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MARTEDÌ 10 MAGGIO 2011
MARTEDÌ 10 MAGGIO 2011
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■ 36
Dossier
PER SAPERNE DI PIÙ
www.samar.pl
www.fiat.pl
L’intervista
L’evoluzione Skoda
addio marchio dell’Est
TYCHY
DANIELE P. M. PELLEGRINI
l 15 aprile 1990, la firma del
contratto di cessione alla
Volkswagen ha cambiato il
destino della Skoda e segnato il suo passaggio dalla condizione storica di “marchio dell’Est” a
componente della grande famiglia tedesca. Un inizio non facile,
nel ruolo di azienda satellite e subalterna orientata prevalentemente ai suoi mercati originali,
che due decenni dopo sembra del
tutto dimenticato. Il nuovo presidente, Winfried Vahland, ne parla come una fase di passaggio, irrilevante di fronte agli obiettivi
futuri.
Non è sorprendente che oggi
quello che era un marchio debole sia diventato tanto ambizioso?
«Se fossimo solo noi e si parlasse solo di Skoda potremmo sembrare arroganti ma è il gruppo
Volkswagen ad essere ambizioso
e questo cambia la prospettiva.
Conoscete l’obiettivo del 2018,
essere i primi produttori al mondo, è un’ambizione di gruppo che
necessariamente si trasmette ai
singoli brand».
Più concretamente?
«Nella strategia globale tutti i
marchi hanno un loro ruolo, per
esempio: come Audi guarda alla
leadership nel settore premium
Skoda deve crescere nel settore
“normale”. Oggi nel mondo esiste una competitività forte e diffusa, occorre quindi essere molto
forti e preparati. Proprio il nostro
ruolo e la nostra mission futura in
un panorama globale ci dà la consapevolezza di essere importanti
per il gruppo».
Quanto importanti?
I
SALVATORE TROPEA
n un solo stabilimento della Polonia con 6 mila dipendenti, la Fiat
produce lo stesso numero di
vetture che in Italia vengono
prodotte in cinque stabilimenti e con 22 mila addetti». Per
quanto la si voglia contestualizzare con il periodo dello
scontro su Pomigliano questa
affermazione, peraltro più volte ribadita da Sergio Marchionne, sintetizza il suo pensiero
non tanto e non solo sul ruolo
dell’impianto polacco. Essa
spiega una strategia che tocca
da vicino la Fiat nel suo complesso, anticipando ciò che ancora non è ma potrebbe diventare. La profonda differenza richiamata dall’ad di Fiat e Chrysler non giustifica alcune scelte
del Lingotto ma serve a capirle,
anche se fa riferimento a due
mondi storicamente tra loro
assai diversi. E comunque l’impianto polacco di Tychy è un
caso che i sindacati e il governo
italiano farebbero bene a non
trascurare. Almeno per qualche anno. Poi si vedrà.
Oggi Tychy, cittadina del
Voivodato di Slesia nella Polonia meridionale, forse non a ca-
«I
Fiat La fabbrica di Tychy
È considerata una delle migliori d’Europa
ed è ai vertici, per qualità e produttività
anche nella classifica mondiale. Viaggio
nello stabilimento modello del gruppo Fiat
dove nascono i fenomeni Panda e 500
Nella
Marchionne porta
come esempio
la fabbrica polacca
e vuole importarne
ritmi e sistemi
so gemellata con Cassino, è una
delle roccaforti europee di Fiat
(e Chrysler). Come produzione
è sicuramente il numero uno.
Nata nell’ultima decade del secolo scorso in una Polonia nella quale c’era già da anni la Fsm
che produceva su licenza dei
torinesi e non soltanto automobili, Tychy sembrava dover
essere un completamento di
Bielsko Biala dove il Lingotto
produceva un po’ di tutto. Ma
ben presto si capì che il nuovo
impianto era destinato ad avere un ruolo più importante, mirato alla produzione di vetture.
Anche se agli inizi nessuno
sarebbe stato in grado di avvistare un futuro che avrebbe
preso corpo man mano che gli
altri insediamenti del gruppo,
compresi quelli italiani, si andavano ridimensionando.
Il sorpasso ha coinciso con la
crisi che ha rallentato la crescita di Fiat in Italia e nel resto dell’Europa. Oggi Marchionne
colloca Tychy ai primi posti per
puntualità e qualità.
Vediamo i numeri: in questa
fabbrica di Fiat Auto Poland,
nel 2010, sono state prodotte
533 mila 455 vetture di cui 440
mila 528 con i marchi Fiat,
Abarth e Lancia (qui viene prodotta anche la Ka della Ford
sullo stesso pianale di 500 e
Panda). Nel dettaglio, 246 mila
63 sono state le Panda, 176 mila 759 le 500, 9 mila 152 le 600, 8
mila 347 le Abarth e 207 le Lancia Ypsilon. Nel 2012 il numero
delle Panda scenderà per il tra-
0
Fiat 50
modello
DIPENDENTI
Producono
come 22 mila
addetti in
Italia in 5
stabilimenti
2010
PRODUZIONE
Sono 533455
le vetture
prodotte
l’anno
scorso
sferimento della produzione a
Pomigliano ma a sostituirle ci
sarà la Ypsilon in arrivo da Termini Imerese. Nel novembre
scorso, mentre in Italia era in
corso lo scontro sul Mirafiori,
Tychy ha ancora una volta conquistato il certificato Silver Level e il prestigioso diritto al titolo di azienda “World Class Manufacturing” (altri premi li ha
ottenuti nei mesi seguenti).
Per comprendere meglio
che cos’è Tychy occorre sapere
che il 97,4 per cento della sua
produzione (429 mila 281 vetture), è destinato all’export in
ben sessantanove paesi, tra i
quali tutti i mercati europei che
contano, in testa quello italiano con 221 mila 694 auto (oltre
5 mila 500 vetture finiscono
nientemeno che in Giappone).
E già questa dislocazione aiuta
a capire l’importanza non solo
geografica di una roccaforte
extraitaliana di Fiat che il 29
marzo scorso ha festeggiato il
traguardo del mezzo milione di
500 prodotte. Insomma una
provincia del Lingotto che si
colloca tra l’Italia e la Russia dove la Fiat insegue il colpaccio
dopo aver fallito con Sollers.
Ma soprattutto una fabbrica
che è in grado di servire i mer-
cati europei. Forse è per questo
che, sia pure con motivazioni
diverse, è diventata il tormentone di Marchionne e dei sindacati. Il primo, convinto che si
debba e si possa fare anche in
Italia come a Tichy o quasi; i secondi, altrettanto convinti che
non si possa tornare indietro
verso condizioni di lavoro che
essi ritengono debbano cambiare in meglio, in Polonia.
Il fatto è che se a Tichy la Fiat
chiede di lavorare un sabato si
trova davanti agli uffici la fila di
quelli che sono disposti a farlo.
C’è in Polonia lo spirito che animava l’Italia degli anni Sessan-
Il presidente Vahland
La cessione al gruppo
Volkswagen nel ’90
ha cambiato la storia
Nel 2018 vogliamo
essere il primo
produttore al mondo
nel settore “normale”
«Riteniamo che il brand Skoda
abbia un potenziale enorme: volendo parlare di numeri ci siamo
posti l’obiettivo di crescere dalle
762.000 vetture del 2010 a un milione e mezzo nel 2018».
Tutti puntano sui mercati
emergenti, questa è anche la vostra strategia?
«Le prospettive di crescita hanno ovviamente in primo piano i
mercati che crescono in modo
più significativo; per questo abbiamo investito in Russia, a Kaluga e nell’impianto della GAZ, in
India con VW a Pune e Aurangabad, in Cina dove già nel 2007 abbiamo iniziato la produzione della Octavia e dal 2013 produrremo
la Yeti».
In Cina arriverà anche la Seat,
non c’è pericolo di cannibalizzazione fra i marchi del gruppo?
«Nel 2010 il gruppo VW ha venduto quasi 2 milioni di vetture e
detiene il 17 % del mercato con 20
modelli differenti; in questa situazione l’espansione di un
brand come Skoda ha senso, considerando che quattro anni fa eravamo a zero e lo scorso anno abbiano venduto 181.000 vetture».
E per quanto riguarda i mercati maturi?
«Non dimentichiamo che l’Europa è il nostro mercato domestico, prevediamo di salire dall’attuale 3% a quasi il 5% e questo significa che, anche se il mercato
resta stabile, cresceranno i volumi».
Pensate di esservi lasciata definitivamente alle spalle l’immagine negativa di «marca dell’Est»?
«Ci sono ancora differenze notevoli nella percezione del brand
nei diversi mercati e le differenze
nella penetrazione lo dimostrano: per esempio siamo ancora deboli in Italia mentre con il 4% siamo il primo dei marchi esteri in
Germania e nel nord Europa arriviamo al 10%».
Per rimediare lavorerete più
sull’immagine o sul prodotto?
«Non ci sono alternative, se
vuoi vincere hai bisogno dell’immagine e dei prodotti; quindi lavoreremo sulla prima ma con
cautela, ricordandoci che siamo
comunque la 3° più antica fabbrica di automobili al mondo, e sui
secondi con un progressivo allargamento della gamma. Accanto
alle normali berline abbiamo aggiunto la Yeti e il prossimo anno
arriverà la piccola (omologa della
VW Up, ndr) che per molti mercati, fra cui l’Italia, sarà molto importante».
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La storia
fabbrica
6 mila
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ta, che poi vuol dire il bisogno
come molla per far passare in
secondo piano anche le conquiste sindacali. E c’è anzi un
sindacato monetarista, pronto
ad accettare l’equazione “più
produzione eguale più soldi”,
in un posto dove però c’è anche
il reddito pro capite forse più alto della Polonia. Un po’ come
quello di Belo Horizonte in Brasile.
Certo, non sarà a lungo così e
questo Marchionne lo sa. Ci sono segnali forti di cambiamento, ma nell’attesa il ruolo di Tychy è quello che è e non altro.
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MASSIMO TIBERI
uole chiudere con un
evento storico la sua lunga permanenza ai vertici
Fiat Vittorio Valletta
quando, nel 1966, mentre sta passando la guida a Gianni Agnelli, sigla l’accordo con il governo sovietico per realizzare un grande impianto automobilistico in URSS,
uno dei maggiori complessi industriali mai creati nel Paese. Nasce
così nei pressi di Stavropol sul Volga, ribattezzata Togliattigrad in
omaggio al leader comunista italiano, la VAZ, nuova marca conosciuta in occidente con il nome
Lada e per la quale viene scelto come simbolo la nave dell’eroe seicentesco Sten’ka Razin.
Il modello al debutto nel 1970, la
2101 Zhiguli, è strettamente imparentato con la 124 torinese e,
con le sue evoluzioni e varianti,
sarà l’asse portante della motorizzazione di massa russa. Quanto
mai longeva, questa media robusta accompagnerà l’intera vita
della casa fino ai giorni nostri, affiancata dalla altrettanto inossidabile fuoristrada Niva, lanciata
nel 1976, e poi dalla più moderna
Samara. Oggi, dopo rapporti con
la General Motors e un mancato
nuovo accordo con Fiat per produrre l’utilitaria Oka, la VAZ fa parte del gruppo Renault dal quale ha
ereditato la Dacia Logan.
Protagonista indiscussa in patria ed esportata in notevoli quantità, la Zhiguli svolge inoltre un
ruolo epocale, sul piano tecnicocostruttivo, anche rispetto a tutte
le vetture connazionali contem-
V
92.927
ANCHE KA
Oltre alle Fiat
nello
stabilimento
si produce
la Ford Ka
207
YPSILON
La piccola
Lancia è la
meno
prodotta.
Panda leader
97,4%
EXPORT
Quasi tutte le
vetture
vengono
spedite
all’estero
69
PAESI
L’Italia riceve
221.694 auto
Il Giappone
si ferma a
5 mila 500
Dalla Zhiguli alla Lada
compagna automobile
poranee. Basti pensare alle piccole ZAZ 965 e 966, brutte imitazioni
della italiana 600 e della tedesca
NSU Prinz (Vladimir Putin conserva comunque orgogliosamente la sua) o alle più grandi Moskvich e Volga, obsolete già all’apparizione di ogni modello, per non
parlare delle mastodontiche ZIS e
ZIL, macchinone ispirate alle
Buick e Cadillac americane, che
ospiteranno la nomenklatura sovietica da Stalin a Gorbaciov.
Dominatrice del blocco orientale, l’Unione Sovietica condiziona d’altra parte le strategie
economiche dei cosiddetti
“paesi fratelli”, con parti-
Trabant
colare influenza negativa sulle industrie automobilistiche, alcune
delle quali assai avanzate al momento dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Mentre, infatti, in URSS prima
del conflitto sono ancora Ford e
General Motors a monopolizzare
il settore, in Cecoslovacchia Skoda
e Tatra realizzano vetture d’avanguardia. La casa di Mlada Boleslav
riuscirà, nonostante tutto, ha conser-
vare buoni livelli produttivi con la
Octavia del 1959, poi rafforzati
dalla compatta MB del 1964, sopravvissuta fino al 1990 e affiancata nel 1987 dalla Favorit, che farà
da traino al progressivo ingresso
della Skoda nel gruppo Volkswagen. Tatra, invece, dopo le rivoluzionarie berline a motore posteriore degli anni Trenta, che ispirano perfino il Maggiolino, dovrà limitarsi a servire la nomenklatura
con ormai antiquati modelli dall’estetica tra l’altro imbarazzante.
Simili, per
certi aspetti, le storie che riguardano le auto della Repubblica Democratica Tedesca. L’eredità della prestigiosa marca Horch di
Zwickau e in parte della DKW (con
Audi e Wanderer formavano la Auto Union anteguerra) viene raccolta dalla Sachsenring Trabant,
la piccola utilitaria che, pur penalizzata da mille difetti, diventerà
forse il simbolo più noto e mitizzato dell’”automobilismo comunista”. Oltre 3 milioni di unità costruite, tra il 1957 e 1991, rappresentano il successo di una vetturetta non priva di originalità e tecnicamente controcorrente, dalla
carrozzeria in materiale plastico al
motore a due tempi di stampo motociclistic o ,
fonte però di pericolose emissioni
inquinanti. Pazientemente attesa
da chi comunque la considera attestazione di status, la “Trabi”
condivide le strade della DDR con
la più grande berlina Wartburg,
costruita nella fabbrica ex BMW di
Eisenach e anch’essa equipaggiata con un due tempi. Entrambe
“crolleranno” assieme al muro di
Berlino e resteranno nella memoria le immagini delle lunghe file attraverso le abbattute frontiere tra
le due germanie.
Strettamente legate alla Fiat, invece, come per la sovietica Lada, le
vicende delle più importanti industrie automobilistiche di Polonia e
Jugoslavia. La prima ospita già negli anni Trenta la produzione della Balilla e subito dopo della 1100 e
della Topolino. Nel dopoguerra, a
partire dal 1967, sarà la volta di
125, 127 e 132, per arrivare alla 126
e quindi, dopo la definitiva privatizzazione nel 1992, delle Cinquecento, Seicento e Panda fino all’attuale 500 e alla Lancia Ypsilon.
Con la Jugoslavia e la Zastava di
Kragujevac i rapporti iniziano nel
1953, con la Campagnola, poi con
la 600 per arrivare alle derivate da
128 e 127. Distrutta dai bombardamenti Nato nel 1999, la fabbrica rinascerà nella nuova Serbia del
2005 per la Punto e il futuro guarda alla monovolume compatta
sulla piattaforma della terza generazione Panda. Soprattutto con le
case francesi, invece, i legami dell’industria rumena: Renault e Dacia si affiancano dal 1966, fino all’assorbimento vero e proprio nel
1999, mentre Citroen collabora
dal 1977 con la Oltcit, che passerà
però nel 1994 alla Daewoo.
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