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Anzi: la sproporzione fra le limitate risorse economiche disponibili e la smisurata quantità di “cose” che siamo indotti a desiderare alimenta un’insoddisfazione costante e ansiogena. I n questo vuoto esistenziale, nella difficoltà di comprendere e di adattarsi a cambiamenti sempre più incalzanti, che ci riguardano da vicino, prendono forma e consistenza le inquietudini evocate dai mass media; ingigantisce il “bisogno di sicurezza”, domina la paura dell’altro, del diverso (per provenienza, lingua, religione) e fra tutti il soggetto irriducibilmente diverso torna ad essere lo zingaro E’ lui l’ospite più inquietante, da controllare, allontanare, eliminare, per sentirci finalmente sicuri a casa nostra. A conferma basti ricordare che, unici in Europa, manteniamo in campi spesso invivibili, ai margini delle nostre città, Rom e Sinti italiani o nati in Italia ormai sedentari da 30 /40 anni. Certo le ultime ondate di arrivi dalla Romania pongono problemi seri, ma nessuna politica di accordi preventivi con i paesi d’origine è stata attuata a tempo debito, quindi si pensa di intervenire solo con “operazioni di polizia”, rivelatesi fin ora inefficaci. L’unico fattore d’integrazione è stata la scuola che, seppure tra mille difficoltà, ha accolto i bambini soprattutto nel primo ciclo ma raramente è riuscita ad accompagnarli fino al compimento dell’obbligo. P er garantire la sicurezza e dare risposte ai loro elettori, i politici dell’attuale coalizione di governo confezionano ogni giorno provvedimenti più sconcertanti: dal presidio armato del territorio al prolungamento della carcerazione nei centri di detenzione temporanea, alla configurazione di nuove tipologie di reato ecc. Giornali e telegiornali ci offrono in abbondanza esempi di iniziative politicomediatiche assai simili in verità alle grida di 2 manzoniana memoria. In questo contesto quali strade percorrere per rifondare patti di convivenza, per formulare proposte credibili per noi e per i giovani che ci troviamo davanti, interlocutori che ci sembrano a volte muti e distanti? Vorrei ricordare un concetto formulato da Eugenio Scalfari 2 , secondo il quale la morale è un istinto, l’istinto di solidarietà che favorisce la conservazione della specie, spesso in lotta con l’istinto di sopravvivenza individuale. Da questo istinto nasce l’empatia con l’altro che consente al gruppo di affrontare le difficoltà. E un altro principio mi sembra importante richiamare, riprendendo le parole di Timothy Garton Ash3 : non è possibile operare uno scambio tra sicurezza e libertà, senza approdare ad una deriva pericolosa per una società democratica . Non ci appelliamo al buonismo, non chiudiamo gli occhi davanti alle mille difficoltà che la forte pressione migratoria comporta, ma teniamo ben presente il tipo di società in cui vogliamo vivere. P er questo proponiamo ancora una volta nel Dossier il tema della migrazione, ricordando che la cultura dell’Occidente moderno è in gran parte prodotto di esuli, immigrati, rifugiati. Leggiamo testi di scrittori immigrati per decentrarci, per imparare da chi ha saputo incontrare la nostra cultura, abitare la nostra lingua senza dimenticare le proprie origini… forse anche da questa esperienza può rinascere quel sentimento morale cui richiamarsi per uscire dall’individualismo e dalla paura. Laura Morini 1 U.Galimberti, L’ospite inquietante, Feltrinelli, Milano 2008 2 E. Scalfari, Alla ricerca della morale perduta, Rizzoli, Milano 1995 3 T. Garton Ash, in La Repubblica, 13/06/08 Se apprezzi la rivista aiutaci a sostenerne i costi. È un investimento educativo! Settembre 2008 StrumentiCres ● ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ TESTI SCOLASTICI SPUNTI DI RIFLESSIONE MATERIALI SUL LAVORO MINORILE Insegnamento/apprendimento: quali strategie d’intervento? Michele Crudo “Penso che la generazione dei nostri figli abbia, rispetto a quella dei loro genitori, un’emotività molto più incontrollata e uno spazio di riflessione molto più modesto. Il loro fondo emotivo è stato sollecitato fin dalla più tenera età da un volume di sensazioni e impressioni eccessivo rispetto alla loro capacità di contenimento. Sin dai primi anni di vita hanno fatto troppa esperienza rispetto alla loro capacità di elaborarla”. (U. Galimberti) trasversalità La dell’educazione linguistica La centralità dell’apprendimento della lingua italiana è ribadita in molti documenti ufficiali e in tante pubblicazioni accademiche. Valga per tutte la seguente citazione.“La capacità di capire e usare la lingua e i linguaggi in maniera adeguata incide sul rendimento scolastico, in tutte le materie, più di quanto non si pensi: la comprensione dei contenuti disciplinari, veicolati dalle spiegazioni orali dei docenti e dai libri di testo su cui studiare, è alla base di ogni apprendimento, mentre saper dar conto, oralmente e per iscritto, di quanto studiato incide notevolmente sul profitto scolastico” ( C. Lavinio “Comunicazione e linguaggi disciplinari” Carocci, Roma, 2004, pg. 13). D’altra parte, però, l’acquisizione della terminologia specifica delle discipline veicola un processo di apprendimento trasversalmente strutturato sulla comprensione/formulazione del testo, come si evince dai Programmi del 1979 per la scuola media“. E’ obiettivo qualificante del processo educativo l’acquisizione da parte dell’alunno del metodo (…) che si concretizza nella capacità di comprendere la terminologia corrente ed esprimersi in modo chiaro, rigoroso, sintetico, considerando criticamente affermazioni e informazioni, per arrivare a convinzioni fondate e a decisioni consapevoli” (Indicazioni generali per le scienze matematiche, chimiche e fisiche). “L’insegnamento si propone di sollecitare gli alunni ad esprimersi e comunicare in un linguaggio che, conservando piena spontaneità, diventi sempre più chiaro e preciso, avvalendosi anche di simboli, rappresentazioni grafiche, ecc, che facilitino l’organizzazione del pensiero, in modo da pervenire ad una progressiva chiarificazione dei concetti attraverso l’affinamento della capacità di sintesi. Si tenga presente che la disciStrumentiCres Settembre 2008 plina in questione fornisce un apporto essenziale alla formazione della competenza linguistica, attraverso la ricerca costante di chiarezza, concisione e proprietà di linguaggio, perseguita mediante un costante confronto tra linguaggio comune e linguaggio formale” (Indicazioni per la matematica). Le stesse argomentazioni sono usate nei Programmi della scuola elementare, del 1985, là dove si dice: “La lingua è strumento del pensiero, non solo perché lo traduce in parole (permettendo all’individuo di parlare con se stesso, cioè di ragionare), ma anche perché sollecita e agevola lo sviluppo dei processi mentali che organizzano, in varie forme, i dati dell’esperienza”. Il perseguimento delle finalità appena enunciate sono tuttavia quotidianamente compromesse dall’esposizione dei ragazzi alle immagini televisive, che smontano sistematicamente la consequenzialità logica e cronologica del pensiero verbalmente espresso. Ad essere penalizzato, quindi, non è soltanto l’insegnamento dell’italiano, bensì l’intero impianto metodologico dell’apprendimento scolastico, fondato prevalentemente sulla comunicazione orale e scritta. Tutti gli insegnanti, infatti, si trovano di fronte ad allievi caratterizzati da tempi di concentrazione ridotti e ritmi di apprendimento intermittenti, sconnessi e rapsodici. In sostanza, a non essere adeguatamente assimilato è il messaggio comunicato da tutti i docenti, perché, indipendentemente dalla materia che s’insegna, risulta astruso, generalizzante, ricco di implicazioni decontestualizzate, astrattamente simbolico e densamente concettuale. Bisogna perciò prendere atto che esiste, e si sta divaricando, la distanza tra il linguaggio spontaneo parlato dagli allievi e il linguaggio formalizzato delle discipline, tra le parole di uso comune e la terminologia specialistica, cui con troppa disinvoltura fanno ricorso i docenti. Di conseguenza, per rendere più fruibile la lezione e meno cervellotiche le spiegazioni, tutti gli insegnanti, indistintamente, devono sforzarsi di: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) pensare in modo chiaro; cercare la soluzione linguistica più semplice; essere brevi (scrivere frasi che non superino mediamente le 20/30 parole); essere precisi e diretti, evitando giri di parole, digressioni, perifrasi; preferire parole di uso comune (appartenenti al vocabolario di base dei ragazzi); preferire parole concrete a parole astratte; usare i termini tecnici solo quando è necessario; evitare frasi intricate, preferire le coordinate alle subordinate, ribadire i soggetti, ripetere le parole chiave, rispettare la linearità soggetto/predicato/ complemento; eliminare l’uso di formule stereotipate e frasi fatte che non appartengono al vissuto dei ragazzi; 3 10) evitare l’uso di formulazioni prive di contestualizzazioni, optare per un costrutto che riconduce linearmente a situazioni descrivibili e riscontrabili. Il decalogo elencato sopra, estrapolato dal libro di M. E. Piemontese “Capire e farsi capire” (Tecnodid, Napoli, 1997), dà l’idea di quanto sia determinante l’assunzione di un compito che non può essere esclusivamente demandato ai colleghi di italiano. L’educazione linguistica, intesa come padronanza delle tecniche indispensabili ad esprimere, con le parole e l’elaborazione del pensiero, il mondo interiore e la realtà che ci circonda, deve infatti essere una finalità strategica che nessun docente dovrebbe trascurare. Ciascuno, ovviamente, la perseguirà utilizzando i segni e i codici della propria disciplina di riferimento, ma, pur nella variazione dei contenuti e delle procedure, differenti da materia a materia, non dovrebbero essere persi di vista i comuni accorgimenti per la facilitazione della mediazione tra il sapere di senso comune dei ragazzi e il complesso sistema dei saperi formali. Tra gli accorgimenti, già collaudati dagli insegnanti nel corso della loro pluriennale esperienza, ce ne sono alcuni piuttosto convincenti che consistono nel: a) fare frequentemente ricorso alla parafrasi (dire con altre parole, semplici ed esemplificative di contesti conosciuti dagli alunni, quanto è detto nel testo); b) sforzarsi di pervenire a una riduzione sintetica delle informazioni più significative, che devono essere selezionate per la loro pregnanza e semplicità concettuale, da cui vanno scartate le ridondanze inutili e gli ampliamenti dispersivi contenuti nel testo; c) insistere con la lettura selettiva, guidata dall’insegnante, in modo che i criteri adoperati vengano pian piano assorbiti fino a diventare organizzatori cognitivi; d) istruire sulle modalità di prendere appunti (per abituare alla brevità e alla concisione di discorsi che, per essere memorizzati, devono necessariamente essere afferrati nella loro emblematica essenzialità); e) fare ricorso a schemi, a rappresentazioni grafiche, all’approntamento di mappe in cui, in un quadro d’insieme ricco di connessioni, emerga la rete di relazioni dei contesti, dei sistemi, dei concetti, dei fenomeni e dei processi trattati; f) avvalersi di immagini, film e filmati per illustrare le idee e ricostruire i contesti di riferimento con il supporto di trame narrative. Che l’Educazione linguistica non sia solo un affare degli esperti di grammatica lo dimostra l’interessamento dei matematici al linguaggio. Nel 1921 Wittgenstein, nel “Tractatus logico-philosophicus”, si occupò dell’unitarietà della struttura cognitiva, in cui gli esseri umani sintetizzano le conoscenze sul mondo, organizzate in forme di pensiero che sono espresse con l’impiego del costrutto sintattico. Le riflessioni del filosofo austriaco furono seguite, nel 1934, dalla pubblicazione, da parte dell’eminente matematico Carnap, del libro intitolato “La sintassi logica del linguaggio”. Lo studio sulla interconnessione tra le strategie di comprensione della realtà e le strutture linguistiche adoperate dagli individui è stato portato avanti da autorevoli personaggi, come per esempio Chomsky, che ha indagato le articolazioni di una grammatica generativa profondamente condizionata sia dal contesto di appartenenza dei parlanti sia dall’esperienza personale. 4 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ In Italia, D. Parisi (“[email protected] Come il computer cambierà il modo di studiare dei nostri figli” Mondadori, Milano, 2000) e R. Simone (“La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo” Laterza, Roma-Bari, 2003), da circa venti anni si stanno interessando alle convulse modalità di apprendimento della nuova generazione, su cui influisce indiscutibilmente la frammentazione emotiva e il disorientamento culturale suscitati dalla visione di film, telefilm, talk-show, soapopera, reality-show. Va infine presa in considerazione l’incidenza, niente affatto marginale, dei più recenti ritrovati che la tecnica ha messo a disposizione dei giovani per confezionare e inviare messaggi sempre più spasmodicamente ansiogeni e sintatticamente sincopati (G. Granieri “Blog generation” Laterza, Roma-Bari, 2005). Se si condivide la visione analizzata dagli studiosi più accorti, non si può restare indifferenti di fronte ai cambiamenti che, in rapida successione, stanno radicalmente trasformando il rapporto fra l’istituzione scolastica e la società, fra il luogo deputato a formare le nuove generazioni e il potere su di esse esercitato dagli accattivanti, anche se psicologicamente destabilizzanti, modelli sociali esibizionisticamente esaltati nei programmi televisivi e sui rotocalchi. La situazione ci pone davanti a una sfida alla quale non si può sfuggire, rifugiandoci nella nostalgica rievocazione di un passato che non può realisticamente tornare. I problemi vanno affrontati e, nei limiti delle nostre possibilità d’intervento, risolti. Si tratta quanto meno di prospettare un percorso formativo che esca dalla sterile contrapposizione dell’irriducibile conflitto generazionale. La problematicità dell’educazione alla cittadinanza Il primo passo da compiere consiste nel presentare i saperi disciplinari come l’insieme degli organizzatori cognitivi utili a smontare e rimontare, con congegni fluidi e resistenti all’usura del tempo, gli ingranaggi che regolano il continuo flusso di informazioni dalla realtà esterna al mondo interiore dei soggetti pensanti. Un flusso che non deve però colmare “teste ben piene”, ma StrumentiCres Settembre 2008 modellare “teste ben fatte”, (E. Morin “La testa ben fatta” Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000) adeguatamente orientate a chiedersi il “perché” di ciò che stanno studiando, senza accontentarsi della meccanica memorizzazione del “cosa” stanno archiviando, spesso acriticamente, in uno dei tanti scaffali della propria mente. Il passo successivo nella direzione della formazione di un solido impianto metodologico, improntato alla produzione di conoscenze generate dalle conoscenze acquisite, deve portare sia a una salutare apertura della scuola ai linguaggi e ai canali comunicativi del mondo contemporaneo, sia alla strutturazione di una visione approfondita e argomentata dei cambiamenti sociali indotti dalle scienze e dalla tecnologia. Ciò implica un complessivo rinnovamento dell’approccio pedagogico, che non può esimersi dall’includere nell’impostazione delle modalità di trasmissione del sapere la dimensione esistenziale delle nuove generazioni. Di conseguenza la didattica, pur essendo fondata sulla reiterazione procedurale dell’addestramento che certifica l’avvenuta assimilazione delle nozioni strumentali di base, non può restare impermeabile alle esigenze degli allievi che si chiedono: perché studiare? che relazione c’è tra l’apprendimento scolastico e la mia esperienza quotidiana? quale incidenza avrà lo studio sul mio futuro? Quest’ultimi sono interrogativi che l’insegnante, pressato dall’impellente bisogno di portare a termine la programmazione annuale, tende a ignorare, dimenticando che la risposta a quei quesiti verrà convulsamente cercata e confusamente soddisfatta con l’assunzione di chiavi interpretative mutuate dall’onnipresente e avvolgente invadenza dei mass-media. In questo modo i ragazzi introiettano convinzioni ideologiche e comportamenti contrapposti all’anemica autoreferenzialità di un’istituzione scolastica incapace di proporsi come fonte e prassi di un modello educativo convincentemente alternativo all’ingerenza della trasgressiva attrazione esercitata dagli idoli dello spettacolo, dello sport, della moda. Attualmente, un maldestro incedere inerziale impedisce alla scuola italiana di svolgere coerentemente il suo compito di luogo deputato all’insegnamento dell’educazione alla cittadinanza, lasciando un vuoto nell’immaginario dei giovanissimi che, sprovvisti di autorevoli punti di riferimento, arrivano a considerare la cultura come una polverosa cassetta stipata di attrezzi obsoleti, buoni tutt’al più a far vincere i premi messi in palio nelle trasmissioni televisive. Quando, occasionalmente, i docenti si fanno promotori di dibattiti per favorire nelle ore di lezione il confronto e lo scambio di opinioni su problemi delicati, quali per esempio il consumismo, si incorre nel rischio di apparire moralisticamente intolleranti nei confronti di uno stile di vita cui i ragazzi non sanno e non vogliono rinunciare. “Ci leggete in classe articoli”, enuncia con determinazione un alunno il cui intervento è significativamente riportato in un articolo di Marco Lodoli, “però io mi domando come mai tante sante parole non producono alcun effetto. E’ semplice: tutto il mondo occidentale si regge sull’eccitazione dei desideri, e se di colpo prevalesse San Francesco sarebbe lo sfacelo (...) Fortunatamente oggi la cultura è inutile, ma se veramente fosse assorbita dalla gente comune, sarebbe addirittura nociva... ( da la Repubblica del 21/11/07). Restare insensibili a tali argomentazioni comporterebbe la rinuncia alla propria funzione di educatori. Abbozzare una prospettiva presumibilmente attendibile e qualificante, può invece contribuire a trovare una via d’uscita StrumentiCres Settembre 2008 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ al senso di frustrazione percepito dagli insegnanti nell’espletare la funzione di formatori, in contrasto con il modello culturale persuasivamente propagandato da chi spinge all’immediato e inconsulto appagamento dei bisogni egoistici e degli interessi personali. A patto che non ci si indirizzi verso l’individuazione di un apparato di contenuti e tecniche parallelamente introdotto “accanto” o “in più” alle attività didattiche già programmate. Una tale ottica costringerebbe al reperimento di spazi orari tuttora esigui e innescherebbe un conflitto con le materie, che, al contrario, dovrebbero essere trasversalmente permeate dall’introduzione delle otto competenze chiave per la cittadinanza attiva, fissate in campo europeo con l’obiettivo di sprigionare negli alunni il senso di responsabilità, il piacere della partecipazione, l’autostima, la fiducia negli altri, l’autonomia, il gusto della collaborazione, l’emozione del ragionamento, la passione per il dubbio sollecitata da una costante voglia di ricercare. Che il processo di maturazione di ciascun allievo non debba risiedere “fuori” ma “dentro” la pratica quotidiana dei saperi disciplinari, intesi come nutrimento vitale del desiderio di esplorare sempre nuovi orizzonti cognitivi e socio-affettivi, lo si può desumere dalla descrizione delle competenze formulate dalla Commissione europea. Imparare a imparare: organizzare il proprio apprendimento, individuando, scegliendo e utilizzando procedure finalizzate all’acquisizione di un proprio metodo di studio e di lavoro. Riguarda l’uso dei materiali, la pianificazione dell’esecuzione dei lavori, la regolarità dello svolgimento dei compiti assegnati, la durata dei tempi di concentrazione, il rispetto delle indicazioni date, la correttezza delle operazioni svolte nel reperire, selezionare, memorizzare le informazioni. Progettare: utilizzare le proprie risorse per raggiungere proficuamente un dato obiettivo. Concerne la rilevazione e la messa in atto di strategie in contesti di apprendimento impostati dall’insegnante sul problem solving e sul working in progress. Il traguardo della realizzazione di un prodotto dovrebbe mirare non tanto a “costruire una cosa, quanto a costruire se stessi” (A. G. Fronzoni). In altre parole, si tratta di creare un atteggiamento mentale consapevole delle potenzialità personali che ciascun individuo possiede. Comunicare: comprendere e rappresentare messaggi utilizzando linguaggi diversi (verbale, matematico, simbolico, dei suoni e dei corpi, ecc.). Il comunicare non dovrebbe riguardare solo il relazionare/esporre, il riportare sintetizzando, il riassumere rielaborando, ma anche il presentare/illustrare con finalità di tipo esplicativo/divulgativo un progetto, un’esperienza, un prodotto, delle emozioni e delle situazioni, come avviene per esempio negli spettacoli teatrali. Collaborare e partecipare: interagire in gruppo, accettando i diversi punti di vista, riconoscendo le proprie e le altrui capacità, gestendo la conflittualità, contribuendo all’apprendimento comune e alla realizzazione delle attività collettive. Attiene non solo alla relazione con gli altri, ma anche al comportamento così come si manifesta nelle discussioni in classe, nella partecipazione ai lavori di gruppo, nell’impegno espresso durante l’allestimento di mostre e spettacoli. Agire in modo autonomo e responsabile: sapersi inserire in modo attivo e consapevole nelle attività e nelle relazioni socio-affettive, facendo valere le proprie esigenze e quelle altrui. Si riferisce all’ambito sociale in cui, nel rispetto delle regole esplicitate, vengo- 5 no esercitati i diritti senza trascurare la necessaria osservanza dei doveri, Risolvere problemi: affrontare situazioni problematiche costruendo e verificando ipotesi, raccogliendo e valutando fatti e circostanze per poter infine proporre soluzioni percorribili. Non riguarda solo le materie tecnico-scientifiche, ma anche contesti relazionali da cui scaturiscono conflitti che vanno risolti con negoziazioni e compromessi accettabili. Individuare collegamenti e relazioni: operare interconnessioni tra fenomeni, eventi, processi e concetti anche complessi, identificando sia le intersezioni tra cause ed effetti sia le analogie e le ricorsività. Acquisire e interpretare l’informazione: individuare le fonti per giungere a valutarne l’attendibilità e l’utilità, distinguendo tra fatti e opinioni. In un’epoca in cui il bombardamento mediatico e le convinzioni ideologiche producono stereotipi e pregiudizi è di fondamentale importanza imparare a discernere tra le differenti versioni di ciò che troppo frequentemente viene sbandierata come verità. Le competenze chiave, così come sono state sinteticamente delineate, costituiscono un’occasione per rivedere e – se necessario – ricalibrare gli obiettivi e le prestazioni già tracciati in ogni materia d’insegnamento. Spetta, come sempre, alla buona volontà dei docenti trasformare questa occasione in un’opportunità per: a) riflettere sulle finalità della propria disciplina; b) individuare gli indicatori che configurano e descrivono i profili degli studenti; c) riconvenzionare il linguaggio tra insegnanti diversi per età anagrafica e itinerari formativi. Ma non si tratta solo di questo! Gli insegnanti devono più che mai essere coscienti che “è in corso un genocidio di cui pochi si stanno rendendo conto. A essere massacrate sono le intelligenze degli adolescenti, il bene più prezioso di ogni società che vuole distendersi verso il futuro” Lo assicura un lavoratore coscienzioso e osservatore attento, che ribadisce: “Vi prego di credermi, non sono un apocalittico, sono semplicemente un testimone quotidiano di una tragedia immensa” (da la Repubblica del 4/10/2002). La sofferta confessione rivela un disagio, e lancia un allarme che può non essere condiviso, ma non sottovalutato, perché gli insegnanti sono inclusi tra coloro ai quali spetta l’onere di scongiurare l’eventualità di una catastrofe annunciata. E’ un compito che, pur nell’inadeguatezza dei mezzi a disposizione e nello sconforto della solitudine, va doverosamente svolto, senza ergerci al ruolo di eroi o di missionari, bensì facendo appello alle nostre competenze professionali e alla nostra sensibilità di cittadini premurosi. 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 12345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 6 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ L’altro che è in noi, ovvero le radici del nostro cibo Massimo Montanari* Il cibo, come il linguaggio parlato, è un importante strumento di comunicazione, che trasporta simboli e significati di varia natura (economici, sociali, politici, religiosi, etnici, estetici ... ) e rappresenta i valori e le tradizioni in cui ciascuna società si riconosce. Il sistema alimentare costituisce pertanto uno straordinario veicolo di identità, e al tempo stesso di scambio: se da un lato esso esprime l’identità di una cultura, dall’altro è lo strumento più immediato per entrare in contatto con culture diverse. In cucina, le diverse culture si aprono a ogni sorta di invenzioni, incroci e contaminazioni. Una vicenda esemplare è quella del Medioevo europeo, che vide formarsi un’identità alimentare e gastronomica innovativa rispetto al passato, grazie a uno straordinario esperimento di contaminazione, anche conflittuale, tra culture diverse e in qualche misura opposte. La civiltà agricola dei Romani, che rappresentava come “incivile” o “pre-civile” ogni forma non-agricola di utilizzazione del territorio, si scontrò con la civiltà silvo-pastorale delle popolazioni germaniche, che avevano nel bosco il loro baricentro produttivo e che anche per questo i Romani chiamavano “barbari”. La civiltà del pane, del vino e dell’olio si scontrò con la civiltà della carne, del latte e del lardo, e per alcuni secoli questa diversità fu assunta, da entrambe le parti, come simbolo di un’identità da conservare, di una guerra da vincere. Poi, a poco a poco, i due modelli si mescolarono e diedero origine a un sistema economico e alimentare nuovo: un sistema, per così dire, meticcio, che gli storici hanno chiamato agro-silvo-pastorale. Esso comportò il superamento dell’antica opposizione fra prodotti agricoli e prodotti del bosco, fra pane e carne (intesi quasi come simbolo di due diversi stili di vita). La cultura alimentare del Medioevo si fondò, da allora * docente di Storia Medioevale e di Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna. StrumentiCres Settembre 2008 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ “Colui che non è mai uscito da casa sua, pensa che solo sua madre sa fare bene il sugo (Proverbio Mina, Togo) in poi, sulla consistenza dei due protagonisti. L’antica contrapposizione fra pane e carne lasciò il posto a una sintesi: panes et carnes diventarono valori condivisi, riconosciuti entrambi come necessari alla sopravvivenza quotidiana. Anche la diffusione dei cristianesimo operò in questa direzione: da un lato perché introdusse nel calendario liturgico l’alternanza regolare fra cibi “grassi” e “magri”, (con o senza carne), dall’altro perché conferì un forte valore identitario al pane e al vino (alimenti sacri) ma anche, indirettamente, alla carne, in particolare a quella di porco - per differenza con l’Islam che lo escludeva dalla dieta, così come escludeva il vino. Attraverso un duplice processo dì aggregazione (le tradizioni romane sommate a quelle germaniche) e di disaggregazione (il venir meno dell’unità mediterranea con l’affermarsi dell’Islam nelle coste africane), il pane, il vino e il maiale diventarono i simboli alimentari dell’Europa cristiana. Tale vicenda - emblematica del carattere dinamico della storia dell’alimentazione, della natura, appunto, storica, e perciò mutevole, di tutte le identità alimentari - proiettò a nord del Mediterraneo alcuni valori che erano cresciuti altrove e che in passato avevano caratterizzato altre culture: la civiltà del pane e del vino era nata nelle regioni del Vicino e del Medio Oriente afroasiatico; dal Medioevo in poi diventò soprattutto europea. La nascita di una nuova identità alimentare, definibile come europea, che non coincide più né con la tradizione romana né con quella dei “barbari”, è una vicenda di straordinario interesse, non solo storiografico. Personalmente la ritengo emblematica, quasi la metafora di come nascono, crescono, si sviluppano le culture e le tradizioni alimentari, in seguito a incontri, scambi, compromessi, adattamenti, contaminazioni. Quando si parla di cibo, il tema dell’identità viene spesso utilizzato in senso francamente reazionario, per difendere il proprio orticello, chiudere la porta agli altri, definire un confine invalicabile fra sé e i “barbari” che ci minacciano. Il tema oggi è scottante ed evidenti sono le sue implicazioni, politiche oltre che culturali. E poiché la storia viene spesso chiamata in causa come garante StrumentiCres Settembre 2008 della nostra identità, della nostra tradizione, delle nostre radici, il dovere di uno storico è far notare che l’insegnamento della storia sembra muoversi in direzione opposta: essa mostra che le tradizioni alimentari non restano mai uguali a se stesse, ma cambiano nel tempo, modificandosi al contatto con tradizioni diverse. Le identità, le tradizioni si inventano, nel senso letterale della parola: si trovano, si costruiscono. E le origini, le radici, di per sé non spiegano nulla: sono condizioni necessarie ma non sufficienti a spiegare i fenomeni. Marc Bloch, il più grande storico del Novecento, amava illustrare questa idea con l’esempio della ghianda e della quercia: senza la ghianda, la quercia non esisterebbe; ma non tutte le ghiande diventano querce, poiché sono il tipo di terreno, il clima, l’umidità che permettono alla ghianda di sviluppare le sue potenzialità. Sono le condizioni “storiche”. Non era scritto da nessuna parte che nel Medioevo, a partire dall’incontro fra cultura germanica e cultura latina, si sviluppasse una nuova gastronomia europea. Altro esempio significativo: la cosiddetta “dieta mediterranea” troppo spesso viene celebrata come frutto di una saggezza antica, di una tradizione lungamente sperimentata. Invece, anche qui ci troviamo di fronte a una costruzione storica. Molti elementi di questa dieta mediterranea non sono affatto, in origine, mediterranei, bensì derivano da una storia, da scambi con altre culture, con altre regioni dei mondo. Le cucine mediterranee del nostro tempo richiamano il mondo antico nell’uso di prodotti come il pane, il vino, l’olio d’oliva, la carne d’agnello, la cipolla, l’aglio. Ma altri sapori, altri gusti sono decisamente cambiati. Alcuni di essi sono scomparsi: nell’antichità greca e romana si faceva largo uso di salse a base di pesce fermentato (la più famosa era il garum) che oggi non si trovano più nelle cucine mediterranee, mentre si incontrano nelle tradizioni gastronomiche dell’Asia sud-orientale. Allo stesso modo è scomparso l’uso del coriandolo e del suo sapore acre-amaro, che ritroviamo invece nell’America latina (dove lo portarono gli spagnoli). Viceversa, altri sapori mediterranei si sono affermati in epoca recente: la melanzana e il carciofo sono stati portati da- 7 LIBRI GOLOSI Laila Wadia (a cura di), Mondopentola, Collana Kuma, Cosmo Iannone editore, Isernia 2007 euro 12 Una raccolta di tredici racconti di altrettanti scrittori, immigrati in Italia dalle più diverse parti del mondo, accomunati dall’idea che il cibo e la sua preparazione possono diventare un momento di condivisione, ma anche un modo per allontanare la nostalgia che nasce dalla mancanza di odori e atmosfere appartenenti al passato, senza scivolare nell’esotico o nel folklore anzi contrastando stereotipi e luoghi comuni. “I migranti di tutte le latitudini di tutti i tempi hanno portato con sé i sapori di casa propria per sentirsi meno soli. Il cibo è per loro rifugio, il cordone ombelicale con la madrepatria spesso lasciata a malincuore.”, spiega Laila Wadia nell’Introduzione. (p.10) L’intento della raccolta è quella di invitarci a una cena in cui ogni scrittore porta una pietanza per condividere con noi “sapori e saperi delle terre d’origine, arricchendoli con gli ingredienti della nuova patria, condendo il tutto con la fantasia “ per provare che in fondo siamo tutti un unico Mondopentola. Gli autori hanno deciso di devolvere il compenso dei diritti d’autore a favore di un’associazione brasiliana che si occupa di bambini in difficoltà. M. Richter e L. Dugulin (a cura di), Sapori incontri fragranze, CACIT edizioni, Trieste 2006 Il Coordinamento delle Associazioni e delle Comunità degli Immigrati della provincia di Trieste (CACIT) propone questa raccolta di racconti e poesie di 47 autori stranieri e autoctoni, che ci conducono in un viaggio attraverso i sapori e i profumi di terre e genti diverse. “I sapori e i profumi contenuti in questo volume - osservano i curatori - si trasformano in fragranze e gusti meticci come risultato dell’incontro di diverse parti del mondo diventando araldi degli ideali dei cittadini aperti allo scam- gli arabi verso la fine del Medioevo; il fagiolo e il pomodoro sono venuti dall’America in Età moderna, assieme al mais e alle patate. Dunque l’Asia e l’America sono state, al pari dell’Africa e dell’Europa, essenziali nel definire i caratteri del sistema alimentare che siamo soliti definire mediterraneo. Concentriamoci infine su un piatto tipico della gastronomia italiana, un piatto dal fortissimo valore identitario: gli spaghetti al pomodoro. La storia di questo cibo mi è sempre apparsa esemplare per riflettere sui due concetti di “identità” e di “radici” che troppo spesso, nel linguaggio comune, vengono confusi, mentre io credo che vadano decisamente distinti e diversamente localizzati. L’identità sono i valori e i modelli che ci qualificano qui e ora. Le radici sono i luoghi e gli spunti da cui la nostra identità ha preso origine: ma non necessariamente appartengono a noi. Se ricerchiamo le radici 8 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ bio comunitario e testimoniando la voglia di una cittadinanza sempre più partecipativa da parte sia degli “stranieri” sia degli “autoctoni” in vista del riconoscimento del diritto alla pluralità.” Il CACIT è la prima associazione di volontariato gestita da immigrati e italiani ad essere diventata casa editrice. Ha pubblicato altre due antologie: Sguardi e parole migranti che ha vinto il Premio Multietnicità 2006, e Cuori migranti del 2007. Calixthe Beyala, Come cucinarsi il marito all’africana, epoché, 2004 Aissatù è una donna immigrata a Parigi, follemente innamorata di Suleymane Bolobolo, che vive con la madre e una gallina. Per sedurlo e conquistarlo pensa di prenderlo per la gola, ricorrendo ad aromi tropicali (mango selvatico, zenzero, marinata di spezie e zuppa di pesce….) che stregano e catturano. Per noi non sarebbe facile preparare la Tartaruga verde di bosco con banane plantain, l’Antilope affumicata ai pistacchi, o il Boa in foglie di banano e il Coccodrillo alla salsa Bongo Tchobi, si potrebbe però fare un tentativo con il Pollo ai limoni verdi e il succo di zenzero... Al di là dell’aspetto spensierato e leggero delle ricette di cucina, Calixthe Beyala traccia il ritratto di una giovane africana disorientata in una società che rifiuta il cibo e le rotondità femminili e che propone un modello di bellezza opposto a quello che prevale in Africa. L’autrice, originaria del Camerun, sesta in una famiglia di dodici figli, a 17 anni si trasferisce in Francia, dove si sposa e si diploma. Nel 1987 pubblica il suo primo romanzo dal titolo C’est le soleil qui m’a brulée, che testimonia la lotta della donna africana per sopravvivere. Da allora oltre che alla scrittura si dedica attivamente alla difesa dei poveri del suo paese, in cui trascorre parte dell’anno, e sostiene progetti rivolti alle donne. storiche degli spaghetti al pomodoro non possiamo non risalire, da un lato, al Medio Oriente arabo, da cui giunse in Italia, durante il Medioevo, la nuova cultura della pasta secca di forma allungata (che si sviluppò a partire dal XII secolo in Sicilia); dall’altro all’America, da cui giunse in Europa, in Età moderna, il pomodoro. Le radici del nostro piatto dunque sono asiatiche e americane. Ma non c’è dubbio che esso rappresenti l’identità italiana, perché le radici (le origini) non sono l’identità. Se vogliamo, le radici sono “l’altro” che è in noi. Ringraziamo l’Autore e Lo Specchio, supplemento mensile a La Stampa, per l’autorizzazione a pubblicare l’articolo tratto dal numero di ottobre 2007 StrumentiCres Settembre 2008 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ PROPOSTE DIDATTICHE I barbari. Un percorso di ricerca in quarta classico Laura Vecchi Una premessa All’origine del modulo che intendo presentare c’è un’idea e un progetto: lo studio della lingua, della civiltà e della letteratura latina come ricerca interculturale. Interculturale è, in primo luogo, l’approccio allo studio di una qualsiasi lingua seconda, in quanto vi è epistemologicamente presupposto il rapporto e il confronto tra le due (almeno due) culture ingabbiate dentro le strutture grammaticali e il lessico delle lingue. Ogni lezione, anche la più tradizionale, di morfosintassi latina è già quindi uno scambio tra mondi. In più, lo studio di una civiltà come quella romana così indissolubilmente legata alla formazione della nostra identità individuale e collettiva, in quanto italiani, europei ed occidentali, impone una riflessione ed una ricerca sui processi di costruzione di tale identità, sia diacronicamente che sincronicamente. Scoprirsi, poi, attraverso questa ricerca, tutti senza esclusione meticci, ci offre chiavi di lettura dell’oggi forti e profondamente radicate. La ricerca, invece della trasmissione, oltre ad essere una predisposizione naturale, mi aiuta a provare a fare della classe una comunità, un gruppo di lavoro. Una precisazione Insegno, come molti colleghi ed ex colleghi che collaborano da tempo a Strumenti, all’ITSOS “M.Curie” di Cernusco sul naviglio. Insegno latino nell’indirizzo linguistico classico; nella nostra scuola gli studenti dopo un biennio comune giungono a scegliere il loro indirizzo di studi classici in terza; ciò comporta che il latino e il greco vengano appresi solo nel triennio con un monte ore settimanale che, spalmato sui tre anni, è di 17 ore settimanali, insomma un percorso abbastanza abbreviato e soprattutto accelerato. Questo ci impone tagli e, d’altro canto, ci consente libertà nella gestione dei programmi. tra Romani Rapporto e Barbari nell’età di C. Giulio Cesare Il modulo ha come cuore null’altro che la solita analisi di alcuni capitoli del Bellum Gallicum di Cesare, pre- * ITSOS M. Curie, Cernusco S/N StrumentiCres Settembre 2008 vista dal programma di I liceo classico (che noi svolgiamo invece al quarto anno), in questo caso particolare, l’excursus etnografico del VI commentario in cui Cesare descrive i Galli (capp. 13-19); intorno, però, abbiamo intrecciato molti fili per andare alla ricerca della storia dell’archetipo del barbaro, prima nella sua realizzazione nel mondo greco-romano, poi nei suoi termini generali ed attuali. Il percorso si è articolato in tappe, più che in vere e proprie unità didattiche a) letture propedeutiche per focalizzare l’attenzione sul tema: Kavafis, Aspettando i barbari, 1908 Che aspettiamo, raccolti nella piazza? Oggi arrivano i barbari. Perché mai tanta inerzia in Senato? E perché i senatori siedono e non fan leggi? Oggi arrivano i barbari. Che leggi devon fare i senatori? Quando verranno le faranno i barbari. Perché l’imperatore s’è levato così per tempo e sta, solenne, in trono, alla porta maggiore, incoronato? Oggi arrivano i barbari L’imperatore aspetta di ricevere il loro capo. E anzi ha già disposto l’offerta d’una pergamena. E là gli ha scritto molti titoli ed epiteti. Perché i nostri due consoli e i pretori sono usciti stamani in toga rossa? (…) Oggi arrivano i barbari, e questa roba fa impressione ai barbari. (…) Perché d’un tratto questo smarrimento ansioso? (I volti come si son fatti seri) Perché rapidamente strade e piazze si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi? S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti. Taluni sono giunti dai confini, han detto che di barbari non ce ne sono più. E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi? Era una soluzione, quella gente. È davvero facile sollecitare l’attenzione con un testo come questo, che dopo alcune lezioni introduttive sul personaggio di Cesare e le sue opere, abbiamo letto e cercato di interpretare insieme: i ragazzi hanno subito focalizzato - la contrapposizione tra gli elementi di chi si ritiene civile e superiore (le leggi, il trono, la pergamena, le istituzioni – imperatore e senatori, consoli e pretori – titoli ed epiteti, toghe, anelli, pietre preziose e questa roba fa impressione ai barbari.) e i barbari , - il senso dell’ignoto ( S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti /Taluni sono giunti dai confini, /han 9 detto che di barbari non ce ne sono più.) - e l’enigma degli ultimi due versi che appositamente ho lasciato aperto affinché facesse da domanda portante per la nostra ricerca. Intanto leggendo e analizzando la scheda barbaro/ barbarie curata da Federico Condello per l’enciclopedia dell’antico sul sito www.einaudiscuola.it abbiamo definito i termini della questione: Il greco bárbaros, passato nel corso dei secoli a gran parte delle lingue occidentali, non è in origine che una definizione di carattere linguistico, fondata sulla resa onomatopeica del ‘balbettio’ cui si riduceva, agli orecchi dei Greci, la parlata delle genti straniere. Solo una lunga e complessa evoluzione semantica, determinata da precise vicende storiche e culturali che travalicano i confini della storia antica, ha sovraccaricato di valori ben più ampi e impegnativi la nozione di ‘barbaro’, finendo per strutturare un sistema di opposizioni binarie, dal marcato carattere polare, a sua volta disponibile a diverse valorizzazioni in termini positivi e negativi. Si realizza così, attraverso la nozione di ‘barbaro’, uno dei casi più vistosi di quella opposizione fra ‘cultura’ e ‘non cultura’ che l’antropologia contemporanea ha riconosciuto come un elemento fondamentale di ogni identità culturale: ‘noi’ contro ‘loro’, l’identico contro il diverso, la ‘cultura’ – appunto – contro tutto ciò che le è estraneo dal punto di vista della cultura stessa (e perciò classificato come ‘non cultura’, piuttosto che come diversa e ugualmente legittima cultura), costituiscono altrettante polarità necessarie alla definizione della propria identità sociale, benché spesso ciò comporti una condanna o un rifiuto totale dell’altro. Abbiamo poi discusso il capitolo conclusivo de I barbari. Saggio sulla mutazione di A. Baricco. Insomma, utilizzando letture semplici e al contempo suggestive ho introdotto categorie d’analisi fondamentali degli studi antropologici: il noi che si definisce per opposizione ad un “altro”; il muro, il limes come difesa dall’attacco ma soprattutto come definizione di sé. In più Baricco, facendoci sentire che la paura è in tutti noi ed è la paura di perdere una parte di sé dalla contaminazione con l’altro, dalla violazione del nostro territorio non tanto geografico, quanto interiore, ci forniva una chiave di lettura per l’oggi, “Perché ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perchè ridiventasse se stesso in un tempo nuovo.” b) ho poi focalizzato l’attenzione sulla nascita in Grecia del termine barbaros tra paura dell’ignoto e fascino dell’altrove facendo riferimento in particolare ad Erodoto, scrittore greco che spinto dai suoi interessi etnografici andò ad indagare i popoli stranieri, e poi sulla nascita della paura dei Galli a Roma. Come racconta Livio, a partire dalla battaglia di Allia, i barbari per i Romani sono i Galli, che possono all’improvviso calare da Nord. Quando i Galli saranno a sufficienza romanizzati, i Germani, descritti come popolo a sé per la prima volta da Cesare, diverranno ‘pericolosi’. Anche per i Romani, il termine barbaro è servito ad indicare gli “altri” popoli, quindi, diversi per lingua, ma soprattutto per cultura e mentalità. Roma ereditò da Erodoto un duplice atteggiamento verso i barbari: da una parte curiositas, di indagare usi e costumi diversi dalla norma, dall’altra l’idea della necessità dello scontro tra civiltà e barbarie, ma molti autori introdussero un’ulte- 10 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ riore antitesi, apparentemente favorevole ai barbari, quella tra la corruzione della civiltà (per i Romani proveniente dalla Grecia e dall’Oriente) e l’integrità dell’inciviltà. c) Abbiamo poi accuratamente disaminato il periodo storico in oggetto, curando in particolare l’evoluzione dell’imperialismo romano sulla scorta della Guida alla storia romana di Guido Clemente. d) Le indicazioni di carattere etnografico fornite da Cesare non sempre di prima mano, ma spesso derivate da altre fonti letterarie, come Posidonio, sono pienamente conformi alla concezione romana del mondo, che “è costituito come una cipolla: al centro c’è Roma, e via via allontanandosi s’incontrano i popoli civilizzati, i popoli barbari, i mitici selvaggi e, infine, il confine del mondo, l’Oceano che porta al cielo e al regno dei morti” F. Dupont, La vita quotidiana nella Roma repubblicana, Roma-Bari, Laterza, 1990, p. 96. Siamo così arrivati alla traduzione e all’analisi dei testi di Cesare pronti a far attenzione alle parole che categorizzano, pur volendo apparire neutre, il senso di superiorità, il disprezzo, l’invidia, la paura, l’orrore: come l’ossequio al principio della interpretatio Romana con il quale nel cap.17 Cesare ‘traduce in latino’ i teonimi celtici oppure l’asettica descrizione nel cap.16 della pratica dei sacrifici umani (notizia veritiera in quanto confermata da Strabone e Diodoro Siculo), che nasconde sotto la dovizia di particolari l’orrore (sacrosanto per la pratica in sè) per la barbarie, dimenticando, però, che pratiche simili aveva conosciuto anche la Roma arcaica. e) Facendoci poi catturare dal fascino delle narrazioni sul pantheon gallico e la casta sacerdotale, abbiamo ascoltato la relazione di una studentessa appassionata di materia celtica sulla figura del druido che attraversa la tradizione del ciclo bretone fino al fantasy così diffuso oggi f) Un buon numero di ore è stato occupato dal laboratorio di traduzione dei capp. 68-90 del commentario settimo del Bellum Gallicum, che ha avuto come prima finalità l’apprendimento delle competenze traduttive, ma contemporaneamente ci ha messo in contatto con l’antagonista per eccellenza di Cesare nella campagna gallica, Vercingetorige, che poi in età romantica fu reinterpretato come un giovane e il più antico eroe nazionale francese. Il focus del nostro interesse si è rivolto però ad un momento fondamentale e critico della narrazione, in cui gli assediati in Alesia, privi ormai di viveri, discutono sul da farsi e, tra le diverse proposte, il discorso di Critognato è un capolavoro di ‘ferocia barbara’, nessuna ammirazione da parte di Cesare può essere tributata al selvaggio campione della libertà celtica, il quale accusa i Romani di voler imporre a tutti i popoli che assoggettano una turpissimam servitutem Ma qual è la civiltà che l’Arverno si ostina a difendere? Quella di un popolo che – per tradizione, si noti bene! (quod nostri maiores …fecerunt) – quando è assediato, è disposto a mangiarsi i più deboli per resistere all’assedio: e questo è un fatto accettato assemblearmente (potius utendum consilio… quam aut deditionis aut pacis subeundam condicionem), non soltanto l’allucinata prospettiva di un esaltato! L’accusa rivolta ai Romani di voler sottomettere invidia adducti i popoli che si sono rivelati fama nobiles potentesque bello appare StrumentiCres Settembre 2008 pertanto grottesca. Su suggerimento del bel saggio, di M.R.Cornacchia, La prospettiva dei vinti sull’im-perialismo romano, apparso sulla rivista online del dipartimento di italianistica dell’università di Bologna, abbiamo fatto anche un breve excursus su altri testi in cui Sallustio riporta i discorsi di due grandi antagonisti dell’impero, Mitridate e Aderbale, che denunciano le nefandezze della conquista romana presentate quali manifestazioni della rabbia isterica dei nemici. g) Alla fine ormai del nostro percorso, mi sono ac- ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ corta che Palazzo Grassi a Venezia ci stava facendo un generoso regalo: la mostra Roma e i Barbari e così ci siamo concessi una bella giornata veneziana. h) Tante sono state le verifiche intermedie, perché, com’è facile immaginare, per studenti che solo l’anno prima avevano appreso i primi rudimenti del latino non è stato facile imparare a tradurre i testi di Cesare. Li ho poi interrogati sull’analisi dei testi del VI commentario ed abbiamo fatto un primo bilancio dell’attività. Come verifica finale ho chiesto una relazione del modulo oppure un saggio. E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi? I ragazzi cercano una risposta alla domanda iniziale Non si può neppure immaginare la paura che la vista di quel nemico sconosciuto abbia provocato nei loro cuori. Tutti quei guerrieri pronti alla guerra, pronti a difendere i propri ideali contro creature tanto diverse, pronti a combattere fino alla morte... Non ci è dato sapere cosa avessero provato vedendo quei drappi rossi volare nel vento, avere davanti un nemico completamente coperto di metallo lucente, o la paura che provarono trovandosi di fronte a centinaia di guerrieri che uniti come un solo uomo percorrevano la loro terra o il non sapere quanto potesse essere forte il loro dio dalle sembianze di un’aquila, la cui effigie era tenuta alta davanti a quegli immensi eserciti… Lo sgomento regnava certamente tra i guerrieri galli alla vista di quegli uomini vestiti di armature, perché non erano nudi come loro per incutere timore e mostrare la propria forza e virilità, perché non si dipingevano il corpo con simboli e spirali per richiamare l’aiuto della divinità? Ma una cosa era certa anche i romani avevano paura, alla vista delle teste mozzate dei nemici appese ai carri da guerra, o dei loro corpi alti e possenti, scolpiti da centinaia di battaglie completamente diversi da quelli dei loro nemici piccoli di statura e di pelle scura, ma ciò che certamente terrorizzò di più i romani furono le enormi spade a doppio taglio a due mani e gli alti e impenetrabili scudi, le diverse daghe portate alla cintura e l’enorme lancia con la punta di ferro capace di trapassare un cavallo. In entrambi gli eserciti i guerrieri più abili e di rango più elevato entravano in battaglia su di un rapido carro da guerra, per entrambi simbolo di potere che aveva una notevole forza di penetrazione quando, a grande velocità, si scontrava con la prima linea dell’esercito nemico, creando scompiglio e falciando decine di uomini con le ruote falcate e con le armi del guerriero, che poteva guidare da sé il veicolo o lasciare il compito ad un auriga, rimanendo di fianco a lui. (Veronica) “Volgendo la mente al passato l’uomo moderno si considera migliore, è convinto che non commetterà mai più quegli errori, è convinto di poter cambiare il mondo, che non ci saranno più ingiustizie, ma se appena uscito di casa posa lo sguardo su un straniero al bordo della strada che chiede la carità o su di un accampamento Rom e continua la sua strada senza curarsene o addirittura pronunciando parole di fastidio alla loro vista, non è migliore di Cesare o di Hitler che preferirono usare la forza per eliminare la fonte della loro paura, piuttosto che entrare in contatto con il diverso e accoglierlo allo scopo di migliorare se stessi. Essi sono i veri barbari: assassini, cannibali, ladri, mostri…”(Veronica) StrumentiCres Settembre 2008 Vi sono ancora dei barbari? Il XX secolo ha chiaramente mostrato come perfino in Europa, così fiera della propria civiltà, la barbarie sia lontano dall’essere stata sconfitta. Le guerre più recenti hanno mostrato come l’uomo continua ad essere capace anche di atti di crudeltà più degradanti. La barbarie è dunque da intendersi come qualcosa di radicato in noi, al cuore stesso della nostra civiltà, proprio quando la denunciamo negli altri? Non è irrilevante il fatto che i Romani facessero la distinzione fra due tipi di barbarie. La prima è quella a cui di solito si pensa: violenza sfrenata, crudeltà e lo scatenamento della guerra, la ferocia senza misura che distrugge e disperde. Si tratta di una barbarie violenta, nordica, mascolina, eccitata dal furore e dalla brutalità. Più sorprendente, invece, il secondo tipo di barbarie che essi identificavano, dolce, “soft”, caratterizzata da una vita molle, senza fermezza né energia: è la barbarie della debolezza, orientale e femminile, che favorisce gli eccessi della sensualità in un mondo ridotto a delle apparenze e a delle illusioni. Non è difficile rilevare come sia particolarmente rilevante questo punto di vista romano rispetto alle situazioni d’oggi. Queste due forme, evidentemente, sono opposte l’una all’altra, ignorando che sia l’una che l’altra non sono che la manifestazione dell’identica barbarie. Vi è un punto in comune a questi due tipi di barbarie: l’idea del limite trasgredito, della frontiera oltrepassata. Possiamo pensare proprio all’esercito romano, consacrato alla difesa delle frontiere dell’impero, che segnavano il limite fra la civiltà e la barbarie. L’impero, però, con tutte le sue frontiere, è caduto. I limiti sono indispensabili: senza limiti è impossibile definirsi, darsi un’identità, una consistenza. Un uomo che non abbia limiti interiori è un mostro, un barbaro. Meglio un limite trasgredito, che l’assenza di limiti, dato che senza limiti non c’è più la consapevolezza della trasgressione,“trasgressione” significa infatti “passare dall’altra parte”. (Andrea) È dunque questa la nostra sorte? Dover continuare ad opporci agli altri per riconoscere noi stessi? Oppure un giorno riusciremo ad acquisire una sicurezza tale da non avere bisogno di un nemico con cui confrontarci? Io credo di sì e sono, anche, fermamente convinta che ciò accadrà quando saremo in grado di lasciarci travolgere dalla mutazione ormai in corso, portando con noi, come scrive Baricco (…), ciò che vogliamo conservare delle nostre radici e tenendo ben presente che “ quel che diventeremo continua ad essere figlio di ciò che vorremo diventare” (Alessia) 11 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Quadrati a tutto tondo Concetta Tiziana Casa* Daniela Folcio* “Conservare lo spirito dell'infanzia dentro di sé per tutta la vita vuol dire conservare la curiosità di conoscere il piacere di capire la voglia di comunicare”. Bruno Munari Questo è lo spirito col quale abbiamo voluto caratterizzare il percorso progettuale che presentiamo e sintetizza il motivo per cui ne abbiamo scelto il protagonista. IL QUADRATO alto e largo quanto un uomo con le braccia aperte il quadrato sta, fin dalle più antiche scritture e nelle incisioni rupestri dei primi uomini, a significare l’ idea di recinto, di casa, di paese. Enigmatico nella sua semplicità, nella monotona ripetizione di quattro lati ed angoli uguali, genera una serie di interessanti ed infinite figure… BRUNO MUNARI Il quadrato - questa forma geometrica tanto comune quanto “sconosciuta” nelle sue declinazioni - è stato l’oggetto di tutto il percorso didattico seguito in una classe di seconda media. Scopo principale del percorso è stato quello di far apprendere ai ragazzi come la geometria e la matematica si integrino con il quotidiano: ciò che ci circonda a volte è così “schematicamente” e “geometricamente” bello! La modalità di lavoro è stata quella della ricerca-azione a tutto campo che ha toccato alcuni temi dell’arte, della tecnica, del gioco e, ovviamente, della geometria. Il percorso è stato costruito partendo da attività pratiche di manipolazione e di osservazione su “oggetti quadrati”. L’attività ha aiutato l’alunno ad entrare in “confidenza” con questa forma geometrica, stimolando curiosità e interesse. Ha fornito gli spunti per avviare discussioni e riflessioni tali da poter strutturare in modo graduale i concetti geometrici e matematici utilizzando * Insegnano rispettivamente Scienze e Matematica presso la Scuola media sperimentale Rinascita-Lezvi a Milano 12 man mano un linguaggio specifico inerente ai contenuti che sono stati trattati, curricolari e non. Questo tipo di approccio concreto alla geometria favorisce il coinvolgimento di tutti gli alunni e soprattutto di quelli che hanno maggiore difficoltà con la matematica. Li aiuta a concepire la materia non come scienza astratta, costituita da un insieme di formule e regole da applicare senza capirne il significato, ma come strumento che, anche attraverso il piacere e lo stupore, può indagare e conoscere il mondo circostante. Inoltre può essere capace di sviluppare la creatività che c’è in ognuno di noi, apprezzando la bellezza delle forme geometriche e della regolarità. Le tappe del percorso Nel corso del primo incontro negoziamo con gli studenti il tema e le modalità di lavoro con l’obiettivo di presentare il progetto in pubblico, mediante una comunicazione interattiva a carattere scientifico. L’occasione ci è fornita dalla manifestazione Scienza under 18 presso l’Acquario Civico di Milano: la sfida è alta, le difficoltà molte, il tempo scarso, ma la motivazione fortissima. Si definiscono insieme quali caratteristiche deve avere una mostra affinché sia interessante, interattiva e coinvolgente. Tutta la classe è d’accordo su un punto: si deve essere bravi a spiegare cose difficili in modo semplice. Negli incontri successivi, entriamo nel merito: i ragazzi imparano il “come” ottenere un quadrato da un pezzo di Exibit realizzati per la manifestazione Scienza under 18 Quadrati allo specchio (per simmetrie e pavimentazioni) Quadrare i tondini Sudoku colorato Numeri quadrati Spirale aurea di quadrati Spirale quadratica Quadratino scomparso Quadrato magico scomposizioni da quadrato a: triangolo, pentagono, esagono, ottagono e viceversa Scomposizioni del quadrato: Tangram, Stomachion, Pentamini, Trigon, Memory arte Memory architettura Variazioni di Fukuda Lampada quadrata Filipesi (omaggio a Munari) Cartelloni: Radici e spirali, Alberi di Pitagora, Quadrati e frattali, Polimini StrumentiCres Settembre 2008 carta qualunque ed osservano tutte le sue proprietà; d’ora in poi, per ogni attività si discute sul “come” trasformarla in un exhibit, quali materiali usare, quale titolo possibile. Dopo le prime attività molto semplici, operative e ludiche si aumenta il grado di complessità. Si introducono i numeri quadrati, il teorema di Pitagora (collegandolo agli alberi e ai frattali), le spirali auree di quadrati (legate ai numeri di Fibonacci e alla sezione aurea), le radici quadrate e i numeri irrazionali. Si affrontano le simmetrie e, con l’aiuto degli specchi, si ricostruiscono quadrati e pavimentazioni. Si cercano opere d’arte che abbiano come tema principale il quadrato e strutture architettoniche a base quadrata con le quali realizzare due memory. Non mancano alcune scomposizioni classiche del quadrato quali lo Stomachion o i Pentamini e alcune del quadrato in altri poligono regolari. Ad ogni incontro - dopo lo svolgimento dell’attività e dopo le riflessioni comuni - si distribuiscono schede che aiutino a fissare le nozioni teoriche della lezione del giorno. Ogni studente realizza tutti i lavori proposti in cartoncino e poi li sistema in ordine cronologico nel quaderno di progetto, allegando un breve Diario di bordo compilato al termine di ogni lezione. Dopo aver lavorato in classe con carta e forbici, si passa in laboratorio. Qui si realizzano gli exhibit relativi alle attività svolte in classe; in questa fase i ragazzi - dopo essersi suddivisi i compiti per lavorare in gruppi eterogenei - sono coinvolti sia nella scelta del materiale da utilizzare sia in quella dei colori. Sono consapevoli di dover fare un “bel lavoro”, (anche l’estetica ha un ruolo importante) e quindi discutono e si impegnano con serietà dando ciascuno il proprio contributo. Per la scelta dei materiali, sono fondamentali alcune prove perché si deve testare la capacità dei ragazzi e la resistenza del materiale alla manipolazione di un vasto pubblico. Per i disegni utilizziamo il software Cabri geomètre. La scelta ricade sul legno e su un particolare tipo di plastica che si taglia facilmente con il taglierino. In laboratorio le competenze richieste ai ragazzi sono state: precisione, l’attenzione e collaborazione. Ad alcuni sono richieste anche competenze progettuali per la realizzazione di una scultura ispirata a “Filipesi” di Bruno Munari. Due gruppi di alunni disegnano prima su carta il progetto, poi realizzano due prototipi con asticelle di plastica e spago. Dopo attente valutazioni se ne sceglie uno che viene realizzato con tubi di alluminio e cordoncino rosso. Le ultime lezioni vengono dedicate alla cura dell’esposizione orale e a prove di interazione col pubblico. Infine, arriva il giorno che li vede protagonisti per tre giorni nel corso della manifestazione di Scienza under 18. Anche in questa situazione, osserviamo la serietà degli studenti, ma soprattutto quella “sana tensione” che dà un input positivo al raggiungimento ottimale degli obiettivi prefissi. L’ultima tappa ha visto impegnati i ragazzi alla Giornata Aperta della scuola. Per questa occasione è stato realizzata una presentazione con PowerPoint che ha aiutato gli studenti ad illustrare ai propri genitori il percorso matematico compiuto. Alla fine del progetto chiediamo ai ragazzi di ricostruire le tappe del percorso, le loro riflessioni, le emozioni provate e le difficoltà incontrate, mettendo in evidenza sia gli aspetti positivi che negativi. StrumentiCres Settembre 2008 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Il successo dell’esperienza nelle parole dei ragazzi GIULIA: Il lavoro in classe è stato molto interessante, ma mi ha coinvolto di più la fase di realizzazione degli exhibit. La parte teorica è stata coinvolgente perché, per farci capire, oltre a spiegare le prof. ci facevano realizzare le cose appena spiegate e questo mi aiutava a capire meglio. La parte più emozionante è stata l’esposizione all’Acquario, è stato bellissimo spiegare agli altri le cose che sapevo… sicuramente questo è un modo coinvolgente per imparare la matematica. FRANCESCO: Non credevo che il lavoro svolto in classe potesse darmi così tante soddisfazioni. All’Acquario i visitatori erano entusiasti dei nostri exhibit, si mostravano interessati e ponevano tante domande. SARA: Il lavoro svolto in classe è stato bello e interessante perché ha coinvolto tutta la classe nel trovare soluzioni, idee e anche nella realizzazione di tutte le dimostrazioni. All’Acquario quando finivamo di spiegare gli adulti avevano le facce un po’ stupite e i bambini ancora di più perché per loro era sia divertimento sia apprendimento di cose non conosciute. Alla manifestazione ero un po’ preoccupata: spiegare ad un pubblico di adulti e bambini mi terrorizzava, ma arrivati all’Acquario mi sono rilassata perché ho visto che se fossi stata in difficoltà i miei amici mi avrebbero aiutata. ANDREA: Il risultato del lavoro è stato spettacolare! Alla manifestazione, appena arrivato, sono stato messo subito alla prova da dei ragazzi di un Liceo che mi hanno chiesto cosa fossero gli alberi di Pitagora. All’inizio ero un po’ scioccato ma poi ho pensato: “io lo so” e ho iniziato a spiegare. Alla fine i ragazzi mi hanno detto “ora sappiamo una cosa in più su Pitagora”, ed io ero soddisfatto di aver fatto apprendere qualcosa di nuovo a dei ragazzi più grandi di me. SILVIA: I ragazzi dei licei erano interessati alla nostra esposizione e chiedevano spiegazioni, i bambini erano entusiasti e volevano provare tutti i giochi: questo mi faceva sentire importante ed ero felice di essere parte del divertimento e dell’apprendimento di alcune persone. I commenti mi facevano riflettere e mi rendevo conto di come un buon lavoro può essere premiato. MARTINA: Non mi ricordo esattamente cosa ho provato durante la manifestazione, perché è come se il tempo fosse volato, bloccando le emozioni dentro di me. La cosa che ricordo, perché prevaleva, era l’agitazione. All’inizio non riuscivo a parlare, ma vedendo che nessuno mi giudicava mi sono rilassata ed è arrivata la voglia: voglia di spiegare, voglia di mettersi in gioco, voglia di far capire, voglia di giocare e far giocare, voglia di restare li, voglia di non stancarsi, voglia di ricevere complimenti, voglia di raccontare. MARIKA: Abbiamo lavorato in gruppo, dandoci dei compiti. È stato bello perché collaboravamo e ci aiutavamo. Un’insegnate alla manifestazione ci ha detto “è un piacere ascoltarvi, siete bravissimi e avete fatto un ottimo lavoro”. Io in quel momento sentivo una forte emozione. DAVIDE: Mi è piaciuto molto questo progetto. In alcune situazioni ero fiero di me, perché sentivo di avere delle responsabilità e le ho gestite bene, mi sono sentito adulto. Consiglio a tutte le seconde medie di fare un’esperienza del genere. 13 Scheda di lavoro SPIRALE QUADRATICA La costruzione di questa figura parte da un primo triangolo rettangolo isoscele di cateti unitari. I successivi triangoli rettangoli hanno invece un cateto unitario e l’altro coincidente con l’ipotenusa del triangolo rettangolo precedente; in questo modo si viene a formare una linea spezzata, che ricorda una spirale, caratterizzata da raggi la cui lunghezza rappresenta la radice quadrata della successione dei numeri naturali, numeri irrazionali (se non quadrati perfetti). Si tratta di un’applicazione del teorema di Pitagora: ipotenusa 1° triangolo: ; ipotenusa 2° triangolo: ; ipotenusa 3° triangolo ; e così via. L’ampiezza degli angoli formati dai raggi e dalla “tangente” alla spirale è sempre costante? I triangoli sono simili tra loro? Si tratta di una spirale equiangolare? Confronta questa spirale con la spirale aurea: quali sono le differenze? Il contorno, essendo formato da segmenti, è una “spirale spezzata” ma non equiangolare: infatti i suoi “lati” sono tutti uguali tra loro e uguali a 1 (e non proporzionali). Anche l’ampiezza degli angoli interni non è costante. Riproduci il disegno utilizzando Cabri geomètre 14 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ StrumentiCres Settembre 2008 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier LA SCUOLA INCONTRA GLI SCRITTORI MIGRANTI Percorsi didattici, linguaggi e confronti S ono passati venti anni circa dalla pubblicazione delle prime opere letterarie in lingua italiana scritte da autori migranti. Dopo Francia, Gran Bretagna, Germania, Belgio, anche in Italia si è cominciato a parlare di letteratura della migrazione, di scrittori migranti, di narrativa nascente, etichette diverse che si riferiscono tutte allo stesso fenomeno. Nel nostro paese, queste nuove scritture non hanno ricevuto subito l’attenzione che avrebbero meritato, né da parte della grande editoria e dei mass media, né da parte dell’università, fatta eccezione per il comparatista Armando Gnisci che ha iniziato ad interessarsene fin dal loro primo manifestarsi. Nel 1998 ha pubblicato La letteratura italiana della migrazione tracciandone un primo profilo, ha creato la Banca dati BASILI e fondato la rivista on line Kuma. Grazie anche ai lavori di Gnisci, Strumenti ha cercato di raccontare il fenomeno con articoli, recensioni, Dossier, approfondimenti didattici. Questa letteratura - che offre spunti interessanti per capire le trasformazioni sociali del paese e per approfondire temi attualmente in discussione nella critica letteraria, che favorisce la creazione di un dialogo fra le varie parti sociali coinvolte in un futuro sempre più multietnico - è rimasta invece ai margini del dibattito culturale nazionale. Nel corso degli anni, la situazione è comunque andata lentamente modificandosi e l’interesse per questa letteratura ha cominciato a toccare anche le grandi case editrici, le biblioteche, la scuola. Si ha notizia di alcune scuole o di insegnanti che invitano scrittori migranti in classe, di biblioteche che organizzano cicli di serate con scrittori migranti, di performance teatrali, ma non è facile capire - sopratutto per quanto riguarda la scuola quanto sia diffusa questa pratica, come vengano impostati questi incontri, in che modo i testi di questi autori (poesie, racconti, romanzi) entrino nella pratica didattica, in che modo concorrano a promuovere una didattica interculturale. Questo Dossier ha come scopo quello di presentare esperienze didattiche fatte o possibili e si propone di avviare un dialogo diretto con altri insegnanti che, riconoscendo l’importanza di questa letteratura non solo da un punto di vista interculturale ma anche da un punto di vista didattico, ci possono scrivere e inviare le loro esperienze che saranno pubblicate nella rubrica “Proposte educative”. A cura di Anna Di Sapio e Gianluca Bocchinfuso StrumentiCres Settembre 2008 15 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Non esistono strade tracciate: “la via si fa andando” Anna Di Sapio e Gianluca Bocchinfuso Caminante, son tus huellas el camino y nada más; Caminante, no hay camino, se hace camino al andar Antonio Machado Questi versi di Machado risultano quanto mai adatti a introdurre un discorso sullo stato della letteratura della migrazione nel nostro paese. Nell’arco di un ventennio, questo fenomeno letterario sta tracciando una strada, assumendo proporzioni sempre più rilevanti. Il mondo culturale e mediatico italiano l’ha ignorato o si è interessato ad esso in modo sporadico, lasciandolo confinato a fenomeno di nicchia, lasciando che fossero le piccole case editrici e le associazioni di volontariato ad occuparcene. L’ha considerato un caso antropologico, ignorandone le potenzialità più strettamente letterarie. I critici l’hanno trattato “come una novità esotica – scriveva Yousef Wakkas nel 2001 sulla rivista “Kuma”1 - che desta semplicemente fascino, il fascino e la curiosità di un locale etnico”. Eppure, lentamente, la situazione è andata evolvendosi. Nel corso degli ultimi due Seminari, il fondatore e animatore della rivista on line “Sagarana”2 , Julio Monteiro Martins, notava con soddisfazione i progressi riguardanti la percezione generale di questa produzione letteraria. Ricordava, ad esempio, che all’Esame di stato del 2006 erano stati scelti un brano della scrittrice Christiana de Caldas Brito e uno dello stesso Monteiro: due brani complementari che parlano di migrazione soprattutto da un punto di vista psicologico ed esistenziale. Inoltre, sottolineava la buona accoglienza fatta all’antologia curata da Mia Lecomte Ai confini del verso. Poesia della migrazione in italiano (Le lettere, Firenze 2006) 3 , puntualizzando come molte case editrici medie e grandi cominciano ad avvicinarsi a questa letteratura. Sem- 16 pre più spesso, faceva notare ancora Monteiro, scrittori migranti italiani vengono chiamati a parlare, in rappresentanza dell’Italia, a convegni e seminari organizzati all’estero: Kossi Komla Ebri ha partecipato nel 2003 a Washington al Convegno dell’AAIS (American Association of Italian Studies); nel 2004 a quello della Österreichische Gesellshaft für Literatur a Vienne; nel 2005 a “Time of the Writer” a Durban; nel 2007 Monteiro è invitato Francoforte al primo incontro europeo degli scrittori migranti, organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura. In tutta l’Europa sottolinea Monteiro – si assiste all’affermarsi di questa letteratura che non è più una letteratura post-coloniale perché non è stata scritta da scrittori provenienti dalle aree francofone o anglofone delle ex colonie, ma da scrittori provenienti da paesi che non hanno rapporti coloniali, come i turchi in Germania o gli argentini in Italia. La letteratura della migrazione in Europa – sostiene ancora Monteiro – è la pri- ma letteratura che emerge dall’Europa unita ed è un fenomeno di grande originalità4 . Alcune riviste e periodici importanti hanno aperto spazi a questi autori: ad esempio, “Internazionale” - rivista settimanale che riproduce in italiano quanto di meglio viene pubblicato dalla stampa mondiale - ha avviato una rubrica “Italieni”, (L’Italia vista dai nuovi italiani), che nell’ultimo numero di giugno 2008 ospita scritti di Cleophas Adrien Dioma, Chang Yafang e Mihai Mircea Butcovan. Nonostante queste novità, l’impressione è che il grande pubblico continui ad ignorare le opere di questi scrittori e l’attenzione delle grandi case editrici potrebbe nascondere un rischio oltre che offrire un’opportunità. La politica editoriale dei grandi gruppi è legata alla commercializzazione, per questo cercano di vendere un’immagine più stereotipata ed esotica degli autori, che finisce per rinforzare gli stereotipi. Il parere di Monteiro è che in Italia ci sia un urgente bisogno di correggere le distorsioni del mercato culturale inquinato da prodotti simili ma diversi dalla vera “letteratura”. Insomma l’impressione è che il sistema tenda a mantenere separata questa produzione da quella “ufficiale”, non facendo rientrare questi autori nel mainstream, mentre da parte loro questi scrittori che scrivono in lingua italiana su fatti e personaggi italiani, storie ambientate in Italia chiedono che le loro opere vengano rispettate e valorizzate, indipendentemente dal fatto che gli autori siano nati qui o altrove. Questi autori hanno ormai superato la fase autobiografica e trattano tematiche che vanno oltre la 1 “Kuma” n. 2 in www..disp.let. uniroma1.it/kuma/kuma2.html 2 Dossier Letteratura della migrazione italiana on line in “Strumenti” n. 42/ 2006, pp. 28-30 3 L’antologia poetica è stata poi tradotta in inglese e pubblicata negli Usa col titolo A New Map: The Poetry of Migrant Writer in Italy 4 Settimo Seminario Scrittori Migranti, in www.sagarana.net; sul fenomeno della letteratura della migrazione in Europa v. “Strumenti” n.44 Dossier Europa/Europe Settembre 2008 StrumentiCres ● Settembre 2008 StrumentiCres ● ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ questione della migrazione dunque sarebbe importante che anche da parte di critici, giornalisti, accademici ci fosse, verso questo fenomeno culturale, una maggiore apertura per cogliere questo universo letterario ricco e variegato. Di questo sembrano accorgersi più gli studiosi delle università estere. All’università di Nantes nel 2005 è stato organizzato un convegno internazionale dal titolo “L’italiano lingua di migrazione: verso l’affermazione di una cultura transnazionale agli inizi del XXI secolo” i cui atti sono stati curati da Anna Frabetti, italiana, che insegna nella stessa università. Il convegno riguardava non solo la letteratura della migrazione in Italia, ma anche la letteratura della migrazione italiana verso altri paesi (il Quebec in particolare) e la diffusione dell’italiano in diversi luoghi, dall’Europa all’Africa. Nel corso del convegno sono state analizzate le opere di Tahar Lamri, Yousef Wakkas, Gëzim Hajdari, Carmine Abate, Jadelin Mabiala Gangbo, Mohsen Melliti, Jarmila Ockayovà, Cristina Ali Farah, ma si è anche sottolineato il fatto che le coste italiane, che gli emigranti si lasciavano alle spalle, oggi sono diventate il punto di arrivo di immigrati, e l’italiano, portato in giro per il mondo nelle valigie di cartone, mescolato con lingue diverse e trasformato in nuovi impasti espressivi, sta diventando il terreno comune per individui dagli immaginari, dalle tradizioni linguistiche, dalle culture più svariate. In questo modo la letteratura italiana oggi si arricchisce di colori e suoni diversi. Al di là delle difficoltà, la letteratura della migrazione è una letteratura in crescita e in perenne trasformazione, a giudicare dai dati di BASILI, la Banca Dati sugli Scrittori Migranti in Italia, che ne registra i dati di base.5 BASILI ha favorito la conoscenza di questa letteratura fuori e dentro l’Università, in collaborazione anche con altre istituzioni culturali. Se si osservano i dati riguardanti le tesi di laurea sulla letteratura italiana della migrazione, ci si accorge che sono ancora poche, sedici in tutto e di queste dieci sono state realizzate nell’ambito della cattedra di Letteratura comparata della Sapienza di Roma, la cattedra cioè di Armando Gnisci. 6 Probabilmente l’esiguità di questi dati dipende anche dalla difficoltà di reperire gli stessi, probabilmente il numero reale è superiore, in ogni caso ci sembra che comunque questo dato riveli un ritardo da parte degli accademici rispetto alla novità di questa letteratura. dossier La “Grande Migrazione” della quale facciamo parte tutti in modo più o meno consapevole, in vent’anni, ha prodotto in Italia racconti, romanzi, poesia, opere teatrali e musicali, saggi storici, filosofici e politici 7 . Infatti oltre alla scrittura ci sono le arti visive, la musica, la danza, il teatro, il cinema: in Italia ci sono migranti da tempo inseriti nell’ambiente artistico italiano, che contribuiscono a pieno titolo alla sua evoluzione. Riconoscere l’attività creativa di questi artisti (e dovrebbero farlo soprattutto i responsabili delle attività di promozione e produzione), che hanno un occhio che vede più lontano, permette a noi di immaginare nuove possibilità di vivere insieme. Significativo il racconto che fa la danzatrice Rosa Tapia, di origine ecuadoregna, in questo Dossier. Le opere di questi scrittori e artisti, sfidano i nostri paradigmi mentali, i modi consueti di leggere e rappresentare il mondo, sfidano il canone letterario occidentale. Una formazione letteraria e culturale che ignorasse la complessità della modernità rischierebbe di restare provinciale. È necessario ripensare la formazione con i suoi canoni letterari ed estetici e rendere la cultura e la letteratura nazionali meno narcisistiche. D’altronde è tipico delle epoche caratterizzate da grandi cambiamenti, da crisi e disorientamento, interrogarsi sul canone. Le opere degli scrittori migranti possono divenire strumenti importanti per realizzare una poetica della relazione, un nesso tra pari, senza centri né periferie, senza squilibri di potere.8 In tutto questo discorso, la scuola è ancora ai margini. Escludendo alcune punte di eccellenza costituite da progetti che vedono coinvolte più classi o più scuole oppure casi singoli, legati al diretto interesse degli insegnanti che conoscono gli autori, li invitano a scuola, leggono i testi con gli studenti, li inseriscono in percorsi interculturali, non esiste nel concreto un chiaro panorama sulla conoscenza e l’utilizzo didattico di scrittori migranti che, ormai, nel nostro paese provengono da tutti i continenti. In questa fase di progressivo aumento del numero di studenti immigrati nelle nostre classi, molti dei contenuti e delle tematiche presenti in questi libri possono risultare utili (se non indispensabili) per diverse attività progettate e programmate nella scuola. Infatti, si tratta di testi “che si situano ai margini dei canoni tradizionali, associati all’idea di cultura nazionale. [...] eppure, proprio per la sua posizione marginale, il racconto della migrazione ha la possibilità di suggerire modelli alternativi, di introdurre elementi di innovazione, sfidando e nel contempo espandendo i limiti imposti dal canone”9 . Anche per questo, “Strumenti” ha avviato - e vuole continuare con questo ulteriore Dossier - non solo un’opera di divulgazione e di conoscenza, ma anche di confronto su esperienze didattiche fatte o possibili, proprio con l’intento di iniziare un discorso di ricerca-azione che possa avere - come fine ultimo - una ricaduta sui curricoli di scuola media inferiore e superiore, non solo nell’area linguistica. 5 BASILI nasce nel 1997, nel Dipartimento di Italianistica dell’Università di Roma “La Sapienza” per volontà di Armando Gnisci 6 Le altre università sono Venezia (4), Milano(1), Bologna (1) 7 A. Gnisci, Scrivere nella migrazione tra due secoli, in “A. Gnisci (a cura di), Nuovo planetario italiano, Città aperta edizioni, Troina 2006, pp.13-39”; La Grande Migrazione è il titolo di un pamphlet di Hans Magnus Enzenberger edito da Einaudi nel 2003 8 Silvia Camilotti, La letteratura della migrazione nell’ottica dei processi di decolonizzazione, in http://web.uniud.it/ all/simp/num3/articoli/art3.html 9 Jennifer Burns, Loredana Polezzi, Migrazioni, tra confini e sconfinamenti, in “ J. Burns, L. Polezzi (a cura di), Borderlines. Migrazioni e identità nel Novecento”, Cosmo Iannone Editore, Isernia 2003, pag. 15 17 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Credere che hanno molto da insegnare... Alberto Conci* Da qualche anno, nelle scuole superiori di Trento si è avviato un percorso di lettura che è culminato in un appuntamento (Dieci libri per dieci scuole) che a partire dal 2004 ha accompagnato le manifestazioni del World Social Agenda. L’idea, per la verità, era nata nel 2003 quando, in occasione della Giornata della Memoria, Vincenzo Passerini, allora presidente del Forum Trentino per la Pace, aveva proposto di chiedere ad un gruppo di studenti di presentare alla cittadinanza alcuni dei più famosi testi sulla Shoah. Una presentazione impegnativa, che non sapevamo come sarebbe andata: non era facile raccontare quei libri così carichi di dolore, facendo comprendere l’importanza che essi rivestivano per la ricostruzione della memoria collettiva. I risultati, tuttavia, ci stupirono: mettere i ragazzi in cattedra, affidando loro la responsabilità di scegliere cosa dire e quali pagine far risuonare nella presentazioni, significava entrare con chiavi di lettura diverse nei testi, cogliendone aspetti spesso nascosti, che solo la loro sensibilità e i loro occhi avevano saputo vedere. Le tappe di un cammino… L’interesse suscitato dall’iniziativa spinse un piccolo gruppo di insegnanti a scommettere ancora sull’esperienza, rilanciando un modello di approccio alla lettura e alla comunicazione della lettura che si era mostrato fecondo e ricco di potenzialità: proporre alle scuole superiori di affrontare grandi temi attraverso lo sguardo di scrittori di tutto il mondo, riletti e “narrati” dai ragazzi. * Insegnante di scuola superiore, docente di etica nei corsi per operatori sanitari 18 Così nella primavera del 2004 è stata la volta dell’Africa, all’interno delle manifestazioni organizzate a Trento dal World Social Agenda, che hanno visto la collaborazione di tutte le associazioni della provincia impegnate in progetti di sviluppo e volontariato nel continente africano. L’illustrazione dei libri è avvenuta questa volta dopo la rappresentazione di un intensissimo spettacolo teatrale sulla tragedia del Rwanda messo in scena da 35 ragazzi del Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Trento, alla presenza di una testimone d’eccezione, la rwandese Marie Louise Mukobwa. Salita sul palco, Marie Louise, visibilmente emozionata, raccontò per la prima volta dopo dieci anni la morte della sorella, uccisa da un compagno di università in Rwanda, nella primavera del 1994. L’anno successivo, all’interno delle stesse manifestazioni del WSA, è stata la volta dei libri sull’America Latina, che i ragazzi hanno presentato prima di ascoltare la testimonianza di Rodrigo Rivas, giovanissimo parlamentare del governo di Allende al tempo del golpe di Pinochet in Cile. Rivas ha commentato il lavoro dei ragazzi e li ha profondamente impressionati con il racconto della sua vicenda personale: era poco più vecchio dei suoi giovani ascoltatori quando, in uno dei periodi più drammatici della storia latinoamericana, condannato a morte ha dovuto lasciare il proprio Paese. Nel 2006 gli studenti hanno affrontato la lettura di libri sull’Asia, in linea con le manifestazioni del WSA dedicate proprio al complesso continente asiatico. Anche questa volta, al termine della presentazione dei libri, gli studenti hanno ascoltato le parole di una testimone d’eccezione, l’indiana Kezevino Aram, pediatra e direttrice dello Shanti Ashram dal gennaio 2001, convinta gandhiana, membro del Comitato Esecutivo della Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace e consigliera del Dalai Lama. E nel 2007 è stata la volta dell’Europa e dei suoi conflitti, in particolare quelli vissuti nella Ex Jugoslavia. E sono stati soprattutto i testi che narrano la dolorosa vicenda balcanica a coinvolgere in quell’occasione gli studenti. Anche questa volta la presentazione dei libri è avvenuta di fronte a due ospiti particolarmente significative per la storia e la letteratura mondiale: la moglie e la figlia del grande ’ ’ reporter polacco Ryszard Kapuscinski, scomparso qualche mese prima, che hanno dialogato sul palco con Lucia Dallafior, Veronica Pedri e Sara Osti, tre ragazze di un liceo che qualche mese prima con un piccolo gruppo di amici avevano intervistato lo stesso ’ ’ Kapuscinski dopo aver letto tutti i suoi libri in italiano. Un’esperienza ancora una volta molto intensa, dalla quale e ’ ’ uscito un piccolo libro (R. Kapuscinski, Ho dato voce ai poveri, Il Margine, Trento 2007) che è stato considerato il testamento del giornalista polacco affidato ai giovani, e che i ragazzi stessi hanno poi presentato, assieme ad Ettore Mo, anche alla Fiera del libro di Torino del 2007. Rovesciare le prospettive A margine di questa piccola esperienza si possono fare almeno quattro riflessioni. La prima in merito al “rovesciamento di prospettiva” che l’ha fin dall’inizio ispirata. La scelta di mettere i ragazzi in cattedra, di farli leggere senza troppi filtri e soprattutto di farli raccontare, vuole essere un capovolgimento reale del metodo tradizionale di approccio al libro nella scuola. È un metodo che abbiamo usato spesso anche nelle presentazioni “ufficiali” dei libri, in quelle che di solito si affidano ai “grandi” del pensiero o ai professori dell’università… È accaduto a Trento, alla presenza degli autori, con il libro di Daniele Scaglione, Istruzioni per un genocidio, Gruppo Abele; con quello Settembre 2008 StrumentiCres ● Settembre 2008 StrumentiCres ● ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ di Elisa Springer Il silenzio dei vivi, Marsilio; con il testo di Francesco Comina e Marcelo Barros Il sapore della libertà, La Meridiana; con la presentazione del libro di Francesco Comina, Il monaco che amava il jazz, Il Margine; con quello di Marcello Farina, A rinascere si impara, Il Margine. O ancora con la presentazione del libro di Hanna Kugler Weiss, Racconta!, Giuntina, dove i ragazzi hanno dialogato con l’autrice di fronte a ottocento studenti; e infine, per chiudere questo elenco incompleto, con l’ormai tradizionale presentazione del rapporto annuale dell’UNICEF, affidata da anni unicamente agli studenti dei Licei. Un’attenzione particolare è stata riservata, in questi percorsi, allo sguardo dai tanti Sud del mondo (con la scelta di testi di letteratura, storia, filosofia … elaborati in questi contesti) e alla letteratura migrante. Ultima in ordine di tempo la presentazione del testo di Alidad Shiri, Via dalla pazza guerra (Il Margine). I ragazzi, dopo aver letto il libro, hanno intessuto un lungo dialogo con l’autore, oggi diciassettenne, sulla situazione dell’Afghanistan in guerra dal quale è fuggito. Un testo nato grazie alla passione di Gina Abbate, un’insegnante di Merano che ha spinto il giovane Alidad, giunto in Italia con un viaggio di migliaia di chilometri legato all’assale di un autotreno, a raccontare fin da subito una vicenda che mette in luce l’assurdità della violenza e della guerra Tutto questo nella convinzione che lo sguardo dei giovani può essere particolarmente prezioso e provocatorio anche per il mondo degli adulti. Di più, il rovesciamento di prospettiva parte dal presupposto che i ragazzi non solo possono, ma devono essere messi nelle condizioni di produrre, anche pubblicamente, le proprie riflessioni, che sono spesso, fra l’altro, di alto livello. C iò non significa che debbano essere lasciati soli nella fase preparatoria. Ma che la preparazione si può fare cominciando ad ascoltare i ragazzi. Per chi lo fa con costanza è un’esperienza straordinaria: si tratta di limitarsi a presentare il testo in pochi minuti, spiegando solo perché vale la pena di leggerlo, e poi di ritrovarsi qualche giorno dopo e di farsi raccontare quello che ha colpito e quello che è veramente importante per i ragazzi. Unica funzione dell’adulto: aiutare a mettere meglio a fuoco quello che loro mettono in luce e spiegare quello che non è chiaro. Gli effetti di questo procedimento, sono frequentemente inaspettati. Quando dopo la lettura del libro dossier di Mario Calabresi, Spingendo la notte più in là, i ragazzi lo hanno intervistato (all’interno di un progetto che condurrà nei prossimi mesi alla pubblicazione di un libro di dialoghi con i familiari delle vittime del terrorismo, sempre per la casa editrice Il Margine), Calabresi è rimasto stupito perché in nessuna delle 150 interviste precedenti erano stati messi a fuoco alcuni dei problemi posti dai ragazzi. Questo è il punto chiave: essere convinti davvero (non per gentile concessione…) che i ragazzi possono produrre riflessioni che sono realmente di alto livello, se solo si trovano nelle condizioni per farlo. E agli educatori, appunto, resta il compito fondamentale di creare le condizioni, non di sostituirsi loro nell’elaborazione del pensiero. La seconda riflessione è di carattere più pedagogico. In una situazione nella quale gli adolescenti si percepiscono unicamente come “oggetti” della riflessione culturale e politica, o come vasi da riempire con un sapere che a loro spetta solo di assorbire passivamente, questa piccola esperienza ha offerto ai ragazzi l’occasione per diventare soggetti attivi della conoscenza e della vita sociale e culturale della città. La cosa può sembrare banale, ma chi da insegnante o da educatore ha vissuto con loro il lavoro di questi anni, e magari li ha visti crescere in classe e nella vita, è rimasto colpito dall’interiorizzazione di questa esperienza. Oggi, dopo un cammino di alcuni anni, per coloro che lo hanno vissuto fin dall’inizio salta agli occhi la fiducia acquistata da molti ragazzi che considerano ormai assolutamente normale farsi carico di una presentazione pubblica di un testo, di una storia, di un autore, offrendo chiavi di lettura di assoluto rilievo e molto spesso veramente originali. La terza riflessione riguarda i contenuti. Nella scelta dei testi – questa, per ora, l’unica attività lasciata agli adulti (ma si sta lavorando anche sull’ipotesi di una selezione fatta dai ragazzi…) – si è voluto sempre rispettare una visione “polifonica” della realtà analizzata: non solo proponendo punti di vista diversi, ma anche diverse chiavi di lettura e diversi approcci disciplinari (accanto ai racconti e alle analisi di carattere sociale o politico, non è mai mancato, ad esempio, un libro che proponga una singolare prospettiva filosofica, da quella ebraica a quella africana…). E tale attenzione è stata posta anche in quegli incontri “fuori percorso” affidati ai ragazzi. Questa pluralità, cui si aggiunge la diversità degli approcci che deriva dalla diversità delle biografie e degli istituti frequentati dai ragazzi, costituisce alla fine un elemento ulteriore di ricchezza. Chi assiste alla presentazione dei libri, o all’incontro con un autore animato dai ragazzi, o a un’intervista pubblica affidata unicamente a loro (come quella effettuata dai ragazzi ad Agnese Moro, qualche settimana fa, all’interno del percorso sugli anni di piombo), ricava sempre una visione della realtà composta dalle multicolori tessere di un mosaico, ed esce colpito dalla pluralità delle prospettive offerte. Questo aspetto dell’esperienza, se rielaborato poi con gli stessi ragazzi, può diventare non solo un invito a tener conto della complessità della realtà, ma anche uno straordinario antidoto contro la tentazione sempre in agguato della semplificazione. L’ultima riflessione riguarda la dimensione “politica” di questo metodo di lavoro. È difficile dire quanto questo sforzo avrà una ricaduta più ampia, che si potrebbe appunto definire “politica”. Se cioè farà crescere nei ragazzi la consapevolezza di poter e di dover essere protagonisti nella realtà che li circonda, cercando di affrontare e capire, e non di demonizzare!, la complessità del mondo nel quale viviamo. Ma è certo che fino ad oggi chi ha accompagnato e ascoltato questi ragazzi, apprezzandone la presentazione limpida e fresca di pagine importanti della nostra storia lontana e di quella recente, ne è uscito più ricco. E con l’impressione che questo, per molti di loro, è stato un piccolo passo nella direzione di quell’assunzione di responsabilità che caratterizza una persona compiuta e un cittadino responsabile. 19 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier La letteratura della migrazione al centro di un viaggio a più dimensioni nel continente africano Elda Caserta* Non ci si può conoscere se non ci si specchia negli occhi degli altri Platone Il percorso Il percorso si è svolto nell’ora settimanale di compresenza lettere-francese, per tutto l’anno scolastico 20072008, in una classe terza, nell’IC Paolo Sarpi di Settimo Milanese, con l’obiettivo di approfondire dal punto di vista storico, geografico e socioculturale alcuni Paesi francofoni extraeuropei. Insieme all’insegnante di francese abbiamo circoscritto l’area francofona all’Africa. E così è iniziato un viaggio a più dimensioni… Prima di tutto il lavoro ha approfondito da un punto di vista storico e geografico l’area scelta, con l’individuazione dei Paesi francofoni e una riflessione sulle motivazioni della colonizzazione; quindi gli studenti sono stati invitati a riflettere sulle contaminazioni che l’incontro tra due culture genera, sull’influenza dei processi linguistici nel rinforzo o nella perdita dell’identità personale e di popolo. La fase centrale del percorso si è incentrata sulla letteratura della migrazione, a cui ho ricollegato anche la lettura del libro di narrativa: “La memoria di A.” di Saidou Moussa Ba e Alessandro Micheletti. L’esplorazione ha poi riguardato altri campi, quello della musica, con l’ascolto di brani africani e quello artistico, con riferimento alla nascita del Cubismo, dovuta proprio all’incontro * docente di lettere, IC P. Sarpi, Settimo Milanese. 20 tra Picasso e l’arte africana. L’ultima fase del percorso ha approfondito il fenomeno della decolonizzazione e i problemi lasciati aperti. Infine, sono state presentate diverse modalità di intervento per affrontare la situazione degli squilibri tra il Nord e il Sud del mondo. La classe La ricerca di una testimonianza concreta e significativa del fatto che l’incontro con l’altro possa trasformarsi in occasione per un arricchimento reciproco è stata ispirata dalla conoscenza della mia terza. Il gruppo, formato da 22 alunni, mi ha subito colpito per una chiusura e paura nei confronti dell’altro e, in particolare, dell’immigrato. Quello che mi ha particolarmente impressionata è stato avvertire un comune sentire, in questo senso, che fortunatamente nel corso dell’anno si è disgregato, grazie a un continuo coinvolgimento, a volte anche provocatorio, che lentamente ha consentito a ciascuno di differenziare meglio il proprio punto di vista da quello degli altri. Alla fine del percorso (che è stato parte coerente di una programmazione di materia tutta improntata all’apertura e al confronto), alcuni ostentavano ancora le proprie posizioni immutate, ma molti si sono ritrovati cambiati e questo grazie soprattutto all’esperienza emotivamente coinvolgente che ha chiuso il lavoro, cioè l’incontro con Saidou Moussa Ba. Ladellaletteratura migrazione La letteratura della migrazione, ha assunto la funzione di asse portante, grazie alla duplice valenza che ha rivestito. Da una parte infatti ha incarnato il tema centrale di tutto il percorso, cioè l’idea di cultura come contaStrumentiCres ● Settembre 2008 Settembre 2008 StrumentiCres ● ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ minazione, un’idea che mi premeva dare ai ragazzi. Dall’altra, ha fornito l’occasione per dimostrare come l’Africa non rappresenti soltanto un’emergenza, ma anche una risorsa. L’obiettivo alto di questa esperienza didattica, infatti, è stato di incoraggiare una logica di interazione con l’altro, piuttosto che di integrazione, come sfida da accettare per affrontare le trasformazioni della nostra società senza paura. Prima di tutto ho spiegato ai ragazzi che cosa si intende con questo tipo di letteratura e ho circoscritto i termini temporali e spaziali della questione. Il collegamento con l’Africa francofona è stato semplice e naturale, poiché questo continente sta assumendo un ruolo importante nella mappa della letteratura della migrazione. E il racconto dell’Africa si sta arricchendo dello sguardo interno e interiore di scrittori africani. Quello che mi sembrava importante comunicare è la volontà delle voci migranti di incontrare l’altro e di dare inizio a un nuovo gioco dei ruoli, dove il migrante non è più soltanto guardato, ma guarda, ci guarda, si avvicina e offre pezzi di sè e del proprio Paese. Come è risultato molto evidente dal libro di narrativa, uno dei primi testi che tentano di trasformare i migranti da portatori di bisogni a portatori di risorse creative. La letteratura della migrazione è così diventata occasione per pensare, in modo nuovo, che anche noi possiamo ricevere qualcosa da chi ospitiamo. E poiché riceviamo forti sensazioni, come: nostalgia, memoria, immaginazione, desiderio di tornare a casa e paura di farlo, solitudine che ripara nella parola, ho fatto analizzare alla classe prima di tutto, individualmente, dei testi poetici. Al principio ho letto personalmente dei testi e ho invitato la classe ad ascoltare a occhi chiusi, per poi disegnare le suggestioni provate. Poi i ragazzi hanno letto altri testi e hanno elaborato una scheda di lettura, di cui si riporta nel box un esempio svolto da un’alunna. L’attenzione è stata focalizzata sulle sensazioni e sul pensiero critico. Le poesie riportavano esperienze molto intense, come il ricordo del proprio Paese e della propria famiglia, la speranza e poi l’impatto con una realtà (quella del Paese accogliente, in questo caso l’Italia) che prima di partire era stata sognata in modo diverso, la sofferenza, l’umiliazione, ma anche uno sguardo critico, disilluso, impietoso sulle contraddizioni del nostro Paese oppure la forza dei propri sogni. Successivamente, in gruppo, i ragaz- dossier zi hanno letto dei racconti, quindi sono stati invitati a entrare nelle situazioni narrate e a immedesimarsi nei personaggi, diversi per origine geografica, cultura, colore della pelle, ma ritrovati simili a sé nei sentimenti e nelle scelte di vita. Le storie erano ambientate tutte nei Paesi africani, centrale e comune era il tema del viaggio (non necessariamente verso il nostro Paese), la vita dei protagonisti veniva colta in momenti cruciali, spesso il finale della storia ribaltava il senso che sembrava avere al principio o nel suo svolgimento. L’intensità della materia narrata ha stimolato delle interessanti discussioni all’interno dei gruppi di lavoro, per cui la differenza tra il “noi e loro” è sfumata spesso in quella tra “noi e noi”. E il gioco dei punti di vista ha sconfessato differenze tra gli uomini se non quelle di cuore e ragione. I gruppi hanno riscritto i racconti dal loro punto di vista, assumendo i ruoli dei protagonisti e spesso si sono ritrovati a compiere le medesime scelte dell’autore, l’altro, il diverso, l’immigrato, diventato “uno del gruppo”. Credo sia stata questa un’esperienza significativa e coinvolgente. Il momento più intenso dell’incontro con l’altro proposto da questa esperienza didattica è stato sicuramente l’invito a scuola di Saidou Moussa Ba. Scrittore e mediatore culturale, che partecipa a incontri con studenti e insegnanti di tutti gli ordini di scuola, ha saputo coinvolgere gli studenti con una carica di vitalità, simpatia, ma allo stesso tempo di serietà e approfondimento, che ha colpito tutti. In un tema proposto in seguito ai ragazzi, infatti, unanime è stato l’apprezzamento per la partecipazione al dibattito. Tutti hanno colto la disponibilità di Saidou di cercare un confronto vero e sincero con loro, come raramente avviene nella scuola, tra adulti e ragazzi, in un modo limpido, teso a smontare i pre-giudizi. A partire dai propri. Incisiva è stata anche l’esortazione a una riflessione continua, per costruire una propria visione del mondo, libera dai condizionamenti pressanti dei mass media e degli altri. Se ci si avventura nell’interessante e affascinante mondo della letteratura dei migranti è fondamentale poter poi incontrare davvero, in carne e ossa, l’altro. Il contatto con Moussa Ba è stato semplice e il confronto con un’esperienza concreta di vita ha dato un senso e una dimensione di verità incomparabili alle trattazioni teoriche. Conclusioni Giunti al termine della presentazione di questo lavoro, vorrei sottolineare che progettare percorsi che comprendano la letteratura della migrazione è davvero fondamentale in questo momento storico. È uno dei modi per far comprendere ai ragazzi come l’Italia si stia trasformando, da Paese che ha visto partire i propri migranti a Paese che accoglie. E aiuta a dimostrare l’importanza del punto di vista che si assume per definire la realtà che ci circonda. Il risultato di ogni incontro dipende da noi, tutti. E soltanto noi possiamo contribuire a creare una civiltà basata sull’intreccio di diversità e scambi, come è stato per le grandi civiltà del passato (da Roma in poi), condividendo l’affermazione del grande storico Le Goff: “La ricchezza culturale non deriva dalla purezza, ma dalla mescolanza”. Oppure rimanere intrappolati in una civiltà della paura, della chiusura verso l’altro e il diverso. Quella in cui i ragazzi, prima ancora di conoscere gli altri, si ritrovano già intrappolati e che, credo, impedisca loro di vivere con l’entusiasmo e il coraggio che dovrebbero essere tratti caratterizzanti e imprescindibili delle nuove generazioni. 21 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier “TRIBUTO A UN UOMO” DI J. WANDJA Scheda di lettura Colori e forme suggeriti dalla lettura Questa poesia è molto esplicita nell’esporre i pensieri e i sentimenti dell’autore, e io leggendola ho immaginato la cella che è descritta nella prima parte, con le mura grigie e le pesanti sbarre di ferro che separano il carcerato dall’agognata libertà e poi, nella seconda parte, ho visto queste sbarre spezzarsi, la cella scomparire per lasciare posto ad una paesaggio africano in una calda giornata di sole, in cui l’uomo rimasto prigioniero può finalmente riabbracciare i propri cari. L’ho raffigurato nella mia mente con le lacrime agli occhi, che cammina lentamente per le strade del suo villaggio assaporando ogni momento e osservando i cambiamenti che sono avvenuti. Vedo anche la gente del paese che, incredula, corre a salutarlo e poi, alla fine, la moglie che esce di casa e ritrova il suo amato e corre ad abbracciarlo, e spera di non doverlo perdere mai più. Tema centrale Per me questa poesia pone l’accento sul tema dell’ingiustizia presente in Sud Africa, da dove proviene l’autore, che spera, in fondo al suo cuore, che un giorno la giustizia trionferà e l’ipocrisia sarà abbattuta. Questo testo per me contiene anche una velata denuncia al governo del Camerun (patria dell’autore n.d.r.) o comunque ai personaggi potenti, che schiacciano e maltrattano quelli più deboli di loro. L’uomo descritto in questa poesia è una specie di “eroe”, perché è riuscito a resistere ai tormenti ma anche alle tentazioni in carcere, e nonostante tutto si è mantenuto puro come vi era entrato, credendo fermamente nella propria innocenza. Parole, pensieri e immagini che ti hanno colpito Mi ha colpito soprattutto una cosa in questa poesia: la speranza. Qui essa è presente ovunque, anche nei primi versi, che la celano, la nascondono, ma che poi prorompe nella seconda e nell’ultima parte, dove l’autore descrive il ritorno a casa dell’uomo uscito di galera e conclude con un giudizio sul suo Paese e sulle ingiustizie in esso presenti. Una frase più di ogni altra dona la speranza al lettore, ma anche all’autore stesso: quando saranno vin- 22 S tendere la mano per abbracciare la tua donna ed accorgerti di essere da solo su una branda. Aprire piano gli occhi cercando oggetti familiari e vedere solo le nude mura di una cella. Sentire il desiderio di parlare a un amico e ricevere solo una parola sprezzante dal carceriere. Attendere con ansia l’arrivo di una lettera con la paura che il mondo ti abbia ormai dimenticato. Giorni, settimane, mesi interminabili prima che vengano ad annunciarti la visita di una persona cara che ti possa dare conforto. Questa era fino a ieri la tua vita di uomo perché hai voluto essere uomo fino in fondo. Hai resistito alle loro minacce hai resistito alle loro lusinghe la tua dignità ha trionfato sulla loro meschinità. Oggi sei tornato alla tua gente te le ipocrisie, la cupidigia e l’avidità in Sudafrica un uomo potrà essere un uomo, cioè ogni individuo avrà la propria libertà. Elementi vicini e lontani Mi è stato difficile capire in questo testo quali fossero gli elementi vicini e lontani a me, perché sembra impossibile che in un Paese “evoluto” come l’Italia possano esserci situazioni così drammatiche, di uomini maltrattati, nonostante siano innocenti, da individui con una straordinaria dose di malvagità nel sangue, ma purtroppo non è così. Da noi queste cose succedono, anche se non le vediamo, e quindi posso affermare che la poesia è molto vicina a noi come insieme di persone. Io, per fortuna, non ho mai vissuto situazioni così brutte. Temi ricorrenti Oltre al tema centrale delle ingiustizie, quelli che fanno da contorno sono la felicità per aver ritrovato i propri cari e soprattutto la libertà, un bene preziosissimo, il più importante dopo la hai riabbracciato la tua donna hai rivisto la tua casa e tutto ciò che ti è familiare. Ti ha salutato con gioia gente di tutto il mondo che ama la giustizia e che non ti ha dimenticato gente a cui hai insegnato che la dignità umana non ha prezzo e che nessun uomo sarà libero finché non saranno tutti liberi gente che ha continuato a credere e a lottare resa forte dalla tua forza, fiera dalla sua fierezza gente che non sarà ora truffata dalle blandizie’ ma che sa che la vera lotta è solo agli inizi la lotta agli egoismi la lotta alle ipocrisie la lotta alla cupidigia crudele ammantata di perbenismo. Grazie anche a te un giorno vincerà la giustizia e finalmente in Sudafrica un uomo sarà un uomo. vita, che viene dato così spesso per scontato e che invece è stato fonte di lotte sanguinose e di tante morti che hanno cercato di regalare questo fondamentale diritto a tutti. La sua negazione avviene solo in casi particolari, per esempio durante il carcere, e quando la libertà viene riconquistata è come rinascere, perché si è di nuovo padroni della propria vita. Oltre a questo è molto importante anche il tema della denuncia contro le ingiustizie in Camerun, contro il quale l’autore sembra lottare duramente con la sua poesia, quasi rievocando il detto “ne ferisce più la penna che la spada”, perché con lo scritto egli esplicita i propri sentimenti e le proprie emozioni senza coercizioni di sorta che lo incatenino facendolo attenere rigorosamente a dei modelli. Forse il poeta vuole anche dire, con questo, che scrivere è una delle poche libertà e cose giuste rimaste nel suo Paese. Giudizio critico: ti è piaciuta la poesia? Perché? La poesia secondo me è stupenda Settembre 2008 StrumentiCres ● (Valentina) ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ perché è lo specchio della nostra realtà, quella in cui viviamo, costellata da ingiustizie celate dietro facciate belle e pulite. Sotto in verità c’è ben altro o, come dice il poeta, viviamo tra la “cupidigia ammantata di perbenismo”, una frase che rende bene l’idea. Il poeta inoltre propone la lotta contro queste ingiustizie, ed è proprio questo che mi ha colpita ed affascinata: la grinta con cui egli dà forza alle proprie convinzioni, una cosa che tutti dovremmo possedere dentro di noi, il coraggio di pensare liberamente. dossier PER SAPERNE DI PIÙ Testi generali Bregola D., Il catalogo delle voci. Colloqui con poeti migranti, Cosmo Iannone editore, Isernia 2005 Caizzi R. (a cura di), Riconoscersi leggendo. Viaggio nelle letterature del mondo , EMI/Cres, Bologna 2006 Gnisci A., (a cura di), Nuovo Planetario italiano.Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa, Città aperta Edizioni, Troina 2006 Gnisci A., Creolizzare l’Europa. Letteratura e migrazione, Meltemi, Roma 2003 Taddeo R., Letteratura nascente. Letteratura italiana della migrazione. Autori e poetiche , Raccolto Edizioni, 2006 Narrativa Abate Carmine, Il ballo tondo, Oscar Mondadori, 2005 Abate Carmine, Il mosaico del tempo grande, Mondadori, Milano 2006 Abate Carmine, Il muro dei muri, Argo, Lecce 1993 ora Mondadori 2006 (racconti) Abate Carmine, La festa del ritorno, Mondadori, Milano 2004 Abate Carmine, La moto di Scandeberg , Mondadori, Milano 2008 Abate Carmine, Tra due mari, Mondadori, Milano 2002 Agbonlahor Martins, La ragazza perduta, L’HarmattanItalia, Torino 2001 Ali Farah Cristina, Madre piccola, Frassinelli, 2007 Ammendola Clementina Sandra, Lei, che sono io, Sinnos, Roma 2005 Argento, Meandri, Trabucco (a cura di), Parole di sabbia, Edizioni Il Grappolo, S. Eustachio di Mercato San Severino 2002 (antologia di racconti e poesie) Bravi Adriàn N., Restituiscimi il cappotto, Fernandel, Ravenna 2004 Bravi Adriàn N., La pelusa, Nottetempo, Roma, 2007 Bravi Adriàn N., Sud 1982, Nottetempo, Roma, 2008 Butcovan Mihai Mircea, Allunaggio di un immigrato innamorato, Besa, Nardò 2006 Caldas Brito Christiana (de) , 500 temporali, Cosmo Iannone editore, Isernia 2006 Caldas Brito Christiana (de) , Amanda, Olinda, Azzurra e le altre, Oèdipus, Salerno/Milano 2004 Caldas Brito Christiana (de) , Qui e là, Cosmo Iannone editore, Isernia 2004 Settembre 2008 StrumentiCres ● (Ci si è limitati ai testi pubblicati a partire dal 2000) Caldas Brito Christiana (de) ,Viviscrivi, Eks&tra, 2008 Canifa Alves Jorge, Racconti in altalena, Edizioni dell’Arco, Bologna 2005 Chandra Viola (pseudonimo di Gabriella Kuruvilla), Media chiara e noccioline, DeriveApprodi 2001 Coman Ingrid Beatrice, La città dei tulipani, Luciana Tufani Editrice, Ferrara 2005 Dones Elvira, Bianco giorno offeso, Interlinea, Novara 2004 Dones Elvira, Sole bruciato, Feltrinelli, Milano 2001 Fofana Aminata, La luna che mi seguiva, Einaudi, Torino 2006 Gangbo Jadelin, Rometta e Giulieo. Feltrinelli, Milano 2001 Gangbo Jadelin, Una congrega di falliti, Instar Libri 2006 Garane Garane, Il latte è buono, Cosmo Iannone editore, Isernia 2005 Garcia Miguel Angel, Il maestro di tango, Eks&Tra 2005 Ghazy Randa, Prova a sanguinare, Fabbri, Milano 2005. Ghazy Randa, Sognando Palestina, Fabbri, Milano 2002. Ghazy Randa,Oggi forse non ammazzo nessuno. Fabbri, Milano, 2007 Ghermandi Gabriella, Regina di fiori e di perle , Donzelli, Roma 2007 Guaci Leonard, I grandi occhi del mare, Besa editrice, Nardò 2005 Jadreicic Tamara, Prigionieri di guerra, Eks&tra, 2007 Jaeggy Fleur, Proletarka, Adelphi, Milano 2001 Janeczek Elena, Cibo, Mondadori, Milano 2002 Jebreal Rula, La sposa di Assuan. Rizzoli, Milano 2005 Jebreal Rula, La strada dei fiori di Miral. Rizzoli, Milano 2004 Khouma Pap, Nonno Dio e gli spiriti danzanti, Baldini Castaldi Dalai, Milano 2006 Komla-Ebri K., All’incrocio dei sentieri.I racconti dell’incontro, Collana CREScendo, EMI, Bologna 2003 Komla-Ebri K., Imbarazzismi. Imbarazzi in bianco e nero, Edizioni dell’Arco/Marna, Milano 2002 Komla-Ebri K., La Sposa degli Dèi , Dell’Arco-Marna Milano 2005 Komla-Ebri K., Neyla, edizioni dell’Arco/Marna, Milano 2003 (romanzo) Komla-Ebri K., Nuovi imbarazzismi. Quotidiani imbarazzi in bianco e nero… e a colori, edizioni dell’Arco/Marna, Milano 2004 PER SAPERNE DI PIÙ 23 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Un mondo di libri - incontri con autori migranti Bruna Ricca * e Karim Metref** nasce Come l’iniziativa Nella città di Pinerolo è attivo, da alcuni anni, un Tavolo di Coordinamento sulle Politiche dell’Immigrazione, che raccoglie una serie di organizzazioni sia a livello istituzionale (ASSL, Servizi Sociali,…) sia Associazioni di Volontariato che a vario titolo lavorano con i migranti. Anche la Biblioteca Interculturale ADLIS, del IV Circolo Didattico, fa parte di questo Tavolo di Coordinamento, che nel 2007 ha deciso di partecipare al bando di concorso: “Immigrati nuovi cittadini” della Compagnia San Paolo di Torino. Il progetto presentato prevedeva due percorsi: uno quello dell’incontro con scrittori migranti, l’altro un notiziario radiofonico multilingue. La Biblioteca Interculturale ADLIS, ha curato il progetto degli incontri con autori migranti, che è stato pensato e coordinato da Bruna Ricca (responsabile della biblioteca) e Karim Metref (scrittore e curatore del sito Letterranza). Descrizione dell’iniziativa L’iniziativa prevista consisteva in un percorso di conoscenza del lato creativo dell’immigrazione attraverso laboratori, animazioni, conferenze pubbliche e dibattiti. Si è scelto di lavorare su due piani. Il primo è quello delle scuole. Laboratori e incontri a scuola con alunni delle scuole medie superiori e con gli alunni della Scuola Elementare “F. Parri”, dove ha sede la Biblioteca Intercul- * responsabile della Biblioteca interculturale ADLIS ** scrittore 24 turale ADLIS. Gli allievi preparati dai propri insegnanti, con letture di opere dell’autore ospite, hanno avuto la possibilità di incontrare gli scrittori, per fare domande e chiacchierare su vari temi, scelti sia da loro sia dall’autore stesso. Per i più piccoli l’incontro è servito per conoscere “chi scrive”, per ascoltare fiabe, fare domande… A questi incontri hanno partecipato: 372 alunni delle scuole superiori 330 alunni della scuola elementare e infanzia. Il secondo livello è stato quello del pubblico cittadino. Incontri serali con pubblico adulto, lettori della Biblioteca, insegnanti, educatori, persone interessate all’incontro con l’altro. Ogni autore veniva presentato insieme alla sua ultima opera letteraria e si sono creati dei momenti di dibattito e confronto molto stimolanti per tutti (300 presenze). La scelta dei due livelli è stata fatta nell’ottica di legare le attività scolastiche alla vita della città. Il lavoro fatto in classe non è più considerato un isola felice in un mondo che altrimenti ignora queste tematiche ma parte di un dibattito cittadino intorno a questioni legate alla convivenza e all’interazione positiva tra cittadini provenienti da orizzonti diversi. Gli autori incontrati sono stati i seguenti: Younis Tawfik – “Il profugo” Ed. Bompiani 2007 Mihai Mircea Butcovan – “Allunaggio di un immigrato innamorato” Ed. Besa 2006 Hamid Ziarati – “Salam, maman” Ed. Einaudi 2005 Karim Metref – “Tagliato per l’esilio” Ed. Mangrovie 2008 Kossi Komla-Ebri – “Vita e sogni – Racconti in concerto” ed. dell’Arco, 2008 Sandra Clementina Ammendola – “Lei, che sono io” Sinnos 2005 Letteratura dell’immigrazione L’immigrazione in Italia è recente, se comparata a quella delle prime potenze industriali europee. I primi a fermarsi in Italia, negli anni 70, erano in maggioranza venditori ambulanti e operai agricoli, ma presto cominciano ad arrivare ondate di studenti africani e mediorientali. Sono stati loro a scrivere le prime pagine, per lo più pubblicate sulla stampa e su riviste come quella dell’UCSEI (Ufficio Centrale Studenti Esteri in Italia). La maggior parte degli studenti rientrano nei loro paesi d’origine, ma alcuni rimangono e si stabiliscono in Italia per formare il primo nucleo di intellettuali immigrati. Alcuni di loro (come, tra altri, Bijan ZARMANDILI e Younis TAWFIK) cominciano presto a scrivere sulla stampa e poi a pubblicare saggi, ricerche, raccolte di racconti e romanzi. Poco a poco l’immigrazione diventa più folta e più varia per provenienza geografica, culturale e sociale. Siamo negli anni ottanta, l’era delle prime “carrette del mare”. I paesi del sud del mondo erano colpiti in pieno da una grave crisi economica e le grandi potenze industriali del Nord Europa sono anche loro in crisi e non riescono ad assorbire tutta la mano d’opera fornita dai flussi migratori. Allora si è cominciato a guardare a paesi come l’Italia e la Spagna, in piena espansione economica, non più come fornitori di mano d’opera a buon mercato ma anche come “consumatori”. Già nel 1990 sono apparsi due libri autobiografici che raccontavano le sofferenze di questi pionieri: “Immigrato”, di Salah METHNANI (Teoria) e “Io venditore di elefanti” di Pap KHOUMA (Garzanti). Siccome anche nel mercato editoriale come altrove vale sempre la regola “nuovo è bello”, questi due libri riscuotono un grande successo e incoraggiano altre case a stampare altre opere scritte, come queste, da immigrati aiutati da giornalisti italiani. Subito dopo, nel 1991, seguono “Chiamatemi Alì” di Mohammed BOUCHANE (Leonardo), “La promessa di Hamadi” di Saidou MOUSSA BA (De Agostini) nonchè la storia molto particolare del giovanissimo Palestinese Itab HASSAN, in carcere con un’accusa di terrorismo, “La Tana della iena” (Sensibili alle foglie). Oggi, anche se non ci sono ancora scrittori del calibro di Hanif Kureishi in Inghilterra, dell’Italo americano John Fante o del franco algerino Azouz Begag, si può oggettivamente parlare di una vera e propria produzione let Settembre 2008 StrumentiCres ● ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Scritture migranti dossier Rivista di scambi interculturali Questa nuova rivista nasce da un’idea del Dipartimento di italianistica dell’Università di Bologna e s’inserisce - con raccordi nazionali e internazionali - nel dibattito in corso sugli scrittori migranti e sulla ridefinizione del canone letterario italiano proprio in relazione alla poesia e alla narrativa da loro prodotta. Lo fa su più piani: la pubblicazione di testi inediti di scrittori migranti, la lettura critica degli stessi, la presenza di saggi specifici in un’ottica comparata. Lo studio degli autori non è limitato solo alla letteratura, ma si allarga anche alla musica, al cinema e al teatro. È, quindi, una rivista di ampio respiro che si propone di diventare un punto di riferimento nel confronto e negli studi in corso sulla migrazione in tutte le sue forme artistiche. Tra gli scritti presenti in questo numero: La spiaggia di Shirin Ramzanali Fazel, il saggio di Andrea Gazzoni su L’intentio epica dell’esilio: Gëzim Hajdari, quello di Beatrice Furini su Il migrante in transito nella scrittura di Emine Sevgi Özdamar. Inoltre, Lorenzo Luatti fa il punto sulle Voci migranti nella letteratura per ragazzi. Per contatti con la redazione presso il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bologna: [email protected]. teraria degli immigrati in Italia, perché quelle prime opere sono state seguite da tantissime altre. Nel sito www.letterranza.org sono catalogate circa duecento opere, e il sito si limita ai romanzi e alle raccolte di poesie e di racconti brevi scritti da un unico autore (o al limite a “quattro mani” come spesso si fece all’inizio). Se si aggiungono le opere collettive, i saggi e altre produzioni letterarie e giornalistiche si arriva a varie centinaia di volumi. Quella degli immigrati è ancora per lo più una letteratura di nicchia, promossa da piccole case editrici o da associazioni con pochi mezzi e diffusione limitata, ma alcuni cominciano già a fare il loro ingresso nella grande distribuzione e ad accedere ai più alti riconoscimenti, se si pensa ad esempio ai Premi Grinzane Cavour vinti da Younis Tawfik (La straniera, Bompiani, 2000) e Ornela Vorpsi (Il paese dove non si muore mai, Einaudi, 2006) o al Premio Montale per la Poesia Inedita (anno 1997) vinto da Gezim Hajdari, o ancora il premio Flaiano vinto da Amara Lakhous nel 2006 (Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio – E/O, 2006) arrivato decimo nella classifica dei best seller italiani dell’estate 2006. È iniziato a spuntare, inoltre, il germoglio della “seconda generazione” con giovani come Randa Ghazy (Sognando Palestina, Fabbri, 2002, best seller già tradotto in quattro lingue e Prova a sanguinare, Fabbri, 2005), Settembre 2008 StrumentiCres ● Nader Ghazvinizadeh (Arte di fare il bagno – poesia - Giraldi, 2004) che usano l’italiano come prima lingua e hanno tanta voglia di raccontare. Per quanto sia innegabile che esista una produzione letteraria dell’immigrazione, rimane comunque ancora aperto il dibattito su che cosa sia esattamente la letteratura dell’immigrazione: dove inizia e dove finisce? Da dove viene e dove va? Il sito Letterranza - come la maggior parte delle ricerche, delle riviste e dei siti dedicati a questo ambiente considera “opera letteraria dell’immigrazione in lingua italiana” ogni lavoro di narrativa o di poesia prodotta da un(a) immigrato(a), da un figlio o figlia di immigrati che vive in Italia (o ci ha vissuto), se scritta direttamente in lingua italiana o tradotta da o comunque con la collaborazione attiva dell’autore. Sembra una definizione abbastanza precisa. Ma in realtà nonostante i tanti paletti, il confine rimane abbastanza fluttuante, com’è forse giusto che sia. C’è molto da dibattere in questo campo. Anche se ammettiamo che possa essere risolta definitivamente la questione della definizione dello “Scrittore immigrato” rimangono altre domande in sospeso. Tra altre, quella sulla qualità, ad esempio. La maggior parte degli scrittori di origine immigrata rifiuta questa gabbia di “Migrant writer” come è usanza chiamarli ormai, ma ribadiscono che loro ambiscono ad essere “scrittori e basta”, e che gli unici canoni con i quali devono essere giudicati sono quelli della critica letteraria. Rimane che lo scrittore proveniente da altri orizzonti usa la lingua italiana in modo diverso e racconta cose diverse. Molto spesso racconta di cose lontane ma non come un esploratore, un antropologo o uno scrittore di romanzi esotici, ma con il sentimento di chi parla di sé e di chi gli è stato vicino negli anni teneri dell’infanzia. ruolo giocano Che questi scrittori? Oltre l’interesse, ovvio, di organizzare degli incontri sulla letteratura, la presentazione di autori appartenenti alla popolazione di origine immigrata in Italia è utile per vari motivi. In un momento in cui i media, in cerca di sensazionale e di incremento degli indici di popolarità, bombardano l’immaginario collettivo di immagini di sbarchi di disperati e di notizie di criminalità ad opera di cittadini stranieri soggiornanti sul suolo italiano, offrire al pubblico in genere e a quello scolastico, più sensibile e influenzabile, in particolare, una immagine dell’immigrazione diversa, attiva, propositiva, creativa, aiuta a sfatare i luoghi comuni della vittima o del criminale. Poi, la figura dell’artista, scrittore e intellettuale proveniente dalle minoranze più povere più indifese gioca sempre, anche suo malgrado, un ruolo importante nella riabilitazione dell’immagine del suo gruppo di provenienza e nel recupero della sua autostima collettiva. Gli incontri con gli autori immigrati aiutano a vedere l’immigrato in ruoli di protagonismo e a dialogare con lui da pari a pari. Così come è spesso una figura di mediazione che può contribuire a capire problemi che sembrano altrimenti troppo lontani geograficamente o culturalmente è sempre utile dibattere temi di attualità ricorrendo a interlocutori portatori di visioni e di vissuti diversi.. L’autore immigrato è una figura positiva di immigrato che ha scelto l’Italia per viverci e costruire e che ha scelto la scrittura in lingua italiana come veicolo di scambio e di dialogo con chi gli sta attorno. Per approfondire visitare i siti: www.letterranza.org www.dd4pinerolo.it/adlis/ 25 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier PARLANO I RAGAZZI DELLE SCUOLE SUPERIORI La letteratura, la cinematografia, il confronto sono elementi fondamentali per conoscere altri popoli. Tramite la letteratura, fonte scritta per eccellenza, si leggono e si imparano nozioni nuove; tramite la cinematografia, fonte visiva, si vedono immagini riguardo a costumi e a usanze, e tramite il confronto, fonte orale, si ascoltano opinioni e descrizioni, discutendo e confrontandosi. (Alessandra) Molte persone non comprendono l’importanza di conoscere altre culture, altre religioni e altre tradizioni perché credono che sia soltanto una perdita di tempo e non si preoccupano di sapere ciò che accade in un paese straniero perché pensano che non li riguardi personalmente dato che si trova a molti chilometrici distanza da loro. Ma si sbagliano, perché è importantissimo conoscere gli avvenimenti che accadono al di fuori del nostro stato, come una guerra o una dittatura, perché influenzano tutto il mondo. (Carlotta G.) Durante l’incontro con lo scrittore Younis Tawfik, mi hanno colpita molto i suoi discorsi relativi alla condizione della donna in Iraq, al ruolo del partito durante il regime dittatoriale di Saddam Hussein, all’influenza che esso ha avuto sulla popolazione e all’integrazione. La donna in Iraq ha una posizione svantaggiata rispetto a quella dell’uomo. Tawfik ha chiarito dei dubbi sorti sul velo. Esso non è imposizione della religione: infatti il Corano lo cita in alcuni punti, ma non esplicita l’obbligo di portarlo per le donne. Il fatto che molte lo indossino è dettato dal fondamentalismo religioso, che prevede la supremazia maschile. L’uso del velo parte da un antichissima usanza delle donne semite, già da prima dell’avvento dell’islamismo. (Carlotta A.) A volte le persone non accettano la gente con tradizioni differenti dalle proprie e tendono a isolarla. Da questa ghettizzazione può nascere il razzismo, ossia l’odio per i popoli diversi per lingua, usi, costumi e caratteristiche somatiche. Durante l’incontro con Younis Tawfik, un autori iracheno che ha scritto molti libri tra cui “La straniera”, ho avuto modo di capire che grazie al fenomeno dell’immigrazione si può verificare un arricchimento culturale, perché ci si rende contro della presenza di altre tradizioni diverse da quelle Occidentali, come quella irachena appunto. (Federica B.) Durante la visione del documentario “… e il Tigri placido scorre” ho notato immagine inedite, in quanto quasi sempre nei telegiornali le immagini dell’Iraq sono quelle della guerra, degli edifici e di luoghi pubblici crollati e mai si va ad intervistare le persone povere, quelle più colpite da questa situazione di conflitto, quelle persone che d’inverno non hanno il metano e d’estate non hanno l’acqua, quelle persone che vivono per strada e non hanno nessuno che li aiuta, quelle persone che ogni giorno vedono morire i loro figli, le loro mogli. (Chiara) 26 Durante la visione del documentario “… e il Tigri placido scorre” ho potuto osservare che la situazione mediorientale vista in Tv durante i telegiornali non sono sempre del tutto vere o comunque in parte a favore degli americani; mentre nel diario e nel documentario di Karim Metref si capisce la vera opinione della gente che nella maggior parte dei casi preferisce Saddam agli americani perché la situazione è notevolmente degenerata dato che nelle città c’è un clima pesante dove i guerriglieri sono sempre pronti ad attaccare gli americani ma esistono anche disagi interni come ad esempio i negozianti che non possono più tenere aperti i propri locali perché è pieno di delinquenti che al tempo della dittatura non esistevano. (Gabriele A.) Durante la visione del documentario “… e il Tigri placido scorre” ho ritrovato immagini della Baghdad descritta da Metref nel suo diario. È una città distrutta dai bombardamenti, dagli atti di violenza, che prima invece era molto bella. Vi sono scene in cui la gente ed esprime il proprio malcontento dovuto a un governo che non è forte, ad una Costituzione che esiste ma non è applicata e all’insofferenza nei confronti degli americani. Alcune persone intervistate dicono che si viveva meglio sotto il regime di Saddam, perché c’era più tranquillità. I giovani però non sono sempre d’accordo, perché attualmente c’è libertà di espressione, cosa che prima era vietata. (Carlotta A.) Il documentario ribadisce ciò che Metref aveva già detto nel suo diario:Baghdad ora è degradata, distrutta dai bombardamenti, vecchia, occupata dagli americani. I cittadini sono arrabbiati, c’è troppa precarietà in questo momento e ci sono anche posizioni diverse sugli occupanti di oggi: alcuni sostengono che con gli americani si ha più sicurezza ma non mancano i saccheggiatori e finché gli iracheni continueranno ad essere controllati non potranno avere un loro governo democratico. A volte può capitare di vedere in televisione Baghdad ma o viene fatto vedere solo ciò che si vuole, la parte migliore, quella ricca o meglio si evita di farla vedere. (Beatrice B.) Nel documentario ci sono immagini di una città caotica, rumorosa, sporca, degradata, ma che nonostante ciò continua a vivere. Piccole bombe possono essere scambiate per giochi, non c’è controllo, ordine e sicurezza, ma inquinamento, e per questo i bambini possono nascere con deformazioni. Non c’è inoltre giustizia, poiché l’occupazione americana influenza tutte le istituzioni, e in questa situazione nascono clan, caste e tirannie. Molti uomini non sono favorevoli all’occupazione americana, e ad essa preferiscono il regime di Saddam. La situazione è drammatica. Si vede tutto questo anche in TV, ma con la televisione si pensa, ingiustamente, che ciò sia distante da noi. (Valentina B.) StrumentiCres ● Settembre 2008 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Culture e letterature della migrazione Come un convegno può diventare occasione per significative esperienze didattiche Maria Calabrese* e Paolo Trabucco** Il convegno Da alcuni anni si svolge a Ferrara un convegno nazionale dedicato alle culture e alla letteratura della migrazione. La prima edizione risale al 2002, ma la rete di interessi e attività cui esso è legato nasce da più lontano, in continuità con il lavoro svolto da CiesFerrara e Cittadini del Mondo: associazioni che da anni cercano di favorire l’integrazione e la tutela degli immigrati, realizzano interventi sull’educazione interculturale, offrono alle scuole un servizio di mediazione linguistico-culturale e organizzano attività volte alla promozione del dialogo tra culture diverse. Il nostro interesse per la letteratura della migrazione si è concretizzato, negli ultimi anni, anche nella ideazione del sito VOCIDALSILENZIO (www.co mune.fe.it/vocidalsilenzio), che promuove attività culturali sulle tematiche dell’immigrazione, pubblica testi di scrittori migranti, cerca di far dialogare tra loro artisti e scrittori italiani e stranieri. Nelle diverse edizioni del convegno si sono alternate molte presenze: esperti ed intellettuali, autori noti o emergenti; preziosa poi la presenza di autori italiani, ma con una particolare sintonia e sensibilità nei confronti delle tematiche proprie di questa letteratura, e quella di personalità “di frontiera”, dal punto di vista culturale ed artistico. Per noi che crediamo molto nelle potenzialità educative dell’incontro tra percorsi culturali e identitari diversi, * Liceo “L. Ariosto”, Ferrara ** IPSIA “Ercole I d’Este”, Ferrara StrumentiCres ● Settembre 2008 la scuola è un luogo privilegiato in cui proporre questo tipo di esperienze. Per questo il convegno ha come suo tratto distintivo quello di rivolgersi in maniera particolare a un pubblico di studenti, e per questo è particolarmente qualificante la fase del lavoro nelle scuole. Nella doppia veste di organizzatori della manifestazione e di insegnanti nelle rispettive scuole, abbiamo osservato come la prospettiva di incontri da parte delle classi, nostre e di altri docenti, con gli scrittori ci conduceva a pensare agli inviti da rivolgere agli autori oltre che in relazione alle loro pubblicazioni più significative e recenti anche in vista dell’impatto che la loro produzione e la loro diretta partecipazione avrebbero prodotto su/con le classi. Nel corso degli anni si è venuta delineando pure una variegata casistica di modalità di incontri, in stretta connessione con le tipologie di classi, con le differenti impostazioni sul piano didattico, con le diverse personalità e i differenti modi di interpretare il proprio ruolo da parte degli scrittori. Ci si è palesato il tipo di scrittore la cui produzione suscitava un immediato e proficuo allargare lo sguardo alla letteratura alta-altra (con relativi confronti, affiancamenti, parallelismi); abbiamo incontrato scrittori che si sono posti come veri mediatori di cultura, la propria, l’altrui; abbiamo poi assistito a vere e proprie performances di artisti (di penna, di voce, di strada) che si sono ‘dati’ nel senso vero del termine all’uditorio e da esso hanno recepito e fatte proprie sollecitazioni, riflessioni, emozioni. Le esperienze didattiche Gli incontri con gli scrittori hanno generalmente richiesto una fase preparatoria nella quale i docenti hanno stimolato la lettura, il godimento, il lavoro di analisi, la produzione personale. Si possono individuare e classificare diverse tipologie di produzioni richieste/proposte agli studenti: testi creativi (poesie; racconti; sceneggiature per la drammatizzazione; reinterpretazioni in chiave grafica); testi più propriamente ‘scolastici’ (saggi brevi e relazioni; interviste reali e/o inventate; riflessioni personali sulle problematiche della migrazione); indagini statistiche; analisi testuali e confronti letterari; lavori di traduzione e transcodificazione, veri e propri ‘travasi’ da lingua a lingua. Tra le diverse tipologie di contributi, quelle più diffuse sono i componimenti poetici o narrativi estemporanei. Dietro all’estemporaneità dei racconti e delle poesie dei ragazzi, mescolate alle tematiche tipicamente adolescenziali, si fanno largo talvolta suggestioni che provengono da una particolare disponibilità a rappresentare il proprio immaginario proiettandolo in direzione di paesaggi, tematiche, che aprono su dimensioni, inconsuete, su prospettive, diremmo, “altre”. 27 Aquiloni Rombi colorati Che guardano il cielo, pensieri di carta ondeggianti qua e là; aquiloni nell’aria, desiderio di libertà. Tenuti dai bimbi, con un esile filo, volano in terre lontane, nei cieli, sulle colline afghane. (Anna M. - IPSSAR “Orio Vergani” – Ferrara) Suggestioni più complesse si risentono in lavori di studenti che forse più di altri rivelano un sapore autenticamente “letterario” ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Sempre relativamente alla poesia ci pare interessante il lavoro realizzato nell’edizione del 2006 da una classe del Liceo classico “L. Ariosto”. Sono state analizzate alcune poesie (lette sia in italiano che in inglese) di Arnold de Vos, olandese, residente a Trento, di professione archeologo e poeta. Si riporta come esempio l’analisi condotta da un gruppo di studenti su uno dei testi di A. de Vos: La mano non data Quel che mi ha insegnato mio padre volente o nolente è ascoltare me. Forse ho preso da lui. Dagli altoforni del nostro silenzio qualche scoria è volata. Ricaduta a distanza di tempo volente o nolente la raccolgo, una forma contorta che mi brucia tra le mani: La mano non data. The Hand Not Given What my father taught me willingly or unwillingly is to hear myself. Maybe I take after him. From the blast furnaces of our silence some residue has flown. fallen again in due time willingly or unwillingly I pick it up, distorted shape burning my hands: The hand not given. Questa poesia tratta il rapporto tra padre e figlio ed il conflitto generazionale tra i due. L’autore ci presenta un padre freddo nei confronti del figlio-poeta, il quale, nel momento in cui scrive la poesia, si trova in una fase della sua vita in cui “volente o nolente” gli risalta alla mano la “scoria” di un tempo, ovvero ciò che il padre gli diceva. Il confronto tra la poesia in italiano e la stessa in lingua inglese ha rivelato differenti scelte lessicali, come ad esempio l’ “ascoltare me”, viene reso più efficacemente con “hear”, che non vuol dire semplicemente ascoltare (ovvero listen to) bensì sentire, coprendo un ambito più profondo. “A distanza di tempo” è invece reso con “due time”, ovvero tempo debito. Gli altiforni citati nel quarto verso, che rappresentano un silenzio assordante, sono un esempio di ossimoro, figura retorica che avvicina due termini tra loro in contrasto. Nella conclusione, l’autore confessa che, quando raccoglie la scoria, è proprio la mano che lui non ha mai allungato al padre, perché in conflitto, quella che gli brucia: “la mano non data”. Le tracce della memoria Camminando tra sentieri notturni, sentendo la brezza leggera del Nord accarezzarmi i capelli, io ricordavo la mia vita passata. Nei deserti prati e nelle infinite brughiere Il mio cuore a lungo viaggia E la mia mente evoca i mitici canti Di popoli antichi. Le danze veloci accanto al fuoco e il Gusto dell’incantato idromele Mi ritornano alla mente. Nato tra i boschi dorati dove la luce Vola nell’aria. E tra le fronde dei salici sempre sedevo Ascoltando leggende remote. In lontananza vedo ancora Stendardi al vento. Vedo cavalieri con armature lucenti, odo il suono dei tamburi ed il rumore dei corni frastuona ancora nell’aria. Solo quando Rivivrò Questi momenti io sarò davvero Felice. (Nicola S. IPSIA “Ercole I d’Este” – Ferrara) 28 Al termine dell’incontro, la classe ha voluto ‘rendere omaggio’ al poeta, presentandogli alcune sue poesie la cui traduzione dall’italiano all’inglese è stata realizzata dagli studenti stessi: Anche se non ho voce Even if I have no voice Anche se non ho voce in capitolo, mi faccio sodale dei lunghi giorni vissuti male. Noi ci facciamo accadere. Non ha senso valere, non ha senso volere. Even if I have no voice in it, I become fellow of the long days spent badly. We make us happen. There’s no meanimg in being worth, no meaning in longing for. Destino Destiny Al destino travestito da dio quotidiani omaggi faccio, occhietti all’impossibile. Come chi della vita ha piene le tasche, adoro sviolinare il vuoto. To destiny disguised as God daily compliments I give, I blink to the impossible. Like the one who has had enough of life, I love flattering the empty space. StrumentiCres ● Settembre 2008 Se svanita nei sogni, o volata nei cieli, è riuscita a fuggire il tempo; ora, chi come lei la poesia la incontra solo così, per caso, si chiederà “Ma quanto durerà questo suo esilio? Ed è volontario ? O avrà forse qualche pena da scontare ?” Non sarà per caso tra le sue righe la risposta alle nostre domande? E se si trovasse proprio qui, con noi, tra noi. Solo nella sua bolla incolore, dove i giorni non passano e non scorrono lancette.. Risucchiata nell’occhio O lei stessa, occhio del ciclone ? Perché no, magari semplicemente è stanca di ascoltarci attribuire alle sue parole metafore e significati, o tacere nomi, tacere le nostre storie, che in quella direzione ci conducono…. Forse in groppa ad uno di quei cavalli verdi se ne fugge con un sorrisetto un po’ maligno stampato sul viso… E al diavolo le lune straniere, pensa. (Monica) Un lavoro complesso e articolato è stato prodotto nel 2004 da cinque classi del Liceo Ariosto che hanno letto le opere di Carmine Abate, uno scrittore di cultura arbëresche della comunità albanese di Calabria, emigrato in Germania e ora residente in Trentino. I testi Il ballo tondo, 1991; Il muro dei muri, 1993; La moto di Scanderberg, 1999; Tra due mari, 2002 sono stati analizzati sulla base di una serie di chiavi di lettura. Il tema della famiglia: ricostruzione della struttura e analisi delle relazioni tra i componenti; identità – migrazione: il rapporto con le radici e l’impatto con la Germania; la struttura narrativa e il suo significato sul piano simbolico; gli ambienti e la loro caratterizzazione: il paesaggio naturale e costruito – gli interni e gli esterni, le strade, il paese, la Germania; la cultura: la lingua, le tradizioni familiari, la cucina, i riti; la cultura tra oralità e scrittura – i racconti orali, le rapsodie, le StrumentiCres ● Settembre 2008 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ A volte perfino i mancati incontri hanno saputo tramutarsi in occasioni didattiche. È capitato nel 2006, quando all’incontro, previsto con tre classi del Liceo Ariosto e due del Liceo Carducci, la poetessa albanese Anilda Ibrahimi non ha potuto partecipare; la tristezza e la delusione sono state stemperate mediante una appassionata discussione sulle sue poesie; al ritorno a scuola, una classe del “Carducci” è stata invitata dal docente, Alberto Melandri, a produrre un testo sul tema “la misteriosa scomparsa di Anilda Ibrahimi”: dossier leggende, i miti; microstoria e macrostoria della comunità albanese. Gli studenti si sono avvicinati ai romanzi di Abate a seguito di accurate ricerche bio-bibliografiche e della lettura di pagine critiche e hanno poi elaborato una propria analisi che ha messo in luce lo stile che conserva un legame profondo con la storia millenaria, le tradizioni e i costumi della sua regione; la scrittura che mantiene il ritmo, l’armonia e le suggestioni delle rapsodie e dei racconti popolari; l’alone fantastico, quasi mitico in cui sono immersi gli avvenimenti e i personaggi.1 Nelle diverse edizioni del convegno un ruolo interessante lo ha svolto il teatro. A partire da opere di scrittori migranti, alcune classi hanno prodotto sceneggiature originali che hanno poi rappresentato nelle giornate del convegno. Un caso molto particolare di coinvolgimento totale è stato la performance teatrale “And the city spoke”, ideata da Jennifer Langer e Marta Niccolai, affidata alla regia di Ernst Fisher, che è stata protagonista dell’edizione del 2005.2 Lo spettacolo è nato da una collaborazione tra il Cies – Ferrara e l’associazione inglese “Exiled Writers Ink”, all’interno di un progetto che prevede l’incontro, lo scambio delle esperienze, ma anche della sensibilità e dei linguaggi, di otto scrittori migranti provenienti da diverse parti del mondo: Cile, Afghanistan, Congo, Iran, Zimbabwe, Algeria, Camerun, Vietnam, Eritrea; due scrittori ciascuno da Inghilterra, Polonia, Italia e Belgio. Gli autori sono stati invitati a incontrarsi e a portare, ciascuno attraverso la propria esperienza e nella propria lingua di appartenenza, un contributo personale intorno al tema del rapporto tra la città e l’esperienza, concreta o simbolica, della migranza. Ne è uscito un testo letteralmente multilinguistico, rappresentato per la prima volta a Londra, poi a Varsavia, e infine a Ferrara all’interno del convegno. In questa occasione alcuni studenti hanno partecipato alla riscrittura del testo in lingua italiana; altri hanno affiancato gli attori sul palcoscenico nel ruolo di co-protagonisti e quasi “traduttori simultanei”. Un grosso lavoro è stato svolto dall’insegnante Mara Gessi e dai suoi studenti del corso di grafica dell’Istituto “L.Einaudi” che hanno realizzato per gli scenari una bellissima opera moderna e surreale che rappresenta la città, traendo ispirazione e suggestioni dalle architettu- re di Biagio Rossetti agli spazi metafisici di De Chirico. Reciproche ricezioni Questo è stato il tema dell’ultima edizione del convegno, giocato su una riflessione a proposito di come il rapporto tra scrittore e lettore si snodi intorno ad una fitta rete di scambi e inversioni di ruolo. Nel discutere di questi temi abbiamo scorto come la questione sia più che mai aperta. E ne ritroviamo conferma in larghi tratti dei nostri convegni durante i quali scrittori e studenti (gli uni che ascoltano gli altri, reciprocamente investiti del ruolo di autori e pubblico) riproducono ambigui quanto proficui intrecci comunicativi. Riportiamo un caso emblematico: nel 2006, una classe del Liceo “L. Ariosto”, preparando l’incontro con la poetessa Anilda Ibrahimi, si è interrogata sul concetto di poesia ed ha elaborato alcune definizioni presentate poi al Convegno. Il poeta Alberto Masala3 , in quel caso in veste di ascoltatore attento, ha immediatamente preso il microfono e regalato all’uditorio una imprevista reazione poetica. Riportiamo alcuni testi degli studenti e la risposta del poeta. “La poesia è un’arte che viene praticata da persone che hanno qualcosa da dire al mondo e quel pensiero gli parte dal cuore. A me è capitato solo una volta di scrivere poesie perché in quel periodo avevo troppi pensieri brutti e non volevo parlarne con nessuno.” (Ina) “La poesia è il modo dei forti di esprimere emozioni e sentimenti e mette- 1 La versione completa di questa attività didattica è stata pubblicata negli atti del convegno (Ferrara 2003) disponibili anche in versione on-line sul sito Vocidalsilenzio (http://www.comune.fe. it/vocidalsilenzio/atti04espdidabate.htm) 2 Il testo completo, multilingue, dello spettacolo è stato pubblicato negli atti del convegno (Ferrara 2005) disponibili anche in versione on-line sul sito Vocidalsilenzio (http://www.comune.fe. it/vocidalsilenzio/atti05spoke.htm). 3 Alberto Masala è un poeta sardo di lingua madre logudorese che, grazie alla conoscenza di altre lingue (oltre l’italiano), si esprime in un personale ‘linguaggio di confine’. E’ stato più volte tra gli ospiti del convegno. Il testo completo dei suoi interventi è stato pubblicato sugli atti del convegno (Ferrara 2006). 29 Alberto Masala La poesia è ... La poesia è ... La poesia è ... La poesia è ... La poesia è ... La poesia è ... La poesia è ... re a nudo la propria anima in modo molto estroso.” (Alice) “La poesia è un modo per esprimere i propri sentimenti, forse non tanto per farli vedere ad altri, ma a se stessi; quando non riesci a capire ciò che hai nel cuore, credo che attraverso una poesia automaticamente riesci a dare un significato a quello che scrivi.” (Thiago) La poesia è ... La poesia è ... La poesia è ... PER SAPERNE DI PIÙ Kovacevic Diska, L’orecchino di Zora, Eks&tra, 2007 Kubati Ron, M, Besa editrice, Nardò 2002 Kubati Ron, Va e non torna, Besa editrice, Nardò 2000 Kubati Ron, Il buio del mare, Giunti blu, Firenze, 2007 Kuruvilla G., Mubiyai I., Scego I., Wadia L., Pecore nere, Laterza, Bari 2005 (antologia di racconti) Kuruvilla Gabriella, Colf, Fernandel, Ravenna, 2007 Kuruvilla Gabriella, È la vita, dolcezza, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2008 Lakhous Amara, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio, e/o, Roma 2006 Lamri Tahar, I sessanta nomi dell’amore, Traccediverse, Napoli, 2007 Lamsuni Mohammed, Il clandestino. L’Harmattan-Italia, Torino 2002 Lamsuni Mohammed, Porta Palazzo mon amour , Mangrovie, Napoli, 2006 Metref Karim, Tagliato per l’esilio, Mangrovie edizioni, 2008 Monteiro Martins Julio, La passione del vuoto, Besa editrice, Nardò 2003 Monteiro Martins Julio, Madrelingua, Besa editrice, Nardò 2005 Monteiro Martins Julio, Racconti italiani, Besa editrice, Nardò 2000 Monteiro Martins Julio, L’amore scritto. Frammenti di narrativa e brevi racconti sulle più svariate forme in cui si presenta l’amore, Besa, Nardò, 2007 Mujcic Elvira, Al di là del caos, Infinito edizioni, 2007 ˇ Ockayova Jarmila, Occhio a Pinocchio, Cosmo Iannone editore, Isernia 2006 30 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier il canto dell’essenza. la celebrazione del sacro che, a volte, non ha nemmeno bisogno di dei. lo sguardo diretto, la presa di responsabilità nei confronti delle stelle, del cosmo e delle parole sacre come bellezza, amore, amicizia. Senza mediatori. la voce che ti viene consegnata da una comunità perché tu canti in suo nome, e così ti viene data una funzione rappresentativa. che loro stessi ti tolgono quella voce quando non sei capace. il trasporto della voce di chi non ha voce, di chi non sa parlare o non può parlare. il ponte sull’abisso che il poeta ha disceso, e su cui fa camminare gli osservatori, i lettori, gli ascoltatori della poesia: senza bisogno di scendervi, riescono a guardarlo, quell’abisso. visione, è previsione, è narrazione, è esistenza. il modo per non andare in galera o in manicomio, per non essere punibili nel trasportare utopie, nel trasportare parole difficili da trasportare, rivoluzionarie... come la parola amore. Nel trasportare alterità. Nel momento in cui dicono che sei poeta non andrai in galera, non sarai punito, perché sei autorizzato a essere differente, diverso. testimonianza che si può praticare l’utopia. Testimonianza che si può praticare la singolarità. Testimonianza che si può praticare la differenza, la diversità. Oxman Alice, Una donna in più, Bompiani Milano 2000 Pakravan Amineh, Il libraio di Amsterdam, Marsilio, 2005 Portmann Susanne, Lasciando il bosco, Mangrovie, Napoli, 2007 Paraskeva Helene, Nell’uovo cosmico, Fara, Santarcangelo di Romagna 2006 Salem Salwa ,Con il vento nei capelli , Giunti, Firenze 1993/2001 Scego Igiaba (a cura di), Italiani per vocazione . Antologia di scritture migranti, Edizioni Cadmo, Fiesole 2005 Scego Igiaba, La nomade che amava Hitchcock, Sinnos, Roma 2003 Scego Igiaba, Rhoda, Sinnos, Roma 2004 Schneider Helga, Heike riprende a respirare, Salani 2008 Schneider Helga, Io, piccola ospite del Führer, Einaudi, Torino 2006 Schneider Helga, L’usignolo dei Linke , Adelphi, Milano 2004 Schneider Helga, Lasciami andare madre, Adelphi, Milano 2001 Smari Abdel Malek, Fiamme in paradiso, Il Saggiatore, Milano 2000 Spanjolli Artur, Cronaca di una vita in silenzio, Besa, Nardò 2003 Spanjolli Artur, Eduart, Besa editrice, Nardò 2005 Spanjolli Artur, L’accusa silenziosa, Edizioni dell’Arco, Milano, 2007 Stanisic Bon voyage, Nuova Dimensione, ˇ Bozidar, ˇ Portogruaro 2003. Tawfik Younis., Il profugo, Bompiani, Milano 2006 Tawfik Younis., La città di Iram, Bompiani, Milano 2002 PER SAPERNE DI PIÙ StrumentiCres ● Settembre 2008 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Sulle tracce di Pinocchio Un percorso di analisi comparata La scelta del tempo narrativo Gianluca Bocchinfuso Le avventure di Pinocchio Tutti, giovani e meno giovani, hanno letto e conoscono la storia di Pinocchio, diventato - suo malgrado il burattino più famoso del mondo. Il romanzo-fiaba di Collodi ha avuto da subito fortuna di pubblico e di critica, diventando nel corso dei decenni uno dei libri italiani più letto e tradotto e stimolando anche televisione e cinema: si pensi al famoso sceneggiato di Luigi Comencini del 1971 con Nino Manfredi, Gina Lollobrigida e al film del 2002 di Roberto Benigni con Carlo Giuffrè. Questo percorso è pensato per una classe seconda di Scuola Media e non ha come scopo quello di fare riflettere in modo asettico sui contenuti delle due opere - Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi (1881) e Occhio a ˇ Pinocchio di Jarmila Ockayova (2006) - ma piuttosto quello di ragionare sui diversi punti di vista, sulle tante storie possibili e narrabili, partendo proprio dalla storia originale raccontata da Collodi in terza persona a quella ˇ pensata dalla Ockayova e raccontata in prima persona dallo stesso Pinocchio. Già da questa differenza - che non è formale ma sostanziale - si evince una fondamentale contrapposizione tra la visione dell’adulto (in Collodi) che racconta con gli occhi del bambino-burattino e del bambino-burattino (in Ockayovà) che racconta con i propri occhi. Ovviamente, in entrambi i libri, il protagonista della storia rimane sempre Pinocchio. In un percorso di analisi comparata tra questi due testi, la scelta del racconto in terza o in prima persona non è solo, come dicevamo, un discorso formale. Permette anche un lavoro di analisi e riflessione su come cambia la storia quando cambia il punto di vista di chi la racconta. ˇ La Ockayova vuole “ripulire” il Pinocchio classico da tutti gli interventi che, nel corso dei decenni, l’adulto “ha fatto” su di lui, sovvertendo completamente il punto di vista del narratore. E sottolinea anche il non detto di Collodi che permette di ragionare sulStrumentiCres ● Settembre 2008 È raccontato in terza persona con quell’attacco “C’era una volta…” classico della tradizione fiabesca e del tempo del racconto di storie passate. Collodi, durante la narrazione, non si lega a nessun personaggio e passa da un ambiente all’altro, raccontando la storia da più punti angolazioni e focus, attraverso la voce di più personaggi. le tante storie che, appunto, si possono raccontare. Storie che recuperano e svelano altre realtà, stimolano un nuovo senso critico e nuove forme di conoscenza. Il tutto sul filo delle parole (“le parole sono ponti” - “le parole non dette sono ponti non costruiti” - “le parole non capite sono ponti crollati”) che costruiscono sensi e significato, unendo luo- Le avventure di Pinocchio - C’era un volta… - Un re! - diranno i miei piccoli lettori. - No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un pezzo di legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze. Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr’Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura. […] Occhio a Pinocchio È raccontato in prima persona, con la narratrice che si muove di pari passo con il protagonista rappresentato: la Ockayovà non filtra la storia attraverso altri personaggi, se non attraverso la visione del protagonista che la racconta. Le informazioni che noi abbiamo coincidono con quelle che Pinocchio racconta e che la scrittrice appunto narra. ghi, tempi, culture. A questo proposito, si può pensare ad un Laboratorio di scrittura creativa di un “nuovo primo capitolo”, utilizzando i due incipit. Può servire anche per motivare gli studenti e per farli sentire protagonisti delle due storie che stanno per leggere, oltre che stimolarli a cercare il loro punto di vista per una storia da raccontare. Occhio a Pinocchio Mi chiamo Pinocchio e voglio raccontarvi la mia storia. Raccontarvela dal mio punto di vista. Oh, immagino ciò che state pensando e credo convenga fare subito una precisazione: il mio non è un caso di antonomasia, né tantomeno di furbizia da epigono che vuole attirare l’attenzione con altrui celebrità. Vorrei che fosse chiaro: io sono Pinocchio. Quel Pinocchio, si. Lo so, conoscete tutti la mia storia. Quella scritta oltre un secolo fa da Carlo Lorenzini. Collodi, appunto. Che c’è da aggiungere, allora? Da aggiungere forse poco, da togliere molto. Collodi ha raccontato la mia storia come una storia va raccontata ai bambini: scegliendo di dire certe cose e di tacerne altre. […] 31 Il punto di vista La lettura in circle time dei testi prodotti dagli studenti e l’estrapolazione dei concetti-chiave emersi in ognuno di loro permette di ragionare a classe intera sul punto di vista. Si ragiona, nei fatti, sul “come” il punto di vista cambia una storia o un racconto e s’intreccia con altri elementi (l’ascolto, il confronto, l’accettazione, la condivisione, l’identità, il vissuto, la lingua, ecc.) che appartengono ad ognuno di noi e cambiano da persona a persona. Dopo questa attività si ritorna ai due testi. Di seguito alcuni esempi di utilizzo comparato. L’ambiente Le avventure di Pinocchio Nel libro di Collodi, dall’inizio alla fine, c’è una descrizione quasi veristica del mondo contadino dell’Italia dell’Ottocento, intrisa ancora di elementi risorgimentali. Un mondo semplice, di analfabeti e di valori sociali e politici condivisi, in cui tutti conoscono tutto e tutti. Contadini, pescatori e artigiani che seguono ritmi di vita quotidiani, ordinari e monotoni. Il realismo narrativo di Pinocchio s’intreccia con tutti gli elementi fiabeschi che rendono forte il carattere pedagogico del libro e che s’inseriscono con naturalezza nell’ambiente quasi arcaico che anima tutti i personaggi di Pinocchio. Così, in questi luoghi, si animano bambini, falegnami, osti, carabinieri, pescatori, imbroglioni, ma anche (con tutte le caratteristiche umane che Collodi abilmente presenta) burattini, grilli, gatti, volpi, fatine, asini. 32 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Occhio a Pinocchio ˇ Nel libro della Ockayova è centrale il bosco con la sua “anima millenaria” e con tutti gli elementi naturali e surreali che lo caratterizzano: i maestri Geppetto, Abete, Ciliegia, Pioppo, Platano, Castagno, Salice, Noce. Dal bosco si parte e al bosco si ritorna. Geppetto - racconta Pinocchio - all’inizio del libro è proprio intento a intagliare il suo burattino direttamente dal tronco dell’albero perché “segare o spezzare un ramo è come recidere il cordone ombelicale di un neonato”. E in quei momenti si leva la prima parola della sua vita di burattino: - Babbo!. È presente anche la città, ma con tono minore, defilato - “Il mio primo impatto con la città non fu dei migliori. Mi resi conto subito che la città è un esperimento dell’uomo ben riuscito - di ridurre il mondo a un perenne contrasto” - rispetto alla grandezza significativa ed evocativa del bosco che sfocia nella leggenda sulle origini del bosco. La lingua Le avventure di Pinocchio Collodi esce dagli schematismi rigidi dell’italiano aulico, improponibili ad un ampio pubblico di lettori e, conforme ai luoghi in cui il romanzo è ambientato, utilizza un registro linguistico volu-tamente popolare, con frequente ricorso al dialetto fiorentino o ad espressioni tipicamente fiorentine come: “non ne ho punto voglia”, “grullerello”, “costì”, “gli è”, “il mi’ caro”, “il tu’ babbo”, “colla” (con la). Questo uso della lingua porta ad un linguaggio narrativo complessivamente colloquiale che lascia spazio anche all’uso di proverbi e di espressioni popolari - il naso lungo associato a chi dice bugie (“Le bugie, ragazzo mio, si riconoscono subito! Perché ve ne sono di due specie: vi sono le bugie che hanno le gambe corte, e le bugie che hanno il naso lungo: la tua per l’appunto è di quelle che hanno il naso lungo” dice la Fatina a Pinocchio); il paese dei Balocchi che indica un paese della Cuccagna che si rivelerà diverso da come si presenta immediatamente - che danno un gusto molto realistico e semplice all’intera storia, anche quando ambienti e personaggi sono tipicamente fiabeschi. Occhio a Pinocchio Il Pinocchio della Ockayova è depuˇ rato da tutti i riferimenti linguistici e popolari presenti nella versione originale di Collodi. L’operazione della scrittrice slovacca è duplice: da un lato vuole fare di Pinocchio un personaggio universale, decontestualizzato da un mondo specifico e per questo riconducile a qualsiasi mondo; dall’altro mette al centro la parola in tutte le sue forme e significati, perché il suo Pinocchio cerca quelle parole non dette da Collodi, si sforza di creare ponti di significato tra la sua storia e quella conosciuta da tutti. La parola è quindi la protagonista del romanzo nella sua veste più propria: strumento di racconto, di storie, di relazioni tra tempi e luoghi. Per questi motivi, la lingua italiana usata dalla scrittrice per bocca di Pinocchio è lineare e concreta, riscalda e fa pensare e dà elementi riconoscibili che si muovono all’interno di una cornice di realismo magico che la Ockayovà costruisce dalˇ l’inizio e non abbandona fino alla fine. Grazie al prezioso strumento della parola e al suo utilizzo incantato. Settembre 2008 StrumentiCres ● ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier L’epilogo Le avventure di Pinocchio I personaggi Le avventure di Pinocchio I personaggi di Pinocchio, ad iniziare dal protagonista, hanno una caratterizzazione ben precisa all’interno del romanzo di Collodi Pinocchio, il burattino-bambino disubbidiente e bugiardo; Mangiafuoco, l’uomo burbero e irascibile; il gatto e la volpe, gli amici inaffidabili e imbroglioni; Lucignolo, il ragazzo nullafacente e scapestrato; ecc. - e diventano strumento per l’intreccio della storia attraverso situazioni, episodi, momenti. Hanno un ruolo rigido e preciso e si muovono in maniera chiara all’interno della narrazione. Occhio a Pinocchio ˇ Nel romanzo della Ockayova, i personaggi della storia principale sono presenti, ma si muovono tutti attorno al racconto che fa Pinocchio, al suo percorso di presa di coscienza della sua condizione e del suo “essere la mondo”. I personaggi tradizionali fanno da contorno e non sono più rigidi come nel romanzo di Collodi, soprattutto si completano con altri riferimenti “taciuti” da Collodi e raccontati ora da Pinocchioˇ Ockayova. Abbiamo personaggi più sfumati e trattati in modo molto funzionale a quello che della storia originaria, secondo questo Pinocchio, “era stato taciuto”. Settembre 2008 StrumentiCres ● - E il mio babbo dov’è? - gridò tutt’a un tratto: ed entrato nella stanza accanto trovò il vecchio Geppetto sano, arzillo e di buon umore, come una volta, il quale, avendo ripreso subito la sua professione d’intagliatore, stava appunto disegnando una bellissima cornice ricca di fogliami, di fiori e di testine di diversi animali. - Levatemi una curiosità, babbino: ma come si spiega tutto questo cambiamento improvviso? - gli domandò Pinocchio saltandogli al collo e coprendolo di baci. - Questo improvviso cambiamento in casa nostra è tutto merito tuo - disse Geppetto. - Perché merito mio?... - Perché quando i ragazzi, di cattivi diventano buoni, hanno la virtù di far prendere un aspetto nuovo e sorridente anche all’interno delle loro famiglie. - E il vecchio Pinocchio di legno dove si sarà nascosto? - Eccolo là - rispose Geppetto: e gli accennò un grosso burattino appoggiato a una seggiola, col capo girato sur una parte, con le braccia ciondoloni e con le gambe incrocicchiate e ripiegate a mezzo, da parere un miracolo se stava ritto. Pinocchio si voltò a guardarlo; e dopo che l’ebbe guardato un poco, disse dentro di sé con grandissima compiacenza: - Com’ero buffo, quand’ero un burattino! E come ora son contento di esser diventato un ragazzino perbene!... I due finali sono molto diversi per atmosfera e ritmo narrativo. Nel Pinocchio di Collodi, la serenità prende sia Geppetto (tranquillo e tornato al suo lavoro di sempre) e lo stesso Pinocchio, ormai bambino che, guardando il Pinocchio-burattino, ammette di essere felice col suo babbo e non rimpiange il tempo in cui, cattivo e scansafatiche, era ancora di legno. È una gioia molto familiare, intima, vissuta e condivisa tra i due che lasciano alle loro spalle tutte le vicende - anche tristi e drammatiche - accadute. ˇ Il finale della Ockayova è denso di Occhio a Pinocchio L’ultimo burattino senza fili, sognatore irriducibile che credeva ancora nella magia, nella scintilla divina dentro l’uomo e nell’amore, gemeva nel budello del casotto del pescecane e le sue lacrime a poco a poco spegnevano la corda di luce che lo teneva legato al sole. […] Allora, pur se col respiro corto e lo sguardo appannato, Pinocchio si levò sui gomiti e, sorretto in quella postura da Stoppino, guardò nella direzione della bocca serrata del casotto pescecane. E guardò oltre la bocca serrata, guardò tendendosi tutto verso quello spazio infinito, guardò spalancandosi a quello spazio. E si sforzò di sperare, e di sperare ancora. E mentre i muscoli delle braccia gli tremavano dalla debolezza e gli occhi bruciavano dalla calura e il cuore perdeva colpi per troppa stanchezza e troppa solitudine e la catena gli premeva sulla nuca e il collare pesava come se avesse attorno al collo l’intera circonvallazione che correva lungo il perimetro della città, con un filo di voce domandò: - Il futuro… esiste il futuro? Poi gli mancarono le forze e si accasciò. E si aggrappò all’unica cosa che gli restava: la sua immaginazione. Dal cuore del bosco, proprio dal suo punto centrale, si levò in volo il Grande Falco e puntò dritto verso il pianoro del casotto pescecane. pathos e di umana sofferenza che dal protagonista si allarga a tutto lo scenario descritto, lasciando volutamente uno spazio di non detto, di sospeso Il futuro…esiste il futuro? - che dà ancora una volta il senso del percorso di autocoscienza e di consapevolezza che anima questo Pinocchio e che non si è ancora “concluso”. Eravamo partiti dal bosco e con il bosco concludiamo: con l’elemento naturale inanimato che incrocia quello animato del Grande Falco che - personaggio tra tutti gli altri personaggi classici della fiaba - compie l’ultimo gesto. 33 Conclusioni È la prima volta che uno scrittore migrante - in questo caso una scrittrice di origine slovacca - si misura con un classico della lingua italiana, letto, riletto e tradotto, come il Pinocchio di Collodi. Questa operazione narrativa non ha solo un significato letterario in senso stretto, ma s’inserisce all’interno della nuova cornice culturale stimolata nel nostro paese dall’arrivo di scrittori provenienti da altri paesi e dalla pubblicazioni dei loro testi - di poesia e di narrativa - in lingua italiana. Il Pinocchio di Collodi e quello della ˇ Ockayova permettono molti spunti didattici - e questa sintetica proposta ne è un esempio - e servono anche per capire quali direzioni può prendere un personaggio letterario a distanza di oltre un secolo, in un contesto sociale, culturale, linguistico completamente mutato, come quello italiano di oggi. Biografia Carlo Lorenzini (detto Collodi) Carlo Lorenzini, più noto con lo pseudonimo di Collodi (dal nome del paese natale della madre), nasce a Firenze il 24 novembre 1826. Primogenito di una numerosa e sventurata famiglia (dei dieci figli, sei muoiono in tenera età). Malgrado il carattere propenso all’insubordinazione, viene avviato agli studi ecclesiastici. Quando un fratello diventa dirigente nella Manifattura Ginori, la famiglia acquista finalmente un po’ di agiatezza. Nel 1848, partecipa come volontario alla Prima Guerra d’Indipendenza nelle file dei mazziniani. Nell’estate dello stesso anno fonda il quotidiano di satira politica “Il Lampione”, ben presto soppresso dalla censura. Nel ’59, spinto dagli ideali del patriottismo, partecipa alla Seconda Guerra d’Indipendenza. Collodi, scrittore dal carattere spiritoso, versatile, da taluni considerato molto pigro, collabora, fino al 1875, a numerosi giornali; scrive pure romanzi e drammi teatrali, nessuno dei quali però di particolare valore creativo. Il primo testo dedicato all’infanzia è del 1876: “I racconti delle fate”, splendide traduzioni di fiabe francesi. La vera notorietà di Collodi arriva, però, con la pubblicazione del romanzo “Le avventure di Pinocchio”. L’opera è stata pubblicata in 187 edizioni e tradotta in 260 lingue o dialetti. Prima di aver goduto del meritato successo, Carlo Collodi muore, improvvisamente, il 26 ottobre 1890 a Firenze. 34 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier ˇ Biografia di Jarmila Ockayova È nata in Slovacchia e vive in Italia dal 1974. Ha pubblicato, molto giovane, racconti e poesie su diverse riviste e antologie della nuova narrativa e poesia dell’ex Cecoslovacchia. In Italia, oltre a numerosi racconti e saggi, ha pubblicato tre romanzi: Verrà la vita e avrà i tuoi occhi (Baldini e Castoldi, 1995), L’essenziale è invisibile agli occhi (Baldini e Castoldi), Requiem per tre padri (Baldini e Castoldi, 1998). Ha curato anche il saggio introduttivo e la traduzione di antiche fiabe slovacche pubblicate da Sellerio con il titolo Il re del tempo. Occhio a Pinocchio è stato pubblicato nel 2006 da Cosmo Iannone Editore nella collana Kumacreola, Scritture migranti curata da Armando Gnisci. PER SAPERNE DI PIÙ Tawfik Younis., La straniera , Bompiani, Milano 2000 Vorpsi Ornela, Il paese dove non si muore mai, Einaudi, Torino 2005 Vorpsi Ornela, La mano che non mordi, Einaudi, Torino, 2007 Wadia Laila (a cura di), Mondopentola, Cosmo Iannone editore, Isernia, 2007 Wadia Laila, Amiche per la pelle, edizioni e/o, Roma 2007 Wadia Laila, Il burattinaio e altre storie extra-italiane, Cosmo Iannone editore, Isernia 2004 Wakkas Yousef, Fogli sbarrati, Edizioni Eks&tra 2002 Wakkas Yousef, L’uomo parlante, Dell’Arco edizioni, 2007 Wakkas Yousef, La talpa nel soffitto, Dell’Arco Edizioni, 2005 Wakkas Yousef, Terra mobile. Racconti, Cosmo Iannone editore, Isernia 2004 Zarmandili Bijan., L’estate è crudele, ,Feltrinelli, Milano 2007 Zarmandili Bijan., La grande casa di Monirrieh, Feltrinelli, Milano 2004 Ziarati Hamid., Salam, maman, Einaudi, Torino 2006 Zura Lukaniæ, Le lezioni di Selma, Libribianchi, Milano, 2007 Narrativa per ragazzi Aziz Fuad, Ballerina colorata, Edizioni Cultura-globale, San Giovanni al Natisone (UD) 2007 Bakolo Ngoi Paul, Chi ha mai sentito russare una banana? , Fabbri, Milano 2007 Caldas Brito Christiana (de), La storia di Adelaide e Marco. Edizioni Il Grappolo, Mercato San Severino 2000 Negrin Fabian, Il mondo invisibile e altri racconti , Orecchio Acerbo, Roma 2004 Rigallo D. e Sasso D., Parole di Babele. Percorsi didattici sulla letteratura dell’immigrazione , Torino, Loescher, 2002 Scego Igiaba, La nomade che amava Alfred Hitchcock , Sinnos, Roma 2003 Schneider Helga, L’albero di Goethe, Mursia, Milano 2004 Schneider Helga, Stelle di cannella, Salani, Milano, 2002 Stefancich G. e Cardellicchio P., Stranieri di carta, Bologna, EMI, 2005 Poesia Boldis Viorel, Da solo nella fossa comune, Gedit edizioni, 2006 Butcovan Mihai Mircea, Borgo Farfalla, Eks&tra 2006 Crispim Da Costa Rosana, Desejo. Edizioni Eks&Tra 2006 Hajdari Gëzim, Antologia della pioggia Fara editore, 2000 Hajdari Gëzim, Erbamara Barihidhur, Fara editore, 2001 Hajdari Gëzim, Maldiluna Dhimbjehëne ,Besa editrice, Nardò 2005 Hajdari Gëzim, Spine nere Gjëmba të zinj, Besa editrice, Nardò 2004 Hajdari Gëzim, Stigmate/Vragë. Poesie, Besa editrice, Nardò 2002 Hajdari Gëzim, Peligorga, Besa, Nardò, 2007 Ndjock Ngana Yogo, Màébá. Dialoghi con mia figlia, Associazione Kel ‘Lam, Roma 2005 Oliveira Heleno, Se fosse vera la notte, Zone editrice 2003 Quaderno Balcanico II, Albania, Bosnia, Croazia, Collana “Cittadini della poesia”, Loggia de’ Lanzi, Firenze 2000 Quaderno Mediorentale II, Iran, Collana “Cittadini della poesia”, Loggia de’ Lanzi, Firenze 2000 Theophilo Marcia, Amazzonia Madre d’acqua, Passigli Editore, 2007 Theophilo Marcia, Amazzonia Respiro del Mondo, Passigli Editore, Bagni a Ripoli, 2005 Theophilo Marcia, Foresta mio dizionario, ed. Tracce, Pescara, 2003 Theophilo Marcia, Kupahùba, ed. Tallone, Alpignano, 2000 Vos Arnold (de), Merore o Un amore senza impiego , Cosmo Iannone, Isernia 2005 PER SAPERNE DI PIÙ StrumentiCres ● Settembre 2008 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Danza e/è Poesia migrante Rosa Tapia Scrivere della mia arte non è consueto. La danza si fa, è l’arte dell’agire, esiste soltanto nel breve istante in cui “si danza”. E’ un sentimento, un pensiero che affiora e prende forma nel corpo, mai gratuito. A volte scomodo, brutto, inatteso come la vita stessa. Quando nel 1989 sono venuta in Italia (ho sposato un uomo italiano e carica d’amore sono arrivata d’autunno) avevo deciso che da allora la danza, che era stata il tratto caratteristico della mia vita, sarebbe rimasta in me soltanto come un ricordo. Una volta qui mi sono scoperta “immigrante” che parafrasando vuol dire: ricominciare da capo. Imparare a parlare, a camminare, a spostarsi da soli, spesso in solitudine; poi, trovare un lavoro, uno spazio proprio, ricostruire un mondo di amicizie e interessi. Insomma, ridare senso alla propria vita. Inseguendo quest’obbiettivo, inquieta ed entusiasta, mi sono iscritta all’Università e nel 1998 mi sono laureata in lingua e letteratura spagnola, ero decisa a diventare un’insegnante. Durante gli anni all’università ho letto tutto quanto potevo, cercavo di scoprire fra le pagine le coordinate per decifrare questo mondo duro ma affascinante. Le mie letture poco a poco mi hanno portata verso gli autori latinoamericani e così, cercando l’Europa ho scoperto la mia America Latina. Ecco chi ero io! Era lì la mia storia, il mio passato. Appartenevo ad un mondo “magico”, ad un popolo di contrasti con una storia insanguinata; fatta di conquistatori, dittatori, uomini contro, donne che resistono, che lottano. Allora, affascinata, ho deciso che avrei dedicato la mia vita alla letteratura!… Ma le passioni riaffiorano, non riescono a rimanere rinchiuse nella memoria, la mia passione per la danza si presentava nei sogni e in uno strano senso d’incompiutezza, di malinconia. La danza in verità non l’avevo lasciato del tutto: dovevo lavorare, volevo * Danzatrice, compagnia di danza “Sullasoglia” StrumentiCres ● Settembre 2008 lavorare… non sapendo fare altro avevo comunque cominciato a insegnare: “balli latinoamericani”. Sì, perché cercando lavoro spiegavo di essere una “danzatrice” e immediatamente i miei interlocutori traducevano: ah! “balli latinoamericani”… All’inizio volevo spiegare: - non era così, -avevo studiato “danza”, - le danze popolari sì, ero capace, ma… Poi sconfitta dicevo: sì, sì “latinoamericani”. Era quello lo spazio che mi apparteneva? La danza contemporanea sembrava lontana, improbabile. Nello sguardo dell’altro non riconoscevo il mio riflesso. Comunque i balli latinoamericani mi divertivano tanto e ancora una volta mi legavano alle mie origini. Mi hanno permesso di leggere il mio continente attraverso la musica e il movimento, di avvicinarmi alla espressione forte e vitale di un popolo meticcio. Ancora una volta l’America Latina si presentava spiegandomi chi ero, dando senso rinnovato a ciò che facevo. Non sempre siamo in grado di capire il momento in cui sta iniziando una nuova tappa della nostra vita. La svolta per la mia vita non è stato un particolare “corso” o un “evento coinvolgente”, ma l’incontro con alcune donne. Sono stata attratta dall’intensità che traspirano persone come Giovanna Covi, Maria Rosa Mura, e per la danza Antonella Bertoni, Mi piacciono le persone che cercano in fondo alle cose, che sono il proprio pensiero, senza bisogno di “trucco”. Sono state loro, ognuna in modo diverso e unico, a diventare determinanti per ciò che adesso è la mia vita. L’occasione si è presentata tramite un invito di Giovanna Covi e Maria Rosa Mura a partecipare alla scuola estiva “Raccontar(si)” Genere, diversità, culture - 2004, organizzata a Prato dalla SIL “Società Italiana delle Letterate” e da “Il Giardino dei Ciliegi” in intesa con l’Università di Firenze. In questo crocevia al femminile ho conosciuto Lidia Palazzolo, immigrante, latinoamericana, poetessa. A noi due è stato chiesto per l’appuntamento di Prato di “raccontarci attraverso la nostra arte”. [!!!]. Incredibile, per la prima volta lo specchio cominciava a riflettere l’immagine che avevo di me stessa. Per la prima volta Giovanna e Maria Rosa avevano visto quell’altra parte di me gelosamente nascosta, velata dalla timidezza e il rispetto per l’arte stessa. Nel tepore di questa fiducia e quasi protetta da loro, io Rosa Tapia, amante delle sfide, mi sono lanciata, senza misurare le conseguenze. E’ stata una settimana intensa di studio arte e condivisioni d’esperienze al femminile. Una settimana d’incontri e soprattutto la settimana della riconciliazione con me stessa. Con quell’altra parte di me lasciata in sospeso. Con Lidia fin dall’inizio è nata una lieta amicizia che ci ha aiutato a inventare uno spettacolo di danza/poesia. L’intesa è arrivata senza forzature, in una complicità giocosa che ci portava a ricomporre il nostro passato diverso e simile; l’arte ci offriva la possibilità, per tanti “immigrati” negata, d’essere anche qui ciò che avevamo previsto di essere nella nostra terra d’origine. L’arte ci permetteva di nobilitare la nostra storia di “persone comuni” e così facendo dare forma/ voce a un corpo plurale: “le straniere”. Un corpo, per l’appunto, tante volte estraneo a noi stesse, che però rappresenta nello stesso tempo la nostra realtà quotidiana. Per questo abbiamo chiamato la nostra performan- 35 ce: “Straniere a noi stesse” Il verso della poesia di Lidia è corto, asciutto, tagliente, sicuramente disadorno, così doveva essere anche la danza. Danzare una poesia è far aderire alla propria pelle la parola dell’altro, condividerne profondamente il pensiero. La mia è una danza che in ogni gesto, in ogni movimento cerca l’autenticità. Non è la danza della giovanissima donna appena arrivata dall’Ecuador. Anche qui gli anni trascorsi in Italia mi avevano cambiata profondamente. Soprattutto perché strada facendo ho incontrato Antonella Bertoni, e quindi il Teatro Danza. Lei è senz’altro una delle figure più importanti della danza italiana; Antonella vive e lavora in Trentino e io da anni seguo la sua scia e ho la fortuna di allenarmi regolarmente con lei. Dopo una lunga pausa è stata lei a ridarmi fiducia nel mio movimento. Ma prima ancora mi ha ri/dato gli strumenti tecnici. Perché la danza è una disciplina difficile, a volte dolorosa, che coinvolge l’inte- 1. A., V., Anime in viaggio, Edizioni Eks&tra 2002 2. A., V., Il doppio sguardo, culture allo specchio, adnkronos Libri 2002 3. A., V., Pace in parole migranti, Besa editore, Nardò 2002 4. A., V., Impronte. Scritture dal mondo, Besa editrice, Nardò 2003 5. A., V., La seconda pelle, Eks&tra editore 2004 SITI WEB www.disp.let.uniroma1.it/ kuma/narrativa rivista on line di letteratura della migrazione all’interno del sito dell’Università La Sapienza di Roma. Comprende anche sezioni su cinema e teatro. Si possono scaricare poesie, racconti, recensioni e studi critici. www.eksetra.net sito del Premio letterario Eks&tra, con notizie sul premio e altri eventi riguardanti scrittori migranti. Si possono scaricare testi sulla letteratura della migrazione, molti racconti e poesie, si possono ordinare libri. www.el-ghibli.provincia.bolo gna.it rivista on line di letteratura della migrazione, diretta da Pap Khouma. Si possono scaricare racconti, poesie, saggi. Interessante la rubrica “Generazione che sale” aperta a ragazzi stranieri e italiani e la se- 36 ro essere, tanto più affascinante quanto più intenso è il coinvolgimento. La danza non ammette pause e quindi ricominciare, mettere nuovamente i piedi sul palcoscenico con la pretesa di “comunicare” di “fare arte”, è stato difficile. Ma non ero più da sola e questo ha fatto la differenza. L’incontro con Lidia non è stato “casuale”, attraverso la sua poesia la letteratura che credevo distante dalla danza riaffiorava nella mia arte. La parola si faceva sentimento, gesto, movimento. Letteratura e danza trovavano unicità nella mia espressione. Questo è stato il primo approccio a una lunga serie d’incontri con altri autori, soprattutto di letteratura “migrante”, ma non solo. E’ stimolante lo sguardo di chi rimane “sulla soglia”, fra due mondi; che non vuol dire rimanere in disparte, senza un punto di vista, ma invece abitare uno spazio altro che non può essere ne qua ne là, uno spazio intellettuale, artistico, vertiginosamente contemporaneo, guadagnato gior- PER SAPERNE DI PIÙ Antologie Premio Eks&tra ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier zione di traduzione di testi di autori che vivono all’estero e vogliono dialogare con gli scrittori italiani. www.sagarana.net rivista on line curata da Julio Monteiro Martins, anche lui scrittore migrante, molto ricca di articoli e testi su scrittori (e non solo) di tutto il mondo. Interessanti gli Atti dei Seminari scrittori migranti. www.comune.fe.it/vocidalsi lenzio Sul sito si trovano i materiali riguardanti alcuni Convegni organizzati da un’associazione di Ferrara con il coinvolgimento di molte classi della città, che dopo aver lavorato sui testi di autori migranti hanno poi potuto incontrare gli autori. www.letteranza.org vi si trovano schede bio-bibliografiche degli autori, recensioni, interviste, documenti sonori… www.miscia.com/christiana sito di Christiana de Caldas Brito www.carmineabate.it sito di Carmine Abate www.kossi-komlaebri.net sito di Kossi Komla-Ebri www.theophilo-amazonia-epoesia.info sito di Marcia Theophilo www.helgaschneider.com/ sito di Helga Schneider www.alessandroghebreigziabi her.it sito di Alessandro Ghebreigziabiher no dopo giorno. Sottile come la soglia. Uno spazio tutto da inventare, forse proprio per questo profondamente umano. Tornare al ricordo di ciò che è stato per me la danza nel mio paese non mi fa più male. Il ricordo ha il gusto dei tanti pomeriggi a scuola, il suono delle musiche dei nastri magnetici che giravano su grosse bobine, il rumore costante degli strumenti degli allievi che invece studiavano musica (perché la scuola di Danza faceva parte del Conservatorio di Musica della mia città, Cuenca). Il ricordo profuma della mia maestra spagnola, Osmara de Leon, dell’emozione dei saggi a teatro e poi, nei miei ultimi anni, dell’intensità del lavoro come professionista prima con la compagnia di teatro per ragazzi “La Casa Loca” e poi nella “Compagnia Nazionale di Danza Contemporanea dell’Ecuador”. Ricordare è un atto che coinvolge tutti i miei sensi e si mescola con un pizzico di nostalgia. Oggi continuo a percorrere questa strada, ma la danza ha sapore di mondo. Dopo “Straniere a noi stesse”, assieme a Lidia (Argentina), ci sono stati tanti altri lavori: “Ma la Terra dimentica”, 2004, con testi di Tahar Ben Jelloun (Marocco) tratti dal libro “Jenin, un campo palestinese”; “Caminante”, 2005, assieme al danzatore basco Iosu Lezameta e con poesia di G. Hajdari (Albania), B. Stanisic (Bosnia), I. Sarajlic (Bosnia), per il Festival della Letteratura Migrante “Il Gioco degli Specchi”; “Isole di Memoria”, 2006 asieme alle danzatrici Gabriella Venturi e Claudia Petroni, tratto da due racconti, “L’equilibrista” di Christiana di Caldas Brito (Brasile) e “El Hombre che llega bajo la lluvia “ di Gabriel García Márquez (Colombia), per il Festival di TeatroDanza “AlpsMove” di Bolzano e Merano (con lo stesso lavoro abbiamo partecipato al Festival “Il Gioco degli Specchi” edizione 2007); “Le donne che mi abitano”, 2008 con scenografia di Renata Mariotti, artista Trentina., lavoro nel quale per la prima volta utilizzo la voce, interpretando diversi personaggi femminili. In questo momento sto preparando “Un sacco di libri”, uno spettacolo per bambini con testi di Ron Kubati (Allbania), Carmine Abate (arbëreshe -cioè italoalbanese- Italia), M. Rosa Cutrufelli (Italia) e Isabel Allende (Cile). Mi riconosco in questa voce plurale, migrante, meticcia che trascende le frontiere per costruire una patria universale degli uomini. La danza è affascinante proprio quando riesce a dare forma alle tante intensità dell’essere umano. Settembre 2008 StrumentiCres ● TESTI DI SUPPORTO Scrivere tra le lingue ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ RUBRICHE dossier Steven G. Kellman Città aperta edizioni, Collana Nuovo Planetario, Troina 2007, traduzione di Franca Sinopoli a cura di Anna Di Sapio Da tempo il Cres si occupa di Letteratura e intercultura e spesso nei nostri percorsi di studio e di ricerca abbiamo incontrato autori che utilizzano per le loro opere una lingua diversa dalla madrelingua, un fenomeno che non riguarda soltanto gli scrittori provenienti dai mondi colonizzati, che adottano la lingua dell’ex colonizzatore, ma anche scrittori europei. I più celebri translingui del Novecento sono Samuel Beckett, Joseph Conrad, Vladimir Nabokov, ma la lista è lunga e gli esempi tanti. Il comparatista statunitense Steven Kellman, in questo studio monografico, analizza appunto il fenomeno della letteratura translingue nella seconda metà del ‘900, cercando di definirlo ed esemplificandolo attraverso autori e opere, anche di epoche più lontane. Le transazioni translingui non sono un fenomeno nuovo, si sono verificate spesso nell’arco della storia letteraria – scrive Kellman – eppure non è mai stato scritto nulla sul fenomeno del translinguismo letterario in quanto tale. Dunque il suo testo tende a colmare una lacuna. Un compito immane che ovviamente non pretende di essere completo. Contrariamente a quanto sosteneva George Bernard Shaw che “Nessun uomo perfettamente padrone della propria lingua riesce a dominarne una straniera” molti sono gli scrittori, distribuiti su tutto il globo, che scrivono in una lingua diversa da quella materna. E il fenomeno non è certo recente: Garcilaso de la Vega scrive il suo capolavoro, Comentarios reales , in spagnolo anziché nella madrelingua quechua, Seneca, Quintiliano, Marziale, Lucano StrumentiCres Settembre 2008 pur venendo dalla Spagna adottano la lingua di Roma, così pure Ausonio che proveniva dalla Gallia, o Apuleio, Terenzio, Agostino, originari dell’Africa. Il translinguismo è sempre esistito ma è nel XX secolo che si afferma in modo consistente a seguito del fenomeno planetario delle migrazioni. Volendo stabilire una tassonomia del translinguismo letterario occorrerebbe distinguere tra ambilingui, autori che hanno scritto opere rilevanti in più di una lingua, e i translingui monolingui, coloro che hanno scritto in una sola lingua ma diversa dalla lingua madre. L’indiana Kamala Das usa una lingua diversa a seconda del genere letterario: il malayalam (lingua madre) per i romanzi, l’inglese per la poesia; tra i translingui monolingui troviamo Conrad (dal polacco all’inglese passando per il francese), Elena Poniatowska (dal francese allo spagnolo), Wole Soyinka (dallo yoruba all’inglese), Nikolai Gogol (dall’ucraino al russo), Kazuo Ishiguro (dal giapponese all’inglese), Salman Rushdie (dall’urdu all’inglese), Léopold Senghor (dal wolof al francese), Elias Canetti (dopo il giudeo-spagnolo, il bulgaro e l’inglese approda al tedesco) e si potrebbe continuare... Può capitare che gli autori translingui adottino nomi diversi a sottolineare la nuova identità acquisita attraverso la lingua. Kamala Das scrive poesia in inglese con il proprio nome e narrativa in malayalam con lo pseudonimo di Madhavikutti, il rumeno Paul Antschel diventa Paul Celan quando inizia a comporre versi in tedesco, Shmuel Yosef Czaczkes diventa S.Y. Agnon quando abbandona l’yiddish per l’ebraico, il keniota Ngugi Wa Thiong’o prima di tornare alla sua lingua madre, il kikuyu, scriveva in inglese col nome di James Ngugi. Usare un’altra lingua permette di sottrarsi alla “tirannide di una struttura sintattica particolare” costringe a non dare per scontata neppure una sola parola, permette di distanziarsi, offre un’illusione di libertà mentre l’uso costante della lingua madre automatizza la scrittura, riduce le parole a formule povere di forza espressiva. In questo senso – sostiene Kellman – gli scrittori translingui rappresentano un esempio di quello “straniamento” di cui parlavano i formalisti russi (che lo ritenevano come la qualità distintiva di tutta la letteratura d’immaginazione) e sono le truppe d’assalto della letteratura moderna e i movimenti di avanguardia, che hanno sottolineato l’inadeguatezza e la falsità del linguaggio convenzionale. Spostandosi da una lingua all’altra i translingui condividono il genio di ogni sistema linguistico senza soccombere alla sua tirannia, diventano intermediari e spesso eccellenti traduttori. Una ricerca in campo neurolinguistico – ricorda Kellman – ha verificato nei translingui “flessibilità cognitiva”, “tolleranza per l’ambiguità”, “grande consapevolezza della relatività delle cose”, qualità queste che risultano essere tra le più apprezzate nella letteratura moderna. Ma convivere con due o più lingue può anche creare un senso di spaesamento. “Due lingue, due terre, forse due anime... Sono un uomo o due strane metà di uno?” si chiede il poeta Joseph Tusiani, emigrato dall’Italia agli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale. Nella parte centrale del testo Kellman affronta, a titolo esemplificativo, l’ Africa translingue nel suo complesso e 37 38 Steve G. Kellman ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ quattro autori: J.M. Coetzee, Vladimir Nabokov, Eva Hoffman, Louis Begley. L’Africa, ricca di un migliaio di lingue locali oltre alle lingue europee, eredità del colonialismo, all’arabo, a varie lingue creole e pidgin, è uno straordinario laboratorio per osservare il fenomeno del translinguismo. Lungo è l’elenco degli autori africani translingui: Chinua Achebe, Ama Ata Aidoo, Rachid Boujedra, Breyten Breytenbach, André Brink, Buchi Emecheta, Nuruddin Farah, Abdelkébir Khatibi, Gabriel Okara, Wole Soyinka... E’ il colonialismo, con il suo dominio non solo a livello economico e politico ma anche culturale, che spiega gran parte del translinguismo del continente, per cui molta della sua letteratura è scritta in inglese, francese, portoghese piuttosto che in xhosa, hausa o dinka. Il translinguismo africano risente degli squilibri di potere, politici, economici, culturali. Le condizioni storiche hanno creato in Africa una situazione in cui convivono piccole élite educate alle lingue europee e le masse che parlano diverse lingue locali senza scriverne alcune. Per rivolgersi alla propria gente lo scrittore africano deve ricorrere agli strumenti orali del teatro e della poesia utilizzando la lingua locale, ma per essere riconosciuto a livello internazionale non può che scrivere romanzi e poesie in lingue europee che gli consentono anche un più facile accesso agli editori. I translingui africani devono quindi muoversi tra sistemi linguistici radicalmente diversi. Una lingua non è solo uno strumento, esprime una cultura, una sensibilità, una visione del mondo. Il translinguismo “coinvolge e allo stesso tempo libera, poiché rende il poliglotta capace di trascendere il modello di ogni singola lingua.”. Chiuna Achebe, di lingua ibo, che utilizza l’inglese come strumento letterario sostiene che l’inglese è abbastanza malleabile per sostenere il peso della sua esperienza africana. “Ma dovrà essere un nuovo inglese, ancora in piena sintonia con la sua dimora ancestrale ma alterato per adattarsi al nuovo ambiente africano”. Infatti nel suo primo romanzo Things Fall Apart il protagonista Okonkwo utilizza frasi in inglese ma si tratta di un inglese che simula il modo di parlare ibo. Abdelkébir Khatibi in Amour bilingue usa il francese, ma è un francese che evidenzia i legami, le collusione esistenti tra francese e arabo, perché il translinguismo non è mai completo, nel passaggio da una lingua all’altra la seconda conserva tracce e calchi, espliciti o impliciti, della precedente. Il sudafricano Breyten Breytenbach, imprigionato e condannato per aver sposato una giovane vietnamita con- travvenendo al Mixed Marriage Act, per il quale i matrimoni interrazziali erano proibiti, è un altro autore translingue. Dopo aver scritto poesie nella sua lingua madre l’afrikaans passa all’inglese per esprimere il suo ripudio della lingua del regime dell’apartheid. Breytenbach dedica Ritorno in paradiso (romanzo autobiografico del 1993 che descrive il suo viaggio nel Sudafrica del post apartheid) ad un altro translingue, Uys Krige che scriveva sia in afrikaans che in inglese e traduceva dall’inglese, dal francese, dall’italiano,1 dal portoghese, dallo spagnolo. Krige sostiene che imparando la lingua di un altro uomo in un certo senso ci si duplica, si assume una seconda natura o personalità, si arriva a pensare e a sentire come lui, “allarghi la tua sfera di coscienza, aumenti la tua consapevolezza, accresci la tua capacità di percezione”. Nei capitoli successivi Kellman prende in esame i casi esemplari delle opere di J.M. Coetzee, Vladimir Nabokov, Eva Hoffman, Louis Begley, spiegando le ragioni storiche e biografiche che li hanno indotti a diventare translingui, e le loro diverse tipologie di scrittura e di immaginario, legati a contesti geografici e culturali diversificati. Coetzee (premio Nobel 2003) di padre afrikaner e madre inglese viene educato in classi anglofone ma cresce parlando l’afrikaans in famiglia, sebbene disgustato dalla bestialità della cultura afrikaner. Il rapporto che ha con l’inglese è lo stesso che ha un qualunque straniero, avverte cioè tra sé e la lingua la stessa distanza che prova uno straniero. La scelta di utilizzare l’inglese come lingua letteraria è dettata dalla convinzione che l’inglese abbia “un livello storico nella lingua che ti autorizza a lavorare in prosa con contrasti storici e contrapposizioni”. Significativo il fatto che al centro degli studi e della riflessione di Coetzee ci sia l’opera di un altro famoso translingue: Samuel Beckett. Vladimir Nabokov riceve un’educazione privilegiata nella Russia zarista e cresce come “un bambino trilingue perfettamente normale” tanto che di fronte alla domanda su quale tra le lingue della sua infanzia considerasse la più bella risponde: “La testa mi dice l’inglese, il cuore il russo e l’orecchio il francese”. Ma saranno l’inglese e il russo le lingue letterarie in cui raggiunge risultati importanti. Eva Hoffman, figlia di ebrei sopravvissuti alla Shoah, ha tredici anni quando lascia la Polonia per il Canada prima e gli Stati Uniti dopo, di cui adotterà la lingua. I molti esempi di translinguismo riuscito non devono far dimenticare che non sempre si tratta di 1 Uys Krige (1910-87) durante la II guerra mondiale era capitano dell’esercito sudafricano; fatto prigioniero in Cirenaica dagli italiani e deportato nel campo di Sulmona, raccontò questa esperienza nel libro The Way Out, tradotto in italiano col titolo Libertà sulla Maiella, ritenuto da Silone un elogio sincero e serio alla gente di quei monti. La Collana Nuovo planetario Scrivere tra le lingue di Kellman è il quarto volume della Collana Planetario diretta da Armando Gnisci per Città Aperta Edizioni. Il progetto culturale di Città Aperta nasce dall’idea che sia possibile costruire una città armoniosa, capace di integrazione, di dialogo, di collaborazione tra tutte le sue componenti, in cui vengano privilegiati i rapporti orizzontali su quelli verticali sia sul piano sociale che su quello economico. Inaugurata dal volume Nuovo planetario italiano. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa, a cura di Armando Gnisci nel 2006 (presentato su “Strumenti” n.46) seguito da Aimé Césaire, Negro sono e negro resterò. Conversazioni con François Vergès, la collana si è arricchita nel 2007 di Mundus Novus di Amerigo Vespucci, entrambi segnalati su “Strumenti” StrumentiCres Settembre 2008 StrumentiCres Settembre 2008 una funzione positiva, è quella di metterci in contatto con la vita di altre persone, di aiutarci a entrare in contatto e a trarre forza o conoscenza da gente che non incontreremo mai, di aiutarci a guardare al di là della nostra esperienza”. Men with Guns rappresenta un ulteriore sforzo da parte sua per aiutare lo spettatore a guardare al di là, sforzo nel quale il linguaggio è uno strumento cruciale per ospitare l’alterità. Nonostante la lunga carrellata di autori e opere, molti sono gli scrittori translingui che non rientrano nel testo di Kellman che ne è cosciente, “Una guida completa alla scrittura translingue dovrebbe includere capitoli specifici su Fernando Pessoa, Petrarca, Prem Chand, Yehuda Halevi, e dozzine di altre scrittori meravigliosi2 . Lo studioso ideale del translinguismo dovrebbe essere uno spirito eclettico e poliglotta, un mostro d’erudizione che ne sappia molto più di me riguardo i cinesi che compongono poesia in ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ un risultato facile. Come racconta in Lost in Translation Eva si sente sospesa tra il polacco e l’inglese, non riesce a tradurre nella nuova lingua l’universo culturale che si porta dietro dalla sua patria, avverte ostilità nel nuovo linguaggio che la lascia temporaneamente senza parole e in imbarazzo. In seguito si troverà a concludere di essere la somma di diversi linguaggi, quello della famiglia e dell’infanzia (l’yiddish dei genitori e il polacco), quello della scuola e dell’amicizia, quello dell’amore e del mondo più vasto. Ma il passaggio problematico dal polacco all’inglese resta il dramma della sua vita e il tema centrale del libro. Anche Louis Begley nasce in Polonia e dopo essere riuscito a sfuggire all’olocausto si trasferisce negli Stati Uniti dove si afferma come avvocato. Solo in età matura si rivela come scrittore con una serie di opere in cui il controllo della lingua risulta sempre determinante per sopravvivere. Wartime Lies (Bugie di guerra) è il primo romanzo autobiografico il cui protagonista, un ragazzino di nove anni, grazie alla sua conoscenza del tedesco (appreso ascoltando le trasmissioni radiofoniche tedesche) e all’apprendimento dell’arte di mentire, riesce a farsi credere ariano. Anche i personaggi delle opere successive mostrano di avere un talento particolare nell’autoinventarsi, ma anche nell’autoingannarsi. L’ultimo capitolo è dedicato al regista cinematografico statunitense John Sayles, esponente del cinema indipendente, i cui inizi sono stati come scrittore di racconti e romanzi. Nel 1997 per girare Men with Guns (Angeli armati) abbandona la lingua madre come strumento artistico per girare il film in lingua spagnola. Il passaggio allo spagnolo era già evidente nel romanzo Los Gusanos (1991), un’opera ambientata a Cuba e Miami, in cui la narrazione vera e propria è in inglese, ma gran parte del dialogo è in spagnolo. Ambientato in un tormentato paese dell’America latina, Men with Guns è la storia del dottor Fuentes, di origine spagnola, che un giorno parte alla ricerca dei suoi antichi allievi medici, che si erano dedicati alla cura degli indios in vari villaggi del Sudamerica. Scopre che sono stati tutti uccisi e nel corso del viaggio viene a contatto con personaggi perseguitati e torturati dai vari regimi. Un’ulteriore, efficace testimonianza contro le dittature latinoamericane. Girato a bassissimo costo in tre differenti stati del Messico, utilizza principalmente la lingua spagnola ma anche diverse lingue locali: nahuatl, tzotzil, maya, kuna. Sayles stesso nel corso di un’intervista a proposito della sua arte cinematografica afferma: “Se la narrazione ha coreano, o di finlandesi che scrivono narrativa in svedese. (...) Con questa parte modesta di storia del translinguismo, mi fermo qui, in attesa di voi.” Non resta che augurarsi di avere presto altre ricerche che permettano di ampliare la conoscenza di questo fenomeno, specchio della complessità stessa del mondo contemporaneo che si dibatte tra globalizzazione e localismo. 2 Come - aggiungiamo noi - Agota Kristof, ungherese rifugiata in Svizzera che scrive in francese, i cinesi François Cheng e Wei Wei che scrivono in francese, Kader Abdolah, iraniano, che scrive in nederlandese, Amin Maalouf libanese che scrive in francese, Emine Sevgi Özdamar, di madre lingua turca che scrive in tedesco, e gli scrittori provenienti da tutto il mondo che oggi vivono in Italia e scrivono in italiano. La democrazia che non c’è Paul Ginsborg Einaudi, 2006 a cura di Elisabetta Assorbi Saggio snello, che ci spinge ad immaginare una democrazia diversa. L’Autore, già professore a Cambridge e oggi docente di Storia europea contemporanea all’Università di Firenze, immagina un ipotetico ma non impossibile dialogo tra John Stuart Mill e Karl Marx, sulla natura e sulle potenzialità dell’odierna democrazia. I due studiosi evocati avevano in realtà, nonostante le notevoli divergenze ideologiche, molti punti di contatto reciproco, ad esempio il riconoscimento che uomini e donne fossero soggetti attivi e che “ ci fosse possibilità per le classi lavoratrici, di conquistare potere politico con mezzi pacifici” (pag.16). Se oggi la democrazia liberale è una sorta di “re nudo”, dice Ginsborg, particolarmente nell’Unione Europea bisogna cercare di combinare la democrazia rappresentativa con quella partecipativa: questo è l’assunto principale del saggio, nel quale sono analizzate tutte le difficoltà in proposito. Primo paradosso: riguarda la democrazia diretta e la dittatura comunista. Lenin, osserva l’A., non pose la democrazia al centro della sua riflessione politica, pur considerando il sistema sovietico “un esperimento straordinariamente interessante di democrazia partecipativa da parte di una popolazione ampiamente analfabeta” (pag. 24) Perciò, non essendo un’asse portante della rivoluzione socialista, la democrazia sovietica riconobbe sì l’autogoverno a livello locale, ma nelle elezioni si preferì la soluzione indiretta, attraverso i delegati al congresso dei Soviet, lasciando fuori l’idea di una progressiva inclusione di strati più ampi di popolazione nella gestione del potere: da qui nasce il modello delle “democrazie socialiste”, durato fino al 1989, quando 39 La possibilità di realizzare la tanto enfatizzata “sussidiarietà”, che delega ad organismi decisionali di livello inferiore ciò che non dev’essere necessariamente deciso a livello superiore, è ri- 40 masta molto vaga, nonostante il trattato di Maastricht del 1993. Quali rimedi? Ginsborg ricorre al pensiero di J. Stuart Mill , perché più concentrato sul potenziale degli individui, che dovrebbero essere “self-dependent” (pag. 54 ), ossia capaci di basarsi su ciò che sanno fare in prima persona, da soli o insieme, piuttosto che su ciò che gli altri posson fare per loro. Reinventare la democrazia, anche appoggiandosi alla struttura sociale della famiglia, consideratala Mill istituzione cardine nei processi di trasformazione, questo secondo l’Autore è il rebus più complesso della moderna politica. Tre sfere sono coinvolte in questo processo: la società famigliare , la società civile e la società statale democratica; ma in ciascuna saranno gli individui attivi e dissenzienti “a giocare importantissimi ruoli di connessione” (pag.60), data la loro interdipendenza reciproca. La società civile, soprattutto, è cresciuta nei Paesi democratici negli ultimi vent’anni, tanto che viene pubblicato dal 2001 l’Annuario della Global Civil Society, che descrive le forme partecipative nel sociale a livello locale, nazionale ed internazionale: Il problema che denuncia il Nostro riguarda però (e sempre qui stiamo), le rappresentatività: chi rappresentano realmente le organizzazioni della società civile? I politici hanno volontà di connettersi tra di loro, al di là degli schemi? Paul Ginsborg Esempi ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Mikhail Gorbacev organizzò le prime elezioni veramente democratiche. Il secondo paradosso (pag. 31 ): trionfo e crisi della democrazia liberale Anche il liberalismo a sua volta impose limitazioni al diritto di voto, escludendo cinque categorie di persone: quelle che avevano insufficiente capitale economico, insufficiente capitale culturale (gli analfabeti), le donne, le etnie minoritarie, e chi aveva opinione politica di tipo comunista e fascista. Nonostante l’attuazione di queste discriminanti, la democrazia trionfò nella forma rappresentativa, come quella stabilita per i Paesi aderenti all’ONU, dove nel 2000, su 192 Paesi, 120 si potevano definire democratici. Ma, da allora, siamo di fronte a una crisi di carattere qualitativo della democrazia, dato che si è verificata un’espansione della disaffezione alla democrazia da parte dei suoi; lo testimonia il calo sensibile di affluenza alle urne e del tesseramento ai partiti, la perdita diffusa di fiducia nelle istituzioni e lo scontento per l’agire politico in generale. Secondo Ginsborg le cause sono diverse: 1) la separatezza della politica, relegata a sfera particolare e associata a elites di partito piuttosto impermeabili all’opinione pubblica; 2) l’intensificazione dei mutamenti culturali e sociali, che han tolto tempo disponibile alla ‘cosa pubblica’ nelle famiglie, dove regna passività e disinteresse per ciò che non attiene alla propria comodità consumistica ( la politica è “da vedere”, più che da vivere , nella società dell’immagine…); 3) la dipendenza della politica democratica dal grande capitale, che ha permesso la diffusione delle scale clientelari; 4) il mutato ruolo storico della democrazia più vivace, per lo meno nel passato, cioè quella statunitense. Oggi l’Unione Europea, che rappresenta pur sempre un bell’esempio di messa in comune di risorse e operatività, con una parziale rinuncia degli Stati alle rispettive sovranità, “pratica la democrazia in forma limitata, indiretta e fortemente insoddisfacente”(pag.42). Questo fatto dipende in parte dalle origini dell’Unione Europea, che alla sua fondazione privilegiò la considerazione dei bisogni economici, più che quelli democratici: la separazione della sfera decisionale da quella pubblica, già forte nelle democrazie rappresentative, è diventata enorme nel caso delle istituzioni europee. Negli anni ’70 del Novecento in Italia si assistette ad un grande sforzo per estendere la democrazia in varie sfere: sfera locale, tramite i consigli di quartiere, sfera lavorativa, con i consigli di fabbrica, ambito scolastico, attraverso i Decreti Delegati; ma secondo Ginsborg fu la mancanza di coraggio della sinistra ad impedire di canalizzare queste forze verso una nuova democrazia. Se nei programmi dell’U.E. si leggono termini come “ parternariato, partecipazione dei cittadini, Empowerment”, in realtà mancano cerchie am- pie di cittadini critici, partecipi, dialoganti e reciprocamente rispettosi (pag. 72 ). “Deliberative” è un aggettivo inglese che indica discussione e decisione, termini che ben si applicano alla democrazia. Allora, il modello proposto nel saggio, cioè la democrazia deliberativa, dovrebbe utilizzare il dibattito in un contesto strutturato di collaborazione, basato su un’informazione adeguata e su una pluralità di opinioni, con precisi limiti di tempo entro i quali pervenire a decisioni. Tale sistema insegnerebbe ad ascoltare, tollerare, costruire rapporti di fiducia. L’Autore in proposito passa in rassegna alcuni esempi di democrazia deliberativa: il Town Meeting statunitense ( il più spettacolare usato per discutere la riqualificazione dell’area delle Twin Towers di New York, nel luglio 2007 ); le giurie di cittadini in USA e Gran Bretagna , la tedesca Planungzelle ; infine l’esperimento più ampio, il bilancio partecipativo di Porto Alegre in Brasile. Le conclusioni Ultima preoccupazione dell’Autore è la democrazia economica. “Se i cittadini godono di pari democrazia deliberativa nella sfera politica, ma vivono manifeste sproporzioni in quella economica, la democrazia rischia d’uscirne profondamente incrinata” (pag. 97). Essa, nel corso della storia, soprattutto dopo la stagione marxista e nonostante il fortissimo fascino esercitato da questo modello sui lavoratori e gli intellettuali, non è aumentata negli Stati dell’era comunista; ha tratto maggiore profitto nella socialdemocrazia, nel senso che si sono ampliati i diritti sociali dei lavoratori e si è declinata come partecipazione, anche se spesso quest’ultima è lasciata al caso e alle circostanze. In effetti, la proposta è definita dall’Autore stesso “ una forma particolarmente esigente di democrazia”, che richiede scadenze rigide, obiettivi chiaramente definiti e una gran dose d’autodisciplina… come forse si è visto in azione nei Social Forum o a Porto Alegre. Nell’Unione Europea, invece, il deficit democratico continua, anche nella nuova Costituzione, definita un’opportunità mancata. Non resta che insistere sulla necessità, per l’Unione, di combinare rappresentazione e partecipazione, per creare circoli virtuosi di partecipazione,che permetterebbero al “gigante addormentato” di ri-animarsi e reinventare in parte se stesso. StrumentiCres Settembre 2008 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ NARRATIVA Il fondamentalista riluttante Edizioni Einaudi, 2007 a cura di Anna Gnocchi Oriente e Occidente, destini che si incrociano, si intrecciano e si snodano senza mai trovare un autentico punto di incontro, che non sia la violenza delle armi o dell’intolleranza. La storia di Changez, giovane pakistano che dopo brillanti studi in Inghilterra e il lavoro prestigioso presso una importante società finanziaria a New York, decide di tornare al paese d’origine, si dipana attraverso un dialogo monologante in un locale tipico del mercato di Lahore. Changez racconta a un cittadino americano incontrato per caso (?) la sua vicenda negli Stai Uniti, ma all’interlocutore non è dato spazio per mettere parola, tuttavia si conoscono le sue reazioni gestuali e mimiche, che rivelano una carica di ansia e diffidenza inquietanti. Nel racconto del protagonista sul suo soggiorno in America e sul suo travaglio interiore, l’11 settembre fa da spartiacque. Dopo questa data Changez percepisce da sguardi e allusioni insinuanti che la sua cultura, e forse anche la sua persona, sono viste con sospetto: si tratta di avvisaglie che accentuano nel protagonista il desiderio di affermare, anche con segni esteriori come il farsi crescere la barba, la propria identità. Non vuole essere omologato o fingersi altro da sé, sente con coerenza e orgoglio che la sua personalità non può essere venduta e comperata dalla società opulenta. Questa consapevolezza si definisce chiaramente durante i viaggi di lavoro a Manila e a Valparaiso, dove la lontananza dagli Stati Uniti focalizza meglio la sua posizione di “giannizzero” al servizio di un impero economico spietato. In particolare l’incontro con Juan Bautista, editore cileno, acuisce la sua crisi introspettiva e fa vacillare tutte le premesse del suo folgorante successo. In una notte di riflessione il protagonista si rende conto con dolore della insostenibilità del suo ruolo: non può restare al servizio dell’America nel momento in cui questa sta invadendo un paese consanguineo al suo, l’Iraq, e StrumentiCres Settembre 2008 Moshid Hamid prende la decisione di tornare in Pakistan.Qui ottiene un posto di insegnante all’università e, insieme agli studenti, partecipa alle manifestazioni di protesta contro la politica americana, nella convinzione che un’America come quella vada fermata, non solo nell’interesse del resto dell’umanità ma anche nell’interesse della popolazione americana stessa. La società statunitense descritta da Changez non è solo quella fredda e mercantile, ma anche quella rappresentata da Erica, la donna amata dal protago- nista. Questa giovane newyorkese, bella e decadente, è il simbolo di quell’America che non sa e forse non vuole elaborare il passato, perciò è incapace di vivere nel presente e si chiude totalmente e dolorosamente al futuro. Erica ama il giovane pakistano, ma il suo rapporto è ostacolato dal ricordo di un precedente fidanzato morto, un lutto che lei non vuole accettare ma che le è penetrato nell’anima fino a disgregarla. Changez riesce a fare all’amore con lei solo se finge di essere “l’altro”, dunque se, anche in questa storia privata, disconosce e nega la sua vera identità. L’amore, anziché aiutarlo ad integrarsi, è un’altra occasione di disagio e di straniamento. Il finale del libro è aperto e di incerta interpretazione, come incerto e allarmante è l’esito, che ancora non ci è dato di vedere, di un rapporto difficile e pieno di ostacoli fra il mondo occidentale e quello orientale. Notevole è la scrittura, che, al di là dell’espediente stilistico del monologo dialogante, in apparenza pacato ma in realtà pieno di tensione, mette il lettore su di una altalena sospesa fra due mondi: l’America, attraverso il racconto, e il Pakistan, mediante sapienti e rapide pennellate che accendono i nostri sensi e ci immergono nell’atmosfera di un mercato orientale. Infatti l’autore, con brevi incisi, ci fa sentire l’odore e il sapore dei cibi ricchi di spezie, udire il chiacchierio allegro della gente e il rumore del traffico che man mano si spegne all’imbrunire; vediamo la folla variopinta che si dirada col passare delle ore e assistiamo al trascolorare della luce del giorno fino all’apparire intermittente della luna dietro nubi in movimento, forse anch’esse foriere di instabilità e di infausti presagi. Madre piccola Cristina Ali Farah Frassinelli, 2007 a cura di Rita Di Gregorio e Dunia Martinoli Madre piccola, è il primo romanzo della scrittrice italo-somala (padre somalo e madre italiana), scritto in italiano e costruito come un intreccio di storie, di personaggi della diaspora somala, meticci, inquieti e migranti alla ricerca di sé e di un senso da dare alla propria esistenza. Il testo non ha un narratore unico, narratori interni sono alternativamente gli stessi tre personaggi principali, Barni, Domenica-Axad e Taageere che raccontano la propria storia in prima persona ad interlocutori diversi -ciascu- 41 42 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ no dal proprio punto di vista, con un proprio registro linguistico e in forme diversificate : intervista, comunicazione telefonica, resoconto scritto della propria vita in funzione psicanalitica. Nello stesso tempo raccontano anche le storie della loro famiglia allargata e di molti altri personaggi minori, ma tutti parimenti importanti. I tre protagonisti principali, a partire dal proprio vissuto personale, delineano così un quadro significativo della cultura, delle vicissitudini e delle peregrinazioni di tutta la comunità somala, colta qui nella situazione drammatica e violenta del periodo della guerra civile, seguita alla dittatura militare di Siad Barre. In particolare, il romanzo focalizza la comunità somala stabilitasi in Italia; i somali in genere, grazie o per colpa dell’esperienza del colonialismo italiano, parlano un po’ l’italiano e qualche volta arrivano persino ad illudersi di poter considerare Roma e l’Italia come la loro patria. Vivere a Roma e in generale in Italia, così come in molte altre parti del mondo occidentale, significa però scoprire la difficoltà di conciliare il proprio modo di vivere, culture, regole e consuetudini, con quelle del paese ospitante e prendere atto di essere fatti oggetto, insieme a tutti gli altri immigrati, degli stessi luoghi comuni che tendono ad emarginare e criminalizzare il diverso per provenienza, colore della pelle e posizione sociale. In assonanza con lo stato psicologico e materiale di precarietà e disagio vissuto dai personaggi, (sradicamento, emigrazione, disgregazione di luoghi e del tessuto sociale, distacco, perdita e frantumazione degli affetti…), il testo procede per incastri con salti logici e spazio-temporali, flash-back, richiami, rinvii -dal presente al passato e da un luogo all’altro di vari paesi e continenti- ma nello snodarsi del racconto la trama si chiarisce e si apre alla comprensione del lettore, senza però perdere l’originalità organizzativa e l’interesse della complessità del romanzo. L’erranza è la cifra che caratterizza i vari protagonisti del romanzo, in fuga da un esilio all’altro per sfuggire alla dura e cruda realtà del proprio paese. Domenica-Axad, nella lettera alla sua psicanalista, così descrive il suo ritorno -da Roma a Mogadiscio-: “[…] Arrivai a Mogadiscio con l’ultimo volo di linea […]. La guerra imperversava […] Fu tutto così rapido e scioccante che ancora non riesco a ricordarlo. Questo evento segna l’inizio della mia esistenza da profuga di guerra […] Come profuga seguii il fluire di una diaspora che mi riguardava solo marginalmente, […]. Ho peregrinato per quasi dieci anni, tra Europa e America, seguendo le mode che muovevano le masse dei giovani della mia età da un continente all’altro, da un welfare peggiore a uno migliore. Vivacchiavo: smarrita, dalla casa di un parente a quella di un altro in cerca di protezione e di calore […]”. Domenica-Axad, inizialmente ci appare fragile e indifesa, ma con l’evolversi della vicenda riuscirà, come tutti i personaggi femminili di questo romanzo, ad acquisire la consapevolezza di sé e la solidità necessarie per affrontare al meglio i cambiamenti imposti dall’esilio e dalla fatica del suo peregrinare; supererà anche il disagio di essere una iska-dhal (meticcia) - somala e italiana, bilingue con doppia appartenenza, doppio colore, rispecchiantisi anche nel suo doppio nome. Domenica-Axad, al seguito del suo amico Saciid Saleebaan, operatore dilettante, imparerà ad usare la telecamera per realizzare le riprese che documentano la diaspora dei somali, da lei ripresi nei vari luoghi di approdo. Questo testo è di indubbio interesse, sia sul piano linguistico-letterario che sul piano documentario; inoltre esce in un momento in cui sono diversi gli scrittori migranti che scelgono l’italiano come lingua d’espressione letteraria (tra questi Garane Garane e Gabriella Ghermandi, autori rispettivamente dei romanzi “Il latte è buono” e Regina di fiori e di perle”- entrambi pubblicati nel 2007). A questo proposito c’è chi, come Ali Mumin Ahad (somalo anche lui) sostiene che per gli scrittori Cristina Ali Farah, Gabriella Ghermandi (Etiopia), Garane Garane (Somalia), più che di letteratura della migrazione si dovrebbe parlare di letteratura post-coloniale. La “Letteratura post-coloniale”, secondo Ali Mumin Ahad, “indicherebbe tutte le manifestazioni culturali di quelle realtà sociali influenzate, in un modo o in un altro, dall’esperienza coloniale.” 1 La Somalia, dopo un lungo assordante silenzio, torna timidamente a fare notizia sui media italiani, anche se in modo superficiale, sorvolando sulle contraddizioni e le difficoltà del paese, uno dei più poveri del mondo con condizioni di vita al di sotto della precarietà. Il romanzo di Cristina Ali Farah, invece, con tono lieve-ironico, ma amaro e acuminato, affronta tematiche di scottante attualità e pregnanza, come: identità, appartenenza, emigrazione, precarietà, discriminazione, xenofobia, razzismo, violenza …, tutte problematiche attualmente nell’Agenda politica di molti paesi del globo e in attesa di soluzioni. Inoltre ha il merito di “aprirci delle finestre” per tessere i fili della trama, dal presente al passato e recuperare la memoria degli effetti nefasti e delle iniquità dell’occupazione coloniale che l’Italia impose alla Somalia dal 1889 al 1941, occupazione poi proseguita - dal 1950 al 1960 - come tutrice per conto delle Nazioni Unite, ma che non è entrata pienamente a far parte del patrimonio della memoria collettiva del nostro paese che ha preferito rimuovere, occultare e, al limite, negare questa scomoda realtà. NOTE A MARGINE Nomi e Appartenenze Importanti e pieni di significato sono i nomi di alcuni personaggi: DOMENICA-AXAD – Ha un doppio nome: il nome datole dalla madre è Domenica, ma sarà sua cugina e grande amica Barni a nominare la sua seconda anima, lasciando un segno permanente nel suo stesso nome.” Mi chiamo Axad, domenica, come la radice araba dell’uno*. Io ero Domenica o Axad a secondo.” Questa dualità di Domenica-Axad corrisponde alla sua doppia identità, *La domenica in arabo è il primo giorno della settimana e da ciò prende il suo nome. 1, Decolonizzare l’Italia, di Armando Gnisci, 2007, Roma, Bulzoni www.disp.let.uniroma1.it/kuma/kuma. html StrumentiCres Settembre 2008 Grovigli di storie Storie: ascoltarle e raccontarle è la mia predilezione, dice Taageere, l’unico narratore-uomo, il cui racconto è costituito da una telefonata-fiume (300 minuti: sono quelli assegnati alla telefonata dalla scheda a tempo) che segue un percorso, come in fondo quello di tutto il romanzo, caotico, labirintico: segue una storia, devia, torna sui propri passi…“Non sto divagando, sto seguendo un ‘logicammino’…” e così le storie si intrecciano. Nel racconto dei vari personaggi ritroviamo gli stessi episodi narrati da punti di vista differenti. Solo alla fine, nella lettera alla psicanalista, ritroviamo uno stile più lineare, poiché Domenica ricuce insieme gli episodi che riguardano la sua vita, dandole un po’ di ordine e facendoci meglio comprendere il susseguirsi degli eventi e l’origine della sua sofferenza, ma anche del suo nomadismo, del suo difficile rapporto con la madre, della serenità riacquistata col suo ultimo ritorno a Roma, del suo ritrovare Barni, del suo scoprire di essere incinta, del procedere della ‘storia’ attraverso ‘Taariikh’ , il figlio. StrumentiCres Settembre 2008 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ italiana e somala, tanto che lei stessa si sente a volte Domenica, quando sente l’esigenza di apparire dal suo versante occidentale e a volte Axad, quando sente riaffiorare la sua identità di bambina nata e cresciuta in Somalia, di cui sente il legame delle tradizioni. Quando, da bambina, veniva in Italia a passare i due mesi di vacanze estive con la madre, al suo ritorno in Somalia impiegava una settimana a riadattarsi all’uso del somalo: “Ciò che più mi terrorizzava era la condizione di tabula rasa linguistica in cui mi riducevo”. Questa doppia identità verrà vissuta intensamente e con sofferenza da lei: “Fu perché mi sentivo eccentrica e indefinita che cominciai a torturarmi la pelle? Credevo, forse, di poter separare con la lametta l’ambiguità della mia essenza?...... Quello di tagliarmi divenne un piacere morboso…. Era forse per dichiararmi che mi incidevo con tanto accanimento? Non è per segnare una presenza che esistono i riti di iniziazione?” Domenica, proseguendo nella sua riflessione sulle appartenenze, decide di far circoncidere il figlio, a cui ha dato il nome del proprio padre, disperso in guerra: Taariikh (che significa la Storia) affinchè la Storia possa continuare. “Mi sono a lungo dibattuta, ho passato notti insonni e se infine ho deciso quello che ho deciso è stato per non impedire a mio figlio di appartenere. Io dovevo segnare questa appartenenza sul suo corpo.” AUDIOVISIVI L’incubo di Darwin Regia di Huber Sauper a cura di Gianluca Bocchinfuso Questo film-documentario (L’incubo di Darwin, di Hubert Sauper, 107 minuti, Feltrinelli Real Cinema, 2004), realizzato dal regista tirolese nella zona aeroportuale di Mwanza in Tanzania, è stato presentato al Festival di Venezia nel 2004, nella sezione “Giornate degli Autori”, ha vinto il Premio Label Europa Cinemas, il Premio César Miglior Opera Prima e, infine, è stato candidato all’Oscar come miglior documentario, anche se poi l’Academy Awards ha scelto La Marcia dei Pinguini. Il documentario - distribuito da Feltrinelli con il libro allegato curato dallo stesso regista con Tijs Goldschmidt - racconta una tragedia umana e ambientale che ha origine nel lontano 1962, quando il lago Vittoria fu forzatamente popolato dal pesce persico proveniente dalle sorgenti del Nilo. Un grande predatore - appartenente ad una razza chiamata Tilapia del Nilo (Nile perch) - che per nutrirsi divora anche i pesci della sua stessa razza quando non ne trova altri. In breve tempo - come documenta il regista non senza difficoltà, “per girare ‘L’incubo di Darwin’ abbiamo utilizzato una troupe minima: con me, solo il mio fedele compagno di avventure e una piccola videocamera. […] Girando in Tanzania non abbiamo mai potuto presentarci come una troupe regolare. […] In alcuni villaggi ci hanno scambiato per missionari mentre i manager delle industrie ittiche temevano che fossimo ispettori di igiene dell’Unione europea. […] Una buona parte del budget delle riprese è stata sprecata in multe e bustarelle per ritornare in libertà” (pp. 41-42) - il persico ha provocato l’estinzione di tutte le razze ittiche presenti nel lago, colpendo in modo diretto e irrevocabile tutta l’economia che gravita attorno al più grande bacino lacustre africano. Non a caso, i pescatori africani si sono trasformati in produttori-venditori di questo pesce e, grazie ai contrabbandieri di armi russi, sono riusciti a farlo arrivare sui mercati ittici europei. Oggi i filetti di persico del Nilo sono in offerta speciale in tutti i nostri supermercati. Un sistema perverso che mette insieme traffico illegale di armi, problemi ambientali, guerre, scontri etnici, sfruttamento di uomini e donne. Ancora una volta, la globalizzazione è subita dalle popolazioni più deboli e si regge su equilibri sbilanciati a favore di chi fa profitto e usa tutte le sue armi per riempirsi le tasche di guadagni. “Il boom delle multinazionali del cibo e delle armi - scrivono Goldschmidt e Sauper - ha creato una diabolica alleanza globale sulle rive del più grande lago tropicale del mondo: un esercito di giovani pescatori, di coltivatori indiani, di ministri africani, di commissari europei, di piloti russi, di prostitute tanzanesi…” (pag. 39). Il documentario è una sequela di immagini e di informazioni crude e sconvolgenti che colpiscono direttamente, soprattutto in considerazione della poca informazione che, nel corso di tutti questi anni, c’è stata su questo argomento che riguarda un’intera popolazione. Una sequenza vale per tutte: il luogo putrido e abbandonato in cui sono ammassate le parti scartate dei pesci. Un grande sito di “approvvigionamento alimentare” per gli abitanti del posto. Un bisogno, quello di sfamarsi, che pro- 43 44 mante, in Honduras una banana mentre in Libia, Nigeria o Angola ci sarebbe stato il petrolio” (pag. 44). La vicenda legata al pesce persico e a tutti gli utili che gli ruotano attorno ha tanto di disumano perché, come molte faccende che celano interessi di varia natura, è nata ed è cresciuta in silenzio, con le connivenze dei molti che vi hanno lucrato, disinteressandosi delle conseguenze. Hubert Sauper mette insieme sequenze molto crude e dure (potremmo dire adatte ad un pubblico adulto). Ma questo documentario - con un’adeguata progettazione e preparazione - può certamente essere utilizzato nelle scuole ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ duce malattie che coinvolgono collettivamente tutti e si trasmettono non solo da persona a persona, ma anche da padri a figli. Generazioni che, prima di nascere, sono segnate nella sorte e nel destino. Ancora una volta, i danni provocati dall’uomo - per interessi economici e commerciali di cui godono in pochi - ricadono negativamente sulle masse inermi che non possono nulla, se non subire in silenzio, senza riuscire a vedere e trovare vie d’uscita. Ed è in questo quadro che il volto della globalizzazione - come in altri contesti e altri tempi - fa conoscere il suo aspetto più negativo e unidirezionale che priva le persone di dignità, prima che di diritti. Si ripete la dinamica perversa di sempre: il Nord del mondo, ricco e industrializzato che compra a basso prezzo (e gode immediatamente dei massimi profitti) e il Sud del Mondo che vede distrutti i suoi equilibri ambientali e naturali e che subisce irrimediabilmente (senza potere minimamente godere di questi commerci con la parte più ricca e avanzata del paese). Questo documentario, inoltre, spinge a riflettere sull’umanità disumanizzata che crea lo sfruttamento individuale delle persone, private di tutto, anche del loro essere individui: la giovane Eliza si prostituisce, i piloti russi fanno del suo corpo un oggetto e lentamente la ragazza si spegne, colpita dall’Aids, altra piaga nella piaga che, oggi come ieri, produce morte in tutto il continente africano e rende difficile qualsiasi tipo di intervento concreto e risolutivo. Questo documentario non è solo uno strumento di rappresentazione di una realtà, ma anche uno strumento di riflessione sul perché il cosiddetto “mondo civile” - con tutti i suoi mezzi - non riesca (o non voglia) a mettere fine alle storture che condizionano il mondo nel suo farsi. E il fatto che l’informazione su fatti del genere avvenga attraverso un documentario cinematografico la dice lunga su come la stampa mondiale - a tutti i suoi livelli: giornali e radio/ telegiornali - sia succube dei tanti interessi economici che gravitano dentro e attorno all’editoria (e alla pubblicità!) e sia lontana dall’inchiesta sul campo, quella che cerca la notizia, la verifica, la racconta. Questo documentario fa riflettere anche su questo elemento: manca paradossalmente - nell’era della comunicazione - una vera comunicazione/informazione quotidiana. Uno strumento fondamentale che spinga il lettore-ascoltatore a capire la notizia, ad entrare dentro di essa per formulare un proprio punto di vista da condividere e confrontare con altri. “Avrei potuto fare lo stesso tipo di operazione in Sierra Leone - dice il regista - solo che al posto del pesce ci sarebbe stato un dia- perché permette di riflettere su più piani contemporaneamente: l’equilibrio/ squilibrio ambientale, la distruzione degli ecosistemi (come quello del Lago Vittoria), il traffico illegali di armi dal Nord al Sud del mondo, i profitti delle nazioni ricche legate allo sfruttamento delle nazioni povere (il neocolonialismo economico), la violazione dei diritti delle persone, la diffusione di malattie all’interno di quadri igienico-sanitari arcaici. Una grande risorsa per riflettere sui problemi del nostro tempo, anche quando sembrano molto lontani e non ne capiamo pienamente il perché e il senso. SEGNALAZIONI BIBLIOGFRAFICHE NOVITA’ CRES Massimiliano Lepratti, L’economia è semplice. I meccanismi economici e il loro impatto sociale, EMI 2008 Oggi l’economia tende a dominare su tutto: sulla società, sulla cultura, sulla stessa politica. Imparare a conoscerla vuol dire allargare la partecipazione alle scelte economiche, facendo crescere la giustizia. L’economia è semplice: basta spiegarla con parole non tecniche e diventa comprensibile a chiunque. L’Autore scompone l’economia nelle sue parti elementari e di ciascuna presenta il funzionamento, il collegamento con gli altri aspetti della vita, la dimensione globale che coinvolge i paesi del Sud e le fasce povere della popolazione mondiale. È la conoscenza dell’economia internazionale a farci comprendere più a fondo la realtà di oggi e a motivare al cambiamento degli stili di vita e delle scelte di consumo. Pietro Raitano e Cristiano Calvi, Rose & Lavoro, ALTREconomia, TERRE di mezzo editore, 2007 Quanti segreti e quante spine si nascondono dietro i fiori che allietano le nostre ricorrenze romantiche? Questo “libellulo” ripercorre il viaggio dalle sterminate piantagioni in Kenia fino ai negozi sotto casa nostra, passando dalle aste olandesi. Davvero può essere conveniente importare rose da migliaia di chilometri di distanza? Sì se, come in ogni caso di delocalizzazione estrema, la manodopera è in Africa ma la proprietà rimane in Europa, pronta, quando le richieste di salario e diritti cominciano a crescere, a spostarsi in un altro paese. E’ la storia delle donne che le coltivano, delle loro condizioni di lavoro e di un lago che sta scomparendo, prosciugato dalle rose. Sullo stesso tema Daniela Grandi e Silvia Resta hanno girato il bel documentario “Rose d’Africa” andato in onda su la7 e visibile sul sito http:// www.la7.it/approfondimento/detta glio.asp?prop =speciale tg&vi deo=1247 StrumentiCres Settembre 2008 turale i saperi insegnati nella scuola. Come sottolinea Francesco Susi nella Prefazione, l’educazione interculturale è la risposta in termini formativi ai problemi posti da un mondo diventato interdipendente, ma per essere realizzata chiede che venga profondamente trasformato l’asse edu-cativo della scuola, corretto l’orientamento monoculturale dei suoi curriculi. Il testo si divide in due parti: 1) Insegnare e apprendere diversamente: la prospettiva interculturale, 2) Saperi e discipline in prospettiva interculturale. ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Il viaggio di Grace, regia di Franco Angeli, dvd, VIS C. Brunelli-G.Cipollari-M.Pratissoli-M.G.Quagliani, Oltre l’etnocentrismo.I saperi della scuola al di là dell’Occidente, EMI Grace sogna di fare la maestra; è nata e vive in un campo - rifugiati vicino a Khartoum, in Sudan. La sua famiglia è stata costretta a fuggire dal villaggio, nel Sud del Paese a causa della guerra civile ma oggi forse può cominciare a pensare al rientro. Il video l’accompagna in un viaggio di migliaia di chilometri su piste sconquassate inseguendo una speranza; attraverso i suoi occhi e le sue parole impariamo a conoscere un paese bellissimo che vuole dimenticare la guerra e riprendere a vivere e ricostruire, a partire proprio dalle scuole. Il filmato fa parte della Campagna “Tutti a scuola” lanciata dal VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) per rendere possibile la costruzione di venti scuole nel Sud Sudan e permettere al sogno di Grace di avverarsi Per info: VIS www.volint.it; 06 516291 Massimiliano Fiorucci (a cura di), Una scuola per tutti. Idee e proposte per una didattica interculturale delle discipline, Franco Angeli, 2008 Il volume presenta i contributi di esperti di differenti campi disciplinari (pedagogia, letteratura, musica, storia, geografia, biologia e matematica) e si propone di rileggere in chiave interculStrumentiCres Settembre 2008 Il volume (frutto di una ricerca-azione voluta dall’IRRE Marche all’interno del Progetto “Oltre l’etnocentrismo”) raccoglie i contributi di specialisti di diverse discipline (Gnisci, Ceserani, Pratissoli, Brusa, Cajani, Gusso, Bagni, Pizzamiglio, Brunelli, Mancini) e le esperienze di docenti e scuole. I flussi migratori della società attuale, diventata rapidamente multietnica e multiculturale, stanno trasformando il mondo e lo scenario in cui ci muoviamo eppure noi “continuiamo a leggere ciò che ci circonda con categorie concettuali che non sono più in grado di produrre rappresentazioni attendibili della realtà”. Il senso di spaesamento che si avverte diffusamente è dovuto non solo alla rapidità con cui il fenomeno si è manifestato ma anche alla mancanza di strumenti culturali adeguati, necessari per leggerlo e per agire. Abbiamo bisogno di una “rivoluzione culturale postcoloniale” che partendo dalla ricerca universitaria arrivi nelle scuole; abbiamo bisogno di nuovi concetti che sostituiscano quelli etnocentrici. La scuola, parte integrante di questa società, non può non sentirsi coinvolta nella ricerca di nuove modalità di lettura e interpretazione della realtà, nella rielaborazione di nuove forme di convivenza. Nella scuola il rin- novamento della cultura occidentale non può che passare attraverso la revisione dei libri di testo, dei metodi didattici e dei saperi scolastici. Il docente è quindi chiamato a misurarsi con l’epistemologia della propria disciplina nella consapevolezza che i saperi sono costruzioni il cui significato varia nel tempo e nello spazio, a depurare i saperi dall’etnocentrismo e a ricostruire mappe concettuali di categorie interpretative sciolte da vincoli temporali spaziali. Gli stessi materiali didattici vanno riletti alla luce di griglie di analisi dotate di indicatori interculturali. Il volume si articola in sei parti: la prima è centrata soprattutto sulla questione del canone e sulla necessità di rivedere i curricoli in chiave interculturale; la seconda offre spunti di riflessione sulla revisione epistemologica delle discipline; la terza riguarda la programmazione didattica e le Unità di Apprendimento; la quarta presenta la documentazione del lavoro svolto nelle scuole con esemplificazioni; la quinta propone Percorsi didattici in chiave interculturale; l’ultima parte offre ipotesi di matrici curricolari di geografia e storia, che rappresentano una proposta per quanti lavorano su nuovi progetti educativi nella prospettiva di una nuova cittadinanza planetaria. Karim Metref, Baghdad e la sua gente, Fondazione Terres des hommes Italia Il volumetto, a sostegno dei progetti di Terres des hommes in Iraq, è una testimonianza partecipata della vita quotidiana della popolazione, in cerca di una “normalità” nonostante le bombe, gli attacchi suicidi, gli scontri e le mille difficoltà pratiche. Ci aiutano a sentirci vicini agli irakeni i racconti di Karim Metref, le foto di B. Neri e P. Gigli e le immagini del dvd … e il Tigri placido scorre … diretto da M. Severgnini con le interviste di K. Metref. Per info: [email protected] 02 28970418 45 Michele Dotti, Jacopo Fo: Non è vero che tutto va peggio. EMI 2008 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ SEGNALAZIONI BIBLIOGFRAFICHE LE NOSTRE PUBBLICAZIONI QUADERNI DIDATTICI Nuova collana CRESCENDO CRES - EMI 1) Arcipelago Mangrovia Narrativa caraibica e intercultura – Rita Di Gregorio, Anna Di Sapio e Camilla Martinenghi – pagg 256 - euro 12,00 Il quaderno cerca di fornire una panoramica della narrativa caraibica insulare dell’ultimo secolo per favorire il superamento di stereotipi e offrire chiavi di lettura e spunti di riflessione per l’educazione alla differenza. Le schede di presentazione degli autori e delle opere sono suddivise per aree linguistiche. Ipotesi di percorsi didattici. e strumenti utili per gli stessi, completano il testo. Che l’ottimismo faccia bene alla salute e al prossimo con cui ci si relaziona è un’evidenza; a nessuno piace vedere grigio o ascoltare predicazioni lamentose. Che l’ottimismo sia un ingrediente fondamentale per chi lavora nell’ambito dell’associazionismo e della solidarietà è un’altra evidenza: coloro che non credono a un miglioramento della vita sul pianeta faticano a ritrovarsi in enti che hanno come mandato la costruzione di orizzonti più belli degli attuali. Ma solitamente all’ottimismo della volontà si accompagna il pessimismo della ragione: la volontà guarda il mondo del dovere essere e vede l’altro mondo possibile, la ragione guarda il mondo per com’è e lo vede pieno di difetti, sempre più contaminato dall’errore e dal dolo umano. Il libro di Michele Dotti e Jacopo Fo “Non è vero che tutto va peggio” prova a mutare completamente gli scenari e a donare ottimismo anche alla ragione, e lo fa fornendo moltissimi esempi di come il mondo sia andato migliorando nei secoli o anche solo negli ultimi 50-60 anni. Pochi tra coloro che si lamentano del tempi attuali ricordano che ancora nel 1956 la Cassazione italiana ribadiva il diritto del marito di percuotere “moderatamente” la moglie se ella non gli avesse ubbidito o che nel 1977 solo 16 paesi avevano abolito la pena di morte per tutti i reati (oggi sono 89) o che sul pianeta le foreste sono aumentate di 500 milioni di ettari fra il 1949 e il 1988 (e in Italia si è passati dai 5,6 milioni di ettari del 1948-49 ai 6,8 del 2000). Certo non è tutto oro quello che luccica, le disuguaglianze crescono, il consumismo aumenta e l’ambiente nel suo complesso si deteriora. E i miglioramenti laddove accadono non sono effetto della legge d’inerzia del capitalismo, ma derivano dall’azione di movimenti, gruppi organizzati, figure profetiche capaci di lanciare esempi forti. Il libro non propone l’immagine del migliore dei mondi possibili, ma distingue attentamente il negativo percepito (per effetto dei media e di tutti coloro che vivono di cattive notizie), dal negativo reale, aiutando tutti coloro che credono in un altro mondo possibile a ritrovarne tante tracce nella realtà dei fatti ed aiutando il lettore a trovare un po’ di serenità in più. A partire dai paragrafi sull’analfabetismo e sulla sicurezza sono stati costruiti due video che sviluppano ulteriormente gli argomenti e smontano parecchi luoghi comuni attraverso dati poco conosciuti; sono visibili all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=dngPVk-gaH4 46 2) All’incrocio dei sentieri I racconti dell’incontro – Kossi Komla-Ebri – pagg.192 - euro 10,00 I racconti di Kossi Komla-Ebri, ambientati in Africa, in Francia e in Italia, attingendo al vissuto quotidiano, parlano di amore, di viaggi, di nostalgia, di fierezza e di dignità e smascherano gli stereotipi con lo strumento dell’ironia. I temi dei racconti sono approfonditi dall’autore stesso nelle interviste e nei documenti della seconda parte, completata da un apparato didattico per un’educazione interculturale. 3) Cittadini under 18 I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza - Daniela Invernizzi - pagg.213 - euro 11,00 Il testo presenta un approccio globale alle problematiche dell’infanzia e dell’adolescenza e, dopo aver descritto lo scenario culturale generale, propone esperienze di processi partecipativi locali e globali e suggerisce stimoli educativi per lo sviluppo di attività di ricerca e di sperimentazione centrate sulla tutela e la promozione dei diritti delle giovani generazioni. 4) “La tela del ragno” Educare allo sviluppo attraverso la partecipazione – Michele Dotti, Giuliana Fornaro, Massimiliano Lepratti – pagg.238 – 2005 - euro 13,00 Questo Manuale pratico-teorico, frutto dell’esperienza sul campo degli animatori e delle animatrici del CRES di Mani Tese, analizza e decostruisce gli stereotipi più diffusi riguardo alla povertà mondiale e illustra tecniche di partecipazionee di coinvolgimento attivo utili per accompagnare i ragazzi verso la conoscenza e la comprensione critica delle problematiche attuali. 5) “Terra è libertà” La questione agraria in America Latina – Luca Martinelli, Annalisa Messina – pagg.144 – 2005 - euro 9,00 Terrà è il punto di partenza per riflettere sui concetti di latifondo, riforma agraria, migrazione, libero commercio, diversità biologica, risorse naturali, diritti dei popoli indigeni, movimenti sociali, assumendo un punto di vista interdisciplinare che spazia dall’ambito sociale a quello politico, economico, culturale. 6. Uno, nessuno, centomila (ir)responsabili. Itinerari didattici di educazione alla cittadinanza – Michele Crudo – pagg.160 – euro 12 - 2006 L’Educazione alla cittadinanza, anche in rapporto ai controversi modelli sociali che la nostra società propone, può diventare una pratica didattica per aiutare lo studente a capire l’universo degli adulti, a mediare tra gli opposti e arrivare ad un proprio punto di vista in un’ottica di mondialità. Alcune esplorazioni didattiche realizzate attraverso l’uso sistematico dello strumento filmico completano il testo. 7) Ri/conoscersi leggendo Viaggio nelle letterature del mondo. a cura di Rosa Caizzi - pagg. 256 - 2006 - euro 13,00 - NOVITÀ Un viaggio attraverso le letterature araba, nigeriana, sudafricana, indiana, afroamericana, cinese e la recente letteratura della migrazione può aiutare ragazzi e ragazze del Nord a stimolare la curiosità nei confronti della diversità, a combattere gli stereotipi sulle altre culture, a StrumentiCres Settembre 2008 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ indagare la contemporaneità di altri paesi, a guardare con occhi nuovi la loro realtà, a relativizzare il proprio punto di vista. 8) Perché l’Europa ha conquistato il mondo? - Massimiliano Lepratti – pagg. 124 -2006 – euro 10 L’Europa non ha conquistato il mondo per investitura divina, né in quanto civiltà superiore. Il capitalismo del Nord del mondo affonda le radici nello sfruttamento economico e nei contributi di pensiero e tecnico-scientifici di aree lontane. Il testo indaga la storia della costruzione di un sistema di squilibrio internazionale che non esisteva fino ad alcuni secoli fa, attraverso un approccio che integra i livelli politico, economico e culturale. I capitoli sono corredati da carte storiche e da un’appendice didattica. 9) Il cinema per educare all’intercultura - Marina Medi – 2007 – euro 10 E’ importante che l’educazione all’informazione e ai media trovi spazio in modo organico nella programmazione curricolare diventando strumento di cittadinanza e di comunicazione interculturale. Il testo suggerisce una serie di riflessioni metodologiche per un uso critico dei media, che parta da alcune cautele indispensabili quando si propone agli studenti un lavoro che utilizzi il cinema, e presenta piste di lavoro da realizzare nelle scuole e percorsi didattici già sperimentati che possono servire da stimolo. 10) L’economia è semplice - Massimiliano Lepratti - 2008 - pag. 125 À NOVIT Basta spiegarla con parole non tecniche e diventa comprensibile a chiunque. L’economia viene scomposta nelle sue parti elementari presentando di ciascuna il funzionamento , il collegamento con gli altri aspetti della vita, la dimensione globale che coinvolge i paesi del Sud e le fasce povere della popolazione mondiale. È la conoscenza dell’economia internazionale a farci comprendere più a fondo la realtà di oggi e a motivare al cambiamento degli stili di vita e delle scelte di consumo. Collana CRESCENDO CRES - Ed. Lavoro 1) 2) 3) 4) 5) 6) Le migrazioni a cura di D. Barra e W. Beretta Podini – 1995 Percorsi interculturali e modelli di riferimento M. Crudo - 1995 Educare al cambiamento AA. VV. - 1995 La conoscenza dell’altro tra paura e desiderio M. Crudo - 1996 Lo straniero L. Grossi, R. Rossi - 1997 Letterature d’Africa. percorsi di lettura L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi – 1998 7) Penelope è partita M. Crudo – 1998 8) Portare il mondo a scuola a cura di ONG Lombarde, IRRSAE Lombardia, Provveditorato agli Studi di Milano – 1999 9) La gatta di maggio R. Abdessemed - 2001 10) La sfida della complessità M. Medi – 2003 Noci di cola, vino di palma. Letteratura dell’Africa subsahariana L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi – 1997 OFFERTE SPECIALI (spese di spedizione incluse) ● L’INTERA COLLANA (10 Quaderni + il volume Noci di cola) 20 euro ● 5 VOLUMI A SCELTA A 10 euro ● 1 VOLUME 3 euro TESTI SCOLASTICI CIALE TA SPE OFFER zzo mi al pre I 2 volu sivo di 8 e* s comple Fame e squilibri internazionali. Introduzione alle problematiche dei rapporti Nord/Sud Wilma Beretta Podini - pagg.160. euro 7,40 - 2003 Un approccio interdisciplinare al complesso tema dei rapporti Nord/Sud. Corredano il testo carte tematiche, grafici, dati statistici, esercizi e un glossario. Rifiuti ieri Risorse domani Pietro Danise, Consolato Danise - pagg. 110. euro 7,95, - 1997 * incluse le spese di spedizione. StrumentiCres Settembre 2008 MATERIALI SUL LAVORO MINORILE YATRA – In marcia per i diritti dei bambini Kit didattico Mani Tese-CRES, 2003 – Gratuito. Il kit è articolato in 5 fascicoli (Bambini e bambine lavoratori raccontano, Il lavoro minorile sulla stampa, Bambine e bambini al lavoro in Italia, Globalizzazione e lavoro minorile, Cambiare è possibile) ricchi di suggerimenti didattici. Il kit è arricchito da una bibliografia ragionata, dal dossier Dallo sfruttamento all’istruzione e dalla rassegna stampa La violazione dei diritti dei bambini. YATRA Dallo sfruttamento all’istruzione VHS 30’ Mani Tese euro 8 Il video contro lo sfruttamento del lavoro minorile presenta la drammatica situazione dei bambini in Benin, Brasile, India e Romania e alcune proposte per contrastare il fenomeno. Mostra fotografica in 8 pannelli 70 x 100 – euro 5 AUDIOVISIVI Un pianeta in movimento nuova edizione - euro 10 (gratuito per le scuole su richiesta scritta) Il cdrom, articolato in otto sezioni tematiche, si struttura attorno all’idea di un viaggio nella realtà migratoria, che consenta di contrastare luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi attraverso l’analisi della dimensione spaziale e temporale di questo fenomeno. E na wa gon Percorsi di sviluppo di Mani Tese in Benin DVD Mani Tese euro 10 Il DVD dà spazio alla vivacità della società beninese, alle iniziative per contrastare le difficoltà e al sostegno offerto da Mani Tese. Approfondimenti su acqua, microcredito e lavoro infantile. LAVORARE PER PROGETTI LAVORARE SUI PROGETTI 1 “Burkina Faso e Benin” - euro 8 (gratuito per le scuole su richiesta scritta) Un ipertesto per conoscere il contesto, focalizzare il concetto di sviluppo, analizzare l’attività di Mani Tese nella regione utilizzando la metodologia della “didattica per progetti”. 2 “Brasile” - euro 8 (gratuito per le scuole su richiesta scritta) Un ipertesto per conoscere la vivacità culturale di questo Paese Emergente, comprendere le cause delle sue stridenti contraddizioni, condividere l’impegno dei gruppi più attivi e di Mani Tese. ALTRI MATERIALI TÀ NOVI “I colori del mais”, Società, economia e risorse in Centroamerica, di Luca Martinelli, pagg.176, EMI, 2007, Euro 10 La terra delle donne e degli uomini di mais, che prova a rinascere dalle macerie degli anni Ottanta e Novanta, dalla guerra dei contras e dei marines e dal genocidio dei popoli indigeni, fa il conto con le sfide della globalizzazione. La ricchezza dei popoli del Centroamerica attraverso un lungo impegno sul territorio da parte dell’Autore e con il contributo del Centro di ricerche economiche e politiche di azione comunitaria (Ciepac), partner di Mani Tese. “Tikki e l’onda” pagg. 12 – 2005. Offerta minina di euro 3,50 Questa delicata fiaba illustrata racconta come la catastrofe avrebbe potuto essere meno distruttiva se si fosse mantenuto il contatto con la natura e mostra quanto è stato fatto da Mani Tese a fianco delle comunità indiane. RIVISTA STRUMENTICRES Quota annuale minima di 10 e per ricevere tre numeri Per richiedere le pubblicazioni: utilizzare il C/C postale n. 291278 intestato a Mani Tese, Piazzale Gambara 7/9, 20146 Milano. Scrivere in stampatello il proprio nome e indirizzo. Nella causale indicare il titolo delle pubblicazioni. Aggiungere e 3 per spese postali. Il ricavato servirà a sostenere finanziariamente le attività di Mani Tese in ambito educativo. 47