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editoriale
“U
n ospite inquietante si aggira fra i giovani” così Umberto Galimberti nel suo ultimo saggio1 definisce il vuoto interiore, l’assenza di prospettive e di significati che caratterizza il disagio degli adolescenti e dei giovani nel nostro paese. Solo il mercato si interessa a loro e fornisce risposte.
Direi che purtroppo la situazione non è
molto diversa fra gli adulti: “l’ospite inquietante” che si insinua nel vuoto della
precarietà quotidiana, nelle incerte prospettive per il futuro è la paura, una paura che
neppure il mercato riesce ad esorcizzare, seppellendola sotto una valanga di merci e promozioni commerciali. Anzi: la sproporzione
fra le limitate risorse economiche disponibili e la smisurata quantità di “cose” che siamo
indotti a desiderare alimenta un’insoddisfazione costante e ansiogena.
I
n questo vuoto esistenziale, nella difficoltà di comprendere e di adattarsi a cambiamenti sempre più incalzanti, che ci riguardano da vicino, prendono forma e consistenza
le inquietudini evocate dai mass media; ingigantisce il “bisogno di sicurezza”, domina la
paura dell’altro, del diverso (per provenienza, lingua, religione) e fra tutti il soggetto irriducibilmente diverso torna ad essere lo zingaro E’ lui l’ospite più inquietante, da controllare, allontanare, eliminare, per sentirci finalmente sicuri a casa nostra. A conferma
basti ricordare che, unici in Europa, manteniamo in campi spesso invivibili, ai margini
delle nostre città, Rom e Sinti italiani o nati
in Italia ormai sedentari da 30 /40 anni. Certo le ultime ondate di arrivi dalla Romania
pongono problemi seri, ma nessuna politica
di accordi preventivi con i paesi d’origine è
stata attuata a tempo debito, quindi si pensa
di intervenire solo con “operazioni di polizia”, rivelatesi fin ora inefficaci. L’unico fattore d’integrazione è stata la scuola che,
seppure tra mille difficoltà, ha accolto i bambini soprattutto nel primo ciclo ma raramente è riuscita ad accompagnarli fino al compimento dell’obbligo.
P
er garantire la sicurezza e dare risposte
ai loro elettori, i politici dell’attuale coalizione di governo confezionano ogni giorno provvedimenti più sconcertanti: dal presidio armato del territorio al prolungamento della
carcerazione nei centri di detenzione temporanea, alla configurazione di nuove tipologie
di reato ecc. Giornali e telegiornali ci offrono
in abbondanza esempi di iniziative politicomediatiche assai simili in verità alle grida di
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manzoniana memoria.
In questo contesto quali strade percorrere
per rifondare patti di convivenza, per formulare proposte credibili per noi e per i giovani
che ci troviamo davanti, interlocutori che ci
sembrano a volte muti e distanti?
Vorrei ricordare un concetto formulato da
Eugenio Scalfari 2 , secondo il quale la morale è un istinto, l’istinto di solidarietà che favorisce la conservazione della specie, spesso in lotta con l’istinto di sopravvivenza individuale. Da questo istinto nasce l’empatia
con l’altro che consente al gruppo di affrontare le difficoltà. E un altro principio mi sembra importante richiamare, riprendendo le
parole di Timothy Garton Ash3 : non è possibile operare uno scambio tra sicurezza e libertà, senza approdare ad una deriva pericolosa per una società democratica .
Non ci appelliamo al buonismo, non chiudiamo gli occhi davanti alle mille difficoltà
che la forte pressione migratoria comporta,
ma teniamo ben presente il tipo di società in
cui vogliamo vivere.
P
er questo proponiamo ancora una volta
nel Dossier il tema della migrazione, ricordando che la cultura dell’Occidente moderno è in gran parte prodotto di esuli, immigrati, rifugiati. Leggiamo testi di scrittori
immigrati per decentrarci, per imparare da
chi ha saputo incontrare la nostra cultura,
abitare la nostra lingua senza dimenticare le
proprie origini… forse anche da questa esperienza può rinascere quel sentimento morale cui richiamarsi per uscire dall’individualismo e dalla paura.
Laura Morini
1 U.Galimberti, L’ospite inquietante, Feltrinelli, Milano 2008
2 E. Scalfari, Alla ricerca della morale perduta, Rizzoli,
Milano 1995
3 T. Garton Ash, in La Repubblica, 13/06/08
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educativo!
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TESTI
SCOLASTICI
SPUNTI
DI RIFLESSIONE
MATERIALI SUL LAVORO MINORILE
Insegnamento/apprendimento:
quali strategie d’intervento?
Michele Crudo
“Penso che la generazione dei nostri figli abbia,
rispetto a quella dei loro genitori, un’emotività molto più incontrollata e uno spazio di riflessione molto più modesto. Il loro fondo emotivo è stato sollecitato fin dalla più tenera età da un volume di sensazioni e impressioni eccessivo rispetto alla loro
capacità di contenimento. Sin dai primi anni di vita
hanno fatto troppa esperienza rispetto alla loro capacità di elaborarla”.
(U. Galimberti)
trasversalità
La
dell’educazione linguistica
La centralità dell’apprendimento della lingua italiana
è ribadita in molti documenti ufficiali e in tante pubblicazioni accademiche. Valga per tutte la seguente
citazione.“La capacità di capire e usare la lingua e i
linguaggi in maniera adeguata incide sul rendimento
scolastico, in tutte le materie, più di quanto non si pensi: la comprensione dei contenuti disciplinari, veicolati
dalle spiegazioni orali dei docenti e dai libri di testo su
cui studiare, è alla base di ogni apprendimento, mentre saper dar conto, oralmente e per iscritto, di quanto
studiato incide notevolmente sul profitto scolastico” (
C. Lavinio “Comunicazione e linguaggi disciplinari”
Carocci, Roma, 2004, pg. 13).
D’altra parte, però, l’acquisizione della terminologia
specifica delle discipline veicola un processo di apprendimento trasversalmente strutturato sulla comprensione/formulazione del testo, come si evince dai Programmi del 1979 per la scuola media“. E’ obiettivo qualificante del processo educativo l’acquisizione da parte
dell’alunno del metodo (…) che si concretizza nella capacità di comprendere la terminologia corrente ed
esprimersi in modo chiaro, rigoroso, sintetico, considerando criticamente affermazioni e informazioni, per
arrivare a convinzioni fondate e a decisioni consapevoli” (Indicazioni generali per le scienze matematiche,
chimiche e fisiche).
“L’insegnamento si propone di sollecitare gli alunni
ad esprimersi e comunicare in un linguaggio che, conservando piena spontaneità, diventi sempre più chiaro e preciso, avvalendosi anche di simboli, rappresentazioni grafiche, ecc, che facilitino l’organizzazione del
pensiero, in modo da pervenire ad una progressiva
chiarificazione dei concetti attraverso l’affinamento
della capacità di sintesi. Si tenga presente che la disciStrumentiCres Settembre 2008
plina in questione fornisce un apporto essenziale alla
formazione della competenza linguistica, attraverso la
ricerca costante di chiarezza, concisione e proprietà di
linguaggio, perseguita mediante un costante confronto tra linguaggio comune e linguaggio formale” (Indicazioni per la matematica).
Le stesse argomentazioni sono usate nei Programmi
della scuola elementare, del 1985, là dove si dice: “La
lingua è strumento del pensiero, non solo perché lo traduce in parole (permettendo all’individuo di parlare con
se stesso, cioè di ragionare), ma anche perché sollecita
e agevola lo sviluppo dei processi mentali che organizzano, in varie forme, i dati dell’esperienza”.
Il perseguimento delle finalità appena enunciate sono
tuttavia quotidianamente compromesse dall’esposizione dei ragazzi alle immagini televisive, che smontano
sistematicamente la consequenzialità logica e cronologica del pensiero verbalmente espresso. Ad essere
penalizzato, quindi, non è soltanto l’insegnamento dell’italiano, bensì l’intero impianto metodologico dell’apprendimento scolastico, fondato prevalentemente sulla
comunicazione orale e scritta. Tutti gli insegnanti, infatti, si trovano di fronte ad allievi caratterizzati da tempi di concentrazione ridotti e ritmi di apprendimento
intermittenti, sconnessi e rapsodici. In sostanza, a non
essere adeguatamente assimilato è il messaggio comunicato da tutti i docenti, perché, indipendentemente
dalla materia che s’insegna, risulta astruso, generalizzante, ricco di implicazioni decontestualizzate, astrattamente simbolico e densamente concettuale.
Bisogna perciò prendere atto che esiste, e si sta divaricando, la distanza tra il linguaggio spontaneo parlato
dagli allievi e il linguaggio formalizzato delle discipline,
tra le parole di uso comune e la terminologia specialistica, cui con troppa disinvoltura fanno ricorso i docenti. Di conseguenza, per rendere più fruibile la lezione e
meno cervellotiche le spiegazioni, tutti gli insegnanti,
indistintamente, devono sforzarsi di:
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pensare in modo chiaro;
cercare la soluzione linguistica più semplice;
essere brevi (scrivere frasi che non superino mediamente le 20/30 parole);
essere precisi e diretti, evitando giri di parole, digressioni, perifrasi;
preferire parole di uso comune (appartenenti al
vocabolario di base dei ragazzi);
preferire parole concrete a parole astratte;
usare i termini tecnici solo quando è necessario;
evitare frasi intricate, preferire le coordinate alle
subordinate, ribadire i soggetti, ripetere le parole
chiave, rispettare la linearità soggetto/predicato/
complemento;
eliminare l’uso di formule stereotipate e frasi fatte che non appartengono al vissuto dei ragazzi;
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evitare l’uso di formulazioni prive di contestualizzazioni, optare per un costrutto che riconduce linearmente a situazioni descrivibili e
riscontrabili.
Il decalogo elencato sopra, estrapolato dal libro di M.
E. Piemontese “Capire e farsi capire” (Tecnodid, Napoli, 1997), dà l’idea di quanto sia determinante l’assunzione di un compito che non può essere esclusivamente
demandato ai colleghi di italiano. L’educazione linguistica, intesa come padronanza delle tecniche indispensabili ad esprimere, con le parole e l’elaborazione
del pensiero, il mondo interiore e la realtà che ci circonda, deve infatti essere una finalità strategica che nessun
docente dovrebbe trascurare. Ciascuno, ovviamente, la
perseguirà utilizzando i segni e i codici della propria disciplina di riferimento, ma, pur nella variazione dei contenuti e delle procedure, differenti da materia a materia, non dovrebbero essere persi di vista i comuni accorgimenti per la facilitazione della mediazione tra il sapere di senso comune dei ragazzi e il complesso sistema
dei saperi formali. Tra gli accorgimenti, già collaudati
dagli insegnanti nel corso della loro pluriennale esperienza, ce ne sono alcuni piuttosto convincenti che consistono nel:
a) fare frequentemente ricorso alla parafrasi (dire
con altre parole, semplici ed esemplificative di contesti
conosciuti dagli alunni, quanto è detto nel testo);
b) sforzarsi di pervenire a una riduzione sintetica
delle informazioni più significative, che devono essere
selezionate per la loro pregnanza e semplicità concettuale, da cui vanno scartate le ridondanze inutili e gli
ampliamenti dispersivi contenuti nel testo;
c) insistere con la lettura selettiva, guidata dall’insegnante, in modo che i criteri adoperati vengano pian
piano assorbiti fino a diventare organizzatori cognitivi;
d) istruire sulle modalità di prendere appunti (per
abituare alla brevità e alla concisione di discorsi che, per
essere memorizzati, devono necessariamente essere afferrati nella loro emblematica essenzialità);
e) fare ricorso a schemi, a rappresentazioni grafiche, all’approntamento di mappe in cui, in un quadro
d’insieme ricco di connessioni, emerga la rete di relazioni dei contesti, dei sistemi, dei concetti, dei fenomeni e
dei processi trattati;
f)
avvalersi di immagini, film e filmati per illustrare le idee e ricostruire i contesti di riferimento con il supporto di trame narrative.
Che l’Educazione linguistica non sia solo un affare degli
esperti di grammatica lo dimostra l’interessamento dei
matematici al linguaggio. Nel 1921 Wittgenstein, nel
“Tractatus logico-philosophicus”, si occupò dell’unitarietà della struttura cognitiva, in cui gli esseri umani
sintetizzano le conoscenze sul mondo, organizzate in
forme di pensiero che sono espresse con l’impiego del
costrutto sintattico. Le riflessioni del filosofo austriaco
furono seguite, nel 1934, dalla pubblicazione, da parte
dell’eminente matematico Carnap, del libro intitolato “La
sintassi logica del linguaggio”. Lo studio sulla interconnessione tra le strategie di comprensione della realtà e
le strutture linguistiche adoperate dagli individui è stato portato avanti da autorevoli personaggi, come per
esempio Chomsky, che ha indagato le articolazioni di una
grammatica generativa profondamente condizionata sia
dal contesto di appartenenza dei parlanti sia dall’esperienza personale.
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In Italia, D. Parisi (“[email protected] Come il computer cambierà il modo di studiare dei nostri figli” Mondadori,
Milano, 2000) e R. Simone (“La terza fase. Forme di
sapere che stiamo perdendo” Laterza, Roma-Bari,
2003), da circa venti anni si stanno interessando alle
convulse modalità di apprendimento della nuova generazione, su cui influisce indiscutibilmente la frammentazione emotiva e il disorientamento culturale suscitati dalla visione di film, telefilm, talk-show, soapopera, reality-show. Va infine presa in considerazione
l’incidenza, niente affatto marginale, dei più recenti ritrovati che la tecnica ha messo a disposizione dei giovani per confezionare e inviare messaggi sempre più spasmodicamente ansiogeni e sintatticamente sincopati (G.
Granieri “Blog generation” Laterza, Roma-Bari, 2005).
Se si condivide la visione analizzata dagli studiosi più
accorti, non si può restare indifferenti di fronte ai cambiamenti che, in rapida successione, stanno radicalmente trasformando il rapporto fra l’istituzione scolastica e
la società, fra il luogo deputato a formare le nuove generazioni e il potere su di esse esercitato dagli
accattivanti, anche se psicologicamente destabilizzanti, modelli sociali esibizionisticamente esaltati nei programmi televisivi e sui rotocalchi. La situazione ci pone
davanti a una sfida alla quale non si può sfuggire, rifugiandoci nella nostalgica rievocazione di un passato che
non può realisticamente tornare. I problemi vanno affrontati e, nei limiti delle nostre possibilità d’intervento, risolti. Si tratta quanto meno di prospettare un percorso formativo che esca dalla sterile contrapposizione
dell’irriducibile conflitto generazionale.
La problematicità dell’educazione alla cittadinanza
Il primo passo da compiere consiste nel presentare i
saperi disciplinari come l’insieme degli organizzatori
cognitivi utili a smontare e rimontare, con congegni fluidi e resistenti all’usura del tempo, gli ingranaggi che
regolano il continuo flusso di informazioni dalla realtà
esterna al mondo interiore dei soggetti pensanti. Un
flusso che non deve però colmare “teste ben piene”, ma
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modellare “teste ben fatte”, (E. Morin “La testa ben fatta” Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000) adeguatamente orientate a chiedersi il “perché” di ciò che stanno
studiando, senza accontentarsi della meccanica memorizzazione del “cosa” stanno archiviando, spesso
acriticamente, in uno dei tanti scaffali della propria mente.
Il passo successivo nella direzione della formazione di
un solido impianto metodologico, improntato alla produzione di conoscenze generate dalle conoscenze acquisite, deve portare sia a una salutare apertura della scuola ai linguaggi e ai canali comunicativi del mondo contemporaneo, sia alla strutturazione di una visione approfondita e argomentata dei cambiamenti sociali indotti
dalle scienze e dalla tecnologia. Ciò implica un complessivo rinnovamento dell’approccio pedagogico, che non
può esimersi dall’includere nell’impostazione delle modalità di trasmissione del sapere la dimensione esistenziale delle nuove generazioni. Di conseguenza la didattica, pur essendo fondata sulla reiterazione procedurale
dell’addestramento che certifica l’avvenuta assimilazione delle nozioni strumentali di base, non può restare impermeabile alle esigenze degli allievi che si chiedono:
perché studiare? che relazione c’è tra l’apprendimento
scolastico e la mia esperienza quotidiana? quale incidenza avrà lo studio sul mio futuro?
Quest’ultimi sono interrogativi che l’insegnante, pressato dall’impellente bisogno di portare a termine la programmazione annuale, tende a ignorare, dimenticando
che la risposta a quei quesiti verrà convulsamente cercata e confusamente soddisfatta con l’assunzione di chiavi interpretative mutuate dall’onnipresente e avvolgente invadenza dei mass-media. In questo modo i ragazzi
introiettano convinzioni ideologiche e comportamenti
contrapposti all’anemica autoreferenzialità di un’istituzione scolastica incapace di proporsi come fonte e prassi di un modello educativo convincentemente alternativo all’ingerenza della trasgressiva attrazione esercitata
dagli idoli dello spettacolo, dello sport, della moda.
Attualmente, un maldestro incedere inerziale impedisce alla scuola italiana di svolgere coerentemente il suo
compito di luogo deputato all’insegnamento dell’educazione alla cittadinanza, lasciando un vuoto nell’immaginario dei giovanissimi che, sprovvisti di autorevoli
punti di riferimento, arrivano a considerare la cultura
come una polverosa cassetta stipata di attrezzi obsoleti,
buoni tutt’al più a far vincere i premi messi in palio nelle
trasmissioni televisive. Quando, occasionalmente, i docenti si fanno promotori di dibattiti per favorire nelle
ore di lezione il confronto e lo scambio di opinioni su
problemi delicati, quali per esempio il consumismo, si
incorre nel rischio di apparire moralisticamente intolleranti nei confronti di uno stile di vita cui i ragazzi non
sanno e non vogliono rinunciare. “Ci leggete in classe
articoli”, enuncia con determinazione un alunno il cui
intervento è significativamente riportato in un articolo
di Marco Lodoli, “però io mi domando come mai tante
sante parole non producono alcun effetto. E’ semplice:
tutto il mondo occidentale si regge sull’eccitazione dei
desideri, e se di colpo prevalesse San Francesco sarebbe lo sfacelo (...) Fortunatamente oggi la cultura è inutile, ma se veramente fosse assorbita dalla gente comune, sarebbe addirittura nociva... ( da la Repubblica del
21/11/07).
Restare insensibili a tali argomentazioni comporterebbe la rinuncia alla propria funzione di educatori. Abbozzare una prospettiva presumibilmente attendibile e qualificante, può invece contribuire a trovare una via d’uscita
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al senso di frustrazione percepito dagli insegnanti nell’espletare la funzione di formatori, in contrasto con il
modello culturale persuasivamente propagandato da chi
spinge all’immediato e inconsulto appagamento dei bisogni egoistici e degli interessi personali. A patto che
non ci si indirizzi verso l’individuazione di un apparato
di contenuti e tecniche parallelamente introdotto “accanto” o “in più” alle attività didattiche già programmate.
Una tale ottica costringerebbe al reperimento di spazi orari tuttora esigui e innescherebbe un conflitto con
le materie, che, al contrario, dovrebbero essere trasversalmente permeate dall’introduzione delle otto competenze chiave per la cittadinanza attiva, fissate
in campo europeo con l’obiettivo di sprigionare negli
alunni il senso di responsabilità, il piacere della partecipazione, l’autostima, la fiducia negli altri, l’autonomia,
il gusto della collaborazione, l’emozione del ragionamento, la passione per il dubbio sollecitata da una costante voglia di ricercare. Che il processo di maturazione
di ciascun allievo non debba risiedere “fuori” ma “dentro” la pratica quotidiana dei saperi disciplinari, intesi
come nutrimento vitale del desiderio di esplorare sempre nuovi orizzonti cognitivi e socio-affettivi, lo si può
desumere dalla descrizione delle competenze formulate dalla Commissione europea.
Imparare a imparare: organizzare il proprio apprendimento, individuando, scegliendo e utilizzando
procedure finalizzate all’acquisizione di un proprio
metodo di studio e di lavoro. Riguarda l’uso dei materiali, la pianificazione dell’esecuzione dei lavori, la regolarità dello svolgimento dei compiti assegnati, la durata dei tempi di concentrazione, il rispetto delle indicazioni date, la correttezza delle operazioni svolte nel
reperire, selezionare, memorizzare le informazioni.
Progettare: utilizzare le proprie risorse per raggiungere proficuamente un dato obiettivo. Concerne la
rilevazione e la messa in atto di strategie in contesti di
apprendimento impostati dall’insegnante sul problem
solving e sul working in progress. Il traguardo della
realizzazione di un prodotto dovrebbe mirare non tanto a “costruire una cosa, quanto a costruire se stessi”
(A. G. Fronzoni). In altre parole, si tratta di creare un
atteggiamento mentale consapevole delle potenzialità
personali che ciascun individuo possiede.
Comunicare: comprendere e rappresentare messaggi utilizzando linguaggi diversi (verbale, matematico,
simbolico, dei suoni e dei corpi, ecc.). Il comunicare non
dovrebbe riguardare solo il relazionare/esporre, il riportare sintetizzando, il riassumere rielaborando, ma
anche il presentare/illustrare con finalità di tipo esplicativo/divulgativo un progetto, un’esperienza, un prodotto, delle emozioni e delle situazioni, come avviene
per esempio negli spettacoli teatrali.
Collaborare e partecipare: interagire in gruppo,
accettando i diversi punti di vista, riconoscendo le proprie e le altrui capacità, gestendo la conflittualità, contribuendo all’apprendimento comune e alla realizzazione delle attività collettive. Attiene non solo alla relazione con gli altri, ma anche al comportamento così come
si manifesta nelle discussioni in classe, nella partecipazione ai lavori di gruppo, nell’impegno espresso durante l’allestimento di mostre e spettacoli.
Agire in modo autonomo e responsabile: sapersi inserire in modo attivo e consapevole nelle attività e nelle relazioni socio-affettive, facendo valere le proprie esigenze e quelle altrui. Si riferisce all’ambito sociale in cui, nel rispetto delle regole esplicitate, vengo-
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no esercitati i diritti senza trascurare la necessaria osservanza dei doveri,
Risolvere problemi: affrontare situazioni problematiche costruendo e verificando ipotesi, raccogliendo e valutando fatti e circostanze per poter infine proporre soluzioni percorribili. Non riguarda solo le materie tecnico-scientifiche, ma anche contesti relazionali da
cui scaturiscono conflitti che vanno risolti con negoziazioni e compromessi accettabili.
Individuare collegamenti e relazioni: operare
interconnessioni tra fenomeni, eventi, processi e concetti anche complessi, identificando sia le intersezioni
tra cause ed effetti sia le analogie e le ricorsività.
Acquisire e interpretare l’informazione: individuare le fonti per giungere a valutarne l’attendibilità e
l’utilità, distinguendo tra fatti e opinioni. In un’epoca in
cui il bombardamento mediatico e le convinzioni ideologiche producono stereotipi e pregiudizi è di fondamentale importanza imparare a discernere tra le differenti
versioni di ciò che troppo frequentemente viene sbandierata come verità.
Le competenze chiave, così come sono state sinteticamente delineate, costituiscono un’occasione per rivedere
e – se necessario – ricalibrare gli obiettivi e le prestazioni già tracciati in ogni materia d’insegnamento. Spetta, come sempre, alla buona volontà dei docenti trasformare questa occasione in un’opportunità per: a) riflettere sulle finalità della propria disciplina; b) individuare gli indicatori che configurano e descrivono i profili
degli studenti; c) riconvenzionare il linguaggio tra insegnanti diversi per età anagrafica e itinerari formativi.
Ma non si tratta solo di questo! Gli insegnanti devono
più che mai essere coscienti che “è in corso un genocidio
di cui pochi si stanno rendendo conto. A essere massacrate sono le intelligenze degli adolescenti, il bene più
prezioso di ogni società che vuole distendersi verso il
futuro” Lo assicura un lavoratore coscienzioso e osservatore attento, che ribadisce: “Vi prego di credermi, non
sono un apocalittico, sono semplicemente un testimone quotidiano di una tragedia immensa” (da la Repubblica del 4/10/2002).
La sofferta confessione rivela un disagio, e lancia un
allarme che può non essere condiviso, ma non sottovalutato, perché gli insegnanti sono inclusi tra coloro ai
quali spetta l’onere di scongiurare l’eventualità di una
catastrofe annunciata. E’ un compito che, pur nell’inadeguatezza dei mezzi a disposizione e nello sconforto
della solitudine, va doverosamente svolto, senza ergerci
al ruolo di eroi o di missionari, bensì facendo appello
alle nostre competenze professionali e alla nostra sensibilità di cittadini premurosi.
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L’altro che è
in noi, ovvero
le radici del
nostro cibo
Massimo Montanari*
Il cibo, come il linguaggio parlato, è un importante
strumento di comunicazione, che trasporta simboli e
significati di varia natura (economici, sociali, politici,
religiosi, etnici, estetici ... ) e rappresenta i valori e le
tradizioni in cui ciascuna società si riconosce. Il sistema alimentare costituisce pertanto uno straordinario
veicolo di identità, e al tempo stesso di scambio: se da
un lato esso esprime l’identità di una cultura, dall’altro
è lo strumento più immediato per entrare in contatto
con culture diverse. In cucina, le diverse culture si aprono a ogni sorta di invenzioni, incroci e contaminazioni.
Una vicenda esemplare è quella del Medioevo europeo, che vide formarsi un’identità alimentare e gastronomica innovativa rispetto al passato, grazie a uno straordinario esperimento di contaminazione, anche conflittuale, tra culture diverse e in qualche misura opposte. La civiltà agricola dei Romani, che rappresentava
come “incivile” o “pre-civile” ogni forma non-agricola
di utilizzazione del territorio, si scontrò con la civiltà
silvo-pastorale delle popolazioni germaniche, che avevano nel bosco il loro baricentro produttivo e che anche
per questo i Romani chiamavano “barbari”.
La civiltà del pane, del vino e dell’olio si scontrò con
la civiltà della carne, del latte e del lardo, e per alcuni
secoli questa diversità fu assunta, da entrambe le parti,
come simbolo di un’identità da conservare, di una guerra
da vincere. Poi, a poco a poco, i due modelli si mescolarono e diedero origine a un sistema economico e alimentare nuovo: un sistema, per così dire, meticcio, che
gli storici hanno chiamato agro-silvo-pastorale. Esso
comportò il superamento dell’antica opposizione fra
prodotti agricoli e prodotti del bosco, fra pane e carne
(intesi quasi come simbolo di due diversi stili di vita).
La cultura alimentare del Medioevo si fondò, da allora
* docente di Storia Medioevale e di Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna.
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“Colui che non è mai uscito da casa sua,
pensa che solo sua madre
sa fare bene il sugo
(Proverbio Mina, Togo)
in poi, sulla consistenza dei due protagonisti. L’antica
contrapposizione fra pane e carne lasciò il posto a una
sintesi: panes et carnes diventarono valori condivisi, riconosciuti entrambi come necessari alla sopravvivenza
quotidiana.
Anche la diffusione dei cristianesimo operò in questa
direzione: da un lato perché introdusse nel calendario
liturgico l’alternanza regolare fra cibi “grassi” e “magri”,
(con o senza carne), dall’altro perché conferì un forte
valore identitario al pane e al vino (alimenti sacri) ma
anche, indirettamente, alla carne, in particolare a quella di porco - per differenza con l’Islam che lo escludeva
dalla dieta, così come escludeva il vino.
Attraverso un duplice processo dì aggregazione (le
tradizioni romane sommate a quelle germaniche) e di
disaggregazione (il venir meno dell’unità mediterranea
con l’affermarsi dell’Islam nelle coste africane), il pane,
il vino e il maiale diventarono i simboli alimentari dell’Europa cristiana. Tale vicenda - emblematica del carattere dinamico della storia dell’alimentazione, della
natura, appunto, storica, e perciò mutevole, di tutte le
identità alimentari - proiettò a nord del Mediterraneo
alcuni valori che erano cresciuti altrove e che in passato
avevano caratterizzato altre culture: la civiltà del pane e
del vino era nata nelle regioni del Vicino e del Medio
Oriente afroasiatico; dal Medioevo in poi diventò soprattutto europea.
La nascita di una nuova identità alimentare, definibile
come europea, che non coincide più né con la tradizione
romana né con quella dei “barbari”, è una vicenda di straordinario interesse, non solo storiografico. Personalmente la ritengo emblematica, quasi la metafora di come
nascono, crescono, si sviluppano le culture e le tradizioni alimentari, in seguito a incontri, scambi, compromessi, adattamenti, contaminazioni.
Quando si parla di cibo, il tema dell’identità viene spesso utilizzato in senso francamente reazionario, per difendere il proprio orticello, chiudere la porta agli altri,
definire un confine invalicabile fra sé e i “barbari” che ci
minacciano. Il tema oggi è scottante ed evidenti sono le
sue implicazioni, politiche oltre che culturali. E poiché
la storia viene spesso chiamata in causa come garante
StrumentiCres Settembre 2008
della nostra identità, della nostra tradizione, delle nostre radici, il dovere di uno storico è far notare che l’insegnamento della storia sembra muoversi in direzione
opposta: essa mostra che le tradizioni alimentari non
restano mai uguali a se stesse, ma cambiano nel tempo,
modificandosi al contatto con tradizioni diverse. Le identità, le tradizioni si inventano, nel senso letterale della
parola: si trovano, si costruiscono. E le origini, le radici,
di per sé non spiegano nulla: sono condizioni necessarie ma non sufficienti a spiegare i fenomeni. Marc Bloch,
il più grande storico del Novecento, amava illustrare
questa idea con l’esempio della ghianda e della quercia:
senza la ghianda, la quercia non esisterebbe; ma non
tutte le ghiande diventano querce, poiché sono il tipo di
terreno, il clima, l’umidità che permettono alla ghianda
di sviluppare le sue potenzialità. Sono le condizioni “storiche”. Non era scritto da nessuna parte che nel Medioevo, a partire dall’incontro fra cultura germanica e cultura latina, si sviluppasse una nuova gastronomia europea.
Altro esempio significativo: la cosiddetta “dieta mediterranea” troppo spesso viene celebrata come frutto
di una saggezza antica, di una tradizione lungamente
sperimentata. Invece, anche qui ci troviamo di fronte a
una costruzione storica. Molti elementi di questa dieta
mediterranea non sono affatto, in origine, mediterranei, bensì derivano da una storia, da scambi con altre
culture, con altre regioni dei mondo. Le cucine mediterranee del nostro tempo richiamano il mondo antico
nell’uso di prodotti come il pane, il vino, l’olio d’oliva, la
carne d’agnello, la cipolla, l’aglio. Ma altri sapori, altri
gusti sono decisamente cambiati.
Alcuni di essi sono scomparsi: nell’antichità greca e
romana si faceva largo uso di salse a base di pesce
fermentato (la più famosa era il garum) che oggi non si
trovano più nelle cucine mediterranee, mentre si incontrano nelle tradizioni gastronomiche dell’Asia sud-orientale. Allo stesso modo è scomparso l’uso del coriandolo
e del suo sapore acre-amaro, che ritroviamo invece nell’America latina (dove lo portarono gli spagnoli). Viceversa, altri sapori mediterranei si sono affermati in epoca
recente: la melanzana e il carciofo sono stati portati da-
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LIBRI GOLOSI
Laila Wadia (a cura di), Mondopentola, Collana Kuma, Cosmo Iannone editore, Isernia 2007
euro 12
Una raccolta di tredici racconti di altrettanti
scrittori, immigrati in Italia dalle più diverse parti
del mondo, accomunati dall’idea che il cibo e la
sua preparazione possono diventare un momento
di condivisione, ma anche un modo per allontanare la nostalgia che nasce dalla mancanza di
odori e atmosfere appartenenti al passato, senza scivolare nell’esotico o nel folklore anzi contrastando stereotipi e luoghi comuni.
“I migranti di tutte le latitudini di tutti i tempi
hanno portato con sé i sapori di casa propria per
sentirsi meno soli. Il cibo è per loro rifugio, il
cordone ombelicale con la madrepatria spesso
lasciata a malincuore.”, spiega Laila Wadia nell’Introduzione. (p.10) L’intento della raccolta è
quella di invitarci a una cena in cui ogni scrittore
porta una pietanza per condividere con noi “sapori e saperi delle terre d’origine, arricchendoli
con gli ingredienti della nuova patria, condendo
il tutto con la fantasia “ per provare che in fondo
siamo tutti un unico Mondopentola.
Gli autori hanno deciso di devolvere il compenso dei diritti d’autore a favore di un’associazione brasiliana che si occupa di bambini in difficoltà.
M. Richter e L. Dugulin (a cura di), Sapori incontri fragranze, CACIT edizioni, Trieste 2006
Il Coordinamento delle Associazioni e delle Comunità degli Immigrati della provincia di Trieste
(CACIT) propone questa raccolta di racconti e
poesie di 47 autori stranieri e autoctoni, che ci
conducono in un viaggio attraverso i sapori e i
profumi di terre e genti diverse.
“I sapori e i profumi contenuti in questo volume - osservano i curatori - si trasformano in
fragranze e gusti meticci come risultato dell’incontro di diverse parti del mondo diventando
araldi degli ideali dei cittadini aperti allo scam-
gli arabi verso la fine del Medioevo; il fagiolo e il pomodoro sono venuti dall’America in Età moderna, assieme
al mais e alle patate. Dunque l’Asia e l’America sono state, al pari dell’Africa e dell’Europa, essenziali nel definire i caratteri del sistema alimentare che siamo soliti definire mediterraneo.
Concentriamoci infine su un piatto tipico della gastronomia italiana, un piatto dal fortissimo valore identitario: gli spaghetti al pomodoro. La storia di questo
cibo mi è sempre apparsa esemplare per riflettere sui
due concetti di “identità” e di “radici” che troppo spesso, nel linguaggio comune, vengono confusi, mentre io
credo che vadano decisamente distinti e diversamente
localizzati. L’identità sono i valori e i modelli che ci qualificano qui e ora. Le radici sono i luoghi e gli spunti da
cui la nostra identità ha preso origine: ma non necessariamente appartengono a noi. Se ricerchiamo le radici
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bio comunitario e testimoniando la voglia di una
cittadinanza sempre più partecipativa da parte
sia degli “stranieri” sia degli “autoctoni” in vista
del riconoscimento del diritto alla pluralità.”
Il CACIT è la prima associazione di volontariato
gestita da immigrati e italiani ad essere diventata casa editrice. Ha pubblicato altre due antologie: Sguardi e parole migranti che ha vinto il
Premio Multietnicità 2006, e Cuori migranti del
2007.
Calixthe Beyala, Come cucinarsi il marito all’africana, epoché, 2004
Aissatù è una donna immigrata a Parigi, follemente innamorata di Suleymane Bolobolo, che
vive con la madre e una gallina. Per sedurlo e
conquistarlo pensa di prenderlo per la gola, ricorrendo ad aromi tropicali (mango selvatico,
zenzero, marinata di spezie e zuppa di pesce….)
che stregano e catturano. Per noi non sarebbe
facile preparare la Tartaruga verde di bosco con
banane plantain, l’Antilope affumicata ai pistacchi, o il Boa in foglie di banano e il Coccodrillo
alla salsa Bongo Tchobi, si potrebbe però fare
un tentativo con il Pollo ai limoni verdi e il succo
di zenzero...
Al di là dell’aspetto spensierato e leggero delle ricette di cucina, Calixthe Beyala traccia il ritratto di una giovane africana disorientata in una
società che rifiuta il cibo e le rotondità femminili e che propone un modello di bellezza opposto
a quello che prevale in Africa.
L’autrice, originaria del Camerun, sesta in una
famiglia di dodici figli, a 17 anni si trasferisce in
Francia, dove si sposa e si diploma.
Nel 1987 pubblica il suo primo romanzo dal
titolo C’est le soleil qui m’a brulée, che testimonia la lotta della donna africana per sopravvivere.
Da allora oltre che alla scrittura si dedica attivamente alla difesa dei poveri del suo paese, in
cui trascorre parte dell’anno, e sostiene progetti rivolti alle donne.
storiche degli spaghetti al pomodoro non possiamo non
risalire, da un lato, al Medio Oriente arabo, da cui giunse in Italia, durante il Medioevo, la nuova cultura della
pasta secca di forma allungata (che si sviluppò a partire
dal XII secolo in Sicilia); dall’altro all’America, da cui
giunse in Europa, in Età moderna, il pomodoro. Le radici del nostro piatto dunque sono asiatiche e americane. Ma non c’è dubbio che esso rappresenti l’identità
italiana, perché le radici (le origini) non sono l’identità.
Se vogliamo, le radici sono “l’altro” che è in noi.
Ringraziamo l’Autore e Lo Specchio, supplemento
mensile a La Stampa, per l’autorizzazione a pubblicare l’articolo tratto dal numero di ottobre 2007
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PROPOSTE DIDATTICHE
I barbari. Un percorso
di ricerca in quarta classico
Laura Vecchi
Una premessa
All’origine del modulo che intendo presentare c’è
un’idea e un progetto: lo studio della lingua, della civiltà
e della letteratura latina come ricerca interculturale.
Interculturale è, in primo luogo, l’approccio allo studio di una qualsiasi lingua seconda, in quanto vi è
epistemologicamente presupposto il rapporto e il confronto tra le due (almeno due) culture ingabbiate dentro le strutture grammaticali e il lessico delle lingue. Ogni
lezione, anche la più tradizionale, di morfosintassi latina è già quindi uno scambio tra mondi.
In più, lo studio di una civiltà come quella romana
così indissolubilmente legata alla formazione della nostra identità individuale e collettiva, in quanto italiani,
europei ed occidentali, impone una riflessione ed una
ricerca sui processi di costruzione di tale identità, sia
diacronicamente che sincronicamente. Scoprirsi, poi, attraverso questa ricerca, tutti senza esclusione meticci,
ci offre chiavi di lettura dell’oggi forti e profondamente
radicate.
La ricerca, invece della trasmissione, oltre ad essere
una predisposizione naturale, mi aiuta a provare a fare
della classe una comunità, un gruppo di lavoro.
Una precisazione
Insegno, come molti colleghi ed ex colleghi che collaborano da tempo a Strumenti, all’ITSOS “M.Curie” di
Cernusco sul naviglio. Insegno latino nell’indirizzo linguistico classico; nella nostra scuola gli studenti dopo
un biennio comune giungono a scegliere il loro indirizzo di studi classici in terza; ciò comporta che il latino e il
greco vengano appresi solo nel triennio con un monte
ore settimanale che, spalmato sui tre anni, è di 17 ore
settimanali, insomma un percorso abbastanza abbreviato e soprattutto accelerato. Questo ci impone tagli e, d’altro canto, ci consente libertà nella gestione dei programmi.
tra Romani
Rapporto
e Barbari nell’età
di C. Giulio Cesare
Il modulo ha come cuore null’altro che la solita analisi di alcuni capitoli del Bellum Gallicum di Cesare, pre-
* ITSOS M. Curie, Cernusco S/N
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vista dal programma di I liceo classico (che noi svolgiamo invece al quarto anno), in questo caso particolare,
l’excursus etnografico del VI commentario in cui Cesare descrive i Galli (capp. 13-19); intorno, però, abbiamo
intrecciato molti fili per andare alla ricerca della storia
dell’archetipo del barbaro, prima nella sua realizzazione nel mondo greco-romano, poi nei suoi termini generali ed attuali.
Il percorso si è articolato in tappe, più che in vere e
proprie unità didattiche
a) letture propedeutiche per focalizzare l’attenzione sul tema:
Kavafis, Aspettando i barbari, 1908
Che aspettiamo, raccolti nella piazza?
Oggi arrivano i barbari.
Perché mai tanta inerzia in Senato?
E perché i senatori siedono e non fan leggi?
Oggi arrivano i barbari.
Che leggi devon fare i senatori?
Quando verranno le faranno i barbari.
Perché l’imperatore s’è levato
così per tempo e sta, solenne, in trono,
alla porta maggiore, incoronato?
Oggi arrivano i barbari
L’imperatore aspetta di ricevere
il loro capo. E anzi ha già disposto
l’offerta d’una pergamena. E là
gli ha scritto molti titoli ed epiteti.
Perché i nostri due consoli e i pretori
sono usciti stamani in toga rossa? (…)
Oggi arrivano i barbari,
e questa roba fa impressione ai barbari. (…)
Perché d’un tratto questo smarrimento
ansioso? (I volti come si son fatti seri)
Perché rapidamente strade e piazze
si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi?
S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti.
Taluni sono giunti dai confini,
han detto che di barbari non ce ne sono più.
E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?
Era una soluzione, quella gente.
È davvero facile sollecitare l’attenzione con un testo
come questo, che dopo alcune lezioni introduttive sul
personaggio di Cesare e le sue opere, abbiamo letto e
cercato di interpretare insieme: i ragazzi hanno subito
focalizzato
- la contrapposizione tra gli elementi di chi si ritiene
civile e superiore (le leggi, il trono, la pergamena, le istituzioni – imperatore e senatori, consoli e pretori – titoli ed epiteti, toghe, anelli, pietre preziose e questa roba
fa impressione ai barbari.) e i barbari ,
- il senso dell’ignoto ( S’è fatta notte, e i barbari non
sono più venuti /Taluni sono giunti dai confini, /han
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detto che di barbari non ce ne sono più.)
- e l’enigma degli ultimi due versi che appositamente
ho lasciato aperto affinché facesse da domanda portante per la nostra ricerca.
Intanto leggendo e analizzando la scheda barbaro/
barbarie curata da Federico Condello per l’enciclopedia dell’antico sul sito www.einaudiscuola.it abbiamo
definito i termini della questione:
Il greco bárbaros, passato nel corso dei secoli a gran
parte delle lingue occidentali, non è in origine che una
definizione di carattere linguistico, fondata sulla resa
onomatopeica del ‘balbettio’ cui si riduceva, agli orecchi
dei Greci, la parlata delle genti straniere. Solo una lunga
e complessa evoluzione semantica, determinata da precise vicende storiche e culturali che travalicano i confini
della storia antica, ha sovraccaricato di valori ben più
ampi e impegnativi la nozione di ‘barbaro’, finendo per
strutturare un sistema di opposizioni binarie, dal marcato carattere polare, a sua volta disponibile a diverse
valorizzazioni in termini positivi e negativi. Si realizza
così, attraverso la nozione di ‘barbaro’, uno dei casi più
vistosi di quella opposizione fra ‘cultura’ e ‘non cultura’
che l’antropologia contemporanea ha riconosciuto come
un elemento fondamentale di ogni identità culturale:
‘noi’ contro ‘loro’, l’identico contro il diverso, la ‘cultura’
– appunto – contro tutto ciò che le è estraneo dal punto
di vista della cultura stessa (e perciò classificato come
‘non cultura’, piuttosto che come diversa e ugualmente
legittima cultura), costituiscono altrettante polarità necessarie alla definizione della propria identità sociale,
benché spesso ciò comporti una condanna o un rifiuto
totale dell’altro.
Abbiamo poi discusso il capitolo conclusivo de I barbari. Saggio sulla mutazione di A. Baricco. Insomma, utilizzando letture semplici e al contempo suggestive ho introdotto categorie d’analisi fondamentali degli
studi antropologici: il noi che si definisce per opposizione ad un “altro”; il muro, il limes come difesa dall’attacco ma soprattutto come definizione di sé. In più Baricco,
facendoci sentire che la paura è in tutti noi ed è la paura di perdere una parte di sé dalla contaminazione con
l’altro, dalla violazione del nostro territorio non tanto
geografico, quanto interiore, ci forniva una chiave di lettura per l’oggi,
“Perché ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo
lasciato mutare, perchè ridiventasse se stesso in un tempo nuovo.”
b) ho poi focalizzato l’attenzione sulla nascita in
Grecia del termine barbaros tra paura dell’ignoto e
fascino dell’altrove facendo riferimento in particolare ad
Erodoto, scrittore greco che spinto dai suoi interessi
etnografici andò ad indagare i popoli stranieri, e poi sulla nascita della paura dei Galli a Roma. Come racconta
Livio, a partire dalla battaglia di Allia, i barbari per i
Romani sono i Galli, che possono all’improvviso calare
da Nord. Quando i Galli saranno a sufficienza romanizzati, i Germani, descritti come popolo a sé per la
prima volta da Cesare, diverranno ‘pericolosi’.
Anche per i Romani, il termine barbaro è servito ad
indicare gli “altri” popoli, quindi, diversi per lingua, ma
soprattutto per cultura e mentalità. Roma ereditò da
Erodoto un duplice atteggiamento verso i barbari: da una
parte curiositas, di indagare usi e costumi diversi dalla
norma, dall’altra l’idea della necessità dello scontro tra
civiltà e barbarie, ma molti autori introdussero un’ulte-
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riore antitesi, apparentemente favorevole ai barbari,
quella tra la corruzione della civiltà (per i Romani proveniente dalla Grecia e dall’Oriente) e l’integrità dell’inciviltà.
c) Abbiamo poi accuratamente disaminato il periodo storico in oggetto, curando in particolare l’evoluzione dell’imperialismo romano sulla scorta della Guida alla storia romana di Guido Clemente.
d) Le indicazioni di carattere etnografico fornite da Cesare non sempre di prima mano, ma spesso
derivate da altre fonti letterarie, come Posidonio, sono
pienamente conformi alla concezione romana del mondo, che “è costituito come una cipolla: al centro c’è
Roma, e via via allontanandosi s’incontrano i popoli civilizzati, i popoli barbari, i mitici selvaggi e, infine, il
confine del mondo, l’Oceano che porta al cielo e al regno dei morti” F. Dupont, La vita quotidiana nella
Roma repubblicana, Roma-Bari, Laterza, 1990, p. 96.
Siamo così arrivati alla traduzione e all’analisi dei testi di Cesare pronti a far attenzione alle parole che
categorizzano, pur volendo apparire neutre, il senso di
superiorità, il disprezzo, l’invidia, la paura, l’orrore:
come l’ossequio al principio della interpretatio Romana con il quale nel cap.17 Cesare ‘traduce in latino’ i
teonimi celtici oppure l’asettica descrizione nel cap.16
della pratica dei sacrifici umani (notizia veritiera in
quanto confermata da Strabone e Diodoro Siculo), che
nasconde sotto la dovizia di particolari l’orrore (sacrosanto per la pratica in sè) per la barbarie, dimenticando, però, che pratiche simili aveva conosciuto anche la
Roma arcaica.
e) Facendoci poi catturare dal fascino delle narrazioni sul pantheon gallico e la casta sacerdotale, abbiamo ascoltato la relazione di una studentessa appassionata di materia celtica sulla figura del druido che attraversa la tradizione del ciclo bretone fino al fantasy
così diffuso oggi
f) Un buon numero di ore è stato occupato dal laboratorio di traduzione dei capp. 68-90 del commentario settimo del Bellum Gallicum, che ha avuto
come prima finalità l’apprendimento delle competenze traduttive, ma contemporaneamente ci ha messo in
contatto con l’antagonista per eccellenza di Cesare nella campagna gallica, Vercingetorige, che poi in età romantica fu reinterpretato come un giovane e il più
antico eroe nazionale francese. Il focus del nostro interesse si è rivolto però ad un momento fondamentale e
critico della narrazione, in cui gli assediati in Alesia, privi
ormai di viveri, discutono sul da farsi e, tra le diverse
proposte, il discorso di Critognato è un capolavoro di
‘ferocia barbara’, nessuna ammirazione da parte di Cesare può essere tributata al selvaggio campione della
libertà celtica, il quale accusa i Romani di voler imporre a tutti i popoli che assoggettano una turpissimam
servitutem
Ma qual è la civiltà che l’Arverno si ostina a difendere? Quella di un popolo che – per tradizione, si noti bene!
(quod nostri maiores …fecerunt) – quando è assediato,
è disposto a mangiarsi i più deboli per resistere all’assedio: e questo è un fatto accettato assemblearmente
(potius utendum consilio… quam aut deditionis aut
pacis subeundam condicionem), non soltanto l’allucinata prospettiva di un esaltato! L’accusa rivolta ai Romani di voler sottomettere invidia adducti i popoli che
si sono rivelati fama nobiles potentesque bello appare
StrumentiCres Settembre 2008
pertanto grottesca.
Su suggerimento del bel saggio, di M.R.Cornacchia,
La prospettiva dei vinti sull’im-perialismo romano, apparso sulla rivista online del dipartimento di italianistica
dell’università di Bologna, abbiamo fatto anche un breve excursus su altri testi in cui Sallustio riporta i discorsi
di due grandi antagonisti dell’impero, Mitridate e
Aderbale, che denunciano le nefandezze della conquista
romana presentate quali manifestazioni della rabbia isterica dei nemici.
g)
Alla fine ormai del nostro percorso, mi sono ac-
○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
corta che Palazzo Grassi a Venezia ci stava facendo un
generoso regalo: la mostra Roma e i Barbari e così ci
siamo concessi una bella giornata veneziana.
h) Tante sono state le verifiche intermedie, perché, com’è facile immaginare, per studenti che solo l’anno prima avevano appreso i primi rudimenti del latino
non è stato facile imparare a tradurre i testi di Cesare.
Li ho poi interrogati sull’analisi dei testi del VI
commentario ed abbiamo fatto un primo bilancio dell’attività. Come verifica finale ho chiesto una relazione
del modulo oppure un saggio.
E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?
I ragazzi cercano una risposta alla domanda iniziale
Non si può neppure immaginare la paura che la vista di
quel nemico sconosciuto abbia provocato nei loro cuori. Tutti
quei guerrieri pronti alla guerra, pronti a difendere i propri
ideali contro creature tanto diverse, pronti a combattere
fino alla morte...
Non ci è dato sapere cosa avessero provato vedendo quei
drappi rossi volare nel vento, avere davanti un nemico completamente coperto di metallo lucente, o la paura che provarono trovandosi di fronte a centinaia di guerrieri che uniti
come un solo uomo percorrevano la loro terra o il non sapere quanto potesse essere forte il loro dio dalle sembianze di
un’aquila, la cui effigie era tenuta alta davanti a quegli immensi eserciti…
Lo sgomento regnava certamente tra i guerrieri galli alla
vista di quegli uomini vestiti di armature, perché non erano
nudi come loro per incutere timore e mostrare la propria
forza e virilità, perché non si dipingevano il corpo con simboli e spirali per richiamare l’aiuto della divinità? Ma una
cosa era certa anche i romani avevano paura, alla vista delle teste mozzate dei nemici appese ai carri da guerra, o dei
loro corpi alti e possenti, scolpiti da centinaia di battaglie
completamente diversi da quelli dei loro nemici piccoli di
statura e di pelle scura, ma ciò che certamente terrorizzò
di più i romani furono le enormi spade a doppio taglio a due
mani e gli alti e impenetrabili scudi, le diverse daghe portate alla cintura e l’enorme lancia con la punta di ferro capace di trapassare un cavallo.
In entrambi gli eserciti i guerrieri più abili e di rango più
elevato entravano in battaglia su di un rapido carro da guerra, per entrambi simbolo di potere che aveva una notevole
forza di penetrazione quando, a grande velocità, si scontrava con la prima linea dell’esercito nemico, creando scompiglio e falciando decine di uomini con le ruote falcate e con
le armi del guerriero, che poteva guidare da sé il veicolo o
lasciare il compito ad un auriga, rimanendo di fianco a lui.
(Veronica)
“Volgendo la mente al passato l’uomo moderno si considera migliore, è convinto che non commetterà mai più
quegli errori, è convinto di poter cambiare il mondo, che
non ci saranno più ingiustizie, ma se appena uscito di casa
posa lo sguardo su un straniero al bordo della strada che
chiede la carità o su di un accampamento Rom e continua la sua strada senza curarsene o addirittura pronunciando parole di fastidio alla loro vista, non è migliore di
Cesare o di Hitler che preferirono usare la forza per eliminare la fonte della loro paura, piuttosto che entrare
in contatto con il diverso e accoglierlo allo scopo di migliorare se stessi. Essi sono i veri barbari: assassini, cannibali, ladri, mostri…”(Veronica)
StrumentiCres Settembre 2008
Vi sono ancora dei barbari? Il XX secolo ha chiaramente mostrato come perfino in Europa, così fiera della
propria civiltà, la barbarie sia lontano dall’essere stata
sconfitta. Le guerre più recenti hanno mostrato come
l’uomo continua ad essere capace anche di atti di crudeltà più degradanti. La barbarie è dunque da intendersi come qualcosa di radicato in noi, al cuore stesso
della nostra civiltà, proprio quando la denunciamo negli altri? Non è irrilevante il fatto che i Romani facessero la distinzione fra due tipi di barbarie. La prima è quella
a cui di solito si pensa: violenza sfrenata, crudeltà e lo
scatenamento della guerra, la ferocia senza misura che
distrugge e disperde. Si tratta di una barbarie violenta,
nordica, mascolina, eccitata dal furore e dalla brutalità. Più sorprendente, invece, il secondo tipo di barbarie che essi identificavano, dolce, “soft”, caratterizzata
da una vita molle, senza fermezza né energia: è la barbarie della debolezza, orientale e femminile, che favorisce gli eccessi della sensualità in un mondo ridotto a
delle apparenze e a delle illusioni. Non è difficile rilevare come sia particolarmente rilevante questo punto di
vista romano rispetto alle situazioni d’oggi. Queste due
forme, evidentemente, sono opposte l’una all’altra,
ignorando che sia l’una che l’altra non sono che la manifestazione dell’identica barbarie. Vi è un punto in comune a questi due tipi di barbarie: l’idea del limite trasgredito, della frontiera oltrepassata. Possiamo pensare proprio all’esercito romano, consacrato alla difesa
delle frontiere dell’impero, che segnavano il limite fra
la civiltà e la barbarie.
L’impero, però, con tutte le sue frontiere, è caduto.
I limiti sono indispensabili: senza limiti è impossibile definirsi, darsi un’identità, una consistenza. Un uomo che
non abbia limiti interiori è un mostro, un barbaro. Meglio un limite trasgredito, che l’assenza di limiti, dato
che senza limiti non c’è più la consapevolezza della
trasgressione,“trasgressione” significa infatti “passare
dall’altra parte”. (Andrea)
È dunque questa la nostra sorte? Dover continuare
ad opporci agli altri per riconoscere noi stessi? Oppure
un giorno riusciremo ad acquisire una sicurezza tale da
non avere bisogno di un nemico con cui confrontarci?
Io credo di sì e sono, anche, fermamente convinta che
ciò accadrà quando saremo in grado di lasciarci travolgere dalla mutazione ormai in corso, portando con noi,
come scrive Baricco (…), ciò che vogliamo conservare
delle nostre radici e tenendo ben presente che “ quel
che diventeremo continua ad essere figlio di ciò che
vorremo diventare” (Alessia)
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Quadrati a tutto tondo
Concetta Tiziana Casa*
Daniela Folcio*
“Conservare lo spirito dell'infanzia
dentro di sé per tutta la vita
vuol dire conservare la curiosità di conoscere
il piacere di capire la voglia di comunicare”.
Bruno Munari
Questo è lo spirito col quale abbiamo voluto caratterizzare il percorso progettuale che presentiamo e sintetizza il motivo per cui ne abbiamo scelto il protagonista.
IL
QUADRATO
alto e largo quanto un
uomo con le braccia aperte
il quadrato sta, fin dalle più
antiche scritture e nelle incisioni
rupestri dei primi uomini, a significare
l’ idea di recinto, di casa, di paese.
Enigmatico nella sua semplicità, nella
monotona ripetizione di quattro lati
ed angoli uguali, genera una
serie di interessanti ed
infinite figure…
BRUNO
MUNARI
Il quadrato - questa forma geometrica tanto comune
quanto “sconosciuta” nelle sue declinazioni - è stato l’oggetto di tutto il percorso didattico seguito in una classe
di seconda media. Scopo principale del percorso è stato
quello di far apprendere ai ragazzi come la geometria e
la matematica si integrino con il quotidiano: ciò che ci
circonda a volte è così “schematicamente” e “geometricamente” bello!
La modalità di lavoro è stata quella della ricerca-azione a tutto campo che ha toccato alcuni temi dell’arte,
della tecnica, del gioco e, ovviamente, della geometria.
Il percorso è stato costruito partendo da attività pratiche di manipolazione e di osservazione su “oggetti quadrati”. L’attività ha aiutato l’alunno ad entrare in “confidenza” con questa forma geometrica, stimolando curiosità e interesse. Ha fornito gli spunti per avviare discussioni e riflessioni tali da poter strutturare in modo
graduale i concetti geometrici e matematici utilizzando
* Insegnano rispettivamente Scienze e Matematica
presso la Scuola media sperimentale Rinascita-Lezvi a
Milano
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man mano un linguaggio specifico inerente ai contenuti che sono stati trattati, curricolari e non.
Questo tipo di approccio concreto alla geometria favorisce il coinvolgimento di tutti gli alunni e soprattutto di quelli che hanno maggiore difficoltà con la matematica. Li aiuta a concepire la materia non come scienza astratta, costituita da un insieme di formule e regole
da applicare senza capirne il significato, ma come strumento che, anche attraverso il piacere e lo stupore, può
indagare e conoscere il mondo circostante. Inoltre può
essere capace di sviluppare la creatività che c’è in ognuno di noi, apprezzando la bellezza delle forme geometriche e della regolarità.
Le tappe del percorso
Nel corso del primo incontro negoziamo con gli studenti il tema e le modalità di lavoro con l’obiettivo di
presentare il progetto in pubblico, mediante una comunicazione interattiva a carattere scientifico. L’occasione ci è fornita dalla manifestazione Scienza under 18
presso l’Acquario Civico di Milano: la sfida è alta, le difficoltà molte, il tempo scarso, ma la motivazione fortissima.
Si definiscono insieme quali caratteristiche deve avere una mostra affinché sia interessante, interattiva e
coinvolgente.
Tutta la classe è d’accordo su un punto: si deve essere
bravi a spiegare cose difficili in modo semplice. Negli
incontri successivi, entriamo nel merito: i ragazzi imparano il “come” ottenere un quadrato da un pezzo di
Exibit realizzati
per la manifestazione
Scienza under 18
Quadrati allo specchio
(per simmetrie e pavimentazioni)
Quadrare i tondini
Sudoku colorato
Numeri quadrati
Spirale aurea di quadrati
Spirale quadratica
Quadratino scomparso
Quadrato magico
scomposizioni da quadrato a: triangolo, pentagono,
esagono, ottagono e viceversa
Scomposizioni del quadrato: Tangram, Stomachion,
Pentamini, Trigon,
Memory arte
Memory architettura
Variazioni di Fukuda
Lampada quadrata
Filipesi (omaggio a Munari)
Cartelloni: Radici e spirali, Alberi di Pitagora, Quadrati e frattali, Polimini
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carta qualunque ed osservano tutte le sue proprietà; d’ora
in poi, per ogni attività si discute sul “come” trasformarla in un exhibit, quali materiali usare, quale titolo possibile.
Dopo le prime attività molto semplici, operative e
ludiche si aumenta il grado di complessità. Si introducono i numeri quadrati, il teorema di Pitagora (collegandolo agli alberi e ai frattali), le spirali auree di quadrati
(legate ai numeri di Fibonacci e alla sezione aurea), le
radici quadrate e i numeri irrazionali. Si affrontano le
simmetrie e, con l’aiuto degli specchi, si ricostruiscono
quadrati e pavimentazioni.
Si cercano opere d’arte che abbiano come tema principale il quadrato e strutture architettoniche a base quadrata con le quali realizzare due memory. Non mancano
alcune scomposizioni classiche del quadrato quali lo
Stomachion o i Pentamini e alcune del quadrato in altri
poligono regolari.
Ad ogni incontro - dopo lo svolgimento dell’attività e
dopo le riflessioni comuni - si distribuiscono schede che
aiutino a fissare le nozioni teoriche della lezione del giorno.
Ogni studente realizza tutti i lavori proposti in cartoncino e poi li sistema in ordine cronologico nel quaderno
di progetto, allegando un breve Diario di bordo compilato al termine di ogni lezione.
Dopo aver lavorato in classe con carta e forbici, si passa in laboratorio. Qui si realizzano gli exhibit relativi alle
attività svolte in classe; in questa fase i ragazzi - dopo
essersi suddivisi i compiti per lavorare in gruppi eterogenei - sono coinvolti sia nella scelta del materiale da
utilizzare sia in quella dei colori. Sono consapevoli di
dover fare un “bel lavoro”, (anche l’estetica ha un ruolo
importante) e quindi discutono e si impegnano con serietà dando ciascuno il proprio contributo. Per la scelta
dei materiali, sono fondamentali alcune prove perché si
deve testare la capacità dei ragazzi e la resistenza del
materiale alla manipolazione di un vasto pubblico. Per i
disegni utilizziamo il software Cabri geomètre. La scelta ricade sul legno e su un particolare tipo di plastica che
si taglia facilmente con il taglierino. In laboratorio le
competenze richieste ai ragazzi sono state: precisione,
l’attenzione e collaborazione.
Ad alcuni sono richieste anche competenze progettuali
per la realizzazione di una scultura ispirata a “Filipesi”
di Bruno Munari. Due gruppi di alunni disegnano prima su carta il progetto, poi realizzano due prototipi con
asticelle di plastica e spago. Dopo attente valutazioni se
ne sceglie uno che viene realizzato con tubi di alluminio
e cordoncino rosso. Le ultime lezioni vengono dedicate
alla cura dell’esposizione orale e a prove di interazione
col pubblico.
Infine, arriva il giorno che li vede protagonisti per tre
giorni nel corso della manifestazione di Scienza under
18. Anche in questa situazione, osserviamo la serietà
degli studenti, ma soprattutto quella “sana tensione” che
dà un input positivo al raggiungimento ottimale degli
obiettivi prefissi.
L’ultima tappa ha visto impegnati i ragazzi alla Giornata Aperta della scuola. Per questa occasione è stato
realizzata una presentazione con PowerPoint che ha aiutato gli studenti ad illustrare ai propri genitori il percorso matematico compiuto.
Alla fine del progetto chiediamo ai ragazzi di ricostruire le tappe del percorso, le loro riflessioni, le emozioni
provate e le difficoltà incontrate, mettendo in evidenza
sia gli aspetti positivi che negativi.
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Il successo
dell’esperienza
nelle parole dei ragazzi
GIULIA: Il lavoro in classe è stato molto interessante, ma
mi ha coinvolto di più la fase di realizzazione degli exhibit.
La parte teorica è stata coinvolgente perché, per farci
capire, oltre a spiegare le prof. ci facevano realizzare le
cose appena spiegate e questo mi aiutava a capire meglio. La parte più emozionante è stata l’esposizione all’Acquario, è stato bellissimo spiegare agli altri le cose che sapevo… sicuramente questo è un modo coinvolgente per
imparare la matematica.
FRANCESCO: Non credevo che il lavoro svolto in classe
potesse darmi così tante soddisfazioni. All’Acquario i visitatori erano entusiasti dei nostri exhibit, si mostravano
interessati e ponevano tante domande.
SARA: Il lavoro svolto in classe è stato bello e interessante perché ha coinvolto tutta la classe nel trovare soluzioni, idee e anche nella realizzazione di tutte le dimostrazioni. All’Acquario quando finivamo di spiegare gli adulti
avevano le facce un po’ stupite e i bambini ancora di più
perché per loro era sia divertimento sia apprendimento di
cose non conosciute. Alla manifestazione ero un po’ preoccupata: spiegare ad un pubblico di adulti e bambini mi
terrorizzava, ma arrivati all’Acquario mi sono rilassata perché ho visto che se fossi stata in difficoltà i miei amici mi
avrebbero aiutata.
ANDREA: Il risultato del lavoro è stato spettacolare! Alla
manifestazione, appena arrivato, sono stato messo subito alla prova da dei ragazzi di un Liceo che mi hanno chiesto cosa fossero gli alberi di Pitagora. All’inizio ero un po’
scioccato ma poi ho pensato: “io lo so” e ho iniziato a spiegare. Alla fine i ragazzi mi hanno detto “ora sappiamo una
cosa in più su Pitagora”, ed io ero soddisfatto di aver fatto
apprendere qualcosa di nuovo a dei ragazzi più grandi di
me.
SILVIA: I ragazzi dei licei erano interessati alla nostra esposizione e chiedevano spiegazioni, i bambini erano entusiasti e volevano provare tutti i giochi: questo mi faceva sentire importante ed ero felice di essere parte del divertimento e dell’apprendimento di alcune persone. I commenti
mi facevano riflettere e mi rendevo conto di come un buon
lavoro può essere premiato.
MARTINA: Non mi ricordo esattamente cosa ho provato
durante la manifestazione, perché è come se il tempo
fosse volato, bloccando le emozioni dentro di me. La cosa
che ricordo, perché prevaleva, era l’agitazione. All’inizio non
riuscivo a parlare, ma vedendo che nessuno mi giudicava
mi sono rilassata ed è arrivata la voglia: voglia di spiegare,
voglia di mettersi in gioco, voglia di far capire, voglia di
giocare e far giocare, voglia di restare li, voglia di non stancarsi, voglia di ricevere complimenti, voglia di raccontare.
MARIKA: Abbiamo lavorato in gruppo, dandoci dei compiti. È stato bello perché collaboravamo e ci aiutavamo.
Un’insegnate alla manifestazione ci ha detto “è un piacere
ascoltarvi, siete bravissimi e avete fatto un ottimo lavoro”. Io in quel momento sentivo una forte emozione.
DAVIDE: Mi è piaciuto molto questo progetto. In alcune
situazioni ero fiero di me, perché sentivo di avere delle
responsabilità e le ho gestite bene, mi sono sentito adulto. Consiglio a tutte le seconde medie di fare un’esperienza del genere.
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Scheda di lavoro
SPIRALE QUADRATICA
La costruzione di questa figura parte da un primo
triangolo rettangolo isoscele di cateti unitari.
I successivi triangoli rettangoli hanno invece un cateto
unitario e l’altro coincidente con l’ipotenusa del triangolo rettangolo precedente; in questo modo si viene a
formare una linea spezzata, che ricorda una spirale, caratterizzata da raggi la cui lunghezza rappresenta la radice quadrata della successione dei numeri naturali,
numeri irrazionali (se non quadrati perfetti).
Si tratta di un’applicazione del teorema di Pitagora:
ipotenusa 1° triangolo: ;
ipotenusa 2° triangolo: ;
ipotenusa 3° triangolo ;
e così via.
L’ampiezza degli angoli formati dai raggi
e dalla “tangente” alla spirale è sempre costante?
I triangoli sono simili tra loro?
Si tratta di una spirale equiangolare?
Confronta questa spirale con la spirale aurea:
quali sono le differenze?
Il contorno, essendo formato da segmenti, è una “spirale spezzata” ma non equiangolare: infatti i suoi “lati”
sono tutti uguali tra loro e uguali a 1 (e non proporzionali). Anche l’ampiezza degli angoli interni non è costante.
Riproduci il disegno utilizzando Cabri geomètre
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dossier
LA SCUOLA INCONTRA
GLI SCRITTORI MIGRANTI
Percorsi didattici,
linguaggi e confronti
S
ono passati venti anni circa dalla pubblicazione delle prime opere letterarie in lingua
italiana scritte da autori migranti. Dopo Francia, Gran Bretagna, Germania, Belgio, anche
in Italia si è cominciato a parlare di letteratura della migrazione, di scrittori migranti, di
narrativa nascente, etichette diverse che si riferiscono tutte allo stesso fenomeno.
Nel nostro paese, queste nuove scritture non hanno ricevuto subito l’attenzione che
avrebbero meritato, né da parte della grande editoria e dei mass media, né da parte
dell’università, fatta eccezione per il comparatista Armando Gnisci che ha iniziato ad interessarsene fin dal loro primo manifestarsi. Nel 1998 ha pubblicato La letteratura italiana della migrazione tracciandone un primo profilo, ha creato la Banca dati BASILI e fondato la rivista on line Kuma. Grazie anche ai lavori di Gnisci, Strumenti ha cercato di raccontare il fenomeno con articoli, recensioni, Dossier, approfondimenti didattici.
Questa letteratura - che offre spunti interessanti per capire le trasformazioni sociali
del paese e per approfondire temi attualmente in discussione nella critica letteraria, che
favorisce la creazione di un dialogo fra le varie parti sociali coinvolte in un futuro sempre
più multietnico - è rimasta invece ai margini del dibattito culturale nazionale.
Nel corso degli anni, la situazione è comunque andata lentamente modificandosi e l’interesse per questa letteratura ha cominciato a toccare anche le grandi case editrici, le
biblioteche, la scuola. Si ha notizia di alcune scuole o di insegnanti che invitano scrittori
migranti in classe, di biblioteche che organizzano cicli di serate con scrittori migranti, di
performance teatrali, ma non è facile capire - sopratutto per quanto riguarda la scuola quanto sia diffusa questa pratica, come vengano impostati questi incontri, in che modo
i testi di questi autori (poesie, racconti, romanzi) entrino nella pratica didattica, in che
modo concorrano a promuovere una didattica interculturale.
Questo Dossier ha come scopo quello di presentare esperienze didattiche fatte o possibili e si propone di avviare un dialogo diretto con altri insegnanti che, riconoscendo
l’importanza di questa letteratura non solo da un punto di vista interculturale ma anche
da un punto di vista didattico, ci possono scrivere e inviare le loro esperienze che saranno pubblicate nella rubrica “Proposte educative”.
A cura di Anna Di Sapio e Gianluca Bocchinfuso
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dossier
Non esistono strade tracciate:
“la via si fa andando”
Anna Di Sapio
e Gianluca Bocchinfuso
Caminante, son tus huellas
el camino y nada más;
Caminante, no hay camino,
se hace camino al andar
Antonio Machado
Questi versi di Machado risultano
quanto mai adatti a introdurre un discorso sullo stato della letteratura della
migrazione nel nostro paese. Nell’arco di un ventennio, questo fenomeno
letterario sta tracciando una strada,
assumendo proporzioni sempre più rilevanti.
Il mondo culturale e mediatico italiano l’ha ignorato o si è interessato
ad esso in modo sporadico, lasciandolo confinato a fenomeno di nicchia,
lasciando che fossero le piccole case
editrici e le associazioni di volontariato
ad occuparcene. L’ha considerato un
caso antropologico, ignorandone le
potenzialità più strettamente letterarie. I critici l’hanno trattato “come una
novità esotica – scriveva Yousef
Wakkas nel 2001 sulla rivista “Kuma”1
- che desta semplicemente fascino, il
fascino e la curiosità di un locale etnico”. Eppure, lentamente, la situazione
è andata evolvendosi.
Nel corso degli ultimi due Seminari,
il fondatore e animatore della rivista
on line “Sagarana”2 , Julio Monteiro
Martins, notava con soddisfazione i
progressi riguardanti la percezione
generale di questa produzione letteraria. Ricordava, ad esempio, che all’Esame di stato del 2006 erano stati
scelti un brano della scrittrice Christiana de Caldas Brito e uno dello stesso Monteiro: due brani complementari che parlano di migrazione soprattutto da un punto di vista psicologico
ed esistenziale. Inoltre, sottolineava la
buona accoglienza fatta all’antologia
curata da Mia Lecomte Ai confini del
verso. Poesia della migrazione in italiano (Le lettere, Firenze 2006) 3 ,
puntualizzando come molte case editrici medie e grandi cominciano ad
avvicinarsi a questa letteratura. Sem-
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pre più spesso, faceva notare ancora
Monteiro, scrittori migranti italiani vengono chiamati a parlare, in rappresentanza dell’Italia, a convegni e seminari organizzati all’estero: Kossi Komla
Ebri ha partecipato nel 2003 a Washington al Convegno dell’AAIS
(American Association of Italian
Studies); nel 2004 a quello della
Österreichische Gesellshaft für Literatur a Vienne; nel 2005 a “Time of
the Writer” a Durban; nel 2007
Monteiro è invitato Francoforte al primo incontro europeo degli scrittori
migranti, organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura. In tutta l’Europa sottolinea Monteiro – si assiste all’affermarsi di questa letteratura che non
è più una letteratura post-coloniale
perché non è stata scritta da scrittori
provenienti dalle aree francofone o
anglofone delle ex colonie, ma da scrittori provenienti da paesi che non hanno rapporti coloniali, come i turchi in
Germania o gli argentini in Italia. La
letteratura della migrazione in Europa
– sostiene ancora Monteiro – è la pri-
ma letteratura che emerge dall’Europa unita ed è un fenomeno di grande
originalità4 . Alcune riviste e periodici
importanti hanno aperto spazi a questi autori: ad esempio, “Internazionale” - rivista settimanale che riproduce
in italiano quanto di meglio viene pubblicato dalla stampa mondiale - ha
avviato una rubrica “Italieni”, (L’Italia
vista dai nuovi italiani), che nell’ultimo numero di giugno 2008 ospita scritti di Cleophas Adrien Dioma, Chang
Yafang e Mihai Mircea Butcovan.
Nonostante queste novità, l’impressione è che il grande pubblico continui
ad ignorare le opere di questi scrittori
e l’attenzione delle grandi case editrici potrebbe nascondere un rischio oltre che offrire un’opportunità. La politica editoriale dei grandi gruppi è legata alla commercializzazione, per
questo cercano di vendere un’immagine più stereotipata ed esotica degli
autori, che finisce per rinforzare gli
stereotipi. Il parere di Monteiro è che
in Italia ci sia un urgente bisogno di
correggere le distorsioni del mercato
culturale inquinato da prodotti simili
ma diversi dalla vera “letteratura”.
Insomma l’impressione è che il sistema tenda a mantenere separata
questa produzione da quella “ufficiale”, non facendo rientrare questi autori nel mainstream, mentre da parte
loro questi scrittori che scrivono in lingua italiana su fatti e personaggi italiani, storie ambientate in Italia chiedono che le loro opere vengano rispettate e valorizzate, indipendentemente dal fatto che gli autori siano nati
qui o altrove. Questi autori hanno ormai superato la fase autobiografica e
trattano tematiche che vanno oltre la
1 “Kuma” n. 2 in www..disp.let.
uniroma1.it/kuma/kuma2.html
2 Dossier Letteratura della migrazione italiana on line in “Strumenti” n. 42/
2006, pp. 28-30
3 L’antologia poetica è stata poi tradotta in inglese e pubblicata negli Usa
col titolo A New Map: The Poetry of
Migrant Writer in Italy
4 Settimo Seminario Scrittori Migranti, in www.sagarana.net; sul fenomeno
della letteratura della migrazione in Europa v. “Strumenti” n.44 Dossier Europa/Europe
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questione della migrazione dunque
sarebbe importante che anche da parte
di critici, giornalisti, accademici ci fosse, verso questo fenomeno culturale,
una maggiore apertura per cogliere
questo universo letterario ricco e variegato.
Di questo sembrano accorgersi più
gli studiosi delle università estere. All’università di Nantes nel 2005 è stato
organizzato un convegno internazionale dal titolo “L’italiano lingua di migrazione: verso l’affermazione di
una cultura transnazionale agli inizi del
XXI secolo” i cui atti sono stati curati
da Anna Frabetti, italiana, che insegna nella stessa università. Il convegno riguardava non solo la letteratura
della migrazione in Italia, ma anche la
letteratura della migrazione italiana
verso altri paesi (il Quebec in particolare) e la diffusione dell’italiano in diversi luoghi, dall’Europa all’Africa. Nel
corso del convegno sono state analizzate le opere di Tahar Lamri, Yousef
Wakkas, Gëzim Hajdari, Carmine Abate, Jadelin Mabiala Gangbo, Mohsen
Melliti, Jarmila Ockayovà, Cristina Ali
Farah, ma si è anche sottolineato il
fatto che le coste italiane, che gli emigranti si lasciavano alle spalle, oggi
sono diventate il punto di arrivo di
immigrati, e l’italiano, portato in giro
per il mondo nelle valigie di cartone,
mescolato con lingue diverse e trasformato in nuovi impasti espressivi, sta
diventando il terreno comune per individui dagli immaginari, dalle tradizioni linguistiche, dalle culture più svariate. In questo modo la letteratura
italiana oggi si arricchisce di colori e
suoni diversi.
Al di là delle difficoltà, la letteratura
della migrazione è una letteratura in
crescita e in perenne trasformazione,
a giudicare dai dati di BASILI, la Banca Dati sugli Scrittori Migranti in Italia, che ne registra i dati di base.5
BASILI ha favorito la conoscenza di
questa letteratura fuori e dentro l’Università, in collaborazione anche con
altre istituzioni culturali. Se si osservano i dati riguardanti le tesi di laurea
sulla letteratura italiana della migrazione, ci si accorge che sono ancora
poche, sedici in tutto e di queste dieci
sono state realizzate nell’ambito della
cattedra di Letteratura comparata della
Sapienza di Roma, la cattedra cioè di
Armando Gnisci. 6
Probabilmente l’esiguità di questi
dati dipende anche dalla difficoltà di
reperire gli stessi, probabilmente il
numero reale è superiore, in ogni caso
ci sembra che comunque questo dato
riveli un ritardo da parte degli accademici rispetto alla novità di questa
letteratura.
dossier
La “Grande Migrazione” della quale
facciamo parte tutti in modo più o
meno consapevole, in vent’anni, ha
prodotto in Italia racconti, romanzi,
poesia, opere teatrali e musicali, saggi storici, filosofici e politici 7 . Infatti
oltre alla scrittura ci sono le arti visive, la musica, la danza, il teatro, il cinema: in Italia ci sono migranti da
tempo inseriti nell’ambiente artistico
italiano, che contribuiscono a pieno titolo alla sua evoluzione. Riconoscere
l’attività creativa di questi artisti (e dovrebbero farlo soprattutto i responsabili delle attività di promozione e produzione), che hanno un occhio che
vede più lontano, permette a noi di
immaginare nuove possibilità di vivere insieme. Significativo il racconto che
fa la danzatrice Rosa Tapia, di origine
ecuadoregna, in questo Dossier. Le
opere di questi scrittori e artisti, sfidano i nostri paradigmi mentali, i modi
consueti di leggere e rappresentare il
mondo, sfidano il canone letterario
occidentale.
Una formazione letteraria e culturale che ignorasse la complessità della
modernità rischierebbe di restare provinciale. È necessario ripensare la formazione con i suoi canoni letterari ed
estetici e rendere la cultura e la letteratura nazionali meno narcisistiche.
D’altronde è tipico delle epoche caratterizzate da grandi cambiamenti, da
crisi e disorientamento, interrogarsi sul
canone.
Le opere degli scrittori migranti possono divenire strumenti importanti per
realizzare una poetica della relazione,
un nesso tra pari, senza centri né periferie, senza squilibri di potere.8
In tutto questo discorso, la scuola è
ancora ai margini. Escludendo alcune
punte di eccellenza costituite da progetti che vedono coinvolte più classi o
più scuole oppure casi singoli, legati
al diretto interesse degli insegnanti che
conoscono gli autori, li invitano a scuola, leggono i testi con gli studenti, li
inseriscono in percorsi interculturali,
non esiste nel concreto un chiaro panorama sulla conoscenza e l’utilizzo
didattico di scrittori migranti che, ormai, nel nostro paese provengono da
tutti i continenti. In questa fase di progressivo aumento del numero di studenti immigrati nelle nostre classi,
molti dei contenuti e delle tematiche
presenti in questi libri possono risultare utili (se non indispensabili) per
diverse attività progettate e programmate nella scuola. Infatti, si tratta di
testi “che si situano ai margini dei canoni tradizionali, associati all’idea di
cultura nazionale. [...] eppure, proprio
per la sua posizione marginale, il racconto della migrazione ha la possibilità di suggerire modelli alternativi, di
introdurre elementi di innovazione,
sfidando e nel contempo espandendo
i limiti imposti dal canone”9 .
Anche per questo, “Strumenti” ha
avviato - e vuole continuare con questo ulteriore Dossier - non solo un’opera di divulgazione e di conoscenza, ma
anche di confronto su esperienze didattiche fatte o possibili, proprio con
l’intento di iniziare un discorso di ricerca-azione che possa avere - come
fine ultimo - una ricaduta sui curricoli
di scuola media inferiore e superiore,
non solo nell’area linguistica.
5 BASILI nasce nel 1997, nel Dipartimento di Italianistica dell’Università di
Roma “La Sapienza” per volontà di Armando Gnisci
6 Le altre università sono Venezia
(4), Milano(1), Bologna (1)
7 A. Gnisci, Scrivere nella migrazione tra due secoli, in “A. Gnisci (a cura
di), Nuovo planetario italiano, Città aperta edizioni, Troina 2006, pp.13-39”; La
Grande Migrazione è il titolo di un
pamphlet di Hans Magnus Enzenberger
edito da Einaudi nel 2003
8 Silvia Camilotti, La letteratura della migrazione nell’ottica dei processi di
decolonizzazione, in http://web.uniud.it/
all/simp/num3/articoli/art3.html
9 Jennifer Burns, Loredana Polezzi,
Migrazioni, tra confini e sconfinamenti,
in “ J. Burns, L. Polezzi (a cura di),
Borderlines. Migrazioni e identità nel
Novecento”, Cosmo Iannone Editore,
Isernia 2003, pag. 15
17
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dossier
Credere che hanno molto
da insegnare...
Alberto Conci*
Da qualche anno, nelle scuole superiori di Trento si è avviato un percorso
di lettura che è culminato in un appuntamento (Dieci libri per dieci scuole) che a partire dal 2004 ha accompagnato le manifestazioni del World
Social Agenda. L’idea, per la verità, era
nata nel 2003 quando, in occasione
della Giornata della Memoria, Vincenzo Passerini, allora presidente del
Forum Trentino per la Pace, aveva proposto di chiedere ad un gruppo di studenti di presentare alla cittadinanza
alcuni dei più famosi testi sulla Shoah.
Una presentazione impegnativa, che
non sapevamo come sarebbe andata:
non era facile raccontare quei libri così
carichi di dolore, facendo comprendere l’importanza che essi rivestivano per
la ricostruzione della memoria collettiva. I risultati, tuttavia, ci stupirono:
mettere i ragazzi in cattedra, affidando loro la responsabilità di scegliere
cosa dire e quali pagine far risuonare
nella presentazioni, significava entrare con chiavi di lettura diverse nei testi, cogliendone aspetti spesso nascosti, che solo la loro sensibilità e i loro
occhi avevano saputo vedere.
Le tappe
di un cammino…
L’interesse suscitato dall’iniziativa
spinse un piccolo gruppo di insegnanti a scommettere ancora sull’esperienza, rilanciando un modello di approccio alla lettura e alla comunicazione
della lettura che si era mostrato fecondo e ricco di potenzialità: proporre
alle scuole superiori di affrontare grandi temi attraverso lo sguardo di scrittori di tutto il mondo, riletti e “narrati”
dai ragazzi.
* Insegnante di scuola superiore, docente di etica nei corsi per operatori
sanitari
18
Così nella primavera del 2004 è stata la volta dell’Africa, all’interno delle
manifestazioni organizzate a Trento dal
World Social Agenda, che hanno visto
la collaborazione di tutte le associazioni della provincia impegnate in progetti di sviluppo e volontariato nel continente africano. L’illustrazione dei libri è avvenuta questa volta dopo la
rappresentazione di un intensissimo
spettacolo teatrale sulla tragedia del
Rwanda messo in scena da 35 ragazzi
del Liceo Scientifico Leonardo da Vinci
di Trento, alla presenza di una testimone d’eccezione, la rwandese Marie
Louise Mukobwa. Salita sul palco,
Marie Louise, visibilmente emozionata, raccontò per la prima volta dopo
dieci anni la morte della sorella, uccisa da un compagno di università in
Rwanda, nella primavera del 1994.
L’anno successivo, all’interno delle
stesse manifestazioni del WSA, è stata la volta dei libri sull’America Latina,
che i ragazzi hanno presentato prima
di ascoltare la testimonianza di Rodrigo
Rivas, giovanissimo parlamentare del
governo di Allende al tempo del golpe
di Pinochet in Cile. Rivas ha commentato il lavoro dei ragazzi e li ha profondamente impressionati con il racconto della sua vicenda personale: era
poco più vecchio dei suoi giovani ascoltatori quando, in uno dei periodi più
drammatici della storia latinoamericana, condannato a morte ha dovuto lasciare il proprio Paese.
Nel 2006 gli studenti hanno affrontato la lettura di libri sull’Asia, in linea
con le manifestazioni del WSA dedicate proprio al complesso continente
asiatico. Anche questa volta, al termine della presentazione dei libri, gli studenti hanno ascoltato le parole di una
testimone d’eccezione, l’indiana
Kezevino Aram, pediatra e direttrice
dello Shanti Ashram dal gennaio 2001,
convinta gandhiana, membro del Comitato Esecutivo della Conferenza
Mondiale delle Religioni per la Pace e
consigliera del Dalai Lama.
E nel 2007 è stata la volta dell’Europa e dei suoi conflitti, in particolare
quelli vissuti nella Ex Jugoslavia. E
sono stati soprattutto i testi che narrano la dolorosa vicenda balcanica a
coinvolgere in quell’occasione gli studenti. Anche questa volta la presentazione dei libri è avvenuta di fronte a
due ospiti particolarmente significative per la storia e la letteratura mondiale: la moglie e la figlia del grande
’ ’
reporter polacco Ryszard Kapuscinski,
scomparso qualche mese prima, che
hanno dialogato sul palco con Lucia
Dallafior, Veronica Pedri e Sara Osti,
tre ragazze di un liceo che qualche
mese prima con un piccolo gruppo di
amici avevano intervistato lo stesso
’ ’
Kapuscinski
dopo aver letto tutti i suoi
libri in italiano. Un’esperienza ancora
una volta molto intensa, dalla quale e
’ ’
uscito un piccolo libro (R. Kapuscinski,
Ho dato voce ai poveri, Il Margine,
Trento 2007) che è stato considerato
il testamento del giornalista polacco
affidato ai giovani, e che i ragazzi stessi
hanno poi presentato, assieme ad Ettore Mo, anche alla Fiera del libro di
Torino del 2007.
Rovesciare
le prospettive
A margine di questa piccola esperienza si possono fare almeno quattro
riflessioni.
La prima in merito al “rovesciamento di prospettiva” che l’ha fin dall’inizio ispirata. La scelta di mettere i ragazzi in cattedra, di farli leggere senza troppi filtri e soprattutto di farli raccontare, vuole essere un capovolgimento reale del metodo tradizionale
di approccio al libro nella scuola. È un
metodo che abbiamo usato spesso
anche nelle presentazioni “ufficiali” dei
libri, in quelle che di solito si affidano
ai “grandi” del pensiero o ai professori
dell’università… È accaduto a Trento,
alla presenza degli autori, con il libro
di Daniele Scaglione, Istruzioni per un
genocidio, Gruppo Abele; con quello
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di Elisa Springer Il silenzio dei vivi,
Marsilio; con il testo di Francesco
Comina e Marcelo Barros Il sapore
della libertà, La Meridiana; con la presentazione del libro di Francesco
Comina, Il monaco che amava il jazz,
Il Margine; con quello di Marcello Farina, A rinascere si impara, Il Margine. O ancora con la presentazione del
libro di Hanna Kugler Weiss, Racconta!, Giuntina, dove i ragazzi hanno
dialogato con l’autrice di fronte a ottocento studenti; e infine, per chiudere questo elenco incompleto, con l’ormai tradizionale presentazione del rapporto annuale dell’UNICEF, affidata da
anni unicamente agli studenti dei Licei.
Un’attenzione particolare è stata riservata, in questi percorsi, allo sguardo dai tanti Sud del mondo (con la
scelta di testi di letteratura, storia, filosofia … elaborati in questi contesti)
e alla letteratura migrante. Ultima in
ordine di tempo la presentazione del
testo di Alidad Shiri, Via dalla pazza
guerra (Il Margine). I ragazzi, dopo
aver letto il libro, hanno intessuto un
lungo dialogo con l’autore, oggi
diciassettenne, sulla situazione dell’Afghanistan in guerra dal quale è fuggito. Un testo nato grazie alla passione
di Gina Abbate, un’insegnante di
Merano che ha spinto il giovane Alidad,
giunto in Italia con un viaggio di migliaia di chilometri legato all’assale di
un autotreno, a raccontare fin da subito una vicenda che mette in luce l’assurdità della violenza e della guerra
Tutto questo nella convinzione che
lo sguardo dei giovani può essere particolarmente prezioso e provocatorio
anche per il mondo degli adulti. Di più,
il rovesciamento di prospettiva parte
dal presupposto che i ragazzi non solo
possono, ma devono essere messi
nelle condizioni di produrre, anche
pubblicamente, le proprie riflessioni,
che sono spesso, fra l’altro, di alto livello. C
iò non significa che debbano essere
lasciati soli nella fase preparatoria. Ma
che la preparazione si può fare cominciando ad ascoltare i ragazzi. Per chi
lo fa con costanza è un’esperienza straordinaria: si tratta di limitarsi a presentare il testo in pochi minuti, spiegando solo perché vale la pena di leggerlo, e poi di ritrovarsi qualche giorno dopo e di farsi raccontare quello
che ha colpito e quello che è veramente
importante per i ragazzi. Unica funzione dell’adulto: aiutare a mettere
meglio a fuoco quello che loro mettono in luce e spiegare quello che non è
chiaro. Gli effetti di questo procedimento, sono frequentemente inaspettati. Quando dopo la lettura del libro
dossier
di Mario Calabresi, Spingendo la notte
più in là, i ragazzi lo hanno intervistato (all’interno di un progetto che condurrà nei prossimi mesi alla pubblicazione di un libro di dialoghi con i familiari delle vittime del terrorismo, sempre per la casa editrice Il Margine),
Calabresi è rimasto stupito perché in
nessuna delle 150 interviste precedenti
erano stati messi a fuoco alcuni dei
problemi posti dai ragazzi. Questo è il
punto chiave: essere convinti davvero
(non per gentile concessione…) che i
ragazzi possono produrre riflessioni
che sono realmente di alto livello, se
solo si trovano nelle condizioni per farlo. E agli educatori, appunto, resta il
compito fondamentale di creare le condizioni, non di sostituirsi loro nell’elaborazione del pensiero.
La seconda riflessione è di carattere
più pedagogico. In una situazione nella
quale gli adolescenti si percepiscono
unicamente come “oggetti” della riflessione culturale e politica, o come vasi
da riempire con un sapere che a loro
spetta solo di assorbire passivamente, questa piccola esperienza ha offerto ai ragazzi l’occasione per diventare soggetti attivi della conoscenza e
della vita sociale e culturale della città. La cosa può sembrare banale, ma
chi da insegnante o da educatore ha
vissuto con loro il lavoro di questi anni,
e magari li ha visti crescere in classe e
nella vita, è rimasto colpito dall’interiorizzazione di questa esperienza.
Oggi, dopo un cammino di alcuni anni,
per coloro che lo hanno vissuto fin
dall’inizio salta agli occhi la fiducia acquistata da molti ragazzi che considerano ormai assolutamente normale
farsi carico di una presentazione pubblica di un testo, di una storia, di un
autore, offrendo chiavi di lettura di
assoluto rilievo e molto spesso veramente originali.
La terza riflessione riguarda i contenuti. Nella scelta dei testi – questa,
per ora, l’unica attività lasciata agli
adulti (ma si sta lavorando anche sull’ipotesi di una selezione fatta dai ragazzi…) – si è voluto sempre rispettare una visione “polifonica” della realtà
analizzata: non solo proponendo punti di vista diversi, ma anche diverse
chiavi di lettura e diversi approcci disciplinari (accanto ai racconti e alle
analisi di carattere sociale o politico,
non è mai mancato, ad esempio, un
libro che proponga una singolare prospettiva filosofica, da quella ebraica a
quella africana…). E tale attenzione è
stata posta anche in quegli incontri
“fuori percorso” affidati ai ragazzi.
Questa pluralità, cui si aggiunge la diversità degli approcci che deriva dalla
diversità delle biografie e degli istituti
frequentati dai ragazzi, costituisce alla
fine un elemento ulteriore di ricchezza. Chi assiste alla presentazione dei
libri, o all’incontro con un autore animato dai ragazzi, o a un’intervista
pubblica affidata unicamente a loro
(come quella effettuata dai ragazzi ad
Agnese Moro, qualche settimana fa,
all’interno del percorso sugli anni di
piombo), ricava sempre una visione
della realtà composta dalle multicolori
tessere di un mosaico, ed esce colpito
dalla pluralità delle prospettive offerte. Questo aspetto dell’esperienza, se
rielaborato poi con gli stessi ragazzi,
può diventare non solo un invito a tener conto della complessità della realtà, ma anche uno straordinario antidoto contro la tentazione sempre in
agguato della semplificazione.
L’ultima riflessione riguarda la dimensione “politica” di questo metodo
di lavoro. È difficile dire quanto questo sforzo avrà una ricaduta più ampia, che si potrebbe appunto definire
“politica”. Se cioè farà crescere nei
ragazzi la consapevolezza di poter e
di dover essere protagonisti nella realtà che li circonda, cercando di affrontare e capire, e non di demonizzare!,
la complessità del mondo nel quale
viviamo. Ma è certo che fino ad oggi
chi ha accompagnato e ascoltato questi ragazzi, apprezzandone la presentazione limpida e fresca di pagine importanti della nostra storia lontana e
di quella recente, ne è uscito più ricco. E con l’impressione che questo, per
molti di loro, è stato un piccolo passo
nella direzione di quell’assunzione di
responsabilità che caratterizza una
persona compiuta e un cittadino responsabile.
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dossier
La letteratura della migrazione
al centro di un viaggio
a più dimensioni
nel continente africano
Elda Caserta*
Non ci si può conoscere se non ci si
specchia negli occhi degli altri
Platone
Il percorso
Il percorso si è svolto nell’ora settimanale di compresenza lettere-francese, per tutto l’anno scolastico 20072008, in una classe terza, nell’IC Paolo Sarpi di Settimo Milanese, con
l’obiettivo di approfondire dal punto di
vista storico, geografico e socioculturale alcuni Paesi francofoni extraeuropei. Insieme all’insegnante di francese abbiamo circoscritto l’area
francofona all’Africa. E così è iniziato
un viaggio a più dimensioni…
Prima di tutto il lavoro ha approfondito da un punto di vista storico e geografico l’area scelta, con l’individuazione dei Paesi francofoni e una
riflessione sulle motivazioni della
colonizzazione; quindi gli studenti sono
stati invitati a riflettere sulle contaminazioni che l’incontro tra due culture
genera, sull’influenza dei processi linguistici nel rinforzo o nella perdita dell’identità personale e di popolo. La fase
centrale del percorso si è incentrata
sulla letteratura della migrazione, a cui
ho ricollegato anche la lettura del libro di narrativa: “La memoria di A.” di
Saidou Moussa Ba e Alessandro
Micheletti.
L’esplorazione ha poi riguardato altri campi, quello della musica, con
l’ascolto di brani africani e quello artistico, con riferimento alla nascita del
Cubismo, dovuta proprio all’incontro
* docente di lettere, IC P. Sarpi, Settimo Milanese.
20
tra Picasso e l’arte africana.
L’ultima fase del percorso ha approfondito il fenomeno della decolonizzazione e i problemi lasciati aperti.
Infine, sono state presentate diverse
modalità di intervento per affrontare
la situazione degli squilibri tra il Nord
e il Sud del mondo.
La classe
La ricerca di una testimonianza concreta e significativa del fatto che l’incontro con l’altro possa trasformarsi
in occasione per un arricchimento reciproco è stata ispirata dalla conoscenza della mia terza. Il gruppo, formato
da 22 alunni, mi ha subito colpito per
una chiusura e paura nei confronti
dell’altro e, in particolare, dell’immigrato. Quello che mi ha particolarmente impressionata è stato avvertire un
comune sentire, in questo senso, che
fortunatamente nel corso dell’anno si
è disgregato, grazie a un continuo
coinvolgimento, a volte anche provocatorio, che lentamente ha consentito
a ciascuno di differenziare meglio il
proprio punto di vista da quello degli
altri. Alla fine del percorso (che è stato parte coerente di una programmazione di materia tutta improntata all’apertura e al confronto), alcuni ostentavano ancora le proprie posizioni
immutate, ma molti si sono ritrovati
cambiati e questo grazie soprattutto
all’esperienza emotivamente coinvolgente che ha chiuso il lavoro, cioè l’incontro con Saidou Moussa Ba.
Ladellaletteratura
migrazione
La letteratura della migrazione, ha
assunto la funzione di asse portante,
grazie alla duplice valenza che ha rivestito. Da una parte infatti ha incarnato il tema centrale di tutto il percorso, cioè l’idea di cultura come contaStrumentiCres ●
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minazione, un’idea che mi premeva
dare ai ragazzi. Dall’altra, ha fornito
l’occasione per dimostrare come l’Africa non rappresenti soltanto un’emergenza, ma anche una risorsa. L’obiettivo alto di questa esperienza didattica, infatti, è stato di incoraggiare una
logica di interazione con l’altro, piuttosto che di integrazione, come sfida
da accettare per affrontare le trasformazioni della nostra società senza paura.
Prima di tutto ho spiegato ai ragazzi
che cosa si intende con questo tipo di
letteratura e ho circoscritto i termini
temporali e spaziali della questione. Il
collegamento con l’Africa francofona è
stato semplice e naturale, poiché questo continente sta assumendo un ruolo importante nella mappa della letteratura della migrazione. E il racconto
dell’Africa si sta arricchendo dello
sguardo interno e interiore di scrittori
africani.
Quello che mi sembrava importante
comunicare è la volontà delle voci migranti di incontrare l’altro e di dare
inizio a un nuovo gioco dei ruoli, dove
il migrante non è più soltanto guardato, ma guarda, ci guarda, si avvicina e
offre pezzi di sè e del proprio Paese.
Come è risultato molto evidente dal
libro di narrativa, uno dei primi testi
che tentano di trasformare i migranti
da portatori di bisogni a portatori di
risorse creative.
La letteratura della migrazione è così
diventata occasione per pensare, in
modo nuovo, che anche noi possiamo
ricevere qualcosa da chi ospitiamo. E
poiché riceviamo forti sensazioni,
come: nostalgia, memoria, immaginazione, desiderio di tornare a casa e
paura di farlo, solitudine che ripara
nella parola, ho fatto analizzare alla
classe prima di tutto, individualmente, dei testi poetici. Al principio ho letto personalmente dei testi e ho invitato la classe ad ascoltare a occhi chiusi, per poi disegnare le suggestioni
provate. Poi i ragazzi hanno letto altri
testi e hanno elaborato una scheda di
lettura, di cui si riporta nel box un
esempio svolto da un’alunna. L’attenzione è stata focalizzata sulle sensazioni e sul pensiero critico. Le poesie
riportavano esperienze molto intense,
come il ricordo del proprio Paese e
della propria famiglia, la speranza e
poi l’impatto con una realtà (quella del
Paese accogliente, in questo caso l’Italia) che prima di partire era stata sognata in modo diverso, la sofferenza,
l’umiliazione, ma anche uno sguardo
critico, disilluso, impietoso sulle contraddizioni del nostro Paese oppure la
forza dei propri sogni.
Successivamente, in gruppo, i ragaz-
dossier
zi hanno letto dei racconti, quindi sono
stati invitati a entrare nelle situazioni
narrate e a immedesimarsi nei personaggi, diversi per origine geografica,
cultura, colore della pelle, ma ritrovati simili a sé nei sentimenti e nelle scelte di vita. Le storie erano ambientate
tutte nei Paesi africani, centrale e comune era il tema del viaggio (non necessariamente verso il nostro Paese),
la vita dei protagonisti veniva colta in
momenti cruciali, spesso il finale della
storia ribaltava il senso che sembrava
avere al principio o nel suo svolgimento.
L’intensità della materia narrata ha
stimolato delle interessanti discussioni all’interno dei gruppi di lavoro, per
cui la differenza tra il “noi e loro” è
sfumata spesso in quella tra “noi e noi”.
E il gioco dei punti di vista ha sconfessato differenze tra gli uomini se non
quelle di cuore e ragione.
I gruppi hanno riscritto i racconti dal
loro punto di vista, assumendo i ruoli
dei protagonisti e spesso si sono ritrovati a compiere le medesime scelte
dell’autore, l’altro, il diverso, l’immigrato, diventato “uno del gruppo”. Credo sia stata questa un’esperienza significativa e coinvolgente.
Il momento più intenso dell’incontro con l’altro proposto da questa esperienza didattica è stato sicuramente
l’invito a scuola di Saidou Moussa Ba.
Scrittore e mediatore culturale, che
partecipa a incontri con studenti e insegnanti di tutti gli ordini di scuola, ha
saputo coinvolgere gli studenti con una
carica di vitalità, simpatia, ma allo
stesso tempo di serietà e approfondimento, che ha colpito tutti. In un tema
proposto in seguito ai ragazzi, infatti,
unanime è stato l’apprezzamento per
la partecipazione al dibattito. Tutti hanno colto la disponibilità di Saidou di
cercare un confronto vero e sincero con
loro, come raramente avviene nella
scuola, tra adulti e ragazzi, in un modo
limpido, teso a smontare i pre-giudizi.
A partire dai propri. Incisiva è stata
anche l’esortazione a una riflessione
continua, per costruire una propria visione del mondo, libera dai condizionamenti pressanti dei mass media
e degli altri.
Se ci si avventura nell’interessante
e affascinante mondo della letteratura dei migranti è fondamentale poter
poi incontrare davvero, in carne e ossa,
l’altro. Il contatto con Moussa Ba è stato semplice e il confronto con un’esperienza concreta di vita ha dato un senso e una dimensione di verità incomparabili alle trattazioni teoriche.
Conclusioni
Giunti al termine della presentazione di questo lavoro, vorrei sottolineare che progettare percorsi che comprendano la letteratura della migrazione è davvero fondamentale in questo
momento storico. È uno dei modi per
far comprendere ai ragazzi come l’Italia si stia trasformando, da Paese che
ha visto partire i propri migranti a Paese che accoglie. E aiuta a dimostrare
l’importanza del punto di vista che si
assume per definire la realtà che ci
circonda. Il risultato di ogni incontro
dipende da noi, tutti. E soltanto noi
possiamo contribuire a creare una civiltà basata sull’intreccio di diversità
e scambi, come è stato per le grandi
civiltà del passato (da Roma in poi),
condividendo l’affermazione del grande storico Le Goff: “La ricchezza culturale non deriva dalla purezza, ma
dalla mescolanza”. Oppure rimanere
intrappolati in una civiltà della paura,
della chiusura verso l’altro e il diverso. Quella in cui i ragazzi, prima ancora di conoscere gli altri, si ritrovano
già intrappolati e che, credo, impedisca loro di vivere con l’entusiasmo e il
coraggio che dovrebbero essere tratti
caratterizzanti e imprescindibili delle
nuove generazioni.
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dossier
“TRIBUTO A UN UOMO” DI J. WANDJA
Scheda di lettura
Colori e forme suggeriti
dalla lettura
Questa poesia è molto esplicita nell’esporre i pensieri e i sentimenti dell’autore, e io leggendola ho immaginato la cella che è descritta nella prima parte, con le mura grigie e le pesanti sbarre di ferro che separano il
carcerato dall’agognata libertà e poi,
nella seconda parte, ho visto queste
sbarre spezzarsi, la cella scomparire
per lasciare posto ad una paesaggio
africano in una calda giornata di sole,
in cui l’uomo rimasto prigioniero può
finalmente riabbracciare i propri cari.
L’ho raffigurato nella mia mente con
le lacrime agli occhi, che cammina lentamente per le strade del suo villaggio assaporando ogni momento e osservando i cambiamenti che sono avvenuti. Vedo anche la gente del paese
che, incredula, corre a salutarlo e poi,
alla fine, la moglie che esce di casa e
ritrova il suo amato e corre ad abbracciarlo, e spera di non doverlo perdere
mai più.
Tema centrale
Per me questa poesia pone l’accento sul tema dell’ingiustizia presente in
Sud Africa, da dove proviene l’autore,
che spera, in fondo al suo cuore, che
un giorno la giustizia trionferà e l’ipocrisia sarà abbattuta. Questo testo per
me contiene anche una velata denuncia al governo del Camerun (patria
dell’autore n.d.r.) o comunque ai personaggi potenti, che schiacciano e maltrattano quelli più deboli di loro. L’uomo descritto in questa poesia è una
specie di “eroe”, perché è riuscito a
resistere ai tormenti ma anche alle tentazioni in carcere, e nonostante tutto
si è mantenuto puro come vi era entrato, credendo fermamente nella propria innocenza.
Parole, pensieri e immagini
che ti hanno colpito
Mi ha colpito soprattutto una cosa
in questa poesia: la speranza. Qui essa
è presente ovunque, anche nei primi
versi, che la celano, la nascondono,
ma che poi prorompe nella seconda e
nell’ultima parte, dove l’autore descrive il ritorno a casa dell’uomo uscito di
galera e conclude con un giudizio sul
suo Paese e sulle ingiustizie in esso
presenti. Una frase più di ogni altra
dona la speranza al lettore, ma anche
all’autore stesso: quando saranno vin-
22
S
tendere la mano
per abbracciare la tua donna
ed accorgerti di essere da solo
su una branda.
Aprire piano gli occhi
cercando oggetti familiari
e vedere solo le nude mura
di una cella.
Sentire il desiderio
di parlare a un amico
e ricevere solo una parola
sprezzante dal carceriere.
Attendere con ansia
l’arrivo di una lettera
con la paura che il mondo
ti abbia ormai dimenticato.
Giorni, settimane, mesi interminabili
prima che vengano ad annunciarti
la visita di una persona cara
che ti possa dare conforto.
Questa era fino a ieri
la tua vita di uomo
perché hai voluto essere uomo
fino in fondo.
Hai resistito alle loro minacce
hai resistito alle loro lusinghe
la tua dignità ha trionfato
sulla loro meschinità.
Oggi sei tornato alla tua gente
te le ipocrisie, la cupidigia e l’avidità
in Sudafrica un uomo potrà essere un
uomo, cioè ogni individuo avrà la propria libertà.
Elementi vicini e lontani
Mi è stato difficile capire in questo
testo quali fossero gli elementi vicini
e lontani a me, perché sembra impossibile che in un Paese “evoluto” come
l’Italia possano esserci situazioni così
drammatiche, di uomini maltrattati,
nonostante siano innocenti, da individui con una straordinaria dose di malvagità nel sangue, ma purtroppo non
è così. Da noi queste cose succedono,
anche se non le vediamo, e quindi posso affermare che la poesia è molto vicina a noi come insieme di persone.
Io, per fortuna, non ho mai vissuto situazioni così brutte.
Temi ricorrenti
Oltre al tema centrale delle ingiustizie, quelli che fanno da contorno sono
la felicità per aver ritrovato i propri cari
e soprattutto la libertà, un bene preziosissimo, il più importante dopo la
hai riabbracciato la tua donna
hai rivisto la tua casa e tutto ciò che
ti è familiare.
Ti ha salutato con gioia
gente di tutto il mondo
che ama la giustizia e che non ti ha
dimenticato
gente a cui hai insegnato
che la dignità umana non ha prezzo
e che nessun uomo sarà libero finché non saranno tutti liberi
gente che ha continuato
a credere e a lottare
resa forte dalla tua forza, fiera dalla
sua fierezza
gente che non sarà ora
truffata dalle blandizie’
ma che sa che la vera lotta è solo
agli inizi
la lotta agli egoismi
la lotta alle ipocrisie
la lotta alla cupidigia crudele
ammantata di perbenismo.
Grazie anche a te un giorno
vincerà la giustizia
e finalmente in Sudafrica un uomo
sarà un uomo.
vita, che viene dato così spesso per
scontato e che invece è stato fonte di
lotte sanguinose e di tante morti che
hanno cercato di regalare questo fondamentale diritto a tutti. La sua negazione avviene solo in casi particolari,
per esempio durante il carcere, e quando la libertà viene riconquistata è come
rinascere, perché si è di nuovo padroni della propria vita.
Oltre a questo è molto importante
anche il tema della denuncia contro le
ingiustizie in Camerun, contro il quale
l’autore sembra lottare duramente con
la sua poesia, quasi rievocando il detto “ne ferisce più la penna che la spada”, perché con lo scritto egli esplicita
i propri sentimenti e le proprie emozioni senza coercizioni di sorta che lo
incatenino facendolo attenere rigorosamente a dei modelli. Forse il poeta
vuole anche dire, con questo, che scrivere è una delle poche libertà e cose
giuste rimaste nel suo Paese.
Giudizio critico: ti è piaciuta la
poesia? Perché?
La poesia secondo me è stupenda
Settembre 2008
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(Valentina)
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perché è lo specchio della nostra realtà, quella in cui viviamo, costellata da
ingiustizie celate dietro facciate belle
e pulite. Sotto in verità c’è ben altro
o, come dice il poeta, viviamo tra la
“cupidigia ammantata di perbenismo”,
una frase che rende bene l’idea. Il
poeta inoltre propone la lotta contro
queste ingiustizie, ed è proprio questo che mi ha colpita ed affascinata:
la grinta con cui egli dà forza alle proprie convinzioni, una cosa che tutti
dovremmo possedere dentro di noi, il
coraggio di pensare liberamente.
dossier
PER SAPERNE DI PIÙ
Testi generali
Bregola D., Il catalogo delle voci. Colloqui con poeti migranti, Cosmo Iannone editore, Isernia 2005
Caizzi R. (a cura di), Riconoscersi leggendo. Viaggio nelle letterature del mondo , EMI/Cres, Bologna 2006
Gnisci A., (a cura di), Nuovo Planetario italiano.Geografia
e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in
Europa, Città aperta Edizioni, Troina 2006
Gnisci A., Creolizzare l’Europa. Letteratura e migrazione, Meltemi, Roma 2003
Taddeo R., Letteratura nascente. Letteratura italiana della
migrazione. Autori e poetiche , Raccolto Edizioni, 2006
Narrativa
Abate Carmine, Il ballo tondo, Oscar Mondadori, 2005
Abate Carmine, Il mosaico del tempo grande, Mondadori,
Milano 2006
Abate Carmine, Il muro dei muri, Argo, Lecce 1993 ora
Mondadori 2006 (racconti)
Abate Carmine, La festa del ritorno, Mondadori, Milano
2004
Abate Carmine, La moto di Scandeberg , Mondadori, Milano 2008
Abate Carmine, Tra due mari, Mondadori, Milano 2002
Agbonlahor Martins, La ragazza perduta, L’HarmattanItalia, Torino 2001
Ali Farah Cristina, Madre piccola, Frassinelli, 2007
Ammendola Clementina Sandra, Lei, che sono io, Sinnos,
Roma 2005
Argento, Meandri, Trabucco (a cura di), Parole di sabbia,
Edizioni Il Grappolo, S. Eustachio di Mercato San Severino
2002 (antologia di racconti e poesie)
Bravi Adriàn N., Restituiscimi il cappotto, Fernandel,
Ravenna 2004
Bravi Adriàn N., La pelusa, Nottetempo, Roma, 2007
Bravi Adriàn N., Sud 1982, Nottetempo, Roma, 2008
Butcovan Mihai Mircea, Allunaggio di un immigrato innamorato, Besa, Nardò 2006
Caldas Brito Christiana (de) , 500 temporali, Cosmo
Iannone editore, Isernia 2006
Caldas Brito Christiana (de) , Amanda, Olinda, Azzurra e
le altre, Oèdipus, Salerno/Milano 2004
Caldas Brito Christiana (de) , Qui e là, Cosmo Iannone
editore, Isernia 2004
Settembre 2008
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(Ci si è limitati ai testi pubblicati a partire dal 2000)
Caldas Brito Christiana (de) ,Viviscrivi, Eks&tra, 2008
Canifa Alves Jorge, Racconti in altalena, Edizioni dell’Arco, Bologna 2005
Chandra Viola (pseudonimo di Gabriella Kuruvilla), Media chiara e noccioline, DeriveApprodi 2001
Coman Ingrid Beatrice, La città dei tulipani, Luciana Tufani
Editrice, Ferrara 2005
Dones Elvira, Bianco giorno offeso, Interlinea, Novara
2004
Dones Elvira, Sole bruciato, Feltrinelli, Milano 2001
Fofana Aminata, La luna che mi seguiva, Einaudi, Torino
2006
Gangbo Jadelin, Rometta e Giulieo. Feltrinelli, Milano
2001
Gangbo Jadelin, Una congrega di falliti, Instar Libri 2006
Garane Garane, Il latte è buono, Cosmo Iannone editore, Isernia 2005
Garcia Miguel Angel, Il maestro di tango, Eks&Tra 2005
Ghazy Randa, Prova a sanguinare, Fabbri, Milano 2005.
Ghazy Randa, Sognando Palestina, Fabbri, Milano 2002.
Ghazy Randa,Oggi forse non ammazzo nessuno. Fabbri,
Milano, 2007
Ghermandi Gabriella, Regina di fiori e di perle , Donzelli,
Roma 2007
Guaci Leonard, I grandi occhi del mare, Besa editrice,
Nardò 2005
Jadreicic Tamara, Prigionieri di guerra, Eks&tra, 2007
Jaeggy Fleur, Proletarka, Adelphi, Milano 2001
Janeczek Elena, Cibo, Mondadori, Milano 2002
Jebreal Rula, La sposa di Assuan. Rizzoli, Milano 2005
Jebreal Rula, La strada dei fiori di Miral. Rizzoli, Milano
2004
Khouma Pap, Nonno Dio e gli spiriti danzanti, Baldini
Castaldi Dalai, Milano 2006
Komla-Ebri K., All’incrocio dei sentieri.I racconti dell’incontro, Collana CREScendo, EMI, Bologna 2003
Komla-Ebri K., Imbarazzismi. Imbarazzi in bianco e nero,
Edizioni dell’Arco/Marna, Milano 2002
Komla-Ebri K., La Sposa degli Dèi , Dell’Arco-Marna
Milano 2005
Komla-Ebri K., Neyla, edizioni dell’Arco/Marna, Milano
2003 (romanzo)
Komla-Ebri K., Nuovi imbarazzismi. Quotidiani imbarazzi
in bianco e nero… e a colori, edizioni dell’Arco/Marna, Milano 2004
PER SAPERNE DI PIÙ
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dossier
Un mondo di libri - incontri
con autori migranti
Bruna Ricca *
e Karim Metref**
nasce
Come
l’iniziativa
Nella città di Pinerolo è attivo, da
alcuni anni, un Tavolo di Coordinamento sulle Politiche dell’Immigrazione,
che raccoglie una serie di organizzazioni sia a livello istituzionale (ASSL,
Servizi Sociali,…) sia Associazioni di
Volontariato che a vario titolo lavorano con i migranti. Anche la Biblioteca
Interculturale ADLIS, del IV Circolo
Didattico, fa parte di questo Tavolo di
Coordinamento, che nel 2007 ha deciso di partecipare al bando di concorso: “Immigrati nuovi cittadini” della
Compagnia San Paolo di Torino.
Il progetto presentato prevedeva
due percorsi: uno quello dell’incontro
con scrittori migranti, l’altro un notiziario radiofonico multilingue.
La Biblioteca Interculturale ADLIS,
ha curato il progetto degli incontri con
autori migranti, che è stato pensato e
coordinato da Bruna Ricca (responsabile della biblioteca) e Karim Metref
(scrittore e curatore del sito Letterranza).
Descrizione
dell’iniziativa
L’iniziativa prevista consisteva in un
percorso di conoscenza del lato creativo dell’immigrazione attraverso laboratori, animazioni, conferenze pubbliche e dibattiti.
Si è scelto di lavorare su due piani.
Il primo è quello delle scuole. Laboratori e incontri a scuola con alunni delle scuole medie superiori e con gli alunni della Scuola Elementare “F. Parri”,
dove ha sede la Biblioteca Intercul-
* responsabile della Biblioteca interculturale ADLIS
** scrittore
24
turale ADLIS.
Gli allievi preparati dai propri insegnanti, con letture di opere dell’autore ospite, hanno avuto la possibilità di
incontrare gli scrittori, per fare domande e chiacchierare su vari temi, scelti
sia da loro sia dall’autore stesso. Per i
più piccoli l’incontro è servito per conoscere “chi scrive”, per ascoltare fiabe, fare domande… A questi incontri
hanno partecipato: 372 alunni delle
scuole superiori 330 alunni della scuola
elementare e infanzia.
Il secondo livello è stato quello del
pubblico cittadino. Incontri serali con
pubblico adulto, lettori della Biblioteca, insegnanti, educatori, persone interessate all’incontro con l’altro. Ogni
autore veniva presentato insieme alla
sua ultima opera letteraria e si sono
creati dei momenti di dibattito e confronto molto stimolanti per tutti (300
presenze). La scelta dei due livelli è
stata fatta nell’ottica di legare le attività scolastiche alla vita della città. Il
lavoro fatto in classe non è più considerato un isola felice in un mondo che
altrimenti ignora queste tematiche ma
parte di un dibattito cittadino intorno
a questioni legate alla convivenza e
all’interazione positiva tra cittadini provenienti da orizzonti diversi.
Gli autori incontrati sono stati i seguenti:
Younis Tawfik – “Il profugo” Ed.
Bompiani 2007
Mihai Mircea Butcovan – “Allunaggio di un immigrato innamorato” Ed. Besa 2006
Hamid Ziarati – “Salam, maman”
Ed. Einaudi 2005
Karim Metref – “Tagliato per
l’esilio” Ed. Mangrovie 2008
Kossi Komla-Ebri – “Vita e sogni
– Racconti in concerto” ed. dell’Arco, 2008
Sandra Clementina Ammendola
– “Lei, che sono io” Sinnos 2005
Letteratura
dell’immigrazione
L’immigrazione in Italia è recente,
se comparata a quella delle prime potenze industriali europee. I primi a fermarsi in Italia, negli anni 70, erano in
maggioranza venditori ambulanti e
operai agricoli, ma presto cominciano
ad arrivare ondate di studenti africani
e mediorientali. Sono stati loro a scrivere le prime pagine, per lo più pubblicate sulla stampa e su riviste come
quella dell’UCSEI (Ufficio Centrale Studenti Esteri in Italia). La maggior parte degli studenti rientrano nei loro
paesi d’origine, ma alcuni rimangono
e si stabiliscono in Italia per formare il
primo nucleo di intellettuali immigrati. Alcuni di loro (come, tra altri, Bijan
ZARMANDILI e Younis TAWFIK) cominciano presto a scrivere sulla stampa e
poi a pubblicare saggi, ricerche, raccolte di racconti e romanzi.
Poco a poco l’immigrazione diventa
più folta e più varia per provenienza
geografica, culturale e sociale. Siamo
negli anni ottanta, l’era delle prime
“carrette del mare”. I paesi del sud del
mondo erano colpiti in pieno da una
grave crisi economica e le grandi potenze industriali del Nord Europa sono
anche loro in crisi e non riescono ad
assorbire tutta la mano d’opera fornita dai flussi migratori. Allora si è cominciato a guardare a paesi come l’Italia e la Spagna, in piena espansione
economica, non più come fornitori di
mano d’opera a buon mercato ma anche come “consumatori”.
Già nel 1990 sono apparsi due libri
autobiografici che raccontavano le sofferenze di questi pionieri: “Immigrato”, di Salah METHNANI (Teoria) e “Io
venditore di elefanti” di Pap KHOUMA (Garzanti). Siccome anche nel
mercato editoriale come altrove vale
sempre la regola “nuovo è bello”, questi due libri riscuotono un grande successo e incoraggiano altre case a stampare altre opere scritte, come queste,
da immigrati aiutati da giornalisti italiani.
Subito dopo, nel 1991, seguono
“Chiamatemi Alì” di Mohammed
BOUCHANE (Leonardo), “La promessa di Hamadi” di Saidou MOUSSA BA
(De Agostini) nonchè la storia molto
particolare del giovanissimo Palestinese Itab HASSAN, in carcere con
un’accusa di terrorismo, “La Tana
della iena” (Sensibili alle foglie).
Oggi, anche se non ci sono ancora
scrittori del calibro di Hanif Kureishi in
Inghilterra, dell’Italo americano John
Fante o del franco algerino Azouz
Begag, si può oggettivamente parlare
di una vera e propria produzione let Settembre 2008
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Scritture migranti
dossier
Rivista di scambi interculturali
Questa nuova rivista nasce da un’idea del Dipartimento di
italianistica dell’Università di Bologna e s’inserisce - con raccordi
nazionali e internazionali - nel dibattito in corso sugli scrittori
migranti e sulla ridefinizione del canone letterario italiano proprio in relazione alla poesia e alla narrativa da loro prodotta. Lo
fa su più piani: la pubblicazione di testi inediti di scrittori migranti, la lettura critica degli stessi, la presenza di saggi specifici
in un’ottica comparata. Lo studio degli autori non è limitato solo
alla letteratura, ma si allarga anche alla musica, al cinema e al
teatro. È, quindi, una rivista di ampio respiro che si propone di
diventare un punto di riferimento nel confronto e negli studi in
corso sulla migrazione in tutte le sue forme artistiche.
Tra gli scritti presenti in questo numero: La spiaggia di Shirin
Ramzanali Fazel, il saggio di Andrea Gazzoni su L’intentio epica
dell’esilio: Gëzim Hajdari, quello di Beatrice Furini su Il migrante
in transito nella scrittura di Emine Sevgi Özdamar. Inoltre, Lorenzo Luatti fa il punto sulle Voci migranti nella letteratura per
ragazzi.
Per contatti con la redazione presso il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bologna: [email protected].
teraria degli immigrati in Italia, perché quelle prime opere sono state seguite da tantissime altre. Nel sito
www.letterranza.org sono catalogate circa duecento opere, e il sito
si limita ai romanzi e alle raccolte di
poesie e di racconti brevi scritti da un
unico autore (o al limite a “quattro
mani” come spesso si fece all’inizio).
Se si aggiungono le opere collettive, i
saggi e altre produzioni letterarie e
giornalistiche si arriva a varie centinaia di volumi.
Quella degli immigrati è ancora per
lo più una letteratura di nicchia, promossa da piccole case editrici o da
associazioni con pochi mezzi e diffusione limitata, ma alcuni cominciano
già a fare il loro ingresso nella grande
distribuzione e ad accedere ai più alti
riconoscimenti, se si pensa ad esempio ai Premi Grinzane Cavour vinti da
Younis Tawfik (La straniera, Bompiani, 2000) e Ornela Vorpsi (Il paese
dove non si muore mai, Einaudi,
2006) o al Premio Montale per la Poesia Inedita (anno 1997) vinto da
Gezim Hajdari, o ancora il premio
Flaiano vinto da Amara Lakhous nel
2006 (Scontro di civiltà per un
ascensore a Piazza Vittorio – E/O,
2006) arrivato decimo nella classifica
dei best seller italiani dell’estate 2006.
È iniziato a spuntare, inoltre, il germoglio della “seconda generazione”
con giovani come Randa Ghazy (Sognando Palestina, Fabbri, 2002, best
seller già tradotto in quattro lingue e
Prova a sanguinare, Fabbri, 2005),
Settembre 2008
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Nader Ghazvinizadeh (Arte di fare
il bagno – poesia - Giraldi, 2004) che
usano l’italiano come prima lingua e
hanno tanta voglia di raccontare.
Per quanto sia innegabile che esista
una produzione letteraria dell’immigrazione, rimane comunque ancora
aperto il dibattito su che cosa sia
esattamente la letteratura dell’immigrazione: dove inizia e dove finisce?
Da dove viene e dove va?
Il sito Letterranza - come la maggior parte delle ricerche, delle riviste
e dei siti dedicati a questo ambiente considera “opera letteraria dell’immigrazione in lingua italiana” ogni
lavoro di narrativa o di poesia prodotta da un(a) immigrato(a), da un figlio
o figlia di immigrati che vive in Italia
(o ci ha vissuto), se scritta direttamente in lingua italiana o tradotta da o
comunque con la collaborazione attiva dell’autore.
Sembra una definizione abbastanza
precisa. Ma in realtà nonostante i tanti paletti, il confine rimane abbastanza fluttuante, com’è forse giusto che
sia. C’è molto da dibattere in questo
campo. Anche se ammettiamo che
possa essere risolta definitivamente la
questione della definizione dello “Scrittore immigrato” rimangono altre domande in sospeso. Tra altre, quella
sulla qualità, ad esempio.
La maggior parte degli scrittori di
origine immigrata rifiuta questa gabbia di “Migrant writer” come è usanza
chiamarli ormai, ma ribadiscono che
loro ambiscono ad essere “scrittori e
basta”, e che gli unici canoni con i quali
devono essere giudicati sono quelli
della critica letteraria. Rimane che lo
scrittore proveniente da altri orizzonti
usa la lingua italiana in modo diverso
e racconta cose diverse. Molto spesso
racconta di cose lontane ma non come
un esploratore, un antropologo o uno
scrittore di romanzi esotici, ma con il
sentimento di chi parla di sé e di chi
gli è stato vicino negli anni teneri dell’infanzia.
ruolo giocano
Che
questi scrittori?
Oltre l’interesse, ovvio, di organizzare degli incontri sulla letteratura, la
presentazione di autori appartenenti
alla popolazione di origine immigrata
in Italia è utile per vari motivi.
In un momento in cui i media, in
cerca di sensazionale e di incremento
degli indici di popolarità, bombardano
l’immaginario collettivo di immagini di
sbarchi di disperati e di notizie di criminalità ad opera di cittadini stranieri
soggiornanti sul suolo italiano, offrire
al pubblico in genere e a quello scolastico, più sensibile e influenzabile, in
particolare, una immagine dell’immigrazione diversa, attiva, propositiva,
creativa, aiuta a sfatare i luoghi comuni della vittima o del criminale.
Poi, la figura dell’artista, scrittore e
intellettuale proveniente dalle minoranze più povere più indifese gioca
sempre, anche suo malgrado, un ruolo importante nella riabilitazione dell’immagine del suo gruppo di provenienza e nel recupero della sua
autostima collettiva.
Gli incontri con gli autori immigrati
aiutano a vedere l’immigrato in ruoli
di protagonismo e a dialogare con lui
da pari a pari.
Così come è spesso una figura di
mediazione che può contribuire a capire problemi che sembrano altrimenti troppo lontani geograficamente o
culturalmente è sempre utile dibattere temi di attualità ricorrendo a
interlocutori portatori di visioni e di
vissuti diversi..
L’autore immigrato è una figura positiva di immigrato che ha scelto l’Italia per viverci e costruire e che ha scelto la scrittura in lingua italiana come
veicolo di scambio e di dialogo con chi
gli sta attorno.
Per approfondire visitare i siti:
www.letterranza.org
www.dd4pinerolo.it/adlis/
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dossier
PARLANO I RAGAZZI DELLE SCUOLE
SUPERIORI
La letteratura, la cinematografia, il confronto sono
elementi fondamentali per conoscere altri popoli. Tramite la letteratura, fonte scritta per eccellenza, si leggono e si imparano nozioni nuove; tramite la cinematografia, fonte visiva, si vedono immagini riguardo a costumi e a usanze, e tramite il confronto, fonte orale, si
ascoltano opinioni e descrizioni, discutendo e confrontandosi. (Alessandra)
Molte persone non comprendono l’importanza di conoscere altre culture, altre religioni e altre tradizioni
perché credono che sia soltanto una perdita di tempo e
non si preoccupano di sapere ciò che accade in un paese straniero perché pensano che non li riguardi personalmente dato che si trova a molti chilometrici distanza
da loro. Ma si sbagliano, perché è importantissimo conoscere gli avvenimenti che accadono al di fuori del
nostro stato, come una guerra o una dittatura, perché
influenzano tutto il mondo. (Carlotta G.)
Durante l’incontro con lo scrittore Younis Tawfik, mi
hanno colpita molto i suoi discorsi relativi alla condizione della donna in Iraq, al ruolo del partito durante il
regime dittatoriale di Saddam Hussein, all’influenza che
esso ha avuto sulla popolazione e all’integrazione. La
donna in Iraq ha una posizione svantaggiata rispetto a
quella dell’uomo. Tawfik ha chiarito dei dubbi sorti sul
velo. Esso non è imposizione della religione: infatti il
Corano lo cita in alcuni punti, ma non esplicita l’obbligo
di portarlo per le donne. Il fatto che molte lo indossino
è dettato dal fondamentalismo religioso, che prevede
la supremazia maschile. L’uso del velo parte da un antichissima usanza delle donne semite, già da prima dell’avvento dell’islamismo. (Carlotta A.)
A volte le persone non accettano la gente con tradizioni differenti dalle proprie e tendono a isolarla. Da
questa ghettizzazione può nascere il razzismo, ossia
l’odio per i popoli diversi per lingua, usi, costumi e caratteristiche somatiche. Durante l’incontro con Younis
Tawfik, un autori iracheno che ha scritto molti libri tra
cui “La straniera”, ho avuto modo di capire che grazie al
fenomeno dell’immigrazione si può verificare un arricchimento culturale, perché ci si rende contro della presenza di altre tradizioni diverse da quelle Occidentali,
come quella irachena appunto. (Federica B.)
Durante la visione del documentario “… e il Tigri placido scorre” ho notato immagine inedite, in quanto quasi
sempre nei telegiornali le immagini dell’Iraq sono quelle della guerra, degli edifici e di luoghi pubblici crollati e
mai si va ad intervistare le persone povere, quelle più
colpite da questa situazione di conflitto, quelle persone
che d’inverno non hanno il metano e d’estate non hanno l’acqua, quelle persone che vivono per strada e non
hanno nessuno che li aiuta, quelle persone che ogni
giorno vedono morire i loro figli, le loro mogli. (Chiara)
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Durante la visione del documentario “… e il Tigri placido scorre” ho potuto osservare che la situazione
mediorientale vista in Tv durante i telegiornali non sono
sempre del tutto vere o comunque in parte a favore
degli americani; mentre nel diario e nel documentario
di Karim Metref si capisce la vera opinione della gente
che nella maggior parte dei casi preferisce Saddam agli
americani perché la situazione è notevolmente degenerata dato che nelle città c’è un clima pesante dove i
guerriglieri sono sempre pronti ad attaccare gli americani ma esistono anche disagi interni come ad esempio
i negozianti che non possono più tenere aperti i propri
locali perché è pieno di delinquenti che al tempo della
dittatura non esistevano. (Gabriele A.)
Durante la visione del documentario “… e il Tigri placido scorre” ho ritrovato immagini della Baghdad descritta da Metref nel suo diario. È una città distrutta dai
bombardamenti, dagli atti di violenza, che prima invece
era molto bella. Vi sono scene in cui la gente ed esprime il proprio malcontento dovuto a un governo che non
è forte, ad una Costituzione che esiste ma non è applicata e all’insofferenza nei confronti degli americani. Alcune persone intervistate dicono che si viveva meglio
sotto il regime di Saddam, perché c’era più tranquillità.
I giovani però non sono sempre d’accordo, perché attualmente c’è libertà di espressione, cosa che prima era
vietata. (Carlotta A.)
Il documentario ribadisce ciò che Metref aveva già
detto nel suo diario:Baghdad ora è degradata, distrutta
dai bombardamenti, vecchia, occupata dagli americani.
I cittadini sono arrabbiati, c’è troppa precarietà in questo momento e ci sono anche posizioni diverse sugli
occupanti di oggi: alcuni sostengono che con gli americani si ha più sicurezza ma non mancano i saccheggiatori
e finché gli iracheni continueranno ad essere controllati
non potranno avere un loro governo democratico. A volte
può capitare di vedere in televisione Baghdad ma o viene fatto vedere solo ciò che si vuole, la parte migliore,
quella ricca o meglio si evita di farla vedere. (Beatrice
B.)
Nel documentario ci sono immagini di una città caotica, rumorosa, sporca, degradata, ma che nonostante
ciò continua a vivere. Piccole bombe possono essere
scambiate per giochi, non c’è controllo, ordine e sicurezza, ma inquinamento, e per questo i bambini possono nascere con deformazioni. Non c’è inoltre giustizia,
poiché l’occupazione americana influenza tutte le istituzioni, e in questa situazione nascono clan, caste e tirannie.
Molti uomini non sono favorevoli all’occupazione americana, e ad essa preferiscono il regime di Saddam. La
situazione è drammatica. Si vede tutto questo anche in
TV, ma con la televisione si pensa, ingiustamente, che
ciò sia distante da noi. (Valentina B.)
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dossier
Culture e letterature
della migrazione
Come un convegno può diventare occasione per significative
esperienze didattiche
Maria Calabrese*
e Paolo Trabucco**
Il convegno
Da alcuni anni si svolge a Ferrara un
convegno nazionale dedicato alle culture e alla letteratura della migrazione.
La prima edizione risale al 2002, ma
la rete di interessi e attività cui esso è
legato nasce da più lontano, in continuità con il lavoro svolto da CiesFerrara e Cittadini del Mondo: associazioni che da anni cercano di favorire l’integrazione e la tutela degli immigrati, realizzano interventi sull’educazione interculturale, offrono alle
scuole un servizio di mediazione linguistico-culturale e organizzano attività volte alla promozione del dialogo
tra culture diverse.
Il nostro interesse per la letteratura
della migrazione si è concretizzato,
negli ultimi anni, anche nella ideazione
del sito VOCIDALSILENZIO (www.co
mune.fe.it/vocidalsilenzio), che promuove attività culturali sulle tematiche
dell’immigrazione, pubblica testi di
scrittori migranti, cerca di far dialogare tra loro artisti e scrittori italiani e
stranieri.
Nelle diverse edizioni del convegno
si sono alternate molte presenze:
esperti ed intellettuali, autori noti o
emergenti; preziosa poi la presenza di
autori italiani, ma con una particolare
sintonia e sensibilità nei confronti delle tematiche proprie di questa letteratura, e quella di personalità “di frontiera”, dal punto di vista culturale ed
artistico.
Per noi che crediamo molto nelle
potenzialità educative dell’incontro tra
percorsi culturali e identitari diversi,
* Liceo “L. Ariosto”, Ferrara
** IPSIA “Ercole I d’Este”, Ferrara
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la scuola è un luogo privilegiato in cui
proporre questo tipo di esperienze. Per
questo il convegno ha come suo tratto
distintivo quello di rivolgersi in maniera
particolare a un pubblico di studenti,
e per questo è particolarmente qualificante la fase del lavoro nelle scuole.
Nella doppia veste di organizzatori
della manifestazione e di insegnanti
nelle rispettive scuole, abbiamo osservato come la prospettiva di incontri da
parte delle classi, nostre e di altri docenti, con gli scrittori ci conduceva a
pensare agli inviti da rivolgere agli
autori oltre che in relazione alle loro
pubblicazioni più significative e recenti
anche in vista dell’impatto che la loro
produzione e la loro diretta partecipazione avrebbero prodotto su/con le
classi.
Nel corso degli anni si è venuta delineando pure una variegata casistica
di modalità di incontri, in stretta connessione con le tipologie di classi, con
le differenti impostazioni sul piano didattico, con le diverse personalità e i
differenti modi di interpretare il proprio ruolo da parte degli scrittori. Ci si
è palesato il tipo di scrittore la cui produzione suscitava un immediato e proficuo allargare lo sguardo alla letteratura alta-altra (con relativi confronti,
affiancamenti, parallelismi); abbiamo
incontrato scrittori che si sono posti
come veri mediatori di cultura, la propria, l’altrui; abbiamo poi assistito a
vere e proprie performances di artisti
(di penna, di voce, di strada) che si
sono ‘dati’ nel senso vero del termine
all’uditorio e da esso hanno recepito e
fatte proprie sollecitazioni, riflessioni,
emozioni.
Le esperienze
didattiche
Gli incontri con gli scrittori hanno
generalmente richiesto una fase preparatoria nella quale i docenti hanno
stimolato la lettura, il godimento, il
lavoro di analisi, la produzione personale.
Si possono individuare e classificare
diverse tipologie di produzioni richieste/proposte agli studenti: testi creativi (poesie; racconti; sceneggiature
per la drammatizzazione; reinterpretazioni in chiave grafica); testi più
propriamente ‘scolastici’ (saggi brevi
e relazioni; interviste reali e/o inventate; riflessioni personali sulle problematiche della migrazione); indagini
statistiche; analisi testuali e confronti
letterari; lavori di traduzione e transcodificazione, veri e propri ‘travasi’ da
lingua a lingua.
Tra le diverse tipologie di contributi,
quelle più diffuse sono i componimenti poetici o narrativi estemporanei.
Dietro all’estemporaneità dei racconti e delle poesie dei ragazzi, mescolate alle tematiche tipicamente adolescenziali, si fanno largo talvolta suggestioni che provengono da una particolare disponibilità a rappresentare il
proprio immaginario proiettandolo in
direzione di paesaggi, tematiche, che
aprono su dimensioni, inconsuete, su
prospettive, diremmo, “altre”.
27
Aquiloni
Rombi colorati
Che guardano il cielo,
pensieri di carta
ondeggianti qua e là;
aquiloni nell’aria,
desiderio di libertà.
Tenuti dai bimbi,
con un esile filo,
volano
in terre lontane,
nei cieli,
sulle colline afghane.
(Anna M. - IPSSAR “Orio Vergani” –
Ferrara)
Suggestioni più complesse si risentono in lavori di studenti che forse più di
altri rivelano un sapore autenticamente “letterario”
○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
dossier
Sempre relativamente alla poesia ci pare interessante il lavoro realizzato nell’edizione del 2006 da una classe del Liceo classico “L. Ariosto”.
Sono state analizzate alcune poesie (lette sia in italiano che in inglese) di
Arnold de Vos, olandese, residente a Trento, di professione archeologo e poeta.
Si riporta come esempio l’analisi condotta da un gruppo di studenti su uno dei
testi di A. de Vos:
La mano non data
Quel che mi ha insegnato mio padre
volente o nolente
è ascoltare me. Forse ho preso da
lui.
Dagli altoforni del nostro silenzio
qualche scoria è volata.
Ricaduta a distanza di tempo
volente o nolente
la raccolgo, una forma contorta
che mi brucia tra le mani:
La mano non data.
The Hand Not Given
What my father taught me
willingly or unwillingly
is to hear myself. Maybe I take
after him.
From the blast furnaces of our
silence some residue has flown.
fallen again in due time
willingly or unwillingly
I pick it up, distorted shape
burning my hands:
The hand not given.
Questa poesia tratta il rapporto tra padre e figlio ed il conflitto generazionale
tra i due. L’autore ci presenta un padre freddo nei confronti del figlio-poeta, il
quale, nel momento in cui scrive la poesia, si trova in una fase della sua vita in
cui “volente o nolente” gli risalta alla mano la “scoria” di un tempo, ovvero ciò
che il padre gli diceva. Il confronto tra la poesia in italiano e la stessa in lingua
inglese ha rivelato differenti scelte lessicali, come ad esempio l’ “ascoltare me”,
viene reso più efficacemente con “hear”, che non vuol dire semplicemente ascoltare (ovvero listen to) bensì sentire, coprendo un ambito più profondo. “A distanza di tempo” è invece reso con “due time”, ovvero tempo debito. Gli altiforni
citati nel quarto verso, che rappresentano un silenzio assordante, sono un esempio di ossimoro, figura retorica che avvicina due termini tra loro in contrasto.
Nella conclusione, l’autore confessa che, quando raccoglie la scoria, è proprio la
mano che lui non ha mai allungato al padre, perché in conflitto, quella che gli
brucia: “la mano non data”.
Le tracce della memoria
Camminando tra sentieri notturni,
sentendo la brezza leggera del Nord
accarezzarmi i capelli,
io ricordavo la mia vita passata.
Nei deserti prati e nelle infinite
brughiere
Il mio cuore a lungo viaggia
E la mia mente evoca i mitici canti
Di popoli antichi.
Le danze veloci accanto al fuoco e il
Gusto dell’incantato idromele
Mi ritornano alla mente.
Nato tra i boschi dorati dove la luce
Vola nell’aria.
E tra le fronde dei salici
sempre sedevo
Ascoltando leggende remote.
In lontananza vedo ancora
Stendardi al vento.
Vedo cavalieri con armature lucenti,
odo il suono dei tamburi ed il rumore
dei corni frastuona ancora nell’aria.
Solo quando
Rivivrò
Questi momenti io sarò davvero
Felice.
(Nicola S. IPSIA “Ercole I d’Este” –
Ferrara)
28
Al termine dell’incontro, la classe ha voluto ‘rendere omaggio’ al poeta, presentandogli alcune sue poesie la cui traduzione dall’italiano all’inglese è stata
realizzata dagli studenti stessi:
Anche se non ho voce
Even if I have no voice
Anche se non ho voce
in capitolo, mi faccio sodale
dei lunghi giorni vissuti male.
Noi ci facciamo accadere.
Non ha senso valere,
non ha senso volere.
Even if I have no voice
in it, I become fellow
of the long days spent badly.
We make us happen.
There’s no meanimg in being worth,
no meaning in longing for.
Destino
Destiny
Al destino travestito da dio
quotidiani omaggi
faccio, occhietti
all’impossibile.
Come chi della vita
ha piene le tasche,
adoro sviolinare il vuoto.
To destiny disguised as God
daily compliments
I give, I blink
to the impossible.
Like the one who has had
enough of life,
I love flattering the empty space.
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Se svanita nei sogni, o volata nei
cieli, è riuscita a fuggire il tempo; ora,
chi come lei la poesia la incontra solo
così, per caso, si chiederà “Ma quanto
durerà questo suo esilio? Ed è volontario ? O avrà forse qualche pena da
scontare ?”
Non sarà per caso tra le sue righe la
risposta alle nostre domande?
E se si trovasse proprio qui, con noi,
tra noi.
Solo nella sua bolla incolore, dove i
giorni non passano e non scorrono lancette..
Risucchiata nell’occhio
O lei stessa, occhio del ciclone ?
Perché no, magari semplicemente è
stanca di ascoltarci attribuire alle sue
parole metafore e significati, o tacere
nomi, tacere le nostre storie, che in
quella direzione ci conducono….
Forse in groppa ad uno di quei cavalli verdi se ne fugge con un sorrisetto
un po’ maligno stampato sul viso…
E al diavolo le lune straniere, pensa. (Monica)
Un lavoro complesso e articolato è
stato prodotto nel 2004 da cinque classi del Liceo Ariosto che hanno letto le
opere di Carmine Abate, uno scrittore
di cultura arbëresche della comunità
albanese di Calabria, emigrato in Germania e ora residente in Trentino.
I testi Il ballo tondo, 1991; Il muro
dei muri, 1993; La moto di Scanderberg, 1999; Tra due mari, 2002 sono
stati analizzati sulla base di una serie
di chiavi di lettura.
Il tema della famiglia: ricostruzione
della struttura e analisi delle relazioni
tra i componenti; identità – migrazione: il rapporto con le radici e l’impatto
con la Germania; la struttura narrativa e il suo significato sul piano simbolico; gli ambienti e la loro caratterizzazione: il paesaggio naturale e costruito – gli interni e gli esterni, le strade,
il paese, la Germania; la cultura: la
lingua, le tradizioni familiari, la cucina, i riti; la cultura tra oralità e scrittura – i racconti orali, le rapsodie, le
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A volte perfino i mancati incontri
hanno saputo tramutarsi in occasioni
didattiche. È capitato nel 2006, quando all’incontro, previsto con tre classi
del Liceo Ariosto e due del Liceo
Carducci, la poetessa albanese Anilda
Ibrahimi non ha potuto partecipare;
la tristezza e la delusione sono state
stemperate mediante una appassionata discussione sulle sue poesie; al ritorno a scuola, una classe del “Carducci” è stata invitata dal docente, Alberto Melandri, a produrre un testo sul
tema “la misteriosa scomparsa di
Anilda Ibrahimi”:
dossier
leggende, i miti; microstoria e macrostoria della comunità albanese.
Gli studenti si sono avvicinati ai romanzi di Abate a seguito di accurate
ricerche bio-bibliografiche e della lettura di pagine critiche e hanno poi elaborato una propria analisi che ha messo in luce lo stile che conserva un legame profondo con la storia millenaria,
le tradizioni e i costumi della sua regione; la scrittura che mantiene il ritmo, l’armonia e le suggestioni delle
rapsodie e dei racconti popolari; l’alone fantastico, quasi mitico in cui sono
immersi gli avvenimenti e i personaggi.1
Nelle diverse edizioni del convegno
un ruolo interessante lo ha svolto il
teatro.
A partire da opere di scrittori migranti, alcune classi hanno prodotto
sceneggiature originali che hanno poi
rappresentato nelle giornate del convegno.
Un caso molto particolare di coinvolgimento totale è stato la performance
teatrale “And the city spoke”, ideata
da Jennifer Langer e Marta Niccolai,
affidata alla regia di Ernst Fisher, che
è stata protagonista dell’edizione del
2005.2
Lo spettacolo è nato da una collaborazione tra il Cies – Ferrara e l’associazione inglese “Exiled Writers Ink”,
all’interno di un progetto che prevede
l’incontro, lo scambio delle esperienze, ma anche della sensibilità e dei linguaggi, di otto scrittori migranti provenienti da diverse parti del mondo:
Cile, Afghanistan, Congo, Iran, Zimbabwe, Algeria, Camerun, Vietnam,
Eritrea; due scrittori ciascuno da Inghilterra, Polonia, Italia e Belgio. Gli
autori sono stati invitati a incontrarsi
e a portare, ciascuno attraverso la propria esperienza e nella propria lingua
di appartenenza, un contributo personale intorno al tema del rapporto tra
la città e l’esperienza, concreta o simbolica, della migranza. Ne è uscito un
testo letteralmente multilinguistico,
rappresentato per la prima volta a Londra, poi a Varsavia, e infine a Ferrara
all’interno del convegno.
In questa occasione alcuni studenti
hanno partecipato alla riscrittura del
testo in lingua italiana; altri hanno affiancato gli attori sul palcoscenico nel
ruolo di co-protagonisti e quasi “traduttori simultanei”. Un grosso lavoro
è stato svolto dall’insegnante Mara
Gessi e dai suoi studenti del corso di
grafica dell’Istituto “L.Einaudi” che
hanno realizzato per gli scenari una
bellissima opera moderna e surreale
che rappresenta la città, traendo ispirazione e suggestioni dalle architettu-
re di Biagio Rossetti agli spazi metafisici di De Chirico.
Reciproche
ricezioni
Questo è stato il tema dell’ultima
edizione del convegno, giocato su una
riflessione a proposito di come il rapporto tra scrittore e lettore si snodi
intorno ad una fitta rete di scambi e
inversioni di ruolo.
Nel discutere di questi temi abbiamo scorto come la questione sia più
che mai aperta. E ne ritroviamo conferma in larghi tratti dei nostri convegni durante i quali scrittori e studenti
(gli uni che ascoltano gli altri, reciprocamente investiti del ruolo di autori e
pubblico) riproducono ambigui quanto proficui intrecci comunicativi.
Riportiamo un caso emblematico:
nel 2006, una classe del Liceo “L.
Ariosto”, preparando l’incontro con la
poetessa Anilda Ibrahimi, si è interrogata sul concetto di poesia ed ha elaborato alcune definizioni presentate
poi al Convegno. Il poeta Alberto
Masala3 , in quel caso in veste di ascoltatore attento, ha immediatamente
preso il microfono e regalato all’uditorio una imprevista reazione poetica.
Riportiamo alcuni testi degli studenti
e la risposta del poeta.
“La poesia è un’arte che viene praticata da persone che hanno qualcosa
da dire al mondo e quel pensiero gli
parte dal cuore. A me è capitato solo
una volta di scrivere poesie perché in
quel periodo avevo troppi pensieri
brutti e non volevo parlarne con nessuno.” (Ina)
“La poesia è il modo dei forti di esprimere emozioni e sentimenti e mette-
1 La versione completa di questa attività didattica è stata pubblicata negli
atti del convegno (Ferrara 2003) disponibili anche in versione on-line sul sito
Vocidalsilenzio (http://www.comune.fe.
it/vocidalsilenzio/atti04espdidabate.htm)
2 Il testo completo, multilingue, dello spettacolo è stato pubblicato negli atti
del convegno (Ferrara 2005) disponibili
anche in versione on-line sul sito
Vocidalsilenzio (http://www.comune.fe.
it/vocidalsilenzio/atti05spoke.htm).
3 Alberto Masala è un poeta sardo di
lingua madre logudorese che, grazie alla
conoscenza di altre lingue (oltre l’italiano), si esprime in un personale ‘linguaggio di confine’. E’ stato più volte tra gli
ospiti del convegno. Il testo completo dei
suoi interventi è stato pubblicato sugli
atti del convegno (Ferrara 2006).
29
Alberto Masala
La poesia è ...
La poesia è ...
La poesia è ...
La poesia è ...
La poesia è ...
La poesia è ...
La poesia è ...
re a nudo la propria anima in modo
molto estroso.” (Alice)
“La poesia è un modo per esprimere
i propri sentimenti, forse non tanto per
farli vedere ad altri, ma a se stessi;
quando non riesci a capire ciò che hai
nel cuore, credo che attraverso una
poesia automaticamente riesci a dare
un significato a quello che scrivi.”
(Thiago)
La poesia è ...
La poesia è ...
La poesia è ...
PER SAPERNE DI PIÙ
Kovacevic Diska, L’orecchino di Zora, Eks&tra, 2007
Kubati Ron, M, Besa editrice, Nardò 2002
Kubati Ron, Va e non torna, Besa editrice, Nardò 2000
Kubati Ron, Il buio del mare, Giunti blu, Firenze, 2007
Kuruvilla G., Mubiyai I., Scego I., Wadia L., Pecore nere,
Laterza, Bari 2005 (antologia di racconti)
Kuruvilla Gabriella, Colf, Fernandel, Ravenna, 2007
Kuruvilla Gabriella, È la vita, dolcezza, Baldini Castoldi
Dalai, Milano, 2008
Lakhous Amara, Scontro di civiltà per un ascensore a
piazza Vittorio, e/o, Roma 2006
Lamri Tahar, I sessanta nomi dell’amore, Traccediverse,
Napoli, 2007
Lamsuni Mohammed, Il clandestino. L’Harmattan-Italia, Torino 2002
Lamsuni Mohammed, Porta Palazzo mon amour ,
Mangrovie, Napoli, 2006
Metref Karim, Tagliato per l’esilio, Mangrovie edizioni,
2008
Monteiro Martins Julio, La passione del vuoto, Besa editrice, Nardò 2003
Monteiro Martins Julio, Madrelingua, Besa editrice, Nardò
2005
Monteiro Martins Julio, Racconti italiani, Besa editrice,
Nardò 2000
Monteiro Martins Julio, L’amore scritto. Frammenti di
narrativa e brevi racconti sulle più svariate forme in cui si
presenta l’amore, Besa, Nardò, 2007
Mujcic Elvira, Al di là del caos, Infinito edizioni, 2007
ˇ
Ockayova
Jarmila, Occhio a Pinocchio, Cosmo Iannone
editore, Isernia 2006
30
○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
dossier
il canto dell’essenza.
la celebrazione del sacro che, a volte, non ha nemmeno
bisogno di dei.
lo sguardo diretto, la presa di responsabilità nei confronti delle stelle, del cosmo e delle parole sacre come
bellezza, amore, amicizia. Senza mediatori.
la voce che ti viene consegnata da una comunità perché
tu canti in suo nome, e così ti viene data una funzione
rappresentativa.
che loro stessi ti tolgono quella voce quando non sei
capace.
il trasporto della voce di chi non ha voce, di chi non sa
parlare o non può parlare.
il ponte sull’abisso che il poeta ha disceso, e su cui fa
camminare gli osservatori, i lettori, gli ascoltatori della
poesia: senza bisogno di scendervi, riescono a guardarlo, quell’abisso.
visione, è previsione, è narrazione, è esistenza.
il modo per non andare in galera o in manicomio, per
non essere punibili nel trasportare utopie, nel trasportare parole difficili da trasportare, rivoluzionarie... come
la parola amore. Nel trasportare alterità. Nel momento
in cui dicono che sei poeta non andrai in galera, non
sarai punito, perché sei autorizzato a essere differente,
diverso.
testimonianza che si può praticare l’utopia. Testimonianza
che si può praticare la singolarità. Testimonianza che si
può praticare la differenza, la diversità.
Oxman Alice, Una donna in più, Bompiani Milano 2000
Pakravan Amineh, Il libraio di Amsterdam, Marsilio, 2005
Portmann Susanne, Lasciando il bosco, Mangrovie, Napoli, 2007
Paraskeva Helene, Nell’uovo cosmico, Fara, Santarcangelo
di Romagna 2006
Salem Salwa ,Con il vento nei capelli , Giunti, Firenze
1993/2001
Scego Igiaba (a cura di), Italiani per vocazione . Antologia di scritture migranti, Edizioni Cadmo, Fiesole 2005
Scego Igiaba, La nomade che amava Hitchcock, Sinnos,
Roma 2003
Scego Igiaba, Rhoda, Sinnos, Roma 2004
Schneider Helga, Heike riprende a respirare, Salani 2008
Schneider Helga, Io, piccola ospite del Führer, Einaudi,
Torino 2006
Schneider Helga, L’usignolo dei Linke , Adelphi, Milano
2004
Schneider Helga, Lasciami andare madre, Adelphi, Milano 2001
Smari Abdel Malek, Fiamme in paradiso, Il Saggiatore,
Milano 2000
Spanjolli Artur, Cronaca di una vita in silenzio, Besa, Nardò
2003
Spanjolli Artur, Eduart, Besa editrice, Nardò 2005
Spanjolli Artur, L’accusa silenziosa, Edizioni dell’Arco, Milano, 2007
Stanisic
Bon voyage, Nuova Dimensione,
ˇ Bozidar,
ˇ
Portogruaro 2003.
Tawfik Younis., Il profugo, Bompiani, Milano 2006
Tawfik Younis., La città di Iram, Bompiani, Milano 2002
PER SAPERNE DI PIÙ
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dossier
Sulle tracce di Pinocchio
Un percorso di analisi comparata
La scelta del tempo narrativo
Gianluca Bocchinfuso
Le avventure di Pinocchio
Tutti, giovani e meno giovani, hanno letto e conoscono la storia di
Pinocchio, diventato - suo malgrado il burattino più famoso del mondo. Il
romanzo-fiaba di Collodi ha avuto da
subito fortuna di pubblico e di critica,
diventando nel corso dei decenni uno
dei libri italiani più letto e tradotto e
stimolando anche televisione e cinema: si pensi al famoso sceneggiato di
Luigi Comencini del 1971 con Nino
Manfredi, Gina Lollobrigida e al film del
2002 di Roberto Benigni con Carlo
Giuffrè.
Questo percorso è pensato per una
classe seconda di Scuola Media e non
ha come scopo quello di fare riflettere
in modo asettico sui contenuti delle
due opere - Le avventure di Pinocchio
di Carlo Collodi (1881) e Occhio a
ˇ
Pinocchio di Jarmila Ockayova
(2006)
- ma piuttosto quello di ragionare sui
diversi punti di vista, sulle tante storie possibili e narrabili, partendo proprio dalla storia originale raccontata
da Collodi in terza persona a quella
ˇ
pensata dalla Ockayova
e raccontata
in prima persona dallo stesso Pinocchio. Già da questa differenza - che
non è formale ma sostanziale - si
evince una fondamentale contrapposizione tra la visione dell’adulto (in
Collodi) che racconta con gli occhi del
bambino-burattino e del bambino-burattino (in Ockayovà) che racconta con
i propri occhi. Ovviamente, in entrambi
i libri, il protagonista della storia rimane sempre Pinocchio.
In un percorso di analisi comparata
tra questi due testi, la scelta del racconto in terza o in prima persona non
è solo, come dicevamo, un discorso
formale. Permette anche un lavoro di
analisi e riflessione su come cambia la
storia quando cambia il punto di vista
di chi la racconta.
ˇ
La Ockayova
vuole “ripulire” il
Pinocchio classico da tutti gli interventi
che, nel corso dei decenni, l’adulto “ha
fatto” su di lui, sovvertendo completamente il punto di vista del narratore. E sottolinea anche il non detto di
Collodi che permette di ragionare sulStrumentiCres ●
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È raccontato in terza persona con
quell’attacco “C’era una volta…”
classico della tradizione fiabesca e
del tempo del racconto di storie
passate. Collodi, durante la narrazione, non si lega a nessun personaggio e passa da un ambiente all’altro, raccontando la storia da più
punti angolazioni e focus, attraverso la voce di più personaggi.
le tante storie che, appunto, si possono raccontare.
Storie che recuperano e svelano altre realtà, stimolano un nuovo senso
critico e nuove forme di conoscenza.
Il tutto sul filo delle parole (“le parole
sono ponti” - “le parole non dette sono
ponti non costruiti” - “le parole non
capite sono ponti crollati”) che costruiscono sensi e significato, unendo luo-
Le avventure di Pinocchio
- C’era un volta…
- Un re! - diranno i miei piccoli
lettori.
- No, ragazzi, avete sbagliato.
C’era una volta un pezzo di legno.
Non era un pezzo di legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per
accendere il fuoco e per riscaldare
le stanze.
Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo
pezzo di legno capitò nella bottega
di un vecchio falegname, il quale
aveva nome mastr’Antonio, se non
che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo
naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura.
[…]
Occhio a Pinocchio
È raccontato in prima persona,
con la narratrice che si muove di
pari passo con il protagonista rappresentato: la Ockayovà non filtra
la storia attraverso altri personaggi, se non attraverso la visione del
protagonista che la racconta. Le
informazioni che noi abbiamo coincidono con quelle che Pinocchio racconta e che la scrittrice appunto
narra.
ghi, tempi, culture.
A questo proposito, si può pensare
ad un Laboratorio di scrittura creativa
di un “nuovo primo capitolo”, utilizzando i due incipit. Può servire anche per
motivare gli studenti e per farli sentire protagonisti delle due storie che
stanno per leggere, oltre che stimolarli a cercare il loro punto di vista per
una storia da raccontare.
Occhio a Pinocchio
Mi chiamo Pinocchio e voglio raccontarvi la mia storia. Raccontarvela dal mio punto di vista. Oh,
immagino ciò che state pensando
e credo convenga fare subito una
precisazione: il mio non è un caso
di antonomasia, né tantomeno di
furbizia da epigono che vuole attirare l’attenzione con altrui celebrità. Vorrei che fosse chiaro: io sono
Pinocchio. Quel Pinocchio, si.
Lo so, conoscete tutti la mia storia. Quella scritta oltre un secolo
fa da Carlo Lorenzini.
Collodi, appunto.
Che c’è da aggiungere, allora?
Da aggiungere forse poco, da togliere molto. Collodi ha raccontato
la mia storia come una storia va
raccontata ai bambini: scegliendo
di dire certe cose e di tacerne altre. […]
31
Il punto di vista
La lettura in circle time dei testi prodotti dagli studenti e l’estrapolazione
dei concetti-chiave emersi in ognuno
di loro permette di ragionare a classe
intera sul punto di vista.
Si ragiona, nei fatti, sul “come” il
punto di vista cambia una storia o un
racconto e s’intreccia con altri elementi
(l’ascolto, il confronto, l’accettazione,
la condivisione, l’identità, il vissuto, la
lingua, ecc.) che appartengono ad
ognuno di noi e cambiano da persona
a persona.
Dopo questa attività si ritorna ai due
testi. Di seguito alcuni esempi di utilizzo comparato.
L’ambiente
Le avventure di Pinocchio
Nel libro di Collodi, dall’inizio alla
fine, c’è una descrizione quasi
veristica del mondo contadino dell’Italia dell’Ottocento, intrisa ancora
di elementi risorgimentali. Un mondo semplice, di analfabeti e di valori sociali e politici condivisi, in cui
tutti conoscono tutto e tutti. Contadini, pescatori e artigiani che seguono ritmi di vita quotidiani, ordinari e monotoni.
Il realismo narrativo di Pinocchio
s’intreccia con tutti gli elementi
fiabeschi che rendono forte il carattere pedagogico del libro e che
s’inseriscono con naturalezza nell’ambiente quasi arcaico che anima tutti i personaggi di Pinocchio.
Così, in questi luoghi, si animano bambini, falegnami, osti, carabinieri, pescatori, imbroglioni, ma
anche (con tutte le caratteristiche
umane che Collodi abilmente presenta) burattini, grilli, gatti, volpi,
fatine, asini.
32
○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
dossier
Occhio a Pinocchio
ˇ
Nel libro della Ockayova
è centrale il bosco con la sua “anima
millenaria” e con tutti gli elementi
naturali e surreali che lo caratterizzano: i maestri Geppetto, Abete, Ciliegia, Pioppo, Platano, Castagno, Salice, Noce.
Dal bosco si parte e al bosco si
ritorna. Geppetto - racconta Pinocchio - all’inizio del libro è proprio
intento a intagliare il suo burattino
direttamente dal tronco dell’albero
perché “segare o spezzare un ramo
è come recidere il cordone ombelicale di un neonato”. E in quei momenti si leva la prima parola della
sua vita di burattino: - Babbo!.
È presente anche la città, ma con
tono minore, defilato - “Il mio primo impatto con la città non fu dei
migliori. Mi resi conto subito che la
città è un esperimento dell’uomo ben riuscito - di ridurre il mondo a
un perenne contrasto” - rispetto
alla grandezza significativa ed
evocativa del bosco che sfocia nella leggenda sulle origini del bosco.
La lingua
Le avventure di Pinocchio
Collodi esce dagli schematismi rigidi dell’italiano aulico, improponibili ad un ampio pubblico di
lettori e, conforme ai luoghi in cui
il romanzo è ambientato, utilizza
un registro linguistico volu-tamente
popolare, con frequente ricorso al
dialetto fiorentino o ad espressioni
tipicamente fiorentine come: “non
ne ho punto voglia”, “grullerello”,
“costì”, “gli è”, “il mi’ caro”, “il tu’
babbo”, “colla” (con la). Questo uso
della lingua porta ad un linguaggio
narrativo complessivamente colloquiale che lascia spazio anche all’uso di proverbi e di espressioni popolari - il naso lungo associato a
chi dice bugie (“Le bugie, ragazzo
mio, si riconoscono subito! Perché
ve ne sono di due specie: vi sono
le bugie che hanno le gambe corte, e le bugie che hanno il naso lungo: la tua per l’appunto è di quelle
che hanno il naso lungo” dice la
Fatina a Pinocchio); il paese dei Balocchi che indica un paese della
Cuccagna che si rivelerà diverso da
come si presenta immediatamente - che danno un gusto molto realistico e semplice all’intera storia,
anche quando ambienti e personaggi sono tipicamente fiabeschi.
Occhio a Pinocchio
Il Pinocchio della Ockayova
è depuˇ
rato da tutti i riferimenti linguistici e popolari presenti nella versione originale
di Collodi. L’operazione della scrittrice
slovacca è duplice: da un lato vuole fare
di Pinocchio un personaggio universale, decontestualizzato da un mondo specifico e per questo riconducile a qualsiasi mondo; dall’altro mette al centro la
parola in tutte le sue forme e significati, perché il suo Pinocchio cerca quelle
parole non dette da Collodi, si sforza di
creare ponti di significato tra la sua storia e quella conosciuta da tutti.
La parola è quindi la protagonista del
romanzo nella sua veste più propria:
strumento di racconto, di storie, di relazioni tra tempi e luoghi. Per questi
motivi, la lingua italiana usata dalla
scrittrice per bocca di Pinocchio è lineare e concreta, riscalda e fa pensare e
dà elementi riconoscibili che si muovono all’interno di una cornice di realismo
magico che la Ockayovà
costruisce dalˇ
l’inizio e non abbandona fino alla fine.
Grazie al prezioso strumento della parola e al suo utilizzo incantato.
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dossier
L’epilogo
Le avventure di Pinocchio
I personaggi
Le avventure di Pinocchio
I personaggi di Pinocchio, ad iniziare dal protagonista, hanno una
caratterizzazione ben precisa all’interno del romanzo di Collodi Pinocchio, il burattino-bambino
disubbidiente e bugiardo; Mangiafuoco, l’uomo burbero e irascibile; il gatto e la volpe, gli amici inaffidabili e imbroglioni; Lucignolo, il
ragazzo nullafacente e scapestrato; ecc. - e diventano strumento
per l’intreccio della storia attraverso situazioni, episodi, momenti.
Hanno un ruolo rigido e preciso
e si muovono in maniera chiara
all’interno della narrazione.
Occhio a Pinocchio
ˇ
Nel romanzo della Ockayova,
i
personaggi della storia principale
sono presenti, ma si muovono tutti
attorno al racconto che fa Pinocchio, al suo percorso di presa
di coscienza della sua condizione
e del suo “essere la mondo”.
I personaggi tradizionali fanno
da contorno e non sono più rigidi
come nel romanzo di Collodi, soprattutto si completano con altri
riferimenti “taciuti” da Collodi e
raccontati ora da Pinocchioˇ
Ockayova.
Abbiamo personaggi più sfumati e trattati in modo molto funzionale a quello che della storia originaria, secondo questo Pinocchio,
“era stato taciuto”.
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- E il mio babbo dov’è? - gridò
tutt’a un tratto: ed entrato nella
stanza accanto trovò il vecchio
Geppetto sano, arzillo e di buon
umore, come una volta, il quale,
avendo ripreso subito la sua professione d’intagliatore, stava appunto disegnando una bellissima
cornice ricca di fogliami, di fiori e
di testine di diversi animali.
- Levatemi una curiosità, babbino: ma come si spiega tutto questo cambiamento improvviso? - gli
domandò Pinocchio saltandogli al
collo e coprendolo di baci.
- Questo improvviso cambiamento in casa nostra è tutto merito tuo
- disse Geppetto.
- Perché merito mio?...
- Perché quando i ragazzi, di cattivi diventano buoni, hanno la virtù di far prendere un aspetto nuovo e sorridente anche all’interno
delle loro famiglie.
- E il vecchio Pinocchio di legno
dove si sarà nascosto?
- Eccolo là - rispose Geppetto: e
gli accennò un grosso burattino appoggiato a una seggiola, col capo
girato sur una parte, con le braccia ciondoloni e con le gambe
incrocicchiate e ripiegate a mezzo,
da parere un miracolo se stava ritto.
Pinocchio si voltò a guardarlo; e
dopo che l’ebbe guardato un poco,
disse dentro di sé con grandissima
compiacenza:
- Com’ero buffo, quand’ero un
burattino! E come ora son contento di esser diventato un ragazzino
perbene!...
I due finali sono molto diversi per
atmosfera e ritmo narrativo.
Nel Pinocchio di Collodi, la serenità
prende sia Geppetto (tranquillo e tornato al suo lavoro di sempre) e lo stesso Pinocchio, ormai bambino che,
guardando il Pinocchio-burattino, ammette di essere felice col suo babbo e
non rimpiange il tempo in cui, cattivo
e scansafatiche, era ancora di legno.
È una gioia molto familiare, intima,
vissuta e condivisa tra i due che lasciano alle loro spalle tutte le vicende
- anche tristi e drammatiche - accadute.
ˇ
Il finale della Ockayova
è denso di
Occhio a Pinocchio
L’ultimo burattino senza fili, sognatore irriducibile che credeva ancora nella magia, nella scintilla divina dentro l’uomo e nell’amore,
gemeva nel budello del casotto del
pescecane e le sue lacrime a poco
a poco spegnevano la corda di luce
che lo teneva legato al sole.
[…]
Allora, pur se col respiro corto e
lo sguardo appannato, Pinocchio si
levò sui gomiti e, sorretto in quella
postura da Stoppino, guardò nella
direzione della bocca serrata del
casotto pescecane. E guardò oltre
la bocca serrata, guardò tendendosi tutto verso quello spazio infinito, guardò spalancandosi a quello spazio. E si sforzò di sperare, e
di sperare ancora.
E mentre i muscoli delle braccia
gli tremavano dalla debolezza e gli
occhi bruciavano dalla calura e il
cuore perdeva colpi per troppa
stanchezza e troppa solitudine e la
catena gli premeva sulla nuca e il
collare pesava come se avesse attorno al collo l’intera circonvallazione che correva lungo il perimetro della città, con un filo di voce
domandò:
- Il futuro… esiste il futuro?
Poi gli mancarono le forze e si
accasciò. E si aggrappò all’unica
cosa che gli restava: la sua immaginazione.
Dal cuore del bosco, proprio dal
suo punto centrale, si levò in volo
il Grande Falco e puntò dritto verso il pianoro del casotto pescecane.
pathos e di umana sofferenza che dal
protagonista si allarga a tutto lo scenario descritto, lasciando volutamente
uno spazio di non detto, di sospeso Il futuro…esiste il futuro? - che dà ancora una volta il senso del percorso di
autocoscienza e di consapevolezza che
anima questo Pinocchio e che non si è
ancora “concluso”.
Eravamo partiti dal bosco e con il
bosco concludiamo: con l’elemento
naturale inanimato che incrocia quello animato del Grande Falco che - personaggio tra tutti gli altri personaggi
classici della fiaba - compie l’ultimo gesto.
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Conclusioni
È la prima volta che uno scrittore
migrante - in questo caso una scrittrice di origine slovacca - si misura con
un classico della lingua italiana, letto,
riletto e tradotto, come il Pinocchio di
Collodi.
Questa operazione narrativa non ha
solo un significato letterario in senso
stretto, ma s’inserisce all’interno della nuova cornice culturale stimolata nel
nostro paese dall’arrivo di scrittori provenienti da altri paesi e dalla pubblicazioni dei loro testi - di poesia e di
narrativa - in lingua italiana.
Il Pinocchio di Collodi e quello della
ˇ
Ockayova
permettono molti spunti didattici - e questa sintetica proposta ne
è un esempio - e servono anche per
capire quali direzioni può prendere un
personaggio letterario a distanza di
oltre un secolo, in un contesto sociale, culturale, linguistico completamente mutato, come quello italiano di oggi.
Biografia Carlo Lorenzini (detto
Collodi)
Carlo Lorenzini, più noto con lo pseudonimo di Collodi (dal nome del paese
natale della madre), nasce a Firenze il
24 novembre 1826.
Primogenito di una numerosa e
sventurata famiglia (dei dieci figli, sei
muoiono in tenera età). Malgrado il
carattere propenso all’insubordinazione, viene avviato agli studi ecclesiastici. Quando un fratello diventa dirigente nella Manifattura Ginori, la famiglia acquista finalmente un po’ di
agiatezza. Nel 1848, partecipa come
volontario alla Prima Guerra d’Indipendenza nelle file dei mazziniani. Nell’estate dello stesso anno fonda il quotidiano di satira politica “Il Lampione”,
ben presto soppresso dalla censura.
Nel ’59, spinto dagli ideali del patriottismo, partecipa alla Seconda Guerra
d’Indipendenza.
Collodi, scrittore dal carattere spiritoso, versatile, da taluni considerato
molto pigro, collabora, fino al 1875, a
numerosi giornali; scrive pure romanzi e drammi teatrali, nessuno dei quali
però di particolare valore creativo.
Il primo testo dedicato all’infanzia è
del 1876: “I racconti delle fate”, splendide traduzioni di fiabe francesi. La
vera notorietà di Collodi arriva, però,
con la pubblicazione del romanzo “Le
avventure di Pinocchio”. L’opera è stata
pubblicata in 187 edizioni e tradotta
in 260 lingue o dialetti. Prima di aver
goduto del meritato successo, Carlo
Collodi muore, improvvisamente, il 26
ottobre 1890 a Firenze.
34
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dossier
ˇ
Biografia di Jarmila Ockayova
È nata in Slovacchia e vive in Italia
dal 1974.
Ha pubblicato, molto giovane, racconti e poesie su diverse riviste e antologie della nuova narrativa e poesia
dell’ex Cecoslovacchia.
In Italia, oltre a numerosi racconti e
saggi, ha pubblicato tre romanzi: Verrà
la vita e avrà i tuoi occhi (Baldini e
Castoldi, 1995), L’essenziale è invisibile agli occhi (Baldini e Castoldi),
Requiem per tre padri (Baldini e
Castoldi, 1998). Ha curato anche il
saggio introduttivo e la traduzione di
antiche fiabe slovacche pubblicate da
Sellerio con il titolo Il re del tempo.
Occhio a Pinocchio è stato pubblicato
nel 2006 da Cosmo Iannone Editore
nella collana Kumacreola, Scritture
migranti curata da Armando Gnisci.
PER SAPERNE DI PIÙ
Tawfik Younis., La straniera ,
Bompiani, Milano 2000
Vorpsi Ornela, Il paese dove non si
muore mai, Einaudi, Torino 2005
Vorpsi Ornela, La mano che non
mordi, Einaudi, Torino, 2007
Wadia Laila (a cura di), Mondopentola, Cosmo Iannone editore, Isernia,
2007
Wadia Laila, Amiche per la pelle,
edizioni e/o, Roma 2007
Wadia Laila, Il burattinaio e altre
storie extra-italiane, Cosmo Iannone
editore, Isernia 2004
Wakkas Yousef, Fogli sbarrati, Edizioni Eks&tra 2002
Wakkas Yousef, L’uomo parlante,
Dell’Arco edizioni, 2007
Wakkas Yousef, La talpa nel soffitto, Dell’Arco Edizioni, 2005
Wakkas Yousef, Terra mobile. Racconti, Cosmo Iannone editore, Isernia
2004
Zarmandili Bijan., L’estate è crudele, ,Feltrinelli, Milano 2007
Zarmandili Bijan., La grande casa
di Monirrieh, Feltrinelli, Milano 2004
Ziarati Hamid., Salam, maman,
Einaudi, Torino 2006
Zura Lukaniæ, Le lezioni di Selma,
Libribianchi, Milano, 2007
Narrativa per ragazzi
Aziz Fuad, Ballerina colorata, Edizioni Cultura-globale, San Giovanni
al Natisone (UD) 2007
Bakolo Ngoi Paul, Chi ha mai sentito russare una banana? , Fabbri,
Milano 2007
Caldas Brito Christiana (de), La storia di Adelaide e Marco. Edizioni Il
Grappolo, Mercato San Severino 2000
Negrin Fabian, Il mondo invisibile
e altri racconti , Orecchio Acerbo,
Roma 2004
Rigallo D. e Sasso D., Parole di
Babele. Percorsi didattici sulla letteratura dell’immigrazione , Torino,
Loescher, 2002
Scego Igiaba, La nomade che amava Alfred Hitchcock , Sinnos, Roma
2003
Schneider Helga, L’albero di
Goethe, Mursia, Milano 2004
Schneider Helga, Stelle di cannella, Salani, Milano, 2002
Stefancich G. e Cardellicchio P.,
Stranieri di carta, Bologna, EMI, 2005
Poesia
Boldis Viorel, Da solo nella fossa
comune, Gedit edizioni, 2006
Butcovan Mihai Mircea, Borgo Farfalla, Eks&tra 2006
Crispim Da Costa Rosana, Desejo. Edizioni Eks&Tra 2006
Hajdari Gëzim, Antologia della
pioggia Fara editore, 2000
Hajdari Gëzim, Erbamara Barihidhur, Fara editore, 2001
Hajdari Gëzim, Maldiluna Dhimbjehëne ,Besa editrice, Nardò 2005
Hajdari Gëzim, Spine nere Gjëmba
të zinj, Besa editrice, Nardò 2004
Hajdari Gëzim, Stigmate/Vragë.
Poesie, Besa editrice, Nardò 2002
Hajdari Gëzim, Peligorga, Besa,
Nardò, 2007
Ndjock Ngana Yogo, Màébá. Dialoghi con mia figlia, Associazione Kel
‘Lam, Roma 2005
Oliveira Heleno, Se fosse vera la
notte, Zone editrice 2003
Quaderno Balcanico II, Albania,
Bosnia, Croazia, Collana “Cittadini
della poesia”, Loggia de’ Lanzi, Firenze 2000
Quaderno Mediorentale II, Iran,
Collana “Cittadini della poesia”, Loggia de’ Lanzi, Firenze 2000
Theophilo Marcia, Amazzonia Madre d’acqua, Passigli Editore, 2007
Theophilo Marcia, Amazzonia Respiro del Mondo, Passigli Editore,
Bagni a Ripoli, 2005
Theophilo Marcia, Foresta mio dizionario, ed. Tracce, Pescara, 2003
Theophilo Marcia, Kupahùba, ed.
Tallone, Alpignano, 2000
Vos Arnold (de), Merore o Un amore senza impiego , Cosmo Iannone,
Isernia 2005
PER SAPERNE DI PIÙ
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dossier
Danza e/è Poesia migrante
Rosa Tapia
Scrivere della mia arte non è consueto. La danza si fa, è l’arte dell’agire, esiste soltanto nel breve istante in
cui “si danza”. E’ un sentimento, un
pensiero che affiora e prende forma
nel corpo, mai gratuito. A volte scomodo, brutto, inatteso come la vita
stessa. Quando nel 1989 sono venuta
in Italia (ho sposato un uomo italiano
e carica d’amore sono arrivata d’autunno) avevo deciso che da allora la
danza, che era stata il tratto caratteristico della mia vita, sarebbe rimasta
in me soltanto come un ricordo.
Una volta qui mi sono scoperta “immigrante” che parafrasando vuol dire:
ricominciare da capo. Imparare a parlare, a camminare, a spostarsi da soli,
spesso in solitudine; poi, trovare un
lavoro, uno spazio proprio, ricostruire
un mondo di amicizie e interessi. Insomma, ridare senso alla propria vita.
Inseguendo quest’obbiettivo, inquieta ed entusiasta, mi sono iscritta all’Università e nel 1998 mi sono laureata in lingua e letteratura spagnola,
ero decisa a diventare un’insegnante.
Durante gli anni all’università ho letto tutto quanto potevo, cercavo di scoprire fra le pagine le coordinate per
decifrare questo mondo duro ma affascinante. Le mie letture poco a poco
mi hanno portata verso gli autori
latinoamericani e così, cercando l’Europa ho scoperto la mia America Latina. Ecco chi ero io! Era lì la mia storia,
il mio passato. Appartenevo ad un
mondo “magico”, ad un popolo di contrasti con una storia insanguinata; fatta di conquistatori, dittatori, uomini
contro, donne che resistono, che lottano. Allora, affascinata, ho deciso che
avrei dedicato la mia vita alla letteratura!… Ma le passioni riaffiorano, non
riescono a rimanere rinchiuse nella
memoria, la mia passione per la danza si presentava nei sogni e in uno strano senso d’incompiutezza, di malinconia.
La danza in verità non l’avevo lasciato del tutto: dovevo lavorare, volevo
* Danzatrice, compagnia di danza
“Sullasoglia”
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lavorare… non sapendo fare altro avevo comunque cominciato a insegnare: “balli latinoamericani”. Sì, perché
cercando lavoro spiegavo di essere una
“danzatrice” e immediatamente i miei
interlocutori traducevano: ah! “balli
latinoamericani”… All’inizio volevo spiegare: - non era così, -avevo studiato
“danza”, - le danze popolari sì, ero
capace, ma… Poi sconfitta dicevo: sì,
sì “latinoamericani”. Era quello lo spazio che mi apparteneva? La danza contemporanea sembrava lontana, improbabile. Nello sguardo dell’altro non riconoscevo il mio riflesso. Comunque i
balli latinoamericani mi divertivano
tanto e ancora una volta mi legavano
alle mie origini. Mi hanno permesso di
leggere il mio continente attraverso la
musica e il movimento, di avvicinarmi
alla espressione forte e vitale di un
popolo meticcio. Ancora una volta
l’America Latina si presentava spiegandomi chi ero, dando senso rinnovato a ciò che facevo.
Non sempre siamo in grado di capire il momento in cui sta iniziando una
nuova tappa della nostra vita. La svolta
per la mia vita non è stato un particolare “corso” o un “evento coinvolgente”, ma l’incontro con alcune donne.
Sono stata attratta dall’intensità che
traspirano persone come Giovanna
Covi, Maria Rosa Mura, e per la danza
Antonella Bertoni, Mi piacciono le persone che cercano in fondo alle cose,
che sono il proprio pensiero, senza bisogno di “trucco”. Sono state loro,
ognuna in modo diverso e unico, a diventare determinanti per ciò che adesso è la mia vita. L’occasione si è presentata tramite un invito di Giovanna
Covi e Maria Rosa Mura a partecipare
alla scuola estiva “Raccontar(si)”
Genere, diversità, culture - 2004,
organizzata a Prato dalla SIL “Società
Italiana delle Letterate” e da “Il Giardino dei Ciliegi” in intesa con l’Università di Firenze. In questo crocevia al
femminile ho conosciuto Lidia Palazzolo, immigrante, latinoamericana,
poetessa. A noi due è stato chiesto per
l’appuntamento di Prato di “raccontarci
attraverso la nostra arte”. [!!!]. Incredibile, per la prima volta lo specchio
cominciava a riflettere l’immagine che
avevo di me stessa. Per la prima volta
Giovanna e Maria Rosa avevano visto
quell’altra parte di me gelosamente nascosta, velata dalla timidezza e il rispetto per l’arte stessa. Nel tepore di
questa fiducia e quasi protetta da loro,
io Rosa Tapia, amante delle sfide, mi
sono lanciata, senza misurare le conseguenze. E’ stata una settimana intensa di studio arte e condivisioni
d’esperienze al femminile. Una settimana d’incontri e soprattutto la settimana della riconciliazione con me stessa. Con quell’altra parte di me lasciata in sospeso.
Con Lidia fin dall’inizio è nata una
lieta amicizia che ci ha aiutato a inventare uno spettacolo di danza/poesia. L’intesa è arrivata senza forzature,
in una complicità giocosa che ci portava a ricomporre il nostro passato
diverso e simile; l’arte ci offriva la possibilità, per tanti “immigrati” negata,
d’essere anche qui ciò che avevamo
previsto di essere nella nostra terra
d’origine. L’arte ci permetteva di nobilitare la nostra storia di “persone
comuni” e così facendo dare forma/
voce a un corpo plurale: “le straniere”. Un corpo, per l’appunto, tante
volte estraneo a noi stesse, che però
rappresenta nello stesso tempo la nostra realtà quotidiana. Per questo abbiamo chiamato la nostra performan-
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ce: “Straniere a noi stesse”
Il verso della poesia di Lidia è corto,
asciutto, tagliente, sicuramente disadorno, così doveva essere anche la
danza. Danzare una poesia è far aderire alla propria pelle la parola dell’altro, condividerne profondamente il
pensiero.
La mia è una danza che in ogni gesto, in ogni movimento cerca l’autenticità. Non è la danza della giovanissima donna appena arrivata dall’Ecuador. Anche qui gli anni trascorsi in Italia mi avevano cambiata profondamente. Soprattutto perché strada facendo
ho incontrato Antonella Bertoni, e
quindi il Teatro Danza. Lei è senz’altro
una delle figure più importanti della
danza italiana; Antonella vive e lavora in Trentino e io da anni seguo la
sua scia e ho la fortuna di allenarmi
regolarmente con lei. Dopo una lunga
pausa è stata lei a ridarmi fiducia nel
mio movimento. Ma prima ancora mi
ha ri/dato gli strumenti tecnici. Perché la danza è una disciplina difficile,
a volte dolorosa, che coinvolge l’inte-
1. A., V., Anime in viaggio, Edizioni Eks&tra 2002
2. A., V., Il doppio sguardo, culture allo specchio, adnkronos Libri 2002
3. A., V., Pace in parole migranti,
Besa editore, Nardò 2002
4. A., V., Impronte. Scritture dal
mondo, Besa editrice, Nardò 2003
5. A., V., La seconda pelle, Eks&tra
editore 2004
SITI WEB
www.disp.let.uniroma1.it/
kuma/narrativa rivista on line di letteratura della migrazione all’interno
del sito dell’Università La Sapienza
di Roma. Comprende anche sezioni
su cinema e teatro. Si possono scaricare poesie, racconti, recensioni e
studi critici.
www.eksetra.net sito del Premio letterario Eks&tra, con notizie sul
premio e altri eventi riguardanti scrittori migranti. Si possono scaricare testi sulla letteratura della migrazione,
molti racconti e poesie, si possono
ordinare libri.
www.el-ghibli.provincia.bolo
gna.it rivista on line di letteratura
della migrazione, diretta da Pap
Khouma. Si possono scaricare racconti, poesie, saggi. Interessante la
rubrica “Generazione che sale” aperta
a ragazzi stranieri e italiani e la se-
36
ro essere, tanto più affascinante quanto più intenso è il coinvolgimento. La
danza non ammette pause e quindi
ricominciare, mettere nuovamente i
piedi sul palcoscenico con la pretesa
di “comunicare” di “fare arte”, è stato
difficile. Ma non ero più da sola e questo ha fatto la differenza.
L’incontro con Lidia non è stato “casuale”, attraverso la sua poesia la letteratura che credevo distante dalla
danza riaffiorava nella mia arte. La
parola si faceva sentimento, gesto,
movimento. Letteratura e danza trovavano unicità nella mia espressione.
Questo è stato il primo approccio a una
lunga serie d’incontri con altri autori,
soprattutto di letteratura “migrante”,
ma non solo.
E’ stimolante lo sguardo di chi rimane “sulla soglia”, fra due mondi; che
non vuol dire rimanere in disparte,
senza un punto di vista, ma invece
abitare uno spazio altro che non può
essere ne qua ne là, uno spazio intellettuale, artistico, vertiginosamente contemporaneo, guadagnato gior-
PER SAPERNE DI PIÙ
Antologie Premio Eks&tra
○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
dossier
zione di traduzione di testi di autori
che vivono all’estero e vogliono dialogare con gli scrittori italiani.
www.sagarana.net rivista on line
curata da Julio Monteiro Martins, anche lui scrittore migrante, molto ricca di articoli e testi su scrittori (e non
solo) di tutto il mondo. Interessanti
gli Atti dei Seminari scrittori migranti.
www.comune.fe.it/vocidalsi
lenzio Sul sito si trovano i materiali
riguardanti alcuni Convegni organizzati da un’associazione di Ferrara con
il coinvolgimento di molte classi della città, che dopo aver lavorato sui
testi di autori migranti hanno poi potuto incontrare gli autori.
www.letteranza.org vi si trovano schede bio-bibliografiche degli autori, recensioni, interviste, documenti
sonori…
www.miscia.com/christiana
sito di Christiana de Caldas Brito
www.carmineabate.it sito di
Carmine Abate
www.kossi-komlaebri.net sito
di Kossi Komla-Ebri
www.theophilo-amazonia-epoesia.info sito di Marcia Theophilo
www.helgaschneider.com/ sito
di Helga Schneider
www.alessandroghebreigziabi
her.it sito di Alessandro Ghebreigziabiher
no dopo giorno. Sottile come la soglia.
Uno spazio tutto da inventare, forse
proprio per questo profondamente
umano.
Tornare al ricordo di ciò che è stato
per me la danza nel mio paese non mi
fa più male. Il ricordo ha il gusto dei
tanti pomeriggi a scuola, il suono delle musiche dei nastri magnetici che
giravano su grosse bobine, il rumore
costante degli strumenti degli allievi
che invece studiavano musica (perché
la scuola di Danza faceva parte del
Conservatorio di Musica della mia città, Cuenca). Il ricordo profuma della
mia maestra spagnola, Osmara de
Leon, dell’emozione dei saggi a teatro
e poi, nei miei ultimi anni, dell’intensità del lavoro come professionista
prima con la compagnia di teatro per
ragazzi “La Casa Loca” e poi nella
“Compagnia Nazionale di Danza Contemporanea dell’Ecuador”. Ricordare è
un atto che coinvolge tutti i miei sensi
e si mescola con un pizzico di nostalgia.
Oggi continuo a percorrere questa
strada, ma la danza ha sapore di mondo. Dopo “Straniere a noi stesse”, assieme a Lidia (Argentina), ci sono stati tanti altri lavori: “Ma la Terra dimentica”, 2004, con testi di Tahar Ben
Jelloun (Marocco) tratti dal libro “Jenin,
un campo palestinese”; “Caminante”,
2005, assieme al danzatore basco Iosu
Lezameta e con poesia di G. Hajdari
(Albania), B. Stanisic (Bosnia), I.
Sarajlic (Bosnia), per il Festival della
Letteratura Migrante “Il Gioco degli
Specchi”; “Isole di Memoria”, 2006
asieme alle danzatrici Gabriella Venturi e Claudia Petroni, tratto da due
racconti, “L’equilibrista” di Christiana
di Caldas Brito (Brasile) e “El Hombre
che llega bajo la lluvia “ di Gabriel
García Márquez (Colombia), per il
Festival di TeatroDanza “AlpsMove” di
Bolzano e Merano (con lo stesso lavoro abbiamo partecipato al Festival “Il
Gioco degli Specchi” edizione 2007);
“Le donne che mi abitano”, 2008 con
scenografia di Renata Mariotti, artista
Trentina., lavoro nel quale per la prima volta utilizzo la voce, interpretando diversi personaggi femminili. In
questo momento sto preparando “Un
sacco di libri”, uno spettacolo per bambini con testi di Ron Kubati (Allbania),
Carmine Abate (arbëreshe -cioè italoalbanese- Italia), M. Rosa Cutrufelli
(Italia) e Isabel Allende (Cile).
Mi riconosco in questa voce plurale,
migrante, meticcia che trascende le
frontiere per costruire una patria universale degli uomini. La danza è affascinante proprio quando riesce a dare
forma alle tante intensità dell’essere
umano.
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TESTI DI SUPPORTO
Scrivere tra le lingue
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RUBRICHE
dossier
Steven G. Kellman
Città aperta edizioni, Collana Nuovo Planetario, Troina 2007, traduzione di Franca Sinopoli
a cura di Anna Di Sapio
Da tempo il Cres si occupa di Letteratura e intercultura e spesso nei nostri percorsi di studio e di ricerca abbiamo incontrato autori che utilizzano
per le loro opere una lingua diversa dalla madrelingua, un fenomeno che non
riguarda soltanto gli scrittori provenienti dai mondi colonizzati, che adottano la lingua dell’ex colonizzatore, ma
anche scrittori europei. I più celebri
translingui del Novecento sono Samuel
Beckett, Joseph Conrad, Vladimir
Nabokov, ma la lista è lunga e gli esempi tanti.
Il comparatista statunitense Steven
Kellman, in questo studio monografico,
analizza appunto il fenomeno della letteratura translingue nella seconda metà
del ‘900, cercando di definirlo ed esemplificandolo attraverso autori e opere,
anche di epoche più lontane. Le transazioni translingui non sono un fenomeno nuovo, si sono verificate spesso
nell’arco della storia letteraria – scrive
Kellman – eppure non è mai stato scritto nulla sul fenomeno del translinguismo letterario in quanto tale. Dunque il suo testo tende a colmare una lacuna. Un compito immane che ovviamente non pretende di essere completo.
Contrariamente a quanto sosteneva
George Bernard Shaw che “Nessun
uomo perfettamente padrone della propria lingua riesce a dominarne una straniera” molti sono gli scrittori, distribuiti su tutto il globo, che scrivono in una
lingua diversa da quella materna. E il
fenomeno non è certo recente: Garcilaso de la Vega scrive il suo capolavoro, Comentarios reales , in spagnolo
anziché nella madrelingua quechua,
Seneca, Quintiliano, Marziale, Lucano
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pur venendo dalla Spagna adottano la
lingua di Roma, così pure Ausonio che
proveniva dalla Gallia, o Apuleio,
Terenzio, Agostino, originari dell’Africa.
Il translinguismo è sempre esistito
ma è nel XX secolo che si afferma in
modo consistente a seguito del fenomeno planetario delle migrazioni.
Volendo stabilire una tassonomia del
translinguismo letterario occorrerebbe
distinguere tra ambilingui, autori che
hanno scritto opere rilevanti in più di
una lingua, e i translingui monolingui,
coloro che hanno scritto in una sola lingua ma diversa dalla lingua madre. L’indiana Kamala Das usa una lingua diversa a seconda del genere letterario: il
malayalam (lingua madre) per i romanzi, l’inglese per la poesia; tra i translingui monolingui troviamo Conrad (dal
polacco all’inglese passando per il francese), Elena Poniatowska (dal francese
allo spagnolo), Wole Soyinka (dallo
yoruba all’inglese), Nikolai Gogol
(dall’ucraino al russo), Kazuo Ishiguro
(dal giapponese all’inglese), Salman
Rushdie (dall’urdu all’inglese), Léopold
Senghor (dal wolof al francese), Elias
Canetti (dopo il giudeo-spagnolo, il
bulgaro e l’inglese approda al tedesco)
e si potrebbe continuare...
Può capitare che gli autori translingui
adottino nomi diversi a sottolineare la
nuova identità acquisita attraverso la
lingua. Kamala Das scrive poesia in inglese con il proprio nome e narrativa in
malayalam con lo pseudonimo di Madhavikutti, il rumeno Paul Antschel diventa Paul Celan quando inizia a comporre versi in tedesco, Shmuel Yosef
Czaczkes diventa S.Y. Agnon quando
abbandona l’yiddish per l’ebraico, il
keniota Ngugi Wa Thiong’o prima di
tornare alla sua lingua madre, il kikuyu,
scriveva in inglese col nome di James
Ngugi.
Usare un’altra lingua permette di sottrarsi alla “tirannide di una struttura
sintattica particolare” costringe a non
dare per scontata neppure una sola parola, permette di distanziarsi, offre
un’illusione di libertà mentre l’uso costante della lingua madre automatizza
la scrittura, riduce le parole a formule
povere di forza espressiva. In questo
senso – sostiene Kellman – gli scrittori
translingui rappresentano un esempio
di quello “straniamento” di cui parlavano i formalisti russi (che lo ritenevano come la qualità distintiva di tutta la
letteratura d’immaginazione) e sono le
truppe d’assalto della letteratura moderna e i movimenti di avanguardia, che
hanno sottolineato l’inadeguatezza e la
falsità del linguaggio convenzionale.
Spostandosi da una lingua all’altra i
translingui condividono il genio di ogni
sistema linguistico senza soccombere
alla sua tirannia, diventano intermediari e spesso eccellenti traduttori.
Una ricerca in campo neurolinguistico – ricorda Kellman – ha verificato
nei translingui “flessibilità cognitiva”,
“tolleranza per l’ambiguità”, “grande
consapevolezza della relatività delle
cose”, qualità queste che risultano essere tra le più apprezzate nella letteratura moderna. Ma convivere con due o
più lingue può anche creare un senso
di spaesamento. “Due lingue, due terre, forse due anime... Sono un uomo o
due strane metà di uno?” si chiede il
poeta Joseph Tusiani, emigrato dall’Italia agli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale.
Nella parte centrale del testo Kellman
affronta, a titolo esemplificativo, l’ Africa translingue nel suo complesso e
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Steve G. Kellman
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quattro autori: J.M. Coetzee, Vladimir
Nabokov, Eva Hoffman, Louis Begley.
L’Africa, ricca di un migliaio di lingue locali oltre alle lingue europee, eredità del colonialismo, all’arabo, a varie
lingue creole e pidgin, è uno straordinario laboratorio per osservare il fenomeno del translinguismo. Lungo è
l’elenco degli autori africani translingui:
Chinua Achebe, Ama Ata Aidoo, Rachid
Boujedra, Breyten Breytenbach, André
Brink, Buchi Emecheta, Nuruddin
Farah, Abdelkébir Khatibi, Gabriel
Okara, Wole Soyinka... E’ il colonialismo, con il suo dominio non solo a
livello economico e politico ma anche
culturale, che spiega gran parte del
translinguismo del continente, per cui
molta della sua letteratura è scritta in
inglese, francese, portoghese piuttosto
che in xhosa, hausa o dinka.
Il translinguismo africano risente
degli squilibri di potere, politici, economici, culturali. Le condizioni storiche
hanno creato in Africa una situazione
in cui convivono piccole élite educate
alle lingue europee e le masse che parlano diverse lingue locali senza scriverne alcune. Per rivolgersi alla propria
gente lo scrittore africano deve ricorrere agli strumenti orali del teatro e della
poesia utilizzando la lingua locale, ma
per essere riconosciuto a livello internazionale non può che scrivere romanzi e poesie in lingue europee che gli consentono anche un più facile accesso agli
editori. I translingui africani devono
quindi muoversi tra sistemi linguistici
radicalmente diversi.
Una lingua non è solo uno strumento, esprime una cultura, una sensibilità, una visione del mondo. Il translinguismo “coinvolge e allo stesso tempo libera, poiché rende il poliglotta capace di trascendere il modello di ogni
singola lingua.”.
Chiuna Achebe, di lingua ibo, che utilizza l’inglese come strumento letterario sostiene che l’inglese è abbastanza
malleabile per sostenere il peso della
sua esperienza africana. “Ma dovrà essere un nuovo inglese, ancora in piena
sintonia con la sua dimora ancestrale
ma alterato per adattarsi al nuovo ambiente africano”. Infatti nel suo primo
romanzo Things Fall Apart il protagonista Okonkwo utilizza frasi in inglese
ma si tratta di un inglese che simula il
modo di parlare ibo. Abdelkébir Khatibi
in Amour bilingue usa il francese, ma è
un francese che evidenzia i legami, le
collusione esistenti tra francese e arabo, perché il translinguismo non è mai
completo, nel passaggio da una lingua
all’altra la seconda conserva tracce e
calchi, espliciti o impliciti, della precedente.
Il sudafricano Breyten Breytenbach,
imprigionato e condannato per aver
sposato una giovane vietnamita con-
travvenendo al Mixed Marriage Act, per
il quale i matrimoni interrazziali erano
proibiti, è un altro autore translingue.
Dopo aver scritto poesie nella sua lingua madre l’afrikaans passa all’inglese
per esprimere il suo ripudio della lingua del regime dell’apartheid. Breytenbach dedica Ritorno in paradiso (romanzo autobiografico del 1993 che descrive il suo viaggio nel Sudafrica del
post apartheid) ad un altro translingue,
Uys Krige che scriveva sia in afrikaans
che in inglese e traduceva dall’inglese,
dal francese, dall’italiano,1 dal portoghese, dallo spagnolo. Krige sostiene
che imparando la lingua di un altro
uomo in un certo senso ci si duplica, si
assume una seconda natura o personalità, si arriva a pensare e a sentire come
lui, “allarghi la tua sfera di coscienza,
aumenti la tua consapevolezza, accresci la tua capacità di percezione”.
Nei capitoli successivi Kellman prende in esame i casi esemplari delle opere
di J.M. Coetzee, Vladimir Nabokov, Eva
Hoffman, Louis Begley, spiegando le ragioni storiche e biografiche che li hanno indotti a diventare translingui, e le
loro diverse tipologie di scrittura e di
immaginario, legati a contesti geografici e culturali diversificati.
Coetzee (premio Nobel 2003) di padre afrikaner e madre inglese viene educato in classi anglofone ma cresce parlando l’afrikaans in famiglia, sebbene
disgustato dalla bestialità della cultura
afrikaner. Il rapporto che ha con l’inglese è lo stesso che ha un qualunque
straniero, avverte cioè tra sé e la lingua
la stessa distanza che prova uno straniero. La scelta di utilizzare l’inglese
come lingua letteraria è dettata dalla
convinzione che l’inglese abbia “un livello storico nella lingua che ti autorizza a lavorare in prosa con contrasti storici e contrapposizioni”. Significativo il
fatto che al centro degli studi e della riflessione di Coetzee ci sia l’opera di un
altro famoso translingue: Samuel
Beckett.
Vladimir Nabokov riceve un’educazione privilegiata nella Russia zarista e
cresce come “un bambino trilingue perfettamente normale” tanto che di fronte alla domanda su quale tra le lingue
della sua infanzia considerasse la più
bella risponde: “La testa mi dice l’inglese, il cuore il russo e l’orecchio il francese”. Ma saranno l’inglese e il russo le
lingue letterarie in cui raggiunge risultati importanti.
Eva Hoffman, figlia di ebrei sopravvissuti alla Shoah, ha tredici anni quando lascia la Polonia per il Canada prima e gli Stati Uniti dopo, di cui adotterà la lingua. I molti esempi di translinguismo riuscito non devono far dimenticare che non sempre si tratta di
1 Uys Krige (1910-87) durante la II guerra mondiale era capitano dell’esercito
sudafricano; fatto prigioniero in Cirenaica
dagli italiani e deportato nel campo di
Sulmona, raccontò questa esperienza nel libro The Way Out, tradotto in italiano col titolo Libertà sulla Maiella, ritenuto da Silone
un elogio sincero e serio alla gente di quei
monti.
La Collana Nuovo planetario
Scrivere tra le lingue di Kellman è il quarto volume della Collana Planetario diretta da Armando Gnisci per Città Aperta Edizioni. Il progetto culturale di Città Aperta nasce dall’idea che sia
possibile costruire una città armoniosa, capace di integrazione,
di dialogo, di collaborazione tra tutte le sue componenti, in cui
vengano privilegiati i rapporti orizzontali su quelli verticali sia
sul piano sociale che su quello economico.
Inaugurata dal volume Nuovo planetario italiano. Geografia
e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa, a cura di Armando Gnisci nel 2006 (presentato su “Strumenti” n.46) seguito da Aimé Césaire, Negro sono e negro resterò. Conversazioni con François Vergès, la collana si è arricchita
nel 2007 di Mundus Novus di Amerigo Vespucci, entrambi segnalati su “Strumenti”
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una funzione positiva, è quella di metterci in contatto con la vita di altre persone, di aiutarci a entrare in contatto e
a trarre forza o conoscenza da gente che
non incontreremo mai, di aiutarci a
guardare al di là della nostra esperienza”. Men with Guns rappresenta un ulteriore sforzo da parte sua per aiutare
lo spettatore a guardare al di là, sforzo
nel quale il linguaggio è uno strumento
cruciale per ospitare l’alterità.
Nonostante la lunga carrellata di autori e opere, molti sono gli scrittori
translingui che non rientrano nel testo
di Kellman che ne è cosciente, “Una
guida completa alla scrittura translingue dovrebbe includere capitoli specifici su Fernando Pessoa, Petrarca,
Prem Chand, Yehuda Halevi, e dozzine di altre scrittori meravigliosi2 . Lo
studioso ideale del translinguismo dovrebbe essere uno spirito eclettico e
poliglotta, un mostro d’erudizione che
ne sappia molto più di me riguardo i
cinesi che compongono poesia in
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un risultato facile. Come racconta in
Lost in Translation Eva si sente sospesa tra il polacco e l’inglese, non riesce a
tradurre nella nuova lingua l’universo
culturale che si porta dietro dalla sua
patria, avverte ostilità nel nuovo linguaggio che la lascia temporaneamente senza parole e in imbarazzo. In seguito si troverà a concludere di essere
la somma di diversi linguaggi, quello
della famiglia e dell’infanzia (l’yiddish
dei genitori e il polacco), quello della
scuola e dell’amicizia, quello dell’amore e del mondo più vasto. Ma il passaggio problematico dal polacco all’inglese resta il dramma della sua vita e il
tema centrale del libro.
Anche Louis Begley nasce in Polonia
e dopo essere riuscito a sfuggire all’olocausto si trasferisce negli Stati Uniti
dove si afferma come avvocato. Solo in
età matura si rivela come scrittore con
una serie di opere in cui il controllo della lingua risulta sempre determinante
per sopravvivere. Wartime Lies (Bugie
di guerra) è il primo romanzo autobiografico il cui protagonista, un ragazzino di nove anni, grazie alla sua conoscenza del tedesco (appreso ascoltando le trasmissioni radiofoniche tedesche) e all’apprendimento dell’arte di
mentire, riesce a farsi credere ariano.
Anche i personaggi delle opere successive mostrano di avere un talento particolare nell’autoinventarsi, ma anche
nell’autoingannarsi.
L’ultimo capitolo è dedicato al regista cinematografico statunitense John
Sayles, esponente del cinema indipendente, i cui inizi sono stati come scrittore di racconti e romanzi. Nel 1997 per
girare Men with Guns (Angeli armati)
abbandona la lingua madre come strumento artistico per girare il film in lingua spagnola. Il passaggio allo spagnolo era già evidente nel romanzo Los
Gusanos (1991), un’opera ambientata a
Cuba e Miami, in cui la narrazione vera
e propria è in inglese, ma gran parte del
dialogo è in spagnolo.
Ambientato in un tormentato paese
dell’America latina, Men with Guns è
la storia del dottor Fuentes, di origine
spagnola, che un giorno parte alla ricerca dei suoi antichi allievi medici, che
si erano dedicati alla cura degli indios
in vari villaggi del Sudamerica. Scopre
che sono stati tutti uccisi e nel corso del
viaggio viene a contatto con personaggi perseguitati e torturati dai vari regimi. Un’ulteriore, efficace testimonianza contro le dittature latinoamericane.
Girato a bassissimo costo in tre differenti stati del Messico, utilizza principalmente la lingua spagnola ma anche
diverse lingue locali: nahuatl, tzotzil,
maya, kuna.
Sayles stesso nel corso di un’intervista a proposito della sua arte cinematografica afferma: “Se la narrazione ha
coreano, o di finlandesi che scrivono
narrativa in svedese. (...) Con questa
parte modesta di storia del translinguismo, mi fermo qui, in attesa di
voi.”
Non resta che augurarsi di avere presto altre ricerche che permettano di
ampliare la conoscenza di questo fenomeno, specchio della complessità stessa del mondo contemporaneo che si dibatte tra globalizzazione e localismo.
2 Come - aggiungiamo noi - Agota
Kristof, ungherese rifugiata in Svizzera che
scrive in francese, i cinesi François Cheng e
Wei Wei che scrivono in francese, Kader
Abdolah, iraniano, che scrive in nederlandese, Amin Maalouf libanese che scrive
in francese, Emine Sevgi Özdamar, di madre lingua turca che scrive in tedesco, e gli
scrittori provenienti da tutto il mondo che
oggi vivono in Italia e scrivono in italiano.
La democrazia che non c’è
Paul Ginsborg
Einaudi, 2006
a cura di Elisabetta Assorbi
Saggio snello, che ci spinge ad immaginare una democrazia diversa.
L’Autore, già professore a Cambridge
e oggi docente di Storia europea contemporanea all’Università di Firenze,
immagina un ipotetico ma non impossibile dialogo tra John Stuart Mill e Karl
Marx, sulla natura e sulle potenzialità
dell’odierna democrazia.
I due studiosi evocati avevano in realtà, nonostante le notevoli divergenze
ideologiche, molti punti di contatto reciproco, ad esempio il riconoscimento
che uomini e donne fossero soggetti
attivi e che “ ci fosse possibilità per le
classi lavoratrici, di conquistare potere
politico con mezzi pacifici” (pag.16).
Se oggi la democrazia liberale è una
sorta di “re nudo”, dice Ginsborg, particolarmente nell’Unione Europea bisogna cercare di combinare la democrazia rappresentativa con quella partecipativa: questo è l’assunto
principale del saggio, nel quale sono
analizzate tutte le difficoltà in proposito.
Primo paradosso: riguarda la democrazia diretta e la dittatura comunista.
Lenin, osserva l’A., non pose la democrazia al centro della sua riflessione
politica, pur considerando il sistema
sovietico “un esperimento straordinariamente interessante di democrazia
partecipativa da parte di una popolazione ampiamente analfabeta” (pag. 24)
Perciò, non essendo un’asse portante della rivoluzione socialista, la democrazia sovietica riconobbe sì l’autogoverno a livello locale, ma nelle elezioni
si preferì la soluzione indiretta, attraverso i delegati al congresso dei Soviet,
lasciando fuori l’idea di una progressiva inclusione di strati più ampi di popolazione nella gestione del potere: da
qui nasce il modello delle “democrazie
socialiste”, durato fino al 1989, quando
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La possibilità di realizzare la tanto
enfatizzata “sussidiarietà”, che delega
ad organismi decisionali di livello inferiore ciò che non dev’essere necessariamente deciso a livello superiore, è ri-
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masta molto vaga, nonostante il trattato di Maastricht del 1993.
Quali rimedi?
Ginsborg ricorre al pensiero di J.
Stuart Mill , perché più concentrato sul
potenziale degli individui, che dovrebbero essere “self-dependent” (pag. 54 ),
ossia capaci di basarsi su ciò che sanno
fare in prima persona, da soli o insieme, piuttosto che su ciò che gli altri
posson fare per loro.
Reinventare la democrazia, anche appoggiandosi alla struttura sociale della famiglia, consideratala Mill istituzione cardine nei processi di trasformazione, questo secondo l’Autore è il
rebus più complesso della moderna
politica.
Tre sfere sono coinvolte in questo
processo: la società famigliare , la società civile e la società statale democratica; ma in ciascuna saranno gli individui attivi e dissenzienti “a giocare importantissimi ruoli di connessione” (pag.60), data la loro interdipendenza reciproca.
La società civile, soprattutto, è cresciuta nei Paesi democratici negli ultimi vent’anni, tanto che viene pubblicato dal 2001 l’Annuario della Global Civil
Society, che descrive le forme partecipative nel sociale a livello locale, nazionale ed internazionale: Il problema
che denuncia il Nostro riguarda però (e
sempre qui stiamo), le rappresentatività: chi rappresentano realmente le organizzazioni della società civile?
I politici hanno volontà di connettersi tra di loro, al di là degli schemi?
Paul Ginsborg
Esempi
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Mikhail Gorbacev organizzò le prime
elezioni veramente democratiche.
Il secondo paradosso (pag. 31 ): trionfo e crisi della democrazia liberale
Anche il liberalismo a sua volta impose limitazioni al diritto di voto, escludendo cinque categorie di persone:
quelle che avevano insufficiente capitale economico, insufficiente capitale
culturale (gli analfabeti), le donne, le
etnie minoritarie, e chi aveva opinione
politica di tipo comunista e fascista.
Nonostante l’attuazione di queste discriminanti, la democrazia trionfò nella forma rappresentativa, come quella
stabilita per i Paesi aderenti all’ONU,
dove nel 2000, su 192 Paesi, 120 si potevano definire democratici.
Ma, da allora, siamo di fronte a una
crisi di carattere qualitativo della democrazia, dato che si è verificata
un’espansione della disaffezione alla
democrazia da parte dei suoi; lo testimonia il calo sensibile di affluenza alle
urne e del tesseramento ai partiti, la
perdita diffusa di fiducia nelle istituzioni e lo scontento per l’agire politico in
generale.
Secondo Ginsborg le cause sono diverse: 1) la separatezza della politica,
relegata a sfera particolare e associata
a elites di partito piuttosto impermeabili all’opinione pubblica; 2) l’intensificazione dei mutamenti culturali
e sociali, che han tolto tempo disponibile alla ‘cosa pubblica’ nelle famiglie,
dove regna passività e disinteresse per
ciò che non attiene alla propria comodità consumistica ( la politica è “da vedere”, più che da vivere , nella società
dell’immagine…); 3) la dipendenza della politica democratica dal grande capitale, che ha permesso la diffusione
delle scale clientelari; 4) il mutato ruolo storico della democrazia più vivace,
per lo meno nel passato, cioè quella statunitense.
Oggi l’Unione Europea, che rappresenta pur sempre un bell’esempio di
messa in comune di risorse e operatività, con una parziale rinuncia degli
Stati alle rispettive sovranità, “pratica
la democrazia in forma limitata, indiretta e fortemente insoddisfacente”(pag.42).
Questo fatto dipende in parte dalle
origini dell’Unione Europea, che alla
sua fondazione privilegiò la considerazione dei bisogni economici, più che
quelli democratici: la separazione della sfera decisionale da quella pubblica,
già forte nelle democrazie rappresentative, è diventata enorme nel caso delle
istituzioni europee.
Negli anni ’70 del Novecento in Italia
si assistette ad un grande sforzo per
estendere la democrazia in varie sfere:
sfera locale, tramite i consigli di quartiere, sfera lavorativa, con i consigli di
fabbrica, ambito scolastico, attraverso
i Decreti Delegati; ma secondo Ginsborg fu la mancanza di coraggio della
sinistra ad impedire di canalizzare queste forze verso una nuova democrazia.
Se nei programmi dell’U.E. si leggono termini come “ parternariato, partecipazione dei cittadini, Empowerment”, in realtà mancano cerchie am-
pie di cittadini critici, partecipi, dialoganti e reciprocamente rispettosi
(pag. 72 ).
“Deliberative” è un aggettivo inglese
che indica discussione e decisione, termini che ben si applicano alla democrazia. Allora, il modello proposto nel saggio, cioè la democrazia deliberativa,
dovrebbe utilizzare il dibattito in un
contesto strutturato di collaborazione,
basato su un’informazione adeguata e
su una pluralità di opinioni, con precisi
limiti di tempo entro i quali pervenire
a decisioni.
Tale sistema insegnerebbe ad ascoltare, tollerare, costruire rapporti di fiducia.
L’Autore in proposito passa in rassegna alcuni esempi di democrazia deliberativa:
il Town Meeting statunitense ( il più
spettacolare usato per discutere la
riqualificazione dell’area delle Twin
Towers di New York, nel luglio 2007 );
le giurie di cittadini in USA e Gran
Bretagna , la tedesca Planungzelle ;
infine l’esperimento più ampio, il bilancio partecipativo di Porto Alegre in
Brasile.
Le conclusioni
Ultima preoccupazione dell’Autore è
la democrazia economica.
“Se i cittadini godono di pari democrazia deliberativa nella sfera politica,
ma vivono manifeste sproporzioni in
quella economica, la democrazia rischia d’uscirne profondamente incrinata” (pag. 97). Essa, nel corso della
storia, soprattutto dopo la stagione
marxista e nonostante il fortissimo fascino esercitato da questo modello sui
lavoratori e gli intellettuali, non è aumentata negli Stati dell’era comunista;
ha tratto maggiore profitto nella socialdemocrazia, nel senso che si sono ampliati i diritti sociali dei lavoratori e si è
declinata come partecipazione, anche
se spesso quest’ultima è lasciata al caso
e alle circostanze.
In effetti, la proposta è definita dall’Autore stesso “ una forma particolarmente esigente di democrazia”, che richiede scadenze rigide, obiettivi chiaramente definiti e una gran dose d’autodisciplina… come forse si è visto in
azione nei Social Forum o a Porto
Alegre.
Nell’Unione Europea, invece, il deficit democratico continua, anche nella
nuova Costituzione, definita un’opportunità mancata. Non resta che insistere sulla necessità, per l’Unione, di combinare rappresentazione e partecipazione, per creare circoli virtuosi di partecipazione,che permetterebbero al “gigante addormentato” di ri-animarsi e reinventare in parte se stesso.
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NARRATIVA
Il fondamentalista riluttante
Edizioni Einaudi, 2007
a cura di Anna Gnocchi
Oriente e Occidente, destini che si
incrociano, si intrecciano e si snodano
senza mai trovare un autentico punto
di incontro, che non sia la violenza delle armi o dell’intolleranza.
La storia di Changez, giovane pakistano che dopo brillanti studi in Inghilterra e il lavoro prestigioso presso
una importante società finanziaria a
New York, decide di tornare al paese
d’origine, si dipana attraverso un dialogo monologante in un locale tipico del
mercato di Lahore.
Changez racconta a un cittadino americano incontrato per caso (?) la sua vicenda negli Stai Uniti, ma all’interlocutore non è dato spazio per mettere
parola, tuttavia si conoscono le sue reazioni gestuali e mimiche, che rivelano
una carica di ansia e diffidenza inquietanti.
Nel racconto del protagonista sul suo
soggiorno in America e sul suo travaglio interiore, l’11 settembre fa da
spartiacque. Dopo questa data Changez
percepisce da sguardi e allusioni insinuanti che la sua cultura, e forse anche
la sua persona, sono viste con sospetto: si tratta di avvisaglie che accentuano nel protagonista il desiderio di affermare, anche con segni esteriori come
il farsi crescere la barba, la propria identità. Non vuole essere omologato o fingersi altro da sé, sente con coerenza e
orgoglio che la sua personalità non può
essere venduta e comperata dalla società opulenta.
Questa consapevolezza si definisce
chiaramente durante i viaggi di lavoro
a Manila e a Valparaiso, dove la lontananza dagli Stati Uniti focalizza meglio
la sua posizione di “giannizzero” al servizio di un impero economico spietato.
In particolare l’incontro con Juan
Bautista, editore cileno, acuisce la sua
crisi introspettiva e fa vacillare tutte le
premesse del suo folgorante successo.
In una notte di riflessione il protagonista si rende conto con dolore della
insostenibilità del suo ruolo: non può
restare al servizio dell’America nel momento in cui questa sta invadendo un
paese consanguineo al suo, l’Iraq, e
StrumentiCres Settembre 2008
Moshid Hamid
prende la decisione di tornare in Pakistan.Qui ottiene un posto di insegnante all’università e, insieme agli studenti, partecipa alle manifestazioni di protesta contro la politica americana, nella convinzione che un’America come
quella vada fermata, non solo nell’interesse del resto dell’umanità ma anche
nell’interesse della popolazione americana stessa.
La società statunitense descritta da
Changez non è solo quella fredda e mercantile, ma anche quella rappresentata
da Erica, la donna amata dal protago-
nista. Questa giovane newyorkese, bella e decadente, è il simbolo di quell’America che non sa e forse non vuole
elaborare il passato, perciò è incapace
di vivere nel presente e si chiude totalmente e dolorosamente al futuro.
Erica ama il giovane pakistano, ma il
suo rapporto è ostacolato dal ricordo di
un precedente fidanzato morto, un lutto che lei non vuole accettare ma che le
è penetrato nell’anima fino a disgregarla. Changez riesce a fare all’amore con
lei solo se finge di essere “l’altro”, dunque se, anche in questa storia privata,
disconosce e nega la sua vera identità.
L’amore, anziché aiutarlo ad integrarsi, è un’altra occasione di disagio e di
straniamento.
Il finale del libro è aperto e di incerta
interpretazione, come incerto e allarmante è l’esito, che ancora non ci è dato
di vedere, di un rapporto difficile e pieno di ostacoli fra il mondo occidentale
e quello orientale.
Notevole è la scrittura, che, al di là
dell’espediente stilistico del monologo
dialogante, in apparenza pacato ma in
realtà pieno di tensione, mette il lettore su di una altalena sospesa fra due
mondi: l’America, attraverso il racconto, e il Pakistan, mediante sapienti e
rapide pennellate che accendono i nostri sensi e ci immergono nell’atmosfera di un mercato orientale. Infatti l’autore, con brevi incisi, ci fa sentire l’odore
e il sapore dei cibi ricchi di spezie, udire il chiacchierio allegro della gente e il
rumore del traffico che man mano si
spegne all’imbrunire; vediamo la folla
variopinta che si dirada col passare delle ore e assistiamo al trascolorare della
luce del giorno fino all’apparire intermittente della luna dietro nubi in movimento, forse anch’esse foriere di
instabilità e di infausti presagi.
Madre piccola
Cristina Ali Farah
Frassinelli, 2007
a cura di Rita Di Gregorio
e Dunia Martinoli
Madre piccola, è il primo romanzo della scrittrice italo-somala (padre
somalo e madre italiana), scritto in italiano e costruito come un intreccio di
storie, di personaggi della diaspora
somala, meticci, inquieti e migranti alla
ricerca di sé e di un senso da dare alla
propria esistenza.
Il testo non ha un narratore unico,
narratori interni sono alternativamente gli stessi tre personaggi principali,
Barni, Domenica-Axad e Taageere che
raccontano la propria storia in prima
persona ad interlocutori diversi -ciascu-
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42
○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
no dal proprio punto di vista, con un
proprio registro linguistico e in forme
diversificate : intervista, comunicazione telefonica, resoconto scritto della
propria vita in funzione psicanalitica.
Nello stesso tempo raccontano anche le
storie della loro famiglia allargata e di
molti altri personaggi minori, ma tutti
parimenti importanti.
I tre protagonisti principali, a partire dal proprio vissuto personale, delineano così un quadro significativo della cultura, delle vicissitudini e delle
peregrinazioni di tutta la comunità
somala, colta qui nella situazione drammatica e violenta del periodo della
guerra civile, seguita alla dittatura militare di Siad Barre.
In particolare, il romanzo focalizza la
comunità somala stabilitasi in Italia; i
somali in genere, grazie o per colpa dell’esperienza del colonialismo italiano,
parlano un po’ l’italiano e qualche volta arrivano persino ad illudersi di poter considerare Roma e l’Italia come la
loro patria.
Vivere a Roma e in generale in Italia,
così come in molte altre parti del mondo occidentale, significa però scoprire
la difficoltà di conciliare il proprio
modo di vivere, culture, regole e consuetudini, con quelle del paese ospitante e prendere atto di essere fatti oggetto, insieme a tutti gli altri immigrati,
degli stessi luoghi comuni che tendono
ad emarginare e criminalizzare il diverso per provenienza, colore della pelle e
posizione sociale.
In assonanza con lo stato psicologico e materiale di precarietà e disagio
vissuto dai personaggi, (sradicamento,
emigrazione, disgregazione di luoghi e
del tessuto sociale, distacco, perdita e
frantumazione degli affetti…), il testo
procede per incastri con salti logici e
spazio-temporali, flash-back, richiami,
rinvii -dal presente al passato e da un
luogo all’altro di vari paesi e continenti- ma nello snodarsi del racconto la trama si chiarisce e si apre alla comprensione del lettore, senza però perdere
l’originalità organizzativa e l’interesse
della complessità del romanzo.
L’erranza è la cifra che caratterizza
i vari protagonisti del romanzo, in fuga
da un esilio all’altro per sfuggire alla
dura e cruda realtà del proprio paese.
Domenica-Axad, nella lettera alla sua
psicanalista, così descrive il suo ritorno -da Roma a Mogadiscio-:
“[…] Arrivai a Mogadiscio con l’ultimo volo di linea […]. La guerra imperversava […] Fu tutto così rapido e
scioccante che ancora non riesco a ricordarlo.
Questo evento segna l’inizio della mia
esistenza da profuga di guerra […]
Come profuga seguii il fluire di una
diaspora che mi riguardava solo marginalmente, […]. Ho peregrinato per
quasi dieci anni, tra Europa e America, seguendo le mode che muovevano
le masse dei giovani della mia età da
un continente all’altro, da un welfare
peggiore a uno migliore. Vivacchiavo:
smarrita, dalla casa di un parente a
quella di un altro in cerca di protezione e di calore […]”.
Domenica-Axad, inizialmente ci appare fragile e indifesa, ma con l’evolversi della vicenda riuscirà, come tutti i
personaggi femminili di questo romanzo, ad acquisire la consapevolezza di sé
e la solidità necessarie per affrontare al
meglio i cambiamenti imposti dall’esilio e dalla fatica del suo peregrinare;
supererà anche il disagio di essere una
iska-dhal (meticcia) - somala e italiana, bilingue con doppia appartenenza,
doppio colore, rispecchiantisi anche nel
suo doppio nome.
Domenica-Axad, al seguito del suo
amico Saciid Saleebaan, operatore dilettante, imparerà ad usare la telecamera per realizzare le riprese che documentano la diaspora dei somali, da lei
ripresi nei vari luoghi di approdo.
Questo testo è di indubbio interesse,
sia sul piano linguistico-letterario che
sul piano documentario; inoltre esce in
un momento in cui sono diversi gli scrittori migranti che scelgono l’italiano
come lingua d’espressione letteraria (tra questi Garane Garane e Gabriella
Ghermandi, autori rispettivamente dei
romanzi “Il latte è buono” e Regina di
fiori e di perle”- entrambi pubblicati nel
2007). A questo proposito c’è chi, come
Ali Mumin Ahad (somalo anche lui)
sostiene che per gli scrittori Cristina Ali
Farah, Gabriella Ghermandi (Etiopia),
Garane Garane (Somalia), più che di
letteratura della migrazione si dovrebbe parlare di letteratura post-coloniale. La “Letteratura post-coloniale”, secondo Ali Mumin Ahad, “indicherebbe
tutte le manifestazioni culturali di quelle realtà sociali influenzate, in un modo
o in un altro, dall’esperienza coloniale.” 1
La Somalia, dopo un lungo assordante silenzio, torna timidamente a fare
notizia sui media italiani, anche se in
modo superficiale, sorvolando sulle
contraddizioni e le difficoltà del paese,
uno dei più poveri del mondo con condizioni di vita al di sotto della precarietà.
Il romanzo di Cristina Ali Farah, invece, con tono lieve-ironico, ma amaro
e acuminato, affronta tematiche di scottante attualità e pregnanza, come: identità, appartenenza, emigrazione, precarietà, discriminazione, xenofobia,
razzismo, violenza …, tutte problematiche attualmente nell’Agenda politica di molti paesi del globo e in attesa
di soluzioni.
Inoltre ha il merito di “aprirci delle
finestre” per tessere i fili della trama,
dal presente al passato e recuperare la
memoria degli effetti nefasti e delle iniquità dell’occupazione coloniale che
l’Italia impose alla Somalia dal 1889 al
1941, occupazione poi proseguita - dal
1950 al 1960 - come tutrice per conto
delle Nazioni Unite, ma che non è entrata pienamente a far parte del patrimonio della memoria collettiva del nostro paese che ha preferito rimuovere,
occultare e, al limite, negare questa scomoda realtà.
NOTE A MARGINE
Nomi e Appartenenze
Importanti e pieni di significato sono
i nomi di alcuni personaggi:
DOMENICA-AXAD – Ha un doppio
nome: il nome datole dalla madre è
Domenica, ma sarà sua cugina e grande amica Barni a nominare la sua seconda anima, lasciando un segno permanente nel suo stesso nome.” Mi chiamo Axad, domenica, come la radice araba dell’uno*. Io ero Domenica o Axad
a secondo.”
Questa dualità di Domenica-Axad
corrisponde alla sua doppia identità,
*La domenica in arabo è il primo giorno
della settimana e da ciò prende il suo nome.
1, Decolonizzare l’Italia, di Armando
Gnisci, 2007, Roma, Bulzoni
www.disp.let.uniroma1.it/kuma/kuma.
html
StrumentiCres Settembre 2008
Grovigli di storie
Storie: ascoltarle e raccontarle è la
mia predilezione, dice Taageere, l’unico narratore-uomo, il cui racconto è
costituito da una telefonata-fiume (300
minuti: sono quelli assegnati alla telefonata dalla scheda a tempo) che segue
un percorso, come in fondo quello di
tutto il romanzo, caotico, labirintico:
segue una storia, devia, torna sui propri passi…“Non sto divagando, sto seguendo un ‘logicammino’…” e così le
storie si intrecciano.
Nel racconto dei vari personaggi ritroviamo gli stessi episodi narrati da
punti di vista differenti.
Solo alla fine, nella lettera alla psicanalista, ritroviamo uno stile più lineare, poiché Domenica ricuce insieme gli
episodi che riguardano la sua vita, dandole un po’ di ordine e facendoci meglio comprendere il susseguirsi degli
eventi e l’origine della sua sofferenza,
ma anche del suo nomadismo, del suo
difficile rapporto con la madre, della
serenità riacquistata col suo ultimo ritorno a Roma, del suo ritrovare Barni,
del suo scoprire di essere incinta, del
procedere della ‘storia’ attraverso ‘Taariikh’ , il figlio.
StrumentiCres Settembre 2008
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italiana e somala, tanto che lei stessa si
sente a volte Domenica, quando sente
l’esigenza di apparire dal suo versante
occidentale e a volte Axad, quando sente riaffiorare la sua identità di bambina
nata e cresciuta in Somalia, di cui sente
il legame delle tradizioni.
Quando, da bambina, veniva in Italia
a passare i due mesi di vacanze estive
con la madre, al suo ritorno in Somalia
impiegava una settimana a riadattarsi
all’uso del somalo: “Ciò che più mi terrorizzava era la condizione di tabula
rasa linguistica in cui mi riducevo”.
Questa doppia identità verrà vissuta
intensamente e con sofferenza da lei:
“Fu perché mi sentivo eccentrica e indefinita che cominciai a torturarmi la
pelle? Credevo, forse, di poter separare con la lametta l’ambiguità della mia
essenza?...... Quello di tagliarmi divenne un piacere morboso…. Era forse per
dichiararmi che mi incidevo con tanto
accanimento? Non è per segnare una
presenza che esistono i riti di iniziazione?”
Domenica, proseguendo nella sua riflessione sulle appartenenze, decide di
far circoncidere il figlio, a cui ha dato il
nome del proprio padre, disperso in
guerra: Taariikh (che significa la Storia)
affinchè la Storia possa continuare. “Mi
sono a lungo dibattuta, ho passato notti
insonni e se infine ho deciso quello che
ho deciso è stato per non impedire a
mio figlio di appartenere. Io dovevo
segnare questa appartenenza sul suo
corpo.”
AUDIOVISIVI
L’incubo di Darwin
Regia di Huber Sauper
a cura di Gianluca Bocchinfuso
Questo film-documentario (L’incubo
di Darwin, di Hubert Sauper, 107 minuti, Feltrinelli Real Cinema, 2004),
realizzato dal regista tirolese nella zona
aeroportuale di Mwanza in Tanzania, è
stato presentato al Festival di Venezia
nel 2004, nella sezione “Giornate degli
Autori”, ha vinto il Premio Label Europa Cinemas, il Premio César Miglior
Opera Prima e, infine, è stato candidato all’Oscar come miglior documentario, anche se poi l’Academy Awards ha
scelto La Marcia dei Pinguini.
Il documentario - distribuito da
Feltrinelli con il libro allegato curato
dallo stesso regista con Tijs Goldschmidt - racconta una tragedia umana e ambientale che ha origine nel lontano 1962, quando il lago Vittoria fu
forzatamente popolato dal pesce persico proveniente dalle sorgenti del Nilo.
Un grande predatore - appartenente ad
una razza chiamata Tilapia del Nilo
(Nile perch) - che per nutrirsi divora
anche i pesci della sua stessa razza
quando non ne trova altri. In breve tempo - come documenta il regista non senza difficoltà, “per girare ‘L’incubo di
Darwin’ abbiamo utilizzato una troupe
minima: con me, solo il mio fedele compagno di avventure e una piccola
videocamera. […] Girando in Tanzania non abbiamo mai potuto presentarci come una troupe regolare. […] In
alcuni villaggi ci hanno scambiato per
missionari mentre i manager delle industrie ittiche temevano che fossimo
ispettori di igiene dell’Unione europea.
[…] Una buona parte del budget delle
riprese è stata sprecata in multe e bustarelle per ritornare in libertà” (pp.
41-42) - il persico ha provocato l’estinzione di tutte le razze ittiche presenti
nel lago, colpendo in modo diretto e irrevocabile tutta l’economia che gravita
attorno al più grande bacino lacustre
africano. Non a caso, i pescatori africani si sono trasformati in produttori-venditori di questo pesce e, grazie ai contrabbandieri di armi russi, sono riusciti a farlo arrivare sui mercati ittici europei. Oggi i filetti di persico del Nilo
sono in offerta speciale in tutti i nostri
supermercati. Un sistema perverso che
mette insieme traffico illegale di armi,
problemi ambientali, guerre, scontri etnici, sfruttamento di uomini e donne.
Ancora una volta, la globalizzazione
è subita dalle popolazioni più deboli e
si regge su equilibri sbilanciati a favore
di chi fa profitto e usa tutte le sue armi
per riempirsi le tasche di guadagni. “Il
boom delle multinazionali del cibo e
delle armi - scrivono Goldschmidt e
Sauper - ha creato una diabolica alleanza globale sulle rive del più grande
lago tropicale del mondo: un esercito
di giovani pescatori, di coltivatori indiani, di ministri africani, di commissari europei, di piloti russi, di prostitute tanzanesi…” (pag. 39).
Il documentario è una sequela di immagini e di informazioni crude e sconvolgenti che colpiscono direttamente,
soprattutto in considerazione della poca
informazione che, nel corso di tutti questi anni, c’è stata su questo argomento
che riguarda un’intera popolazione.
Una sequenza vale per tutte: il luogo
putrido e abbandonato in cui sono ammassate le parti scartate dei pesci. Un
grande sito di “approvvigionamento
alimentare” per gli abitanti del posto.
Un bisogno, quello di sfamarsi, che pro-
43
44
mante, in Honduras una banana mentre in Libia, Nigeria o Angola ci sarebbe stato il petrolio” (pag. 44).
La vicenda legata al pesce persico e a
tutti gli utili che gli ruotano attorno ha
tanto di disumano perché, come molte
faccende che celano interessi di varia
natura, è nata ed è cresciuta in silenzio,
con le connivenze dei molti che vi hanno lucrato, disinteressandosi delle conseguenze.
Hubert Sauper mette insieme sequenze molto crude e dure (potremmo
dire adatte ad un pubblico adulto). Ma
questo documentario - con un’adeguata progettazione e preparazione - può
certamente essere utilizzato nelle scuole
○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
duce malattie che coinvolgono collettivamente tutti e si trasmettono non solo
da persona a persona, ma anche da padri a figli. Generazioni che, prima di
nascere, sono segnate nella sorte e nel
destino. Ancora una volta, i danni provocati dall’uomo - per interessi economici e commerciali di cui godono in
pochi - ricadono negativamente sulle
masse inermi che non possono nulla, se
non subire in silenzio, senza riuscire a
vedere e trovare vie d’uscita. Ed è in
questo quadro che il volto della globalizzazione - come in altri contesti e altri
tempi - fa conoscere il suo aspetto più
negativo e unidirezionale che priva le
persone di dignità, prima che di diritti.
Si ripete la dinamica perversa di sempre: il Nord del mondo, ricco e industrializzato che compra a basso prezzo
(e gode immediatamente dei massimi
profitti) e il Sud del Mondo che vede
distrutti i suoi equilibri ambientali e
naturali e che subisce irrimediabilmente (senza potere minimamente godere di questi commerci con la parte più
ricca e avanzata del paese).
Questo documentario, inoltre, spinge a riflettere sull’umanità disumanizzata che crea lo sfruttamento individuale delle persone, private di tutto,
anche del loro essere individui: la giovane Eliza si prostituisce, i piloti russi
fanno del suo corpo un oggetto e lentamente la ragazza si spegne, colpita
dall’Aids, altra piaga nella piaga che,
oggi come ieri, produce morte in tutto
il continente africano e rende difficile
qualsiasi tipo di intervento concreto e
risolutivo.
Questo documentario non è solo uno
strumento di rappresentazione di una
realtà, ma anche uno strumento di riflessione sul perché il cosiddetto “mondo civile” - con tutti i suoi mezzi - non
riesca (o non voglia) a mettere fine alle
storture che condizionano il mondo nel
suo farsi. E il fatto che l’informazione
su fatti del genere avvenga attraverso
un documentario cinematografico la
dice lunga su come la stampa mondiale
- a tutti i suoi livelli: giornali e radio/
telegiornali - sia succube dei tanti interessi economici che gravitano dentro e
attorno all’editoria (e alla pubblicità!)
e sia lontana dall’inchiesta sul campo,
quella che cerca la notizia, la verifica,
la racconta. Questo documentario fa riflettere anche su questo elemento: manca paradossalmente - nell’era della comunicazione - una vera comunicazione/informazione quotidiana. Uno strumento fondamentale che spinga il lettore-ascoltatore a capire la notizia, ad
entrare dentro di essa per formulare un
proprio punto di vista da condividere e
confrontare con altri. “Avrei potuto fare
lo stesso tipo di operazione in Sierra
Leone - dice il regista - solo che al posto del pesce ci sarebbe stato un dia-
perché permette di riflettere su più piani contemporaneamente: l’equilibrio/
squilibrio ambientale, la distruzione
degli ecosistemi (come quello del Lago
Vittoria), il traffico illegali di armi dal
Nord al Sud del mondo, i profitti delle
nazioni ricche legate allo sfruttamento
delle nazioni povere (il neocolonialismo
economico), la violazione dei diritti delle persone, la diffusione di malattie all’interno di quadri igienico-sanitari arcaici.
Una grande risorsa per riflettere sui
problemi del nostro tempo, anche
quando sembrano molto lontani e non
ne capiamo pienamente il perché e il
senso.
SEGNALAZIONI BIBLIOGFRAFICHE
NOVITA’ CRES
Massimiliano Lepratti, L’economia è semplice. I meccanismi economici e il loro impatto sociale, EMI
2008
Oggi l’economia tende a dominare su
tutto: sulla società, sulla cultura, sulla
stessa politica. Imparare a conoscerla
vuol dire allargare la partecipazione alle
scelte economiche, facendo crescere la
giustizia.
L’economia è semplice: basta spiegarla con parole non tecniche e diventa
comprensibile a chiunque.
L’Autore scompone l’economia nelle
sue parti elementari e di ciascuna presenta il funzionamento, il collegamento con gli altri aspetti della vita, la dimensione globale che coinvolge i paesi
del Sud e le fasce povere della popolazione mondiale.
È la conoscenza dell’economia internazionale a farci comprendere più a
fondo la realtà di oggi e a motivare al
cambiamento degli stili di vita e delle
scelte di consumo.
Pietro Raitano e Cristiano Calvi, Rose & Lavoro, ALTREconomia, TERRE di mezzo editore,
2007
Quanti segreti e quante spine si nascondono dietro i fiori che allietano le
nostre ricorrenze romantiche? Questo
“libellulo” ripercorre il viaggio dalle
sterminate piantagioni in Kenia fino ai
negozi sotto casa nostra, passando dalle aste olandesi.
Davvero può essere conveniente importare rose da migliaia di chilometri
di distanza? Sì se, come in ogni caso di
delocalizzazione estrema, la manodopera è in Africa ma la proprietà rimane in
Europa, pronta, quando le richieste di
salario e diritti cominciano a crescere,
a spostarsi in un altro paese. E’ la storia delle donne che le coltivano, delle
loro condizioni di lavoro e di un lago
che sta scomparendo, prosciugato dalle rose. Sullo stesso tema Daniela Grandi e Silvia Resta hanno girato il bel documentario “Rose d’Africa” andato in
onda su la7 e visibile sul sito http://
www.la7.it/approfondimento/detta
glio.asp?prop =speciale tg&vi deo=1247
StrumentiCres Settembre 2008
turale i saperi insegnati nella scuola.
Come sottolinea Francesco Susi nella
Prefazione, l’educazione interculturale
è la risposta in termini formativi ai problemi posti da un mondo diventato
interdipendente, ma per essere realizzata chiede che venga profondamente
trasformato l’asse edu-cativo della
scuola, corretto l’orientamento monoculturale dei suoi curriculi. Il testo si
divide in due parti: 1) Insegnare e apprendere diversamente: la prospettiva
interculturale, 2) Saperi e discipline in
prospettiva interculturale.
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Il viaggio di Grace, regia di
Franco Angeli, dvd, VIS
C. Brunelli-G.Cipollari-M.Pratissoli-M.G.Quagliani, Oltre l’etnocentrismo.I saperi della scuola al di là dell’Occidente, EMI
Grace sogna di fare la maestra; è nata
e vive in un campo - rifugiati vicino a
Khartoum, in Sudan. La sua famiglia è
stata costretta a fuggire dal villaggio, nel
Sud del Paese a causa della guerra civile ma oggi forse può cominciare a pensare al rientro. Il video l’accompagna in
un viaggio di migliaia di chilometri su
piste sconquassate inseguendo una speranza; attraverso i suoi occhi e le sue
parole impariamo a conoscere un paese bellissimo che vuole dimenticare la
guerra e riprendere a vivere e ricostruire, a partire proprio dalle scuole. Il filmato fa parte della Campagna “Tutti a
scuola” lanciata dal VIS (Volontariato
Internazionale per lo Sviluppo) per rendere possibile la costruzione di venti
scuole nel Sud Sudan e permettere al
sogno di Grace di avverarsi
Per info:
VIS www.volint.it; 06 516291
Massimiliano Fiorucci (a cura
di), Una scuola per tutti. Idee e
proposte per una didattica interculturale delle discipline, Franco
Angeli, 2008
Il volume presenta i contributi di
esperti di differenti campi disciplinari
(pedagogia, letteratura, musica, storia,
geografia, biologia e matematica) e si
propone di rileggere in chiave interculStrumentiCres Settembre 2008
Il volume (frutto di una ricerca-azione voluta dall’IRRE Marche all’interno
del Progetto “Oltre l’etnocentrismo”)
raccoglie i contributi di specialisti di diverse discipline (Gnisci, Ceserani,
Pratissoli, Brusa, Cajani, Gusso, Bagni,
Pizzamiglio, Brunelli, Mancini) e le
esperienze di docenti e scuole.
I flussi migratori della società attuale, diventata rapidamente multietnica
e multiculturale, stanno trasformando
il mondo e lo scenario in cui ci muoviamo eppure noi “continuiamo a leggere
ciò che ci circonda con categorie concettuali che non sono più in grado di
produrre rappresentazioni attendibili
della realtà”. Il senso di spaesamento
che si avverte diffusamente è dovuto
non solo alla rapidità con cui il fenomeno si è manifestato ma anche alla
mancanza di strumenti culturali adeguati, necessari per leggerlo e per agire.
Abbiamo bisogno di una “rivoluzione culturale postcoloniale” che partendo dalla ricerca universitaria arrivi nelle
scuole; abbiamo bisogno di nuovi concetti che sostituiscano quelli etnocentrici. La scuola, parte integrante di
questa società, non può non sentirsi
coinvolta nella ricerca di nuove modalità di lettura e interpretazione della
realtà, nella rielaborazione di nuove forme di convivenza. Nella scuola il rin-
novamento della cultura occidentale
non può che passare attraverso la revisione dei libri di testo, dei metodi didattici e dei saperi scolastici.
Il docente è quindi chiamato a misurarsi con l’epistemologia della propria
disciplina nella consapevolezza che i
saperi sono costruzioni il cui significato varia nel tempo e nello spazio, a depurare i saperi dall’etnocentrismo e a
ricostruire mappe concettuali di categorie interpretative sciolte da vincoli
temporali spaziali. Gli stessi materiali
didattici vanno riletti alla luce di griglie
di analisi dotate di indicatori interculturali.
Il volume si articola in sei parti: la
prima è centrata soprattutto sulla questione del canone e sulla necessità di rivedere i curricoli in chiave interculturale; la seconda offre spunti di riflessione sulla revisione epistemologica delle
discipline; la terza riguarda la programmazione didattica e le Unità di Apprendimento; la quarta presenta la documentazione del lavoro svolto nelle scuole con esemplificazioni; la quinta propone Percorsi didattici in chiave interculturale; l’ultima parte offre ipotesi di
matrici curricolari di geografia e storia,
che rappresentano una proposta per
quanti lavorano su nuovi progetti educativi nella prospettiva di una nuova cittadinanza planetaria.
Karim Metref, Baghdad e la sua
gente, Fondazione Terres des
hommes Italia
Il volumetto, a sostegno dei progetti
di Terres des hommes in Iraq, è una testimonianza partecipata della vita quotidiana della popolazione, in cerca di
una “normalità” nonostante le bombe,
gli attacchi suicidi, gli scontri e le mille
difficoltà pratiche. Ci aiutano a sentirci
vicini agli irakeni i racconti di Karim
Metref, le foto di B. Neri e P. Gigli e le
immagini del dvd … e il Tigri placido
scorre … diretto da M. Severgnini con
le interviste di K. Metref.
Per info: [email protected]
02 28970418
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Michele Dotti, Jacopo Fo: Non è vero che tutto va
peggio. EMI 2008
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SEGNALAZIONI BIBLIOGFRAFICHE
LE NOSTRE
PUBBLICAZIONI
QUADERNI DIDATTICI
Nuova collana CRESCENDO CRES - EMI
1) Arcipelago Mangrovia Narrativa caraibica e intercultura
– Rita Di Gregorio, Anna Di Sapio e Camilla Martinenghi – pagg
256 - euro 12,00
Il quaderno cerca di fornire una panoramica della narrativa caraibica
insulare dell’ultimo secolo per favorire il superamento di stereotipi e
offrire chiavi di lettura e spunti di riflessione per l’educazione alla differenza. Le schede di presentazione degli autori e delle opere sono suddivise per aree linguistiche. Ipotesi di percorsi didattici. e strumenti utili
per gli stessi, completano il testo.
Che l’ottimismo faccia bene alla salute e al prossimo con
cui ci si relaziona è un’evidenza; a nessuno piace vedere grigio o ascoltare predicazioni lamentose. Che l’ottimismo sia
un ingrediente fondamentale per chi lavora nell’ambito
dell’associazionismo e della solidarietà è un’altra evidenza:
coloro che non credono a un miglioramento della vita sul
pianeta faticano a ritrovarsi in enti che hanno come mandato la costruzione di orizzonti più belli degli attuali.
Ma solitamente all’ottimismo della volontà si accompagna il pessimismo della ragione: la volontà guarda il mondo
del dovere essere e vede l’altro mondo possibile, la ragione
guarda il mondo per com’è e lo vede pieno di difetti, sempre
più contaminato dall’errore e dal dolo umano.
Il libro di Michele Dotti e Jacopo Fo “Non è vero che tutto
va peggio” prova a mutare completamente gli scenari e a
donare ottimismo anche alla ragione, e lo fa fornendo moltissimi esempi di come il mondo sia andato migliorando nei
secoli o anche solo negli ultimi 50-60 anni.
Pochi tra coloro che si lamentano del tempi attuali ricordano che ancora nel 1956 la Cassazione italiana ribadiva il
diritto del marito di percuotere “moderatamente” la moglie
se ella non gli avesse ubbidito o che nel 1977 solo 16 paesi
avevano abolito la pena di morte per tutti i reati (oggi sono
89) o che sul pianeta le foreste sono aumentate di 500 milioni di ettari fra il 1949 e il 1988 (e in Italia si è passati dai
5,6 milioni di ettari del 1948-49 ai 6,8 del 2000).
Certo non è tutto oro quello che luccica, le disuguaglianze
crescono, il consumismo aumenta e l’ambiente nel suo complesso si deteriora.
E i miglioramenti laddove accadono non sono effetto della legge d’inerzia del capitalismo, ma derivano dall’azione
di movimenti, gruppi organizzati, figure profetiche capaci
di lanciare esempi forti.
Il libro non propone l’immagine del migliore dei mondi
possibili, ma distingue attentamente il negativo percepito
(per effetto dei media e di tutti coloro che vivono di cattive
notizie), dal negativo reale, aiutando tutti coloro che credono in un altro mondo possibile a ritrovarne tante tracce nella realtà dei fatti ed aiutando il lettore a trovare un po’ di
serenità in più.
A partire dai paragrafi sull’analfabetismo e sulla sicurezza sono stati costruiti due video che sviluppano ulteriormente gli argomenti e smontano parecchi luoghi comuni attraverso dati poco conosciuti; sono visibili all’indirizzo
http://www.youtube.com/watch?v=dngPVk-gaH4
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2) All’incrocio dei sentieri I racconti dell’incontro – Kossi
Komla-Ebri – pagg.192 - euro 10,00
I racconti di Kossi Komla-Ebri, ambientati in Africa, in Francia e in
Italia, attingendo al vissuto quotidiano, parlano di amore, di viaggi, di
nostalgia, di fierezza e di dignità e smascherano gli stereotipi con lo
strumento dell’ironia. I temi dei racconti sono approfonditi dall’autore
stesso nelle interviste e nei documenti della seconda parte, completata
da un apparato didattico per un’educazione interculturale.
3) Cittadini under 18 I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza - Daniela Invernizzi - pagg.213 - euro 11,00
Il testo presenta un approccio globale alle problematiche dell’infanzia
e dell’adolescenza e, dopo aver descritto lo scenario culturale generale,
propone esperienze di processi partecipativi locali e globali e suggerisce
stimoli educativi per lo sviluppo di attività di ricerca e di sperimentazione
centrate sulla tutela e la promozione dei diritti delle giovani generazioni.
4) “La tela del ragno” Educare allo sviluppo attraverso
la partecipazione – Michele Dotti, Giuliana Fornaro,
Massimiliano Lepratti – pagg.238 – 2005 - euro 13,00
Questo Manuale pratico-teorico, frutto dell’esperienza sul campo degli animatori e delle animatrici del CRES di Mani Tese, analizza e
decostruisce gli stereotipi più diffusi riguardo alla povertà mondiale e
illustra tecniche di partecipazionee di coinvolgimento attivo utili per accompagnare i ragazzi verso la conoscenza e la comprensione critica delle problematiche attuali.
5) “Terra è libertà” La questione agraria in America
Latina – Luca Martinelli, Annalisa Messina – pagg.144 – 2005
- euro 9,00
Terrà è il punto di partenza per riflettere sui concetti di latifondo,
riforma agraria, migrazione, libero commercio, diversità biologica, risorse naturali, diritti dei popoli indigeni, movimenti sociali, assumendo un
punto di vista interdisciplinare che spazia dall’ambito sociale a quello
politico, economico, culturale.
6. Uno, nessuno, centomila (ir)responsabili. Itinerari
didattici di educazione alla cittadinanza – Michele Crudo –
pagg.160 – euro 12 - 2006
L’Educazione alla cittadinanza, anche in rapporto ai controversi modelli sociali che la nostra società propone, può diventare una pratica
didattica per aiutare lo studente a capire l’universo degli adulti, a mediare tra gli opposti e arrivare ad un proprio punto di vista in un’ottica di
mondialità. Alcune esplorazioni didattiche realizzate attraverso l’uso sistematico dello strumento filmico completano il testo.
7) Ri/conoscersi leggendo Viaggio nelle letterature del mondo. a cura di Rosa Caizzi - pagg. 256 - 2006 - euro 13,00 - NOVITÀ
Un viaggio attraverso le letterature araba, nigeriana, sudafricana, indiana, afroamericana, cinese e la recente letteratura della migrazione
può aiutare ragazzi e ragazze del Nord a stimolare la curiosità nei confronti della diversità, a combattere gli stereotipi sulle altre culture, a
StrumentiCres Settembre 2008
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indagare la contemporaneità di altri paesi, a guardare con occhi nuovi
la loro realtà, a relativizzare il proprio punto di vista.
8) Perché l’Europa ha conquistato il mondo? - Massimiliano
Lepratti – pagg. 124 -2006 – euro 10
L’Europa non ha conquistato il mondo per investitura divina, né in
quanto civiltà superiore. Il capitalismo del Nord del mondo affonda le
radici nello sfruttamento economico e nei contributi di pensiero e tecnico-scientifici di aree lontane. Il testo indaga la storia della costruzione
di un sistema di squilibrio internazionale che non esisteva fino ad alcuni
secoli fa, attraverso un approccio che integra i livelli politico, economico
e culturale. I capitoli sono corredati da carte storiche e da un’appendice
didattica.
9) Il cinema per educare all’intercultura - Marina Medi – 2007 –
euro 10
E’ importante che l’educazione all’informazione e ai media trovi spazio in modo organico nella programmazione curricolare diventando strumento di cittadinanza e di comunicazione interculturale.
Il testo suggerisce una serie di riflessioni metodologiche per un uso
critico dei media, che parta da alcune cautele indispensabili quando si
propone agli studenti un lavoro che utilizzi il cinema, e presenta piste di
lavoro da realizzare nelle scuole e percorsi didattici già sperimentati
che possono servire da stimolo.
10) L’economia è semplice - Massimiliano Lepratti
- 2008 - pag. 125
À
NOVIT
Basta spiegarla con parole non tecniche e diventa comprensibile a
chiunque. L’economia viene scomposta nelle sue parti elementari presentando di ciascuna il funzionamento , il collegamento con gli altri
aspetti della vita, la dimensione globale che coinvolge i paesi del Sud e
le fasce povere della popolazione mondiale. È la conoscenza dell’economia internazionale a farci comprendere più a fondo la realtà di oggi e a
motivare al cambiamento degli stili di vita e delle scelte di consumo.
Collana CRESCENDO CRES - Ed. Lavoro
1)
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6)
Le migrazioni a cura di D. Barra e W. Beretta Podini – 1995
Percorsi interculturali e modelli di riferimento M. Crudo - 1995
Educare al cambiamento AA. VV. - 1995
La conoscenza dell’altro tra paura e desiderio M. Crudo - 1996
Lo straniero L. Grossi, R. Rossi - 1997
Letterature d’Africa. percorsi di lettura L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi – 1998
7) Penelope è partita M. Crudo – 1998
8) Portare il mondo a scuola a cura di ONG Lombarde, IRRSAE
Lombardia, Provveditorato agli Studi di Milano – 1999
9) La gatta di maggio R. Abdessemed - 2001
10) La sfida della complessità M. Medi – 2003
Noci di cola, vino di palma. Letteratura dell’Africa subsahariana
L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi – 1997
OFFERTE SPECIALI (spese di spedizione incluse)
● L’INTERA COLLANA (10 Quaderni + il volume Noci di cola) 20 euro
● 5 VOLUMI A SCELTA A 10 euro
● 1 VOLUME 3 euro
TESTI SCOLASTICI
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I 2 volu sivo di 8 e*
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comple
Fame e squilibri internazionali.
Introduzione alle problematiche
dei rapporti Nord/Sud
Wilma Beretta Podini - pagg.160. euro 7,40 - 2003
Un approccio interdisciplinare al complesso tema dei rapporti Nord/Sud. Corredano il testo carte tematiche, grafici, dati
statistici, esercizi e un glossario.
Rifiuti ieri Risorse domani
Pietro Danise, Consolato Danise - pagg. 110. euro 7,95, - 1997
* incluse le spese di spedizione.
StrumentiCres Settembre 2008
MATERIALI SUL LAVORO MINORILE
YATRA – In marcia per i diritti dei bambini Kit didattico
Mani Tese-CRES, 2003 – Gratuito.
Il kit è articolato in 5 fascicoli (Bambini e bambine lavoratori
raccontano, Il lavoro minorile sulla stampa, Bambine e bambini al lavoro in Italia, Globalizzazione e lavoro minorile, Cambiare è possibile) ricchi di suggerimenti didattici. Il kit è arricchito da una bibliografia ragionata, dal dossier Dallo sfruttamento all’istruzione e dalla rassegna stampa La violazione dei
diritti dei bambini.
YATRA Dallo sfruttamento all’istruzione VHS 30’ Mani Tese
euro 8
Il video contro lo sfruttamento del lavoro minorile presenta la
drammatica situazione dei bambini in Benin, Brasile, India e
Romania e alcune proposte per contrastare il fenomeno.
Mostra fotografica in 8 pannelli 70 x 100 – euro 5
AUDIOVISIVI
Un pianeta in movimento nuova edizione - euro 10 (gratuito
per le scuole su richiesta scritta)
Il cdrom, articolato in otto sezioni tematiche, si struttura attorno all’idea di un viaggio nella realtà migratoria, che consenta di
contrastare luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi attraverso l’analisi della dimensione spaziale e temporale di questo fenomeno.
E na wa gon Percorsi di sviluppo di Mani Tese in Benin DVD Mani Tese euro 10
Il DVD dà spazio alla vivacità della società beninese, alle iniziative per contrastare le difficoltà e al sostegno offerto da Mani Tese.
Approfondimenti su acqua, microcredito e lavoro infantile.
LAVORARE PER PROGETTI LAVORARE SUI PROGETTI
1 “Burkina Faso e Benin” - euro 8 (gratuito per le scuole su
richiesta scritta)
Un ipertesto per conoscere il contesto, focalizzare il concetto di
sviluppo, analizzare l’attività di Mani Tese nella regione utilizzando la metodologia della “didattica per progetti”.
2 “Brasile” - euro 8 (gratuito per le scuole su richiesta scritta)
Un ipertesto per conoscere la vivacità culturale di questo Paese
Emergente, comprendere le cause delle sue stridenti contraddizioni, condividere l’impegno dei gruppi più attivi e di Mani Tese.
ALTRI MATERIALI
TÀ
NOVI
“I colori del mais”, Società, economia e risorse in Centroamerica, di
Luca Martinelli, pagg.176, EMI, 2007, Euro 10
La terra delle donne e degli uomini di mais, che prova a rinascere
dalle macerie degli anni Ottanta e Novanta, dalla guerra dei contras e
dei marines e dal genocidio dei popoli indigeni, fa il conto con le sfide
della globalizzazione. La ricchezza dei popoli del Centroamerica attraverso un lungo impegno sul territorio da parte dell’Autore e con il contributo del Centro di ricerche economiche e politiche di azione comunitaria
(Ciepac), partner di Mani Tese.
“Tikki e l’onda” pagg. 12 – 2005. Offerta minina di euro 3,50
Questa delicata fiaba illustrata racconta come la catastrofe avrebbe
potuto essere meno distruttiva se si fosse mantenuto il contatto
con la natura e mostra quanto è stato fatto da Mani Tese a fianco
delle comunità indiane.
RIVISTA
STRUMENTICRES
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sostenere finanziariamente le attività di Mani Tese in ambito educativo.
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