una sempre maggiore diffusa ed approfondita conoscenza del patrimonio culturale nel suo complesso, quindi non solo dei beni artistici, appare, a nostro avviso, indispensabile per un altro obiettivo di cui dovrebbe farsi carico la comunità marchigiana; quello di creare una reale identità comunitaria, quale quella che può derivare dalla consapevolezza delle proprie origini e delle relative caratteristiche;una identità culturale che non sempre viene percepita . La mancanza della percezioLe Cento Città, n. 50 ne di una identità comunitaria culturalmente definita fa sì che una parte significativa dei marchigiani, compresa la maggioranza degli amministratori si disinteressi della conservazione del patrimonio culturale, che l’attività degli organi addetti alla tutela dello stesso sia di norma intesa come una insopportabile sopraffazione dei diritti individuali, che il paesaggio, che pure è parte ed espressione del patrimonio storico, venga degradato da ogni possibile intervento di trasformazione. Così facendo si viene a ridurre sempre di più la capacità di creare bellezza, che pure è stata sempre una caratteristica degli italiani anche nei secoli più bui della nostra storia; capacità che non è certo derivata da improbabili caratteri etnici, ma solo ed esclusivamente dalla partecipazione consapevole dell’intera comunità nazionale, nelle sue varie articolazioni, ad un processo ultra millenario nel corso del quale la memoria storica, anche materiale, e la tradizione del fare bene si sono continuamente confrontati Editoriale 5 La Chiesa di San Venanzio a Camerino sotto la neve. e vicendevolmente influenzati. Il contadino che nei secoli passati guardava i risultati del suo lavoro, ordinato, intelligente, produttivo, ne apprezzava anche gli aspetti formali, sapeva che fare bene equivaleva a fare bello, cioè creare una forma che assolveva a precise esigenze sociali nel rispetto della natura e della storia del territorio. Coerentemente con questa ipotesi venne realizzata nel luglio del 2008 la “guida satellitare”1 di una piccola Comunità Montana nella quale furono immessi tutti i dati informatizzati, già disponibili o elaborati da noi, relativi al patrimonio culturale e ad ogni altra risorsa turistica: accoglienza, enogastronomia, comprese ditte ed esercizi che producono tipicità della zona, musei, farmacie, ambulatori, riparazioni auto, eventi, manifestazioni ricorrenti, ecc. In relazione alle tecnologie disponibili al momento la guida venne installata su di un navigatore, fornito dalla De Agostini, con l’opzione della lingua inglese per facilitarne l’uso da parte di turisti stranieri; purtroppo la crisi di carattere politico che investì poco tempo dopo la consegna l’amministrazione della Comunità in questione rese di fatto impossibile la diffusione di quello strumento. Negli anni successivi la proposta di realizzare guide satellitari per il turismo, con partico- Le Cento Città, n. 50 lare riferimento al patrimonio culturale, venne avanzate dalla stessa associazione di imprese ad altre amministrazioni marchigiane potenzialmente interessate senza trovare l’interesse che ci si aspettava di suscitare2, anche in considerazione del fatto che in quegli stessi anni le tecnologie informatiche si sono evolute con una rapidità incredibile; ad esempio quella guida che nella fase iniziale necessariamente dovemmo appoggiare ad un navigatore è oggi disponibile su cellulare, con accesso diretto al sistema da parte dell’utente, e per di più con un notevole contenimento dei costi di produzione e di gestione Il saggio 6 Il Parco archeologico di Forum Sempronii Scavi e ricerche 1974-2012 di Mario Luni Dopo alcuni decenni di atti- dievale, con in apertura la prevità archeologica a Forum Sem- sentazione di rinvenimenti e di pronii da parte dell’Istituto di testimonianze picene e “celtiArcheologia dell’Università di che” nella vallata del Metauro. In relazione all’età repubbliUrbino e a seguito dell’attivazione del Parco Archeologico cana, in un contributo è stato Regionale, nel 1994, si è deci- presentato un tesoretto di so di fare il punto sullo stato monete d’argento da Forum della ricerca e di programma- Sempronii. Problematiche connesse re future indagini nella città romana e nel territorio medio- a ritrovamenti avvenuti nella adriatico attraversato dalla regione medioadriatica lungo la Flaminia. Il presente volume via Flaminia sono state discusse è dovuto anche alla collabo- da alcuni studiosi sia in relaziorazione della Soprintendenza ne alle zone interne, sia all’area per i Beni Archeologici delle costiera adriatica. Documentazione archeologiMarche e registra la partecipazione di studiosi impegnati in ca inedita, rinvenuta nel corso indagini storico-archeologiche, di lavori o in scavi programnonché su monumenti e mate- mati nel Parco Archeologico riali rinvenuti nella città, nei di Forum Sempronii, è stata centri ubicati nell’area percorsa inoltre presentata da una serie dalla via consolare e nel Museo di ricercatori; numerose nuove Archeologico di Fossombrone, iscrizioni ed anche bolli su riaperto nel 1997 con un nuovo anfore sono stati oggetto di allestimento. arco Archeologico di Forum Sempronii: scavidiscussione. e ricerche 1974-2012 13 Un capitolo particolarmente Nel volume inoltre sono state discusse varie tematiche su un interessante, infine, è costituito ampio orizzonte cronologico, dalle attestazioni sempre più dall’età preistorica-protostorica ampie che caratterizzano la città all’epoca tardoantica e altome- e il territorio di Forum Sempronii in età tardoantica e altomedievale. Una apposita ricerca è stata attivata nel corso dell’ultimo decennio di campagne di scavi programmati nella città per fare luce sulla fase della decadenza e dell’abbandono; la documentazione rinvenuta e lo studio della col lezione numismatica del Museo Archeologico Vernarecci permettono ora di caratterizzare in modo sempre più ampio il periodo Fig. 1 - Il Decumanus minor di Forum Sempronii, che va dalla fine del IV al VI secolo d. C. us minor di Forum parallelo e a Sud della via Flaminia, anch’esso parallelo e a Sempronii, Sud della via Flaminia, anch’esso in pietra del Furlo e di uguale larghezza tra i larghezza due incrociIl(foto L. Polidori). numero e la consilastricato in pietra del Furlo e di uguale tra i due incroci (foto L. Polidori). stenza dei saggi preLe Cento Città, n. 49 efinitivo alla zona archeologica 2. Sono seguite ricerche la collaborazione anche degli allievi della Scuola di Spe- disposti per la stampa ha fatto decidere per la pubblicazione di due distinti volumi: uno più specifico su Forum Sempronii ed il secondo sulla città in relazione alla via Flaminia. Sono grato agli Autori per avere presentato contributi in genere innovativi, frutto di serie ricerche. Un attestato di riconoscenza va ai vari Soprintendenti ed Ispettori di zona che si sono succeduti dal 1974, in particolare a Paolo Quiri, per l’attenzione che hanno mostrato con continuità nel contesto dell’indagine archeologica nel territorio attraversato dalla Flaminia e per il costruttivo rapporto di collaborazione instaurato con l’Università di Urbino. Un ringraziamento particolare occorre rivolgere all’Ispettore Onorario di Fossombrone Giancarlo Gori, per l’assidua disponibilità fin dall’inizio della recente riscoperta storicoarcheologica di Forum Sempronii, unitamente ai numerosi collaboratori italiani e stranieri di Università convenzionate che hanno preso parte annualmente alle campagne di scavo organizzate dall’Ateneo di Urbino. Un grazie affettuoso rivolgo ai molti allievi dell’Istituto di Archeologia, con i quali negli ultimi decenni abbiamo indagato a fondo l’area urbana ed il territorio su varie tematiche antichistiche. Si può aggiungere che tutti i contributi pubblicati nel presente volume rappresentano un nuovo tassello nel mosaico costituito dal percorso della via Flaminia sul versante adriatico, sia in senso diacronico, dalla preistoria-protostoria del territorio attraversato all’età tardoantica, sia in senso spaziale, dall’attigua area dell’Umbria all’ager Gallicus, fino a Forum Sempronii e infine ad Ariminum1. L’attività di scavo dell’Uni- 14 Il saggio Mario Luni 7 ’90 delle Terme pubbliche, dell’attigua probabile Palestra, con otto 16 Mario Lunibasi per statue di bronzo poste allineate lungo la prospiciente grande via lastricata (Figg. 1-2). Una intera insula rettangolare di due actus per tre (circa m 70 per 105) è stata evidenziata ed anche alcune domus di pregio, con pavimento a mosaico, intonaci dipinti, con materiali di arredo di marmo e di bronzo. La legge regionale numero 16 del 1994 ha quindi riconosciuto dignità di Parco Archeologico alla realtà monumentale messa in luce presso l’area forense dopo venti Fig. 2 - Veduta di un tratto di via lastricata (decumanus minor), tra due incroci, anni di attività a Forum Semlungo 105 metri; sono qui presenti otto basi di statue di bronzo (a sinistra). Altri Fig. allineamenti 2. Veduta di un via lastricata (decumanus minor), tra due lungodi 105 metri; pronii, riconoscendo la straorditratto stradedisono riconoscibili sul prato attiguo ed incroci, anche serie muri sono qui presenti basi di statue di bronzo (a sinistra). Altri allineamenti di strade sono dinaria valenza della scoperta e di edifici (linee piùotto chiare). riconoscibili sul prato attiguo ed anche serie di muri di edifici (linee più chiare). dei risultati degli scavi. Ha fatto versità di Urbino a Forum Sem- allievi della Scuola di Specializ- seguito la ristrutturazione del pronii ha preso avvio nel 1974 zazione in Discipline Archeolo- Museo Archeologico, riaperto con un intervento di emergen- giche e col sostegno del Rettore con un nuovo allestimento nel dipinti, con materiali di arredo e difino bronzo. La legge Carlo Bo, a giungere neglire- 19973. za, concordato dallo scriventedi marmo La costruzione della linea anniriconosciuto ’80 alla messa in luce di con numero la Soprintendente ai Beni gionale 16 del 1994 ha quindi dignità di Parco ampio termale, Archeologici delle monumentale Marche unmessa Archeologico alla realtà in edificio luce presso l’areaalfo- ferroviaria Fano-Urbino a fine restauro delle strutture e alla la ‘800 aveva determinato il rinveDott.ssa Lilianaanni Mercando, pera Forum rense dopo venti di attività Sempronii, riconoscendo “musealizzazione” del monuimpedire l’occupazione dell’astraordinaria valenza della scoperta e dei risultati degli scavi. Ha fat- nimento di murature e mosaici, due dei quali sono stati stacrea della città romana con un mento con apposita copertura. to seguito la ristrutturazione Fig. del Museo Archeologico, con 3. Perseo (a sinistra) eriaperto in parte Andromeda, riconoscibili frammentati in cati nel 1926 per essere espoIn seguito la ricerca è stata insediamento artigianale e per 3 un nuovo allestimento nel 1997 Mario Luni. indirizzata (in restauro) recuperato sul pavimento mosaico di un ambiente sti nel aMuseo Archeologico di dell nella zona centrale poter porre il vincolo definitivo La costruzione della 2linea ferroviaria Fano-Urbino finecon‘800 Ancona; uno policromo, con il di Forum Sempronii,a in . Sono alla zona archeologica aveva determinato il rinvenimento di murature e mosaici, due seguite ricerche annuali, con nessione con la via Flaminia,dei “Ratto di Europa”, e l’altro con quali stati staccati nel degli 1926 per esposti nel negli Museo conessere il rinvenimento anniAr- disegno geometrico. Nell’ultila sono collaborazione anche cheologico di Ancona; uno policromo, con il “Ratto di Europa”, e 3 Il Museo è stato riorganizzato totalmente con un nuovo percorso di visita ed appropriato allestimento, con i materiali appositamente illuminati in vetrinette e spazi espositivi attrezzati per una moderna fruizione; la collaborazione dell’Architetto L. Barbagli e del Prof. G. Gori si è rivelata essenziale, anche nella realizzazione di un accurato apparato didattico. Lo studio dei materiali è giunto a definizione, anche con l’ausilio dei Dott. Oscar Mei e Marcello Montanari, e il relativo catalogo è in corso di redazione. Fig. 3 -parte PerseoAndromeda, (a sinistra) e inriconoscibili parte Andromeda, riconoFig. 4 - Figura in corso di recupero nella “Casa sinistra) e in frammentati in un tratto femminile di affresco scibili frammentati in un tratto di affresco (in ambiente restauro) della di Europa”, stesso ambiente col precedente affresco, ro) recuperato sul pavimento a mosaico di un “Casanello di Europa”. recuperato sul pavimento a mosaico di un ambiente della “Casa di Europa”. in un contesto di parete ornata con ghirlande dorate su fondo rosso. Le Cento Città, n. 50 Fig. 4. Figura femminile in corso di recupero nella “Casa di Europa”, nello precedente affresco, in un contesto di parete ornata con ghirlande do 18 Mario Luni Mario Luni 8 Fig.del 5. Parco Pianta Archeologico del Parco Archeologico Forum Sempronii, conulteriore una ulteriore quattrolati latida tutelare, per la Fig. 5 - Pianta di Forumdi Sempronii, con una areaarea suisui quattro da resti tutelare, per la(Gessaroli probabile epresenza di resti antichi (Gessaroli e Luni, 2004). probabile presenza di antichi Luni, 2004). mo decennio è stato concor- figurati anche animali esotici di Urbino ed è conservata nel dato con il Soprintendente entro riquadri e motivi vege- Museo Archeologico di FosArcheologo Dott. Giuliano de tali. Questa opera di recupe- sombrone. Una Mostra è stata La ricerca a Forum Sempronii ha consentito di individuare eleMarinis un progetto di ulte- ro dell’apparato decorativo di allestita in occasione del ritormenti a riconoscere aspetti della vita della città, esem- col “Ratto di riore tutela e di utili valorizzazione no delad mosaico domus, sebbene in genere in come l’esistenza diche una frammenti, rete idrica con di piombo, servita nella da un del Parcopio Archeologico, sede originaria a si è tubi verificata in Europa” prevedevacastellum anche di ricontestuaparallelo con presso il ritrovamento di Forum aquae ubicato a monte, una sorgente; vari Sempronii, tratti di che presenta lizzare i due mosaicidi menzioanche documentazione relativa elementi sono dell’arredo in mate- negli tubazioni diverso diametro stati rinvenuti scavi ed annati con lache Domus di appartedecorazione e all’arredo di riale pregio. Unitamente a allastradali. due basi di fontane, in di connessione con due incroci nenza. La “Casa di Europa” è frammenti di marmi colorati domus. La scoperta di tombe e strutture antiche anche al di fuori delle stata pertanto oggetto di ampio riferiti a pavimenti in opus secUn particolare incremento mura urbiche ha inoltre determinato nel 2004 la proposta di estendescavo, col ritrovamento di tile, ha avuto nell’ultimo ventennio sono state recuperate parti nuovi ambienti con pavimenti a di candelabri, di trapezofori e la caratterizzazione del Parco mosaico, anche policromi e con di un labrum. Di bronzo sono Archeologico con un programdisegno geometrico; l’attuale stati inoltre segnalati candela- ma di interventi finalizzati ad restauro e la prevista copertura, bri, lucerne, appliques ed ele- unire le varie aree di scavo per i vecchi e per i nuovi mosai- menti decorativi di vario gene- messe in luce ad iniziare dal ci, permetteranno di musealiz- re. Da ultimo è stato scoperto 1974: le Terme, la “Casa di zare la signorile domus, con un un grosso tratto di affresco con Europa” nella strada dei Seviri intervento mirato di consistente la raffigurazione di Perseo e e quella “degli Animali Esotici” impegno e unico non solo nella Andromeda ed un secondo con nella via del Forno sono state regione. un personaggio femminile in un collegate tra loro mettendo allo Tratti di pareti affrescate ambiente della “Casa di Euro- scoperto il lastricato stradale sono stati inoltre rinvenuti in pa”4 (Figg. 3-4). di una serie di vie, che non Questa documentazione è necessitavano pertanto di ampi stato di crollo e poi restaurati con paziente lavoro del tecnico stata rinvenuta grazie all’ope- restauri e che potevano essere ra di ricercatori e studenti del utilizzate con continuità a cielo Arduino Spegne. Esse risultano dipinte con Corso di Laurea in Archeologia aperto nel percorso di visita agli colori lucenti e presentano raf- e in Restauro dell’Università edifici messi in luce e restaurati. Le Cento Città, n. 50 Fig. 6. Struttura di edificio semicircolare in una foto aerea in bianco e nero degli anni ’80, inedita, in cui si è riconosciuto in passato un teatro o anfiteatro (M. Luni, O. Mei). Il saggio 9 Mario Luni Fig. 6 - Struttura edificio semicirFig. 7 - anni Foto’80, aerea recente in cui è riconoscibile la pianta ellittica dell’Anfiteatro di edificio semicircolare in unadifoto aerea in bianco e nero degli inedi7.O.Foto aerea cui ècon riconoscibile pianta ellittica dell’Anfiteatro nell’angolo si è riconosciuto in passato un teatro Luni, Mei). colare in una foto aerea oinanfiteatro bianco (M. e Fig. nell’angolo S-Erecente della in città, l’ingressola sull’asse maggiore (al centro) e due S-E della città, con l’ingresso sull’asse maggiore (al centro) e due minori su ciascun lato. nero degli anni ’80, inedita, in cui si è riconosciuto in passato un teatro o anfiteatro (M. Luni, O. Mei). minori su ciascun lato. Nel contempo l’attenzione l’accresciuta conoscenza delle dell’Università di Urbino rivol- radici storiche dei luoghi e con ta alla via Flaminia in varie cir- la musealizzazione dei resti costanze ha permesso di scopri- e dei materiali qui rinvenuti. re nuove strutture romane non Motivo di incoraggiamento si è lontane da Forum Sempronii, rivelata la collaborazione direttali da poter essere comprese in ta di vari cittadini e anche di un unico circuito di particolare amministratori di Enti territovalenza archeologica lungo la riali, che hanno fornito talvolta strada consolare; mi riferisco un personale aiuto in un clima allo scavo e musealizzazione del appassionato di volontariato7. La ricerca a Forum Semprosepolcreto di Calmazzo (1989), della villa rustica di Colombara nii ha consentito di individuadi Acqualagna (negli anni ’90) e re elementi utili a riconoscere poi della taberna di Tavernelle aspetti della vita della città, di Serrungarina, di vari resti come ad esempio l’esistenza di sostruzioni, di chiavicotti e di una rete idrica con tubi di ea recentedi in cui è riconoscibile pianta ellittica dell’Anfiteatro nell’angolo piombo, servitaS-Eda un castellum ponti lungo illatratto interno à, con l’ingresso sull’asse maggiore (al centro) e due su ciascun lato. aquae ubicato a monte, presdel fondamentale asse viario5. minori La carta archeologica di questo so una sorgente; vari tratti di territorio e lo studio dei mate- tubazioni di diverso diametro riali rinvenuti hanno consenti- sono stati rinvenuti negli scavi to inoltre di organizzare alcuni ed anche due basi di fontane, piccoli musei, come quelli di in connessione con due incroci Acqualagna, Cagli e Cantiano, stradali. La scoperta di tombe e strutoltre alla vetrina didattica di ture antiche anche al di fuori Tavernelle6. In definitiva questa attività delle mura urbiche ha inoltre annuale con finalità didattiche e determinato nel 2004 la propodi ricerca nel Forum strutturato sta di estendere l’area di tutela da Gaio Sempronio Gracco ha ad una fascia anulare attigua contribuito a meglio compren- all’abitato romano. I controldere il contesto storico-arche- li eseguiti in seguito in queologico del territorio in cui è sta zona in occasione di lavori stata realizzata e poi potenziata hanno pertanto permesso di la Flaminia attraverso i secoli. individuare vari ulteriori resti Il consenso sull’attività scien- archeologici (Fig. 5): da ultimo tifica e anche da parte delle un ponticello ad Est, lungo la Comunità locali è aumentato via consolare. gradualmente, in parallelo con Infine, un ulteriore contriLe Cento Città, n. 50 buto è pervenuto dall’utilizzo delle più moderne tecnologie nelle ricerche topograficoarcheologiche realizzate a Forum Semproni e lungo la Flaminia, ad iniziare dalle immagini satellitari, appositamente ingrandite, fino a prospezioni elettromagnetiche in aree significative. Determinanti si sono rivelate le ricognizioni su zone archeologiche con l’elicottero, programmate in varie stagioni dell’anno per riconoscere dal diverso colore della vegetazione gli elementi utili in relazione all’impianto urbanistico della città, ad insediamenti sparsi e a linee superstiti della viabilità antica. Alcune parti erano state scoperte in precedenza, come ad esempio la significativa area del Foro subito a Nord della Flaminia, con due templi appaiati e con portici che delimitano un vasto piazzale8; ma un intervento sistematico recente ha portato un contributo fondamentale per completare la lettura della cinta muraria verso Est, di interi isolati e dello stesso grande anfiteatro, riconosciuto da ultimo sul margine sud-orientale della città9, grazie alla disponibilità di Luigi Chiavarelli (Figg. 6-8). Le tappe fondamentali della quarantennale riscoperta di Forum Sempronii sono scandite dalla relativa bibliografia Mario Luni Il Parco Archeologico di Forum Sempronii: scavi e ricerche 1974-2012 1021 scientifica, che registra attraverso gli anni le nuove scoperte e le conoscenze acquisite dall’approfondimento della ricerca da parte dell’Università di Urbino. NOTE 1 Numerosi volumi sono stati in precedenza pubblicati o curati dallo scrivente e collaboratori nell’ambito dell’attività annuale come responsabile degli scavi di Forum Sempronii, su concessione da parte del Ministero dei Beni e Attività Culturali. Vari contributi sono inoltre dovuti a studiosi di varie Università che hanno preso parte in genere alle ricerche sul campo, come risulta dalla Fig. 8 - Pianta di Forum Sempronii su foto da satellite, con rete di isolati bibliografia segnalata in appendice,Fig. 8. Pianta di Forum Sempronii su foto da satellite, con rete di isolati rettangolari e con l’anfirettangolari l’anfiteatro (20),(6)ileForum con(8),due e la Basilica teatro (20),eil con Forum con due templi la Basilica (M.templi Luni, O.(6) Mei). rappresentativa dello sviluppo delle (8), (M. Luni, O. Mei). indagini e del progredire delle conoscenze storico-archeologiche. 2 L’area artigianale è stata spostahanno consentito alla SoprintendenBeni Culturali delle Marche, che za Archeologica delle Marche di ringrazio vivamente. Altre foto dal ta più a Est, all’esterno della cittàBibliografia effettuare alcuni significativi restaudeltaplano sono state eseguite da romana, determinando nel conri, specie a San Vincenzo al Furlo, A. Camillini e alcune dall’aquilone, tempo sia lo sviluppo culturale, sia M. LUNI – G. ORI, Edificio con caratteristiche termali a SaninMartino del presso Cagli e aGmonte di Cantiano, assai utili per la ricerca atto. quello economico di Fossombrone. 9 Già di Fossombrone, Albani, VII, il1,Prof. 1978, diretti dal Dott. PaoloNotizie Quiri e da oraPalazzo da in passato G. pp. Gori9-21. aveva Determinante si è rivelato il soste-Piano Chiara Del– Pino. G. GORI, Impianto termalesegnalato di Forum Sempronii (San Martino M. LUNI un’area di affioramento di gno della Fondazione della Cassa di 6 Determinante è stata allora la colRisparmio di Pesaro, dell’Universitàdel Piano riferibili ai gradoni di Fossombrone), Notizie da blocchi Palazzoricurvi Albani, VII.2, 1978, di pp. laborazione della Provincia di Pesadi Urbino e del Comune di Fossom-7-26. un teatro o di un anfiteatro sul lato ro-Urbino e in particolare dell’Asbrone (specie negli anni passati). orientale dell’abitato. UnaMartino struttura – G. GORI, Prof. Edificio con caratteristiche termali a San del M. LUNIalla 3 Il Museo è stato riorganizzato sessore Cultura Alberto semicircolare di un edificio monuPiano di Fossombrone (Forum Sempronii), Picus, II, 1982, pp. 119-129. Berardi, che ha fatto eseguire prototalmente con un nuovo percorso mentale era stata individuata con UNIrestauro – G. GdiORI , Notestorici di archeologia topografia forosemproniense, M. gettiLdi edifici a di visita ed appropriato allestimenOscareMei in una foto aerea in bianPicus, III, 1983, pp. 87-113. Cantiano, Cagli e Acqualagna, poi to, con i materiali appositamente co e nero (Fig. 6), forse in riferimenfinanziati dalla, Comunità DocumentiEuropea di archivio to percon Forum Sempronii, Boll. D’Arte, illuminati in vetrinette e spazi espoL. MERCANDO un teatro, per altro segnalato per1983, allestimenti museali delle antisitivi attrezzati per una modernaXIX, pp. 83-110. da Vernarecci un secolo fa. Per chitàLUNI della Flaminia. fruizione; la collaborazione dell’Arnon dall’Appennino cadere in facili alla suggestioni si , Nuovi documenti sulla Flaminia costa adriaM. Va segnalato il contributo fornito chitetto L. Barbagli e del Prof. G.tica,7 in è monitorata annualmente questa “Le strade nelle Marche, il problema nel tempo. Atti del Convegno dalle migliaia di studenti univerGori si è rivelata essenziale, anche significativa area, finché ho reperito ottobre 1984”, AMDSPM, LXXXIX-XCI, sitari e dei Licei classici di Fano, nella realizzazione di un accura-Fano-Fabriano-Pesaro-Ancona, documentazione aerofotografica a pp. 139-180, Iesi, Pesaro, Senigallia1257-1280. e Urbino, to apparato didattico. Lo studio1984-1986, colori risolutiva (Fig. 7), confermata che hanno preso parte agli scavi UNI , La via consolare Flaminia nel territorio pesarese, in AA.VV., M. L dei materiali è giunto a definizione, anche dal geom. Emanuele Mandonei quasi quarant’anni anche con l’ausilio dei Dott. OscarCulture figurative e materialiditraattività, Emilia e lini. Marche. Studi indionore M. Zuffa, Un saggio scavodieffettuato unitamente ad altri provenienti da Mei e Marcello Montanari, e il rela-Rimini 1984, II, pp. 387-399. nel 2011 con O. Mei ha poi fornito Parigi (Sorbona), da Madrid (Comtivo catalogo è in corso di redazione. la prova definitiva dell’esistenza di 4 Questi ultimi affreschi sono in plutense) e dalla Libia (Bengasi e un Anfiteatro monumentale della Beida). A tutti va un grato pensiero corso di restauro, unitamente ad prima età imperiale, con strutture e anche alla Association Archéoloaltri frammenti minori con decorain elevato in pietra di circa due gique Vauclusienne di Entraigues zioni, in parte pubblicati in questo metri, attualmente interrate; esso si (città gemellata con Fossombrone), stesso volume. Alcuni tratti di pitpresenta assai simile a quello della che dal 2002 collabora all’attività ture parietali rinvenuti negli scavi vicina Suasa, sia per tecnica edilizia sul campo, sotto la guida di Jacques in anni passati sono stati restaurati, (opus vittatum), sia per dimensioni Mouraret. musealizzati e pubblicati. 8 Assai utili si sono rivelate le varie 5 Con l’ausilio di gruppi di volontari (l’asse maggiore è di circa 100 m), sia infine per la sua ubicazione riprese dall’alto che ho effettuato e di comunità locali è stato possibile periferica nel contesto urbanistico negli ultimi anni grazie alla disporipulire da vegetazione infestante della città. È ubicato in località nibilità del Nucleo Elicotteri dei varie strutture romane abbandonate Olmeto (foglio catastale n. 23, parCarabinieri dell’Aeroporto di Fallungo l’antico percorso della Flamiticella 386) e si è osservato sull’asse conara e concordati con il Capitania; si è proceduto quindi al rilievo maggiore l’ingresso da Ovest largo no Salvatore Strocchia del Nucleo fotografico e talvolta anche grafico delle murature superstiti, che dei Carabinieri per la Tutela dei circa tre metri e mezzo. Questo saggio, con una ricca bibliografia, è tratto dal Volume Forum Sempronii I, Scavi e ricerche 1974-1012 a cura di Mario Luni e Oscar Mei, edito da QuattroVenti, per conto del Dipartimento di Scienze della Comunicazione e Discipline Umanistiche dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. Le Cento Città, n. 50 La letteratura 11 Spazialità e soggettività nella scrittura di Dolores Prato di Alfredo Luzi Le Marche (toponimo che trae la sua origine dall’etimologia di Marken = terra di confine ), sono una regione che, sul piano della dinamica ambiente-personaggio, può considerarsi una sorta di patria della memoria. Condannato troppo spesso alla diaspora, chi nasce e vive in questa regione porta con sé un mito nostalgico della propria terra, un’immagine amata, carezzata nel ricordo, ma anche la traccia dell’ultimo atto di amarezza, della delusione per una regione di campagna, bellissima, ravvolta in un paesaggio di boschi, di stoppie, di spiagge luminose,di mercati di paese dove l’odore inebriante del vino cotto si mesce (o meglio si mesceva) al sapore acre del mare portato da lontano dal vento dell’est, ma abbandonata, chiusa tra le sue mura ad ascoltare le proprie voci, a distillare da decenni e da secoli i motivi dolenti dell’esistere. Da questa dimensione nasce però anche l’elaborazione di miti individuali e collettivi quale quello, in anni non molto lontani, di una capitale inutilmente sognata a riscatto della posizione socialmente defilata del marchigiano: una Roma mitica, priva di un rapporto effettivo in termini di funzione primaria dello stato. Rivivendo l’esperienza leopardiana, lo scrittore che lascia questa terra si nutre, miele e veleno della propria coscienza, dell’ambiguo sentimento di odio-amore verso il “natio borgo selvaggio”. In nome dell’impegno sociale egli giunge nella città labirintica e vi trova approssimazione, colpi di mano, sottogoverno culturale, compromissioni; ed allora torna idealmente alla vita lenta ma profonda della provincia, dove il confronto con la realtà è almeno genuino, tutto teso a registrare gli andamenti dell’umore di certi gruppi, a cogliere il trapasso stagionale, le infinite incidenti di una vita collettiva tutta esposta, vissuta per le strade e nelle piazze. E questo è stato anche il destino di Dolores Prato che,nei suoi due romanzi per ora pubblicati, sembra riassumere la complessa, per non dire tragica, dimensione dello scrittore marchigiano, in bilico tra la linea della sapienza, della misura, della solitudine e la linea dell’utopia e dell’interrogativo sociale. Il caso letterario della Dolores Prato, esordiente a 88 anni, può considerarsi più unico che raro nel panorama,non privo di esordi tardivi, della narrativa italiana contemporanea. Nata a Roma il 12 aprile 1892, Dolores vive però l’infanzia e la giovinezza a Treia, prima in casa degli zii (e il ricordo di quegli anni è l’asse portante del primo romanzo Giù la piazza non c’è nessuno , pubblicato da Einaudi nel 1980 ), poi, dal 19012 al 1910, nel collegio salesiano delle Visitandine, dove è ambientato il nuovo romanzo postumo Le ore pubblicato da Scheiwiller nel 1987 con la cura editoriale che gli è nota,e corredato da una illuminante nota critica di Giorgio Zampa. Tornata nelle Marche come professoressa di lettere, insegna a San Ginesio e a Macerata. Per la sua posizione di antifascista non ha certo vita facile durante il regime, sicché si rifugia a San Sepolcro, per poi trasferirsi definitivamente a Roma, dove resterà fino alla morte avvenuta ad Anzio il 13 luglio 1983. Ma già a livello di ‘erlebnis’, di atteggiamento di vita, è possibile individuare nella Prato una aspirazione a salvare l’esistenza dalla condanna della morte trasformandola, attraverso il processo mitopoeitico della parola, in essenza della scrittura, intesa come ritessitura memoriale degli eventi filtrati dalla soggettività ermeneutica dell’io narrante. La Prato si dedica per tutta la vita a trasferire in potenziale letterario, raccogliendo materiali e riempiendo fogli e fogli, il paLe Cento Città, n. 50 trimonio di ricordi, di sensazioni, di personaggi, legati alla sua autobiografia (sia nel senso di scrittura della propria esistenza sia nel senso di vita della propria scrittura),in particolare agli anni passati a Treia. La sua ricerca del tempo perduto si concretizza in un voluminoso manoscritto che giunge nelle mani di Natalia Ginsburg. Dopo una drastica riduzione del numero delle pagine e dopo un tentativo rientrato di farle cambiare il titolo (ma Dolores insisterà per Giù la piazza non c’è nessuno anche per la sua precisa marca di parlato marchigiano ), il libro vede la luce nel 1980 e diventa un caso nella produzione letteraria di quell’anno. Ma la struttura originale del romanzo è completamente stravolta e la dimensione memoriale, proustiana, viene compressa in 282 pagine. Solo nel 1997 Giorgio Zampa, critico letterario di grande valore e battagliero sostenitore delle qualità letterarie di Dolores, allestirà la riedizione integrale del volume di 760 pagine corredandola di una fondamentale introduzione all’opera. La poetica della Prato ha come punto di riferimento la linea filosofica che parte dall’equazione platonica mimnesco = gignosco (ricordo = conosco ) e che attraverso Agostino, Petrarca, Leopardi, Proust, arriva fino ad Ungaretti e a Montale. Nulla dunque di simile alla cosiddetta memorialistica di tipo naturalistico descrittivo (anzi i fatti in sé nella vicenda della Prato sono minimi) ma una testualità che ha come momento di sintesi la capacità memoriale del soggetto che seleziona qualitativamente i frammenti di realtà che si trasformano in esperienza gnoseologica. Con un meccanismo di amplificazione dell’immaginario che ci obbliga al riferimento leopardiano, la Prato ritrova nella memoria l’impronta della città marchigiana: Alfredo Luzi Noi cominciamo ad essere col primo ricordo che riponiamo in magazzino. Il luogo dove si ebbero i primi avvertimenti della vita diventa noi stessi. Treja fu il mio spazio, il panorama che la circonda la mia visione . Ed il rapporto tra lemma e luogo, tra grafia e spazio, è determinato dalla capacità reattiva del soggetto a risuscitare il ricordo attraverso le proustiane intermittenze del cuore: Nella lunga monotona parentesi collegiale, il nome Treja appariva sulla posta che arrivava, per tutto il resto era scomparso,sostituito dal nome del collegio. Ma dal collegio esplosi a Roma e qui, di colpo, quando in un labirinto della vecchia città lessi ‘Piazza dell’Olmo di Treja’ uscì fuori tutta la tenerezza fascinosa di quel paese che m’ero portata dentro senza saperlo. Fu la prima delle tante epifanie”. Il dramma della Prato, come per un altro grande scrittore marchigiano, Franco Matacotta, è, per dir così, nel peccato d’origine, nel suo “sentirsi diversa”. L’incipit del romanzo rivela subito il rovesciamento del consueto punto di vista. Fondendo nella prima persona le funzioni del personaggio, dell’autore e del soggetto storico-autobiografico, la scrittrice descrive il suo mondo dal basso e immette nel reticolo emotivo della lettura il sentimento predominante dell’esclusione: Sono nata sotto un tavolino. Mi ci ero nascosta perché il portone aveva sbattuto, dunque lo zio rientrava. Lo zio aveva detto: - Rimandala a sua madre, non vedi che ci muore in casa? Ambiente non c’era intorno, visi neppure, solo quella voce. Madre, muore, nessun significato, ma << rimandala >> sì, <<rimandala >> voleva dire mettila fuori dalla porta. << Rimandala>> voleva dire mettermi fuori del portone e richiuderlo. Pur protetta dal tappeto che con le frange sfiorava il pavimento, ascoltavo fitto fitto: tante volte venissero a cercarmi per mettermi fuori! Sedevo sui mattoni. Molliche indurite mi si conficcavano nella pelle come sassolini. Quel primo pezzetto di mondo immagazzinato dalla mia memoria lovedo come adesso vedo la mia mano che scrive. Mattoni rettangolari color crosta di pane, uno coricato, uno dritto, facevano un 12 tessuto a spina. Come soffitto il rovescio della tavola attraversato da stanghe di legno; le quattro gambe unite da assicelle su cui la gente metteva i piedi, più consumate nel mezzo; l’intera impalcatura ammantata dal pesante tappeto:tutti colori notturni intramezzati da fili d’oro; foglie nere, fiori con parvenza di colori morti, case appuntite trapunte d’oro, nello scuro meno fondo apparivano facce di mori e luccichio d’occhi. Il primo fatto storico della mia vita, intreccio di paura e meraviglia, fu sotto quel tavolino. La ricerca stessa dei significati, l’ansia semantica, attraverso l’ascolto intenso e lo sguardo indagatore, che caratterizza questo ingresso, così traumatico, nella vita socializzata, deriva dalla centralità che la Prato riconosce all’infanzia come dimensione spazio-temporale della iniziazione simbolica: L’infanzia è la sola età in cui l’inconscio affiora senza ostacoli. L’inconscio che sa quel che noi non sapremo mai, l’inconscio che se a lui ci abbandoniamo ci fa divinatori mi parlava, ma io non lo capivo. La persistenza della memoria mitica è in effetti la prima traccia della conoscenza: Io abito ancora a Treia pur non avendola mai più vista da quell’età piccola che non invecchia. E il cammino verso la maturità è cadenzato da prove rituali che l’antropologia e la narratologia hanno individuato come archetipi del processo di formazione del soggetto, dalla centralità chiusa del sé alla proiezione verso l’alterità. A ragione Franco Brevini ipotizza una lettura del romanzo strutturato sulle sequenze canoniche della morfologia della fiaba e basato sul sistema triadico di separazione (dalla madre e dalla famiglia), morte simbolica (la entrata in collegio e la chiusura dal mondo) e resurrezione ( la memoria come potenzialità vitalistica e la scrittura come presa di possesso della realtà ) . Il romanzo è appunto una storia esemplare, tenera e spietata, di una infanzia che cela il segreto di una vita intera, un viaggio psicologico all’interno del proprio Le Cento Città, n. 50 io mentre attorno la storia avanza, l’avvolge e inesorabilmente la trasforma: Quel poco che ho studiato è scomparso nel buco nero che ho al posto della memoria. Quel che pare ricordo, è tatuaggio, incisione, cicatrice: io leggo i segni. La Prato vince le difficoltà di rapporto col mondo, mettendo nel suo modo di raccontare un pizzico d’azzardo, usando uno stile dove l’andamento narrativo delle sensazioni s’incrocia con la frontiera della continua interrogazione. L’autobiografia (in cui scrittura e vita si confondono) muta in documento di un’umanità in divenire, contributo alla comprensione di una struttura sociale in cui tutti siamo protagonisti e vittime. Ma anche la patina regionale entra nel testo stesso, a caratterizzare, a livello linguistico, una spazialità ben definita e tracciata dai limiti dell’uso del dialetto, una lingua alternativa a quella ufficiale, fatta di grumi emotivi e di espressività rude, ma utile come segno di riconoscimento di una comunità che anche nel linguaggio ritrova una sua identità e nella quale, per contrasto, la scrittrice trova conferma della propria diversità : Tutto quello che si muoveva e che suonava nell’aria, forse era la vita. In quell’epoca le poche parole che incontravo avevano tutte una faccia, ma la vita non ne aveva nessuna...... I bambini si chiamavano frichì e frichina; i ragazzi bardasci e bardasce. In casa nostra queste parole entravano solo con le donne di servizio. Se per la strada una donna ne incontrava un’altra con un frichì in braccio, le domandava: - Quanto tempo ha? - mai quanti mesi ha. Il frichì appena nato cominciava a incamerare il tempo.... I fiammiferi in paese erano fulminanti. Molto più giusto: bastava strusciarli contro una superficie ruvida che scoppiavano come un piccolo fulmine....... Solo Eugenia dentro casa nostra diceva prescia, noi dicevamo fretta... - Non voglio cosa, - diceva pure, ma con la o stretta perché solo chiusa a quel modo <<cosa >> valeva << niente >>; con la o aperta, qualcosa era sempre.... La letteratura 13 Dolores Prato Le Cento Città, n. 50 Alfredo Luzi Quel pezzetto di Marche è la patria della fisarmonica, ma non si chiamava così, si chiamava l’organetto e tutti lo suonavano, artigiani e contadini. Lo suonavano camminando, con l’organetto ballavano. Pur essendo figlio dell’organo l’organetto non poteva entrare in chiesa, nelle osterie sì. La storia della propria infanzia è una scantafavola narrata anch’essa una sola volta,e quindi irripetibile, come irripetibile è la vita di ognuno di noi, condannata alla consunzione, alla morte: <<Staccia minaccia>>....mi buttava giù, mi tirava su, mi ributtava giù, più mi buttava e più godevo. Ogni tanto mi stringeva sul suo petto come per un riposo della gioia; il suo petto, un paradiso fatto a pieghe di velo azzurro. <<Staccia minaccia, buttiamola giù la piazza >>....; cominciava così, non so come continuasse, ma finiva con un <<giù >> lungo e profondo, atroce e dolcissimo che mi capovolgeva. Emozione e felicità. Il pavimento era la piazza, io il brivido della caduta. Non l’ho imparata la filastrocca;....poi il pensiero come se parlasse,diceva << Giù la piazza non c’è nessuno >>. Per le strade, nelle chiese, la gente mi sorvolava. Solo zia Ernestina mi vezzeggiò e non era di lì: veniva di non so dove e se fosse d’Inferno o di Paradiso per me non ha importanza alcuna. Anche adesso se, nel tentativo di far risorgere il resto, cantileno << Staccia minaccia, buttiamola giù la piazza >> e sforzo una resurrezione che non avviene, di per sé arriva: << Giù la piazza non c’è nessuno >>. Ma c’è, nella iterazione del procedimento ludico, una sorta di presagio della solitudine, un segno ritmato dalla ritualità verbale e gestuale di una iniziale e consapevole discriminazione: In quella cucina dove tutto era scuro, chiarissimo era che di proposito evitavano di vedermi: ignorandomi volevano dimostrare qualcosa. Me ne accorgevo, ma non me n’importava nulla..... Talmente disabituata all’attenzione della gente su me che se per forzata convenienza qualcuno mi rivolgeva il suo stupido <<Come ti chiami? >> rispondevo << No >>. Significava: << Non voglio rispondere >>. Odiavo le domande dei grandi; per 14 quanto rare, esse riuscirono a sforacchiare tutta la tela della mia infanzia. E’ proprio l’angoscia del non ritorno, la consapevolezza che ogni cosa che è stata non potrà più ancora essere a dare alla memoria della scrittrice una grande capacità di trattenere e filtrare tutti gli eventi, tutti gli oggetti, tutte le persone che hanno comunque lasciato un segno nella sua coscienza. Attraverso la scrittura Dolores riscatta la sua autonomia di giudizio rispetto alla “doxa” paesana, il suo diritto a dirimere il bene dal male sulla base dell’esperienza soggettiva, proponendo, ad esempio, per la figura di Ernesta, una iconografia positiva, in contrasto con il malvagio conformismo degli adulti, sempre giocata sulla metafora oppositiva Inferno - Paradiso: Ernestina, lui la chiamava, era tutta azzurra; azzurro di cielo chiaro e di cielo scuro il suo vestito; come ali di velo abbandonate una sull’altra, le mollli pieghe..... << Staccia minaccia, buttiamola giù la piazza....>> m’inclinava sempre più all’indietro finché la mia testa toccava quasi terra e io vedevo quel meraviglioso demonio dal rovescio; mai il demonio fu così bello, neppure quando era Lucifero.... A cavalcioni sulle ginocchia di zia Ernestina, vorrei stare per l’eternità. Io fui bambina come i bambini, solo per quel demonio, certo non sposato in chiesa. La cronaca dei fatti quotidiani collegata ad una minuziosa descrizione delle coordinate spazio-temporali che raggiunge i caratteri della ossessività nella precisione maniacale della descrizione di stanze, case, vicoli e pietre, è un espediente per sondare qualcosa di profondo e di originario, il tentativo della fanciulla di scoprire se stessa attraverso l’introspezione psicologica mentre attorno a lei il ritmo delle stagioni propone l’idea dell’eterno mutamento, degli addii e dei ritorni. La scrittrice cerca, attraverso la memoria, di elevare ogni frammento della vita privata e collettiva a simbolo, creandosi un reticolato mitico fatto di uccelli imbalsamati, bauli, rose di Le Cento Città, n. 50 Gerico, ritratti, proverbi, gesti, alimenti, viaggi, pellegrinaggi a Loreto, pappagalli, rosari, cerimonie, tradizioni popolari: La sera c’era la processione del Cristo morto. Vorrei sapere perché me la ricordo come se l’avessi vista una volta sola.... Silenziosa processione nella notte, confraternite, seminaristi, preti, passavo lenti come si conviene alla rappresentazione di un funerale, lampioni velati, il carro funebre camminava solo... La Settimana Santa diventava pian piano la sagra dei salumi. Certe botteghe sottolineavano spigoli, archi e architravi con fasci di lauro e di bosso. La sera del Venerdì Santo, nonostante la processione del Cristo morto, in quelle botteghe era già cominciato il Sabato Santo. La gente ci si fermava come davanti ad allegri sepolcri. Matasse di fili d’argento e d’oro cascavano dal soffitto andando ad appoggiarsi da un punto all’altro; su chiodi e rampini sbocciavano fiori di carta; le colonne delle enormi forme di cacio, spesso stavano di fuori come contrafforti; posavano su tappeti di carata colorata e dorata, sfrangiolata e arricciata. I frammenti degli eventi a cui la coscienza memoriale ha dato dignità di scrittura ritrovano così una loro unitarietà nel rifiuto della diacronia, nella collocazione del racconto dell’infanzia in un tempo sospeso, preistorico: Noi non siamo mai cominciati: il gancio a cui si attacca il primo anello della catena nessuno lo troverà; lo trovò senza cercarlo Gesù Bambino che appena nato ha già l’aria di vedere tutto, di sapere tutto; Lui era un bambino che poteva benedire i vecchi. La narrazione dell’infanzia si trasforma, man mano, in denuncia sociale, in ribellione agli schemi di una società che impone una rigida divisione tra popolo e signori, ratificata di fatto nella prossemica dello spazio riservato ai fedeli nella chiesa ( più si è ricchi e più si ha merito difronte a Dio ? ) : La sedia in chiesa era un segno di potenza, un resto di feudalesimo. La zia entrava, cercava con gli occhi la sua, c’era seduta una poveraccia o una contadina col volume enorme delle sue gonne; con aria padronale La letteratura bussava sulla sua spalla senza guardarla, quella si alzava e la zia gliela toglieva quasi di sotto, tanto simultaneo era il cedere di una e il riappropriarsi dell’altra, feudale padrona di una sedia; e messa in risalto (tramite la cifra socio-formale, nel caso sotto riportato, dello stile nominale) da una crudele emarginazione della povertà, che condiziona la struttura urbanistica della cittadina: Ogliolina dicevamo noi, strada nera, stretta, un poco storta. Casucce buttate a caso, emergenti, sprofondate, sconquassate, molte puntellate; casa e stalla si fondevano come il cattivo odore con l’aria. Affastellamento di legno imporrito e mattoni rotti, finestre piccole come sportelli da confessionale, usci con battenti sgangherati. Da un tetto all’altro, canne o corde cariche di cenci, cenci alle finestre, cenci sui muri, cenci addosso alla gente. Quella gente era un mistero. Una famiglia per ogni buco, ma tutti insieme erano una cosa sola, erano i Mosci; perpetuando l’ingiustizia sociale anche dopo la morte: Solo dopo la morte erano tutti << poveri >>, anche i ricchi. Ma un povero vero che moriva, spesso era << nessuno >>. Suonava la campana a morto, uno domandava : - Chi è morto ? - l’altro rispondeva : - Nessuno, il brecciarolo di Borgo . Il rifiuto di essere nessuno, la ricerca delle origini e la definizione della propria identità sono alla base del sentimento della differenza che informa i pensieri di Dolores, emarginata non socialmente ma psicologicamente, diversa al punto da non poter contare sulla memoria per sentirsi se stessa e da non poter ritrovarsi nelle categorie del tempo e dello spazio: <<Vuole sapere chi è il padre>>. Assolutamente non ricordo di averlo voluto sapere allora. Ma essendo io un’eternità spezzettata, tanti pezzetti di eternità mischiati con tanti vuoti, tanti niente, la mia domanda potrebbe rientrare in uno di quei niente. So di non aver avuto mai memoria; dovevano incidere o scottare le cose per durare. Quello che appare memoria è raccolta di cicatrici, o album d’in- 15 cisioni. Se ho scordato è segno che del padre non m’importava proprio niente. E poi non era solo un padre sbagliato che avrei dovuto cercare, tutto avrei dovuto cercare, perché tutto era sbagliato. Non lo sapevo io, ma lo sapeva il mio io nascosto, losapeva quello che m’impediva sempre di chiedere spiegazioni... In fondo ero tanto sola che non avevo neppure radici; l’ignorarlo non significava che la pianta non stentasse. In questo vuoto, in questa assenza di storia, irrompe l’utopia compensatrice, la forza di un futuro imprevedibile che riscatti la banalità della cronaca, confuso tra il miracolo e il presentimento: ...Ora, distesa sul canapé, con i piedi piagati, nell’oscura sala da pranzo, incominciai a sognare l’avvenire. Sarò Regina ! Certo è possibile, benché difficile. Che c’è più alto della Regina ? La Madonna. Ma la Madonna era un pasticcio: vergine e madre........ Ero lontanissima dal supporre che cosa volessero dire le due parole, sapevo solo che c’era di mezzo un miracolo. Per me si sarebbe compiuto; s’era compiuto per la Madonna ? dunque era possibile. E se invece diventassi scrittrice ? I miei compiti la maestra li leggeva forte in classe. Ma la Prato, seguendo le credenze dell’onomastica antica basate sull’equivalenza nomen = omen , è convinta che il destino di ognuno di noi è delineato nei segni che riassumono tutto il nostro tempo. La sua costante, ossessiva, attenzione alle parole, ai suoni, ai significati, è il segno del suo desiderio di leggere nel linguaggio le orme di un cammino già tracciato eppure ignoto, presagibile solo attraverso la lettura di indizi semiotici. Così ella ha ritrovato, almeno in parte, sulle rive del Delta del Po le origini del suo amato zio e nel suo nome (Dolores) il marchio della sua sofferenza: Tutto si chiude: il Delta, nostro principio e nostra fine. Dal grande Delta nacque lui col timbro simbolico del piccolo Delta nel nome, Dominicus; con lo stesso piccolo Delta nel nome nacqui io. Il mio piccolo Delta diventò l’immenso Delta nel qualelui lentamente agonizzando scomparve. Io sono diventata quel Le Cento Città, n. 50 Delta in cui lui galleggia. Giù la piazza non c’è nessuno è tuttavia solo la parte emersa, e ridotta, di un vasto arcipelago di fogli, appunti, frammenti non accolti dalla casa editrice, notazioni linguistiche, che costituiscono l’impianto di una narrazione autobiografica ininterrotta fino alla morte della scrittrice. Giorgio Zampa, che con assiduo amore e acume critico da anni si è dedicato allo studio e alla valorizzazione della Prato ha finora portato alla luce vari inediti, curando la pubblicazione del dattiloscritto incompiuto che può considerarsi il seguito del primo romanzo, Le ore I (Milano, Scheiwiller, 1987), del volume Le ore II. Le parole (Milano, Scheiwiller, 1988), e della raccolta dei brani dedicati alla città di Treia e non accolti nella stampa einaudiana del 1980, Le mura di Treia e altri frammenti (Città di Treia, 1992). Globalmente queste opere si configurano come contributi differenziati, nel tempo, nello spazio, e nelle modalità di scrittura, di un unico progetto mirante a trasformare in arte la vita, in parola e segno grafico i gesti, le emozioni, i fatti dell’esistenza. Ma da qui nasce anche la loro complementarietà che permette al lettore di esaminare i testi in funzione di un’opera sempre in fieri, caratterizzata dal continuum della revisione stilistica e dalla registrazione minuziosa di micro-eventi. Il romanzo Le ore I, ad esempio, racconta la vita trascorsa dalla Prato nel Monastero delle Visitandine, “isolata nell’altro mondo”, benché il collegio fosse all’ interno della struttura urbanistica della città, accorpato alla chiesa di Santa Chiara. Qui il tempo è lento, quasi fermo, scandito soltanto dai riti religiosi e dalle ricorrenze dei santi: Com’erano lunghi gli anni in collegio ! Natale arrivava quando quell’altro già si tingeva d’azzurro per la lontananza. Quel che ritornava, ritornava dopo tanto tempo. Forse perché allora erano piccoli pensieri, piccoli dolori, non bastavano a riempire il tempo. Alfredo Luzi Lì dentro s’ignorava il momento preciso in cui si passava da un anno all’altro. In questo mondo si muove agevolmente la Madrina, una monaca il cui ritratto adombra il personaggio ambiguo e intrigante della Monaca di Monza, mentre alla giovane Dolores il mondo esterno si propone come paradiso perduto, allontanato da divieti e rinunce. Ma è sufficiente leggere Le ore II per capire come la Prato determini una connessione tra la frattura dello spazio subita con la chiusura in collegio e la frantumazione del codice linguistico, sottoposto anch’esso alla torsione di un sistema rigidamente impostato sul rispetto di norme e prescrizioni: In paese l’universo per me era negli occhi e nelle parole. In collegio, stando quasi sempre chiusa, l’universo degli occhi si restrinse a quel panorama, sempre quello, ai corridoi, ai cameroni, si moltiplicò quello delle parole. La parola era un mito per quel che appariva a noi, ogni parola poteva diventare leggenda; per loro era di certo logos, parola sì, ma con un perché. La censura, sessuofobica e perbenistica, è avvertita anche attraverso le imposizioni di una pedagogia linguistica che rimuove il dialetto, determinando nella educanda uno sradicamento dal proprio passato e dalle consuetudini espressive acquisite nel contesto familiare: In casa e fuori di casa tutti si diceva <<cazzotto>>, anche Zizì che era dotto eparlava bene diceva cazzotto..... Io in convento dissi cazzotto e tutti si scandalizzarono...... Io ne fui mortificata e non dissi mai più cazzotto, ma pugno, sempre pugno fino ad adesso che sto scriven- 16 do del cazzotto. In casa si diceva la cazzarola, forse l’unica parola dell’uso universale del paese che adoperavamo, ma in collegio non solo erano enormi, si chiamavano casseruole con tanto di dittongo. L’adozione di un nuovo linguaggio, imposto e dolorosamente accettato, è il sintomo del condizionamento e della forzata metamorfosi a cui è costretta l’identità del soggetto nel suo processo di socializzazione: In fondo fu un grande cambiamento di parole, per il resto, un peggioramento, piantarono nella mia coscienza scrupoli, paure, ossessioni, che Zizì, prete, non aveva mai sognato.Rovinarono la mia vita. gia dell’infanzia: Io sola guardavo dalle finestre...... Guardavo dalla finestra di levante dove gli ulivi quando soffiava il vento erano cangianti come un vestito di seta della zia, verde ulivo e verde argentato. Da quella finestre aperta coglievo quel silenzio che sentii da bambina sperduta nella campagna; ma era un attimo.... Dall’ultima finestra di mezzogiorno vicina al mio banco vidi uno spettacolo meraviglioso: la nebbia aveva tutto coperto, noi emergevamo e più in basso la Villa Bonaparte era una piccola isola nel mare della nebbia. Inutile avvertire le altre, in tutto il tempo che sono stata lì né una monaca, né una ragazza si sono mai accorte del mondo che si poteva vedere con gli occhi fuori del sacro recinto. Stupendo sì quello spettacolo, ma il tempo lo seppellì. Non mi vidi uscire di casa, non me lo disse nessuno strappo; non so se andai a piedi o in carrozza;....... era mattina, era pomeriggio? Avevo mangiato? Non lo so.......Dopo la fotografia dei due fondali non so che successe, non so quando....... Non seppi più nulla......Più niente vedo, più niente sento......Più nulla vidi, di niente m’accorsi più.....niente vidi.....e tornai a non vedere a non sentire più niente. Esaminando in prospettiva sincronica le strutture narrative delle opere della Prato, risulta comunque evidente che in esse il soggetto rivendica la sua centralità anche attraverso la modifica continua delle categorie di spazio e di tempo, utilizzate non come parametri certi di conoscenza ma come moduli reattivi del proprio io messo di fronte agli eventi dell’esistenza. Rompendo la struttura tradizionale del Bildungsroman, basata sulla progressione dei fatti e sulla conseguente crescita gnoseologica dell’io-personaggio, la scrittrice marchigiana ha inserito, nella sua storia e nella sua scrittura, il senso del non finito, l’ambiguità dell’autobiografia imperfetta. Il tutto condensato nella metafora, limpida nella sua icasticità, leonardesca e montaliana, del fluire del mondo: fino alla contemplazione a distanza, dall’interno della prigionia psicologica, del paesaggio marchigiano, un microcosmo edenico in cui ritrovare la nostal- Eravamo tutti inconclusi. Lui che aspettava di tornare a far fortuna in America, io che aspetto ancora di fare quel che ho sempre pensato di fare e non farò. Come il Sile, fiume inconcluso, fiume disperso. E’ dunque su una base linguistica che si determina, in Le ore I, la tematica della polarità spaziale dentro/fuori che percorre come struttura portante tutto il racconto della vita collegiale, dalla simbolica morte che spezza i legami col mondo nel momento dell’ingresso in collegio, espressa attraverso la negazione della coscienza: Le Cento Città, n. 50 Economia politica 17 Francesco Coletti, economista e sociologo di Alberto Pellegrino Dopo anni di silenzio è in atto la riscoperta della figura di Francesco Coletti, uno dei più eminenti studiosi di statistica e di economia del primo Novecento, grazie all’impegno dell’Università degli Studi di Macerata e all’apertura presso la Biblioteca Comunale di San Severino Marche del Fondo Coletti comprendente alcune migliaia di volumi, dono della Famiglia Battibocca erede di Coletti. Gli studi, la carriera universitaria e civile Francesco Coletti nasce a San Severino Marche il 10 luglio 1866 e, dopo aver ottenuto la licenza ginnasiale e liceale presso il Collegio-convitto di Senigallia, frequenta la Facoltà di giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Roma, conseguendo la laurea con il prof. Angelo Messadaglia, discutendo una tesi sull’Inchiesta agraria e le condizioni della classe agricola promossa dal senatore Stefano Jacini. Questo lavoro sicuramente influenza fortemente Coletti, indirizzando i suoi interessi verso l’economia politica, per cui decide di specializzarsi presso l’Università di Pavia con il prof. Luigi Cossa e successivamente presso l’Università di Padova con il prof. Achille Loria; quindi consegue la specializzazione in statistica con il prof. Luigi Bodio, docente presso la Scuola superiore di commercio di Venezia. In questo periodo inizia a collaborare con la rivista Cronache sociali, fondata nel 1891 da Filippo Turati. Ritornato nelle Marche, Coletti diventa Segretario generale dalla Camera di Commercio della Provincia di Macerata e ottiene l’incarico per l’insegnamento di economia politica nell’Università di Macerata, cominciando a pubblicare i primi studi: L’Ufficio e il valore politico della Statistica (1892), I massimi edonistici individuali e collettivi (1892), Inchieste operaie e inchieste borghesi (1893), L’egoismo e l’evoluzione sociale (1893), Il liberismo e il fenomeno della vita economico-sociale (1894), La grande e la piccola industria armentizia nell’Appennino marchigiano (1894), Il furto campestre (1895), La delinquenza nelle classi rurali italiane (1899), Psicologia ed economia politica (1899). Nei primi anni del Novecento Coletti inizia la carriera universitaria, diventando nel 1904 professore ordinario di statistica nell’Università di Sassari; in seguito diventa titolare della cattedra di economia politica Le Cento Città, n. 50 nell’Università di Cagliari, ma preferisce rimanere a Sassari, passando dall’insegnamento di statistica a quello di economia. Nel 1906 passa all’Università di Pavia per ricoprire la cattedra di demografia e statistica, quindi viene chiamato presso l’Università Bocconi di Milano come docente di statistica e di economia agraria. Inizia la sua collaborazione con la Riforma Sociale (1894-1935), una rivista di scienze sociali, politiche ed economiche, fondata Francesco Nitti e diretta da Luigi Einaudi. Coletti collabora inoltre con le riviste Rassegna di scienze sociali e politiche, Giornale degli econo- I beni culturali 18 Le Cento Città, n. 49 Economia politica misti, Rivista Italiana di Sociologia, Giornale d’agricoltura della domenica, Rivista bancaria, Italia agricola; nel 1912 comincia a collaborare al Corriere della Sera con editoriali e articoli di economia agricola e demografia. Nel 1898 sostituisce l’economista Ghino Valenti nella carica di Segretario generale della Società Agricoltori Italiani che occuperà fino al 1904. Dal 1907 al 1911 svolge l’incarico di Segretario generale dell’Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia, condotta secondo il programma e i criteri statistici elaborati dal Coletti con risultati di grande rilievo per la conoscenza della nostra agricoltura. Nel 1913 fa parte della missione d’inchiesta sulla Tripolitania settentrionale, dedicandosi allo studio dei caratteri sociali della popolazione e delle classi rurali. Coletti entra a far parte Consiglio Superiore di Statistica e del Consiglio Nazionale dell’Istituto di economia agraria; diventa socio effettivo della Regia Accademia dei Lincei e della Regia Accademia dei Georgofili. Al momento del suo collocamento a riposo, l’Università di Pavia lo nomina professore emerito e lo Stato gli conferisce l’onorificenza di Grande Ufficiale della Corona d’Italia. Nel 1937 si ritira a San Severino Marche, nella sua villa di Cesolo, dove si spegne il 19 dicembre 1940. Lo studioso di statistica e di economia Francesco Coletti è stato un innovatore nel campo della statistica e della demografia, avendo introdotto metodi di ricerca sul campo basati sul rigore scientifico per fornire solide basi allo studio dei fenomeni presenti nella società che vanno analizzati sotto il profilo economico, sociologico, psicologico, antropologico e politico. Coletti è stato anche un eminente studioso di economia politica e di economia agricola, perché ha studiato a fondo le trasformazioni in atto nella società contadina, i fenomeni demografici e i problemi dell’emigrazione, gli effetti so- 19 ciali delle riforme agricole, alla delinquenza con particolare riferimento a quella, l’analfabetismo, la mortalità infantile, la condizione della donna e l’occupazione femminile. Tra le sue numerose opere vanno segnalate Le associazioni agrarie in Italia dalla metà del secolo XVIII alla fine del XIX (1901), I contratti agrari e il contratto di lavoro in Italia (1903), Dell’emigrazione italiana (1912), Della statistica e degli altri metodi atti allo studio dei fatti sociali (1914), Studi sulla popolazione italiana in guerra e in pace (1923), La popolazione rurale in Italia e i suoi caratteri demografici, psicologici e sociali (1925), La demografia come scienza sociologica (1925), Economia rurale e politica rurale in Italia (1926), Problemi di statistica economica (1937). Assolutamente originali sono le sue indagini demografiche, nelle quali si tiene soprattutto conto dei problemi della popolazione: “La popolazione è tutta la collettività sociale. Essa è il soggetto e l’oggetto della vita sociale…La demografia viene a essere sinonimo di Sociologia statistica”. Coletti considera la statistica determinante per l’analisi dei fenomeni sociali, perché essa permette di distinguere gli elementi qualitativi da quelli quantitativi di ogni problema; inoltre egli non la ritiene una scienza “pura”, ma una tecnica subordinata all’analisi economica, alla quale vanno applicate le esperienze, le prove e le verifiche proprie della statistica. In una prima fase delle sue ricerche Coletti fa riferimento alla sociologia evoluzionistica di Herbert Spencer per mettere in stretta correlazione le cause socioeconomiche e le cause psicologiche dei fenomeni; nello stesso tempo nel campo dell’economia agraria, individua nell’uomo e nella terra i due fondamenti del progresso collettivo dell’Italia, per cui agli inizi guarda con favore alla politica demografica del fascismo che punta sull’aumento della popolazione, ritenendo che la conseguente pressione demografica vada da un lato attutita con l’emigrazione, dall’altro Le Cento Città, n. 50 con i miglioramenti produttivi dell’agricoltura, la cui crescita finirebbe per favorire l’offerta di capitali all’industria e al commercio. Il politico Coletti sotto il profilo politico esalta la “coscienza civile dei popoli” e i valori delle “libere e novelle funzioni dello Stato laico”, attaccando duramente il clericalismo (“Mentre il cristianesimo fu l’espressione mistica d’una grande rivoluzione sociale…il clericalismo moderno… esercita una politica ispirata, non all’amore della pace e della fratellanza fra gli uomini, ma all’egoismo settario e ingeneroso e alla cupidigia ansiosa di prevalere sui popoli e sulle coscienze”) e propugnando l’avvento di una religione spogliata da inutili formalismi e schiocchi pregiudizi, animata dalla carità e da “tutto ciò che eleva alla più eccelsa perfezione dello spirito” (Patria, società, religione di fronte al clericalismo, Macerata, 1898). Coletti, che alla fine dell’Ottocento è vicino alle posizioni del socialismo riformista, condanna il liberalismo considerato una dottrina priva di efficacia, perché “non possiede quasi alcun valore operativo…Essa infatti parla allo Stato che non può ascoltarla; parla alle classi sociali singole, che seguitano ad andar dritte per la strada del particolare tornaconto…parla a tutti i membri di una data collettività, d’un dato paese…ma gli uni e gli altri regolano la loro condotta secondo gli interessi di classe o secondo interessi di nazionalità e di razza, mascheranti quasi sempre interessi economici… Le classi detentrici del reddito la lodano quando essa si oppone alle pretese delle classi operaie; queste cessano di vituperarla come conservatrice e gesuitica, allorché la veggono combattere il protezionismo industriale e le partigiane difese dei ricchi”. Nello stesso tempo Coletti critica il socialismo di Stato che si si propone “una missione integratrice, profonda, invadente, ispirata a principi economici di giustizia e di progresso, supe- Alberto Pellegrino 20 Figg. 1 - 3 - In questa fotografia di Carlo Balelli e nelle due seguenti, immagini del mondo contadino, Biblioteca Nazionale di Macerata (g.c.). riori agli interessi particolari di classe”, la quale si potrebbe realizzare se lo Stato fosse “vergine e docile, pronto agli entusiasmi infusigli dalla filosofia sociale”. L’altro economista maceratese, il liberale Maffeo Pantaleoni, considera la politica di classe e la legislazione di classe cose turpi e immorali e, in polemica con lui, Coletti sostiene che “la politica e la legislazione di classe sono conformi alla natura umana e all’organizzazione della società e dello Stato” e che “sulle tracce di Carlo Marx l’azione spiegata da una classe sociale è naturale e non implica quindi alcuna responsabilità di biasimo e d‘odio contro le persone”; al contrario la politica di classe è “l’azione economica e sociale seguita da una classe organizzata. L’organizzazione di una classe è l’associazione e la disciplina di più individui, anzi di più egoismi singoli, i quali hanno o credono di avere interessi omogenei e comuni da soddisfare e ritengono di non poterli soddisfare meglio che mercé l’unione delle forze individuali e l’assoggettarsi di spontanea volontà a un’azione sistematica e continuativa” (Liberismo e legislazione di classe, Bologna, 1902). Nel 1904 Coletti si allontana dalle posizioni del socialismo riformista e aderisce al Partito Radicale, fondato nel 1878 da Agostino Bertani e riportato a nuova vita politica da Francesco Saverio Nitti. Lo studioso sanseverinate occupa subito una posizione di prestigio e riceve l’incarico di stilare il programma politico-economico, nel quale egli definisce il radicalismo moderno come una formazione politica che “deve corrispondere a interessi, bisogni, tendenze sociali realmente esistenti, anzi preesistenti, e farsene l’espressione politica e l’organo più specifico, più adatto. più conveniente e quindi più caratteristico di quello che potrebbe essere ogni altro partito nell’arena politica del paese”. Preso atto dell’organizzazione politica della classe proletaria che ha portato alla nascita del partiLe Cento Città, n. 50 to socialista, il radicalismo nel suo programma deve riservare “il posto d’onore a quello che suole chiamarsi il riformismo socialista”, tenendo conto che il movimento operaio è “l’anima e la caratteristica della democrazia moderna” (La base economico-sociale del Partito radicale, Critica sociale, 1904). Il partito radicale deve essere liberista per assecondare lo sviluppo industriale e statalista per quanto riguarda la legislazione sociale intesa come legittima conquista della classe operaia, perché tra i tre fattori della produzione (capitale, terra e lavoro), i radicali devono privilegiare il lavoro attraverso il quale l’uomo “eleva la propria condizione morale e materiale” con la conseguenza che i “consumatori verranno a godere effettivamente di maggiori mezzi per consumare”. Dopo la nascita del Partito nazionalista (1910) e la grave crisi del Partito radicale, Coletti si avvicina al liberalismo nazionale, rifiutando gli estremismi del nazionalismo imperialista e guerrafondaio e Economia politica sostenendo che “un nazionalismo nuovo di spirito e di opere sorge là dove prima il cafone, che non aveva fatto confronti di paesi ed era servo senza opinione e senza volontà, non aveva capacità, non dico di sentire, ma di concepire l’idea di questa sintesi potente radiosa di tradizioni e di caratteri, di affetti e d’interessi che è la patria” (L’emigrazione è un male?, Il Corriere della sera, 1911). Nel dopoguerra Coletti si avvicina alla politica agraria del Governo fascista, sostenendo la necessità di estendere la terra coltivabile, di promuovere e rinsaldare la permanenza dei contadini sulla terra, di promuovere la ruralità intesa come valorizzazione di una “popolazione prolifica, lontana dall’urbanesimo, laboriosa, sobria e risparmiatrice” (L’uomo e la terra in Italia, Milano, 1929). Dopo il 1930 l’attività accademica di Coletti si dirada, avviandosi verso un progressivo silenzio, probabilmente in disaccordo con la politica autarchica del fascismo. 21 Il sociologo Francesco Coletti è stato uno studioso all’avanguardia rispetto alla sua epoca per la sua capacità di affrontare i problemi con una visione multidisciplinare, avvalendosi dell’apporto fornito da statistica, demografia, economia politica, economia agraria, diritto, sociologia, psicologia sociale e antropologia culturale. Il prof. Marcello Boldrini, suo discepolo ed emerito studioso di statistica, ha dichiarato: “V’era nel suo intelletto la preoccupazione di illuminare ogni problema da molte facce, di convogliare nella trattazione elementi culturali svariati, non solo scientifici, ma anche storici, artistici, letterari psicologici, per modo che in ogni cosa ch’egli dicesse o scrivesse, sentivamo un calore comunicativo, un palpito di vita, insomma un’anima che si faceva strada nelle nostre menti ancora acerbe e inesperte, seminandovi insieme a molte conoscenze, i primi elementi del metodo e della tecnica statistica”. Coletti è uno dei primi studiosi Le Cento Città, n. 50 italiani a occuparsi di sociologia e che, in un primo tempo, segue il positivismo sociologico basato sull’“oggettivismo evoluzionistico” di Spenser e Durkheimer, per poi diventare un esponente di quella sociologia complessa basata sulla teoria della relazione sociale. Egli si avvicina alle teorie di Max Weber che, in quello stesso periodo, sta mettendo a punto metodologie e strumenti di ricerca adeguati per un’indagine scientifica dei fenomeni sociali complessi (L’oggettività conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale, 1904), che comincia a occuparsi di sociologia rurale (Le relazioni dei lavoratori della terra nella Germania orientale, 1892) e di sociologia economica (L’etica protestante e l’etica del capitalismo, 1905). Sul piano generale i due studiosi hanno la stessa concezione delle scienze sociali: Weber sostiene che l’individuo deve essere considerato l’attore sociale dei fenomeni sociali, collocando gli aspetti ambientali, politici, economici, culturali all’interno di Alberto Pellegrino contesti territorialmente delimitati; Coletti afferma che “l’attenzione nostra deve spostarsi dallo Stato alla società, dagli effetti politici alle classi sociali, dalla legislazione di classe alle classi stesse, cioè ai loro bisogni, interessi, intelligenza, moralità, tradizioni storiche ecc. costituenti gli elementi e gli impulsi della loro azione politico-economica”. Per prima cosa Coletti affronta il problema delle classi sociali che costituisce allora un argomento centrale della ricerca sociologica europea. Egli parte dalla considerazione che nella realtà sociale non tutti gli elementi sono perfettamente collocati al loro posto secondo un assetto semplice e lineare, per cui diventa difficile individuare una netta divisione tra le classi sociali, perché fra queste solo una parte è rigidamente organizzata per una difesa cosciente e coerente dei propri interessi. All’interno di ogni classe esiste, infatti, una zona grigia che “risente più o meno vivamente dell’interdipendenza degli interessi propri e di quelli delle classi vicine 22 e concorrenti” e quindi poco propensa alla lotta, più portata al compromesso e a tenere una condotta moderata, soggetta a seguire l’egoismo che caratterizza la vita economica. Le stesse classi sociali sono caratterizzate da profonde diversità essendo costituite da “detentori delle grosse fortune industriali e fondiarie…dalla piccola e media borghesia…vale a dire i piccoli e medi proprietari fondiari, coltivatori e non coltivatori, i piccoli e medi industriali, commercianti, imprenditori, intermediari, tutti coloro che vivono di redditi misti, saltuari, di varia origine”. Nella stessa classe operaia vi sono delle differenziazioni dovute al tipo di lavoro svolto, al sistema delle retribuzioni, alla regione di appartenenza, alla formazione culturale e alle diversità psicologiche. Coletti ha il merito di aver individuato nel 1904 l’importanza sociale della classe dei lavoratori intellettuali formata da liberi professionisti e addetti ai pubblici uffici, anticipando Max Weber che scriverà alcuni anni dopo Il lavoro intellettuale come professione. Coletti Le Cento Città, n. 50 si occupa anche di legislazione sociale e di emigrazione, di coscrizione militare e di mortalità infantile, del rapporto tra classi sociali e delinquenza. Uno dei fenomeni che più lo interessano è l’analfabetismo che considera una grave piaga sociale, ritenendo insufficiente il conseguimento della licenza di terza elementare che continua a essere una conquista limitata per cause sociali e politiche. Egli sostiene che l’istruzione obbligatoria non debba arrestarsi al decimo anno d’età, per cui sarebbe necessario innalzare l’obbligo scolastico secondo il modello britannico che l’ha portato al quattordicesimo anno, oppure secondo il modello statunitense che l’ha esteso da sei a otto anni (La capacità intellettuale e politica degli alfabeti e degli analfabeti, 1912). Coletti ha fornito i contributi più originali e innovativi nel campo della psicologia sociale, dove segue la teoria della Psiche collettiva o psicologia dei popoli, che ha come principale oggetto di studio i gruppi sociali e che pone sullo stesso piano lo studio considera dell’individuo e Economia politica delle condizioni concrete della vita sociale. La teoria della psiche collettiva tiene conto della diversità degli ambienti sociali strettamente legati alla diversità delle forme, delle funzioni e delle conseguenze proprie dell’economia rurale e dell’economia industriale, rifiuta le teorie astratte che considerano la realtà sociale come immutabile, perché ritiene che la vita sociale sia una catena di eventi, di sistemi e di forme differenti, ma tali da consentire una previsione del futuro. Coletti applica la psicologia sociale al mondo rurale con due studi di fondamentale importanza: La psicologia del contadino e il progresso dell’agricoltura (1905); Zone del progresso e zone della stazionarietà o zone urbane e zone rurali (1911). In essi egli mette in primo piano il “valore uomo” nella convinzione che solo attraverso un forte legame tra l’uomo e il territorio sia possibile costruire delle politiche sociali finalizzate al miglioramento umano e alla modernizzazione. Egli sottolinea l’importanza dell’egoismo sociale e distingue tra l’egoismo edonistico, che tende alla conservazione della specie e alla ricerca di propri vantaggi, e l’egoismo individuale che agisce a vantaggio degli altri e che è mobile, poiché cambia nel corso della storia a seconda del contesto ambientale e sociale, dato che “il carattere e i bisogni dell’uomo sono un prodotto storico, nel quale l’uomo vive e opera, e possono dare un indirizzo anche altruistico alla tendenza edonistica dell’egoismo”. Coletti individua all’interno della società le zone rurali caratterizzate dalla staticità e le zone urbane contraddistinte dalla dinamicità: a questa ripartizione corrisponde una psiche rurale statica basata sul sentimento più che sulla ragione e segnata da un forte legame con la tradizione; alle zone urbane corrisponde una psiche urbana più agile, libera, dinamica e più razionale (“L’idea è rivoluzionaria, come il sentimento è conservatore”). Il mondo contadino è caratterizzato da una limitazione e da una scarsa qua- 23 lità dei bisogni, dalla mancanza di sentimenti superiori e raffinati, dal prevalere del tornaconto egoistico sull’altruismo, “un lusso che il povero villano non può permettersi”. Il contadino ha una mentalità regolata dal ritmo delle stagioni e questo comporta una quasi totale assenza di idee astratte, che sono tipiche della cultura urbana, per cui si registra una scarsa capacità di ideazione, una chiusura alle innovazioni, un attaccamento ai beni materiali, una staticità di tradizioni, usi, costumi, credenze religiose, abbigliamento, impiego di attrezzi di lavoro e domestici. Coletti contesta, però, i pregiudizi e gli stereotipi sul mondo contadino diffusi nella società urbana, denuncia l’indifferenza di psicologi e sociologi verso il mondo rurale, esalta la capacità che ha il contadino di “sentire la terra” che gli consente di aspirarne gli odori, d’intuirne i segreti più intimi, di amarla e ingiuriarla come un amante geloso e appassionato, di possedere la terra in un modo violento e “romantico”, di uniformarsi e legarsi all’ambiente, per cui è pronto a compiere qualsiasi azione per mantenerne il possesso. Coletti ritiene tuttavia che si tratti del contadino “dei tempi volgenti al tramonto”, perché si vanno delineando le condizioni per far nascere il contadino “dei tempi nuovi” per un insieme di cause favorevoli a un’evoluzione del mondo agricolo: l’emigrazione che mette in contatto con mondi nuovi; lo sviluppo delle comunicazioni; i rapporti più stretti con i centri urbani, la leva militare, la diffusione dell’istruzione elementare, la propaganda politica che arriva anche nelle campagne; la creazione di istituzioni socialmente ed economicamente utili come le società di mura assicurazione, le cooperative di consumo e di acquisto delle materie prime, le casse rurali; la scoperta di, nuovi sistemi di coltivazione. “Nessuno potrà ritenere sul serio che solo chi all’agricoltura consacra tutte le sue potenti energie, il contadino, sia refrattario a trasformarsi, quasi avesse subito un soprannaturale Le Cento Città, n. 50 arresto di sviluppo”, molto invece dipenderà dall’impegno di proprietari e dirigenti di aziende agricole per superare “lo scetticismo scansafatiche, il quale spinge tanti proprietari a gettare sulle larghe spalle del villano le responsabilità dell’inerzia agricola”. Coletti può essere considerato uno dei fondatori della sociologia rurale, avendo fatto studi di notevole valore sul rapporto tra l’uomo e la terra, sull’energia umana e sull’acqua considerate le due forze considerate motrici del mondo agricolo, sulle classi rurali, sull’esatto censimento della popolazione rurale; egli si è inoltre occupato di fenomeni più specifici come i movimenti demografici, l’emigrazione e il mondo contadino, l’incidenza della delinquenza sulle classi rurali, la coscrizione militare, l’occupazione femminile in agricoltura, i contratti agrari, la demografia come scienza sociologica, il rapporto tra storia rurale e coscienza rurale. Coletti e le Marche Coletti ha dedicato alle Marche tre studi di sociologia e psicologia rurale che sono ancora interessanti per comprendere l’evoluzione della società marchigiana e il carattere dei suoi abitanti: Le Marche i moti del 1914. Osservazioni sopra una regione a tipo agricolo e artigiano (1914), Una regione equilibrata (1923), Il carattere rurale nell’economia e nello spirito delle Marche (1925). “Le Marche – scrive Coletti nel 1914 – non hanno caratteri estremi…Le Marche sono piuttosto intermedie. E’ forse per ciò che esse poco impressionano e non sono abbastanza conosciute”. Il carattere fondamentale della società marchigiana è la “ruralità”, perché gran parte della popolazione è occupata nell’agricoltura e, rispetto alle altre regione, si registra il maggior numero di mezzadri che vivono sparsi nelle campagne, mentre il resto della popolazione, ad eccezione di Ancona che è una città di media grandezza, vive in “centri piccoli o picco- Alberto Pellegrino lissimi, e questi, per giunta, ripartiti in numerose e minuscole frazioni, così che il centro urbano si riduce di solito a una quota molto modesta della popolazione complessiva del rispettivo comune”. Proprietari e mezzadri, che sono Il 70 per cento della popolazione, sono strettamente legati alla terra, “nel senso che l’importanza e la sorte della produzione rurale determinano la consistenza economica, il reddito, il benessere familiare…che i piccoli centri di case e gli stessi modesti nuclei urbani sono circondati e quasi assediati da ogni lato e compenetrati con assidui e avvolgenti contatti, dal fitto popolo delle campagne”. Le Marche non si possono considerare una regione ricca, ma in esse è diffuso “un benessere modesto ma continuativo e solido, non goduto da zone che hanno una ricchezza complessiva maggiore”. L’economia marchigiana si basa principalmente sulla ricchezza agricola che deriva dal fattore lavoro dei piccoli proprietari coltivatori e dei mezzadri e questi ultimi assomigliano a piccoli proprietari, perché sono associati ai proprietari dei fondi, con i quali dividono i prodotti della terra, possiedono metà delle scorte e del bestiame. L’altra forza economica delle Marche sono gli artigiani “che, accanto alla generica borghesia e ai piccoli commercianti e bottegai, completano la collettività economica e civile della regione”. Coletti individua infine i principali aspetti che distinguono il carattere dei marchigiani e che si possono così riassumere: 1. L’individualismo è proprio del 24 marchigiano che “sente distintamente la sua personalità e tende ad agire per conto suo e da solo”, perché ha un carattere duro e tenace che lo spinge a diffidare dell’associazionismo anche se potrebbe portare dei vantaggi; l’individualismo è presente nelle varie classi sociali, perché “si riconnette all’estrema riservatezza e alla ombrosa gelosia che esso ha per le cose proprie”. 2. Lo spirito di laboriosità è una caratteristica specifica del mondo contadino e artigianale, mentre aristocrazia e borghesia preferiscono vivere nell’inoperosità: “Sono troppi coloro che, accontentandosi delle rendite dei modesti patrimoni, sciupano il tesoro del tempo…nelle gare delle ambizioncelle locali e nelle chiacchiere dei caffè e delle farmacie”. 3. I marchigiani sono intelligenti e buoni ragionatori perché ai contadini è spesso affidata la gestione dei campi, per cui la loro mente tende a “dirozzarsi”, a sviluppare i criteri tecnici ed economici per dirigere un’azienda agricola; lo stesso avviene per gli artigiani che, oltre a essere più istruiti, sono a contatto con un ambiente urbano culturalmente più evoluto. 4. Lo spirito di contentabilità si basa sulla tendenza al risparmio, favorito dall’agricoltura che assicura un reddito annuale medio senza rischi eccessivi, anche se questo non favorisce le trasformazioni agrarie, sviluppa desideri moderati e fa considerare sufficiente quello che è possibile e normale guadagnare; la sicurezza di un reddito modesto ma sicuro spinge il contadino e Le Cento Città, n. 50 l’artigiano a condurre una vita modesta e questa tendenza si riflette anche nel carattere schivo e nella modestia di uomini di grande valore e cultura. 5. La democrazia dei costumi si manifesta nei sentimenti e nella cortesia dei marchigiani, i quali hanno “un istinto ugualitario, che li induce a non fare troppe differenze fra persona e persona, quale che sia la classe anche cospicua cui gli individui appartengono, e a considerare come cosa molto naturale l’uguaglianza nei diritti sia nella vita civile sia nella vita pubblica”. 6. Le idee politiche dei marchigiani riflettono questo spirito d’innata democrazia, per cui essi aderiscono a quei partiti politici che difendono gli interessi dei ceti intermedi e che si battono per il progresso economico. Le maggiori adesioni riguardano il Partito repubblicano e il Partito popolare che è seguito anche nelle campagne. L’assenza di forti differenze di classe e di forti concentrazioni industriali ha limitato e condizionato la diffusione del socialismo e Coletti ha l’impressione che “il socialismo rampollante nelle Marche sia più che altro un’importazione a tipo mentale o riflesso, come effetto sia della suggestione di quanto avviene altrove sia della lettura dei giornali”. 7. L’equilibrio delle facoltà riguarda “l’equità della condotta e dei giudizi” e costituisce il carattere morale dominante che riunisce tutte le altre qualità dei marchigiani e si riflette sul mondo della produzione e sui rapporti tra le classi sociali. Le mostre 25 Franco Cacciaguerra (Milano 1926-Roma 1973) Palazzo Gradari, mostra antologica di Grazia Calegari Si è tenuta a Pesaro con grande successo di pubblico e critica, dal 12 ottobre al 10 novembre, una mostra insolita, perché rappresentava contemporaneamente un omaggio retrospettivo ma anche un esordio, dato che Cacciaguerra non ha mai voluto partecipare a mostre o esposizioni. Per la prima volta si è fatto conoscere un artista dalla vita intensa e movimentata, sempre ritroso e inquieto nei numerosi spostamenti e tappe della vita. Il suo nome è noto soprattutto perché fu protagonista nel 1953 di un raid che fece epoca e che entrò nelle cronache: da Pesaro a Bombay in Lambretta assieme ad Annì Ninchi, figlia del grande attore Annibale e sorella di Arnaldo, altro indimenticabile nome legato alla città. Franco Cacciaguerra è stato pittore dalle qualità native straordinarie, coltivate all’Accademia di Brera dove ha studiato su consiglio di Anselmo Bucci, amico di famiglia anche perché originario di Fossombrone come Ero Giungi Cacciaguerra, madre di Franco e pianista. I primi anni della sua pittura, rappresentati anche nel catalogo di mostra, dimostrano le affinità e le distanze tra il giovane e Bucci, che ritrae Franco con affettuosa attenzione in opere finora ignote nel catalogo ormai studiatissimo del pittore di Fossombrone. Ma via via, dal 1960 in poi, le conoscenze italiane e francesi di Cacciaguerra determinano una svolta lenta e progressiva, che culminerà, dopo il suo trasferimento a Roma, in una pittura a piccole zone,”taches” da cui la definizione di “tachisme”, collocate in superfici totalmente astratte. Questa fase finale, interrotta dalla morte precoce a 47 anni, è stata ampiamente documentata in mostra, grazie alla raccolta di opere rintracciate in Italia e in Europa, e dovuta alla passione e alla dedizione instancabile del prof. Serafino Giulietti, che ha raggiunto i quadri nelle varie località e ne ha consentito la Le Cento Città, n. 50 catalogazione, per un numero complessivo di circa 300. Hanno condiviso lo studio e l’analisi il prof. Francesco Rossi, direttore della Quadreria Cesarini di Fossombrone, e chi scrive, entrambi autori dei saggi del catalogo, pubblicato dalla Stibu di Urbania e fondamentale per la conoscenza di questo artista. Franco Cacciaguerra si aggiunge oggi al ricco panorama del novecento marchigiano: artista privo di impronte locali ma fortemente innervato, per esperienze di vita e di amicizie, nella storia della cultura regionale. Le mostre 26 Pietro Paolo Rubens Assunzione, Museo Diocesano di Ancona. Le Cento Città, n. 50 Le mostre 27 Da Rubens a Maratta Le meraviglie del Barocco nelle Marche di Costanza Costanzi Inaugurata il 29 giugno scorso, la mostra “Da Rubens a Maratta - Le Meraviglie del Barocco nelle Marche” si protrarrà fino al 12 gennaio 2013: una durata eccezionale – quasi un semestre – avallata e resa necessaria da un’affluenza di pubblico straordinaria per un appuntamento espositivo, ricco di molti inediti, di opere sottratte da un secolare oblio e reso ancora più attrattivo dalle illustri presenze artistiche, che avevano reso splendida la Roma barocca e che – chi l’avrebbe mai sospettato prima? – giungono nel corso del secolo XVII a dare vitalità artistica e spessore culturale alla nostra regione. Percorrendo le sale della mostra, allestita nello storico Palazzo Campana di Osimo (ma l’itinerario comprende anche il salone di Palazzo Gallo e alcuni luoghi-simbolo della città e del territorio), si sfata la leggenda delle Marche marginali, periferiche, depresse: da Pomarancio a Guido Reni, da Rubens a Guercino, da Orazio Gentileschi, ad Andrea Sacchi, a Mattia Preti, fino a Salvator Rosa, ai francesi Simon Vouet e Francois Perrier fino all’allora celeberrimo e celebratissimo Carlo Maratta. Nativo di Camerano (AN) e romano di adozione, il Maratti fu senza dubbio il pittore più acclamato nell’Europa dell’epoca, preferito da ben sette papi, da molti regnanti (Luigi XIV, le Roi Soleil tra questi), da aristocratici, banchieri, alti prelati, ricchi forestieri. Una carriera durata oltre mezzo secolo, testimoniata da una produzione artistica cospicua nel numero e nella qualità, e corroborata da diversi ‘saperi’ complementari, che lo videro, oltre che pittore acclarato, di volta in volta incisore, figurista, disegnatore, restauratore, collezionista, nonché arbitro indi- scusso delle scelte culturali della Roma del XVII secolo. Viene da chiedersi, di fronte a tanti capolavori e nomi eccellenti, da dove scaturisca un così autorevole parterre artistico nelle Marche seicentesche. Un viatico lo fornisce il Ritratto del Cardinale Antonio Barberini di Carlo Maratti: un ritratto a tutt’altezza, solenne e insieme grave, con quell’impareggiabile mix di apparenza pubblica e di sostanza interiore, che solo i grandi pittori sono in grado di trasferire sulla tela. Posto con magistrale evidenza espositiva in fondo al corridoio di palazzo Campana, il Cardinale rappresenta simbolicamente una chiave di volta per comprendere il singolare contesto artistico illustrato nella mostra. Il potente casato Barberini (affermatosi con l’ultraventennale papato di Urbano VIII, zio del ritrattato), stabilisce una sorta di egemonia culturale sulle Marche, esercitata da parenti, affiliati e fedelissimi: un ‘familismo’ (come lo chiameremmo oggi) capillare e molto infiltrante nei gangli della politica artistica del territorio, che include centri come Urbino, Fabriano, Arcevia, Barbara, Ostra: luoghi certamente suggestivi, la cui centralità oggi appare impensabile, ma che all’epoca erano connessi più o meno direttamente con il potere e con la sua interfaccia artistica, il cosiddetto ‘stile barberiniano’, calibrata commistione di enfasi barocca e di aulico classicismo. Si comprende allora come, ad esempio, un artista come Andrea Sacchi, rinomato pittore e maestro del Maratti a Roma, invii ad Ostra la pala con San Tommaso d’Aquino e San Bonaventura da Bagnoregio, composizione austera, immersa in atmosfere meditative e rarefatte; o come il pistoiese Lazzaro Baldi, Le Cento Città, n. 50 allievo di Pietro da Cortona, realizzi per Fabriano il Martirio di Sant’Agata, giocato sul contrasto cromatico tra le eburnee carni della Santa e le sulfuree figure dei suoi aguzzini. Ma le vie del Barocco nelle Marche sono anche altre. Sono, per esempio, quelle della diaspora di artisti marchigiani – G. Francesco Guerrieri da Fossombrone, Simone Cantarini da Pesaro, il Sassoferrato – che lasciano la loro terra d’origine e convergono su Roma e su Bologna (le due riconosciute polarità dell’arte e della cultura nello Stato della Chiesa), trovandovi successo e fama. O sono outsiders come Salvator Rosa, bizzarro pittore napoletano, che ci cimenta con un tormentato San Nicola da Tolentino per Fabriano. Sono ancora le due diverse declinazioni del linguaggio figurativo bolognese, Guido Reni e Guercino, che si confrontano in mostra attraverso alcuni loro capolavori marchigiani: del primo, paradigma del ‘bello ideale’ il San Sebastiano di Ascoli Piceno, del secondo, l’umanità quasi profana dell’Immacolata Concezione di Ancona. Se con il sacro fulgore cromatico dell’ arazzo rubensiano dell’ Assunzione si apre la mostra, a chiuderla è ancora una volta Carlo Maratti: ritratti, allegorie, pale d’altare, che attestano la poliedrica valentìa di un protagonista, che con il suo linguaggio misurato e solenne, classico e barocco al tempo stesso, rappresenta la sintesi delle molteplici anime del Seicento, e l’esemplare modello per le nuove generazioni di artisti, alcuni dei quali, usciti dalla scuola marattesca (Procaccini, Chiari, Berrettoni etc), ne prolungano l’insegnamento fino a Settecento inoltrato. 28 Le Cento Città, n. 50 L’arte 29 Luigi Serra per la Galleria Nazionale delle Marche di Grazia Calegari Un convegno e una mostra, realizzata nel Salone dei Banchetti di Palazzo Ducale, sono l’omaggio di Urbino a Luigi Serra (Napoli 1881 - Roma 1940), docente di Storia medievale e moderna, Soprintendente nelle Marche fino al 1931, animatore della Galleria Nazionale delle Marche a Urbino, ordinatore della Galleria Comunale di Ascoli Piceno, della Pinacoteca di Pesaro, del Museo della Santa Casa di Loreto. A lui va il grande merito di avere contribuito alla conoscenza del territorio delle Marche, con la pubblicazione di guide, cataloghi, inventari e studi sugli artisti marchigiani, oltre ai due volumi dedicati all’Arte nelle Marche. Un figura fondamentale di riferimento, che viene oggi definitivamente analizzata e celebrata, un punto di stabilità esemplare, anche per associazioni nate idealmente e magari inconsapevolmente dalla sua eredità, come le Cento città. Vorrei riassumere in qualche punto i meriti di Serra, che nella mostra di Urbino vengono riproposti, suggeriti, evocati in modo multiforme, per merito della soprintendente Maria Rosaria Valazzi, dei collaboratori Agnese Vastano e Cecilia Prete, e degli estensori delle schede di catalogo che ci fanno sfilare i meriti del Soprintendente come fosse ancora tra noi, cioè come intellettuale vivace e multiforme, rivisto anche nella dimensione privata attraverso fotografie e ricordi di famiglia. Sfoglio il catalogo per dare un’idea del lavoro fatto dagli studiosi e della loro capacità di restituire non solo gli anni dell’attività di Serra, ma anche dell’attualità di potere attingere oggi alla sua geniale scientificità di ricerca e di studio. Ad esempio, al suo arrivo ad Urbino nel 1915 come Diret- tore della Galleria, Serra avvia lavori di restauro che comprendono il giardino pensile, il cortile d’onore, quello del Pasquino, la riapertura delle bifore e dei camini, la sistemazione della facciata ad ali e il ripristino degli ambienti interni. “L’accrescimento del numero delle sale del piano nobile da destinare all’esposizione, ancora occupate dagli uffici pubblici ‘che vi erano tenacemente annidati’, e l’incremento delle opere diventano per Serra una priorità che si traduce in una serrata campagna di acquisti, depositi, trasferimenti e donazioni” scrive Cecilia Prete nel bel saggio introduttivo. Quando Serra nel 1930 pubblica Il palazzo ducale e la Galleria Nazionale di Urbino, quest’ultima conta 38 sale, rispetto alle 31 da lui descritte nella precedente guida pubblicata nel 1922, come prova dell’impegno speso nell’ampliare gli ambienti della Galleria. Come per altri esempi avviati in Italia in quegli anni, nell’intento di ricostruire la vita ai tempi di Federico da Montefeltro, vengono scelti arredi, mobili, strumenti musicali, armi, parati, accanto ai più tradizionali generi museali come quadri, maioliche, sculture. L’interesse di Serra per le arti decorative si ricava da quanto scriveva a commento della Mostra d’arte marchigiana di Ancona del 1921, dove sosteneva la necessità di esporre “…tutte le espressioni d’arte, dall’architettura al mobilio, dalla pittura alla ceramica (…) dai carri dei contadini alle vele delle paranze”, superando così viete categorie gerarchiche e pregiudizi differenziali tra arti maggiori, minori e popolari. Punto di partenza per ricostruire le tappe dell’accrescimento delle raccolte è un dattiloscritto redatto dal Serra alla fine del Le Cento Città, n. 50 suo mandato a Urbino, oggi conservato presso l’Accademia Raffaello a seguito della donazione dell’archivio da parte degli eredi, dove figura l’Elenco delle opere d’arte acquistate oppure ottenute in deposito per la Galleria Nazionale di Urbino nel periodo 1915-1930, per ampliarla da otto sale originarie a trentasette sale. Entrano così nelle collezioni il Ritratto femminile detto La muta di Raffaello, la Flagellazione e la Madonna di Senigallia di Piero, lo stendardo di Luca Signorelli, oltre a dipinti provenienti da Urbino e da altri centri: un insieme di opere che vanno dal trecento all’ottocento e danno l’idea della composita varietà della regione. Si va da Simone de Magistris a Taddeo Zuccari, Filippo Bellini, Claudio Ridolfi, Simone Cantarini, Giovan Battista Salvi, Pietro Tedeschi, Francesco Podesti, Pietro Alemanno, Cola dell’Amatrice: l’arte delle Marche insomma, rappresentata dalle quattro provincie, e arricchita dalla presenza di Adolfo de Carolis, unico acquisto di arte contemporanea. E inoltre, mobili come elementi d’arredo cioè cassoni, tavoli, sedie, armi, e ancora strumenti musicali, parati sacri, oggetti di genere diverso. La vita delle cose insomma, lo scorrere della storia in una concezione museografica d’avanguardia. Per farci penetrare meglio negli intenti di Serra e nello spirito dell’epoca, quasi un revival collettivo che ognuno rivive a suo modo, la mostra è arricchita da un lavoro multimediale messo a punto dal Dipartimento Ingegneria Civile Edile e Architettura dell’Università Politecnica delle Marche. Il video realizzato, di cui è responsabile il prof. Paolo Clini, ci permette di entrare Grazia Calegari 30 Le Cento Città, n. 50 L’arte 31 Fig. 1 - (a sinistra) Scultore camerte, fine del sec. XV, Madonna della Misericordia, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche. Fig. 2 - (in alto) Piero della Francesca, Madonna di Senigallia, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche. Le Cento Città, n. 50 Grazia Calegari 32 Fig. 3 - Adolfo De Carolis, Le Naiadi, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche. letteralmente nel tempo virtuale, guidati dalle stesse parole di Serra e suggestionati fortemente da alcune foto storiche di Palazzo ducale, fornite dall’archivio della Soprintendenza. Si passa dal passato al pre- sente, con tecniche fotografiche particolari che consentono immagini panoramiche sferiche ‘full dome’ realizzate attraverso procedimenti di ‘stitching’ di singole riprese fotografiche. Un’esperienza d’avanguar- Le Cento Città, n. 50 dia, che imprime alla mostra un’accelerazione dal passato al futuro. E non si è trascurata la dimensione privata, per ricostruire accanto all’attività intellettuale di Serra quella domestica e famigliare: cinque bacheche contengono foto, oggetti, disegni, libri e riviste, raccolte con amorevole vastità da Gianni Volpe. Si va da cartoline e ricordi di viaggi, ai legni originali con le incisioni di Bruno da Osimo suo carissimo amico, alla lista del pranzo di nozze, al curriculum professionale, agli appunti di studio, alle foto marchigiane, ai discorsi inaugurali e alle commemorazioni. Infine i suoi scritti: dalle riviste specializzate (“Emporium”, “Rassegna d’arte”, ecc.) alla “Rassegna Marchigiana” di sua invenzione, strumento di lavoro ancora consultabile, ancorchè datato. E i cataloghi, e le Guide al Palazzo Ducale e alla Galleria Nazionale delle Marche, la sua creatura più amata. A lui è stata infine dedicata l’intitolazione dell’Ufficio Catalogo della Soprintendenza, cerimonia che ha preceduto l’inaugurazione della mostra, aperta il 24 ottobre e destinata per alcuni mesi alla fruizione, che potrebbe auspicabilmente diventare permanente, come completamento museografico del Palazzo e della Galleria delle Marche. ART - DanielaHaggiag.com MESSAGGIO PUBBLICITARIO CON FINALITÀ PROMOZIONALE. LE CONDIZIONI ECONOMICHE E CONTRATTUALI SONO DETTAGLIATE NEL “FOGLIO INFORMATIVO” DI CREVAL TIME DEPOSIT DISPONIBILE PRESSO TUTTI I NOSTRI OPERATORI DI SPORTELLO E SUL SITO WWW.CREVAL.IT SEZIONE “TRASPARENZA”. Il tuo valore cresce nel tempo. Con CrevalTimeDeposit, il deposito in euro del Gruppo Creval, custodiamo per te una somma di denaro per un periodo concordato ad un tasso fisso. Alla scadenza, avrai il 100% del capitale e gli interessi maturati nel periodo. 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È stato il generale Anders, fondatore e comandante in capo di questo Corpo d’armata, a creare il Polish Women Army Service, impiegando queste ragazze come ausiliarie per i servizi logistici e sanitari, ma soprattutto come autiste dei pesanti autocarri militari Doge, Citroen e Chevrolet, affidando loro mansioni un tempo riservate soltanto agli uomini. In un ambiente militare sessista e diffidente nei confronti delle donne, queste giovani tra i 18 e i 20 anni hanno dovuto superare stereotipi e pregiudizi, regole e tradizioni radicate nel tempo. Queste “soldatesse”, che hanno attraversato i deserti dell’Asia e dell’Africa e che hanno risalito tutta la penisola italiana, hanno dimostrato la loro forza e il loro coraggio, guidando dei camion carichi di materiale lungo piste quasi impraticabili e strade insicure; hanno aggiustato motori e cambiato le pesanti gomme forate: hanno impugnato il fucile, quando era necessario fronteggiare un nemico determinato e feroce. Queste donne al volante hanno cambiato molte mentalità e segnato un’epoca con la loro valorosa epopea, come ha giustamente ricordato al termine della guerra l’ispettrice delle ausiliarie colonnello Bronislawa Wyslouchowa: “Attraverso la comune esperienza ottenuta con la disperata lotta contro le epidemie, la fame e la povertà in Russia, attraverso il caldo bruciante dei deserti iracheni ed egiziani e l’intenso sforzo combattendo per la vita dei soldati feriti e fornendo provviste a quelli abili, si è forgiato lo spirito delle volontarie. È sicuro che l’alta opinione che si sono guadagnate – considerazione spesso messa in dubbio nei primi giorni della loro esistenza - è divenuta inconfutabile”. Questo libro ha quindi il merito di documentare una pagina di storia della seconda guerra mondiale fatta di abnegazione e di silenzioso eroismo, una pagina pressoché sconosciuta che era opportuno far conoscere al pubblico italiano e ai marchigiani di oggi, i quali hanno una grande debito di riconoscenza verso i combattenti polacchi che hanno dato un pesante contributo di sangue nella lotta per la libertà e la democrazia, come dimostra il Cimitero di guerra polacco adagiato sul fianco della collina sottostante il Santuario di Loreto. Una nuova rivista Marca/Marche È uscita recentemente per i tipi di Andrea Livi, benemerito editore di riviste e studi storici delle Marche, la rivista Marca/ Marche che già esprime attraverso il titolo l’intenzione di costruire, partendo dalle peculiarità locali, un’articolata visioLe Cento Città, n. 50 ne storica della regione, dalla Marca Anconetana e Maceratese alla Marca Fermana, dal Ducato di Urbino al territorio ascolano, cercando di ritrovare un’unità là dove per secoli vi è stata divisione, per cui questa finalità colloca la pubblicazione vicina alle nostre Cento Città. La complessa storia delle Marche dovrà essere ricostruita attraverso i capoluoghi, le città e la miriade di piccoli centri che hanno tutti i loro caratteri distintivi, le loro peculiarità, le loro testimonianze di straordinaria e spesso sconosciuta importanza. La nobiltà di questa terra passa attraverso le innumerevoli abbazie, conventi, chiese, cattedrali, università, biblioteche, teatri e opere d’arte che sono il segno di una civiltà antica e diffusa sul territorio. Per fare questo, oltre a dichiarasi aperta ai contributi di quanti vorranno collaborare, la rivista ha costituito una redazione di validi studiosi tra i quali si segnala la presenza di Marco Moroni, Francesco Pirani, Fabio Mariano, Paolo Peretti e Giorgio Semmoloni. Il primo numero è dedicato al tema dei santuari e dei pellegrinaggi compresi tra la costa adriatica e la catena appenninica umbro-marchigiana con particolare riferimento ai santuari di Loreto, S, Nicola di Tolentino, S. Giuseppe da Copertino a Osimo, Santa Maria a Mare. Questa panoramica si conclude con uno studio di Marco Moroni sul rapporto tra santuari, pellegrinaggi ed economia. Saggi riguardanti argomenti particolari affrontano i temi dei tatuaggi sacri e profani nella Santa Casa di Loreto, della Lega degli Amici della Marca, una confederazione ghibellina del primo Trecento, della Pubblica Libraria fermana e dello Studio cittadino, dei Deputati marchigia- Libri ed Eventi 35 È stato pubblicato a cura di Germano Liberati e Mario Liberati il volume Il Teatro Alaleona di Montegiorgio (Andrea Livi editore, Fermo, 2013). Questo interessante edificio teatrale è stato progettato nel 1870 dall’ingegnere-architetto Giuseppe Sabbatini, che ha diretto anche i lavori di costruzione fino al 1884, un protagonista dell’architettura nella Marca fermana, la cui opera personalità è stata illustrata in un saggio di Silvia Del Bianco. Nel libro si parla della genesi della vita teatrale nel paese di Montegiorgio, delle vicende che hanno portato alla progettazione e alla costruzione del teatro, delle sue caratteristiche architettoniche (una sala a ferro di cavallo con tre ordini di palchi e un loggione a balconata) fino ad arrivare ai lavori di ristrutturazione e di restauro illustrati dall’arch. Fabio Torresi. Marisa Callisti si è invece occupata degli eleganti ornamenti decorativi opera di artigiani montegiorgesi e della decorazione del plafone realizzata dal pittore Giovanni Picca. Tutta la ricerca è stata condotta sulla documentazione d’archivio e sul materiale (manifesti, fogli, locandine) appartenenti a collezioni private. è stato trasmesso il modello femminile sibillino che ingloba la seduttrice e la salvatrice, l’apporto dato dalle tradizioni popolari, da storici e letterati e, in particolare, dalle notizie contenute nel primo romanzo cavalleresco italiano Guerin Meschino di Andrea da Barberino e il dettagliato racconto di Antoine de La Sale intitolato Il Paradiso della regina Sibilla. L’opera è il risultato di un’approfondita ricerca storica e antropologica, è corredata da un’ampia documentazione e da un ricco apparato di note, per cui rappresenta un ulteriore contributo per la conoscenza di questa grande saga marchigiana. Il volume è suddiviso in tre parti. La prima parte s’intitola Sibilla e Sibille, pagane e cristiane, dall’antichità al medioevo e vi sono trattati i temi delle Sibille antiche e la tradizione oracolare pagana, ebraica e cristiana, della Sibilla appenninica e il linguaggio delle pietre, della divinità cultuate nell’area di Norcia, ipotesi di lasciti di antichi culti femminili di fertilità. Nella seconda parte, intitolata Le Sibille medioevali, si parla della Sibilla medioevale, profetessa, fata, maga e strega tra spirituali ed eresia, della Sibilla di Andrea da Barberino e di Antoine de La Sale. Nella terza parte, infine, è trattato l’argomento della Sibilla Appenninica di scrittori, viaggiatori e curiosi. Un nuovo saggio sulla Sibilla Fantasmi ad Urbino La Sibilla appenninica continua a suscitare un vivo interesse negli studiosi nonostante la vasta bibliografia esistente sull’argomento. Maria Luciana Buseghin ha pubblicato il saggio L’ultima Sibilla. Antiche divinazioni viaggiatori curiosi e memorie folclori che nell’Appennino umbro-marchigiano. Con il contributo “Dentro le parole”. Finestre etimologiche di Giancarlo Gaggiotti (Carsa Edizioni, Pescara, 2013). Nell’opera si analizza il passaggio dalla Sibilla classica a quella medioevale con la trasformazione dell’antica profetessa in una maga demoniaca e sensuale, come Lo scrittore urbinate Alessio Torino sceglie, sulla scia di Volponi, di ambientare nella città natale il romanzo Urbino, Nebraska (Minimum fax, 2013) Si tratta di un’opera strutturata su quattro tempi , ognuno incentrato su di un personaggio caratterizzato da un rapporto di amore-odio verso la città, diviso tra il desiderio di fuga e l’attaccamento alle proprie radici urbane. Qualcuno si finge forestiero, qualcun altro ha preferito andare all’estero, un altro ancora ha scelto la strada del convento per sfuggire a ricordi troppo ingombranti. Ma tutti questi personaggi ni all’Assemblea Costituente (1946-47). Il Teatro di Montegiorgio Le Cento Città, n. 50 sono accomunati da una tragedia familiare: la morte di due sorelle decedute per overdose do eroina, i cui corpi sono stati rinvenuti alla Fortezza. Questo evento, che in una metropoli sarebbe passato quasi inosservato perduto nell’anonimato tante altre storie simili a questa, nella piccola comunità marchigiana diventa un evento drammatico e carico di turbamento, una ferita difficile da far rimarginare. L’autore, senza cadere nel crepuscolarismo che spesso avvolge la provincia italiana, è bravo nel collocare in un ambiente quotidiano i fantasmi psicologici che agitano i protagonisti e i personaggi di contorno e che finiscono per sconvolgere i rituali festivi, i salotti borghesi, i rapporti delle famiglie. Il Parco del Monte San Vicino Nel 2009 l’Assemblea regionale delle Marche ha istituito la Riserva naturale regionale del Monte San Vicino e del Monte Canfaito, la quale occupa 1.500 ettari compresi nei territori dei Comuni di Matelica, Gagliole, San Severino Marche e Apiro. Il provvedimento è stato preso per tutelare un’area di grande valore naturalistico soprattutto sotto il profilo floristico e faunistico. Con il contributo della Comunità Montana Ambito 4 (ente gestore della riserva) è stato pubblicato un bellissimo volume fotografico intitolato Il Monte San Vicino. Un viaggio di sensazioni, emozioni e meraviglia nel territorio della Riserva del Monte San Vicino e Monte Canfaito (Edizioni Afni Marche, Ancona, 2013). Attraverso una serie d’immagini molto suggestive, che seguono anche il ritmo delle stagioni, si è voluto fornire una testimonianza iconica di questa zone dell’Appenino marchigiano, posta tra le province di Ancona e Macerata, dominata dal grande cono del San Vicino che con la sua altezza di 1479 metri attira lo sguardo da gran parte della Marca centrale. Le foto documentano picchi rocciosi e vallate, canaloni quasi scono- Alberto Pellegrino 36 Il Monte San Vicino. sciuti e prati verdeggianti, i colori e le affascinanti atmosfere dei boschi con un particolare rilievo per la millenaria faggeta di Canfaito. Vi sono poi le albe e i tramonti, la presenza di una fauna particolarmente ricca (fantastici i colori di uccelli e farfalle), di una flora che presenta specie floristiche assolutamente rare. Il volume è stato realizzato dagli specialisti della Sezione marchigiana dell’Associazione Fotografi Naturalisti Italiani, impegnata nella documentazione e nella tutela della natura grazie alla passione r slls competenza di volontari specializzati nella ripresa fotografica della fauna, della flora e del paesaggio naturale. L’AFNI svolge un’intensa attività, facendo pubblicazioni e organizzando mostre, corsi di fotografia naturalistica e convegni per favorire la divulgazione naturalistica diretta a promuovere una corretta gestione del territorio. un’opera particolare, equamente divisa tra ricerca storica e divulgazione giornalistica, in quanto riesce a mettere insieme argomenti ampiamente conosciuti da chi si occupa di storia del Risorgimento e una serie di notizie, aneddoti e personaggi poco noti o trascurati dagli storici. La linea conduttrice del volume si propone di dimostrare che Garibaldi, pur essendo un anticlericale che avversava la Chiesa come espressione del potere temporale, era anima- to da un sentimento religioso come testimonia sia la sua affermazione “All’esistenza sua (Dio) io credo, così come credo all’immortalità dell’anima mia”, sia la Preghiera del garibaldino. Questa sua posizione spiega perché tanti sacerdoti offrirono il proprio aiuto o militarono tra le “camicie rosse”. Garibaldi, che si batteva “per i valori della pace, della libertà e dell’indipendenza”, ebbe saldi legami con la fede popolare e con gli appartenenti al basso clero. I preti di Garibaldi Il libro I preti di Garibaldi del maceratese Pietro Pistelli (Tracce del Tempo, 2012) è Scene da L’Arlesiana di Francesco Cilea. Le Cento Città, n. 50 Libri ed Eventi Alla grande storia appartengono alcuni capitoli che descrivono Garibaldi come protagonista assoluto del Risorgimento, le sue posizioni antirazziste e a favore della Donna che egli definiva “la più perfetta delle creature”. Infine nel libro si parla della lunga schiera di sacerdoti- cappellani che militarono nelle schiere garibaldine a cominciare da Don Stefano Ramorino, fucilato insieme a Ciceruacchio e i suoi figli; i padri Alessandro Gavazzi e Ugo Bassi, anche lui fucilato dagli austriaci a Bologna (non è stato invece segnalato il soggiorno obbligato di entrambi nel Convento dei Barnabiti di San Severino Marche fino al 1847). Vi sono gli ex sacerdoti come Giuseppe Sirtori, capo di stato maggiore, e Vincenzo Padula, morto a Milazzo con il grado di maggiore; i molti cappellani militari che parteciparono alle campagne garibaldine e alla spedizione dei Mille: Fra Pantaleo, Don Giuseppe Fagnano, Don Angelo Arboit, Don Filippo Patella, Don Ovidio Serino. Tutti questi “martiri e campioni della causa nazionale” avevano risposto all’appello di Garibaldi che aveva visto con soddisfazione “i preti marciare alla testa del popolo per combattere gli oppressori” e che, invece di seguire il Papa-Re, erano rimasti fedeli alla “vera religione di Cristo”. 37 GLI EVENTI L’Arlesiana al Teatro Pergolesi La Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi con un’ottima scelta culturale ha messo in cartellone l’opera L’Arlesiana (1897) di Francesco Cilea (1866-1950) che appare ormai raramente nei repertori lirici, mentre l’autore è un autorevole rappresentante del verismo musicale per l’efficienza drammatica (si può parlare di “teatralità”), l’eleganza dello stile e la sapiente costruzione armonica. L’opera, composta su libretto di Leopoldo Marenco tratto dall’omonimo dramma di Alphonse Daude, si basa sulla contrapposizione tra la sana vita patriarcale della campagna e l’ossessione amorosa del giovane Federico, ammaliato da un’affascinante giovane di Arles, “l’oggetto del desiderio” e il motore della vicenda che non compare mai sulla scena. Accanto al protagonista si colloca Rosa Mamai, una madre affettuosa ma anche oppressiva che cerca di salvare il figlio dalla sua ossessione amorosa, proponendogli di sposare la giovane Vivetta. Quando il guardiano di cavalli Metifio sostiene di essere stato l’amante dell’Arlesiana, Federico cade in uno stato di depressione per uscire dal quale decide di sposare Vivetta. Durante i preparativi per le nozze, ritornare Metifio per dire che sta per rapire l’Arlesiana perché non vuole ritornare da lui. Dilaniato dalla passione, Federico tenta di uccidere il rivale, quindi si rifugia in casa per poi gettarsi dalla finestra del granaio. Le pagine più interessanti dell’opera sono le romanze Vieni con me sui monti del pastore Baldassarre e il celebre Lamento di Federico cavalo di battaglia di tanti grandi celebri tenori. L’edizione dell’ Arlesiana, andata in scena al Teatro Pergolesi, sotto la direzione del M° Francesco Cilluffo, si è avvalsa di cast d’interpreti di sicuro valore come il mezzosoprano Annunziata Vesti (Rosa Mamai), il soprano Mariangela Sicilia (Vivetta), il baritono Stefano Antonucci (Baldassarre) e il tenore Dmitry Golovnin che ha affrontato il ruolo del protagonista con forza espressiva ed estesa vocalità. La regista Rosetta Cucchi, coadiuvata dalla bella scena ideata da Sarah Bacon e dall’ottimo progetto luci di Martin Mclachlan, ha scelto la strada di una fusione tra realismo e simbolismo onirico per mettere in scena la lucida follia di Federico sconvolto dall’insana passione per una donna desiderata, sognata e mai posseduta. La Cucchi, contravvenendo alle indicazioni del libretto, porta sulla scena fantasma di una seducente Arlesiana che si moltiplica, circonda, ammalia e ossessiona Federico sino a spingerlo al suicidio. “E’ come se l’immagine della persona amata, – dice la Cucchi - perennemente sospesa nello stato cosciente, eserciti un’attrazione verso la quale Federico non può difendersi. L’amate ossessionato ascolta il canto della sua sirena e follemente ne segue l’ombra che si muove via via via, diventando una proiezione delle sue follie”. Il ritorno di un film leggendario, Cabiria Il Festival Pergolesi Spontini ha riproposto, in una versione restaurata, il film Cabiria realizzato nel 1914 dal regista Giovanni Pastrone (18831959) considerato un maestro del genere storico romanzato, Le Cento Città, n. 50 Alberto Pellegrino 38 Il ritorno di Cabiria. nel quale già rientravano diversi film che avevano una vasta popolarità (Didone abbandonata, Messalina, Nerone e Agrippina, Gli ultimi giorni di Pompei, Fabiola, Quo vadis?). Lo stesso Pastrone aveva realizzato dei film storici (Giulio Cesare, La caduta di Troia) e di ispirazione letteraria (Il fuoco, Tigre reale, Hedda Gabler), ma arrivò alla celebrità con il primo kolossal prodotto nel mondo dalla durata di tre ore e dieci minuti e un costo di un milione di lire, una cifra stratosferica quando il costo medio di un film era di 50 mila lire. A far lievitare i costi contribuì l’ambientazione durante le guerre puniche con numerose scene di battaglia, distruzioni, incendi, cerimonie sacre spettacolari. La realizzazione richiese pertanto l’impiego di una folta schiera di attori e comparse, l’uso di scenografie complesse e di costumi sfarzosi. Oltre alle scene in interni, girate negli stabilimenti cinematografici di Torino, si fecero nume- rose riprese in esterni girate sulle Alpi, in Sicilia e in Tunisia. Il direttore della fotografia Segundo de Chomòn creò degli effetti cinematografici di grande efficacia visiva come l’eruzione dell’Etna e ottenne delle atmosfere molto particolari grazie all’illuminazione elettrica impiegata per la prima volta. Pastrone, grazie alla macchina da presa piazzata su una piattaforma mobile, inventò a sua volta la “carrellata”, che permetteva di realizzare delle sequenze all’interno delle quali si poteva passare dal campo lungo ai vari piani fino al dettaglio, eliminando la scena fissa nella quale gli attori entravano e uscivano come a teatro. Per dare “dignità letteraria” a questa produzione (allora il cinema era considerato un prodotto popolare), si chiese a Gabriele D’Annunzio di scrivere le didascalie e fu commissionata a Ildebrando Pizzetti la Sinfonia di fuoco per accompagnare la scena saliente del sacrificio di Le Cento Città, n. 50 Cabiria al dio Moloch, mentre le restanti musiche erano di Manlio Mazza (nella proiezione jesina sono state eseguite in diretta musiche di Gluk, Spontini e Rossini). La vicenda, ispirata ai romanzi Salambò di Flaubert e Cartagine in fiamme di Salgari, è complicatissima e ruota intorno alla figura della giovane e bellissima Cabiria rapita dai pirati e venduta come schiava a Cartagine, del giovani condottiero romano Fulvio Axilia che riuscirà a salvarla e a ridarle la libertà insieme al fedele schiavo Maciste (interpretato dal gigantesco Bartolomeo Pagano) che diventerà il protagonista di numerosi altri film. Il film, oltre che in Italia, riscosse un successo internazionale con lunghe proiezioni anche a Parigi e New York. La 27a Biennale Internazionale dell’Umorismo nell’Arte Riteniamo che l’aspetto più valido della 27^ Biennale Libri ed Eventi Internazionale dell’Umorismo nell’Arte di Tolentino sia un ritorno all’umorismo “puro”, senza infingimenti e scappatoie, senza “se” e senza “ma”, così com’era stata ideata nel 1961 dal suo fondatore Luigi Mari. È innegabile che l’umorismo disegnato sta attraversando una crisi di creatività e di spazi comunicativi ma, fino a quando ci saranno artisti già affermati giovani autori apportatori di nuove energie, quest’antica espressione artistica potrà continuare a brillare di vita propria nella società globalizzata e magari percorrere le nuove strade della comunicazione elettronica. L’edizione 2013 ha dato tre segnali positivi: l’individuazione di un tema (O combatti o scappi, oppure ridi) che ha stimolato positivamente la creatività degli autori; un alto numero di partecipanti (480 autori con 1019 opere) in rappresentanza di 53 nazioni; un nuovo modo di procedere alla selezione delle opere e alla proclamazione dei vincitori. Quest’anno, infatti, una Giuria tecnica ha selezionato le 76 opere da esporre in mostra; la Giuria generale, presieduta da Paola Ballesi, ha poi individuato le sei opere ritenute valide di ricevere i tre premi previsti dal regolamento. A questo punto la Biennale si è aperta al pubblico ed è entrata in funzione la Rete per compilare una classifica dei vincitori: tra il 24 maggio e 14 giugno 7.498 votanti hanno stilato, con i loro voti, la graduatoria dei sei autori prescelti dalla Giuria e, se si guardano i risultati, si scopre che i votanti hanno fatto un ottimo lavoro. Il 1° premio assoluto è andato al turco Gumus Musa per l’opera Escape (2.070 voti) che è una perfetta sintesi del tema della Biennale: in essa s’intravedono sullo sfondo i ruderi di una città sotto le bombe, mentre su un pezzo di muto sbriciolato un bambino si affaccia a una finestra intorno alla quale ha disegnato un aereo con il quale sogna di volare lontano da quell’inferno. Il secondo pre- 39 mio è stato assegnato all’italiano Toni Vedù per l’opera Una risata vi seppellirà (1,389 voti), nella quale un burlone applica un rosso naso da pagliaccio sul viso della Morte. Il terzo premio è toccato all’italiano Manuel Riz con The conquist (1.243 voti), che consiste in una rivisitazione dell’ormai classica fotografia Escape di Gumus Musa. dei mariBelgio con 8 e della Francia nes che a Iwo Jima alzano la con 7). Come sempre nutrita è bandiera statunitense, solo che stata la partecipazione dei Paesi al posto della bandiera c’è un clown che usa l’asta per un dell’Est europeo che in tutte fantastico salto verso un futuro le edizioni hanno dato linfa e di pace. Le altre opere classi- sapore alla Biennale: Romania ficate sono nell’ordine: Smile, (18 autori), Serbia (13), Croazia un video di Dario Picarello; Le (12), Russia (12), Bulgaria (11), prodezze quotidiane della signo- Ucraina (9). La maggiore novità ra Maria, una scultura di Anna di questa edizione è stata la preTrezzari; Ninja, una inquietan- senza particolarmente nutrita te scultura di Tiziana Talè che di autori iraniani (58) e cinesi forse meritava un piazzamento (25) e questo è un segnale che in quei Paesi, dove la libertà è migliore. È significativo che, inver- condizionata, la satira è ancora tendo una radicata tendenza viva. Del resto il valore della della Biennale, quest’anno vi scuola iraniana è stato reso siano ben cinque italiani tra i noto dal successo internazionaprimi sei classificati, segno che le di Marjane Satrapi conseguisi è notevolmente innalzata la to con Persepolis e altre graphic qualità dei nostri autori, che novel. Molto bella è la mostra sono stati la m maggioranza dei personale di Anastasia Kurakipartecipanti con 150 presen- na, vincitrice della precedenze, seguiti dalla due Americhe te Biennale, tutta giocata sul con 28 Paesi presenti, dall’A- binomio Satira-Morte, un tema sia e dal Medio Oriente con estremamente difficile e deli26, dall’Europa con 58 (signi- cato che l’artista ha affrontato ficativa la presenza di Polonia con grande eleganza e ironia. e Germania con 9 autori, del Le Cento Città, n. 50 Alberto Pellegrino 40 I trent’anni della Compagnia della Rancia La Compagnia della Rancia, alla quale è stata assegnata la Medaglia del Presidente della Repubblica, ha festeggiato i trent’anni della sua attività con una mostra nel Castello della Rancia allestita dal Centro Teatrale Sangallo con una serie d’immagini che ripercorre il lungo e prestigioso cammino di questa formazione teatrale che ha debuttato nel 1983 con lo spettacolo Arlecchino innamorato. Sono seguiti cinque anni molto intensi sul piano della produzione di spettacoli che andavano dalla tragedia greca a Goldoni, dal teatro dialettale ad Achille Campanile, con due messe in scena di assoluto calore come La cortigiana dell’Aretino e Dialoghi delle Carmelitane di Georges Bernanos. Nel 1988 avviene la svolta decisiva, quando il direttore artistico e regista Saverio Marconi decide di mettere in scena La piccola bottega degli orrori, un successo che aprirà la strada al musical italiano. Da 1990 a oggi la compagnia ha inanellato una straordinaria serie di successi: il grande musical di Broadway A Chorus Line, Il giorno della tartaruga di Garinei e Giovannini, La cage aux folles, Cabaret, Dolci vizi del foro, West Side Story, Fregoli, il primo ed elegantissimo musical italiano su libretto di Ugo Chiti interpretato da uno strepitoso Arturo Brachetti, Un “classico” come Grease è stato visto da un milione 500 mila spettatori, seguito poi da Pinocchio, Sette spose per sette fratelli, Cantando sotto la pioggia, Jesus Christ Superstar, Hello Dolly, A qualcuno piace caldo, Cats, Frankenstein Junior, Sweet Charity, Tutti assieme appassionatamente, fino all’ultimo suggestivo e raffinato allestimento di Variazioni enigmatiche, un affascinante testo teatrale che ha segnato il ritorno sulle scene di Saverio Marconi. Numerosi sono stati i riconoscimenti assegnati alla Compagnia, tra questi ricordiamo i più prestigiosi: alcuni Biglietti d’Oro Agis, il Premio per il Musical Saverio Marconi, Direttore artistico e Regista. Bob Fosse, l’Italia Musical Theatre Award, il Premio Eti Olimpici del Teatro, il Premio I Teatranti - Vittorio Gassman. La musica vocale da camera di Nicola Vaccai Nel mese di agosto è stato distribuito dal Resto del Carlino il cd pubblicato a cura dell’Associazione Marche Musica contenente dodici composizioni vocali da camera dell’illustre musicista Nicola Vaccai (1790-1848). Si tratta di un contributo di notevole rilievo per la storia della musica italiana, perché Vaccai era finora soprattutto noto come autore di sedici opere liriche, tra le quali sono state rappresentate con successo nella prima metà dell’Ottocento Pietro il Grande, La pastorella feudataria, Zadig e Astartea, Bianca di Messina. A queste bisogna aggiungere il suo capolavoro Giulietta e Romeo Le Cento Città, n. 50 (1825), composto su libretto di Felice Romani, lo stesso che cinque anni dopo verrà utilizzato da Vincenzo Bellini per l’opera I Capuleti e i Montecchi. Di Giulietta e Romeo esiste un’ottima registrazione discografica prodotta dalla Fondazione Pergolesi Spontini, mentre mancava una moderna di queste sue musiche per canto che ora sono state interpretate dal mezzosoprano Monica Carletti accompagnata al pianoforte dal Maestro Marco Sollini. La raccolta comprende le seguenti cantate: Non giova il sospirar, La Rimembranza, Io t’amo, Il Bagno, La Madre, Il Figlio, La Serenata, La Zingarella, Il Bacio, L’Ave Maria dei pellegrini, Il Cosacco del Volga, Sento una dolce speme (Variazione sopra un tema di Haydn). Vita dell’Associazione 41 Le Cento Città, n. 50 Vita dell’Associazione 42 Ricordo di Ilenia Lo scorso luglio Ilenia ci ha lasciato. Ilenia e Giuseppe sono i due figli di Rosa e di Andrea Santoni, nostro Socio sostenitore. Andrea, scarpe grosse e cervello fino, è l’artigiano marchigiano tipico, operoso e creativo che, dopo anni di lavoro dipendente, si mette in proprio sempre con Rosa al fianco. Andrea punta sulla qualità e sulla lavorazione a mano, i primi prodotti hanno immediato successo, la piccola bottega diventa stabilimento, negli anni lo stabilimento decuplicherà la sua area produttiva. Le scarpe sono spesso di alta qualità. Uno stivale, pelle di coccodrillo e interno di cachemere, può costare anche 10.000 euro. Roba ovviamente per piedi illustri e facoltosi. Accanto alla fabbrica nasce un outlet, poi un altro ancora, le boutiques si diffondono in tutta Italia, il marchio Santoni è in via Montenapoleone, in Piazza di Spagna, a Torino, sulla Costa smeralda. Ma non per questo Andrea e Rosa cambiano stile di vita; ancor oggi aprono e chiudono la fabbrica e, in camice bianco, lavorano gomito a gomito con i propri operai, tutto il giorno. Poi scendono in campo Ilenia e Giuseppe. A questo punto i Santoni non sono solo una famiglia, ma una squadra. Andrea e Rosa curano la produzione, Giuseppe la diffusione del prodotto, Ilenia l’amministrazione. Ilenia e Giuseppe sono diversi e complementari. Giuseppe ha volontà di ferro e straordinaria capacità di lavoro; ha idee molto chiare ed una ferrea determinazione a realizzarle, è un vero manager; il milieu internazionale è il suo habitat naturale, si muove in continuazione per il mondo sprigionando dovunque la sua energia realizzatrice. Ilenia governa il suo settore fortiter et suaviter, con molta fermezza ma anche con tanta dolcezza; ottiene risultati sempre più visibili, è presente ora nel mondo della haute couture e nelle riviste internazionali di moda, è sicura di sé, è entusiasta e felice, esprime gioia di vivere e di lavorare. Con l’avvento della seconda generazione, il prodotto cresce ulteriormente e si diffonde in tutto il mondo, il fatturato vola ogni anno più in alto . Il marchio Santoni diviene realtà internazionale. Boutiques Santoni sono a New York come a Parigi, a Tokio come a Singapore, a Mosca come a Doha, come a Shangai. Ma non muta in Ilenia la ragazza di Corridonia; conserva semplicità e dolcezza e tenerezza di madre, è compagna quotidiana e quasi sorel- Le Cento Città, n. 50 la di chi lavora con lei, è amica dei suoi clienti. Negli ultimissimi anni si fa la sua nuova casa, un’antica villa della sua cittadina mirabilmente restaurata, un sogno, ci confida, della sua infanzia. C’è tutta Ilenia in questa casa, non ridondanze né ampollosità, ma uno stile sobrio, elegante, accogliente come la sua amicizia; ritornare oggi nella villa significa ritrovare l’anima di Ilenia ed un grande rimpianto. In un pomeriggio del giugno di due anni fa, noi de Le Cento Città visitammo lo stabilimento di Corridonia accolti da tutta la famiglia schierata ad attenderci. Nessuno potrà dimenticare la grazia e l’affabilità di Ilenia, la sua eleganza naturale, la raffinatezza della sua ospitalità, l’orgoglio con cui presentava quello che con lei e intorno a lei era sorto. Poi è sopraggiunta la malattia, sembrava di averla debellata, ma il male, che non conosce sentimenti, è ritornato più aggressivo e più feroce di prima. Ora la vita di Ilenia appare come un sogno brutalmente interrotto nello stesso momento in cui appariva realizzato. Giovanni Danieli Vita dell’Associazione 43 Visite e convegni di Giovanni Danieli Domenica 15 luglio 2013, Ancona Assemblea dei Soci A Portonovo di Ancona presso l’Hotel Fortino Napoleonico si è svolta l’Assemblea estiva dei Soci, che hanno ascoltato le relazioni, consuntiva del Presidente Prof. Natale G. Frega e quella programmatica del Presidente eletto Prof. Avv. Maurizio Cinelli. La prima è stata chiusa da un caldo e prolungato applauso, testimonianza dell’apprezzamento dei Soci per il bellissimo programma realizzato e per chi ne è stato il principale artefice. Il Presidente ha saputo muoversi nella scia delle grandi direttrici del passato, quella storicoartistica volta alla riscoperta del patrimonio culturale delle Marche soprattutto “minori”, quella imprenditoriale che esalta l’eccellenza dell’impresa marchigiana, quella paesaggistica finalizzata a salvaguardare l’integrità delle meravigliose colline marchigiane e quella enogastronomica intesa come riscoperta e diffusione delle specificità regionali. A queste si è aggiunta una quinta direttrice, la ricerca quale risorsa insostituibile per la crescita del territorio, ricerca che è stata alla base di tutto il programma e del suo sviluppo. Sono state poi consolidate alcune caratteristiche peculiari dell’Associazione, il rapporto costante con i Comuni visitati, considerati interlocutori privilegiati; il teatro come sede preferenziale di ogni evento per rinverdirne il ruolo di foyer di idee e di dibattiti della vita cittadina; lo spettacolo (musica, danza, canto, giochi…) quale espressione anch’esso della marchigianità. Novità assoluta sono stati, quest’anno, i gadget, cinque, le bustine di zucchero con il logo dell’Associazione ed il motto dell’anno - Se sostieni la ricerca scientifica l’Italia cresce - a Genga; il vino novello con l’etichetta de Le Cento Città, l’11 novem- bre, giono di San Martino, a Ripatransone; l’olio extravergine d’oliva anch’esso etichettato Le Cento Città, a Jesi; il piatto di ceramica con logo dipinto, a Petroja; e, nell’assemblea estiva, champagne magnum sempre con l’etichetta dell’Associazione e il dono ai Soci di un portachiavi d’argento “Le Cento Città/il Presidente 2012-2013”. Il Presidente incoming, quindicesimo della serie, è Maurizio Cinelli. Professore Ordinario di Diritto del lavoro, avvocato di grido, uomo di charme e di carisma insieme, scuola universitaria, oratore forbito, sportivo naturale, ha tutte le carte in regola per essere anch’egli uno straordinario Presidente. Il programma presentato è apparso tanto ambizioso quanto seducente, con un’equa distribuzione tra momenti di impegno sociale ed altri più strettamente ludici. Domenica 15 settembre 2013, Camerino Visita della città La prima uscita dell’anno societario si è svolta a Camerino, una tra le più nobili e più ricche di storia tra le città marchigiane. La visita di Camerino, iniziata nel Palazzo Comunale con il saluto del Sindaco Dottor Dario Conti, ha riservato momenti di grande entusiasmo. Basta al proposito citare l’imponenza del palazzo ducale, l’incontro con la natura nell’orto botanico con la presentazione della Direttrice Dottoressa Roberta Tacchi, la visita al complesso museale di San Domenico con il fascino della pittura camerte del ‘400, gli splendori barocchi della Chiesa di San Filippo, l’incredibile raccolta di antichi organi nella romanica chiesa di San Francesco e il relativo concertino, la magia di Alberto Pellegrino e le poesie di Ugo Betti nel mitico teatro Marchetti. Tutto sotto la guida sobria, sapiente Le Cento Città, n. 50 ed elegante di Pier Luigi Falaschi e Corrado Zucconi Galli Fonseca, anfitrioni di eccezione. Nell’intervallo, colazione a Villa Fornari, villa del 700 con cappella preziosamente affrescata. Domenica 29 settembre 2013, Treia Visita della città Nella Sala Consiliare del Comune, la visita è iniziata con il saluto del Sindaco Dottor Luigi Santalucia e con le relazioni dei Professori Alberto Meriggi e Enzo Catani, che hanno presentato la storia della città e che ci hanno accompagnato, con la collaborazione del signor Alessandro Melchiorri, per tutto l’itinerario. Si sono visitati la Quadreria Comunale, l’Accademia Georgica, il Teatro Comunale, il Museo Archeologico, la Chiesa del Santissimo Sacramento, opera dell’architetto Bazzani ed espressione dell’eclettismo del primo novecento. Il nostro Socio Alfredo Luzi, al mattino, nella Sala del Consiglio comunale ha tenuto una lettura su Spazialità e temporalità nell’opera di Dolores Prato e ha letto nel pomeriggio tre o quattro lacerti della stessa poetessa. Nell’intervallo, pranzo nel Ristorante dell’Hotel Grimaldi. Domenica 20 ottobre 2013, Osimo Da Rubens a Maratta, meraviglie del barocco nelle Marche 2 Ricevuti, nella Sala del Consiglio comunale, dall’Assessore alla cultura Dottor Achille Ginnetti, la visita di Osimo si è aperta con la presentazione storico-artistica della città. Al mattino sono stati visitati il Lapidarium, la Piazza del Comune, un tempo foro romano, il Palazzo Gallo con la visita del Salone delle feste, impreziosito dagli affreschi del Pomarancio, e Album di Romano Folicaldi 44 Il 29 settembre 2013 i Soci de Le Cento Città si sono ritrovati a Treia per un incontro curato dal Presidente Maurizio Cinelli: dopo il saluto del Sindaco dottor Luigi Santalucia e un excursus storico della città proposto dal professor Alberto Meriggi, nella Sala del Consiglio Comunale, il professor Alfredo Luzi ha tenuto una lettura su Spazialità e temporalità nell’opera di Dolores Prato, l’autrice di quella grande opera letteraria che ha per titolo Giù la piazza non c’è nessuno. E’ stato un grande momento in cui la sapienza del letterato è stata resa vibrante dall’empatia che Alfredo Luzi ha domostrato di sentire nei confronti di questa piccola bambina nata sotto un tavolino, e di tutto il racconto, nel ricordo, della sua infanzia e della sua adolescenza per le quali, strade, case, persone, le parole, il dialetto sono stati molto di più di un semplice sfondo. Poi la visita alla Chiesa del Santissimo Sacramento, all’Accademia Georgica e a tutti i luoghi che fanno di Treia uno dei centri di maggior interesse artistico, paesaggistico e culturale della Regione. Le Cento Città, n. 50 Vita dell’Associazione del Palazzo Campana, ove è stata ammirata la Mostra Da Rubens a Maratta, meraviglie del barocco nelle Marche 2, promossa e coordinata da Vittorio Sgarbi. Nel pomeriggio, dopo una piacevole sosta presso l’Osteria Moderna, visita della Cattedrale, del Battistero, e delle Grotte sotterranee, straordinaria serie di antichi cunicoli, alcuni risalenti all’epoca romana. Domenica24novembre2013,Belforte del Chienti e Serrapetrona La vernaccia a Serrapetrona La visita di Serrapetrona ha avuto come preludio una breve sosta a Belforte del Chienti. In questo splendido borgo. Il nostro Socio Luca Maria Cristini ha presentato, nella Chiesa di Sant’Eustachio, il polittico di Giovanni Boccati, opera del 1468, un vero gioiello dell’arte 45 camerte, sfuggito al sequestro delle truppe napoleoniche del primo ottocento, proprio perché custodito in quest’angolo remoto delle Marche. A Serrapetrona siamo stati ricevuti dal Sindaco Adriano Marucci che ci ha accompagnato durante tutto l’itinerario illustrandone le principali caratteristiche. Nella Chiesa di San Francesco Luca Maria Cristini ha presentato lo splendido polittico di Lorenzo D’Alessandro, databile tra il 1485 e il 1490 e le altre opere contenute in questo tempio. Ha fatto seguito la visita della raccolta di pregiati reperti paleontologici, archeologici e numismatici, un vero e proprio tesoro, recentemente allestiti in forma museale all’interno del palazzo Claudi, appositamente restaurato e adattato. Il pranzo si è svolto nell’ottima Cantinella. La vernaccia - questo spumante rosso naturale (ma vi sono anche altre pregiatissime versioni), frutto di una vendemmia particolare, che prevede metà dell’uva da utilizzare per la vinificazione venga posta ad essicare su graticci (il cosiddetto “appassimento”), prima di essere spremuta, e celebrato da scrittori di fama, come Mario Soldati e gatronomi illustri - è stata la protagonista della parte conclusiva della giornata. Ci siamo infatti recati presso l’Azienda Vinicola Alberto Quacquarini per la visita degli essicatori, per l’illustrazione della particolare tecnica di vinificazione, ma anche per degustare il frutto della più recente produzione, nonchè i dolci tipici che quell’Azienda produce con pari successo. Immagini da Treia di Corrado Paolucci. Il Presidente, il Prof. Alberto Meriggi ed il Sindaco Dott. Luigi Santalucia; il Presidente con il Sindaco; nell’interno del Palazzo dei Georgofilli; il Prof. Enzo Catani. Le Cento Città, n. 50 Album di Corrado Paolucci 46 I Polittici, a 6 km di distanza l’uno dall’altro, di Giovanni Boccati, nella Chiesa di Sant’Eustachio a Belforte del Chienti e quello di Lorenzo D’Alessandro nella Chiesa di San Francesco a Serrapetrona. Visita di Osimo, l’Assessore alla Cultura Achille Ginnetti e il nostro Presidente; i Soci nell’androne del Comune e a Palazzo Gallo; il Battistero nella Chiesa di S. Giovanni Battista. Le Cento Città, n. 50 Album di Corrado Paolucci 47 Belforte del Chienti, Chiesa di Sant’Eustachio con il Polittico di Giovanni Boccati; il Presidente Luca Maria Cristini ed il Parroco. Serrapetrona, il Sindaco Adriano Marucci guida il Gruppo nel Museo Archeologico di Palazzo Claudi; il prosaurolopus; la Chiesa di San Francesco; il Presidente, il Parroco, il Sindaco Marucci e Luca Maria Cristini; il Presidente con due suonatori di saltarello maceratese; appassimento di una vernaccia di Serrapetrona nello stabilimento Quacquarini. Le Cento Città, n. 50 La pubblicazione de Le Cento Città avviene grazie al generoso contributo di Banca dell’Adriatico, Banca Marche, Carifano, Carisap, Co.Fer.M., Fox Petroli, Gruppo Pieralisi, Santoni, TVS