Memorie di un disperso
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Memorie di un disperso
MEMORIE DI UN DISPERSO Estremamente Parco Val Resia 4-5-6 giugno 2010 Ho bisogno di una musica che evochi spazi infiniti, la trovo. La voce magnetica e di Sainkho Namchyalk, artista di Tuva, mi accompagna all'ingresso della Val Resia. E, assieme alla musica, ecco la visione, il Canin si erge nella luce del tardo pomeriggio, aereo e impalpabile, e ha l'aspetto più di una nuvola che di una massa di roccia. La Val Resia la adoro; da quando, qualche anno fa, ho iniziato a percorrere da solitario le montagne friulane su questi sentieri ho spesso portato i miei Meindl “corazzati”. Giri da dieci, dodici ore, nottate passate al ricovero Rio Nero, passaggi per uno yoghurt e quattro chiacchiere alla malga Confin, la scoperta di angoli e visioni sempre nuovi. Giornate memorabili! Quando ho visto che era in programma un'iniziativa in Val Resia ho avuto pochi dubbi a iscrivermi, atto doveroso, mio personale omaggio a questi luoghi. “Iniziativa” la chiamo perché mancano i termini e non si sa in che categoria far rientrare questo viaggio di 110 km e 8000 di dislivello: trekking? trail? camminata o corsa? Al di là della terminologia siamo in trenta sulla linea di partenza, sembriamo atleti, si direbbe, impegnati in un evento sportivo. Ma io amo pensare in altri modi, e la categoria sportiva mi aggrada fino a un certo punto; certo, sono “travestito de sportivo”, e, per quanto mi riguarda, correrò quanto posso e più degli altri, se ci riesco. Ma davanti a questa distanza, davanti a questo mondo immenso che si apre, e si occulta, al di là del cono di luce della frontale, io mi sento un asceta. “Centodiecichilometri”, bisogna sussurrarselo, e vedere che reazioni ha il proprio corpo, e la propria mente. Ma rimango assolutamente tranquillo, non ho paure, non ho timori, ma neanche eccitazioni. Mi sembra assolutamente normale, come fossi uno che si è impegnato in queste distanze più e più volte e può sfoggiare la sicurezza di una reiterata esperienza. E invece corro da un anno e ho esordito nelle gare in dicembre, alla Cavalcata Carsica. E ora Estremamente Parco, e a fine mese la Lut. Fanno, assieme, 200 km in meno di un mese. E perchè no? A volte rispondo, scherzosamente, che faccio ciò perchè, nonostante i miei quarantatrè anni, ho ancora le gambe vergini! Si parte, mezzanotte del venerdì 4 giugno, Prato di Resia. Mezzanotte, alla partenza Corro, corro subito perchè ho bisogno di silenzio, soltanto due parole discrete con Chiara, il monte bianco come tema, per lasciar scorrere l'ultimo asfalto. E poi, quando la strada lascia spazio al sentiero, mi lascio inghiottire dal buio dei boschi; il sentiero l'ho provato il sabato prima, e vado veloce. E sono solo. Al paese successivo una donna di vedetta dietro la curva mi spaventa con le sue grida “Arrivano, arrivano! Sono qua!” Arrivano? Passo solo io, gli altri ancora occultati dai boschi. Applausi di un piccolo gruppo, foto e telecamera in azione, un piccolo momento di celebrità, uno mi grida “Ma dove vai? Mancano ancora cento chilometri!”. Perchè vado? Vado perchè questa notte è così bella, vado perchè c'è un mondo ignoto e immenso che si apre al mio passo, vado perchè sono un eremita pellegrino che gode di essere solo su questa montagna. Stolvizza (578 m): da qui inizia la salita, una di quelle salite secche, da novecento, mille di dislivello, che ci sono in queste valli. La conosco e la faccio veloce. Nel buio grida e fruscii di animali. La mia anima in pace. Al ricovero Crasso (1654 m) il primo controllo, sorprendo il responsabile mezzo addormentato e colpito da questo essere della notte spuntato dai mughi, forse non sospettava un arrivo così rapido! Dopo il ricovero il sentiero diventa una traversata di qualche chilometro per il bivacco Marussich, corro quando posso, c'è da essere prudenti, so che più avanti inizieranno i primi nevai, e bisogna indossare i ramponi operazione assolutamente nuova per me. Magicamente, assieme ai primi nevai, appare la luna; mi aiuta ad illuminare l'operazione di aggancio dei ramponi:”Tutto a posto, si va”, uno sguardo alla traversata con le frontali di chi mi segue, suggestive come stelle. Al Picco di Grubia (2237 m), nei pressi del bivacco Marussich, altro controllo con foto di gruppo con i volontari e sentiti complimenti, vengo accompagnato al sentiero per Sella Nevea, immerso nella neve, non lo conosco se non per quello che può dirti la cartina, inizia uno spazio ignoto e mi ci butto. Non è facile, non è facile per niente. Le bandierine di segnalazione faccio fatica a vederle, devo andare piano e cercare di inquadrarle da una all'altra, apro la via agli altri a fatica, perdo tempo. Tutto il sentiero è difficile da percorrere e uno comincia a sentirsi un disperato, cado anche in un buco fino alla cintola, penso di avere perso lì una borraccia con del prezioso the allo zenzero caricato di miele. Mi ferisco leggermente a una mano con un rampone, e capisco che non è prudente correre con i ramponi in mano. Intanto però le montagne mi donano l'aurora, a rincuorarmi. In qualche modo vengo fuori da questa parte di sentiero e l'arrivo alla casera Goriuda attesta che non ho sbagliato strada, ora spero in un sentiero migliore, dovrebbe chiamarsi “Sentiero Sereno”. Ma il sentiero non è all'altezza del suo nome, è un sentiero inquietante, soprattutto per uno vorrebbe andarsene veloce, invece lui ti inchioda in passaggi tecnici, dirupi, strettoie, curve scivolose e segnali poco evidenti. Non deve essere stato facile ricavare un sentiero sulle strette pareti della Val Raccolana, ne convengo, stringo i denti e sono tutto nei miei piedi che devono mostrare intelligenza e offrirmi totale sicurezza; e intanto, lì in basso, appare Sella Nevea. Ci arrivo alle cinque, prime luci dell'alba. Sella Nevea (1162) si mostra in tutta la sua bruttezza di posto senza anima, il cemento armato degli alberghi non riesco ad amarlo, le architetture raffazzonate neanche, almeno il primo ristoro è in un edificio piacevole stile baita. Mangio qualcosa e riparto rapidamente, mi dicono che ho mezz'ora di vantaggio sui secondi, un buon capitale. E mi dicono, anche, che non bisogna pigliare le piste da sci in salita per il rifugio Gilberti, come mi sembrava di aver capito, ma è da affrontare il sentiero 636. Parto di buon passo e salgo rapidamente, finchè ritorna la neve e i segni del sentiero cominciano a essere meno evidenti, poi a perdersi. Nessuno che arriva alle spalle. Continuo in piena neve prendendo per il Gilberti a vista, non ho ancora la percezione di aver sbagliato qualcosa e penso che se uno conoscesse il sentiero nel suo andamento estivo avrebbe meno problemi. Il nevaio è lungo e comincia a rendersi insopportabile, faccio un sacco di fatica e vado piano, sbaglio direzione più di una volta finchè mi affaccio sopra le piste di sci, e qui il problema è scendere dai dirupi, ma trovo una soluzione, mi butto in un passaggio tra i mughi e arrivo alla pista da sci, da qui supero il rifugio Gilberti (1850 m) e... beffarde, alla mia destra, la serie di bandierine verdi si presentano alla mia vista e mostrano quello che sarebbe stato il sentiero corretto. Cos'è successo? A causa dell'innevamento una parte di percorso è stata modificata ma al primo ristoro faceva ancora fede il vecchio percorso verso il quale sono stato indirizzato, poi, probabilmente, con chi seguiva la questione si è chiarita e le persone correttamente inviate a risalire la pista da sci tra Sella Nevea e il Gilberti, che sarà anche dura ma è più breve e non offre problemi di orientamento! Risultato? Dal primo posto a questo punto sono dodicesimo, mi dicono al successivo punto di controllo! Ironizzo “com'è che a Sella Nevea ero primo e ora dodicesimo e nessuno mi ha mai superato?” Vado a tutta per recuperare e c'è tutto un nevaio da risalire per arrivare a Sella Grubia, dove incrociamo nuovamente il bivacco Marussich e da dove si scollina per tornare in Val Resia. E io non ne posso veramente più della neve. Sotto sforzo... Ci vengo fuori e al bivacco gli stessi che, ammirati, mi avevano accolto la notte ora mi chiedono, sorpresi, cosa sia successo, e, per di più mi riferiscono che ero quasi stato dato per disperso e che stavano allertando i soccorsi! “eh, so io cosa è successo!”, sono un po' incazzato, e mi butto in discesa con rabbia ma mi passa presto. Un uomo rabbioso è poco elegante e questa discesa la voglio fare in maniera impeccabile. In poco tempo recupero e supero un po' di concorrenti, “permesso!” e “saluti!”, scusate ma in discesa non ce n'è per nessuno. (Dopo mi racconteranno che dalla valle alcuni mi seguivano con il binocolo, appassionandosi parecchio alla mia sorte). Affronto la discesa verso la val Resia, all'inseguimento dei primi A valle mi incrocio con Ezio, anche lui alla prima prova sulla distanza, con cui affronto la salita da Coritis (649 m) alla Malga Canin (1444 m), dislivello terribile da affrontare nelle ore calde, ma almeno a tre quarti di salita una ragazza ci delizia con dell'acqua fresca e la sua bellezza. Da Malga Canin si scende verso malga Coot (1183 m), secondo punto di rifornimento e quarantesimo di gara. Cambio zaino e mi scolo la mia preziosa zuppa di miso. Mi dicono che il gruppo dei primi non è distante e spero, in salita, o sulla lunga dorsale che dal monte Guarda arriva al monte Nische, si rendano visibili. Ma così non è. Percorro tutta la dorsale ma non riesco mai a vederli, corro a intervalli, soprattutto nei tratti in discesa ce la faccio ancora, anche se i piedi cominciano a patire. E sì che qui sarebbe bello andarsene veloci, vestiti solo di cielo e di vento! A Sella Carnizza (1076 m) c'è un villaggio di stavoli molto suggestivo (Stavoli Gniviza), rifornimento rapido in quanto mi dicono che i primi sono partiti da dieci minuti, mi aspetta una bella salita da fare a tutta che mi porterà alla Bocchetta di Zavaior (1605 m). Comincio a sentirne le voci di quelli che mi precedono e poi le loro sagome sullo sfondo del cielo al passo. Ciò mi incita ad accelerare per poi risolvere la questione in discesa. Quando questa si presenta mi sento un rapace a caccia e comincio a veleggiare lungo il sentiero sassoso. Quelli davanti a me mi vedono e credo siano sorpresi di questa inaspettata apparizione. Vado a tutta, rischiando anche un po', non ci vuole molto per raggiungerli e superarli, poi ancora giù, il sentiero diventa più semplice e piacevole, terroso e ricoperto di foglie, il mio terreno preferito. Più avanti raggiungo i primissimi, Marco e Francesca, che poi saranno i vincitori, scambio di battute e poi mi godo gli ultimi tornanti di nuovo in solitaria, e così sull'asfalto verso Pian dei Ciclamini; rifornimento rapido sotto gli occhi ammirati dei volontari e si riparte, voglio andare verso il Plauris, salita finale, con le ultime luci del giorno e ritengo che non dovrebbero esserci più problemi. Invece, a Plan di Tapou, commetto una leggerezza, non controllo la cartina e mi infilo su una forestale che mi porta completamente fuori zona, dalla parte opposta della Val Venzonassa! la rabbia è, anche, di avere incrociato un camion e di non aver chiesto informazioni, ma in quel momento ero assolutamente convinto della mia strada! Tento di trovare una soluzione ma sbaglio di nuovo direzione, incrocio un motociclista e chiedo informazioni, macchè, si è perso anche lui, se ne va sulla sua moto, io sui miei piedi sempre più doloranti. Sono fuori di qualche chilometro ma ne vengo fuori, rientro sulla forestale ufficiale ma, oramai, è di nuovo notte. Cammino, cammino, salita e ancora salita, almeno questa strada la conosco, si va a Malga Confin, ma in quest'ultimo tratto prendo la decisione di fermarmi al ristoro, devo capire in che stato sono i miei piedi e se ci sarà la possibilità di ripartire, sono dubbioso e sempre più sofferente, mi inquieta affrontare un'altra notte in queste condizioni. Giunto nei pressi della malga vedo, verso il Plauris, alcune frontali in salita, non so quanti mi hanno superato, ma mi sembrano parecchi. A malga Confin mi avvertono però che sono appena partiti solo Marco e Francesca, le altre frontali sono quelle dei volontari del soccorso, inoltre ci sono le luci di segnalazione sul percorso: “ah, ecco cos'erano tutte quelle luci!” Potrei inseguirli... potrei... ma saggiamente i miei piedi dicono di no. Oso togliermi scarpe e calzini e lo spettacolo non è incoraggiante, i piedi si sono gonfiati, la neve e l'umido li ha sbiancati, e trasformato le normali pieghe della pianta dei piedi in orridi canyons che penetrano profondamente nella pelle, e il tutto condito da delle dolorose vesciche. Non se ne fa niente, non voglio rischiare, qui si spacca tutta la pelle e devo ancora correre la Lut tra qualche settimana. Sono inquieto, mi faccio dare dell'olio d'oliva e ungo i piedi, poi, visto che i piedi devono riposare tanto vale andare a dormire e vedere se si rimettono in condizione di camminare. Al limite aspetterò fino al mattino, la partita, oramai, è persa! Mi faccio svegliare ogni mezz'ora, dopo la mezzanotte, e più volte rimando la partenza; ma alla sveglia dell'una e mezza mi convinco che i miei piedi possono farcela, li fascio e rimetto le scarpe. E' appena ripartito il terzo concorrente, lo vedo salire verso il passo che porta al Plauris e gli vado dietro. Una e mezza della notte, riparto da malga Confin, e affronto la salita al Plauris. All'inseguimento del terzo concorrente I piedi accettano di camminare, quindi ricomincio a marciare di buona lena, sotto la cima del Plauris raggiungo Denis, si continua assieme. La discesa dal Plauris è complessa, una pietraia scivolosa, sentiero difficile da individuare, bisogna rimanere concentrati in ogni momento per rimanere in piedi e non perdere i segni biancorossi. Più sotto ci aspetta l'attraversamento di un nevaio, ma è relativamente breve, ed è l'ultimo. Fermandomi un momento mi sembra di vedere una luce al passo Maleet, che andremo ad affrontare tra poco, che siano loro? forse se la sono presa comoda? mi sembra strano ma in queste situazioni è tutto possibile. Anche la discesa dal passo Maleet è molto difficoltosa, i piedi non ne possono più ma si cerca di andare veloci, a valle si trova una strada asfaltata da percorrere per qualche chilometro, fino agli stavoli Tugliezzo, Denis non ne può più e rallenta, io riparto al massimo, ancora con l'idea di potere andare sotto ai primi. L'ultimo tratto nei boschi, attraverso gruppi di stavoli, è piacevole, si va veloci anche solo camminando, una ultima discesa da Borgo Cros porta all'attraversamento del Rio Resartico su un suggestivo ponte e ci si ritrova al rifornimento di Povici, centesimo chilometro se non ci fossero state deviazioni! Saluti, complimenti e la notizia che Francesca e Marco sono transitati tre ore prima! Allora le luci al passo Maleet erano delle allucinazioni! Me la prendo un po' comoda e, mentre mi accingo a ripartire, ecco che arriva Denis, ha stretto i denti e superato il momento di crisi! faremo insieme gli ultimi chilometri che portano al traguardo. Arriveremo alle 9.25 di domenica dopo 33 ore e 25 minuti in seconda posizione. Francesca e Marco sono già arrivati alle 5.37, dopo 29 ore e 37 minuti. nei pressi dell'arrivo ORDINE DI ARRIVO NOME COGNOME ORA DI ARRIVO TEMPO IMPIEGATO 1 1 2 2 5 6 7 7 8 8 9 9 9 10 10 11 11 DOMINI FRANCESCA 5.37 29,37 STEFANUTTO MARCO 5.37 29,37 VIOLA ENRICO 9.25 33,25 TREU DENIS 9.25 33,25 MARTINA JOHN 11.00 35 BASSI NICOLA 11.01 35,01 COLONNELLO CHIARA 12.10 36,1 FRANZ JOSEF 12.10 36,1 SPAGNOLI VINCENZO 13.47 37,47 TOMAT STEFANO 13.47 37,47 DELL'ANGELO RENZO 13.57 37,57 BARBACETTO GIACOMINO 13.57 37,57 PICCO NORIS 13.57 37,57 PIELICH ANTONIO 17.22 41,22 CANDIDO STEFANO 17.22 41,22 TAMPLENIZZA MAURIZIO 20.26 44,26 TOSCAN LIA 20.26 44,26