opuscolo aggiuntox

Transcript

opuscolo aggiuntox
INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO TRIBUTARIO 2014
INTERVENTO DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
Come è tradizione in queste occasioni, oltre a recare il saluto e l’augurio del Magnifico
Rettore dell’Università di Padova, vorrei svolgere alcune considerazioni su un tema che negli ultimi
anni è passato dal piano del mero dibattito dottrinale a quello dell’applicazione pratica: vale a dire,
l’invocazione nel campo del diritto tributario della tutela dei diritti umani assicurata dalla
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (di seguito Cedu)
(1).
Il punto è che, pur essendo palesemente inaccettabile una mancanza di tutela di tali diritti e
libertà in materia tributaria, la formulazione stessa delle disposizioni della Cedu comporta dei limiti
significativi - e per giunta di controversa definizione - all’applicazione di essa in tale campo (2).
In primo luogo, si può ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti
umani (di seguito Corte EdU), il “diritto a un equo processo” di cui all’art. 6 della Cedu, riferendosi
1
) Come è noto, sia la Cedu, approvata il 1° novemb re 1950 sotto l’egida del Consiglio d’Europa, sia il
Protocollo addizionale ad essa, approvato il 20 marzo 1952 (di seguito Primo Protocollo), sono stati ratificati
dall’Italia con l. 4 agosto 1955, n. 848. È altrettanto noto che, ai sensi dell’art. 6, par. 3, del vigente Trattato
sull'Unione europea, “i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri,
fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”; conviene inoltre ricordare che, secondo l’art.
52 par. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000 (la quale, ai sensi
dell’art. 6, par. 1, del Trattato sull'Unione europea ha “lo stesso valore giuridico dei trattati”), laddove
quest’ultima “contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli
conferiti dalla suddetta Convenzione”.
2
) In dottrina, sulla portata della Cedu in campo tributario, si v. tra i molti P. Adonnino, La tutela dei diritti
dell’uomo in campo fiscale, in il fisco, 1999, p. 60 ss.; P. Baker, Taxation and European Convention on
Human Rights, in British Tax Review, 2000, p. 211 ss.; M. Greggi, La rilevanza fiscale della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo: dall’interesse fiscale al principio di non discriminazione, in Riv. dir. fin., 2000, I,
p. 412 ss.; Id., Dall’interesse fiscale al principio di non discriminazione nella Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ivi, 2001, I, p. 439 ss.; Id., Human Rights as Supranational
Limits to Tax Law. A European contribute to the Mediterranean area, in Y. M. Edrey – M. Greggi, Bridging a
Sea. Constitutional and supranational limitations to taxing power of the States across the Mediterranean,
Aracne, Roma, 2010, p. 323 ss.; V. Zagrebelsky, Ambito di intervento in materia tributaria, in Aa.Vv., La
normativa tributaria nella giurisprudenza delle Corti e nella nuova legislatura, Padova, 2007, p. 325 ss.; G.
Bizioli, Il processo di integrazione dei principi tributari nel rapporto fra ordinamento costituzionale,
comunitario e diritto internazionale, Padova, 2008, p. 234 ss.; J. Malherbe – P. Daenen, La retroattività delle
norme tributarie interne e la giurisprudenza in materia fiscale della Corte di Giustizia europea. La prospettiva
belga e il contesto europeo, in Riv. dir. trib. internaz., n. 3/2009, p. 48 ss.; Lo. Del Federico, I principi della
convenzione europea dei diritti dell'uomo in materia tributaria, in Riv. dir. fin., 2010, I, p. 206 ss., spec. p. 220
ss.; Id., Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010, p. 28 ss.; L. Sabbi,
Imposizione tributaria e convenzione europea dei diritti dell’uomo, in AA.VV. (a cura di C. Sacchetto),
Principi di diritto tributario europeo e internazionale, Torino, 2011, p. 62 ss.; A. Di Pietro, Il consenso
all’imposizione e la sua legge, in Rass. Trib., 2012, p. 11 ss.; A. Marcheselli, Lo Statuto del contribuente è
rafforzato dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo: il caso delle “stock options”, in GT –
Riv. Giur. Trib., 2012, p. 869 ss.; Id., Il riconoscimento dei ''diritti fondamentali del contribuente'' nella Cedu,
nell'UE e nel diritto italiano: uno spunto da una sentenza del Consiglio di Stato francese, in Giur. It., 2012, p.
12 ss.; Id., Il giusto procedimento tributario. Principi e discipline, Padova, 2012, p. 127 ss.; S. Marchese,
Diritti fondamentali europei e diritto tributario dopo il Trattato di Lisbona, in Dir. Prat. Trib., 2012, I, p. 241 ss.,
spec. p. 288 ss.; G. Melis - A. Persiani, Trattato di Lisbona e sistemi fiscali, in Dir. Prat. Trib., 2013, I, p. 267
ss.
1
all’esame “sulle controversie sui … diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni
accusa penale”, non è applicabile alle cause in materia di tributi (3), rientrando esse esclusivamente
nell’ambito del diritto pubblico (4).
L’applicabilità dell’art. 6 è però riconosciuta quando la controversia riguardi sanzioni
amministrative tributarie il cui carattere afflittivo le renda assimilabili a quelle penali (5), ovvero il
ritardo nel rimborso di tributi o il rifiuto di essi, il risarcimento dei danni derivanti dal mancato
riconoscimento di agevolazioni fiscali, il diritto di detrazione dell’iva, o un diritto di prelazione a
favore dell’amministrazione finanziaria con funzione anti-evasiva (6) o ancora la tutela dei diritti
fondamentali
garantiti
da
specifiche
disposizioni
della
Cedu
rispetto
alle
attività
dell’amministrazione finanziaria (7), come il diritto alla libertà domiciliare compresso da indagini
3
) La versione italiana della Cedu cui faccio riferimento è quella - non ufficiale - tratta dal sito web della Corte
EdU, www.echr.coe.int. Per la dottrina, in genere critica sugli indirizzi giurisprudenziali di cui al testo, si v. tra
i molti E. Della Valle, Il giusto processo tributario. La giurisprudenza della C.edu, in Rass. Trib., 2013, p. 435
ss.; G. Melis - A. Persiani, Trattato di Lisbona e sistemi fiscali, cit., p. 283 ss.; A. Perrone, Art. 6 della Cedu,
diritti fondamentali e processo tributario: una riflessione teorica, in Riv. dir. trib., 2013, I, p. 919 ss.; L. Del
Federico, I principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in materia tributaria, in AA.VV., Studi in
onore di Enrico De Mita, Napoli, 2012, I, p. 253 ss.; S. Marchese, Diritti fondamentali europei e diritto
tributario dopo il Trattato di Lisbona, cit., p. 318 ss. e p. 328 ss.; L. Perrone, Diritto tributario e Convenzione
europea dei diritti dell’uomo, in Rass. trib., 2007, p. 675 ss.; M. Greggi, Giusto processo e diritto tributario
europeo: la prova testimoniale nell’applicazione della CEDU (il caso Jussila), in Rass. trib., 2007, p. 216 ss.;
A. Marcheselli, Giusto processo e oralità di difesa nel contenzioso tributario: note a margine di un recente
pronunciamento della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, in Dir. Prat. Trib., 2007, I, p. 333 ss.; Id., Nelle liti
sulle sanzioni fiscali non può escludersi il contraddittorio orale sulle prove, in GT - Riv. giur. trib., 2007, p.
389 ss.; A.E. La Scala, I principi del «giusto processo» tra diritto interno, comunitario e convenzionale, in
Riv. dir. trib., 2007, IV, p. 35 ss.; F. Tesauro, Giusto processo e processo tributario, in Rass. trib., 2006, p. 11
ss.; F. Gallo, Verso un “giusto processo” tributario, in Rass. trib., 2003, p. 11 ss.; A. Dorigo, Il diritto alla
ragionevole durata del giudizio tributario nella giurisprudenza recente della Corte europea dei diritti
dell’Uomo, in Rass. trib., 2003, p. 42 ss.; M. Greggi, Giusto processo e diritto tributario europeo:
applicazione e limiti del principio (il caso Ferrazzini), in Riv. dir. trib., 2002, I, p. 529 ss.; P. Baker, Should Art.
6 ECHR (civil) apply to Tax Proceedings?, in Intertax, 2001, p. 205 ss.
4
) Corte EdU, 9 dicembre 1994, Schouten e Meldrum c. Olanda; Corte EdU, 12 luglio 2001, Ferrazzini c.
Italia, per la quale “la materia fiscale rientra ancora nell’ambito delle prerogative del potere di imperio, poiché
rimane predominante la natura pubblica del rapporto tra il contribuente e la collettività”; Corte Edu, 14 luglio
2009, S.C. Ghepardul s.r.l. c.Romania; Corte EdU, 23 luglio 2009, Joubert c. Francia; per l’estensione alle
cause su dazi doganali, Corte EdU, 13 gennaio 2005, Emesa Sugar n.v. c. Olanda.
5
) Corte EdU, 24 febbraio 1994, Bendenoun c. Francia; Corte EdU, 29 agosto 1997, A.P. e altri c. Svizzera;
Corte EdU, 23 luglio 2002, Janosevic c. Svezia; Corte EdU, 23 luglio 2002, Västberga Taxi Aktiebolag e
Vulic c. Svezia; Corte EdU, 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia; Corte EdU, 12 febbraio 2010, Monedero
e al. c. Francia.
6
) Cfr. Corte EdU, 11 gennaio 2012, Beires – Corte Real c. Portogallo; Corte EdU, 25 gennaio 2011,
Nazarev e altri c. Bulgaria; Corte EdU, 22 gennaio 2009, Bulves AD c. Bulgaria; Corte EdU, 23 ottobre 1997,
National & Provincial Building Society c. Regno Unito, spec. punto 78 ss.; Corte EdU, 22 settembre 1994,
Hentrich c. Francia; Corte EdU, 26 marzo 1992, Editions Périscope c. Francia.
7
) P. es., Corte EdU, 25 novembre 2010, Lilly France c. Francia (in materia di contributi di sicurezza sociale),
ha ritenuto violata la garanzia di un equo processo di cui all’art. 6 Cedu in caso di “validation législative” di
attività amministrative viziate per sole ragioni formali. Per il rilievo che la Corte EdU ravvisa la violazione
dell’art. 6 Cedu anche se una legge interpretativa sopravvenuta “non abbia modificato il destino della
controversia, essendo la giurisprudenza già prima sfavorevole ai ricorrenti”, v. E. Balboni, Art. 111 Cost. e
giusto processo. La prospettiva costituzionalistica, in Rass. Trib., 2013, p. 333.
2
fiscali (8) o (nella prospettiva di un procedimento penale ricollegabile a queste ultime), il diritto al
silenzio (leso dall’irrogazione al contribuente di una sanzione per la mancata produzione di
documenti) o la parità delle armi (violata dal diniego dell’accesso all’intera documentazione
raccolta dall’amministrazione finanziaria) (9).
Queste distinzioni e segmentazioni della sfera di applicazione dell’art. 6, pur dimostrando che la
Corte EdU non ne dà un’interpretazione restrittiva, l’hanno esposta a serrate critiche della dottrina.
In particolare, oltre a considerare superato l’inquadramento del prelievo tributario come “nucleo
duro” del potere sovrano, si ritiene assurdo che la Corte EdU neghi in via di principio le garanzie
del “giusto processo” (per una ragionevole durata, per un’udienza orale, per la pienezza del diritto
alla prova anche testimoniale, ecc.) a causa del carattere pubblicistico del rapporto controverso, ma
le applichi quando siano in gioco le sanzioni amministrative tributarie, le quali, almeno dal punto di
vista italiano, sono oggetto del medesimo tipo di giudizio (10).
Tuttavia, l’approccio al problema seguito dalla Corte EdU mi pare più comprensibile, se si
ricorda il carattere convenzionale della fonte delle regole da essa applicate. Se infatti ci si pone,
anziché nella prospettiva del carattere universale dei diritti umani, in quella della previsione pattizia
di specifici mezzi di tutela in tale materia, affidati ad un organo giurisdizionale internazionale,
appare evidente che quest’ultimo deve interpretare le disposizioni della Cedu evitando la tentazione
di estendere le proprie funzioni in un modo suscettibile di essere contestato dagli stati aderenti, i
quali potrebbero negarne la conformità alla loro effettiva volontà. L’accusa ad uno Stato contraente
di violare i diritti dell’uomo è una giustificabile reazione del privato che veda compromessi i propri
8
) Corte EdU, 21 febbraio 2008, Ravon e altri c. Francia; Corte EdU, 18 settembre 2008, Kandler e altri c.
Francia; Corte EdU, 20 novembre 2008, Società IFB c. Francia; Corte EdU, 16 ottobre 2008, Maschino c.
Francia. In dottrina si v. S. Muleo, L’applicazione dell’art. 6 della Cedu anche all’istruttoria tributaria a seguito
della sentenza del 21 febbraio 2008 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Ravon e altri c.
Francia e le ricadute sullo schema processuale vigente, in Riv. dir. trib., 2008, IV, p. 181 ss.; Id., La Corte
europea dei diritti dell’uomo «apre» alle questioni tributarie in tema di sindacabilità giurisdizionale delle
indagini domiciliari, in Dialoghi trib., 2009, p. 381 ss.; L. Del Federico, La rilevanza dei principi della CEDU in
materia tributaria: ricadute e percorsi interpretativi, in Dialoghi trib., 2009, p. 385 ss.; A. Marcheselli, Accessi,
verifiche fiscali e giusto processo: una importante sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in GT Riv. giur. trib., 2008, 746 ss.; S. Marchese, Diritti fondamentali europei e diritto tributario dopo il Trattato di
Lisbona, cit., p. 493 ss.
9
) Corte EdU, 5 aprile 2012, Chambaz c. Svizzera, sulla quale v. E. Della Valle, Il giusto processo tributario,
cit.; F. Perego, Diritto al silenzio e alla parità delle armi, un’ulteriore evoluzione nella tutela del contribuente,
in Dir. Prat. Trib. internaz., 2013, p. 1005 ss.; F. Marullo di Condojanni, "Nemo tenetur se detegere":
possibili ripercussioni della recente giurisprudenza Cedu sul sistema tributario (nota a Corte europea diritti
uomo, sez. V, 5 luglio 2012 n. 11663/04), in Riv. dir. trib., 2013, II, p. 26 ss.
10
) Rinviando alle citazioni di cui alla nota 3, si ricorda qui, per tutti, L. Perrone, Diritto tributario e
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 684, nel senso che “l'accertamento di un'obbligazione
d'imposta, l'irrogazione di una sanzione, il riconoscimento di un regime fiscale agevolato sono il frutto
dell'esercizio di un'unica potestà impositiva e la tutela giurisdizionale accordata al contribuente (con tutto ciò
che consegue sul piano del diritto ad un giusto processo) non può essere evidentemente condizionata dal
quid controverso”.
3
interessi da regole a suo avviso vessatorie e si è rivelata un efficace strumento nelle mani dei più
abili difensori, ma uno Stato attento al proprio prestigio internazionale dovrebbe anzi tutto
verificarla con cura e, se la trovi inconfutabile, rimediare sul piano interno, ma altrimenti reagire
con una strenua difesa, tanto più se una decisione sfavorevole possa avere per conseguenza non solo
una modesta riparazione pecuniaria, ma il riconoscimento della contrarietà alla Cedu di una certa
disciplina.
Inoltre, assumendo che gli Stati contraenti abbiano voluto determinare la sfera di
applicazione delle specifiche garanzie previste dalla Cedu, non appare a mio avviso irragionevole
che l’art. 6 “copra” solo parzialmente l’area delle controversie tributarie: si tratta in effetti della
portata di alcuni strumenti di tutela dei “diritti umani”, non del riconoscimento in sé di questi ultimi.
Tale riconoscimento deve essere comunque assicurato dalle norme costituzionali e, nei limiti in cui
sono applicabili, da quelle dell’Unione europea, anche laddove recepiscono le regole della Cedu “in
quanto principi generali” (11).
Questa attenzione della Corte EdU a mantenere i propri interventi nei limiti segnati dalle
singole norme della Cedu, ma interpretandole secondo la logica loro propria, emerge anche dalla
giurisprudenza riguardante l’altra garanzia più frequentemente invocata in materia tributaria, cioè il
diritto di “ogni persona fisica o giuridica … al rispetto dei suoi beni”, tutelato dall’art. 1 del primo
Protocollo addizionale (12). Tale regola opera infatti anche laddove una lesione siffatta dipenda da
11
) Come ricordato supra, nota 1. Pertanto, la Corte di Giustizia UE può sindacare la compatibilità di una
normativa nazionale anche con la Cedu e fornire al giudice rimettente gli elementi di interpretazione relativi
ad essa, purché la materia rientri nell’ambito del diritto dell’Unione (cfr. Corte di Giustizia, Sent. 5 ottobre
2010, C-400/10, PPU, J. Mc B.; Corte di Giustizia, Ord. 12 novembre 2010, C-339/10, Krasimir e a.; S.
Marchese, Diritti fondamentali europei e diritto tributario, cit., p. 255 s., p. 277 ss.). P. es., Corte di Giustizia
UE, Sent. 29 marzo 2012, C-500/10, Belvedere Costruzioni Srl, nel valutare la compatibilità con
l’ordinamento comunitario della definizione delle liti tributarie ultradecennali prevista dall’art. 3, comma 2-bis,
d.l. 25 marzo 2010, n. 40, ne ha affermato la coerenza con l’art. 6 Cedu, sotto l’aspetto della ragionevole
durata del processo: si v. M. Giusy de Flora, Definizione delle liti ultradecennali e giusto processo nella Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e nella CEDU, in Dir. Prat. Trib. Internaz., 2012, p. 1188 ss.
12
) Il primo Protocollo, all’art. 1, stabilisce nel testo inglese che “Every natural or legal person is entitled to
the peaceful enjoyment of his possessions. No one shall be deprived of his possessions except in the public
interest and subject to the conditions provided for by law and by the general principles of international law.
The preceding provisions shall not, however, in any way impair the right of a State to enforce such laws as it
deems necessary to control the use of property in accordance with the general interest or to secure the
payment of taxes or other contributions or penalties”.
Il testo francese è: “Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être
privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les
principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur
les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou
pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes.”
4
una norma tributaria, ma a protezione non genericamente del “patrimonio” o della proprietà, bensì
di situazioni riconoscibili come “beni” ai sensi dell’art. 1 del primo Protocollo (13). La Corte
compie pertanto, in base ad un concetto costruito in modo autonomo da quelli di diritto interno, un
sindacato peculiare, “ab extrinseco”, diverso da quello fondato, p. es., sul principio di capacità
contributiva o su un più generale vaglio di coerenza interna della tassazione: tale controllo,
riguardando casi concreti di violazione di diritti e libertà, può risolversi nella censura tanto di norme
nazionali, quanto di comportamenti pratici contro i quali il soggetto leso non sia riuscito ad avere
tutela sul piano interno (14).
Scendendo più in dettaglio: secondo la Corte EdU, l’imposizione fiscale è, in linea di principio,
un’ingerenza del potere pubblico nei diritti garantiti dall’art. 1 del primo Protocollo, giustificabile in
conformità al secondo paragrafo di esso, laddove prevede espressamente un’eccezione a tale
garanzia in funzione del pagamento dei tributi; detta ingerenza deve però rispettare “un giusto
equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia
dei diritti fondamentali dell'individuo”, che implica in particolare una proporzionalità tra fini
perseguiti e mezzi utilizzati; la Corte, nel verificare la sussistenza di tali requisiti, riconosce
un’ampia discrezionalità agli Stati, essendo questi in posizione migliore di essa per valutare le
ragioni politiche, economiche e sociali alla base delle scelte in materia tributaria, e rispetta tali
scelte, purché non manchino di un ragionevole fondamento e non impongano al soggetto passivo un
carico eccessivo, ovvero compromettano la sua situazione finanziaria (15).
Detto art. 1, quindi, riconosce ad “ogni persona fisica o giuridica” (quindi non si tratta di un diritto
esclusivamente “umano”) il “diritto al rispetto dei suoi beni”; al secondo periodo del primo paragrafo,
stabilisce che “nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle
condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”; al secondo paragrafo,
assicura il “diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie … per assicurare il
pagamento delle imposte…”.
13
) I testi ufficiali della Cedu in inglese e francese parlano di “possessions” e “biens”, concetti più ampi della
“proprietà” (alla quale spesso, comunque, la stessa Corte EdU si riferisce); d’altronde, la tutela dalla
privazione della proprietà è specificamente prevista nel secondo periodo. Questa limitazione del sindacato
della Corte EdU alla tutela di “beni” riconducibili all’art. 1 mi pare superi la censura di incoerenza mossa alla
giurisprudenza della medesima in quanto considera inapplicabile la Cedu alle regole tributarie processuali,
ma la applicherebbe a quelle sostanziali (ciò appare “incomprensibile” ad A. Marcheselli, La (in)dipendenza
del giudice tributario italiano nella lente della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, in
Dir. Prat. Trib., 2013, I, p. 389 s.)
14
) P. es. Corte EdU, 16 marzo 2010, Di Belmonte c. Italia, ha ritenuto costituire violazione dell’art. 1 del
Primo Protocollo non già la scelta del legislatore italiano di tassare retroattivamente le indennità di esproprio,
ex l. n. 413/1991, ma il fatto che nel caso di specie la pubblica amministrazione espropriante avesse
illegittimamente ritardato il pagamento dell’indennizzo così a lungo da rendere applicabile ad esso quel
prelievo sopravvenuto, con il risultato di decurtare l’indennità incassata al punto da rompere il “giusto
equilibrio” tra esigenze della comunità e tutela dei diritti fondamentali dell'individuo.
15
) Cfr. Corte EdU, 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society c. Regno Unito; Corte EdU, 16
marzo 2010, Di Belmonte c. Italia; Corte EdU, 3 Giugno 2004, Di Belmonte c. Italia; Corte EdU, 13 gennaio
5
Dunque, la Corte EdU mantiene un approccio prudente e casistico al problema dell’applicazione
della Cedu in campo tributario, ma esercita un sindacato effettivo laddove ne rilevi i presupposti.
Essa ha ravvisato la presenza dei “beni” tutelati dall‘art. 1 del primo Protocollo in caso di
disconoscimento di agevolazioni fiscali, di ritardo o rifiuto riguardo ad un rimborso di imposte (16),
di contestazione del diritto di detrazione dell’iva (17), di un diritto di prelazione a favore
dell’amministrazione finanziaria (18), ovvero se il prelievo abbia ridotto un’indennità, di buonuscita
(19) o di espropriazione (20), spettante al soggetto passivo. In dottrina, si è potuto ricavare da queste
pronunce un principio di “giusto bilanciamento” degli interessi pubblici e privati, da applicare però
riconoscendo agli Stati un “ampio margine di apprezzamento”, il confine del quale sono le scelte
irragionevoli, tali da comportare per il soggetto passivo un onere eccessivo o recare un sostanziale
danno alla sua situazione finanziaria; non si è ritenuto invece possibile trarne, p. es., un criterio
quantitativo per determinare la soglia oltre la quale il prelievo diventa “confiscatorio” (21).
Tuttavia, per certe situazioni tipiche in cui appare leso il diritto al “rispetto dei beni” la
giurisprudenza della Corte EdU ha sviluppato criteri di sindacato più precisi.
2004, Orion-Breclav, S.R.O. c. Rep. Ceca; Corte europea dei diritti dell’Uomo, 16 settembre 2003, Baláž c.
Slovacchia; Corte EdU, 3 luglio 2003, Buffalo Srl c. Italia; Corte EdU, 23 Febbraio 1995, Gasus Dsier e
Fördertechnik Gmbh c. Paesi Bassi, serie A n. 306-B; Corte EdU, 7 luglio 1989, Tre Traktörer AB c. Svezia;
nonché Commissione Eur. Dir. Uomo, 26 febbraio 1997, Ferretti c. Italia.
16
) Cfr. Corte EdU, 11 gennaio 2012, Beires – Corte Real c. Portogallo; Corte EdU, 22 luglio 2003, Cabinet Diot e SA Gras Savoye c. Francia; Corte EdU, 3 luglio 2003, Buffalo c. Italia; Corte EdU, 16 aprile 2002,
Dangeville c. Francia; Corte EdU, 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society c. Regno Unito.
17
) Corte EdU, 25 gennaio 2011, Nazarev e altri c. Bulgaria; Corte EdU, 22 gennaio 2009, Bulves AD c.
Bulgaria
18
) Con funzione deterrente rispetto alla dichiarazione, per cessioni di immobili, di prezzi troppo bassi rispetto
ai valori di mercato: cfr. Corte EdU, 22 settembre 1994, Hentrich c. Francia.
19
) Cfr. Corte EdU, 14 maggio 2013, N.K.M. c. Ungheria, ove si è ritenuta rientrare tra i “beni” tutelati la
legittima aspettativa di determinati funzionari pubblici ad ottenere una indennità di fine rapporto nella misura
prevista dalla legge, ancorché la somma tassata non fosse stata effettivamente posseduta, in quanto una
legge di poco sopravvenuta alla maturazione del diritto all’indennità l’aveva sottoposta ad un prelievo alla
fonte, con aliquota media del 52% e massima del 98%: tale prelievo, secondo la Corte EdU, non era
ragionevolmente proporzionato agli scopi perseguiti, in quanto l’indennità non era semplicemente una
risorsa pecuniaria, ma aveva una funzione sociale per consentire ai lavoratori licenziati di rimanere nel modo
del lavoro, sicché il soggetto passivo aveva subito una sostanziale privazione di reddito in un periodo di
rilevanti difficoltà personali come quello della disoccupazione, e la misura del tributo - senza affrontare la
questione se fosse in astratto confiscatoria – era molto superiore a quelle applicabili agli altri tipi di reddito,
senza che ciò fosse giustificato da un legittimo pubblico interesse. Si v. anche Corte EdU, 25 giugno 2013,
Gáll c. Ungheria; Corte EdU, 2 luglio 2013, R.Sz. c. Ungheria.
20
) Cfr. Corte EdU, 16 marzo 2010, Di Belmonte c. Italia, che, come si è detto, non ha ritenuto contraria
all’art. 1 del Primo Protocollo la scelta di tassare retroattivamente le plusvalenze da esproprio; Corte EdU, 1
aprile 2008, Gigli Costruzioni c. Italia, ove la Corte dichiara di non esprimersi sull’illegalità di un’imposta del
20% sull’indennità di esproprio, ma di prenderla in considerazione come elemento di valutazione del caso;
Corte EdU, 29 marzo 2006, Scordino (I) c. Italia.
21
) Si v. M. Poggioli, Indicatori di forza economica e prelievo confiscatorio, Padova, 2013, p. 174 ss. Secondo
S. Dorigo, Il limite massimo dell’imposizione nel diritto internazionale e dell’Unione europea ed i suoi effetti
nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. trib., 2011, I, spec. p. 64 ss., si potrebbe invece individuare un limite
all’imposizione, indicativamente riferito al 50% del reddito.
6
In primo luogo, considerando il principio di certezza del diritto insito in quello di legalità ed
inerente a tutti gli articoli della Convenzione, la Corte EdU ha desunto dall’art. 1 del primo
Protocollo, laddove si riferisce alle “condizioni previste dalla legge”, una riserva di legge “in senso
sostanziale”, cioè la necessità di una “legge di qualità sufficiente a consentire al ricorrente di
prevedere le conseguenze della sua condotta”: il principio del “rispetto dei beni” è dunque violato,
se la disciplina è ambigua o contraddittoria, o sopravvengono interpretazioni amministrative o
giurisprudenziali imprevedibili in base alla disciplina od agli indirizzi precedenti (22), o una nuova
norma pretende di travolgere la cosa giudicata (23).
In secondo luogo, rispetto al problema delle norme tributarie retroattive (24), la Corte EdU
ha desunto dalla necessità di un “giusto equilibrio” tra esigenze della comunità e diritto al rispetto
dei beni un’interpretazione dell’art. 1 del primo Protocollo per cui non è vietata la retroattività in sé,
ma quella che comporti conseguenze irragionevolmente lesive di tale diritto (25). Il “giusto
equilibrio” si è ritenuto mancare non solo quando una legge pretenda di modificare dei rapporti
22
) Tuttavia, in campo fiscale la Corte richiede alle società una particolare diligenza nell’informarsi sui propri
obblighi, anche rivolgendosi a consulenti: cfr. Corte EdU, 20 settembre 2011, OAO Neftyanaya Kompaniya
Yukos c. Russia, spec. punti 559 ss. e 588 ss.; Corte EdU, 7 luglio 2011, Serkov c. Ucraina; Corte EdU, 14
ottobre 2010, Shchokin c. Ucraina; Corte EdU, 9 novembre 1999, Špaček, s.r.o., c. Repubblica Ceca; Corte
EdU, 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society c. Regno Unito; in dottrina, cfr. G. Bizioli, Il
processo di integrazione dei principi tributari, cit., p. 232 ss.; S. Marchese, Diritti fondamentali europei e
diritto tributario dopo il trattato di Lisbona, cit., p. 295; A. Marcheselli, Lo Statuto del contribuente è rafforzato
dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, cit., p. 869 ss.; Id., Il giusto procedimento
tributario, cit., p. 131 s.; B. Peeters, European Supervision on the Use of Vague and Undetermined Concepts
in Tax Laws, in Ec Tax Rev. 2013/3, p.112 ss.
23
) Secondo la Corte EdU, una legge che pretenda di travolgere sentenze già passate in giudicato viola sia il
diritto ad un giusto processo di cui all’art. 6 della Convenzione, sia il “diritto al rispetto dei beni” di cui all’art. 1
del Primo Protocollo: cfr. Corte EdU, 7 luglio 1989, Stere e a. c. Romania; Corte EdU, 27 settembre 2011,
Agurdino s.r.l. c. Moldova. Per converso, Corte EdU, 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society
c. Regno Unito, ha ritenuto ragionevole che l’applicazione retroattiva di una nuova disciplina fosse esclusa
solo per chi avesse già ottenuto una sentenza definitiva favorevole, mentre doveva subirla chi, pur essendo
in una posizione sostanziale analoga, non potesse opporre un giudicato.
24
) Secondo Corte Cost., 28 novembre 2012, n. 264, l’impostazione della Corte EdU è “sostanzialmente
coincidente con i principi” da essa enunciati, nel senso che la retroattività deve trovare “adeguata
giustificazione nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale”, corrispondente ai
“motivi imperativi di interesse generale” di cui parla la giurisprudenza della Corte EdU; Corte Cost., 28
novembre 2013, n. 170, ribadendo che i principi da essa fissati sono “del tutto affini” a quelli sviluppati dalla
Corte EdU, “considera vincolanti anche per l’ordinamento italiano” le affermazioni generali contenute in
alcune sentenze non direttamente rivolte all’Italia.
25
) P. es., Corte EdU, 10 giugno 2003, M.A. e altri c. Finlandia, ha considerato giustificata la retroattività
dall’esigenza di non consentire operazioni elusive in relazione alla tassazione delle stock options; Corte
EdU, 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society c. Regno Unito, ha ritenuto che potesse
applicarsi retroattivamente una norma chiarificatrice di una nuova disciplina, rispetto ad una prima versione
formulata malamente, vista l’impellenza del pubblico interesse ad evitare che dei contribuenti approfittassero
di un salto di imposta a causa di un mutamento del regime di tassazione, e vista la mancanza di “effetto
sorpresa”, essendo chiaramente emersa dal dibattito parlamentare la volontà di eliminare quell’incertezza
normativa; Corte EdU, 16 marzo 2010, Di Belmonte c. Italia. In dottrina, cfr. V. Mastroiacovo, I limiti alla
retroattività nel diritto tributario, Milano, 2005, p. 225 ss.; P. Baker, Retroactive Tax Legislation and the
European Convention on Human Rights, in British Tax Review, 2005, p. 1 ss.; G. T. Loomer, Taxing out of
time: Parliamentary Supremacy and Retroactive Tax Legislation, ivi, 2006, p. 78 ss.
7
giuridici rispetto a quanto stabilito da sentenze passate in giudicato (26), ma pure quando incida su
processi pendenti sanando i vizi di atti amministrativi, al solo fine di proteggere l’interesse
finanziario dello Stato (27).
Peraltro, anche le conseguenze del riconoscimento di una violazione della Cedu da parte
della Corte EdU sono di per sé autonome dalla disciplina interna: ai sensi dell’art. 1 “le Alte Parti
contraenti riconoscono a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati
nel Titolo primo della presente Convenzione”, ma l’art. 41 precisa che se “la Corte dichiara che vi è
stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte
contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione,
la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa”. Secondo la Corte EdU, lo Stato
convenuto ha l’obbligo giuridico di porre termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze,
onde ristabilire nei limiti del possibile la situazione anteriore: essa pertanto individua le modalità
per tale restitutio in integrum, e se necessario per risarcire i danni materiali e morali, ma ciò può
risolversi p. es., secondo le circostanze del caso concreto, nel dovere di rimborsare al soggetto leso
il tributo con gli interessi ed accessori, ovvero nella semplice soddisfazione di veder riconosciuto il
torto subito (28).
Ma che cosa deve fare il giudice nazionale laddove rilevi un contrasto tra disciplina interna e
regole Cedu ? L’art. 13 Cedu riconosce il “diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza
nazionale” in caso di violazione dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Convenzione e l’art. 35
Cedu, consente di adire la Corte Edu solo quando tali rimedi interni siano esauriti. Dovendo dunque
le regole della Cedu essere applicate anzitutto dai giudici degli Stati contraenti, dal punto di vista
26
) Cfr. Corte EdU, 7 luglio 1989, Stere e a. c. Romania, relativa all’annullamento di una sentenza passata in
giudicato che aveva stabilito il diritto del ricorrente ad un pagamento da parte dello Stato.
27
) Cfr. Corte EdU, 23 luglio 2009, Joubert c. Francia, relativa ad una legge per la quale si dovevano
considerare regolari, salve le sentenze passate in giudicato, alcuni controlli fiscali che sarebbero stati viziati
da incompetenza per materia o per territorio degli organi procedenti in base alla disciplina applicabile al
tempo del loro svolgimento, ma erano conformi alle regole fissate successivamente: secondo la Corte, la
legittima aspettativa dei ricorrenti di ottenere una sentenza favorevole era un “bene”, di cui erano stati privati
senza una giustificazione di interesse generale diversa dall’interesse finanziario dello Stato.
28
) Cfr. p. es., Corte EdU, 16 marzo 2010, Di Belmonte c. Italia, la quale, in seguito alla violazione del diritto
ad un’equa indennità di esproprio causata da una tassazione retroattiva che non sarebbe stata applicata se
l’indennizzo fosse stato pagato tempestivamente, “deliberando in equità” ha ritenuto “ragionevole” accordare
all’espropriato una somma corrispondente al tributo versato, attualizzata per compensare gli effetti
dell’inflazione ed accompagnata da interessi tali da compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo
trascorso, più 3.000 € come “adeguata riparazione” del danno morale dovuto alla “sensazione di impotenza
e di frustrazione di fronte al ritardo nel versamento dell’indennità di espropriazione, raddoppiata dalla entrata
in vigore e dall’applicazione a suo danno della legge nº 413 del 1991”. D’altra parte, a fronte della contrarietà
alla Cedu di sanatorie legali di vizi procedimentali dell’attività accertativa, Corte EdU, 23 luglio 2009, Joubert
c. Francia e Corte EdU, 25 novembre 2010, Lilly France c. Francia hanno considerato sufficiente il
riconoscimento stesso di tale violazione come soddisfazione del pregiudizio morale subito dai contribuenti,
escludendo la restituzione dei prelievi subiti, in quanto non risultavano indebiti sul piano sostanziale.
8
delle commissioni tributarie la questione è assai più concreta di quanto sarebbe se tutto si limitasse
ai giudizi svolti a Strasburgo (29).
Orbene, è pacifico che, se i criteri ermeneutici lo consentono, le disposizioni interne devono
essere interpretate in modo da evitare contrasti con la Cedu; altrimenti, secondo l’opinione
prevalente, solo quando la materia rientri negli ambiti di operatività del diritto dell’Unione Europea
(del quale, come si è detto, quei diritti fondamentali fanno parte “in quanto principi generali”) le
regole interne confliggenti potranno essere disapplicate (30).
Al di fuori della sfera di applicazione del diritto dell’Unione Europea, vale il principio per
cui le norme italiane contrarie ad obblighi internazionali sono costituzionalmente illegittime ex art.
117 Cost.: pertanto, secondo la Corte Costituzionale, se il contrasto non sia risolvibile mediante
l’interpretazione conforme, il giudice deve sollevare la questione davanti alla medesima (31).
Tuttavia, la Corte Costituzionale ritiene altresì che le decisioni della Corte EdU non siano
“incondizionatamente vincolanti ai fini del controllo di costituzionalità delle leggi” italiane, perché
le regole della Cedu valgono come “norme costituzionalmente interposte”, delle quali deve essere
verificata la conformità alla Costituzione, tenendo conto del “necessario bilanciamento con altri
interessi costituzionalmente protetti, cioè con altre norme costituzionali, che a loro volta
29
) Per un esempio recentissimo, basti ricordare l’ordinanza della sezione tributaria della Cassazione la
quale ha rimesso alle Sezioni Unite la questione della nullità di una sentenza motivata con la riproduzione
integrale delle controdeduzioni dell'Ufficio tributario, ricordando sia la giurisprudenza della Corte di
Strasburgo relativa alla motivazione, sia quella per cui non sono applicabili al processo tributario i principi del
giusto processo di cui all'art. 6 Cedu (Cass., sez. V, Ordin. 9 dicembre 2013/27 gennaio 2014, n. 1531,
spec. par. 8).
30
) Cfr. per tutti Lo. Del Federico, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, cit., p. 29; E.
Della Valle, Il giusto processo tributario, cit., p. 437 s. Secondo un’opinione minoritaria, le norme interne che
prevedano una tutela inferiore a quella risultante dalla Cedu (e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea) andrebbero disapplicate anche se la questione non rientra nelle materie di competenza dell’UE,
per evitare una discriminazione “a rovescio” ritenuta contraria all’art. 3 Cost. ed all’obbligo per gli Stati
membri di rispettare i diritti fondamentali: cfr., con varie argomentazioni, G. Ingrao, Dalle teorie moniste e
dualiste all’integrazione dei valori nei rapporti tra diritto interno e comunitario alla luce del trattato di Lisbona,
in Riv. dir. trib., 2010, I, p. 240 ss.; A. Marcheselli, Lo Statuto del contribuente è rafforzato dalla Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, cit., p. 869 ss.; Id., Il riconoscimento dei ''diritti fondamentali del
contribuente'' nella Cedu, nell'UE e nel diritto italiano, cit., p. 12 ss.
31
) Cfr. Corte Cost., Sent. 24 ottobre 2007, n. 348; Corte Cost., Sent. 24 ottobre 2007, n. 349; Corte Cost.,
Sent. 27 febbraio 2008, n. 39; Corte Cost., Sent. 16 aprile 2008, n. 129; Corte cost., Sent. 24 luglio 2009, n.
239; Corte Cost., Sent. 16 novembre 2009, n. 311; Corte Cost., Sent. 4 dicembre 2009, n. 317; Corte Cost.,
Sent. 12 marzo 2010, n. 93; Corte Cost., Sent. 26 maggio 2010, n. 196; Corte Cost., Sent. 24 giugno 2010,
n. 227; Corte Cost., Sent. 11 marzo 2011, n. 80, che ha riaffermato la validità di tale ricostruzione anche
dopo le modifiche recate dal Trattato di Lisbona, non essendo ancora avvenuta l’adesione della UE alla
Cedu; Corte Cost., Sent. 7 aprile 2011, n. 113; Corte Cost., Sent. 19 luglio 2011, n. 236; Corte Cost., Sent. 2
aprile 2012, n. 78; Corte Cost., Sent. 28 novembre 2012, n. 264; Corte Cost., Sent. 28 novembre 2013, n.
170. In dottrina, v. per tutti S. Marchese, Diritti fondamentali europei e diritto tributario, cit., p. 255 s.; G. Melis
- A. Persiani, Trattato di lisbona e sistemi fiscali, cit., p. 270 ss.
9
garantiscano diritti fondamentali che potrebbero essere incisi dall’espansione di una singola tutela”
(32).
Questa soluzione, pur comportando comunque per le commissioni tributarie un esame della
possibilità di un’interpretazione conforme, prima di sollevare la questione di legittimità
costituzionale, assicura almeno un controllo accentrato, tale da meglio soddisfare le esigenze, da un
lato, di certezza del diritto, dall’altro, di adeguata ponderazione degli “altri interessi
costituzionalmente protetti”.
Roberto Schiavolin
32
) Cfr. Corte Cost., n. 264/2012, la quale osserva che la Corte EdU “è tenuta a tutelare in modo
parcellizzato, con riferimento a singoli diritti, i diversi valori in giuoco”, mentre la “tutela dei diritti fondamentali
deve essere sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra
loro”: perciò, “la norma CEDU, nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell’art. 117 Cost., come
norma interposta, diviene oggetto di bilanciamento”.
10
INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO TRIBUTARIO 2014
INTERVENTO DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI VERONA
La recente modifica della disciplina sul monitoraggio.
Anzitutto porto alle Autorità ed a tutti i presenti il saluto del Magnifico Rettore dell’Università degli
Studi di Verona, cui unisco il mio personale, assieme al ringraziamento per l’invito a partecipare a questa
cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario tributario.
Poiché è buona prassi che in questa occasione celebrativa si affrontino, ancorché brevemente, questioni
che attengono a problematiche con le quali noi operatori ci confrontiamo, quest’anno ho ritenuto di
soffermare l’attenzione su un recente intervento normativo (quello concernente la disciplina del c.d.
monitoraggio fiscale), per così dire, eterodiretto, e che mi pare emblematico di come il nostro legislatore
tributario sia talvolta più attendo alle esigenze di repressione e a quelle di garanzia del gettito che ai principi
che presiedono al sistema e di come questo modus legiferandi finisca poi con il chiedere ai giudici una
particolare attenzione nell’applicare ed interpretare le disposizioni.
La disciplina sul c.d. monitoraggio fiscale, introdotta dal decreto legge 28 giugno 1990, n.
167, (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni)
ha subito un nuovo consistente rimaneggiamento
con l’art. 9 della L. n. 97/2013 recante
“Disposizioni in materia di monitoraggio fiscale. Caso EU Pilot 1711/11/TAXU”, il quale ha
sostituito gli articoli 1, 2, 4, 5 e 6 del citato D.L. n. 167.
L’occasione per rivedere la disciplina è data dalla necessità di evitare l’avvio della procedura
d’infrazione ex art. 258 del TFUE da parte della Commissione europea, la quale ha contestato
all’Italia, tra l’altro, la ragionevolezza della previsione dell’obbligo di indicare nella dichiarazione
dei redditi i trasferimenti da, verso e sull’estero effettuati senza il ricorso a intermediari abilitati e la
discriminatorietà delle relative sanzioni. In risposta alle suddette istanze, il legislatore,
evidentemente ritenendo non giustificabili le disposizioni contestate, ha da una parte abrogato
l’obbligo di indicare in dichiarazione i trasferimenti da, verso e sull’estero (Modulo RW, Sezioni I e
III), mantenendo solo quello concernente le consistenze estere; dall’altra, ha ridotto la sanzione per
la violazione del relativo obbligo dichiarativo, fissandone la misura rispettivamente dal 3 al 15 per
cento o dal 6 al 30 a seconda che l’attività finanziaria o patrimoniale sia detenuta o no in un Paese
white list, ed ha altresì eliminato la previsione della confisca per equivalente.
L’intervento legislativo, per così dire etero-indotto, è andato ben oltre.
11
Quasi a fronte di queste modifiche volte a rendere “ragionevole” e non discriminatoria la
disciplina, l’ambito di applicazione del monitoraggio è stato non di poco ampliato sotto il profilo
sia oggettivo sia soggettivo. Segnatamente l’obbligo dichiarativo è stato esteso, per un verso, agli
investimenti esteri e alle attività finanziarie estere comunque suscettibili di produrre redditi
imponibili in Italia, di qualunque importo (anche inferiore ad euro 10.000) e posseduti nel corso del
periodo d’imposta (e non soltanto al 31 dicembre); per altro verso, a coloro che sono considerati
“titolari effettivi” secondo la normativa antiriciclaggio (art. 1, co. 2, lett. u e allegato tecnico del
decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231).
Ulteriori modifiche hanno poi interessato e il profilo del potenziamento dei controlli - con
l’attribuzione all’Agenzia e alla Guardia di finanza del potere di chiedere agli intermediari i dati e le
notizie relative a operazioni finanziarie con l’estero, da chiunque poste in essere – e quello della
riscossione. A quest’ultimo riguardo l’obbligo degli intermediari residenti di assoggettare a ritenuta
o ad imposta sostitutiva i redditi derivanti dagli investimenti esteri e dalle attività estere di natura
finanziaria è stato esteso a “tutti i casi in cui l’intermediario sia utilizzato come veicolo per
l’accredito in Italia di flussi provenienti dall’estero” (così la Circolare), a prescindere da un formale
incarico all’incasso degli stessi e dall’esistenza di un rapporto di gestione, custodia o
amministrazione.
Da questa rapida (e in quanto tale non del tutto completa) sintesi si ricava l’impressione che il
legislatore nazionale abbia colto l’occasione dell’adeguamento alla normativa comunitaria per introdurre
significative novità, le quali non solo rispondono solo parzialmente alle istanze provenienti dall’Unione
europea (risultanti dagli atti allegati al testo discusso alla Camera) ma sono foriere di ulteriori questioni di
conformità a quell’ordinamento; ed in ogni caso sembrano nel loro complesso volte a garantire gli “interessi”
erariali più che a rendere ragionevole la disciplina e “proporzionale” l’onere dichiarativo.
Segnatamente, l’ampliamento dell’ambito di applicazione della disciplina ed in particolare la
previsione dell’obbligo di dichiarare gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria
suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia detenuti “nel periodo d’imposta” autorizza a ipotizzare che
il legislatore nazionale abbia implicitamente ritenuto ragionevole – pur in presenza di strumenti meno
onerosi per i contribuenti (quali lo scambio di informazioni e l’assistenza reciproca in materia fiscale) –
l’onere di dichiarare il capitale (finanziario, immobiliare e mobiliare) e le attività detenuti in un altro Stato
dell’UE o dello Spazio economico europeo (SEE).
A dire il vero qualche dubbio sull’effettiva conformità di tale obbligo ai principi comunitari potrebbe
rimanere e finanche rafforzarsi alla luce dell’interpretazione datane dall’Agenzia delle Entrate.
12
Invero, con Provvedimento del Direttore del 18 dicembre 2013 è stato precisato che “nel modulo RW
vanno indicate le consistenze degli investimenti e delle attività valorizzate all’inizio di ciascun periodo
d’imposta (ovvero al primo giorno di detenzione) e al termine dello stesso (ovvero al termine del periodo di
detenzione nello stesso), nonché il periodo di possesso delle attività. Per l’individuazione del valore delle
attività finanziarie si deve fare riferimento ai criteri utilizzati per la determinazione della base imponibile
dell’Ivafe, anche se non dovuta”. Con la successiva Circolare n. 38/E del 2013 è stato poi chiarito che “Nel
caso in cui siano cedute attività finanziarie appartenenti alla stessa categoria, acquistate a prezzi e in tempi
diversi, per stabilire quale delle attività finanziarie è detenuta nel periodo di riferimento, il metodo che deve
essere utilizzato è il cosiddetto Lifo e, pertanto, si considerano ceduti per primi quelli acquisiti in data più
recente”. La prospettata interpretazione potrebbe, dunque, comportare la compilazione di una riga del
modulo RW per ogni titolo o addirittura per ogni operazione di acquisto/sottoscrizione e vendita/rimborso
dello stesso titolo, oltre che una riga per la giacenza iniziale e una per quella finale. Il risultato sarebbe quello
di rendere assai oneroso l’adempimento dell’obbligo per quanti detengono - senza il tramite di intermediari
italiani - attività finanziarie all’estero oggetto di molteplici operazioni di acquisto/vendita nel periodo di
riferimento e discriminatoria la disciplina (già per es. rispetto a soggetti che possiedono redditi derivanti da
attività e investimenti effettuati e detenuti esclusivamente in Italia) anche in considerazione delle
conseguenze sanzionatorie amministrative connesse all’ipotesi di violazione di detto obbligo dichiarativo.
L’interpretazione dell’Agenzia dei criteri per l’individuazione del valore delle attività finanziarie id est
di quelli utilizzati per la determinazione della base imponibile dell’Ivafe tuttavia non convince affatto.
Secondo la Commissione la base imponibile dell’Ivafe – data ex art. 19, co. 20, del D.L. 201/2011 dal
valore delle attività finanziarie “rilevato al termine di ciascun anno solare” - deve coincidere con quella
dell’imposta di bollo sulle comunicazioni periodiche degli intermediari italiani ossia con il valore dei
prodotti finanziari ivi indicato e rapportato al periodo rendicontato. Pertanto l’indicazione, per così dire
analitica, del periodo di possesso di ciascuna attività chiesta dall’Agenzia sembra priva di fondamento sia per
l’Ivafe sia nella compilazione del modulo Rw.
In sintesi delle due l’una: o l’interpretazione prospettata dall’Agenzia è corretta, con la conseguenza
che la novella è per il contribuente ancora più gravosa e dunque meno ragionevole della precedente
disciplina; o al fine di ottemperare all’obbligo dichiarativo non è necessario indicare il periodo di detenzione
di ciascun prodotto, e allora si ripropongono gli stessi dubbi di compatibilità sollevati dalla Commissione. In
proposito occorre ricordare che quando si liberalizzava la circolazione dei capitali (Direttiva n. 88/361/CEE)
e si prevedeva il diritto degli Stati membri di adottare le misure indispensabili per impedire le infrazioni alle
leggi e ai regolamenti interni, specialmente in materia fiscale, i trattati sullo scambio d’informazioni non
erano ancora proliferati. Pertanto, ciò che poteva apparire proporzionale allora, forse lo è meno adesso.
Ulteriormente gravosa per il contribuente, e dunque ancora una volta poco “ragionevole” in un’ottica
comunitaria, sembra anche la previsione dell’obbligo a carico del contribuente di “fornire i dati utili ai fini
13
della determinazione della base imponibile” agli intermediari i quali, intervenendo “nella riscossione dei
relativi flussi finanziari e dei redditi”, sono in ogni caso tenuti ad assolvere la funzione di sostituto
d’imposta.
Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia, intervenendo sul delicato aspetto dell’assolvimento
dell’onere della prova al momento di applicazione della ritenuta, ha evitato il rischio degli intermediari di
incorrere in errori o inadempimenti nell’esecuzione della ritenuta ma non ha alleggerito la posizione del
contribuente che deve presentare l’autocertificazione.
L’impressione è che l’ultimo alinea del secondo comma dell’art. 4 – “In mancanza di tali informazioni
la ritenuta o l’imposta sostitutiva è applicata sull’intero importo del flusso messo in pagamento” – introduca
surrettiziamente la presunzione secondo cui tutti i flussi finanziari dall’estero, transitanti attraverso
l’intermediario, siano reddito (di capitale o diversi) salvo la prova contraria a carico del contribuente e che
quello che l’Agenzia nella circolare definisce partecipazione attiva del contribuente al “procedimento di
accertamento del tributo” consista in realtà in un’inversione dell’onere della prova ad unico vantaggio
dell’Erario, il quale così si assicura un prelievo anticipato.
Ulteriori e non meno rilevanti questioni potrebbero derivare dall’innesto nella normativa sul
monitoraggio della nozione di “titolarità effettiva” dettata ai fini dell’antiriciclaggio.
Dall’impianto normativo sembra trasparire l’intento di creare una sorta di sovrapposizione fra la
titolarità effettiva e il possesso del reddito fino a presumere che il titolare effettivo sia per ciò solo
possessore del reddito (v. art. 6 del D.L. n. 167/90)
Al fine di evitare simili derive occorre non solo ricordare che la disciplina sul monitoraggio ha finalità
di portare a conoscenza potenziali fonti di reddito e ma soprattutto tenere fermo che la nozione di titolarità
effettiva si riferisce al patrimonio, e non al reddito. Pertanto, l’onere di dimostrare che la potenza si sia
trasformata in atto, che il titolare effettivo abbia la piena ed immediata disponibilità di una ricchezza novella
non può che spettare all’Agenzia, senza semplicistiche assimilazioni e senza che dalla titolarità possa farsi
scaturire alcuna inversione dell’onere probatorio (può ben accadere che il soggetto che sta alla fine di una
catena societaria non sia l’effettivo possessore del reddito).
Una ultima brevissima notazione va agli effetti della entrata in vigore delle esposte modifiche. Va da
sé, e di questo non dubita ovviamente nemmeno l’Agenzia, che alle situazione ancora pendenti andrà
applicata la nuova disciplina, con l’annullamento delle sanzioni in taluni casi e con possibili conseguenze nel
calcolo del cumulo giuridico delle sanzioni. Il che innegabilmente comporta una certa attenzione da parte dei
giudici in questa materia.
In conclusione, con riferimento agli obblighi dichiarativi ed alle relative sanzioni non mi pare ci si
14
possa dire pienamente soddisfatti da un intervento tardivo e parziale.
È stata necessaria la minaccia d’infrazione da parte della Commissione per ottenere l’abrogazione di
un sistema (quello relativo agli obblighi dichiarativi sulle movimentazioni con le relative sanzioni)
palesemente illogico e vessatorio; sono stati introdotti ulteriori obblighi dichiarativi disattendendo le istanze
comunitarie circa le ragioni di interesse generale che giustifichino – in presenza di strumenti meno onerosi
per i contribuenti (quali lo scambio di informazioni e l’assistenza reciproca in materia fiscale) – l’obbligo di
dichiarare il capitale e le attività detenuti in un altro Stato dell’UE. Senza contare che, nel tentativo di
approntare soluzioni volte ad agevolare l’attività di contrasto all’evasione il legislatore ha dettato
disposizioni che (a fortiori se non correttamente interpretate) rischiano di ingenerare pericolose confusioni
sul piano sostanziale ed inversioni sul piano probatorio, non coerenti né giustificabili sulla base delle più
generali regole del sistema.
Mi pare che, ancora una volta, l’intervento “migliorativo” del legislatore avrà bisogno di una saggia
opera dei giudici delle Commissioni tributarie nell’interpretazione e nell’applicazione anche di queste
disposizioni.
Ringrazio dell’attenzione e auguro
buon lavoro a tutti noi
Sebastiano Maurizio Messina
15