Le Cento Città, n. 50

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Le Cento Città, n. 50
1
Sommario
Le Cento Città
*
Direttore Editoriale
Mario Canti
Comitato Editoriale
Fabio Brisighelli
Romano Folicaldi
Natale G. Frega
Giuseppe Oresti
Giancarlo Polidori
Direzione, redazione,
amministrazione
Associazione Le Cento Città
[email protected]
Direttore Responsabile
Edoardo Danieli
Prezzo a copia
Euro 10,00
Abb. a tre numeri annui
Euro 25,00
Poste Italiane Spa - spedizione
in abbonamento postale 70% CN AN
Reg. del Tribunale di Ancona
n. 20 del 10/7/1995
Stampa
Errebi Grafiche Ripesi
Falconara M.ma
Periodico quadrimestrale de
Le Cento Città,
Associa­zione per le Marche
Sede, Piazza del Senato 9,
60121 Ancona. Tel. 071/2070443,
fax 071/205955
[email protected]
www.lecentocitta.it
3Editoriale
Non solo turismo, per favore
di Mario Canti
6Il Saggio
Il Parco archeologico di Forum Sempronii. Scavi
e ricerche 1974-2012
di Mario Luni
11 La letteratura
Spazialità e soggettività nella scrittura di Dolores
Prato
di Alfredo Luzi
17 Economia politica
Francesco Coletti economista e sociologo
di Alberto Pellegrino
25 Le mostre
Franco Cacciaguerra (Milano 1926-Roma 1973)
Palazzo Gradari, mostra antologica
di Grazia Calegari
26 Da Rubens a Maratta
Le meraviglie del Barocco nelle Marche
di Costanza Costanzi
29 L’Arte
Luigi Serra per la Galleria Nazionale delle Marche
di Grazia Calegari
*
Hanno collaborato a questo numero:
Grazia Calegari, Mario Canti,
Costanza Costanzi, Mario Luni,
Alfredo Luzi, Alberto Pellegrino,
Giovanni Danieli
In copertina
34 Libri ed Eventi
di Alberto Pellegrino
42 Vita dell’Associazione
di Giovanni Danieli
Numero 50 de Le Cento Città
Le Cento Città, n. 50
TVS è fermamente convinta dell’importanza
di saper riconoscere la bellezza in tutte
le sue forme. Per questo, da sempre è impegnata
nella produzione di articoli per la cottura
che si distinguono per design e funzionalità.
Ma l’amore per il bello di TVS si esprime
anche nella collezione di opere d’arte,
che conta opere di pregio realizzate
dai più importanti autori del periodo
dal XIV secolo al XIX secolo.
L’opera qui presentata ne è solo un esempio.
Floriano Bodini, Cavallo e Nudo di donna
(Gemonio di Varese 1933 - Milano 2005)
www.tvs-spa.it | TVS Spa_Via Galileo Galilei, 2_ Fermignano (PU) Italy
AD
Amore per il bello,
passione per l’utile.
Editoriale
3
Non solo turismo, per favore
di Mario Canti
Sui rapporti che intercorrono, o meglio dovrebbero intercorrere, tra tipologie di beni
culturali,caratteri dell’insediamento e valorizzazione turistica
le Cento Città organizzarono già
nel giugno 2007, in collaborazione con l’ANCE, un incontro
pubblico a San Benedetto sul
tema: “il sistema turistico in Italia e nelle Marche” nel corso del
quale fu presentata la ricerca
svolta dallo Studio Ambrosetti
dal titolo: Sistema turismo Italia
– proposte per essere vincenti.
Nell’occasione la relazione presentata dalle Cento Città mise
in evidenza le difficoltà che la
valorizzazione turistica del patrimonio culturale incontra laddove
questo si presenta diffuso sul
territorio, al di fuori di singoli
aggregati urbani o di aree di consolidata notorietà come è il caso
delle Marche; occorre prendere
atto che in passato il “grande
tour” ha costituito per una considerevole parte dei beni culturali
del Paese una eccezionale ed irripetibile operazione di marketing
dalla quale sono risultato praticamente esclusi i territori di alcune
regioni, ivi comprese le Marche.
Si fece notare altresì, in quella stessa sede, che lo sviluppo
delle tecnologie informatiche di
raccolta e distribuzione dei dati
riguardanti il patrimonio storicoartistico potevano consentire di
proporre per la prima volta una
conoscenza varia ed approfondita della cosiddetta “Italia Minore”, quella delle piccole città, dei
borghi, del paesaggio rurale, che
è poi anch’esso una testimonianza culturale.
L’esperienze condotte nelle
Marche ed in altre regioni italiane hanno comunque posto in
evidenza la necessità di poter
disporre di informazioni, in
primo luogo relative al patrimonio culturale, digitalizzate o
digitabili, che siano accessibili
da chiunque voglia prenderne
conoscenza, e magari utilizzarle
per fare o promuovere attività
turistiche.
Allo stato questa disponibilità
appare difficilmente realizzabile,
per la molteplicità dei soggetti
proprietari (Stato, Enti Locali,
Diocesi, Fondazioni e privati
vari), per l’incoerenza dei sistemi
catalografici adottati, ma anche
e soprattutto a causa del debole
coordinamento tra organi dello
Stato e altri soggetti e dello scarso interesse che, all’attualità,
tutti questi soggetti, pubblici e
privati,dimostrano per la conoscenza e l’ordinamento dei dati
relativi ai diversi patrimoni, non
solo culturali, di cui si potrebbe
disporre.
Da un esame della situazione e’ emersa una significativa
riduzione da parte del Ministero
per i Beni Culturali delle attività di indirizzo e coordinamento
dei cataloghi del patrimonio, che
pure gli erano state affidate al
momento della sua istituzione,
mentre nelle Marche è stato rilevato l’abbandono da parte della
Regione delle attività dirette od
indirette di catalogazione e di
mappatura dei Beni Culturali a
cui in passato si era interessata
in modo particolare, si veda ad
esempio lo stato delle perimetrazioni delle aree archeologiche,
finalizzate alla tutela e, talora, alla
valorizzazione delle stesse.
A fronte di queste carenze e
di questa disorganicità dei dati
conoscitivi si assiste alla proliferazione di portali, quasi sempre
incompleti, portalini e porticelle
realizzati dagli Enti Locali marchigiani con l’intento di promuovere lo sviluppo del turismo sui
loro territori; intenzione lodevole
ma probabilmente poco produttiva considerato le esigenze reali
del turismo, soprattutto di quello
marchigiano che, in larga misura,
ha un carattere itinerante proprio
per la dispersione dei beni sul
territorio.
A nostro avviso la Marche nel
loro insieme possiedono una
grande capacità attrattiva potenziale che si riduce quando si conLe Cento Città, n. 50
siderano i singoli centri o ambiti
territoriali che, seppure bellissimi
e ricchi di testimonianze artistiche, non possono reggere il confronto con i centri e le aree consolidate sotto il profilo turistico.
Le Marche dovrebbero essere
offerte nel loro insieme, per la
potenzialità incredibile di soddisfare richieste diverse, storicoartistiche, ambientali e paesaggistiche, enogastronomiche; ma
sarebbe necessario consentire a
queste diverse esigenze di individuare i punti o gli insiemi che
meglio possono soddisfarle; per
ottenere questo risultato occorre
fornire la intera offerta al visitatore reale o potenziale, quale
quello che a casa sua progetta
una visita su google earth magari
alcuni mesi prima di venire effettivamente.
Nella nuova mappatura delle
risorse turistiche ogni punto
deve essere indicato con le sue
caratteristiche specifiche, in
primo luogo quelle relative alla
localizzazione, così che la visita
sia programmabile con certezza
ed in anticipo, ma anche modificabile al momento, sulla spinta
di sollecitazioni dianzi inattese
e suscitate dal viaggio stesso; i
punti di interesse turistico debbono essere i più diversi e variati
possibile, la gamma dei beni culturali deve essere la più completa possibile, comprendere cioè
anche beni musicali, bibliotecari, paesaggistici e, naturalistici,
e, ovviamente, essere corredata
dagli eventi culturali previsti, essa
deve, in tutti i casi,essere accompagnata da ogni altra informazione utile sui servizi e le attrezzature disponibili nel territorio.
Per facilitare l’utente la rete dei
punti di interesse turistico che
cosi si viene a realizzare potrà’
essere suggerita anche secondo
itinerari o aree di prevalente interesse in relazione a specifiche
categorie di utenti i, ai loro
interessi, alle loro disponibilità
economiche e temporali, alla presenza di eventi particolari, quali
Mario Canti
4
Il carnevale a Offida.
ad esempio mostre e concerti
occasionali.
All’interno di questa rete
di punti di interesse turistico
dovranno rivestire un ruolo centrale i beni culturali, poiché non
v’è dubbio che essi costituiscano
la maggiore attrazione, insieme
alla bellezza del paesaggio ed alla
affabilità della popolazione; queste caratteristiche hanno indotto
non pochi visitatori occasonali ad acquisire successivamente
delle abitazioni, così da divenire
cittadini delle Marche, a carattere temporaneo o permanente a
seconda dei casi.
A favore della digitalizzazione dei dati interessanti i beni
culturali ed il turismo si vanno
impegnando, come sopra detto,
un numero sempre maggiore dei
nostri enti locali, purtroppo la
frammentazione e l’episodicità
delle iniziative riduce, e talora
cancella, le possibilità sviluppare
le ricerche relative sia alle fonti (i
beni) che agli strumenti (i sistemi
informativi).
La diffusione in Italia e all’estero della conoscenza sempre
più approfondita del patrimonio
culturale e la sempre maggiore
facilità di accesso ai dati relativi
allo stesso potrebbero costituire
per tutto il Paese, ed anche per le
Marche,un vero e proprio brand,
con ricadute significative anche
sul piano economico.
Quanto fin qui si è cercato di
porre in evidenza ha riguardato
il ruolo che il turismo può rivestire nell’economia del Paese, ed
in particolare le condizioni da
soddisfare per avere lo sviluppo
di una economia turistica rispondente alle caratteristiche culturali
ed insediative delle Marche.
Una sempre maggiore diffusa ed approfondita conoscenza
del patrimonio culturale nel suo
complesso, quindi non solo dei
beni artistici, appare, a nostro
avviso, indispensabile per un
altro obiettivo di cui dovrebbe
farsi carico la comunità marchigiana; quello di creare una reale
identità comunitaria, quale quella che può derivare dalla consapevolezza delle proprie origini e
delle relative caratteristiche;una
identità culturale che non sempre viene percepita .
La mancanza della percezioLe Cento Città, n. 50
ne di una identità comunitaria
culturalmente definita fa sì che
una parte significativa dei marchigiani, compresa la maggioranza degli amministratori si disinteressi della conservazione del
patrimonio culturale, che l’attività degli organi addetti alla tutela
dello stesso sia di norma intesa
come una insopportabile sopraffazione dei diritti individuali, che
il paesaggio, che pure è parte
ed espressione del patrimonio
storico, venga degradato da ogni
possibile intervento di trasformazione.
Così facendo si viene a ridurre
sempre di più la capacità di creare bellezza, che pure è stata sempre una caratteristica degli italiani anche nei secoli più bui della
nostra storia; capacità che non
è certo derivata da improbabili
caratteri etnici, ma solo ed esclusivamente dalla partecipazione
consapevole dell’intera comunità
nazionale, nelle sue varie articolazioni, ad un processo ultra
millenario nel corso del quale la
memoria storica, anche materiale, e la tradizione del fare bene si
sono continuamente confrontati
Editoriale
5
La Chiesa di San Venanzio a Camerino sotto la neve.
e vicendevolmente influenzati.
Il contadino che nei secoli
passati guardava i risultati del
suo lavoro, ordinato, intelligente,
produttivo, ne apprezzava anche
gli aspetti formali, sapeva che
fare bene equivaleva a fare bello,
cioè creare una forma che assolveva a precise esigenze sociali nel
rispetto della natura e della storia
del territorio.
Coerentemente con questa
ipotesi venne realizzata nel luglio
del 2008 la “guida satellitare”1 di
una piccola Comunità Montana
nella quale furono immessi tutti
i dati informatizzati, già disponibili o elaborati da noi, relativi
al patrimonio culturale e ad ogni
altra risorsa turistica: accoglienza, enogastronomia, comprese
ditte ed esercizi che producono
tipicità della zona, musei, farmacie, ambulatori, riparazioni auto,
eventi, manifestazioni ricorrenti,
ecc.
In relazione alle tecnologie
disponibili al momento la guida
venne installata su di un navigatore, fornito dalla De Agostini,
con l’opzione della lingua inglese
per facilitarne l’uso da parte di
turisti stranieri; purtroppo la crisi
di carattere politico che investì
poco tempo dopo la consegna
l’amministrazione della Comunità in questione rese di fatto
impossibile la diffusione di quello strumento.
Negli anni successivi la proposta di realizzare guide satellitari per il turismo, con partico-
Le Cento Città, n. 50
lare riferimento al patrimonio
culturale, venne avanzate dalla
stessa associazione di imprese
ad altre amministrazioni marchigiane potenzialmente interessate senza trovare l’interesse
che ci si aspettava di suscitare2,
anche in considerazione del
fatto che in quegli stessi anni
le tecnologie informatiche si
sono evolute con una rapidità
incredibile; ad esempio quella guida che nella fase iniziale necessariamente dovemmo
appoggiare ad un navigatore è
oggi disponibile su cellulare,
con accesso diretto al sistema
da parte dell’utente, e per di
più con un notevole contenimento dei costi di produzione
e di gestione
Il saggio
6
Il Parco archeologico di Forum Sempronii
Scavi e ricerche 1974-2012
di Mario Luni
Dopo alcuni decenni di atti- dievale, con in apertura la prevità archeologica a Forum Sem- sentazione di rinvenimenti e di
pronii da parte dell’Istituto di testimonianze picene e “celtiArcheologia dell’Università di che” nella vallata del Metauro.
In relazione all’età repubbliUrbino e a seguito dell’attivazione del Parco Archeologico cana, in un contributo è stato
Regionale, nel 1994, si è deci- presentato un tesoretto di
so di fare il punto sullo stato monete d’argento da Forum
della ricerca e di programma- Sempronii.
Problematiche
connesse
re future indagini nella città
romana e nel territorio medio- a ritrovamenti avvenuti nella
adriatico attraversato dalla regione medioadriatica lungo la
Flaminia. Il presente volume via Flaminia sono state discusse
è dovuto anche alla collabo- da alcuni studiosi sia in relaziorazione della Soprintendenza ne alle zone interne, sia all’area
per i Beni Archeologici delle costiera adriatica.
Documentazione archeologiMarche e registra la partecipazione di studiosi impegnati in ca inedita, rinvenuta nel corso
indagini storico-archeologiche, di lavori o in scavi programnonché su monumenti e mate- mati nel Parco Archeologico
riali rinvenuti nella città, nei di Forum Sempronii, è stata
centri ubicati nell’area percorsa inoltre presentata da una serie
dalla via consolare e nel Museo di ricercatori; numerose nuove
Archeologico di Fossombrone, iscrizioni ed anche bolli su
riaperto nel 1997 con un nuovo anfore sono stati oggetto di
allestimento.
arco Archeologico
di Forum Sempronii: scavidiscussione.
e ricerche 1974-2012
13
Un capitolo particolarmente
Nel volume inoltre sono state
discusse varie tematiche su un interessante, infine, è costituito
ampio orizzonte cronologico, dalle attestazioni sempre più
dall’età preistorica-protostorica ampie che caratterizzano la città
all’epoca tardoantica e altome- e il territorio di Forum Sempronii in età tardoantica e altomedievale.
Una apposita ricerca è stata attivata
nel corso dell’ultimo decennio di
campagne di scavi
programmati nella
città per fare luce
sulla fase della decadenza e dell’abbandono; la documentazione rinvenuta e
lo studio della col
lezione numismatica
del Museo Archeologico Vernarecci
permettono ora di
caratterizzare
in
modo sempre più
ampio il periodo
Fig. 1 - Il Decumanus minor di Forum Sempronii, che va dalla fine del
IV al
VI secolo
d. C.
us minor
di Forum
parallelo
e a Sud
della via
Flaminia,
anch’esso
parallelo
e a Sempronii,
Sud della via
Flaminia,
anch’esso
in pietra
del Furlo
e di uguale
larghezza
tra i larghezza
due incrociIl(foto
L. Polidori).
numero
e la consilastricato
in pietra
del Furlo
e di uguale
tra i due incroci (foto L. Polidori).
stenza dei saggi preLe Cento Città, n. 49
efinitivo alla zona archeologica 2. Sono seguite ricerche
la collaborazione anche degli allievi della Scuola di Spe-
disposti per la stampa ha fatto
decidere per la pubblicazione
di due distinti volumi: uno più
specifico su Forum Sempronii
ed il secondo sulla città in relazione alla via Flaminia.
Sono grato agli Autori per
avere presentato contributi
in genere innovativi, frutto di
serie ricerche. Un attestato di
riconoscenza va ai vari Soprintendenti ed Ispettori di zona
che si sono succeduti dal 1974,
in particolare a Paolo Quiri, per
l’attenzione che hanno mostrato con continuità nel contesto
dell’indagine archeologica nel
territorio attraversato dalla Flaminia e per il costruttivo rapporto di collaborazione instaurato con l’Università di Urbino.
Un ringraziamento particolare occorre rivolgere all’Ispettore Onorario di Fossombrone
Giancarlo Gori, per l’assidua
disponibilità fin dall’inizio
della recente riscoperta storicoarcheologica di Forum Sempronii, unitamente ai numerosi
collaboratori italiani e stranieri
di Università convenzionate che
hanno preso parte annualmente
alle campagne di scavo organizzate dall’Ateneo di Urbino.
Un grazie affettuoso rivolgo
ai molti allievi dell’Istituto di
Archeologia, con i quali negli
ultimi decenni abbiamo indagato a fondo l’area urbana ed
il territorio su varie tematiche
antichistiche.
Si può aggiungere che tutti i
contributi pubblicati nel presente volume rappresentano
un nuovo tassello nel mosaico
costituito dal percorso della via
Flaminia sul versante adriatico,
sia in senso diacronico, dalla
preistoria-protostoria del territorio attraversato all’età tardoantica, sia in senso spaziale,
dall’attigua area dell’Umbria
all’ager Gallicus, fino a Forum
Sempronii e infine ad Ariminum1.
L’attività di scavo dell’Uni-
14
Il saggio
Mario Luni
7
’90 delle Terme pubbliche,
dell’attigua probabile Palestra,
con otto
16
Mario
Lunibasi per statue di
bronzo poste allineate lungo la
prospiciente grande via lastricata (Figg. 1-2). Una intera
insula rettangolare di due actus
per tre (circa m 70 per 105)
è stata evidenziata ed anche
alcune domus di pregio, con
pavimento a mosaico, intonaci
dipinti, con materiali di arredo
di marmo e di bronzo. La legge
regionale numero 16 del 1994
ha quindi riconosciuto dignità
di Parco Archeologico alla realtà monumentale messa in luce
presso l’area forense dopo venti
Fig. 2 - Veduta di un tratto di via lastricata (decumanus minor), tra due incroci,
anni di attività a Forum Semlungo 105 metri; sono qui presenti otto basi di statue di bronzo (a sinistra). Altri
Fig. allineamenti
2. Veduta di un
via lastricata
(decumanus
minor),
tra due
lungodi
105
metri; pronii, riconoscendo la straorditratto
stradedisono
riconoscibili
sul prato
attiguo
ed incroci,
anche serie
muri
sono qui
presenti
basi di statue di bronzo (a sinistra). Altri allineamenti di strade sono dinaria valenza della scoperta e
di edifici
(linee
piùotto
chiare).
riconoscibili sul prato attiguo ed anche serie di muri di edifici (linee più chiare).
dei risultati degli scavi. Ha fatto
versità di Urbino a Forum Sem- allievi della Scuola di Specializ- seguito la ristrutturazione del
pronii ha preso avvio nel 1974 zazione in Discipline Archeolo- Museo Archeologico, riaperto
con un intervento di emergen- giche e col sostegno del Rettore con un nuovo allestimento nel
dipinti,
con materiali
di arredo
e difino
bronzo.
La legge
Carlo Bo,
a giungere
neglire- 19973.
za, concordato
dallo
scriventedi marmo
La costruzione della linea
anniriconosciuto
’80 alla messa
in luce
di
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la Soprintendente
ai Beni
gionale
16 del 1994
ha quindi
dignità
di Parco
ampio
termale,
Archeologici
delle monumentale
Marche unmessa
Archeologico
alla realtà
in edificio
luce presso
l’areaalfo- ferroviaria Fano-Urbino a fine
restauro
delle strutture
e alla la ‘800 aveva determinato il rinveDott.ssa
Lilianaanni
Mercando,
pera Forum
rense
dopo venti
di attività
Sempronii,
riconoscendo
“musealizzazione”
del
monuimpedire
l’occupazione
dell’astraordinaria valenza della scoperta e dei risultati degli scavi. Ha fat- nimento di murature e mosaici,
due dei quali sono stati stacrea della città romana con un mento con apposita copertura.
to seguito la ristrutturazione Fig.
del Museo
Archeologico,
con
3. Perseo
(a sinistra)
eriaperto
in parte
Andromeda,
riconoscibili
frammentati
in
cati nel 1926
per essere
espoIn seguito
la ricerca
è stata
insediamento artigianale e per
3
un nuovo
allestimento
nel
1997
Mario
Luni. indirizzata
(in restauro)
recuperato
sul pavimento
mosaico
di un ambiente
sti nel aMuseo
Archeologico
di dell
nella
zona centrale
poter porre
il vincolo
definitivo
La costruzione
della 2linea
ferroviaria
Fano-Urbino
finecon‘800 Ancona; uno policromo, con il
di Forum
Sempronii,a in
. Sono
alla
zona archeologica
aveva
determinato
il
rinvenimento
di
murature
e
mosaici,
due
seguite ricerche annuali, con nessione con la via Flaminia,dei “Ratto di Europa”, e l’altro con
quali
stati staccati
nel degli
1926 per
esposti nel negli
Museo
conessere
il rinvenimento
anniAr- disegno geometrico. Nell’ultila sono
collaborazione
anche
cheologico di Ancona; uno policromo, con il “Ratto di Europa”, e
3
Il Museo è stato riorganizzato totalmente con un nuovo percorso di visita ed appropriato allestimento, con i materiali appositamente illuminati in vetrinette e spazi espositivi attrezzati per una moderna fruizione; la collaborazione dell’Architetto L. Barbagli e
del Prof. G. Gori si è rivelata essenziale, anche nella realizzazione di un accurato apparato didattico. Lo studio dei materiali è giunto a definizione, anche con l’ausilio dei Dott.
Oscar Mei e Marcello Montanari, e il relativo catalogo è in corso di redazione.
Fig.
3 -parte
PerseoAndromeda,
(a sinistra) e inriconoscibili
parte Andromeda,
riconoFig.
4 - Figura
in corso di recupero nella “Casa
sinistra)
e in
frammentati
in un
tratto femminile
di affresco
scibili frammentati
in un tratto
di affresco
(in ambiente
restauro) della
di Europa”,
stesso ambiente col precedente affresco,
ro) recuperato
sul pavimento
a mosaico
di un
“Casanello
di Europa”.
recuperato sul pavimento a mosaico di un ambiente della
“Casa di Europa”.
in un contesto di parete ornata con ghirlande dorate su
fondo rosso.
Le Cento Città, n. 50
Fig. 4. Figura femminile in corso di recupero nella “Casa di Europa”, nello
precedente affresco, in un contesto di parete ornata con ghirlande do
18
Mario Luni
Mario Luni
8
Fig.del
5. Parco
Pianta Archeologico
del Parco Archeologico
Forum Sempronii,
conulteriore
una ulteriore
quattrolati
latida tutelare, per la
Fig. 5 - Pianta
di Forumdi Sempronii,
con una
areaarea
suisui
quattro
da resti
tutelare,
per la(Gessaroli
probabile epresenza
di resti antichi (Gessaroli e Luni, 2004).
probabile presenza di
antichi
Luni, 2004).
mo decennio è stato concor- figurati anche animali esotici di Urbino ed è conservata nel
dato con il Soprintendente entro riquadri e motivi vege- Museo Archeologico di FosArcheologo Dott. Giuliano de tali. Questa opera di recupe- sombrone. Una Mostra è stata
La ricerca a Forum Sempronii ha consentito di individuare eleMarinis un progetto di ulte- ro dell’apparato decorativo di allestita in occasione del ritormenti
a riconoscere
aspetti
della vita
della città,
esem- col “Ratto di
riore tutela e di utili
valorizzazione
no delad
mosaico
domus,
sebbene
in genere
in come
l’esistenza diche
una frammenti,
rete idrica con
di piombo,
servita nella
da un
del Parcopio
Archeologico,
sede originaria a
si è tubi
verificata
in Europa”
prevedevacastellum
anche di ricontestuaparallelo
con presso
il ritrovamento
di Forum
aquae ubicato
a monte,
una sorgente;
vari Sempronii,
tratti di che presenta
lizzare i due
mosaicidi menzioanche
documentazione
relativa
elementi sono
dell’arredo
in mate- negli
tubazioni
diverso diametro
stati rinvenuti
scavi
ed annati con lache
Domus
di appartedecorazione e all’arredo di
riale
pregio. Unitamente
a allastradali.
due basi
di fontane,
in di
connessione
con due incroci
nenza. La “Casa di Europa” è frammenti di marmi colorati domus.
La scoperta di tombe e strutture antiche anche al di fuori delle
stata pertanto oggetto di ampio riferiti a pavimenti in opus secUn particolare incremento
mura
urbiche ha inoltre
determinato
nel 2004 la
proposta
di estendescavo, col
ritrovamento
di tile,
ha avuto
nell’ultimo ventennio
sono state recuperate
parti
nuovi ambienti con pavimenti a di candelabri, di trapezofori e la caratterizzazione del Parco
mosaico, anche policromi e con di un labrum. Di bronzo sono Archeologico con un programdisegno geometrico; l’attuale stati inoltre segnalati candela- ma di interventi finalizzati ad
restauro e la prevista copertura, bri, lucerne, appliques ed ele- unire le varie aree di scavo
per i vecchi e per i nuovi mosai- menti decorativi di vario gene- messe in luce ad iniziare dal
ci, permetteranno di musealiz- re. Da ultimo è stato scoperto 1974: le Terme, la “Casa di
zare la signorile domus, con un un grosso tratto di affresco con Europa” nella strada dei Seviri
intervento mirato di consistente la raffigurazione di Perseo e e quella “degli Animali Esotici”
impegno e unico non solo nella Andromeda ed un secondo con nella via del Forno sono state
regione.
un personaggio femminile in un collegate tra loro mettendo allo
Tratti di pareti affrescate ambiente della “Casa di Euro- scoperto il lastricato stradale
sono stati inoltre rinvenuti in pa”4 (Figg. 3-4).
di una serie di vie, che non
Questa documentazione è necessitavano pertanto di ampi
stato di crollo e poi restaurati
con paziente lavoro del tecnico stata rinvenuta grazie all’ope- restauri e che potevano essere
ra di ricercatori e studenti del utilizzate con continuità a cielo
Arduino Spegne.
Esse risultano dipinte con Corso di Laurea in Archeologia aperto nel percorso di visita agli
colori lucenti e presentano raf- e in Restauro dell’Università edifici messi in luce e restaurati.
Le Cento Città, n. 50
Fig. 6. Struttura di edificio semicircolare in una foto aerea in bianco e nero degli anni ’80, inedita, in cui si è riconosciuto in passato un teatro o anfiteatro (M. Luni, O. Mei).
Il saggio
9
Mario Luni
Fig.
6 - Struttura
edificio
semicirFig.
7 - anni
Foto’80,
aerea
recente in cui è riconoscibile la pianta ellittica dell’Anfiteatro
di edificio
semicircolare
in unadifoto
aerea in
bianco e nero
degli
inedi7.O.Foto
aerea
cui ècon
riconoscibile
pianta ellittica
dell’Anfiteatro
nell’angolo
si è riconosciuto
in passato
un teatro
Luni,
Mei).
colare in
una foto
aerea oinanfiteatro
bianco (M.
e Fig.
nell’angolo
S-Erecente
della in
città,
l’ingressola sull’asse
maggiore
(al centro)
e due S-E
della città, con l’ingresso sull’asse maggiore (al centro) e due minori su ciascun lato.
nero degli anni ’80, inedita, in cui si
è riconosciuto in passato un teatro o
anfiteatro (M. Luni, O. Mei).
minori su ciascun lato.
Nel contempo l’attenzione l’accresciuta conoscenza delle
dell’Università di Urbino rivol- radici storiche dei luoghi e con
ta alla via Flaminia in varie cir- la musealizzazione dei resti
costanze ha permesso di scopri- e dei materiali qui rinvenuti.
re nuove strutture romane non Motivo di incoraggiamento si è
lontane da Forum Sempronii, rivelata la collaborazione direttali da poter essere comprese in ta di vari cittadini e anche di
un unico circuito di particolare amministratori di Enti territovalenza archeologica lungo la riali, che hanno fornito talvolta
strada consolare; mi riferisco un personale aiuto in un clima
allo scavo e musealizzazione del appassionato di volontariato7.
La ricerca a Forum Semprosepolcreto di Calmazzo (1989),
della villa rustica di Colombara nii ha consentito di individuadi Acqualagna (negli anni ’90) e re elementi utili a riconoscere
poi della taberna di Tavernelle aspetti della vita della città,
di Serrungarina, di vari resti come ad esempio l’esistenza
di sostruzioni, di chiavicotti e di una rete idrica con tubi di
ea recentedi
in cui
è riconoscibile
pianta ellittica
dell’Anfiteatro
nell’angolo
piombo,
servitaS-Eda un castellum
ponti
lungo illatratto
interno
à, con l’ingresso sull’asse maggiore (al centro) e due
su ciascun lato.
aquae
ubicato a monte, presdel fondamentale asse viario5. minori
La carta archeologica di questo so una sorgente; vari tratti di
territorio e lo studio dei mate- tubazioni di diverso diametro
riali rinvenuti hanno consenti- sono stati rinvenuti negli scavi
to inoltre di organizzare alcuni ed anche due basi di fontane,
piccoli musei, come quelli di in connessione con due incroci
Acqualagna, Cagli e Cantiano, stradali.
La scoperta di tombe e strutoltre alla vetrina didattica di
ture antiche anche al di fuori
Tavernelle6.
In definitiva questa attività delle mura urbiche ha inoltre
annuale con finalità didattiche e determinato nel 2004 la propodi ricerca nel Forum strutturato sta di estendere l’area di tutela
da Gaio Sempronio Gracco ha ad una fascia anulare attigua
contribuito a meglio compren- all’abitato romano. I controldere il contesto storico-arche- li eseguiti in seguito in queologico del territorio in cui è sta zona in occasione di lavori
stata realizzata e poi potenziata hanno pertanto permesso di
la Flaminia attraverso i secoli. individuare vari ulteriori resti
Il consenso sull’attività scien- archeologici (Fig. 5): da ultimo
tifica e anche da parte delle un ponticello ad Est, lungo la
Comunità locali è aumentato via consolare.
gradualmente, in parallelo con
Infine, un ulteriore contriLe Cento Città, n. 50
buto è pervenuto dall’utilizzo
delle più moderne tecnologie
nelle ricerche topograficoarcheologiche realizzate a
Forum Semproni e lungo la Flaminia, ad iniziare dalle immagini satellitari, appositamente
ingrandite, fino a prospezioni
elettromagnetiche in aree significative. Determinanti si sono
rivelate le ricognizioni su zone
archeologiche con l’elicottero,
programmate in varie stagioni
dell’anno per riconoscere dal
diverso colore della vegetazione
gli elementi utili in relazione
all’impianto urbanistico della
città, ad insediamenti sparsi e
a linee superstiti della viabilità
antica. Alcune parti erano state
scoperte in precedenza, come
ad esempio la significativa area
del Foro subito a Nord della
Flaminia, con due templi appaiati e con portici che delimitano un vasto piazzale8; ma un
intervento sistematico recente
ha portato un contributo fondamentale per completare la
lettura della cinta muraria verso
Est, di interi isolati e dello
stesso grande anfiteatro, riconosciuto da ultimo sul margine
sud-orientale della città9, grazie
alla disponibilità di Luigi Chiavarelli (Figg. 6-8).
Le tappe fondamentali della
quarantennale riscoperta di
Forum Sempronii sono scandite dalla relativa bibliografia
Mario Luni
Il Parco Archeologico di Forum Sempronii: scavi e ricerche 1974-2012
1021
scientifica, che registra attraverso gli anni le nuove scoperte e le conoscenze acquisite dall’approfondimento della
ricerca da parte dell’Università
di Urbino.
NOTE
1
Numerosi volumi sono stati in
precedenza pubblicati o curati dallo
scrivente e collaboratori nell’ambito
dell’attività annuale come responsabile degli scavi di Forum Sempronii,
su concessione da parte del Ministero dei Beni e Attività Culturali. Vari
contributi sono inoltre dovuti a studiosi di varie Università che hanno
preso parte in genere alle ricerche sul campo, come risulta dalla
Fig. 8 - Pianta di Forum Sempronii su foto da satellite, con rete di isolati
bibliografia segnalata in appendice,Fig. 8. Pianta di Forum Sempronii su foto da satellite, con rete di isolati rettangolari e con l’anfirettangolari
l’anfiteatro
(20),(6)ileForum
con(8),due
e la Basilica
teatro (20),eil con
Forum
con due templi
la Basilica
(M.templi
Luni, O.(6)
Mei).
rappresentativa dello sviluppo delle
(8),
(M.
Luni,
O.
Mei).
indagini e del progredire delle conoscenze storico-archeologiche.
2 L’area artigianale è stata spostahanno consentito alla SoprintendenBeni Culturali delle Marche, che
za Archeologica delle Marche di
ringrazio vivamente. Altre foto dal
ta più a Est, all’esterno della cittàBibliografia
effettuare alcuni significativi restaudeltaplano sono state eseguite da
romana, determinando nel conri, specie a San Vincenzo al Furlo,
A. Camillini e alcune dall’aquilone,
tempo sia lo sviluppo culturale, sia
M.
LUNI
– G.
ORI, Edificio
con caratteristiche
termali
a SaninMartino
del
presso
Cagli
e aGmonte
di Cantiano,
assai utili per
la ricerca
atto.
quello economico di Fossombrone.
9 Già
di Fossombrone,
Albani,
VII, il1,Prof.
1978,
diretti
dal Dott. PaoloNotizie
Quiri e da
oraPalazzo
da
in passato
G. pp.
Gori9-21.
aveva
Determinante si è rivelato il soste-Piano
Chiara
Del– Pino.
G. GORI, Impianto termalesegnalato
di Forum
Sempronii
(San Martino
M.
LUNI
un’area
di affioramento
di
gno della Fondazione della Cassa di
6 Determinante è stata allora la colRisparmio di Pesaro, dell’Universitàdel Piano
riferibili
ai gradoni
di Fossombrone), Notizie da blocchi
Palazzoricurvi
Albani,
VII.2,
1978, di
pp.
laborazione della Provincia di Pesadi Urbino e del Comune di Fossom-7-26.
un teatro o di un anfiteatro sul lato
ro-Urbino e in particolare dell’Asbrone (specie negli anni passati).
orientale dell’abitato.
UnaMartino
struttura
– G.
GORI, Prof.
Edificio
con caratteristiche
termali a San
del
M.
LUNIalla
3 Il Museo è stato riorganizzato
sessore
Cultura
Alberto
semicircolare
di
un
edificio
monuPiano
di
Fossombrone
(Forum
Sempronii),
Picus,
II,
1982,
pp.
119-129.
Berardi,
che
ha
fatto
eseguire
prototalmente con un nuovo percorso
mentale era stata individuata con
UNIrestauro
– G. GdiORI
, Notestorici
di archeologia
topografia
forosemproniense,
M.
gettiLdi
edifici
a
di visita ed appropriato allestimenOscareMei
in una foto
aerea in bianPicus,
III,
1983,
pp.
87-113.
Cantiano,
Cagli
e
Acqualagna,
poi
to, con i materiali appositamente
co e nero (Fig. 6), forse in riferimenfinanziati
dalla, Comunità
DocumentiEuropea
di archivio to
percon
Forum
Sempronii,
Boll.
D’Arte,
illuminati in vetrinette e spazi espoL.
MERCANDO
un teatro,
per altro
segnalato
per1983,
allestimenti
museali delle antisitivi attrezzati per una modernaXIX,
pp. 83-110.
da Vernarecci un secolo fa. Per
chitàLUNI
della
Flaminia.
fruizione; la collaborazione dell’Arnon dall’Appennino
cadere in facili alla
suggestioni
si
, Nuovi
documenti sulla Flaminia
costa adriaM.
Va segnalato il contributo fornito
chitetto L. Barbagli e del Prof. G.tica,7 in
è monitorata
annualmente
questa
“Le
strade
nelle
Marche,
il
problema
nel
tempo.
Atti
del
Convegno
dalle migliaia di studenti univerGori si è rivelata essenziale, anche
significativa
area, finché
ho reperito
ottobre 1984”,
AMDSPM,
LXXXIX-XCI,
sitari e dei Licei classici di Fano,
nella realizzazione di un accura-Fano-Fabriano-Pesaro-Ancona,
documentazione
aerofotografica
a
pp. 139-180,
Iesi, Pesaro,
Senigallia1257-1280.
e Urbino,
to apparato didattico. Lo studio1984-1986,
colori risolutiva (Fig. 7), confermata
che
hanno
preso
parte
agli
scavi
UNI
,
La
via
consolare
Flaminia
nel
territorio
pesarese,
in
AA.VV.,
M.
L
dei materiali è giunto a definizione,
anche dal geom. Emanuele Mandonei quasi
quarant’anni
anche con l’ausilio dei Dott. OscarCulture
figurative
e materialiditraattività,
Emilia e lini.
Marche.
Studi indionore
M. Zuffa,
Un saggio
scavodieffettuato
unitamente
ad
altri
provenienti
da
Mei e Marcello Montanari, e il rela-Rimini
1984, II, pp. 387-399.
nel 2011 con O. Mei ha poi fornito
Parigi (Sorbona), da Madrid (Comtivo catalogo è in corso di redazione.
la prova definitiva dell’esistenza di
4 Questi ultimi affreschi sono in
plutense) e dalla Libia (Bengasi e
un Anfiteatro monumentale della
Beida).
A
tutti
va
un
grato
pensiero
corso di restauro, unitamente ad
prima età imperiale, con strutture
e anche alla Association Archéoloaltri frammenti minori con decorain elevato in pietra di circa due
gique Vauclusienne di Entraigues
zioni, in parte pubblicati in questo
metri, attualmente interrate; esso si
(città gemellata con Fossombrone),
stesso volume. Alcuni tratti di pitpresenta assai simile a quello della
che dal 2002 collabora all’attività
ture parietali rinvenuti negli scavi
vicina Suasa, sia per tecnica edilizia
sul
campo,
sotto
la
guida
di
Jacques
in anni passati sono stati restaurati,
(opus vittatum), sia per dimensioni
Mouraret.
musealizzati e pubblicati.
8 Assai utili si sono rivelate le varie
5 Con l’ausilio di gruppi di volontari
(l’asse maggiore è di circa 100 m),
sia infine per la sua ubicazione
riprese dall’alto che ho effettuato
e di comunità locali è stato possibile
periferica nel contesto urbanistico
negli ultimi anni grazie alla disporipulire da vegetazione infestante
della città. È ubicato in località
nibilità del Nucleo Elicotteri dei
varie strutture romane abbandonate
Olmeto (foglio catastale n. 23, parCarabinieri dell’Aeroporto di Fallungo l’antico percorso della Flamiticella 386) e si è osservato sull’asse
conara e concordati con il Capitania; si è proceduto quindi al rilievo
maggiore l’ingresso da Ovest largo
no Salvatore Strocchia del Nucleo
fotografico e talvolta anche grafico delle murature superstiti, che
dei Carabinieri per la Tutela dei
circa tre metri e mezzo.
Questo saggio, con una ricca bibliografia, è tratto dal Volume Forum Sempronii I, Scavi
e ricerche 1974-1012 a cura di Mario Luni e Oscar Mei, edito da QuattroVenti, per conto
del Dipartimento di Scienze della Comunicazione e Discipline Umanistiche dell’Università
degli Studi di Urbino Carlo Bo.
Le Cento Città, n. 50
La letteratura
11
Spazialità e soggettività nella scrittura di Dolores Prato
di Alfredo Luzi
Le Marche (toponimo che trae
la sua origine dall’etimologia di
Marken = terra di confine ), sono
una regione che, sul piano della
dinamica ambiente-personaggio,
può considerarsi una sorta di patria della memoria.
Condannato troppo spesso alla
diaspora, chi nasce e vive in questa regione porta con sé un mito
nostalgico della propria terra,
un’immagine amata, carezzata
nel ricordo, ma anche la traccia
dell’ultimo atto di amarezza, della delusione per una regione di
campagna, bellissima, ravvolta in
un paesaggio di boschi, di stoppie, di spiagge luminose,di mercati di paese dove l’odore inebriante del vino cotto si mesce (o
meglio si mesceva) al sapore acre
del mare portato da lontano dal
vento dell’est, ma abbandonata,
chiusa tra le sue mura ad ascoltare le proprie voci, a distillare da
decenni e da secoli i motivi dolenti dell’esistere.
Da questa dimensione nasce
però anche l’elaborazione di miti
individuali e collettivi quale quello, in anni non molto lontani, di
una capitale inutilmente sognata
a riscatto della posizione socialmente defilata del marchigiano:
una Roma mitica, priva di un
rapporto effettivo in termini di
funzione primaria dello stato.
Rivivendo l’esperienza leopardiana, lo scrittore che lascia questa terra si nutre, miele e veleno
della propria coscienza, dell’ambiguo sentimento di odio-amore
verso il “natio borgo selvaggio”.
In nome dell’impegno sociale
egli giunge nella città labirintica
e vi trova approssimazione, colpi
di mano, sottogoverno culturale,
compromissioni; ed allora torna idealmente alla vita lenta ma
profonda della provincia, dove il
confronto con la realtà è almeno
genuino, tutto teso a registrare
gli andamenti dell’umore di certi gruppi, a cogliere il trapasso
stagionale, le infinite incidenti di
una vita collettiva tutta esposta,
vissuta per le strade e nelle piazze. E questo è stato anche il destino di Dolores Prato che,nei suoi
due romanzi per ora pubblicati,
sembra riassumere la complessa,
per non dire tragica, dimensione
dello scrittore marchigiano, in
bilico tra la linea della sapienza,
della misura, della solitudine e la
linea dell’utopia e dell’interrogativo sociale.
Il caso letterario della Dolores
Prato, esordiente a 88 anni, può
considerarsi più unico che raro
nel panorama,non privo di esordi tardivi, della narrativa italiana
contemporanea. Nata a Roma il
12 aprile 1892, Dolores vive però
l’infanzia e la giovinezza a Treia,
prima in casa degli zii (e il ricordo di quegli anni è l’asse portante
del primo romanzo Giù la piazza
non c’è nessuno , pubblicato da
Einaudi nel 1980 ), poi, dal 19012 al 1910, nel collegio salesiano
delle Visitandine, dove è ambientato il nuovo romanzo postumo
Le ore pubblicato da Scheiwiller
nel 1987 con la cura editoriale
che gli è nota,e corredato da una
illuminante nota critica di Giorgio Zampa. Tornata nelle Marche
come professoressa di lettere,
insegna a San Ginesio e a Macerata. Per la sua posizione di antifascista non ha certo vita facile
durante il regime, sicché si rifugia
a San Sepolcro, per poi trasferirsi
definitivamente a Roma, dove resterà fino alla morte avvenuta ad
Anzio il 13 luglio 1983.
Ma già a livello di ‘erlebnis’, di
atteggiamento di vita, è possibile
individuare nella Prato una aspirazione a salvare l’esistenza dalla
condanna della morte trasformandola, attraverso il processo
mitopoeitico della parola, in essenza della scrittura, intesa come
ritessitura memoriale degli eventi
filtrati dalla soggettività ermeneutica dell’io narrante.
La Prato si dedica per tutta
la vita a trasferire in potenziale
letterario, raccogliendo materiali
e riempiendo fogli e fogli, il paLe Cento Città, n. 50
trimonio di ricordi, di sensazioni, di personaggi, legati alla sua
autobiografia (sia nel senso di
scrittura della propria esistenza
sia nel senso di vita della propria
scrittura),in particolare agli anni
passati a Treia.
La sua ricerca del tempo perduto si concretizza in un voluminoso manoscritto che giunge
nelle mani di Natalia Ginsburg.
Dopo una drastica riduzione del
numero delle pagine e dopo un
tentativo rientrato di farle cambiare il titolo (ma Dolores insisterà per Giù la piazza non c’è
nessuno anche per la sua precisa
marca di parlato marchigiano ), il
libro vede la luce nel 1980 e diventa un caso nella produzione
letteraria di quell’anno.
Ma la struttura originale del
romanzo è completamente stravolta e la dimensione memoriale,
proustiana, viene compressa in
282 pagine. Solo nel 1997 Giorgio Zampa, critico letterario di
grande valore e battagliero sostenitore delle qualità letterarie di
Dolores, allestirà la riedizione integrale del volume di 760 pagine
corredandola di una fondamentale introduzione all’opera.
La poetica della Prato ha come
punto di riferimento la linea filosofica che parte dall’equazione
platonica mimnesco = gignosco
(ricordo = conosco ) e che attraverso Agostino, Petrarca, Leopardi, Proust, arriva fino ad Ungaretti e a Montale. Nulla dunque
di simile alla cosiddetta memorialistica di tipo naturalistico descrittivo (anzi i fatti in sé nella vicenda
della Prato sono minimi) ma una
testualità che ha come momento
di sintesi la capacità memoriale
del soggetto che seleziona qualitativamente i frammenti di realtà
che si trasformano in esperienza
gnoseologica.
Con un meccanismo di amplificazione dell’immaginario che ci
obbliga al riferimento leopardiano, la Prato ritrova nella memoria
l’impronta della città marchigiana:
Alfredo Luzi
Noi cominciamo ad essere col primo ricordo che riponiamo in magazzino. Il luogo dove si ebbero i primi
avvertimenti della vita diventa noi
stessi. Treja fu il mio spazio, il panorama che la circonda la mia visione .
Ed il rapporto tra lemma e
luogo, tra grafia e spazio, è determinato dalla capacità reattiva del
soggetto a risuscitare il ricordo
attraverso le proustiane intermittenze del cuore:
Nella lunga monotona parentesi collegiale, il nome Treja appariva
sulla posta che arrivava, per tutto il
resto era scomparso,sostituito dal
nome del collegio. Ma dal collegio
esplosi a Roma e qui, di colpo, quando in un labirinto della vecchia città
lessi ‘Piazza dell’Olmo di Treja’ uscì
fuori tutta la tenerezza fascinosa di
quel paese che m’ero portata dentro
senza saperlo. Fu la prima delle tante
epifanie”.
Il dramma della Prato, come
per un altro grande scrittore
marchigiano, Franco Matacotta,
è, per dir così, nel peccato d’origine, nel suo “sentirsi diversa”.
L’incipit del romanzo rivela subito il rovesciamento del consueto
punto di vista. Fondendo nella
prima persona le funzioni del
personaggio, dell’autore e del
soggetto storico-autobiografico,
la scrittrice descrive il suo mondo
dal basso e immette nel reticolo
emotivo della lettura il sentimento predominante dell’esclusione:
Sono nata sotto un tavolino. Mi ci
ero nascosta perché il portone aveva
sbattuto, dunque lo zio rientrava.
Lo zio aveva detto: - Rimandala a
sua madre, non vedi che ci muore in
casa? Ambiente non c’era intorno,
visi neppure, solo quella voce. Madre, muore, nessun significato, ma
<< rimandala >> sì, <<rimandala >>
voleva dire mettila fuori dalla porta.
<< Rimandala>> voleva dire mettermi fuori del portone e richiuderlo.
Pur protetta dal tappeto che con
le frange sfiorava il pavimento, ascoltavo fitto fitto: tante volte venissero a
cercarmi per mettermi fuori!
Sedevo sui mattoni. Molliche indurite mi si conficcavano nella pelle
come sassolini. Quel primo pezzetto
di mondo immagazzinato dalla mia
memoria lovedo come adesso vedo
la mia mano che scrive. Mattoni rettangolari color crosta di pane, uno
coricato, uno dritto, facevano un
12
tessuto a spina. Come soffitto il rovescio della tavola attraversato da stanghe di legno; le quattro gambe unite
da assicelle su cui la gente metteva
i piedi, più consumate nel mezzo;
l’intera impalcatura ammantata dal
pesante tappeto:tutti colori notturni
intramezzati da fili d’oro; foglie nere,
fiori con parvenza di colori morti,
case appuntite trapunte d’oro, nello
scuro meno fondo apparivano facce
di mori e luccichio d’occhi. Il primo
fatto storico della mia vita, intreccio
di paura e meraviglia, fu sotto quel
tavolino.
La ricerca stessa dei significati, l’ansia semantica, attraverso
l’ascolto intenso e lo sguardo indagatore, che caratterizza questo
ingresso, così traumatico, nella
vita socializzata, deriva dalla
centralità che la Prato riconosce
all’infanzia come dimensione
spazio-temporale della iniziazione simbolica:
L’infanzia è la sola età in cui l’inconscio affiora senza ostacoli. L’inconscio che sa quel che noi non sapremo mai, l’inconscio che se a lui
ci abbandoniamo ci fa divinatori mi
parlava, ma io non lo capivo.
La persistenza della memoria
mitica è in effetti la prima traccia
della conoscenza:
Io abito ancora a Treia pur non
avendola mai più vista da quell’età
piccola che non invecchia.
E il cammino verso la maturità
è cadenzato da prove rituali che
l’antropologia e la narratologia
hanno individuato come archetipi del processo di formazione del
soggetto, dalla centralità chiusa
del sé alla proiezione verso l’alterità. A ragione Franco Brevini
ipotizza una lettura del romanzo
strutturato sulle sequenze canoniche della morfologia della fiaba
e basato sul sistema triadico di
separazione (dalla madre e dalla famiglia), morte simbolica (la
entrata in collegio e la chiusura
dal mondo) e resurrezione ( la
memoria come potenzialità vitalistica e la scrittura come presa di
possesso della realtà ) .
Il romanzo è appunto una storia esemplare, tenera e spietata,
di una infanzia che cela il segreto
di una vita intera, un viaggio psicologico all’interno del proprio
Le Cento Città, n. 50
io mentre attorno la storia avanza, l’avvolge e inesorabilmente la
trasforma:
Quel poco che ho studiato è scomparso nel buco nero che ho al posto
della memoria. Quel che pare ricordo, è tatuaggio, incisione, cicatrice:
io leggo i segni.
La Prato vince le difficoltà di
rapporto col mondo, mettendo
nel suo modo di raccontare un
pizzico d’azzardo, usando uno
stile dove l’andamento narrativo
delle sensazioni s’incrocia con la
frontiera della continua interrogazione.
L’autobiografia (in cui scrittura
e vita si confondono) muta in documento di un’umanità in divenire, contributo alla comprensione
di una struttura sociale in cui tutti siamo protagonisti e vittime.
Ma anche la patina regionale
entra nel testo stesso, a caratterizzare, a livello linguistico, una
spazialità ben definita e tracciata
dai limiti dell’uso del dialetto,
una lingua alternativa a quella
ufficiale, fatta di grumi emotivi
e di espressività rude, ma utile
come segno di riconoscimento
di una comunità che anche nel
linguaggio ritrova una sua identità e nella quale, per contrasto,
la scrittrice trova conferma della
propria diversità :
Tutto quello che si muoveva e che
suonava nell’aria, forse era la vita.
In quell’epoca le poche parole che
incontravo avevano tutte una faccia,
ma la vita non ne aveva nessuna......
I bambini si chiamavano frichì e
frichina; i ragazzi bardasci e bardasce. In casa nostra queste parole entravano solo con le donne di servizio.
Se per la strada una donna ne incontrava un’altra con un frichì in
braccio, le domandava: - Quanto
tempo ha? - mai quanti mesi ha. Il
frichì appena nato cominciava a incamerare il tempo....
I fiammiferi in paese erano fulminanti. Molto più giusto: bastava strusciarli contro una superficie ruvida
che scoppiavano come un piccolo
fulmine.......
Solo Eugenia dentro casa nostra
diceva prescia, noi dicevamo fretta...
- Non voglio cosa, - diceva pure, ma
con la o stretta perché solo chiusa
a quel modo <<cosa >> valeva <<
niente >>; con la o aperta, qualcosa
era sempre....
La letteratura
13
Dolores Prato
Le Cento Città, n. 50
Alfredo Luzi
Quel pezzetto di Marche è la patria
della fisarmonica, ma non si chiamava così, si chiamava l’organetto e tutti
lo suonavano, artigiani e contadini.
Lo suonavano camminando, con l’organetto ballavano. Pur essendo figlio
dell’organo l’organetto non poteva
entrare in chiesa, nelle osterie sì.
La storia della propria infanzia è una scantafavola narrata
anch’essa una sola volta,e quindi
irripetibile, come irripetibile è la
vita di ognuno di noi, condannata alla consunzione, alla morte:
<<Staccia minaccia>>....mi buttava giù, mi tirava su, mi ributtava
giù, più mi buttava e più godevo.
Ogni tanto mi stringeva sul suo petto
come per un riposo della gioia; il suo
petto, un paradiso fatto a pieghe di
velo azzurro.
<<Staccia minaccia, buttiamola
giù la piazza >>....; cominciava così,
non so come continuasse, ma finiva
con un <<giù >> lungo e profondo,
atroce e dolcissimo che mi capovolgeva. Emozione e felicità. Il pavimento era la piazza, io il brivido della
caduta.
Non l’ho imparata la filastrocca;....poi il pensiero come se
parlasse,diceva << Giù la piazza non
c’è nessuno >>.
Per le strade, nelle chiese, la gente
mi sorvolava. Solo zia Ernestina mi
vezzeggiò e non era di lì: veniva di
non so dove e se fosse d’Inferno o di
Paradiso per me non ha importanza
alcuna.
Anche adesso se, nel tentativo di
far risorgere il resto, cantileno <<
Staccia minaccia, buttiamola giù la
piazza >> e sforzo una resurrezione
che non avviene, di per sé arriva: <<
Giù la piazza non c’è nessuno >>.
Ma c’è, nella iterazione del
procedimento ludico, una sorta
di presagio della solitudine, un
segno ritmato dalla ritualità verbale e gestuale di una iniziale e
consapevole discriminazione:
In quella cucina dove tutto era
scuro, chiarissimo era che di proposito evitavano di vedermi: ignorandomi volevano dimostrare qualcosa.
Me ne accorgevo, ma non me n’importava nulla.....
Talmente disabituata all’attenzione della gente su me che se per forzata convenienza qualcuno mi rivolgeva il suo stupido <<Come ti chiami?
>> rispondevo << No >>. Significava: << Non voglio rispondere >>.
Odiavo le domande dei grandi; per
14
quanto rare, esse riuscirono a sforacchiare tutta la tela della mia infanzia.
E’ proprio l’angoscia del non
ritorno, la consapevolezza che
ogni cosa che è stata non potrà
più ancora essere a dare alla memoria della scrittrice una grande
capacità di trattenere e filtrare
tutti gli eventi, tutti gli oggetti,
tutte le persone che hanno comunque lasciato un segno nella sua coscienza. Attraverso la
scrittura Dolores riscatta la sua
autonomia di giudizio rispetto
alla “doxa” paesana, il suo diritto
a dirimere il bene dal male sulla
base dell’esperienza soggettiva,
proponendo, ad esempio, per la
figura di Ernesta, una iconografia
positiva, in contrasto con il malvagio conformismo degli adulti,
sempre giocata sulla metafora
oppositiva Inferno - Paradiso:
Ernestina, lui la chiamava, era tutta azzurra; azzurro di cielo chiaro e
di cielo scuro il suo vestito; come ali
di velo abbandonate una sull’altra, le
mollli pieghe.....
<< Staccia minaccia, buttiamola
giù la piazza....>> m’inclinava sempre più all’indietro finché la mia testa
toccava quasi terra e io vedevo quel
meraviglioso demonio dal rovescio;
mai il demonio fu così bello, neppure
quando era Lucifero....
A cavalcioni sulle ginocchia di zia
Ernestina, vorrei stare per l’eternità.
Io fui bambina come i bambini, solo
per quel demonio, certo non sposato
in chiesa.
La cronaca dei fatti quotidiani collegata ad una minuziosa
descrizione delle coordinate
spazio-temporali che raggiunge
i caratteri della ossessività nella
precisione maniacale della descrizione di stanze, case, vicoli e
pietre, è un espediente per sondare qualcosa di profondo e di
originario, il tentativo della fanciulla di scoprire se stessa attraverso l’introspezione psicologica
mentre attorno a lei il ritmo delle
stagioni propone l’idea dell’eterno mutamento, degli addii e dei
ritorni.
La scrittrice cerca, attraverso la memoria, di elevare ogni
frammento della vita privata e
collettiva a simbolo, creandosi
un reticolato mitico fatto di uccelli imbalsamati, bauli, rose di
Le Cento Città, n. 50
Gerico, ritratti, proverbi, gesti,
alimenti, viaggi, pellegrinaggi a
Loreto, pappagalli, rosari, cerimonie, tradizioni popolari:
La sera c’era la processione del
Cristo morto. Vorrei sapere perché
me la ricordo come se l’avessi vista
una volta sola....
Silenziosa processione nella notte, confraternite, seminaristi, preti,
passavo lenti come si conviene alla
rappresentazione di un funerale,
lampioni velati, il carro funebre camminava solo...
La Settimana Santa diventava pian
piano la sagra dei salumi. Certe botteghe sottolineavano spigoli, archi
e architravi con fasci di lauro e di
bosso.
La sera del Venerdì Santo, nonostante la processione del Cristo
morto, in quelle botteghe era già
cominciato il Sabato Santo. La gente
ci si fermava come davanti ad allegri
sepolcri. Matasse di fili d’argento e
d’oro cascavano dal soffitto andando
ad appoggiarsi da un punto all’altro;
su chiodi e rampini sbocciavano fiori
di carta; le colonne delle enormi forme di cacio, spesso stavano di fuori
come contrafforti; posavano su tappeti di carata colorata e dorata, sfrangiolata e arricciata.
I frammenti degli eventi a cui
la coscienza memoriale ha dato
dignità di scrittura ritrovano così
una loro unitarietà nel rifiuto della diacronia, nella collocazione
del racconto dell’infanzia in un
tempo sospeso, preistorico:
Noi non siamo mai cominciati: il
gancio a cui si attacca il primo anello della catena nessuno lo troverà; lo
trovò senza cercarlo Gesù Bambino
che appena nato ha già l’aria di vedere tutto, di sapere tutto; Lui era
un bambino che poteva benedire i
vecchi.
La narrazione dell’infanzia si
trasforma, man mano, in denuncia sociale, in ribellione agli schemi di una società che impone
una rigida divisione tra popolo
e signori, ratificata di fatto nella
prossemica dello spazio riservato
ai fedeli nella chiesa ( più si è ricchi e più si ha merito difronte a
Dio ? ) :
La sedia in chiesa era un segno di
potenza, un resto di feudalesimo. La
zia entrava, cercava con gli occhi la
sua, c’era seduta una poveraccia o
una contadina col volume enorme
delle sue gonne; con aria padronale
La letteratura
bussava sulla sua spalla senza guardarla, quella si alzava e la zia gliela
toglieva quasi di sotto, tanto simultaneo era il cedere di una e il riappropriarsi dell’altra, feudale padrona di
una sedia;
e messa in risalto (tramite la cifra socio-formale, nel caso sotto
riportato, dello stile nominale) da
una crudele emarginazione della
povertà, che condiziona la struttura urbanistica della cittadina:
Ogliolina dicevamo noi, strada
nera, stretta, un poco storta. Casucce
buttate a caso, emergenti, sprofondate, sconquassate, molte puntellate;
casa e stalla si fondevano come il cattivo odore con l’aria. Affastellamento di legno imporrito e mattoni rotti,
finestre piccole come sportelli da
confessionale, usci con battenti sgangherati. Da un tetto all’altro, canne o
corde cariche di cenci, cenci alle finestre, cenci sui muri, cenci addosso
alla gente.
Quella gente era un mistero. Una
famiglia per ogni buco, ma tutti insieme erano una cosa sola, erano i
Mosci;
perpetuando l’ingiustizia sociale
anche dopo la morte:
Solo dopo la morte erano tutti <<
poveri >>, anche i ricchi. Ma un povero vero che moriva, spesso era <<
nessuno >>. Suonava la campana a
morto, uno domandava :
- Chi è morto ? - l’altro rispondeva
: - Nessuno, il brecciarolo di Borgo .
Il rifiuto di essere nessuno, la
ricerca delle origini e la definizione della propria identità sono
alla base del sentimento della
differenza che informa i pensieri
di Dolores, emarginata non socialmente ma psicologicamente,
diversa al punto da non poter
contare sulla memoria per sentirsi se stessa e da non poter ritrovarsi nelle categorie del tempo e
dello spazio:
<<Vuole sapere chi è il padre>>.
Assolutamente non ricordo di averlo
voluto sapere allora. Ma essendo io
un’eternità spezzettata, tanti pezzetti
di eternità mischiati con tanti vuoti,
tanti niente, la mia domanda potrebbe rientrare in uno di quei niente. So
di non aver avuto mai memoria; dovevano incidere o scottare le cose per
durare. Quello che appare memoria
è raccolta di cicatrici, o album d’in-
15
cisioni. Se ho scordato è segno che
del padre non m’importava proprio
niente. E poi non era solo un padre
sbagliato che avrei dovuto cercare,
tutto avrei dovuto cercare, perché
tutto era sbagliato. Non lo sapevo io,
ma lo sapeva il mio io nascosto, losapeva quello che m’impediva sempre
di chiedere spiegazioni...
In fondo ero tanto sola che non
avevo neppure radici; l’ignorarlo
non significava che la pianta non
stentasse.
In questo vuoto, in questa assenza di storia, irrompe l’utopia
compensatrice, la forza di un futuro imprevedibile che riscatti la
banalità della cronaca, confuso
tra il miracolo e il presentimento:
...Ora, distesa sul canapé, con
i piedi piagati, nell’oscura sala da
pranzo, incominciai a sognare l’avvenire. Sarò Regina ! Certo è possibile, benché difficile. Che c’è più alto
della Regina ? La Madonna. Ma la
Madonna era un pasticcio: vergine e
madre........
Ero lontanissima dal supporre che
cosa volessero dire le due parole,
sapevo solo che c’era di mezzo un
miracolo. Per me si sarebbe compiuto; s’era compiuto per la Madonna
? dunque era possibile. E se invece
diventassi scrittrice ? I miei compiti
la maestra li leggeva forte in classe.
Ma la Prato, seguendo le credenze dell’onomastica antica
basate sull’equivalenza nomen =
omen , è convinta che il destino
di ognuno di noi è delineato nei
segni che riassumono tutto il nostro tempo. La sua costante, ossessiva, attenzione alle parole, ai
suoni, ai significati, è il segno del
suo desiderio di leggere nel linguaggio le orme di un cammino
già tracciato eppure ignoto, presagibile solo attraverso la lettura
di indizi semiotici. Così ella ha
ritrovato, almeno in parte, sulle
rive del Delta del Po le origini
del suo amato zio e nel suo nome
(Dolores) il marchio della sua
sofferenza:
Tutto si chiude: il Delta, nostro
principio e nostra fine. Dal grande
Delta nacque lui col timbro simbolico del piccolo Delta nel nome, Dominicus; con lo stesso piccolo Delta
nel nome nacqui io. Il mio piccolo
Delta diventò l’immenso Delta nel
qualelui lentamente agonizzando
scomparve. Io sono diventata quel
Le Cento Città, n. 50
Delta in cui lui galleggia.
Giù la piazza non c’è nessuno
è tuttavia solo la parte emersa, e
ridotta, di un vasto arcipelago di
fogli, appunti, frammenti non accolti dalla casa editrice, notazioni
linguistiche, che costituiscono
l’impianto di una narrazione autobiografica ininterrotta fino alla
morte della scrittrice.
Giorgio Zampa, che con assiduo amore e acume critico da
anni si è dedicato allo studio e
alla valorizzazione della Prato ha
finora portato alla luce vari inediti, curando la pubblicazione
del dattiloscritto incompiuto che
può considerarsi il seguito del
primo romanzo, Le ore I (Milano, Scheiwiller, 1987), del volume Le ore II. Le parole (Milano,
Scheiwiller, 1988), e della raccolta dei brani dedicati alla città di
Treia e non accolti nella stampa
einaudiana del 1980, Le mura di
Treia e altri frammenti (Città di
Treia, 1992).
Globalmente queste opere si
configurano come contributi
differenziati, nel tempo, nello
spazio, e nelle modalità di scrittura, di un unico progetto mirante a trasformare in arte la vita, in
parola e segno grafico i gesti, le
emozioni, i fatti dell’esistenza.
Ma da qui nasce anche la loro
complementarietà che permette al lettore di esaminare i testi
in funzione di un’opera sempre
in fieri, caratterizzata dal continuum della revisione stilistica e
dalla registrazione minuziosa di
micro-eventi.
Il romanzo Le ore I, ad esempio, racconta la vita trascorsa
dalla Prato nel Monastero delle
Visitandine, “isolata nell’altro
mondo”, benché il collegio fosse
all’ interno della struttura urbanistica della città, accorpato alla
chiesa di Santa Chiara.
Qui il tempo è lento, quasi fermo, scandito soltanto dai riti religiosi e dalle ricorrenze dei santi:
Com’erano lunghi gli anni in collegio ! Natale arrivava quando quell’altro già si tingeva d’azzurro per la
lontananza. Quel che ritornava,
ritornava dopo tanto tempo. Forse
perché allora erano piccoli pensieri,
piccoli dolori, non bastavano a riempire il tempo.
Alfredo Luzi
Lì dentro s’ignorava il momento
preciso in cui si passava da un anno
all’altro.
In questo mondo si muove
agevolmente la Madrina, una
monaca il cui ritratto adombra
il personaggio ambiguo e intrigante della Monaca di Monza,
mentre alla giovane Dolores il
mondo esterno si propone come
paradiso perduto, allontanato da
divieti e rinunce. Ma è sufficiente
leggere Le ore II per capire come
la Prato determini una connessione tra la frattura dello spazio
subita con la chiusura in collegio
e la frantumazione del codice
linguistico, sottoposto anch’esso
alla torsione di un sistema rigidamente impostato sul rispetto di
norme e prescrizioni:
In paese l’universo per me era negli occhi e nelle parole. In collegio,
stando quasi sempre chiusa, l’universo degli occhi si restrinse a quel
panorama, sempre quello, ai corridoi, ai cameroni, si moltiplicò quello
delle parole.
La parola era un mito per quel che
appariva a noi, ogni parola poteva diventare leggenda; per loro era di certo logos, parola sì, ma con un perché.
La censura, sessuofobica e
perbenistica, è avvertita anche
attraverso le imposizioni di una
pedagogia linguistica che rimuove il dialetto, determinando nella
educanda uno sradicamento dal
proprio passato e dalle consuetudini espressive acquisite nel contesto familiare:
In casa e fuori di casa tutti si diceva <<cazzotto>>, anche Zizì che
era dotto eparlava bene diceva cazzotto.....
Io in convento dissi cazzotto e tutti
si scandalizzarono......
Io ne fui mortificata e non dissi
mai più cazzotto, ma pugno, sempre
pugno fino ad adesso che sto scriven-
16
do del cazzotto.
In casa si diceva la cazzarola, forse l’unica parola dell’uso universale
del paese che adoperavamo, ma in
collegio non solo erano enormi, si
chiamavano casseruole con tanto di
dittongo.
L’adozione di un nuovo linguaggio, imposto e dolorosamente accettato, è il sintomo del
condizionamento e della forzata
metamorfosi a cui è costretta l’identità del soggetto nel suo processo di socializzazione:
In fondo fu un grande cambiamento di parole, per il resto, un
peggioramento, piantarono nella mia
coscienza scrupoli, paure, ossessioni,
che Zizì, prete, non aveva mai sognato.Rovinarono la mia vita.
gia dell’infanzia: Io sola guardavo
dalle finestre...... Guardavo dalla finestra di levante dove gli ulivi quando soffiava il vento erano cangianti
come un vestito di seta della zia, verde ulivo e verde argentato. Da quella
finestre aperta coglievo quel silenzio
che sentii da bambina sperduta nella
campagna; ma era un attimo....
Dall’ultima finestra di mezzogiorno vicina al mio banco vidi uno spettacolo meraviglioso: la nebbia aveva
tutto coperto, noi emergevamo e più
in basso la Villa Bonaparte era una
piccola isola nel mare della nebbia.
Inutile avvertire le altre, in tutto il
tempo che sono stata lì né una monaca, né una ragazza si sono mai accorte del mondo che si poteva vedere
con gli occhi fuori del sacro recinto.
Stupendo sì quello spettacolo, ma
il tempo lo seppellì.
Non mi vidi uscire di casa, non
me lo disse nessuno strappo; non so
se andai a piedi o in carrozza;.......
era mattina, era pomeriggio? Avevo mangiato? Non lo so.......Dopo
la fotografia dei due fondali non so
che successe, non so quando.......
Non seppi più nulla......Più niente
vedo, più niente sento......Più nulla
vidi, di niente m’accorsi più.....niente vidi.....e tornai a non vedere a non
sentire più niente.
Esaminando in prospettiva
sincronica le strutture narrative
delle opere della Prato, risulta
comunque evidente che in esse
il soggetto rivendica la sua centralità anche attraverso la modifica continua delle categorie di
spazio e di tempo, utilizzate non
come parametri certi di conoscenza ma come moduli reattivi
del proprio io messo di fronte
agli eventi dell’esistenza. Rompendo la struttura tradizionale
del Bildungsroman, basata sulla
progressione dei fatti e sulla conseguente crescita gnoseologica
dell’io-personaggio, la scrittrice
marchigiana ha inserito, nella
sua storia e nella sua scrittura, il
senso del non finito, l’ambiguità
dell’autobiografia imperfetta.
Il tutto condensato nella metafora, limpida nella sua icasticità,
leonardesca e montaliana, del
fluire del mondo:
fino alla contemplazione a distanza, dall’interno della prigionia psicologica, del paesaggio
marchigiano, un microcosmo
edenico in cui ritrovare la nostal-
Eravamo tutti inconclusi. Lui che
aspettava di tornare a far fortuna in
America, io che aspetto ancora di
fare quel che ho sempre pensato di
fare e non farò. Come il Sile, fiume
inconcluso, fiume disperso.
E’ dunque su una base linguistica che si determina, in Le ore
I, la tematica della polarità spaziale dentro/fuori che percorre
come struttura portante tutto il
racconto della vita collegiale, dalla simbolica morte che spezza i
legami col mondo nel momento
dell’ingresso in collegio, espressa
attraverso la negazione della coscienza:
Le Cento Città, n. 50
Economia politica
17
Francesco Coletti, economista e sociologo
di Alberto Pellegrino
Dopo anni di silenzio è in atto
la riscoperta della figura di Francesco Coletti, uno dei più eminenti studiosi di statistica e di
economia del primo Novecento,
grazie all’impegno dell’Università degli Studi di Macerata e all’apertura presso la Biblioteca Comunale di San Severino Marche
del Fondo Coletti comprendente
alcune migliaia di volumi, dono
della Famiglia Battibocca erede
di Coletti.
Gli studi, la carriera universitaria e civile
Francesco Coletti nasce a
San Severino Marche il 10 luglio 1866 e, dopo aver ottenuto la licenza ginnasiale e liceale
presso il Collegio-convitto di
Senigallia, frequenta la Facoltà
di giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Roma,
conseguendo la laurea con il
prof. Angelo Messadaglia, discutendo una tesi sull’Inchiesta
agraria e le condizioni della classe
agricola promossa dal senatore
Stefano Jacini. Questo lavoro sicuramente influenza fortemente
Coletti, indirizzando i suoi interessi verso l’economia politica,
per cui decide di specializzarsi
presso l’Università di Pavia con
il prof. Luigi Cossa e successivamente presso l’Università di
Padova con il prof. Achille Loria; quindi consegue la specializzazione in statistica con il prof.
Luigi Bodio, docente presso la
Scuola superiore di commercio
di Venezia. In questo periodo
inizia a collaborare con la rivista Cronache sociali, fondata nel
1891 da Filippo Turati.
Ritornato nelle Marche, Coletti diventa Segretario generale dalla Camera di Commercio
della Provincia di Macerata
e ottiene l’incarico per l’insegnamento di economia politica
nell’Università di Macerata, cominciando a pubblicare i primi
studi: L’Ufficio e il valore politico
della Statistica (1892), I massimi
edonistici individuali e collettivi
(1892), Inchieste operaie e inchieste borghesi (1893), L’egoismo e l’evoluzione sociale (1893),
Il liberismo e il fenomeno della
vita economico-sociale (1894),
La grande e la piccola industria
armentizia nell’Appennino marchigiano (1894), Il furto campestre (1895), La delinquenza
nelle classi rurali italiane (1899),
Psicologia ed economia politica
(1899). Nei primi anni del Novecento Coletti inizia la carriera
universitaria, diventando nel
1904 professore ordinario di statistica nell’Università di Sassari;
in seguito diventa titolare della
cattedra di economia politica
Le Cento Città, n. 50
nell’Università di Cagliari, ma
preferisce rimanere a Sassari,
passando dall’insegnamento di
statistica a quello di economia.
Nel 1906 passa all’Università
di Pavia per ricoprire la cattedra di demografia e statistica,
quindi viene chiamato presso
l’Università Bocconi di Milano
come docente di statistica e di
economia agraria. Inizia la sua
collaborazione con la Riforma
Sociale (1894-1935), una rivista
di scienze sociali, politiche ed
economiche, fondata Francesco
Nitti e diretta da Luigi Einaudi.
Coletti collabora inoltre con le
riviste Rassegna di scienze sociali
e politiche, Giornale degli econo-
I beni culturali
18
Le Cento Città, n. 49
Economia politica
misti, Rivista Italiana di Sociologia, Giornale d’agricoltura della
domenica, Rivista bancaria, Italia
agricola; nel 1912 comincia a
collaborare al Corriere della Sera
con editoriali e articoli di economia agricola e demografia.
Nel 1898 sostituisce l’economista Ghino Valenti nella carica di Segretario generale della
Società Agricoltori Italiani che
occuperà fino al 1904. Dal 1907
al 1911 svolge l’incarico di Segretario generale dell’Inchiesta
parlamentare sulle condizioni
dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia, condotta
secondo il programma e i criteri statistici elaborati dal Coletti
con risultati di grande rilievo
per la conoscenza della nostra
agricoltura. Nel 1913 fa parte
della missione d’inchiesta sulla
Tripolitania settentrionale, dedicandosi allo studio dei caratteri
sociali della popolazione e delle
classi rurali. Coletti entra a far
parte Consiglio Superiore di Statistica e del Consiglio Nazionale
dell’Istituto di economia agraria;
diventa socio effettivo della Regia Accademia dei Lincei e della
Regia Accademia dei Georgofili.
Al momento del suo collocamento a riposo, l’Università di
Pavia lo nomina professore emerito e lo Stato gli conferisce l’onorificenza di Grande Ufficiale
della Corona d’Italia. Nel 1937
si ritira a San Severino Marche,
nella sua villa di Cesolo, dove si
spegne il 19 dicembre 1940.
Lo studioso di statistica e di
economia
Francesco Coletti è stato un
innovatore nel campo della statistica e della demografia, avendo
introdotto metodi di ricerca sul
campo basati sul rigore scientifico per fornire solide basi allo
studio dei fenomeni presenti
nella società che vanno analizzati sotto il profilo economico, sociologico, psicologico, antropologico e politico. Coletti è stato
anche un eminente studioso di
economia politica e di economia agricola, perché ha studiato
a fondo le trasformazioni in atto
nella società contadina, i fenomeni demografici e i problemi
dell’emigrazione, gli effetti so-
19
ciali delle riforme agricole, alla
delinquenza con particolare
riferimento a quella, l’analfabetismo, la mortalità infantile, la
condizione della donna e l’occupazione femminile. Tra le sue
numerose opere vanno segnalate
Le associazioni agrarie in Italia
dalla metà del secolo XVIII alla
fine del XIX (1901), I contratti
agrari e il contratto di lavoro in
Italia (1903), Dell’emigrazione
italiana (1912), Della statistica e
degli altri metodi atti allo studio
dei fatti sociali (1914), Studi sulla popolazione italiana in guerra
e in pace (1923), La popolazione
rurale in Italia e i suoi caratteri
demografici, psicologici e sociali (1925), La demografia come
scienza sociologica (1925), Economia rurale e politica rurale in
Italia (1926), Problemi di statistica economica (1937).
Assolutamente originali sono
le sue indagini demografiche,
nelle quali si tiene soprattutto
conto dei problemi della popolazione: “La popolazione è tutta la collettività sociale. Essa è
il soggetto e l’oggetto della vita
sociale…La demografia viene
a essere sinonimo di Sociologia
statistica”. Coletti considera la
statistica determinante per l’analisi dei fenomeni sociali, perché essa permette di distinguere
gli elementi qualitativi da quelli
quantitativi di ogni problema;
inoltre egli non la ritiene una
scienza “pura”, ma una tecnica
subordinata all’analisi economica, alla quale vanno applicate
le esperienze, le prove e le verifiche proprie della statistica. In
una prima fase delle sue ricerche
Coletti fa riferimento alla sociologia evoluzionistica di Herbert
Spencer per mettere in stretta
correlazione le cause socioeconomiche e le cause psicologiche
dei fenomeni; nello stesso tempo
nel campo dell’economia agraria, individua nell’uomo e nella
terra i due fondamenti del progresso collettivo dell’Italia, per
cui agli inizi guarda con favore
alla politica demografica del fascismo che punta sull’aumento
della popolazione, ritenendo
che la conseguente pressione demografica vada da un lato attutita con l’emigrazione, dall’altro
Le Cento Città, n. 50
con i miglioramenti produttivi
dell’agricoltura, la cui crescita
finirebbe per favorire l’offerta
di capitali all’industria e al commercio.
Il politico
Coletti sotto il profilo politico esalta la “coscienza civile dei
popoli” e i valori delle “libere
e novelle funzioni dello Stato
laico”, attaccando duramente il
clericalismo (“Mentre il cristianesimo fu l’espressione mistica
d’una grande rivoluzione sociale…il clericalismo moderno…
esercita una politica ispirata,
non all’amore della pace e della fratellanza fra gli uomini, ma
all’egoismo settario e ingeneroso
e alla cupidigia ansiosa di prevalere sui popoli e sulle coscienze”) e propugnando l’avvento di
una religione spogliata da inutili
formalismi e schiocchi pregiudizi, animata dalla carità e da “tutto ciò che eleva alla più eccelsa
perfezione dello spirito” (Patria,
società, religione di fronte al
clericalismo, Macerata, 1898).
Coletti, che alla fine dell’Ottocento è vicino alle posizioni del
socialismo riformista, condanna
il liberalismo considerato una
dottrina priva di efficacia, perché “non possiede quasi alcun
valore operativo…Essa infatti parla allo Stato che non può
ascoltarla; parla alle classi sociali
singole, che seguitano ad andar
dritte per la strada del particolare tornaconto…parla a tutti i
membri di una data collettività,
d’un dato paese…ma gli uni e
gli altri regolano la loro condotta secondo gli interessi di classe
o secondo interessi di nazionalità e di razza, mascheranti quasi
sempre interessi economici…
Le classi detentrici del reddito
la lodano quando essa si oppone
alle pretese delle classi operaie;
queste cessano di vituperarla
come conservatrice e gesuitica,
allorché la veggono combattere
il protezionismo industriale e
le partigiane difese dei ricchi”.
Nello stesso tempo Coletti critica il socialismo di Stato che si
si propone “una missione integratrice, profonda, invadente,
ispirata a principi economici di
giustizia e di progresso, supe-
Alberto Pellegrino
20
Figg. 1 - 3 - In questa fotografia di Carlo Balelli e nelle due seguenti, immagini del mondo contadino, Biblioteca
Nazionale di Macerata (g.c.).
riori agli interessi particolari di
classe”, la quale si potrebbe realizzare se lo Stato fosse “vergine
e docile, pronto agli entusiasmi
infusigli dalla filosofia sociale”.
L’altro economista maceratese,
il liberale Maffeo Pantaleoni,
considera la politica di classe e la
legislazione di classe cose turpi e
immorali e, in polemica con lui,
Coletti sostiene che “la politica
e la legislazione di classe sono
conformi alla natura umana e
all’organizzazione della società e
dello Stato” e che “sulle tracce
di Carlo Marx l’azione spiegata
da una classe sociale è naturale
e non implica quindi alcuna responsabilità di biasimo e d‘odio
contro le persone”; al contrario
la politica di classe è “l’azione
economica e sociale seguita da
una classe organizzata. L’organizzazione di una classe è l’associazione e la disciplina di più
individui, anzi di più egoismi
singoli, i quali hanno o credono
di avere interessi omogenei e comuni da soddisfare e ritengono
di non poterli soddisfare meglio
che mercé l’unione delle forze
individuali e l’assoggettarsi di
spontanea volontà a un’azione
sistematica e continuativa” (Liberismo e legislazione di classe,
Bologna, 1902).
Nel 1904 Coletti si allontana
dalle posizioni del socialismo
riformista e aderisce al Partito
Radicale, fondato nel 1878 da
Agostino Bertani e riportato a
nuova vita politica da Francesco Saverio Nitti. Lo studioso
sanseverinate occupa subito una
posizione di prestigio e riceve
l’incarico di stilare il programma
politico-economico, nel quale egli definisce il radicalismo
moderno come una formazione
politica che “deve corrispondere a interessi, bisogni, tendenze
sociali realmente esistenti, anzi
preesistenti, e farsene l’espressione politica e l’organo più
specifico, più adatto. più conveniente e quindi più caratteristico di quello che potrebbe
essere ogni altro partito nell’arena politica del paese”. Preso
atto dell’organizzazione politica
della classe proletaria che ha
portato alla nascita del partiLe Cento Città, n. 50
to socialista, il radicalismo nel
suo programma deve riservare
“il posto d’onore a quello che
suole chiamarsi il riformismo
socialista”, tenendo conto che il
movimento operaio è “l’anima e
la caratteristica della democrazia moderna” (La base economico-sociale del Partito radicale,
Critica sociale, 1904). Il partito
radicale deve essere liberista
per assecondare lo sviluppo industriale e statalista per quanto
riguarda la legislazione sociale
intesa come legittima conquista
della classe operaia, perché tra i
tre fattori della produzione (capitale, terra e lavoro), i radicali
devono privilegiare il lavoro attraverso il quale l’uomo “eleva la
propria condizione morale e materiale” con la conseguenza che
i “consumatori verranno a godere effettivamente di maggiori
mezzi per consumare”. Dopo la
nascita del Partito nazionalista
(1910) e la grave crisi del Partito radicale, Coletti si avvicina al
liberalismo nazionale, rifiutando
gli estremismi del nazionalismo
imperialista e guerrafondaio e
Economia politica
sostenendo che “un nazionalismo nuovo di spirito e di opere
sorge là dove prima il cafone,
che non aveva fatto confronti di
paesi ed era servo senza opinione
e senza volontà, non aveva capacità, non dico di sentire, ma di
concepire l’idea di questa sintesi
potente radiosa di tradizioni e di
caratteri, di affetti e d’interessi
che è la patria” (L’emigrazione è
un male?, Il Corriere della sera,
1911). Nel dopoguerra Coletti si
avvicina alla politica agraria del
Governo fascista, sostenendo la
necessità di estendere la terra
coltivabile, di promuovere e rinsaldare la permanenza dei contadini sulla terra, di promuovere
la ruralità intesa come valorizzazione di una “popolazione prolifica, lontana dall’urbanesimo,
laboriosa, sobria e risparmiatrice” (L’uomo e la terra in Italia,
Milano, 1929). Dopo il 1930
l’attività accademica di Coletti si
dirada, avviandosi verso un progressivo silenzio, probabilmente
in disaccordo con la politica autarchica del fascismo.
21
Il sociologo
Francesco Coletti è stato uno
studioso all’avanguardia rispetto
alla sua epoca per la sua capacità
di affrontare i problemi con una
visione multidisciplinare, avvalendosi dell’apporto fornito da
statistica, demografia, economia
politica, economia agraria, diritto, sociologia, psicologia sociale
e antropologia culturale. Il prof.
Marcello Boldrini, suo discepolo ed emerito studioso di statistica, ha dichiarato: “V’era nel
suo intelletto la preoccupazione
di illuminare ogni problema da
molte facce, di convogliare nella trattazione elementi culturali
svariati, non solo scientifici, ma
anche storici, artistici, letterari psicologici, per modo che in
ogni cosa ch’egli dicesse o scrivesse, sentivamo un calore comunicativo, un palpito di vita,
insomma un’anima che si faceva
strada nelle nostre menti ancora
acerbe e inesperte, seminandovi insieme a molte conoscenze,
i primi elementi del metodo e
della tecnica statistica”.
Coletti è uno dei primi studiosi
Le Cento Città, n. 50
italiani a occuparsi di sociologia
e che, in un primo tempo, segue
il positivismo sociologico basato
sull’“oggettivismo evoluzionistico” di Spenser e Durkheimer,
per poi diventare un esponente
di quella sociologia complessa
basata sulla teoria della relazione
sociale. Egli si avvicina alle teorie di Max Weber che, in quello
stesso periodo, sta mettendo a
punto metodologie e strumenti
di ricerca adeguati per un’indagine scientifica dei fenomeni
sociali complessi (L’oggettività
conoscitiva della scienza sociale e
della politica sociale, 1904), che
comincia a occuparsi di sociologia rurale (Le relazioni dei lavoratori della terra nella Germania
orientale, 1892) e di sociologia
economica (L’etica protestante
e l’etica del capitalismo, 1905).
Sul piano generale i due studiosi
hanno la stessa concezione delle
scienze sociali: Weber sostiene che l’individuo deve essere
considerato l’attore sociale dei
fenomeni sociali, collocando gli
aspetti ambientali, politici, economici, culturali all’interno di
Alberto Pellegrino
contesti territorialmente delimitati; Coletti afferma che “l’attenzione nostra deve spostarsi dallo
Stato alla società, dagli effetti
politici alle classi sociali, dalla
legislazione di classe alle classi
stesse, cioè ai loro bisogni, interessi, intelligenza, moralità, tradizioni storiche ecc. costituenti
gli elementi e gli impulsi della
loro azione politico-economica”.
Per prima cosa Coletti affronta il problema delle classi
sociali che costituisce allora un
argomento centrale della ricerca
sociologica europea. Egli parte
dalla considerazione che nella
realtà sociale non tutti gli elementi sono perfettamente collocati al loro posto secondo un assetto semplice e lineare, per cui
diventa difficile individuare una
netta divisione tra le classi sociali, perché fra queste solo una
parte è rigidamente organizzata
per una difesa cosciente e coerente dei propri interessi. All’interno di ogni classe esiste, infatti, una zona grigia che “risente
più o meno vivamente dell’interdipendenza degli interessi propri e di quelli delle classi vicine
22
e concorrenti” e quindi poco
propensa alla lotta, più portata
al compromesso e a tenere una
condotta moderata, soggetta a
seguire l’egoismo che caratterizza la vita economica. Le stesse
classi sociali sono caratterizzate
da profonde diversità essendo
costituite da “detentori delle
grosse fortune industriali e fondiarie…dalla piccola e media
borghesia…vale a dire i piccoli e
medi proprietari fondiari, coltivatori e non coltivatori, i piccoli
e medi industriali, commercianti, imprenditori, intermediari,
tutti coloro che vivono di redditi
misti, saltuari, di varia origine”.
Nella stessa classe operaia vi
sono delle differenziazioni dovute al tipo di lavoro svolto, al
sistema delle retribuzioni, alla
regione di appartenenza, alla
formazione culturale e alle diversità psicologiche. Coletti ha
il merito di aver individuato nel
1904 l’importanza sociale della
classe dei lavoratori intellettuali
formata da liberi professionisti e
addetti ai pubblici uffici, anticipando Max Weber che scriverà
alcuni anni dopo Il lavoro intellettuale come professione. Coletti
Le Cento Città, n. 50
si occupa anche di legislazione
sociale e di emigrazione, di coscrizione militare e di mortalità
infantile, del rapporto tra classi
sociali e delinquenza. Uno dei
fenomeni che più lo interessano
è l’analfabetismo che considera
una grave piaga sociale, ritenendo insufficiente il conseguimento della licenza di terza elementare che continua a essere
una conquista limitata per cause
sociali e politiche. Egli sostiene
che l’istruzione obbligatoria non
debba arrestarsi al decimo anno
d’età, per cui sarebbe necessario
innalzare l’obbligo scolastico secondo il modello britannico che
l’ha portato al quattordicesimo
anno, oppure secondo il modello statunitense che l’ha esteso da
sei a otto anni (La capacità intellettuale e politica degli alfabeti e
degli analfabeti, 1912).
Coletti ha fornito i contributi più originali e innovativi nel
campo della psicologia sociale,
dove segue la teoria della Psiche
collettiva o psicologia dei popoli,
che ha come principale oggetto
di studio i gruppi sociali e che
pone sullo stesso piano lo studio considera dell’individuo e
Economia politica
delle condizioni concrete della
vita sociale. La teoria della psiche collettiva tiene conto della
diversità degli ambienti sociali
strettamente legati alla diversità delle forme, delle funzioni
e delle conseguenze proprie
dell’economia rurale e dell’economia industriale, rifiuta le
teorie astratte che considerano
la realtà sociale come immutabile, perché ritiene che la vita
sociale sia una catena di eventi,
di sistemi e di forme differenti,
ma tali da consentire una previsione del futuro. Coletti applica
la psicologia sociale al mondo
rurale con due studi di fondamentale importanza: La psicologia del contadino e il progresso
dell’agricoltura (1905); Zone del
progresso e zone della stazionarietà o zone urbane e zone rurali
(1911). In essi egli mette in primo piano il “valore uomo” nella
convinzione che solo attraverso
un forte legame tra l’uomo e il
territorio sia possibile costruire
delle politiche sociali finalizzate
al miglioramento umano e alla
modernizzazione. Egli sottolinea l’importanza dell’egoismo
sociale e distingue tra l’egoismo
edonistico, che tende alla conservazione della specie e alla ricerca di propri vantaggi, e l’egoismo
individuale che agisce a vantaggio degli altri e che è mobile,
poiché cambia nel corso della
storia a seconda del contesto
ambientale e sociale, dato che
“il carattere e i bisogni dell’uomo sono un prodotto storico,
nel quale l’uomo vive e opera, e
possono dare un indirizzo anche
altruistico alla tendenza edonistica dell’egoismo”. Coletti individua all’interno della società
le zone rurali caratterizzate dalla
staticità e le zone urbane contraddistinte dalla dinamicità: a
questa ripartizione corrisponde
una psiche rurale statica basata
sul sentimento più che sulla ragione e segnata da un forte legame con la tradizione; alle zone
urbane corrisponde una psiche
urbana più agile, libera, dinamica e più razionale (“L’idea è rivoluzionaria, come il sentimento
è conservatore”). Il mondo contadino è caratterizzato da una
limitazione e da una scarsa qua-
23
lità dei bisogni, dalla mancanza
di sentimenti superiori e raffinati, dal prevalere del tornaconto
egoistico sull’altruismo, “un lusso che il povero villano non può
permettersi”. Il contadino ha
una mentalità regolata dal ritmo
delle stagioni e questo comporta
una quasi totale assenza di idee
astratte, che sono tipiche della
cultura urbana, per cui si registra una scarsa capacità di ideazione, una chiusura alle innovazioni, un attaccamento ai beni
materiali, una staticità di tradizioni, usi, costumi, credenze religiose, abbigliamento, impiego
di attrezzi di lavoro e domestici.
Coletti contesta, però, i pregiudizi e gli stereotipi sul mondo
contadino diffusi nella società
urbana, denuncia l’indifferenza
di psicologi e sociologi verso il
mondo rurale, esalta la capacità
che ha il contadino di “sentire la terra” che gli consente di
aspirarne gli odori, d’intuirne i
segreti più intimi, di amarla e ingiuriarla come un amante geloso
e appassionato, di possedere la
terra in un modo violento e “romantico”, di uniformarsi e legarsi all’ambiente, per cui è pronto
a compiere qualsiasi azione per
mantenerne il possesso. Coletti
ritiene tuttavia che si tratti del
contadino “dei tempi volgenti
al tramonto”, perché si vanno
delineando le condizioni per far
nascere il contadino “dei tempi
nuovi” per un insieme di cause
favorevoli a un’evoluzione del
mondo agricolo: l’emigrazione
che mette in contatto con mondi
nuovi; lo sviluppo delle comunicazioni; i rapporti più stretti con
i centri urbani, la leva militare,
la diffusione dell’istruzione elementare, la propaganda politica
che arriva anche nelle campagne; la creazione di istituzioni
socialmente ed economicamente utili come le società di mura
assicurazione, le cooperative
di consumo e di acquisto delle
materie prime, le casse rurali;
la scoperta di, nuovi sistemi di
coltivazione. “Nessuno potrà ritenere sul serio che solo chi all’agricoltura consacra tutte le sue
potenti energie, il contadino, sia
refrattario a trasformarsi, quasi
avesse subito un soprannaturale
Le Cento Città, n. 50
arresto di sviluppo”, molto invece dipenderà dall’impegno di
proprietari e dirigenti di aziende
agricole per superare “lo scetticismo scansafatiche, il quale
spinge tanti proprietari a gettare
sulle larghe spalle del villano le
responsabilità dell’inerzia agricola”.
Coletti può essere considerato
uno dei fondatori della sociologia rurale, avendo fatto studi di
notevole valore sul rapporto tra
l’uomo e la terra, sull’energia
umana e sull’acqua considerate
le due forze considerate motrici
del mondo agricolo, sulle classi
rurali, sull’esatto censimento
della popolazione rurale; egli si
è inoltre occupato di fenomeni
più specifici come i movimenti
demografici, l’emigrazione e il
mondo contadino, l’incidenza
della delinquenza sulle classi
rurali, la coscrizione militare,
l’occupazione femminile in agricoltura, i contratti agrari, la demografia come scienza sociologica, il rapporto tra storia rurale
e coscienza rurale.
Coletti e le Marche
Coletti ha dedicato alle Marche tre studi di sociologia e psicologia rurale che sono ancora
interessanti per comprendere
l’evoluzione della società marchigiana e il carattere dei suoi
abitanti: Le Marche i moti del
1914. Osservazioni sopra una regione a tipo agricolo e artigiano
(1914), Una regione equilibrata
(1923), Il carattere rurale nell’economia e nello spirito delle Marche (1925).
“Le Marche – scrive Coletti
nel 1914 – non hanno caratteri
estremi…Le Marche sono piuttosto intermedie. E’ forse per
ciò che esse poco impressionano
e non sono abbastanza conosciute”. Il carattere fondamentale della società marchigiana è
la “ruralità”, perché gran parte
della popolazione è occupata
nell’agricoltura e, rispetto alle
altre regione, si registra il maggior numero di mezzadri che
vivono sparsi nelle campagne,
mentre il resto della popolazione, ad eccezione di Ancona che
è una città di media grandezza,
vive in “centri piccoli o picco-
Alberto Pellegrino
lissimi, e questi, per giunta, ripartiti in numerose e minuscole
frazioni, così che il centro urbano si riduce di solito a una quota
molto modesta della popolazione complessiva del rispettivo comune”. Proprietari e mezzadri,
che sono Il 70 per cento della
popolazione, sono strettamente
legati alla terra, “nel senso che
l’importanza e la sorte della produzione rurale determinano la
consistenza economica, il reddito, il benessere familiare…che i
piccoli centri di case e gli stessi
modesti nuclei urbani sono circondati e quasi assediati da ogni
lato e compenetrati con assidui e
avvolgenti contatti, dal fitto popolo delle campagne”. Le Marche non si possono considerare
una regione ricca, ma in esse è
diffuso “un benessere modesto
ma continuativo e solido, non
goduto da zone che hanno una
ricchezza complessiva maggiore”. L’economia marchigiana si
basa principalmente sulla ricchezza agricola che deriva dal
fattore lavoro dei piccoli proprietari coltivatori e dei mezzadri e questi ultimi assomigliano a
piccoli proprietari, perché sono
associati ai proprietari dei fondi,
con i quali dividono i prodotti
della terra, possiedono metà delle scorte e del bestiame. L’altra
forza economica delle Marche
sono gli artigiani “che, accanto
alla generica borghesia e ai piccoli commercianti e bottegai,
completano la collettività economica e civile della regione”.
Coletti individua infine i principali aspetti che distinguono il
carattere dei marchigiani e che si
possono così riassumere:
1. L’individualismo è proprio del
24
marchigiano che “sente distintamente la sua personalità e tende
ad agire per conto suo e da solo”,
perché ha un carattere duro e
tenace che lo spinge a diffidare
dell’associazionismo anche se
potrebbe portare dei vantaggi;
l’individualismo è presente nelle
varie classi sociali, perché “si riconnette all’estrema riservatezza
e alla ombrosa gelosia che esso
ha per le cose proprie”.
2. Lo spirito di laboriosità è
una caratteristica specifica del
mondo contadino e artigianale,
mentre aristocrazia e borghesia
preferiscono vivere nell’inoperosità: “Sono troppi coloro che,
accontentandosi delle rendite
dei modesti patrimoni, sciupano
il tesoro del tempo…nelle gare
delle ambizioncelle locali e nelle
chiacchiere dei caffè e delle farmacie”.
3. I marchigiani sono intelligenti e buoni ragionatori perché ai
contadini è spesso affidata la
gestione dei campi, per cui la
loro mente tende a “dirozzarsi”,
a sviluppare i criteri tecnici ed
economici per dirigere un’azienda agricola; lo stesso avviene per
gli artigiani che, oltre a essere
più istruiti, sono a contatto con
un ambiente urbano culturalmente più evoluto.
4. Lo spirito di contentabilità si
basa sulla tendenza al risparmio,
favorito dall’agricoltura che assicura un reddito annuale medio
senza rischi eccessivi, anche se
questo non favorisce le trasformazioni agrarie, sviluppa desideri moderati e fa considerare
sufficiente quello che è possibile e normale guadagnare; la
sicurezza di un reddito modesto
ma sicuro spinge il contadino e
Le Cento Città, n. 50
l’artigiano a condurre una vita
modesta e questa tendenza si
riflette anche nel carattere schivo e nella modestia di uomini di
grande valore e cultura.
5. La democrazia dei costumi si
manifesta nei sentimenti e nella
cortesia dei marchigiani, i quali
hanno “un istinto ugualitario,
che li induce a non fare troppe
differenze fra persona e persona, quale che sia la classe anche
cospicua cui gli individui appartengono, e a considerare come
cosa molto naturale l’uguaglianza nei diritti sia nella vita civile
sia nella vita pubblica”.
6. Le idee politiche dei marchigiani riflettono questo spirito
d’innata democrazia, per cui essi
aderiscono a quei partiti politici
che difendono gli interessi dei
ceti intermedi e che si battono
per il progresso economico. Le
maggiori adesioni riguardano il
Partito repubblicano e il Partito popolare che è seguito anche
nelle campagne. L’assenza di
forti differenze di classe e di forti concentrazioni industriali ha
limitato e condizionato la diffusione del socialismo e Coletti ha
l’impressione che “il socialismo
rampollante nelle Marche sia
più che altro un’importazione
a tipo mentale o riflesso, come
effetto sia della suggestione di
quanto avviene altrove sia della
lettura dei giornali”.
7. L’equilibrio delle facoltà riguarda “l’equità della condotta e dei giudizi” e costituisce il
carattere morale dominante che
riunisce tutte le altre qualità dei
marchigiani e si riflette sul mondo della produzione e sui rapporti tra le classi sociali.
Le mostre
25
Franco Cacciaguerra (Milano 1926-Roma 1973)
Palazzo Gradari, mostra antologica
di Grazia Calegari
Si è tenuta a Pesaro
con grande successo
di pubblico e critica,
dal 12 ottobre al 10
novembre, una mostra insolita, perché
rappresentava
contemporaneamente un
omaggio retrospettivo
ma anche un esordio,
dato che Cacciaguerra non ha mai voluto
partecipare a mostre
o esposizioni. Per la
prima volta si è fatto
conoscere un artista
dalla vita intensa e
movimentata, sempre
ritroso e inquieto nei
numerosi spostamenti e tappe della vita.
Il suo nome è noto
soprattutto
perché
fu protagonista nel
1953 di un raid che
fece epoca e che entrò nelle cronache:
da Pesaro a Bombay
in Lambretta assieme
ad Annì Ninchi, figlia
del grande attore Annibale e sorella di Arnaldo, altro indimenticabile nome legato
alla città.
Franco Cacciaguerra è stato pittore dalle
qualità native straordinarie, coltivate all’Accademia di Brera dove ha studiato
su consiglio di Anselmo Bucci,
amico di famiglia anche perché originario di Fossombrone
come Ero Giungi Cacciaguerra,
madre di Franco e pianista.
I primi anni della sua pittura,
rappresentati anche nel catalogo di mostra, dimostrano le affinità e le distanze tra il giovane
e Bucci, che ritrae Franco con
affettuosa attenzione in opere
finora ignote nel catalogo ormai
studiatissimo del pittore di Fossombrone.
Ma via via, dal 1960 in poi, le
conoscenze italiane e francesi di
Cacciaguerra determinano una
svolta lenta e progressiva, che
culminerà, dopo il suo trasferimento a Roma, in una pittura a
piccole zone,”taches” da cui la
definizione di “tachisme”, collocate in superfici totalmente
astratte.
Questa fase finale, interrotta
dalla morte precoce a 47 anni, è
stata ampiamente documentata
in mostra, grazie alla raccolta di
opere rintracciate in Italia e in
Europa, e dovuta alla passione
e alla dedizione instancabile del
prof. Serafino Giulietti, che ha
raggiunto i quadri nelle varie
località e ne ha consentito la
Le Cento Città, n. 50
catalogazione, per un numero
complessivo di circa 300.
Hanno condiviso lo studio e
l’analisi il prof. Francesco Rossi, direttore della Quadreria
Cesarini di Fossombrone, e chi
scrive, entrambi autori dei saggi del catalogo, pubblicato dalla
Stibu di Urbania e fondamentale per la conoscenza di questo
artista.
Franco Cacciaguerra si aggiunge oggi al ricco panorama
del novecento marchigiano: artista privo di impronte locali ma
fortemente innervato, per esperienze di vita e di amicizie, nella
storia della cultura regionale.
Le mostre
26
Pietro Paolo Rubens Assunzione, Museo Diocesano di Ancona.
Le Cento Città, n. 50
Le mostre
27
Da Rubens a Maratta
Le meraviglie del Barocco nelle Marche
di Costanza Costanzi
Inaugurata il 29 giugno scorso, la mostra “Da Rubens a Maratta - Le Meraviglie del Barocco
nelle Marche” si protrarrà fino
al 12 gennaio 2013: una durata
eccezionale – quasi un semestre
– avallata e resa necessaria da
un’affluenza di pubblico straordinaria per un appuntamento
espositivo, ricco di molti inediti,
di opere sottratte da un secolare
oblio e reso ancora più attrattivo
dalle illustri presenze artistiche,
che avevano reso splendida la
Roma barocca e che – chi l’avrebbe mai sospettato prima?
– giungono nel corso del secolo XVII a dare vitalità artistica
e spessore culturale alla nostra
regione.
Percorrendo le sale della mostra, allestita nello storico Palazzo Campana di Osimo (ma
l’itinerario comprende anche il
salone di Palazzo Gallo e alcuni
luoghi-simbolo della città e del
territorio), si sfata la leggenda
delle Marche marginali, periferiche, depresse: da Pomarancio a
Guido Reni, da Rubens a Guercino, da Orazio Gentileschi, ad
Andrea Sacchi, a Mattia Preti,
fino a Salvator Rosa, ai francesi
Simon Vouet e Francois Perrier
fino all’allora celeberrimo e celebratissimo Carlo Maratta. Nativo di Camerano (AN) e romano
di adozione, il Maratti fu senza
dubbio il pittore più acclamato
nell’Europa dell’epoca, preferito da ben sette papi, da molti
regnanti (Luigi XIV, le Roi Soleil
tra questi), da aristocratici, banchieri, alti prelati, ricchi forestieri. Una carriera durata oltre
mezzo secolo, testimoniata da
una produzione artistica cospicua nel numero e nella qualità,
e corroborata da diversi ‘saperi’
complementari, che lo videro,
oltre che pittore acclarato, di
volta in volta incisore, figurista,
disegnatore, restauratore, collezionista, nonché arbitro indi-
scusso delle scelte culturali della
Roma del XVII secolo.
Viene da chiedersi, di fronte a
tanti capolavori e nomi eccellenti, da dove scaturisca un così autorevole parterre artistico nelle
Marche seicentesche. Un viatico
lo fornisce il Ritratto del Cardinale Antonio Barberini di Carlo
Maratti: un ritratto a tutt’altezza, solenne e insieme grave, con
quell’impareggiabile mix di apparenza pubblica e di sostanza
interiore, che solo i grandi pittori sono in grado di trasferire
sulla tela. Posto con magistrale
evidenza espositiva in fondo al
corridoio di palazzo Campana,
il Cardinale rappresenta simbolicamente una chiave di volta
per comprendere il singolare
contesto artistico illustrato nella
mostra. Il potente casato Barberini (affermatosi con l’ultraventennale papato di Urbano VIII,
zio del ritrattato), stabilisce una
sorta di egemonia culturale sulle
Marche, esercitata da parenti,
affiliati e fedelissimi: un ‘familismo’ (come lo chiameremmo
oggi) capillare e molto infiltrante nei gangli della politica artistica del territorio, che include
centri come Urbino, Fabriano,
Arcevia, Barbara, Ostra: luoghi
certamente suggestivi, la cui
centralità oggi appare impensabile, ma che all’epoca erano
connessi più o meno direttamente con il potere e con la sua
interfaccia artistica, il cosiddetto ‘stile barberiniano’, calibrata
commistione di enfasi barocca e
di aulico classicismo.
Si comprende allora come, ad
esempio, un artista come Andrea Sacchi, rinomato pittore
e maestro del Maratti a Roma,
invii ad Ostra la pala con San
Tommaso d’Aquino e San Bonaventura da Bagnoregio, composizione austera, immersa in atmosfere meditative e rarefatte; o
come il pistoiese Lazzaro Baldi,
Le Cento Città, n. 50
allievo di Pietro da Cortona, realizzi per Fabriano il Martirio di
Sant’Agata, giocato sul contrasto
cromatico tra le eburnee carni
della Santa e le sulfuree figure
dei suoi aguzzini.
Ma le vie del Barocco nelle Marche sono anche altre.
Sono, per esempio, quelle della
diaspora di artisti marchigiani – G. Francesco Guerrieri da
Fossombrone, Simone Cantarini
da Pesaro, il Sassoferrato – che
lasciano la loro terra d’origine e
convergono su Roma e su Bologna (le due riconosciute polarità dell’arte e della cultura nello
Stato della Chiesa), trovandovi
successo e fama. O sono outsiders come Salvator Rosa, bizzarro pittore napoletano, che ci
cimenta con un tormentato San
Nicola da Tolentino per Fabriano. Sono ancora le due diverse
declinazioni del linguaggio figurativo bolognese, Guido Reni e
Guercino, che si confrontano
in mostra attraverso alcuni loro
capolavori marchigiani: del primo, paradigma del ‘bello ideale’
il San Sebastiano di Ascoli Piceno, del secondo, l’umanità quasi
profana dell’Immacolata Concezione di Ancona.
Se con il sacro fulgore cromatico dell’ arazzo rubensiano dell’ Assunzione si apre la
mostra, a chiuderla è ancora
una volta Carlo Maratti: ritratti,
allegorie, pale d’altare, che attestano la poliedrica valentìa di
un protagonista, che con il suo
linguaggio misurato e solenne,
classico e barocco al tempo stesso, rappresenta la sintesi delle
molteplici anime del Seicento,
e l’esemplare modello per le
nuove generazioni di artisti, alcuni dei quali, usciti dalla scuola
marattesca (Procaccini, Chiari,
Berrettoni etc), ne prolungano
l’insegnamento fino a Settecento
inoltrato.
28
Le Cento Città, n. 50
L’arte
29
Luigi Serra per la Galleria Nazionale delle Marche
di Grazia Calegari
Un convegno e una mostra,
realizzata nel Salone dei Banchetti di Palazzo Ducale, sono
l’omaggio di Urbino a Luigi
Serra (Napoli 1881 - Roma
1940), docente di Storia medievale e moderna, Soprintendente
nelle Marche fino al 1931, animatore della Galleria Nazionale
delle Marche a Urbino, ordinatore della Galleria Comunale di
Ascoli Piceno, della Pinacoteca di Pesaro, del Museo della
Santa Casa di Loreto.
A lui va il grande merito
di avere contribuito alla conoscenza del territorio delle Marche, con la pubblicazione di
guide, cataloghi, inventari e
studi sugli artisti marchigiani,
oltre ai due volumi dedicati
all’Arte nelle Marche. Un figura fondamentale di riferimento,
che viene oggi definitivamente
analizzata e celebrata, un punto
di stabilità esemplare, anche
per associazioni nate idealmente e magari inconsapevolmente
dalla sua eredità, come le Cento
città.
Vorrei riassumere in qualche
punto i meriti di Serra, che
nella mostra di Urbino vengono
riproposti, suggeriti, evocati in
modo multiforme, per merito della soprintendente Maria
Rosaria Valazzi, dei collaboratori Agnese Vastano e Cecilia
Prete, e degli estensori delle
schede di catalogo che ci fanno
sfilare i meriti del Soprintendente come fosse ancora tra noi,
cioè come intellettuale vivace e
multiforme, rivisto anche nella
dimensione privata attraverso
fotografie e ricordi di famiglia.
Sfoglio il catalogo per dare
un’idea del lavoro fatto dagli
studiosi e della loro capacità
di restituire non solo gli anni
dell’attività di Serra, ma anche
dell’attualità di potere attingere
oggi alla sua geniale scientificità
di ricerca e di studio.
Ad esempio, al suo arrivo ad
Urbino nel 1915 come Diret-
tore della Galleria, Serra avvia
lavori di restauro che comprendono il giardino pensile, il cortile d’onore, quello del Pasquino, la riapertura delle bifore
e dei camini, la sistemazione
della facciata ad ali e il ripristino degli ambienti interni.
“L’accrescimento del numero
delle sale del piano nobile da
destinare all’esposizione, ancora occupate dagli uffici pubblici ‘che vi erano tenacemente
annidati’, e l’incremento delle
opere diventano per Serra una
priorità che si traduce in una
serrata campagna di acquisti,
depositi, trasferimenti e donazioni” scrive Cecilia Prete nel
bel saggio introduttivo.
Quando Serra nel 1930
pubblica Il palazzo ducale e
la Galleria Nazionale di Urbino, quest’ultima conta 38 sale,
rispetto alle 31 da lui descritte
nella precedente guida pubblicata nel 1922, come prova
dell’impegno speso nell’ampliare gli ambienti della Galleria.
Come per altri esempi avviati
in Italia in quegli anni, nell’intento di ricostruire la vita ai
tempi di Federico da Montefeltro, vengono scelti arredi,
mobili, strumenti musicali,
armi, parati, accanto ai più tradizionali generi museali come
quadri, maioliche, sculture.
L’interesse di Serra per le arti
decorative si ricava da quanto scriveva a commento della
Mostra d’arte marchigiana di
Ancona del 1921, dove sosteneva la necessità di esporre
“…tutte le espressioni d’arte,
dall’architettura al mobilio,
dalla pittura alla ceramica (…)
dai carri dei contadini alle vele
delle paranze”, superando così
viete categorie gerarchiche e
pregiudizi differenziali tra arti
maggiori, minori e popolari.
Punto di partenza per ricostruire le tappe dell’accrescimento
delle raccolte è un dattiloscritto
redatto dal Serra alla fine del
Le Cento Città, n. 50
suo mandato a Urbino, oggi
conservato presso l’Accademia
Raffaello a seguito della donazione dell’archivio da parte
degli eredi, dove figura l’Elenco delle opere d’arte acquistate oppure ottenute in deposito
per la Galleria Nazionale di
Urbino nel periodo 1915-1930,
per ampliarla da otto sale originarie a trentasette sale.
Entrano così nelle collezioni
il Ritratto femminile detto La
muta di Raffaello, la Flagellazione e la Madonna di Senigallia di Piero, lo stendardo di
Luca Signorelli, oltre a dipinti
provenienti da Urbino e da altri
centri: un insieme di opere che
vanno dal trecento all’ottocento e danno l’idea della composita varietà della regione.
Si va da Simone de Magistris a Taddeo Zuccari, Filippo
Bellini, Claudio Ridolfi, Simone Cantarini, Giovan Battista
Salvi, Pietro Tedeschi, Francesco Podesti, Pietro Alemanno,
Cola dell’Amatrice: l’arte delle
Marche insomma, rappresentata dalle quattro provincie,
e arricchita dalla presenza di
Adolfo de Carolis, unico acquisto di arte contemporanea.
E inoltre, mobili come elementi d’arredo cioè cassoni,
tavoli, sedie, armi, e ancora
strumenti musicali, parati sacri,
oggetti di genere diverso.
La vita delle cose insomma,
lo scorrere della storia in una
concezione museografica d’avanguardia.
Per farci penetrare meglio
negli intenti di Serra e nello spirito dell’epoca, quasi un revival
collettivo che ognuno rivive a
suo modo, la mostra è arricchita da un lavoro multimediale messo a punto dal Dipartimento Ingegneria Civile Edile
e Architettura dell’Università
Politecnica delle Marche.
Il video realizzato, di cui
è responsabile il prof. Paolo
Clini, ci permette di entrare
Grazia Calegari
30
Le Cento Città, n. 50
L’arte
31
Fig. 1 - (a sinistra) Scultore camerte, fine del sec. XV, Madonna della Misericordia, Urbino, Galleria Nazionale delle
Marche.
Fig. 2 - (in alto) Piero della Francesca, Madonna di Senigallia, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche.
Le Cento Città, n. 50
Grazia Calegari
32
Fig. 3 - Adolfo De Carolis, Le Naiadi, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche.
letteralmente nel tempo virtuale, guidati dalle stesse parole di
Serra e suggestionati fortemente da alcune foto storiche di
Palazzo ducale, fornite dall’archivio della Soprintendenza.
Si passa dal passato al pre-
sente, con tecniche fotografiche particolari che consentono
immagini panoramiche sferiche
‘full dome’ realizzate attraverso procedimenti di ‘stitching’
di singole riprese fotografiche.
Un’esperienza d’avanguar-
Le Cento Città, n. 50
dia, che imprime alla mostra
un’accelerazione dal passato al
futuro.
E non si è trascurata la
dimensione privata, per ricostruire accanto all’attività intellettuale di Serra quella domestica e famigliare: cinque bacheche contengono foto, oggetti,
disegni, libri e riviste, raccolte
con amorevole vastità da Gianni Volpe.
Si va da cartoline e ricordi
di viaggi, ai legni originali con
le incisioni di Bruno da Osimo
suo carissimo amico, alla lista
del pranzo di nozze, al curriculum professionale, agli appunti
di studio, alle foto marchigiane, ai discorsi inaugurali e alle
commemorazioni.
Infine i suoi scritti: dalle riviste specializzate (“Emporium”,
“Rassegna d’arte”, ecc.) alla
“Rassegna Marchigiana” di sua
invenzione, strumento di lavoro
ancora consultabile, ancorchè
datato.
E i cataloghi, e le Guide al
Palazzo Ducale e alla Galleria
Nazionale delle Marche, la sua
creatura più amata.
A lui è stata infine dedicata l’intitolazione dell’Ufficio
Catalogo della Soprintendenza, cerimonia che ha preceduto
l’inaugurazione della mostra,
aperta il 24 ottobre e destinata
per alcuni mesi alla fruizione,
che potrebbe auspicabilmente
diventare permanente, come
completamento museografico del Palazzo e della Galleria
delle Marche.
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I LIBRI
Le Camioniste polacche
L’Associazione Culturale Italo-Polacca e il Consolato Generale della Repubblica Polacca
di Milano hanno pubblicato
un bel volume fotografico con
ampie schede storiche in lingua italiana e polacca intitolato Camioniste polacche. Ausiliarie del 2° Corpo di Armata
Polacca. Dalla Russia all’Italia
1942-1946. L’opera, a cura
di Anastazja Cavara e Marco
Cavara, racconta, con l’apporto
di circa 250 fotografie, la meravigliosa e drammatica avventura vissuta da tante giovani
donne polacche che durante
la seconda guerra mondiale hanno abbandonato la loro
patria per fare parte del 2°
Corpo d’Armata Polacco prima
impegnato nel fronte africano e
successivamente nella Campagna d’Italia con un particolare
apporto dato alla liberazione
delle Marche dall’oppressione
nazi-fascista. È stato il generale
Anders, fondatore e comandante in capo di questo Corpo d’armata, a creare il Polish Women
Army Service, impiegando queste ragazze come ausiliarie per
i servizi logistici e sanitari, ma
soprattutto come autiste dei
pesanti autocarri militari Doge,
Citroen e Chevrolet, affidando loro mansioni un tempo
riservate soltanto agli uomini.
In un ambiente militare sessista e diffidente nei confronti
delle donne, queste giovani tra
i 18 e i 20 anni hanno dovuto
superare stereotipi e pregiudizi,
regole e tradizioni radicate nel
tempo. Queste “soldatesse”,
che hanno attraversato i deserti
dell’Asia e dell’Africa e che
hanno risalito tutta la penisola
italiana, hanno dimostrato la
loro forza e il loro coraggio,
guidando dei camion carichi
di materiale lungo piste quasi
impraticabili e strade insicure;
hanno aggiustato motori e cambiato le pesanti gomme forate: hanno impugnato il fucile,
quando era necessario fronteggiare un nemico determinato e
feroce. Queste donne al volante
hanno cambiato molte mentalità e segnato un’epoca con la
loro valorosa epopea, come ha
giustamente ricordato al termine della guerra l’ispettrice delle
ausiliarie colonnello Bronislawa Wyslouchowa: “Attraverso
la comune esperienza ottenuta
con la disperata lotta contro le
epidemie, la fame e la povertà
in Russia, attraverso il caldo
bruciante dei deserti iracheni
ed egiziani e l’intenso sforzo
combattendo per la vita dei soldati feriti e fornendo provviste
a quelli abili, si è forgiato lo spirito delle volontarie. È sicuro
che l’alta opinione che si sono
guadagnate – considerazione
spesso messa in dubbio nei
primi giorni della loro esistenza - è divenuta inconfutabile”.
Questo libro ha quindi il merito di documentare una pagina
di storia della seconda guerra
mondiale fatta di abnegazione e
di silenzioso eroismo, una pagina pressoché sconosciuta che
era opportuno far conoscere al
pubblico italiano e ai marchigiani di oggi, i quali hanno una
grande debito di riconoscenza
verso i combattenti polacchi
che hanno dato un pesante
contributo di sangue nella lotta
per la libertà e la democrazia, come dimostra il Cimitero
di guerra polacco adagiato sul
fianco della collina sottostante
il Santuario di Loreto.
Una nuova rivista Marca/Marche
È uscita recentemente per i
tipi di Andrea Livi, benemerito
editore di riviste e studi storici
delle Marche, la rivista Marca/
Marche che già esprime attraverso il titolo l’intenzione di
costruire, partendo dalle peculiarità locali, un’articolata visioLe Cento Città, n. 50
ne storica della regione, dalla
Marca Anconetana e Maceratese alla Marca Fermana, dal
Ducato di Urbino al territorio
ascolano, cercando di ritrovare
un’unità là dove per secoli vi
è stata divisione, per cui questa finalità colloca la pubblicazione vicina alle nostre Cento
Città. La complessa storia delle
Marche dovrà essere ricostruita
attraverso i capoluoghi, le città
e la miriade di piccoli centri
che hanno tutti i loro caratteri
distintivi, le loro peculiarità,
le loro testimonianze di straordinaria e spesso sconosciuta
importanza.
La nobiltà di questa terra
passa attraverso le innumerevoli abbazie, conventi, chiese, cattedrali, università, biblioteche,
teatri e opere d’arte che sono
il segno di una civiltà antica e
diffusa sul territorio. Per fare
questo, oltre a dichiarasi aperta
ai contributi di quanti vorranno
collaborare, la rivista ha costituito una redazione di validi
studiosi tra i quali si segnala
la presenza di Marco Moroni,
Francesco Pirani, Fabio Mariano, Paolo Peretti e Giorgio
Semmoloni. Il primo numero
è dedicato al tema dei santuari
e dei pellegrinaggi compresi tra
la costa adriatica e la catena
appenninica umbro-marchigiana con particolare riferimento
ai santuari di Loreto, S, Nicola di Tolentino, S. Giuseppe
da Copertino a Osimo, Santa
Maria a Mare. Questa panoramica si conclude con uno studio di Marco Moroni sul rapporto tra santuari, pellegrinaggi
ed economia. Saggi riguardanti
argomenti particolari affrontano i temi dei tatuaggi sacri
e profani nella Santa Casa di
Loreto, della Lega degli Amici
della Marca, una confederazione ghibellina del primo Trecento, della Pubblica Libraria
fermana e dello Studio cittadino, dei Deputati marchigia-
Libri ed Eventi
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È stato pubblicato a cura
di Germano Liberati e Mario
Liberati il volume Il Teatro Alaleona di Montegiorgio (Andrea
Livi editore, Fermo, 2013).
Questo interessante edificio
teatrale è stato progettato nel
1870 dall’ingegnere-architetto
Giuseppe Sabbatini, che ha
diretto anche i lavori di costruzione fino al 1884, un protagonista dell’architettura nella
Marca fermana, la cui opera
personalità è stata illustrata in
un saggio di Silvia Del Bianco.
Nel libro si parla della genesi della vita teatrale nel paese
di Montegiorgio, delle vicende
che hanno portato alla progettazione e alla costruzione
del teatro, delle sue caratteristiche architettoniche (una
sala a ferro di cavallo con tre
ordini di palchi e un loggione
a balconata) fino ad arrivare
ai lavori di ristrutturazione e
di restauro illustrati dall’arch.
Fabio Torresi. Marisa Callisti si
è invece occupata degli eleganti
ornamenti decorativi opera di
artigiani montegiorgesi e della
decorazione del plafone realizzata dal pittore Giovanni Picca.
Tutta la ricerca è stata condotta
sulla documentazione d’archivio e sul materiale (manifesti,
fogli, locandine) appartenenti a
collezioni private.
è stato trasmesso il modello
femminile sibillino che ingloba la seduttrice e la salvatrice,
l’apporto dato dalle tradizioni
popolari, da storici e letterati
e, in particolare, dalle notizie
contenute nel primo romanzo cavalleresco italiano Guerin
Meschino di Andrea da Barberino e il dettagliato racconto
di Antoine de La Sale intitolato Il Paradiso della regina
Sibilla. L’opera è il risultato di
un’approfondita ricerca storica
e antropologica, è corredata da
un’ampia documentazione e da
un ricco apparato di note, per
cui rappresenta un ulteriore
contributo per la conoscenza di
questa grande saga marchigiana. Il volume è suddiviso in tre
parti. La prima parte s’intitola
Sibilla e Sibille, pagane e cristiane, dall’antichità al medioevo
e vi sono trattati i temi delle
Sibille antiche e la tradizione
oracolare pagana, ebraica e cristiana, della Sibilla appenninica
e il linguaggio delle pietre, della
divinità cultuate nell’area di
Norcia, ipotesi di lasciti di antichi culti femminili di fertilità.
Nella seconda parte, intitolata
Le Sibille medioevali, si parla
della Sibilla medioevale, profetessa, fata, maga e strega tra
spirituali ed eresia, della Sibilla
di Andrea da Barberino e di
Antoine de La Sale. Nella terza
parte, infine, è trattato l’argomento della Sibilla Appenninica
di scrittori, viaggiatori e curiosi.
Un nuovo saggio sulla Sibilla
Fantasmi ad Urbino
La Sibilla appenninica continua a suscitare un vivo interesse negli studiosi nonostante
la vasta bibliografia esistente
sull’argomento. Maria Luciana Buseghin ha pubblicato il
saggio L’ultima Sibilla. Antiche
divinazioni viaggiatori curiosi e
memorie folclori che nell’Appennino umbro-marchigiano. Con il
contributo “Dentro le parole”.
Finestre etimologiche di Giancarlo Gaggiotti (Carsa Edizioni,
Pescara, 2013). Nell’opera si
analizza il passaggio dalla Sibilla classica a quella medioevale
con la trasformazione dell’antica profetessa in una maga
demoniaca e sensuale, come
Lo scrittore urbinate Alessio Torino sceglie, sulla scia di
Volponi, di ambientare nella
città natale il romanzo Urbino,
Nebraska (Minimum fax, 2013)
Si tratta di un’opera strutturata su quattro tempi , ognuno
incentrato su di un personaggio
caratterizzato da un rapporto
di amore-odio verso la città,
diviso tra il desiderio di fuga
e l’attaccamento alle proprie
radici urbane. Qualcuno si
finge forestiero, qualcun altro
ha preferito andare all’estero,
un altro ancora ha scelto la
strada del convento per sfuggire a ricordi troppo ingombranti. Ma tutti questi personaggi
ni all’Assemblea Costituente
(1946-47).
Il Teatro di Montegiorgio
Le Cento Città, n. 50
sono accomunati da una tragedia familiare: la morte di due
sorelle decedute per overdose
do eroina, i cui corpi sono stati
rinvenuti alla Fortezza. Questo
evento, che in una metropoli sarebbe passato quasi inosservato perduto nell’anonimato tante altre storie simili a
questa, nella piccola comunità
marchigiana diventa un evento
drammatico e carico di turbamento, una ferita difficile da
far rimarginare. L’autore, senza
cadere nel crepuscolarismo che
spesso avvolge la provincia italiana, è bravo nel collocare in
un ambiente quotidiano i fantasmi psicologici che agitano i
protagonisti e i personaggi di
contorno e che finiscono per
sconvolgere i rituali festivi, i
salotti borghesi, i rapporti delle
famiglie.
Il Parco del Monte San Vicino
Nel 2009 l’Assemblea regionale delle Marche ha istituito la
Riserva naturale regionale del
Monte San Vicino e del Monte
Canfaito, la quale occupa 1.500
ettari compresi nei territori dei
Comuni di Matelica, Gagliole,
San Severino Marche e Apiro.
Il provvedimento è stato preso
per tutelare un’area di grande
valore naturalistico soprattutto
sotto il profilo floristico e faunistico. Con il contributo della
Comunità Montana Ambito 4
(ente gestore della riserva) è
stato pubblicato un bellissimo
volume fotografico intitolato
Il Monte San Vicino. Un viaggio di sensazioni, emozioni e
meraviglia nel territorio della
Riserva del Monte San Vicino e
Monte Canfaito (Edizioni Afni
Marche, Ancona, 2013). Attraverso una serie d’immagini
molto suggestive, che seguono
anche il ritmo delle stagioni, si
è voluto fornire una testimonianza iconica di questa zone
dell’Appenino marchigiano,
posta tra le province di Ancona e Macerata, dominata dal
grande cono del San Vicino che
con la sua altezza di 1479 metri
attira lo sguardo da gran parte
della Marca centrale. Le foto
documentano picchi rocciosi e
vallate, canaloni quasi scono-
Alberto Pellegrino
36
Il Monte San Vicino.
sciuti e prati verdeggianti, i
colori e le affascinanti atmosfere dei boschi con un particolare
rilievo per la millenaria faggeta
di Canfaito. Vi sono poi le
albe e i tramonti, la presenza
di una fauna particolarmente ricca (fantastici i colori di
uccelli e farfalle), di una flora
che presenta specie floristiche
assolutamente rare. Il volume
è stato realizzato dagli specialisti della Sezione marchigiana dell’Associazione Fotografi
Naturalisti Italiani, impegnata
nella documentazione e nella
tutela della natura grazie alla
passione r slls competenza di
volontari specializzati nella
ripresa fotografica della fauna,
della flora e del paesaggio naturale. L’AFNI svolge un’intensa
attività, facendo pubblicazioni
e organizzando mostre, corsi di
fotografia naturalistica e convegni per favorire la divulgazione
naturalistica diretta a promuovere una corretta gestione del
territorio.
un’opera particolare, equamente divisa tra ricerca storica e
divulgazione giornalistica, in
quanto riesce a mettere insieme
argomenti ampiamente conosciuti da chi si occupa di storia
del Risorgimento e una serie di
notizie, aneddoti e personaggi poco noti o trascurati dagli
storici. La linea conduttrice del
volume si propone di dimostrare che Garibaldi, pur essendo
un anticlericale che avversava
la Chiesa come espressione del
potere temporale, era anima-
to da un sentimento religioso come testimonia sia la sua
affermazione “All’esistenza sua
(Dio) io credo, così come credo
all’immortalità dell’anima mia”,
sia la Preghiera del garibaldino.
Questa sua posizione spiega
perché tanti sacerdoti offrirono
il proprio aiuto o militarono tra
le “camicie rosse”. Garibaldi,
che si batteva “per i valori della
pace, della libertà e dell’indipendenza”, ebbe saldi legami
con la fede popolare e con
gli appartenenti al basso clero.
I preti di Garibaldi
Il libro I preti di Garibaldi
del maceratese Pietro Pistelli
(Tracce del Tempo, 2012) è
Scene da L’Arlesiana di Francesco Cilea.
Le Cento Città, n. 50
Libri ed Eventi
Alla grande storia appartengono alcuni capitoli che descrivono Garibaldi come protagonista assoluto del Risorgimento,
le sue posizioni antirazziste e
a favore della Donna che egli
definiva “la più perfetta delle
creature”.
Infine nel libro si parla della
lunga schiera di sacerdoti- cappellani che militarono nelle
schiere garibaldine a cominciare da Don Stefano Ramorino,
fucilato insieme a Ciceruacchio
e i suoi figli; i padri Alessandro
Gavazzi e Ugo Bassi, anche
lui fucilato dagli austriaci a
Bologna (non è stato invece
segnalato il soggiorno obbligato di entrambi nel Convento
dei Barnabiti di San Severino
Marche fino al 1847). Vi sono
gli ex sacerdoti come Giuseppe
Sirtori, capo di stato maggiore,
e Vincenzo Padula, morto a
Milazzo con il grado di maggiore; i molti cappellani militari
che parteciparono alle campagne garibaldine e alla spedizione dei Mille: Fra Pantaleo,
Don Giuseppe Fagnano, Don
Angelo Arboit, Don Filippo
Patella, Don Ovidio Serino.
Tutti questi “martiri e campioni della causa nazionale”
avevano risposto all’appello di
Garibaldi che aveva visto con
soddisfazione “i preti marciare
alla testa del popolo per combattere gli oppressori” e che,
invece di seguire il Papa-Re,
erano rimasti fedeli alla “vera
religione di Cristo”.
37
GLI EVENTI
L’Arlesiana al Teatro Pergolesi
La Fondazione Pergolesi
Spontini di Jesi con un’ottima scelta culturale ha messo
in cartellone l’opera L’Arlesiana (1897) di Francesco Cilea
(1866-1950) che appare ormai
raramente nei repertori lirici,
mentre l’autore è un autorevole rappresentante del verismo musicale per l’efficienza
drammatica (si può parlare di
“teatralità”), l’eleganza dello
stile e la sapiente costruzione
armonica. L’opera, composta
su libretto di Leopoldo Marenco tratto dall’omonimo dramma di Alphonse Daude, si basa
sulla contrapposizione tra la
sana vita patriarcale della campagna e l’ossessione amorosa
del giovane Federico, ammaliato da un’affascinante giovane di
Arles, “l’oggetto del desiderio”
e il motore della vicenda che
non compare mai sulla scena.
Accanto al protagonista si colloca Rosa Mamai, una madre
affettuosa ma anche oppressiva
che cerca di salvare il figlio
dalla sua ossessione amorosa, proponendogli di sposare
la giovane Vivetta. Quando il
guardiano di cavalli Metifio
sostiene di essere stato l’amante dell’Arlesiana, Federico cade
in uno stato di depressione per
uscire dal quale decide di sposare Vivetta. Durante i preparativi per le nozze, ritornare
Metifio per dire che sta per
rapire l’Arlesiana perché non
vuole ritornare da lui. Dilaniato
dalla passione, Federico tenta
di uccidere il rivale, quindi si
rifugia in casa per poi gettarsi
dalla finestra del granaio. Le
pagine più interessanti dell’opera sono le romanze Vieni con
me sui monti del pastore Baldassarre e il celebre Lamento
di Federico cavalo di battaglia
di tanti grandi celebri tenori. L’edizione dell’ Arlesiana,
andata in scena al Teatro Pergolesi, sotto la direzione del
M° Francesco Cilluffo, si è
avvalsa di cast d’interpreti di
sicuro valore come il mezzosoprano Annunziata Vesti (Rosa
Mamai), il soprano Mariangela
Sicilia (Vivetta), il baritono Stefano Antonucci (Baldassarre)
e il tenore Dmitry Golovnin
che ha affrontato il ruolo del
protagonista con forza espressiva ed estesa vocalità. La regista Rosetta Cucchi, coadiuvata dalla bella scena ideata da
Sarah Bacon e dall’ottimo progetto luci di Martin Mclachlan,
ha scelto la strada di una fusione tra realismo e simbolismo
onirico per mettere in scena la
lucida follia di Federico sconvolto dall’insana passione per
una donna desiderata, sognata
e mai posseduta. La Cucchi,
contravvenendo alle indicazioni del libretto, porta sulla
scena fantasma di una seducente Arlesiana che si moltiplica,
circonda, ammalia e ossessiona
Federico sino a spingerlo al suicidio. “E’ come se l’immagine
della persona amata, – dice la
Cucchi - perennemente sospesa
nello stato cosciente, eserciti
un’attrazione verso la quale
Federico non può difendersi.
L’amate ossessionato ascolta il
canto della sua sirena e follemente ne segue l’ombra che si
muove via via via, diventando
una proiezione delle sue follie”.
Il ritorno di un film leggendario, Cabiria
Il Festival Pergolesi Spontini
ha riproposto, in una versione restaurata, il film Cabiria
realizzato nel 1914 dal regista Giovanni Pastrone (18831959) considerato un maestro
del genere storico romanzato,
Le Cento Città, n. 50
Alberto Pellegrino
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Il ritorno di Cabiria.
nel quale già rientravano diversi film che avevano una vasta
popolarità (Didone abbandonata, Messalina, Nerone e Agrippina, Gli ultimi giorni di Pompei,
Fabiola, Quo vadis?). Lo stesso
Pastrone aveva realizzato dei
film storici (Giulio Cesare, La
caduta di Troia) e di ispirazione
letteraria (Il fuoco, Tigre reale,
Hedda Gabler), ma arrivò alla
celebrità con il primo kolossal prodotto nel mondo dalla
durata di tre ore e dieci minuti
e un costo di un milione di lire,
una cifra stratosferica quando
il costo medio di un film era
di 50 mila lire. A far lievitare i
costi contribuì l’ambientazione
durante le guerre puniche con
numerose scene di battaglia,
distruzioni, incendi, cerimonie
sacre spettacolari. La realizzazione richiese pertanto l’impiego di una folta schiera di attori
e comparse, l’uso di scenografie
complesse e di costumi sfarzosi.
Oltre alle scene in interni, girate
negli stabilimenti cinematografici di Torino, si fecero nume-
rose riprese in esterni girate
sulle Alpi, in Sicilia e in Tunisia. Il direttore della fotografia Segundo de Chomòn creò
degli effetti cinematografici di
grande efficacia visiva come
l’eruzione dell’Etna e ottenne
delle atmosfere molto particolari grazie all’illuminazione
elettrica impiegata per la prima
volta. Pastrone, grazie alla macchina da presa piazzata su una
piattaforma mobile, inventò a
sua volta la “carrellata”, che
permetteva di realizzare delle
sequenze all’interno delle quali
si poteva passare dal campo
lungo ai vari piani fino al dettaglio, eliminando la scena fissa
nella quale gli attori entravano
e uscivano come a teatro. Per
dare “dignità letteraria” a questa produzione (allora il cinema
era considerato un prodotto
popolare), si chiese a Gabriele D’Annunzio di scrivere le
didascalie e fu commissionata a
Ildebrando Pizzetti la Sinfonia
di fuoco per accompagnare la
scena saliente del sacrificio di
Le Cento Città, n. 50
Cabiria al dio Moloch, mentre
le restanti musiche erano di
Manlio Mazza (nella proiezione jesina sono state eseguite
in diretta musiche di Gluk,
Spontini e Rossini). La vicenda,
ispirata ai romanzi Salambò di
Flaubert e Cartagine in fiamme
di Salgari, è complicatissima e
ruota intorno alla figura della
giovane e bellissima Cabiria
rapita dai pirati e venduta come
schiava a Cartagine, del giovani condottiero romano Fulvio
Axilia che riuscirà a salvarla e
a ridarle la libertà insieme al
fedele schiavo Maciste (interpretato dal gigantesco Bartolomeo Pagano) che diventerà il
protagonista di numerosi altri
film. Il film, oltre che in Italia,
riscosse un successo internazionale con lunghe proiezioni
anche a Parigi e New York.
La 27a Biennale Internazionale
dell’Umorismo nell’Arte
Riteniamo che l’aspetto
più valido della 27^ Biennale
Libri ed Eventi
Internazionale dell’Umorismo
nell’Arte di Tolentino sia un
ritorno all’umorismo “puro”,
senza infingimenti e scappatoie,
senza “se” e senza “ma”, così
com’era stata ideata nel 1961
dal suo fondatore Luigi Mari.
È innegabile che l’umorismo
disegnato sta attraversando una
crisi di creatività e di spazi
comunicativi ma, fino a quando ci saranno artisti già affermati giovani autori apportatori
di nuove energie, quest’antica
espressione artistica potrà continuare a brillare di vita propria nella società globalizzata
e magari percorrere le nuove
strade della comunicazione
elettronica.
L’edizione 2013 ha dato tre
segnali positivi: l’individuazione di un tema (O combatti o scappi, oppure ridi) che
ha stimolato positivamente la
creatività degli autori; un alto
numero di partecipanti (480
autori con 1019 opere) in rappresentanza di 53 nazioni; un
nuovo modo di procedere alla
selezione delle opere e alla
proclamazione dei vincitori.
Quest’anno, infatti, una Giuria tecnica ha selezionato le 76
opere da esporre in mostra; la
Giuria generale, presieduta da
Paola Ballesi, ha poi individuato le sei opere ritenute valide di
ricevere i tre premi previsti dal
regolamento. A questo punto la
Biennale si è aperta al pubblico
ed è entrata in funzione la Rete
per compilare una classifica dei
vincitori: tra il 24 maggio e
14 giugno 7.498 votanti hanno
stilato, con i loro voti, la graduatoria dei sei autori prescelti
dalla Giuria e, se si guardano i
risultati, si scopre che i votanti
hanno fatto un ottimo lavoro. Il
1° premio assoluto è andato al
turco Gumus Musa per l’opera
Escape (2.070 voti) che è una
perfetta sintesi del tema della
Biennale: in essa s’intravedono
sullo sfondo i ruderi di una
città sotto le bombe, mentre su
un pezzo di muto sbriciolato
un bambino si affaccia a una
finestra intorno alla quale ha
disegnato un aereo con il quale
sogna di volare lontano da
quell’inferno. Il secondo pre-
39
mio è stato
assegnato
all’italiano
Toni Vedù
per l’opera
Una risata
vi seppellirà (1,389
voti), nella
quale un
burlone
applica un
rosso naso
da pagliaccio
sul
viso della
Morte.
Il
terzo
premio è
toccato
all’italiano
Manuel Riz
con
The
conquist (1.243
voti), che
consiste in
una rivisitazione
dell’ormai
classica
fotografia Escape di Gumus Musa.
dei mariBelgio con 8 e della Francia
nes che a Iwo Jima alzano la
con 7). Come sempre nutrita è
bandiera statunitense, solo che
stata la partecipazione dei Paesi
al posto della bandiera c’è un
clown che usa l’asta per un dell’Est europeo che in tutte
fantastico salto verso un futuro le edizioni hanno dato linfa e
di pace. Le altre opere classi- sapore alla Biennale: Romania
ficate sono nell’ordine: Smile, (18 autori), Serbia (13), Croazia
un video di Dario Picarello; Le (12), Russia (12), Bulgaria (11),
prodezze quotidiane della signo- Ucraina (9). La maggiore novità
ra Maria, una scultura di Anna di questa edizione è stata la preTrezzari; Ninja, una inquietan- senza particolarmente nutrita
te scultura di Tiziana Talè che di autori iraniani (58) e cinesi
forse meritava un piazzamento (25) e questo è un segnale che
in quei Paesi, dove la libertà è
migliore.
È significativo che, inver- condizionata, la satira è ancora
tendo una radicata tendenza viva. Del resto il valore della
della Biennale, quest’anno vi scuola iraniana è stato reso
siano ben cinque italiani tra i noto dal successo internazionaprimi sei classificati, segno che le di Marjane Satrapi conseguisi è notevolmente innalzata la to con Persepolis e altre graphic
qualità dei nostri autori, che novel. Molto bella è la mostra
sono stati la m maggioranza dei personale di Anastasia Kurakipartecipanti con 150 presen- na, vincitrice della precedenze, seguiti dalla due Americhe te Biennale, tutta giocata sul
con 28 Paesi presenti, dall’A- binomio Satira-Morte, un tema
sia e dal Medio Oriente con estremamente difficile e deli26, dall’Europa con 58 (signi- cato che l’artista ha affrontato
ficativa la presenza di Polonia con grande eleganza e ironia.
e Germania con 9 autori, del
Le Cento Città, n. 50
Alberto Pellegrino
40
I trent’anni della Compagnia
della Rancia
La Compagnia della Rancia,
alla quale è stata assegnata la
Medaglia del Presidente della
Repubblica, ha festeggiato i
trent’anni della sua attività con
una mostra nel Castello della
Rancia allestita dal Centro Teatrale Sangallo con una serie d’immagini che ripercorre il lungo
e prestigioso cammino di questa formazione teatrale che ha
debuttato nel 1983 con lo spettacolo Arlecchino innamorato.
Sono seguiti cinque anni molto
intensi sul piano della produzione di spettacoli che andavano
dalla tragedia greca a Goldoni,
dal teatro dialettale ad Achille
Campanile, con due messe in
scena di assoluto calore come La
cortigiana dell’Aretino e Dialoghi delle Carmelitane di Georges
Bernanos. Nel 1988 avviene la
svolta decisiva, quando il direttore artistico e regista Saverio Marconi decide di mettere in scena
La piccola bottega degli orrori, un
successo che aprirà la strada al
musical italiano.
Da 1990 a oggi la compagnia
ha inanellato una straordinaria
serie di successi: il grande musical di Broadway A Chorus Line,
Il giorno della tartaruga di Garinei e Giovannini, La cage aux
folles, Cabaret, Dolci vizi del foro,
West Side Story, Fregoli, il primo
ed elegantissimo musical italiano
su libretto di Ugo Chiti interpretato da uno strepitoso Arturo
Brachetti, Un “classico” come
Grease è stato visto da un milione
500 mila spettatori, seguito poi
da Pinocchio, Sette spose per sette
fratelli, Cantando sotto la pioggia, Jesus Christ Superstar, Hello
Dolly, A qualcuno piace caldo,
Cats, Frankenstein Junior, Sweet
Charity, Tutti assieme appassionatamente, fino all’ultimo suggestivo e raffinato allestimento
di Variazioni enigmatiche, un
affascinante testo teatrale che ha
segnato il ritorno sulle scene di
Saverio Marconi.
Numerosi sono stati i riconoscimenti assegnati alla Compagnia, tra questi ricordiamo i più
prestigiosi: alcuni Biglietti d’Oro
Agis, il Premio per il Musical
Saverio Marconi, Direttore artistico e Regista.
Bob Fosse, l’Italia Musical Theatre Award, il Premio Eti Olimpici
del Teatro, il Premio I Teatranti
- Vittorio Gassman.
La musica vocale da camera di
Nicola Vaccai
Nel mese di agosto è stato
distribuito dal Resto del Carlino
il cd pubblicato a cura dell’Associazione Marche Musica contenente dodici composizioni vocali
da camera dell’illustre musicista
Nicola Vaccai (1790-1848).
Si tratta di un contributo di
notevole rilievo per la storia della
musica italiana, perché Vaccai
era finora soprattutto noto come
autore di sedici opere liriche, tra
le quali sono state rappresentate
con successo nella prima metà
dell’Ottocento Pietro il Grande,
La pastorella feudataria, Zadig e
Astartea, Bianca di Messina. A
queste bisogna aggiungere il suo
capolavoro Giulietta e Romeo
Le Cento Città, n. 50
(1825), composto su libretto di
Felice Romani, lo stesso che cinque anni dopo verrà utilizzato
da Vincenzo Bellini per l’opera
I Capuleti e i Montecchi. Di Giulietta e Romeo esiste un’ottima
registrazione discografica prodotta dalla Fondazione Pergolesi
Spontini, mentre mancava una
moderna di queste sue musiche
per canto che ora sono state
interpretate dal mezzosoprano
Monica Carletti accompagnata
al pianoforte dal Maestro Marco
Sollini. La raccolta comprende
le seguenti cantate: Non giova
il sospirar, La Rimembranza, Io
t’amo, Il Bagno, La Madre, Il
Figlio, La Serenata, La Zingarella,
Il Bacio, L’Ave Maria dei pellegrini, Il Cosacco del Volga, Sento
una dolce speme (Variazione
sopra un tema di Haydn).
Vita dell’Associazione
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Le Cento Città, n. 50
Vita dell’Associazione
42
Ricordo di Ilenia
Lo scorso luglio Ilenia ci ha lasciato.
Ilenia e Giuseppe sono i due figli
di Rosa e di Andrea Santoni, nostro
Socio sostenitore. Andrea, scarpe
grosse e cervello fino, è l’artigiano
marchigiano tipico, operoso e creativo che, dopo anni di lavoro dipendente, si mette in proprio sempre
con Rosa al fianco. Andrea punta
sulla qualità e sulla lavorazione a
mano, i primi prodotti hanno immediato successo, la piccola bottega diventa stabilimento, negli anni lo stabilimento decuplicherà la sua area
produttiva. Le scarpe sono spesso
di alta qualità. Uno stivale, pelle di
coccodrillo e interno di cachemere, può costare anche 10.000 euro.
Roba ovviamente per piedi illustri e
facoltosi. Accanto alla fabbrica nasce un outlet, poi un altro ancora, le
boutiques si diffondono in tutta Italia, il marchio Santoni è in via Montenapoleone, in Piazza di Spagna,
a Torino, sulla Costa smeralda. Ma
non per questo Andrea e Rosa cambiano stile di vita; ancor oggi aprono
e chiudono la fabbrica e, in camice
bianco, lavorano gomito a gomito
con i propri operai, tutto il giorno.
Poi scendono in campo Ilenia e
Giuseppe. A questo punto i Santoni
non sono solo una famiglia, ma una
squadra. Andrea e Rosa curano la
produzione, Giuseppe la diffusione
del prodotto, Ilenia l’amministrazione. Ilenia e Giuseppe sono diversi e
complementari. Giuseppe ha volontà di ferro e straordinaria capacità di
lavoro; ha idee molto chiare ed una
ferrea determinazione a realizzarle, è
un vero manager; il milieu internazionale è il suo habitat naturale, si
muove in continuazione per il mondo sprigionando dovunque la sua
energia realizzatrice.
Ilenia governa il suo settore fortiter et suaviter, con molta fermezza
ma anche con tanta dolcezza; ottiene
risultati sempre più visibili, è presente ora nel mondo della haute couture
e nelle riviste internazionali di moda,
è sicura di sé, è entusiasta e felice,
esprime gioia di vivere e di lavorare.
Con l’avvento della seconda generazione, il prodotto cresce ulteriormente e si diffonde in tutto il mondo, il fatturato vola ogni anno più in
alto . Il marchio Santoni diviene realtà internazionale. Boutiques Santoni sono a New York come a Parigi,
a Tokio come a Singapore, a Mosca
come a Doha, come a Shangai.
Ma non muta in Ilenia la ragazza
di Corridonia; conserva semplicità
e dolcezza e tenerezza di madre, è
compagna quotidiana e quasi sorel-
Le Cento Città, n. 50
la di chi lavora con lei, è amica dei
suoi clienti. Negli ultimissimi anni si
fa la sua nuova casa, un’antica villa
della sua cittadina mirabilmente restaurata, un sogno, ci confida, della
sua infanzia. C’è tutta Ilenia in questa casa, non ridondanze né ampollosità, ma uno stile sobrio, elegante,
accogliente come la sua amicizia;
ritornare oggi nella villa significa ritrovare l’anima di Ilenia ed un grande rimpianto.
In un pomeriggio del giugno di
due anni fa, noi de Le Cento Città
visitammo lo stabilimento di Corridonia accolti da tutta la famiglia
schierata ad attenderci. Nessuno potrà dimenticare la grazia e l’affabilità
di Ilenia, la sua eleganza naturale, la
raffinatezza della sua ospitalità, l’orgoglio con cui presentava quello che
con lei e intorno a lei era sorto.
Poi è sopraggiunta la malattia,
sembrava di averla debellata, ma il
male, che non conosce sentimenti, è
ritornato più aggressivo e più feroce
di prima.
Ora la vita di Ilenia appare come
un sogno brutalmente interrotto nello stesso momento in cui appariva
realizzato.
Giovanni Danieli
Vita dell’Associazione
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Visite e convegni
di Giovanni Danieli
Domenica 15 luglio 2013, Ancona
Assemblea dei Soci
A Portonovo di Ancona presso l’Hotel Fortino Napoleonico
si è svolta l’Assemblea estiva dei
Soci, che hanno ascoltato le relazioni, consuntiva del Presidente
Prof. Natale G. Frega e quella
programmatica del Presidente
eletto Prof. Avv. Maurizio Cinelli.
La prima è stata chiusa da un
caldo e prolungato applauso, testimonianza dell’apprezzamento
dei Soci per il bellissimo programma realizzato e per chi ne è
stato il principale artefice.
Il Presidente ha saputo muoversi nella scia delle grandi direttrici del passato, quella storicoartistica volta alla riscoperta del
patrimonio culturale delle Marche soprattutto “minori”, quella
imprenditoriale che esalta l’eccellenza dell’impresa marchigiana, quella paesaggistica finalizzata a salvaguardare l’integrità delle
meravigliose colline marchigiane
e quella enogastronomica intesa come riscoperta e diffusione delle specificità regionali. A
queste si è aggiunta una quinta
direttrice, la ricerca quale risorsa
insostituibile per la crescita del
territorio, ricerca che è stata alla
base di tutto il programma e del
suo sviluppo.
Sono state poi consolidate alcune
caratteristiche peculiari dell’Associazione, il rapporto costante
con i Comuni visitati, considerati
interlocutori privilegiati; il teatro
come sede preferenziale di ogni
evento per rinverdirne il ruolo di foyer di idee e di dibattiti
della vita cittadina; lo spettacolo
(musica, danza, canto, giochi…)
quale espressione anch’esso della
marchigianità.
Novità assoluta sono stati,
quest’anno, i gadget, cinque, le
bustine di zucchero con il logo
dell’Associazione ed il motto
dell’anno - Se sostieni la ricerca
scientifica l’Italia cresce - a Genga; il vino novello con l’etichetta
de Le Cento Città, l’11 novem-
bre, giono di San Martino, a
Ripatransone; l’olio extravergine d’oliva anch’esso etichettato
Le Cento Città, a Jesi; il piatto
di ceramica con logo dipinto, a
Petroja; e, nell’assemblea estiva,
champagne magnum sempre con
l’etichetta dell’Associazione e il
dono ai Soci di un portachiavi
d’argento “Le Cento Città/il Presidente 2012-2013”.
Il Presidente incoming, quindicesimo della serie, è Maurizio
Cinelli. Professore Ordinario di
Diritto del lavoro, avvocato di
grido, uomo di charme e di carisma insieme, scuola universitaria,
oratore forbito, sportivo naturale, ha tutte le carte in regola per
essere anch’egli uno straordinario Presidente. Il programma
presentato è apparso tanto ambizioso quanto seducente, con
un’equa distribuzione tra momenti di impegno sociale ed altri
più strettamente ludici.
Domenica 15 settembre 2013,
Camerino
Visita della città
La prima uscita dell’anno societario si è svolta a Camerino,
una tra le più nobili e più ricche
di storia tra le città marchigiane.
La visita di Camerino, iniziata nel
Palazzo Comunale con il saluto
del Sindaco Dottor Dario Conti,
ha riservato momenti di grande
entusiasmo. Basta al proposito
citare l’imponenza del palazzo
ducale, l’incontro con la natura
nell’orto botanico con la presentazione della Direttrice Dottoressa Roberta Tacchi, la visita al
complesso museale di San Domenico con il fascino della pittura camerte del ‘400, gli splendori
barocchi della Chiesa di San Filippo, l’incredibile raccolta di antichi organi nella romanica chiesa
di San Francesco e il relativo concertino, la magia di Alberto Pellegrino e le poesie di Ugo Betti
nel mitico teatro Marchetti. Tutto sotto la guida sobria, sapiente
Le Cento Città, n. 50
ed elegante di Pier Luigi Falaschi
e Corrado Zucconi Galli Fonseca, anfitrioni di eccezione.
Nell’intervallo, colazione a Villa Fornari, villa del 700 con cappella preziosamente affrescata.
Domenica 29 settembre 2013,
Treia
Visita della città
Nella Sala Consiliare del Comune, la visita è iniziata con il
saluto del Sindaco Dottor Luigi Santalucia e con le relazioni
dei Professori Alberto Meriggi
e Enzo Catani, che hanno presentato la storia della città e che
ci hanno accompagnato, con la
collaborazione del signor Alessandro Melchiorri, per tutto l’itinerario.
Si sono visitati la Quadreria
Comunale, l’Accademia Georgica, il Teatro Comunale, il Museo Archeologico, la Chiesa del
Santissimo Sacramento, opera
dell’architetto Bazzani ed espressione dell’eclettismo del primo
novecento.
Il nostro Socio Alfredo Luzi, al
mattino, nella Sala del Consiglio
comunale ha tenuto una lettura
su Spazialità e temporalità nell’opera di Dolores Prato e ha letto
nel pomeriggio tre o quattro lacerti della stessa poetessa.
Nell’intervallo, pranzo nel Ristorante dell’Hotel Grimaldi.
Domenica 20 ottobre 2013,
Osimo
Da Rubens a Maratta, meraviglie
del barocco nelle Marche 2
Ricevuti, nella Sala del Consiglio comunale, dall’Assessore alla
cultura Dottor Achille Ginnetti,
la visita di Osimo si è aperta con
la presentazione storico-artistica
della città.
Al mattino sono stati visitati
il Lapidarium, la Piazza del Comune, un tempo foro romano,
il Palazzo Gallo con la visita del
Salone delle feste, impreziosito
dagli affreschi del Pomarancio, e
Album di Romano Folicaldi
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Il 29 settembre 2013 i Soci de Le Cento Città si sono ritrovati a Treia per un incontro curato dal Presidente
Maurizio Cinelli: dopo il saluto del Sindaco dottor Luigi Santalucia e un excursus storico della città
proposto dal professor Alberto Meriggi, nella Sala del Consiglio Comunale, il professor Alfredo Luzi ha
tenuto una lettura su Spazialità e temporalità nell’opera di Dolores Prato, l’autrice di quella grande opera
letteraria che ha per titolo Giù la piazza non c’è nessuno.
E’ stato un grande momento in cui la sapienza del letterato è stata resa vibrante dall’empatia che Alfredo
Luzi ha domostrato di sentire nei confronti di questa piccola bambina nata sotto un tavolino, e di tutto
il racconto, nel ricordo, della sua infanzia e della sua adolescenza per le quali, strade, case, persone, le
parole, il dialetto sono stati molto di più di un semplice sfondo.
Poi la visita alla Chiesa del Santissimo Sacramento, all’Accademia Georgica e a tutti i luoghi che fanno di
Treia uno dei centri di maggior interesse artistico, paesaggistico e culturale della Regione.
Le Cento Città, n. 50
Vita dell’Associazione
del Palazzo Campana, ove è stata
ammirata la Mostra Da Rubens a
Maratta, meraviglie del barocco
nelle Marche 2, promossa e coordinata da Vittorio Sgarbi.
Nel pomeriggio, dopo una
piacevole sosta presso l’Osteria
Moderna, visita della Cattedrale, del Battistero, e delle Grotte
sotterranee, straordinaria serie di
antichi cunicoli, alcuni risalenti
all’epoca romana.
Domenica24novembre2013,Belforte del Chienti e Serrapetrona
La vernaccia a Serrapetrona
La visita di Serrapetrona ha
avuto come preludio una breve sosta a Belforte del Chienti.
In questo splendido borgo. Il
nostro Socio Luca Maria Cristini ha presentato, nella Chiesa
di Sant’Eustachio, il polittico
di Giovanni Boccati, opera del
1468, un vero gioiello dell’arte
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camerte, sfuggito al sequestro
delle truppe napoleoniche del
primo ottocento, proprio perché
custodito in quest’angolo remoto
delle Marche.
A Serrapetrona siamo stati ricevuti dal Sindaco Adriano Marucci che ci ha accompagnato durante tutto l’itinerario illustrandone
le principali caratteristiche.
Nella Chiesa di San Francesco
Luca Maria Cristini ha presentato lo splendido polittico di Lorenzo D’Alessandro, databile tra
il 1485 e il 1490 e le altre opere
contenute in questo tempio.
Ha fatto seguito la visita della
raccolta di pregiati reperti paleontologici, archeologici e numismatici, un vero e proprio tesoro,
recentemente allestiti in forma
museale all’interno del palazzo
Claudi, appositamente restaurato e adattato. Il pranzo si è svolto
nell’ottima Cantinella.
La vernaccia - questo spumante rosso naturale (ma vi sono anche altre pregiatissime versioni),
frutto di una vendemmia particolare, che prevede metà dell’uva
da utilizzare per la vinificazione
venga posta ad essicare su graticci (il cosiddetto “appassimento”), prima di essere spremuta,
e celebrato da scrittori di fama,
come Mario Soldati e gatronomi
illustri - è stata la protagonista
della parte conclusiva della giornata.
Ci siamo infatti recati presso l’Azienda Vinicola Alberto
Quacquarini per la visita degli
essicatori, per l’illustrazione della particolare tecnica di vinificazione, ma anche per degustare il
frutto della più recente produzione, nonchè i dolci tipici che
quell’Azienda produce con pari
successo.
Immagini da Treia di Corrado Paolucci. Il Presidente, il Prof. Alberto Meriggi ed il Sindaco Dott. Luigi Santalucia; il
Presidente con il Sindaco; nell’interno del Palazzo dei Georgofilli; il Prof. Enzo Catani.
Le Cento Città, n. 50
Album di Corrado Paolucci
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I Polittici, a 6 km di distanza l’uno dall’altro, di Giovanni Boccati, nella Chiesa di Sant’Eustachio a Belforte del Chienti e
quello di Lorenzo D’Alessandro nella Chiesa di San Francesco a Serrapetrona.
Visita di Osimo, l’Assessore alla Cultura Achille Ginnetti e il nostro Presidente; i Soci nell’androne del Comune e a
Palazzo Gallo; il Battistero nella Chiesa di S. Giovanni Battista.
Le Cento Città, n. 50
Album di Corrado Paolucci
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Belforte del Chienti, Chiesa di Sant’Eustachio con il Polittico di Giovanni Boccati; il Presidente Luca Maria Cristini ed
il Parroco.
Serrapetrona, il Sindaco Adriano Marucci guida il Gruppo nel Museo Archeologico di Palazzo Claudi; il prosaurolopus; la
Chiesa di San Francesco; il Presidente, il Parroco, il Sindaco Marucci e Luca Maria Cristini; il Presidente con due suonatori
di saltarello maceratese; appassimento di una vernaccia di Serrapetrona nello stabilimento Quacquarini.
Le Cento Città, n. 50
La pubblicazione de Le Cento Città avviene grazie al generoso contributo di
Banca dell’Adriatico, Banca Marche,
Carifano, Carisap, Co.Fer.M.,
Fox Petroli, Gruppo Pieralisi, Santoni, TVS