Free (Abstracts in Italian) - UAGRA

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Free (Abstracts in Italian) - UAGRA
ISSN 1825-5272
HYSTRIX
The Italian Journal of Mammalogy
PUBLISHED BY
ASSOCIAZIONE TERIOLOGICA ITALIANA
(N.S.) – SUPP. 2005
Finito di stampare nel mese di ottobre 2005
presso Linea Grafica - Cura Carpignano (PV)
ISSN 1825-5272
ATTI
V CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE TERIOLOGICA
ITALIANA
Nuove prospettive della ricerca teriologica
Arezzo 10-12 Novembre 2005
RIASSUNTI: COMUNICAZIONI E POSTER
A cura di
Claudio PRIGIONI, Alberto MERIGGI, Enrico MERLI
Organizzato da
Associazione Teriologica Italiana
Con la collaborazione di
Dipartimento di Ecologia dell’Università della Calabria
Dipartimento di Zoologia ed Antropologia Biologica dell’Università di Sassari
Dipartimento di Biologia Animale dell’Università di Pavia
Dipartimento di Biologia Evolutiva e Funzionale dell’Università di Parma
Provincia di Arezzo
3
V CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE TERIOLOGICA
ITALIANA
Nuove prospettive della ricerca teriologica
SEDE
Sala dei Convegni, Hotel Minerva Via Fiorentina 4, 52100 Arezzo
COMITATO ORGANIZZATORE
M. Cagnin, P. Lamberti, S. Ciuti, L. Nieder, G. Aloise, E. Merli, A. Viviani,
P. Rima, C. Milazzo
COMITATO SCIENTIFICO
M. Apollonio, L. Cagnolaro, S. Bertolino, M. Cagnin, L. Canova, A.M. De
Marinis, A. Martinoli, A. Meriggi, E. Merli, L. Nieder, C. Prigioni
SEGRETERIA
Lucia Riva c/o Dipartimento di Biologia Animale, Piazza Botta, 9
27100 Pavia, Tel. 0382.986445 – Fax 0382.986447
E-mail: [email protected]
CON IL PATROCINIO DI
Unione Zoologica Italiana (UZI)
Associazione Nazionale Musei Scientifici, Orti Botanici ed Acquari
CON IL CONTRIBUTO DI
Provincia di Arezzo
Citazione consigliata
PRIGIONI et al. (eds). 2005. V Congr. It. Teriologia, Hystrix, It. J. Mamm., (N.S.)
SUPP. (2005): 1 - 160
Disegni di
Laura Romagnoli
4
INDICE
V CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE TERIOLOGICA ITALIANA
Nuove prospettive della ricerca teriologica
NUOVE ACQUISIZIONI SU POSIZIONE SISTEMATICA, STATUS
E DISTRIBUZIONE DEI MAMMIFERI ITALIANI
(Chairmen: Amori G., Russo D.)
Comunicazioni
SARÀ M. - Sistematica e distribuzione del genere Crocidura Wagler, 1831 nel
Mediterraneo
17
LOY A., COLANGELO P., ANNESI F., CAPANNA E. - Recenti acquisizioni sulle relazioni sistematiche tra le talpe europee (Mammalia, Insectivora, Talpidae)
18
MARTINOLI A. - Una nuova specie aleggia nell’aria: stato delle conoscenze acquisite su
Plecotus macrobullaris (Chiroptera, Vespertilionidae)
19
CASTIGLIA R., ANNESI F., ALOISE G., AMORI G. - Sistematica e distribuzione di Neomys
anomalus, N. fodiens e Microtus savii attraverso l’analisi del DNA mitocondriale
20
ANGELICI F.M., CAPIZZI D., AMORI G., LUISELLI L. - L’Istrice in Italia e la sua enigmatica
distribuzione in Africa mediterranea e sub-sahariana: uno studio craniometrico
21
RANDI E., MUCCI N., TABARRONI C. - A sud delle Alpi. Filogeografia e distinzione genetica delle popolazioni appenniniche di specie di ungulati, carnivori e lagomorfi
22
IACOLINA L., SCANDURA M., FODDAI R., BEN SLIMEN H., SUCHENTRUNK F., APOLLONIO M.
- La Lepre sarda: può considerarsi un’unità evolutiva di interesse conservazionistico?
23
SCANDURA M., CRESTANELLO B., IACOLINA L., PECCHIOLI E., MANCA G., MIGLIORI L.,
APOLLONIO M., BERTORELLE G. - Quale cinghiale abbiamo oggi in Italia?
24
GAVAGNIN P., ZANELLA S., NICOSIA E., CALVI G., LAURA L., VALFIORITO R. - Il Gatto selvatico nelle Alpi Liguri: nuove acquisizioni e azioni urgenti per la difesa della specie
25
POTENA G., SAMMARONE L., POSILLICO M. - Status dell’Orso bruno (Ursus arctos)
nell’Appennino: prospettive di conservazione
26
5
Poster
PRIGIONI C., REMONTI L., BALESTRIERI A., SGROSSO S., PRIORE G. - Variazione dell’areale italiano della Lontra (Lutra lutra) negli ultimi 100 anni
27
GAVAGNIN P., ZANELLA S., NICOSIA E., CALVI G., LAURA L., VALFIORITO R. - Presenza del
Lupo sulle Alpi liguri
28
CARNEVALI L., TOSO S., RIGA F., LOVARI S. - Conservazione e gestione del Capriolo italico Capreolus capreolus italicus Festa, 1925
29
MACCHIA M., RIGA F., TROCCHI W. - Distribuzione e caratteristiche ecologiche della Lepre
italica (Lepus corsicanus De Winton, 1898) e della Lepre comune (Lepus europaeus
Pallas, 1898) in Provincia di Grosseto
30
PAGNONI G.A., SANTOLINI R. - Primi dati sulla popolazione di Nutria (Myocastor coypus)
in un’area coltivata della Pianura Padana, la Valle del Mezzano (FE)
31
SCARAVELLI D., LADURNER E. - Arvicola terrestris terrestris in Alto Adige
32
SCARAVELLI D., MANCINI M. - Talpa caeca Savi, 1822 nuova specie per il Molise
33
COLLI L., NIEDER L. - Il genere Apodemus (sottogenere Sylvaemus) nell’Italia nord-orientale: validazione molecolare di tecniche per l’identificazione della specie
34
LUCHETTI S., SACCHI O., MERIGGI A. - Densità e uso dell’habitat di Lepre sarda (Lepus
capensis mediterraneus) e Coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus) in aree pro35
tette della Sardegna
BUSCEMI A., TUCCINARDI P. - L’arvicola delle nevi (Chionomys nivalis) nell’Appennino
Centrale: primi dati
36
RAGANELLA PELLICCIONI E., ARMAROLI E., SCREMIN M., GUBERTI V., TOSO S. - La popolazione di capre dell’Isola di Montecristo: risultati di tre anni di monitoraggio
37
BUSATTA S. - Variazioni distributive delle popolazioni di Cervo e di Capriolo nelle Prealpi
trevigiane
38
DI CLEMENTE G., LUCE L., MASTRANTONIO M., BELLAVITA M. - La popolazione di Cervo
(Cervus elaphus L.) nella Riserva Regionale Montagne della Duchessa e aree limitrofe
39
DEBERNARDI P., PATRIARCA E. - La chirotterofauna della sponda piemontese del Lago
Maggiore
40
VERGARI S., DONDINI G. - Contributo alla conoscenza dei mammiferi sull’Appennino
Pistoiese (Toscana)
41
MONACO A., CARNEVALI L., RIGA F., TOSO S. - Il Cinghiale sull’arco alpino italiano: distribuzione, status e gestione delle popolazioni
42
6
SOTTI F., SACCHI O., MERIGGI A. - Analisi dei fattori ambientali che influenzano l’abbondanza di Lepre sarda (Lepus capensis mediterraneus) e Coniglio selvatico
(Oryctolagus cuniculus) in Sardegna
43
NAPPI A., MASSETI M. - I mammiferi terrestri non volatori delle isole del Golfo di Napoli
44
NAPPI A., BRUNET-LECOMTE P., RICCI F., PACI A.M., BERTARELLI C., DE SANCTIS A.,
PELLEGRINI M., MONTUIRE S. - Sulla presenza di Microtus (Terricola) multiplex in
Abruzzo: esperienze dall’analisi del primo molare inferiore
45
RUSSO D., CISTRONE L. - Presenza di Myotis bechsteinii nel Parco Nazionale d’Abruzzo
Lazio e Molise
46
BRUNET-LECOMTE P., MONTUIRE S., NAPPI A. - Morfometria comparata del primo molare
inferiore in popolazioni italiane di Microtus liechtensteini (Rodentia, Arvicolinae)
47
RECENTI METODOLOGIE NELLA RICERCA TERIOLOGICA
(Chairmen: De Marinis A.M., Canova L.)
Comunicazioni
BÖRGER L., FRANCONI N., MESCHI F., DE MICHELE G., GANTZ A., MANICA A., LOVARI S.,
COULSON T. - Effetti del protocollo di campionamento sulla media e varianza delle
stime degli home range: un nuovo metodo di analisi
49
NAVE L., PEDROTTI L. - Analisi demografica della popolazione di Cervo della Val di Sole
(TN) e del Parco Nazionale dello Stelvio con il metodo della population reconstruction
51
SFORZI A., LOVARI S., PISANI C., FATTORINI L. - Una “nuova” applicazione per un “classico” metodo di stima dei cervidi: il pellet group count nel Parco regionale della
Maremma
52
CAGNACCI F., FRANZETTI B., PEDROTTI L., RAGANELLA PELLICCIONI E., DE MARINIS
A.M., FOCARDI S. - Il distance sampling e il censimento dei cervidi: vantaggi e
problematiche dei metodi diretti ed indiretti di stima delle densità
53
TATTONI C., PREATONI D., MARTINOLI A., WAUTERS L., TOSI G. - Spatial Explicit
Population dynamics Model (SEPM): un approccio innovativo alla predittività nell’ambito dell’ecologia delle popolazioni
54
RANDI E., CANIGLIA R., DAVOLI F., DE BARBA M., FABBRI E., GRECO C., MUCCI N.,
SANTINI A. - La genetica non-invasiva ed il monitoraggio genetico di popolazioni di
carnivori
55
7
SERGIACOMI U., DI MURO G., LOMBARDI G., MAZZEI R. - La biopermeabilità del territorio come metodo di analisi del pattern di frammentazione e del grado di connettività
56
VERCILLO F., LUCENTINI L., PALOMBA A., PANARA F., RAGNI B. - Analisi biomolecolare e
indici di presenza indiretta: uno strumento utile al riconoscimento specie-specifico
di Mustelidi
57
Poster
PRIGIONI C., REMONTI L., BALESTRIERI A., SGROSSO S., PRIORE G., RANDI E., MUCCI N. Censimento della Lontra (Lutra lutra) nel Parco Nazionale del Pollino, mediante
analisi genetica di campioni fecali freschi
58
CASCONE C., TAGLIAFERRI R., STAIANO A., CIARAMELLA A., LATINI R., CEPOLLARO A. Reti Neurali Artificiali e Modelli di Idoneità Ambientale: applicazioni per il Cervo
(Cervus elaphus) nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise
59
DE PALMA C. - Utilizzo di metodologie etologiche per la valutazione dei diversi tipi di
temperamento di cani residenti in canile al fine di migliorarne lo stato di benessere
e facilitarne l’adozione
60
TOFFOLI R., PANIZZA G., COLOMBI G. - Il Capriolo Capreolus capreolus nel Parco
Naturale delle Capanne di Marcarolo (Appennino settentrionale, Provincia di
Alessandria): due metodi di censimento a confronto
61
CAPITANI C., MATTIOLI L., APOLLONIO M. - Metodi di valutazione dell’età del Capriolo
(Capreolus capreolus): usura dentaria e conta degli anelli di cemento a confronto
62
MINDER I., LOVARI S. - Tasso di scomparsa delle feci di Capriolo in un ambiente mediterraneo
63
MONACO A., CARNEVALI L. - Radio auricolari vs radio collari: valutazione comparata delle
performance nel Cinghiale
64
CIUCCI P., MAIORANO L., ANDREANI M., REGGIONI W., BOITANI L. - Dispersione a lungo
raggio di un Lupo dall’Appennino settentrionale alle Alpi Marittime: movimenti,
comportamento spaziale ed eterogeneità ambientale
65
MINDER I., CAMPANA I., SANGIULIANO A. - Alimentazione degli erbivori: chiave d’identificazione microistologica di 10 specie vegetali della macchia
66
FORCONI P., DELL’ORSO M., GALDENZI D. – L’integrazione del tracking su neve e del wolfhowling nello studio del Lupo (Canis lupus) nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini
67
MANDRICI A., RAGNI B. - Un esperimento di radiotelemetria con la tecnica GPS
68
RUGHETTI M., MARUCCO F., BOITANI L. - Selezione dell’habitat e dei percorsi invernali dei
lupi delle Alpi liguri
69
8
BRAGALANTI N., MUSTONI A., CARLINI E., ZIBORDI F., TOSI G., MARTINOLI A., PREATONI
D. - La reintroduzione dell’Orso bruno (Ursus arctos) sulle Alpi Centrali: analisi
della selezione delle risorse trofiche
70
GROTTOLI L., CIUCCI P., TOSONI E. - Stima della variabilità di campionamento nelle analisi della dieta: il Lupo (Canis lupus) nell’Appennino settentrionale
71
MINDER I., GANDOLFI M., MASTROIANNI O., YOUNG C., FRANCONI N., BÖRGER L., LOVARI
S. - Studio della dieta del Tasso tramite analisi fecale: comparazione critica dei metodi e nuove procedure
72
MAMMIFERI COME POTENZIALI INDICATORI
DI QUALITA’ AMBIENTALE
(Chairmen: Contoli L., Prigioni C.)
Comunicazioni
BARBABELLA A. - Indici e indicatori per il monitoraggio e la valutazione ambientale
74
VIDUS ROSIN A., GILIO N., MERIGGI A. - Selezione dell’habitat da parte del Silvilago
(Sylvilagus floridanus) in Italia settentrionale: può una specie introdotta essere un
indicatore di qualità ambientale?
76
RUSSO D., CISTRONE L., MIGLIOZZI A., JONES G. - Attività e diversità della
Chirotterofauna: un ruolo nella caratterizzazione degli ambienti agro-silvo-pastorali?
77
LUISELLI L., IKPEBA B., POLITANO E., ANGELIGI F.M. - Recenti metodologie impiegate al
fine di utilizzare i Mammiferi come indicatori ambientali in un’area a vasto sfruttamento petrolifero: il delta del fiume Niger, Nigeria
78
LA MORGIA V., ISAIA M., BONA F., BADINO G. - Variazioni della qualità faunistico-ambientale nelle Valli Susa e Chisone (Torino): elaborazione di indici di idoneità ambientale per gli ungulati e loro applicazione alla valutazione degli impatti antropici
79
AGNELLI P., GUAITA C., VERGARI S. - Un contributo per la pianificazione degli interventi
nella Tenuta di San Rossore (Pisa): lo studio della Chirotterofauna
80
MUSTONI A., CHIOZZINI S., MARCHESI L., TOSI G., MARTINOLI A., PREATONI D. - I monitoraggi faunistici nel Parco Naturale Adamello Brenta: sperimentazione di un metodo di valutazione della biodiversità della zoocenosi a fini gestionali
81
BIZZARRI L., RAGNI B. - Felis silvestris silvestris: specie ombrello della vertebrocenosi di
un’area dell’Appennino Centrale
82
9
Poster
NODARI M., MASSERONI E., PREATONI D., WAUTERS L., MARTINOLI A., TOSI G. - Il ruolo
della Lepre alpina (Lepus timidus) come potenziale indicatore ambientale
83
GIANNONI V., LOY A., DI MARZIO P., DI MARTINO P., REGGIANI G. - Idoneità ambientale
per la Lontra europea: implicazioni per la conservazione degli ambienti acquatici e
ripariali italiani
84
APOSTOLICO F., SPILINGA C., RAGNI B. - Sulla Microteriocenosi di un bosco mediterraneo
85
SERGIACOMI U., DI MURO G., LOMBARDI G., MAZZEI R. - La valenza teriofaunistica come
strumento di analisi e pianificazione territoriale
86
SCARAVELLI D., MANCINI M., ANTONELLI S. - Indagini microteriologiche in ambienti del
Molise
87
SCARAVELLI D., RAVAIOLI S., BERTOZZI M. - Comunità di micromammiferi terricoli
(Insectivora, Rodentia) nelle pinete di Ravenna
88
CRUCITTI P., CAVALLETTI L., LEONE M. - Dinamica delle aggregazioni invernali di
Rhinolophus hipposideros (Bechstein, 1800) in relazione alla qualità ambientale
89
RAPPORTI PREDA-PREDATORE
(Chairmen: Meriggi A., Genovesi P.)
Comunicazioni
LAMBERTI P., VIVIANI A., CAPITANI C., ALBONI M., GAZZOLA A., MATTIOLI L., APOLLONIO
M. - Il sistema preda-predatore in Alpe di Catenaia (Arezzo)
91
GROTTOLI L., CIUCCI P., RAGANELLA PELLICIONI E., REGGIONI W. - Variabilità spaziale e
stagionale della dieta del Lupo nell’Appennino Settentrionale
92
ZIBORDI F., MUSTONI A., CARLINI E., CHIRICHELLA R., FACCIN F., FRANZETTI E.,
MARTINOLI A., PREATONI D., TOSI G. - La reintroduzione dell’Orso bruno (Ursus arctos) sulle Alpi Centrali: indagine sul comportamento trofico stagionale
93
APOSTOLICO F., VERCILLO F., RAGNI B. - Variazioni delle specie-preda di Felis silvestris
silvestris in Italia negli ultimi 30 anni
94
GRIGNOLIO S., BONGI P., CIUTI S., BERTOLOTTO E., ROSSI I., BASSANO B., APOLLONIO M.Analisi del comportamento antipredatorio in femmine di Daino e Stambecco durante la gestazione e lo svezzamento dei piccoli
95
10
NIEDER L., CASAGRANDE S., LA FATA I. - Rapporto preda-predatore: analisi del popolamento microteriologico predato dal Gheppio (Falco tinnunculus)
96
Poster
VIVIANI A., LAMBERTI P., ALBONI M., SCANDURA M., CAPITANI C., MATTIOLI L., MAURI L.,
APOLLONIO M. - Composizione e dinamica di un branco di lupi in provincia di
Arezzo
97
DE MARINIS A.M., SIRACUSA M. - La Faina (Martes foina) nella Regione Centroeuropea
e Mediterranea: abitudini alimentari e dimensioni del predatore a confronto
98
CAPITANI C., MATTIOLI L., AVANZINELLI E., GAZZOLA A., LAMBERTI P., MAURI L.,
SCANDURA M., VIVIANI A., APOLLONIO M. - Uso e selezione degli homesites in una
popolazione di lupi nell’Appennino nord-orientale
99
MOLINARI A., AIROLDI G., BRUNELLA A., CERINOTTI F., DI PIERRO E., LABITA M., PREATONI
D., MARTINOLI A., WAUTERS L., TOSI G. - Rapporti consumatore-risorse in foreste di
conifere alpine: risposte dello Scoiattolo comune europeo (Sciurus vulgaris) alle
variazioni della disponibilità alimentare
100
PARASSITI E MAMMIFERI SELVATICI
(Chairmen: Cagnin M., Casanova J.C.)
Comunicazioni
CASANOVA J.C. - The role of parasitic helminths of wild small mammals in the diversity
and conservation biology
102
MATTIUCCI S., NASCETTI G. - Aspetti coevolutivi ospite-parassita: l’esempio dei mammiferi marini e i nematodi anisakidi del genere Anisakis
103
MONACO A., NICOLI F., GILIO N., FRAQUELLI C. - Effetti demografici della mortalità
invernale e della rogna sarcoptica nella popolazione di Stambecco della Marmolada
104
MANFREDI M.T., DI CERBO A.R., CASULLI A., BAZZOLI F., TREVISIOL K., BREGOLI M., FERRO
MILONE N., GAFFURI A., ORUSA R. - An updating on Echinococcus multilocularis and
other intestinal helminths of the Red fox Vulpes vulpes (Linnæus, 1758) from Italian
Alps
105
POGLAYEN G., SCARAVELLI D., TAMPIERI M.P., GALUPPI R., NUTI C., GAGLIO G., ABBENE
S. - Fauna parassitaria dell’Istrice (Hystrix cristata) in Italia
106
MILAZZO C., CASANOVA J.C., ALOISE G., DI BELLA C., GERACI F., CAGNIN M. Considerazioni sulla fauna elmintica di Muridae e Arvicolidae (Rodentia) della
Calabria
107
11
Poster
/
°
L., BERTOLINO S., PERRONE A., MODRY D. - Intestinal parasites infecting
HURKOVÁ
Sylvilagus floridanus in a population introduced into Italy
108
STRADIOTTO A., CAGNACCI F., TIOLI S., RIZZOLI A., ROSÀ R., TAGLIAPIETRA V. Selezione del microhabitat di Apodemus flavicollis in un’area endemica per la TBE
in Trentino
109
DI CERBO A.R., MANFREDI M.T., TRANQUILLO V., NASSUATO C., PEDROTTI L. - Abomasal
parasites of Red deer (Cervus elaphus) in Stelvio National Park (North-Eastern Italy)
110
CAGNIN M., ALOISE G., MILAZZO C., SCIMECA S., NICOSIA S., TORINA A. - Infestazione
da zecche in popolazioni di Roditori in un’area della Sicilia
111
DI CERBO A.R., MANFREDI M.T., BREGOLI M., FERRO MILONE N. - Helminth fauna of
Mustelids in North-Eastern Italy
112
ROSSO F., SCALET G., FERRARI N., MANFREDI M.T., RIZZOLI A., DI CERBO A.R. Helminths of Apodemus flavicollis (Melchior, 1834) and Clethrionomys glareolus
(Schreber, 1780) from Trentino Alto Adige (north-eastern Italy)
113
IL RUOLO FUTURO DELLA TERIOLOGIA IN ITALIA: RICERCA,
PIANIFICAZIONE, DIVULGAZIONE
(Chairmen: Bertolino S., Martinoli A.)
Comunicazioni
BERTOLINO S., WAUTERS L. - Utilità degli studi a lungo termine e con replica delle aree:
un esempio da una ricerca sullo Scoiattolo comune (Sciurus vulgaris)
115
VON HANDENBERG A., BASSANO B. - Importanza delle raccolte a lungo termine in campo
teriologico: l’esempio delle ricerche sullo Stambecco alpino nel Parco Nazionale
Gran Paradiso
116
MUSTONI A., CARLINI E., CHIOZZINI S., CHIARENZI B., BONARDI A., CHIRICHELLA R.,
ZIBORDI F. - Il progetto di conservazione dell’Orso bruno (Ursus arctos) nel Parco
Naturale Adamello Brenta: analisi degli effetti delle iniziative di comunicazione
117
CARNEVALI L., GENOVESI P. - La human dimension nella conservazione: indagine sull’attitudine del mondo venatorio nei confronti dei grandi carnivori in Trentino
118
MACCHIO S. - Pianificazione delle ricerche per la gestione del Cinghiale in Provincia di
Spezia: 17 anni di esperienze e prime analisi sull’uso differenziale dell’habitat per
sesso e struttura fisica
119
12
CAVENAGO C., GEREMIA R. - Confronto tra status di popolazioni di Capriolo (Capreolus
capreolus) in aree soggette a prelievo selettivo nelle province di Modena, Reggio
Emilia e Parma
120
PEDROTTI L., ANGELI F., BRUGNOLI A., LUCHESA L. - Il Cervo nel Parco Nazionale dello
Stelvio e in Val di Sole (Trento): soluzioni gestionali e ricerca applicata
121
LO VALVO M., LA SCALA A., DI PIAZZA L., SCALISI M. - Analisi dei conteggi di pallottole
fecali di Coniglio selvatico, Oryctolagus cuniculus, nell’Isola di Ustica (Sicilia)
122
DEBERNARDI P., PATRIARCA E., TOFFOLI R. - Il monitoraggio dello stato di conservazione
dei chirotteri in allegato II Direttiva 92/43/CEE in Piemonte e Valle d’Aosta
123
MARTINOLI A., PREATONI D., BEZZI A., MORNATI S. – La disseminazione dei risultati nelle
ricerca scientifica: strategie innovative per la promozione degli studi teriologici
124
Poster
GRIGIONI J., GENNAI A., D’AMICO C. - Pianificazione, gestione e ricerca faunistica: la strategia del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi nel caso del controllo del
Cinghiale
125
BASSIGNANI F., DOGÀ S., BARONI P., CARLONI E., POLCE C., TOSI G. - The elephants of
Tarangire (Tanzania): use of habitat and aggregation pattern during the raining
season
126
LUCHESA L., PEDROTTI L., CALLOVI I., ZANINETTI M., BRAGALANTI N., LUCHETTI S.,
PERROTTA I., TOMMASINI M. - Mobilità e home range del Cervo nel Parco Nazionale
dello Stelvio e in Val di Sole (Trento)
127
BELLAVITA M., PAPI R. - Il monitoraggio del Capriolo nella Riserva Naturale Monte
Rufeno
128
MALAVASI D., TRALONGO S., BONIZZONIA A. - Proposte operative per la conservazione
della popolazione di Scoiattolo Sciurus vulgaris nel Parco dello Stirone
129
BARILI A., BURATTINI R., CORVETTI S., D’ALLESTRO V., FUSCO G., PIVOTTI I., RONCA F.,
VERGARI S. - Chirotteri del sistema carsico del Parco Regionale Gola della Rossa e
di Frasassi (Ancona)
130
GUSMEROLI E., AGNELLI P., GUAITA C. - Interventi per la conservazione di una colonia di
Myotis emarginatus nella riserva naturale “Ponte Buriano e Penna” in provincia di
Arezzo
131
13
TEMI VARI
Poster
CAPITANI C., MATTIOLI L. - Stima dell’impatto del bracconaggio su una popolazione di
Capriolo (Capreolus capreolus) attraverso l’analisi delle coorti
133
FRANCONI N., FERRETTI F., BÖRGER L., MESCHI F., DE MICHELE G., LOVARI S. - Effetti
della composizione e struttura dell’habitat su uso dello spazio e socialità in maschi
di capriolo
134
MESCHI F., FRANCONI N., BÖRGER L., DE MICHELE G., FERRETTI F., LOVARI S. - Uso dello
spazio durante il periodo degli accoppiamenti in femmine di Capriolo
135
BUSATTA S., PASCOTTO E. - Esperienze iniziali di gestione del cinghiale nelle prealpi trevigiane
136
PANIZZA G., COLOMBI G., TOFFOLI R. - La gestione del Cinghiale Sus scrofa nel Parco
Naturale delle Capanne di Marcarolo (Regione Piemonte, AL)
137
MAIO N., NAPPI A - La collezione teriologica del Museo Zoologico dell’Università di
Napoli Federico II
138
ALOISE G., SCARAVELLI D. - Mammiferi terricoli predati da Barbagianni Tyto alba nell’isola di Creta (Grecia)
139
BASSIGNANI F., DOGÀ S., CARLONI E. - Sexual and age segregation in savannah elephants
(Loxodonta africana) in Ngorongoro crater (Tanzania)
140
BERTOLINO S., HUGONEN J. - Uso del microhabitat da parte del quercino (Eliomys quercinus) durante la fase di attività notturna
141
SORANGELO P., NATOLI E., FANFANI A. - Analisi delle dimensioni delle aree di presenza
diurne della popolazione urbana di Gatto domentico libero (Felis catus) nel bioparco di Roma
142
BASSIGNANI F., DOGÀ S., CARLONI E. - Observation of a group hunt in Lycaon pictus: was
it cooperative hunting?
143
FARINA N., GAVAGNIN P. ZANELLA S. - La scomparsa del lupo nel settore ligure delle Alpi
nel XIX secolo: andamento degli abbattimenti e cause storiche dello sterminio
144
FARINA N., GAVAGNIN P. - Il Lupo e le comunità liguri alpine: antiche rappresentazioni,
percezioni attuali e strumentalizzazioni politiche
145
PASCOTTO E., CODOLO R., FASANO D., BUSATTA S., COLITTI M. - Apparato gastrointestinale del Tasso (Meles meles): rilievi macro-anatomici e strutturali
146
14
CORDERO DI MONTEZEMOLO N., BERTOLINO S. - Fattori influenzanti la selezione delle tane
da parte del Quercino (Eliomys quercinus)
147
CORDERO DI MONTEZEMOLO N., BERTOLINO S., PERRONE A. - Selezione ambientale da
parte dei silvilaghi (Sylvilagus floridanus) per la collocazione dei covi diurni
148
MUSTONI A., LATTUADA E., CHIOZZINI S., CARLINI E., STEFANI G., STELLA E.,
FRAQUELLI C. - Verifica dell’esito del progetto di reintroduzione dello Stambecco
(Capra ibex) nel Parco Naturale Adamello Brenta
149
BOSSER PEVERELLI V., PERRONE A., VITERBI R. - Monitoraggio del Cinghiale (Sus scrofa)
in Regione Piemonte
150
MUSTONI A., CALIARI A., ZIBORDI F., BONARDI A., CARLINI E., CHIRICHELLA R., CHIOZZINI
S. - Caratterizzazione delle tane di svernamento dell’Orso bruno (Ursus arctos) nel
Parco Naturale Adamello Brenta in relazione alle fonti di disturbo antropico
151
FASANO D., FILIPPIN D. - Ungulati recuperati in provincia di Pordenone: analisi dei dati
e proposte gestionali
152
BRANGI A., MAZZONI DELLA STELLA R. - Biometria del popolamento di ungulati della
Provincia di Siena
153
BRANGI A., MAZZONI DELLA STELLA R. - Struttura delle popolazioni di Capriolo, Daino e
Muflone della Provincia di Siena
154
FEDER C., FESTA-BIANCHET M. - La massa materna è un buon indicatore dell’investimento riproduttivo? Il caso del Muflone bighorn (Ovis canadensis)
155
ANDREOLI E., CORRADINI BARTOLI G., MANFREDI M.T., MATTIELLO S. - Controlli sanitari
in un settore di caccia alpino: risultati parassitologici
156
PASSALACQUA C. - Indagine di human dimension sul Lupo in due categorie della popolazione del Verbano Cusio Ossola
157
15
16
NUOVE ACQUISIZIONI SU POSIZIONE SISTEMATICA,
STATUS E DISTRIBUZIONE DEI MAMMIFERI
ITALIANI
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
SISTEMATICA E DISTRIBUZIONE DEL GENERE CROCIDURA
WAGLER, 1831 NEL MEDITERRANEO
SARÀ M.
Dipartimento di Biologia Animale, Università di Palermo, via Archirafi 18, 90123
Palermo
I toporagni a denti bianchi del genere Crocidura sono piccoli mammiferi Insettivori molto
utili come marker biogeografici, al fine di ricostruire le vicende storico-evolutive dei popolamenti faunistici. Negli ultimi vent’anni, sono stati particolarmente studiati dal punto di
vista tassonomico, soprattutto nella sotto-regione Mediterranea. L’impiego di tecniche di
biometria multivariata, citotassonomia ed ultimamente di genetica basata sul DNA mitocondriale, ha permesso di chiarire lo status delle specie presenti. Le nuove acquisizioni
hanno interessato direttamente i toporagni presenti in Italia continentale ed insulare. Questo
contributo intende ripercorrere le principali tappe di questi anni di ricerca, a partire dall’antico assetto articolato tradizionalmente su tre specie (C. russula, C. suaveolens e C. leucodon), per arrivare alla scoperta ed istituzione di nuove specie endemiche presenti nel
Mediterraneo. In quest’area sono oggi riconosciute ed accettate 6 specie, 5 delle quali interessano l’Italia. C. suaveolens, C. leucodon e, solo marginalmente, C. russula sono presenti nell’area continentale italiana ed in alcune isole (C. suaveolens in Corsica, Elba ecc), mentre C. sicula è la specie endemica presente nel sistema insulare siculo-maltese. C. pachuyra
è l’ultima ‘nata’ di questo processo d’analisi e revisione. La sua esistenza era stata ipotizzata nel 1996, ma solo nel 2003-04 alcuni lavori di tassonomia genetica hanno convalidato la
sua esistenza. C. pachuyra è distribuita in Tunisia settentrionale (più alcuni territori algerini e libici), Sardegna e Pantelleria.
Sono infine discussi i processi di speciazione in allopatria, responsabili dell’assetto tassonomico riscontrato e le implicazioni di conservazione e tutela di questi taxa.
17
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
RECENTI ACQUISIZIONI SULLE RELAZIONI SISTEMATICHE TRA
LE TALPE EUROPEE (MAMMALIA, INSECTIVORA, TALPIDAE)
LOY A.1, COLANGELO P.2, ANNESI F.2, CAPANNA E.2
1
Dipartimento di Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e il Territorio, Università del
Molise, via Mazzini 18, 08617 Isernia; E-mail: [email protected]
2
Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università di Roma ‘La Sapienza’
via Borelli 50, 00161 Roma
I rappresentanti europei della famiglia Talpidi appartengono a due sottofamiglie, i Talpini,
con specie, strettamente sotterranee, note comunemente come talpe, e i Desmanini, o
desman, più legati all’ambiente acquatico. Dati fossili indicano che la famiglia è stata caratterizzata in Europa da eventi di estinzione e diversificazione che si sono succeduti a partire
dal Miocene. Tutte le talpe europee appartengono al genere Talpa. Cinque delle nove specie
del genere sono presenti in Europa occidentale con una distribuzione caratteristica. Una
vasta area dell’Europa centrale è occupata in modo esclusivo da T. europaea, con una distribuzione parapatrica rispetto a tre specie endemiche: T. occidentalis nella penisola iberica, T.
stankovici nei Balcani e T. romana in Italia centro-meridionale. La piccola T. caeca è invece diffusa in modo frammentato sui rilievi montani degli Appennini, delle Alpi, dei Balcani
e dei Monti Tatra. Il cariotipo delle cinque specie è molto conservativo (2n=34) e solo T.
caeca possiede una coppia supplementare di piccoli autosomi. L’analisi dei sistemi geneenzima ha rivelato un numero significativo di loci diagnostici e bassi livelli di eterozigosi.
Le distanze genetiche di Nei suggeriscono una divergenza di T. occidentalis, T. romana e T.
stankovici dalla linea T. europaea-T.caeca datata circa 3 milioni di anni fa. Risultati preliminari dell’analisi del DNA mitocondriale confermano il monofiletismo delle talpe
dell’Europa occidentale, che si sarebbero separate da un clade orientale circa 6 milioni di
anni fa, in concomitanza con la glaciazione Mio-Pliocenica. I risultati preliminari non sono
però in grado di risolvere completamente le relazioni filogenetiche all’interno del clade
occidentale. La peculiare distribuzione dei taxa, la stima dei tempi di divergenza, unitamente alle testimonianze fossili e ai dati sull’ecologia e variabilità morfometrica delle specie suggeriscono una relazione tra gli eventi speciativi successivi e le fasi glaciali pleistoceniche. Secondo queste ipotesi, T. stankovici e T. romana sarebbero il risultato di un isolamento protratto in aree rifugio durante una delle fasi glaciali più antiche, mentre T. caeca
rappresenterebbe un relitto glaciale più recente.
18
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
UNA NUOVA SPECIE ALEGGIA NELL’ARIA: STATO DELLE
CONOSCENZE ACQUISITE SU PLECOTUS MACROBULLARIS
(CHIROPTERA, VESPERTILIONIDAE)
MARTINOLI A.
Dipartimento Ambiente-Salute-Sicurezza, Università degli Studi dell’Insubria, via G.H.
Dunant 3, 21100 Varese; E-mail: [email protected]
Recentemente, grazie all’applicazione di tecniche genetiche, e in particolare sfruttando l’analisi delle sequenze del mtDNA, sono state descritte nuove specie di Chirotteri. Per quanto concerne il genere Plecotus, comprendente “specie sorelle” (seppure non in senso stretto), l’apporto della genetica ha dato l’avvio a una serie di modifiche. Dalle due specie di
Plecotus tradizionalmente presenti nel contesto italiano (Plecotus auritus e P. austriacus), si
è giunti a descrivere ben tre nuove specie: P. kolombatovici; P. sardus e P. macrobullaris.
Importante risulta la descrizione di P. sardus, attualmente l’unica specie tra i Chirotteri
endemica in Italia (esclusiva della Sardegna), sebbene possa essere ipoteticamente ricondotta alla microzolla sardo-corsa. Queste recenti informazioni forniscono un quadro delle
zoocenosi di grande interesse, pur comportando radicali revisioni delle conoscenze di base
delle specie. Ad esempio, informazioni apparentemente banali quali distribuzione e consistenza delle specie sul territorio nazionale debbono essere rimesse completamente in discussione e rianalizzate criticamente. Di conseguenza, anche lo status delle specie dovrà subire,
in seguito alle acquisite conoscenze, una profonda revisione.
Il presente contributo è focalizzato all’approfondimento delle conoscenze legate a distribuzione, consistenza, caratteristiche eco-etologiche e zoogeografiche della specie P. macrobullaris descritta da Kiefer e Veith nel 2001, sebbene gli autori gli attribuirono una denominazione che venne in seguito modificata in base a indicazioni scaturite nel 2003 dallo studio di Spitzenberger e colleghi.
Attualmente è stata definita l’area di presenza della specie in Italia, ed è stato possibile effettuare una stima delle abbondanze relative delle popolazioni rispetto alle specie congeneri. A
tale proposito è da evidenziare come localmente (ad esempio in Trentino Alto Adige)
l’Orecchione alpino risulti più abbondante dell’Orecchione bruno, a differenza della situazione rilevata per l’area piemontese. Questi dati parrebbero mettere in evidenza un gradiente est-ovest di presenza della specie, che sembrerebbe più abbondante nelle regioni orientali.
Un aspetto legato alle caratteristiche eco-etologiche dell’Orecchione alpino è il dato di prevalente presenza della specie, nel periodo di aggregazione in nursery, presso rifugi in edifici e una assenza in grotta, ambiente particolarmente sfruttato da P. auritus e P. austriacus.
Una interessante caratteristica di P. macrobullaris è la tipicità emersa nelle emissioni ultrasonore che lo contraddistinguono dalle altre specie, fornendo quindi anche un elemento di
possibile discriminazione, alternativo alle indagini genetiche o alla cattura e manipolazione
degli esemplari. Analizzando infatti l’armonica fondamentale è possibile caratterizzare la
specie utilizzando come variabili discriminanti la frequenza iniziale, la frequenza massima,
la frequenza alla massima intensità e la frequenza intermedia.
19
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
SISTEMATICA E DISTRIBUZIONE DI NEOMYS ANOMALUS,
N. FODIENS E MICROTUS SAVII ATTRAVERSO L’ANALISI
DEL DNA MITOCONDRIALE
CASTIGLIA R.1, ANNESI F.1, ALOISE G.2, AMORI G.3
1
Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università di Roma “La Sapienza”
via Borelli 50, 00161 Roma
2
Dipartimento di Ecologia, Università della Calabria, via P. Bucci s/n.
87036 Rende, Cosenza; E-mail: [email protected]
3
CNR, Istituto per lo Studio degli Ecosistemi, via A. Borelli 50, 00161 Roma
A causa della sua posizione geografica e della sua complessa storia geologica, la penisola
italiana rappresenta un importante centro di endemismi. Nonostante la semplificazione e
l’accessibilità delle tecniche di indagine genetico-molecolare, avvenuta negli ultimi anni,
analisi genetiche esaustive non sono tutt’ora disponibili per molti micromammiferi italiani
per i quali la possibile presenza di taxa criptici è stata ampiamente dimostrata.
In questo contesto abbiamo studiato la variabilità genetica, attraverso il sequenziamento di
un frammento del citocromo b, in tre specie di micromammiferi: Microtus savii, specie
endemica italiana, Neomys anomalus e N. fodiens, specie a più ampia distribuzione.
Il campione di M. savii comprende tre sottospecie savii, brachycercus e nebrodensis,
distribuite rispettivamente in italia centro settentrionale, in Calabria e in Sicilia; recentemente per la sottospecie brachycercus è stato proposto un rango specifico a causa delle sue
peculiarità dal punto di vista cromosomico (diversa morfologia e dimensione dei cromosomi sessuali) e il suo parziale isolamento riproduttivo con la sottospecie nominale.
I risultati ottenuti indicano che le distanze genetiche tra M. s. brachycercus e M s. savii
(4,3% di divergenza) non sono tali da poter confermare con sicurezza che si tratta di due
specie diverse. Tuttavia il differenziamento genetico riscontrato per la sottospecie siciliana, pari al 7,4% rispetto a tutte le altre, merita particolare attenzione e più approfondite
indagini.
Per quanto riguarda le due specie di Neomys, l’analisi comprende popolazioni localizzate
in Italia settentrionale, centrale e meridionale. Inoltre, sono state ottenute dalla Gene Bank
sequenze da altre popolazioni europee.
N. fodiens è caratterizzato da una notevole omogeneità genetica in Europa, con un basso
livello di differenziamento anche tra località molto distanti; questa bassa diversità contrasta con la divergenza riscontrata nell’unico aplotipo trovato in un individuo della Calabria
che differisce di circa il 3% della sequenza da tutti gli altri. Questo individuo proviene da
una nuova popolazione localizzata circa 400 km piu a sud rispetto al limite meridionale
della specie in Italia.
Anche per N. anomalus abbiamo riscontrato una linea mitocondriale distinta in Italia meridionale che differisce del 2,3% della sequenza rispetto agli aplotipi trovati in Italia centrale e settentrionale. Tuttavia, a livello europeo, questa specie mostra una maggiore divergenza tra popolazioni rispetto al N. fodiens. La distribuzione dei diversi cladi individuati
indica che vi sia un contributo importante delle diverse aree rifugio mediterranee nella
variabilità genetica della specie.
20
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
L’ISTRICE IN ITALIA E LA SUA ENIGMATICA DISTRIBUZIONE
IN AFRICA MEDITERRANEA E SUB-SAHARIANA: UNO STUDIO
CRANIOMETRICO
ANGELICI F. M.1, CAPIZZI D. 2, AMORI G.3, LUISELLI L. 4
FIZV (Zoologia), via Cleonia 30, 00152 Roma
ARP, Regione Lazio, via Indonesia 33, 00144 Roma
3 Istituto per lo Studio degli Ecosistemi, CNR, via A. Borelli 50, 00161 Roma
4 FIZV (Ecologia), via Olona 7, 00198 Roma
1
2
L’Istrice Hystrix cristata è presente in Italia con una popolazione autoctona, l’unica attualmente riscontrabile in Europa, la cui origine è stata comprovata da resti fossili e sub-fossili, nonché da antiche testimonianze e da una certa peculiarità morfometrica del cranio, già
evidenziata, rispetto alle popolazioni del Nord-Africa. Questa specie nel continente africano è distribuita a Nord del Sahara con popolazioni parzialmente separate negli stati del
Maghreb, e in Libia, mentre sembrerebbe scarsissima o addirittura attualmente scomparsa
dall’Egitto. Sono conosciute inoltre alcune popolazioni storiche del Sudan e del Chad, e
forse qualche deme all’interno di oasi sahariane, anche se queste ultime meritano conferma.
A sud del grande deserto sahariano H. cristata è presente in molti stati sino a circa la
Tanzania, con confini non ben identificati, a meridione dei quali la specie è sostituita
dall’Istrice australe H. africaeaustralis, molto simile, e vivente negli stessi ambienti di H.
cristata, sino al Sudafrica.
Sono stati misurati 90 crani di H. cristata provenienti dall’intero areale della specie, oltre a
12 crani di H. africaeaustralis, e 21 crani di Istrice orientale H. indica, utilizzati come controllo nelle analisi multivariate e discriminanti. L’analisi di 17 misure lineari del cranio,
mediante PCA, ha chiaramente identificato gruppi separati (P < 0,01) nettamente nell’ambito dell’areale, sia europeo e nord-africano, che sub-sahariano. Infatti, le popolazioni italiane continentali, siciliane, e nord africane, pur essendo, come già dimostrato, apparentemente eterogenee tra loro, risultano, ad una scala diversa di organizzazione, tra loro più
simili rispetto alle popolazioni del sud del Sahara. Queste ultime presentano gruppi occidentali di taglia più contenuta, gruppi centrali che seguono un cline geografico per lo più
orizzontale e popolazioni orientali molto differenziate e con caratteristiche proprie e peculiari (dimensioni maggiori e apparente “somiglianza” con H. africaeaustralis. In quest’ottica si discute anche la precedente attribuzione specifica di questi demi come H. galeata, successivamente riconosciuta come sinonimo di H. cristata.
21
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
A SUD DELLE ALPI. FILOGEOGRAFIA E DISTINZIONE GENETICA
DELLE POPOLAZIONI APPENNINICHE DI SPECIE DI UNGULATI,
CARNIVORI E LAGOMORFI
RANDI E., MUCCI N., TABARRONI C.
Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, via Cà Fornacetta 9, 40064 Ozzano Emilia (BO)
Le popolazioni vegetali ed animali, e spesso intere comunità, rispondono ai cambiamenti
climatici evolvendo nuovi adattamenti (tramite processi di selezione naturale), oppure
migrando ed invadendo nuovi habitat. Questi processi si sono ripetuti più volte nel corso del
Quaternario. La distribuzione della biodiversità in Europa è stata ampiamente condizionata
dalle fluttuazioni climatiche determinate dalle glaciazioni. Nelle fasi di massimo glaciale le
popolazioni di mammiferi associate ad habitat temperati e mediterranei, sono state confinate a distribuzioni relitte in aree di rifugio meridionali, da cui sono andate espandendosi nei
successivi periodi interglaciali. L’alternanza di cicli demografici di contrazione-isolamentoespansione-eventuale contatto secondario, ha determinato l’attuale struttura e distribuzione
geografica della diversità genetica (fatti salvi gli interventi antropici). I metodi di analisi
delle genetica molecolare consentono di ricostruire l’evoluzione di linee genealogiche (analisi filogenetica) così come sono distribuite negli areali delle popolazioni (analisi filogeografica). L’analisi filogeografica (genetica molecolare + filogenetica + biogeografia) è un
utile strumento di valutazione dello stato sistematico delle popolazioni. Le Alpi costituiscono una formidabile barriera alla dispersione post-glaciale dai rifugi meridionali, favorendo
il differenziamento di popolazioni locali, sottospecie e specie, come è dimostrato dal numero di specie e sottospecie di mammiferi endemici in Italia. L’applicazione di metodi di analisi filogeografica ha permesso di chiarire lo status tassonomico di alcune importanti popolazioni endemiche dell’Appennino centro-meridionale. La Lepre italica (Lepus corsicanus),
il Capriolo italico (Capreolus c. italicus) rappresentano due casi emblematici di endemismi
meridionali che la zoologia tradizionale aveva identificato in passato, e che le moderne tecniche di analisi filogeografica hanno potuto confermare. Metodi di genetica delle popolazioni consentono di ipotizzare antichi isolamenti a sud delle Alpi di popolazioni che non presentano alcuna chiara struttura filogeografica a livello del continente europeo (come nei casi
delle popolazioni appenninche di Lontra, Lutra lutra, e Lupo, Canis lupus), e di identificare l’esistenza di unicità genetiche anche in popolazioni che sono state estesamente manipolate dall’uomo (come nel caso del Cinghiale, Sus scrofa.
22
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
LA LEPRE SARDA: PUÒ CONSIDERARSI UN’UNITÀ EVOLUTIVA
DI INTERESSE CONSERVAZIONISTICO?
IACOLINA L.1, SCANDURA M.1, FODDAI R.1, BEN SLIMEN H.2,
SUCHENTRUNK F.3, APOLLONIO M.1
1
Dipartimento di Zoologia e Antropologia Biologica, Università di Sassari, via Muroni 25
07100 Sassari; Tel.: 079228667; Fax 079228665; E-mail: [email protected]
2
Laboratory of Molecular Genetics, University of Tunis, Tunisia
3
Research Institute of Wildlife Ecology, University of Vienna, Austria
La popolazione di lepre presente oggi in Sardegna è considerata frutto di un’antica introduzione, che si fa risalire alla tarda Età del Bronzo. Si ritiene sia originaria del Nord Africa,
sebbene in virtù del suo adattamento alle condizioni dell’isola e del prolungato stato di isolamento geografico sia oggi riconosciuta come sottospecie a sé stante: Lepus capensis mediterraneus (Wagner, 1841). Tuttavia, la complessità sistematica del genere Lepus, la vastità
dell’areale di L. capensis e la sua grande variabilità morfologica e genetica hanno indotto
alcuni autori a ritenere auspicabile una revisione della classificazione all’interno di quella
che qualcuno considera una “superspecie”. A parte quello tassonomico, sia pur importante,
l’aspetto che appare di maggiore interesse è cosa la Lepre sarda rappresenti dal punto di
vista evolutivo e quale valore conservazionistico essa possa avere.
Il presente studio è finalizzato a definire lo status genetico della popolazione di Lepre sarda
attraverso l’impiego di marcatori mitocondriali e nucleari. Una porzione (461 bp) della
regione di controllo (D-loop) del mtDNA di 48 lepri campionate in diverse località della
Sardegna è stata sequenziata e confrontata con sequenze pubblicate e non pubblicate di lepri
appartenenti a diversi taxa del genere Lepus.
Un’elevata variabilità è stata riscontrata nei campioni analizzati (diversità nucleotidica =
1,2% e diversità aplotipica Hd = 84,0%). Complessivamente, sono risultati presenti 18 aplotipi diversi, esclusivi della popolazione sarda, suddivisi in due aplogruppi ben differenziati.
I valori di distanza genetica tra le popolazioni poste a confronto, nonché l’analisi col metodo del median network, supportano la tesi di un’origine nordafricana. Tra le popolazioni di
riferimento quella tunisina infatti non solo risulta la più vicina alla popolazione sarda (divergenza nucleotidica pari a Ks= 3,7%), ma ne rispecchia anche la struttura in due aplogruppi.
Notevole risulta invece il differenziamento dalle popolazioni dell’Africa meridionale,
appartenenti alla stessa specie (Ks =16,1%), oltre che dalle altre specie presenti in Italia (L.
europaeus, L. corsicanus, L. timidus). La distribuzione dei mismatch si presenta multimodale, suggerendo che più linee mitocondriali fossero presenti già al momento della fondazione. Dati preliminari ottenuti con un set di 4 loci microsatelliti confermano un sorprendente livello di polimorfismo nella popolazione, non riconducibile all’introgressione di
materiale genetico da specie continentali.
In conclusione, la Lepre sarda rappresenta un taxon con caratteristiche ancora simili a quelle della popolazione di origine, ma in rapida evoluzione e con livelli elevati di variabilità
genetica. Il valore conservazionistico che ne deriva appare pertanto non tanto legato alla sua
attuale classificazione, ma piuttosto al fatto di rappresentare una cosiddetta ESU (evolutionary significant unit).
23
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
QUALE CINGHIALE ABBIAMO OGGI IN ITALIA?
SCANDURA M.1, CRESTANELLO B.2,3, IACOLINA L.1, PECCHIOLI E.2,3,
MANCA G.1, MIGLIORI L.2, APOLLONIO M.1, BERTORELLE G.2
1
Dipartimento di Zoologia e Antropologia Biologica, Università di Sassari, via Muroni 25
07100 Sassari, Tel.. 079228667, Fax: 079228665; E-mail: [email protected]
2
Dipartimento di Biologia, Università di Ferrara, via Corsari 46, 44100 Ferrara
3
Centro di Ecologia Alpina, C.E.A., 38040 Viote del Monte Bondone (TN)
La consistenza e diffusione attuali del cinghiale (Sus scrofa) in Italia sono il risultato di una
progressiva ripresa avvenuta nella seconda metà del secolo scorso e dovuta in larga parte
alle numerose immissioni effettuate in modo incontrollato in tutto il territorio italiano,
impiegando capi di provenienza estera o di allevamento, spesso incrociati con la forma
domestica. La prevedibile conseguenza di queste operazioni è uno stravolgimento della
natura della popolazione italiana di cinghiale, rispetto alle forme (maremmana e sarda) un
tempo presenti.
Scopo di questo studio è stato quello di valutare le caratteristiche genetiche della popolazione attuale di cinghiale, confrontandola con altre popolazioni europee e con la forma
domestica, verificando al contempo se esistano tuttora nuclei che non abbiano risentito dell’inquinamento genetico determinato dalle immissioni incontrollate. A tale scopo un totale
di 253 campioni di Cinghiale, corrispondenti a 10 aree italiane e a 5 europee, e 40 di maiale
sono stati analizzati con un set di 10 loci microsatelliti ed una parte di essi è stata sottoposta al sequenziamento di una porzione (433 bp) della regione di controllo del mtDNA. Per la
popolazione italiana, il campionamento ha riguardato sia aree oggetto di caccia che nuclei
isolati presenti all’interno di aree protette (San Rossore, Castelporziano, Parco Naturale
della Maremma). Il confronto degli aplotipi riscontrati nella popolazione attuale con quelli
di una recente pubblicazione relativi a campioni museali, risalenti a prima che avvenissero
le massicce introduzioni, ha permesso di rilevare soltanto per una minima parte degli individui campionati in Italia l’appartenenza ad una linea mitocondriale esclusiva dei cinghiali
italiani. La maggior parte di essi, sia peninsulari che sardi, si colloca invece in un grosso
clade che include linee selvatiche e razze domestiche europee. Il DNA nucleare ha rivelato
un elevato grado di differenziamento tra le popolazioni (FST = 0,145) ed alti livelli di variabilità sia nella popolazione peninsulare che in quella sarda. La popolazione goriziana è
risultata, come atteso, geneticamente diversa da quelle del centro-sud Italia e ascrivibile al
morfotipo balcanico. In Italia centrale, a fronte di una certa omogeneità riscontrata nelle
popolazioni selvatiche (FST = 0,050), i nuclei attualmente isolati, originati con capi maremmani, sono risultati piuttosto divergenti tra loro, come probabile conseguenza della deriva
genetica. Tutte le popolazioni campionate mostrano i segni dell’introgressione di geni alloctoni, inclusa la popolazione sarda che ciononostante risulta complessivamente ben differenziata da quelle continentali. I dati ottenuti confermano il radicale cambiamento genetico
subito dalla popolazione italiana.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
IL GATTO SELVATICO NELLE ALPI LIGURI: NUOVE
ACQUISIZIONI E AZIONI URGENTI PER LA DIFESA DELLA SPECIE
GAVAGNIN P.1, ZANELLA S.2, NICOSIA E.3, CALVI G.4, LAURA L.2,
VALFIORITO R.5
1
corso Garibaldi 60, 18038 Sanremo; Tel.: 0184570303; E-mail: [email protected]
2
Ufficio PTC, Parchi, Amministrazione Provinciale di Imperia; Tel.: 0183704337
E-mail: [email protected]
3
Regione Liguria, Assessorato all’Ambiente, Politiche dello Sviluppo Sostenibile
E-mail: [email protected]
4
Corpo di Polizia Provinciale, Amministrazione Provinciale di Imperia
viale Matteotti 147, 18100 Imperia; Tel.: 01837041; Fax 0183 704318
5
corso Verbone 199, Soldano Imperia, E-mail: [email protected]
La presenza del Gatto selvatico Felis silvestris sulle Alpi Liguri, di cui esiste una cospicua
raccolta di notizie in letteratura ed un discreto numero di esemplari naturalizzati, non è più
stata documentata dalla fine degli anni settanta.
Nell’ambito del progetto “Biodiversità sulle Alpi Liguri”, finanziato dalla Regione Liguria
e gestito dall’Amministrazione Provinciale di Imperia, è stato destinato uno spazio a questa
specie allo scopo di riorganizzare i dati preesistenti e conseguirne di recenti, tenuto conto
che la presenza pregressa di F. silvestris ha concorso all’individuazione di 7 S.I.C., di cui 6
collocati nel territorio imperiese. Il lavoro si è svolto secondo due direttrici principali. La
base di partenza è stata il riesame della documentazione storica, l’integrazione con nuovi
documenti, l’esecuzione di interviste e la ricerca degli esemplari storici naturalizzati. Uno
degli intenti del lavoro è stato quello di indagare l’esistenza di dati al confine dell’area di
distribuzione, ovvero nelle vicine vallate francesi e nel basso Piemonte. Sono state indagate le superfici boscate provinciali a latifoglie mesofile e la porzione termofila con l’esecuzione di percorsi campione stabiliti sulla base delle segnalazioni storiche preesistenti.
Durante i percorsi sono stati determinati l’idoneità forestale complessiva ed è stata ricercata la presenza di impronte, depositi fecali e marcature territoriali della specie. E’ stato predisposto un GIS in cui sono stati poi inseriti anche dati circa l’esistenza di corridoi faunistici, di specie predatrici e/o competitrici, di fattori di disturbo umano. Nella scelta dei transetti sono state preferite le aree lontane dall’abitato e da insediamenti umani. Sono state condotte 27 interviste con cacciatori e anziani per appurare l’esistenza di segnalazioni recenti e
le condizioni dell’avvistamento. I riscontri positivi sono stati pari al 98%. E’ stata individuata un’area di saggio nella Valle Argentina dove le ricerche di campo su percorsi diurni e
notturni con il faro, hanno consentito di rilevare tane, depositi fecali e campioni di pelo.
Dall’area proviene anche una pelle; altre due riguardano la Valle Nervia. Le interviste evidenziano come il Gatto selvatico sia avvistato durante le battute di caccia al Cinghiale e,
presumibilmente, anche cacciato.
Emerge la necessità di proseguire la ricerca estendendo l’area di studio e porre in atto, da un
lato, migliori misure di controllo dell’impatto della caccia e, dall’altro, azioni di educazione ambientale del mondo venatorio conformemente a quanto previsto dall’Unione Europea.
25
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
STATUS DELL’ORSO BRUNO (URSUS ARCTOS)
NELL’APPENNINO: PROSPETTIVE DI CONSERVAZIONE
POTENA G., SAMMARONE L., POSILLICO M.
Corpo Forestale dello Stato, Ufficio Foreste Demaniali, via Sangro 45
67031 Castel di Sangro (AQ); E-mail: [email protected]
La popolazione di Orso bruno (Ursus arctos) che abita l’Appennino centrale è numericamente ridotta (molto probabilmente < 50 individui) e sopravvive in un’area ampia oltre 2000
km2 caratterizzata da una estesa frammentazione amministrativa (3 Regioni, diverse province, almeno 2 parchi nazionali e diverse altre aree protette). Quest’ultimo fattore ha una
grossa importanza nel condizionare le prospettive di conservazione della specie che devono
essere rappresentate da azioni coordinate dal punto di vista metodologico e dal punto di vista
delle priorità di intervento. Nonostante i grossi sforzi effettuati per acquisire informazioni
relative all’ecologia, solo dalla fine del 2003 è in atto un coordinamento tra le amministrazioni che hanno capacità operativa nell’area del core range della popolazione di Orso.
Grazie a questa sinergia sono in corso ricerche che stanno permettendo di acquisire i dati
sull’uso dello spazio e sulla consistenza della popolazione, necessari per consentire un’identificazione più precisa delle strategie di conservazione da implementare nel futuro.
Ovviamente, sono già immediatamente realizzabili in maniera proactive alcuni interventi a
carattere strutturale che garantiscano nell’immediato una gestione più efficace di questa
popolazione. Tali interventi comprendono, ad esempio, la redazione e implementazione di
un piano di conservazione - come già avvenuto per altre specie protette della fauna italiana
- ed una partecipazione più organica delle amministrazioni locali. Quest’ultima deve realizzarsi sia nella fase di finanziamento degli interventi e delle necessarie ricerche e, soprattutto, deve prevedere la messa a punto e l’implementazione di strumenti normativi che garantiscano - attraverso il principio della precauzionalità - la conservazione dell’habitat della
specie mantenendo l’idoneità del territorio almeno ai livelli attuali. Tali interventi consentirebbero, tra l’altro, un notevole risparmio di risorse umane e finanziarie che vengono continuamente spese per far fronte alle emergenze ambientali causate dalla proposta di attuazione di grossi progetti infrastrutturali che comportano da parte della pubblica amministrazione un continuo investimento di risorse nelle diverse fasi che caratterizzano il loro iter amministrativo.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
VARIAZIONE DELL’AREALE ITALIANO DELLA LONTRA
(LUTRA LUTRA) NEGLI ULTIMI 100 ANNI
PRIGIONI C., REMONTI L., BALESTRIERI A., SGROSSO S., PRIORE G.
Dipartimento di Biologia Animale, Università di Pavia, piazza Botta 9, 27100 Pavia
E-mail: [email protected]
In Europa, l’areale della Lontra (Lutra lutra) si è fortemente ridotto intorno agli anni ’50 a
causa di vari fattori concomitanti, quali l’inquinamento delle acque con conseguente riduzione delle risorse ittiche utilizzate dalla specie, la distruzione della vegetazione riparia e dei
siti riproduttivi, la caccia e l’uccisione di animali causata dal traffico veicolare. In aggiunta,
per i paesi del bacino del Mediterraneo, la riduzione delle portate dei corsi idrici per scopi
irrigui e i prolungati periodi di siccità hanno giocato un ruolo importante nella frammentazione dell’areale della specie. Questi fattori hanno inciso pesantemente sulla popolazione
italiana che allo stato attuale è quella più esposta a rischio di estinzione nell’ambito dei paesi
mediterranei.
Il presente studio esamina la variazione dell’areale della Lontra negli ultimi 100 anni, attraverso la ripartizione dei dati sulla distribuzione, secondo il reticolo 10x10 km (IGMI), per i
seguenti periodi: 1900-1966, 1967-1977, 1984-1991 e 1992-2004, di cui i primi due raggruppano le informazioni derivanti da indagini mediante questionari e gli altri due i dati
relativi all’accertamento indiretto della presenza della specie (ricerca dei segni di presenza,
in particolare feci e secreti delle ghiandole anali).
Poiché i dati sono stati raccolti con differenti metodi applicati ad aree geografiche diverse,
la variazione dell’areale della specie da un periodo all’altro è stata valutata mediante un
indice percentuale, ottenuto dal rapporto tra il numero di quadrati positivi per la Lontra registrati in un determinato periodo (ad es. 1900-1966) e il numero di quadrati confermati
(sovrapposti o contigui a quelli del 1900-1966) nel periodo successivo (1967-1977). Per il
1992-2004 sono stati inoltre misurati lo sviluppo lineare dei corsi idrici ospitanti la Lontra
e la distanza tra le sorgenti degli stessi, al fine di valutare la frammentazione dell’areale.
Fiumi con sorgenti distanti più di 10 km erano assegnati a distinte aree di distribuzione.
L’areale della Lontra era già fortemente ristretto alla fine del 1967-1977, particolarmente al
nord Italia con una riduzione del 43,6% rispetto al 1900-1966. La riduzione più evidente sull’intera penisola è avvenuta dal 1967-1977 al 1984-91 con l’86,0% al nord e il 62,9% al sud.
Attualmente, la specie è scomparsa al nord, è estremamente localizzata al centro e sembra
in espansione al sud con un ampliamento dell’areale del 27,4% rispetto al 1984-91, che
potrebbe essere imputabile più all’intensificazione delle ricerche che ad una effettiva espansione della specie.
L’attuale areale, disgiunto in due aree, è stimato in 9500 km2, di cui il 90,5% ricade al sud
(Basilicata, Campania, Calabria e Puglia) e il 9,5% al centro (Molise). La presenza della
specie è stata accertata in 66 corsi idrici, di cui quelli principali hanno uno sviluppo lineare
complessivo di 1140 km circa.
La definizione di un Piano Nazionale d’Azione è di primaria importanza per favorire, da un
lato, il miglioramento generale degli ecosistemi fluviali e, dall’altro, il congiungimento dei
sub-areali per ristabilire il flusso genico tra le popolazioni attualmente isolate.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
PRESENZA DEL LUPO SULLE ALPI LIGURI
GAVAGNIN P.1, ZANELLA S.2, NICOSIA E.3, CALVI G.4, LAURA L.2,
VALFIORITO R.5
1
corso Garibaldi 60, 18038 Sanremo; Tel.: 0184570303; E-mail: [email protected]
2
Ufficio PTC-Parchi, Amministrazione Provinciale di Imperia; Tel.: 0183704337
E-mail: [email protected]
3
Regione Liguria, Assessorato all’Ambiente, Politiche dello Sviluppo Sostenibile
E-mail: [email protected]
4
Corpo di Polizia Provinciale, Amministrazione Provinciale di Imperia, viale Matteotti
147, 18100 Imperia; Tel.: 01837041; Fax 0183 704318, Imperia
5
corso Verbone 199, Soldano, Imperia; E-mail: [email protected]
La presenza del Lupo Canis lupus sulle Alpi Liguri è stata documentata a partire dal 1997.
Da questo anno in poi sono stati raccolti dati che sono confluiti nel progetto “Biodiversità
sulle Alpi Liguri”, finanziato dalla Regione Liguria (come Obiettivo 2 Misura 6B) e gestito
dall’Amministrazione Provinciale di Imperia. L’area su cui è stata svolta la ricerca è quella
delle Alpi Liguri e si estende per circa 300 km2. Scopo dell’indagine è stato quello di valutare la presenza della specie, differenziando se si trattava dell’uso del territorio da parte di
un branco transfrontaliero o, viceversa, di animali più “stanziali”. Il metodo di studio è consistito nell’individuazione dei segni di presenza (escrementi, impronte e piste, resti di predazione) percorrendo transetti due volte per stagione. I dati sono stati inseriti in un sistema
GIS unitamente a quelli relativi alla presenza di ungulati selvatici, alla zonazione e alla
distribuzione sul territorio del bestiame domestico e degli alpeggi, all’estensione e ripartizione della superficie boscata. Sono stati valutati anche i dati emersi dall’inchiesta storicoetnografica condotta in parallelo nell’ambito del progetto. Dal 1999 sono state eseguite sessioni di wolf-howling trasmettendo ululati registrati in stazioni prestabilite. I risultati sono
stati positivi nel 78% dei casi; il maggior numero di risposte è stato registrato quando gli
ululati indotti erano eseguiti appena prima dell’alba. Dal 2002 è emersa dai segni di presenza riscontrati una maggiore presenza della specie in un’area di circa 120 km2. L’area in
questione comprende una superficie boscata coincidente con la ZPS (Zona di Protezione
Speciale) di Sciorella (IT 1314678) dove è presente una ricca fauna ungulata. Allo scopo di
valutare la presenza di siti di tana o di rendez-vous e di cuccioli, sono state eseguite sessioni di wolf-howling diverse dalle precedenti, ovvero eseguite nel bosco in modo localizzato.
La stima che si ritiene probabile è quella di 3-4 lupi nell’area di studio a partire da un nucleo
familiare iniziale di due animali.
Si ritiene che questo branco sia stanziale nella parte montana delle Valli Argentina e
Arroscia, per una superficie di circa 290 km2, e che abbia la zona principale di presenza tra
le due valli.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
CONSERVAZIONE E GESTIONE DEL CAPRIOLO ITALICO
CAPREOLUS CAPREOLUS ITALICUS FESTA, 1925
CARNEVALI L., TOSO S., RIGA F., LOVARI S.1
Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, via Cà Fornacetta 9, 40064 Ozzano Emilia (BO)
Tel.: 0516512263; Fax: 051796628; E-mail: [email protected]
1
Sezione di Ecologia Comportamentale, Etologia e Gestione della Fauna Selvatica,
Dipartimento di Scienze Ambientali, via P.A. Mattioli 8bis, 53100 Siena
Tel.: 0577232955; Fax: 0577232825; E-mail: [email protected]
Le popolazioni di Capriolo storicamente ritenute autoctone ed appartenenti alla sottospecie
italica (Castelporziano, Orsomarso, Gargano) sono risultate geneticamente distinte dalle
altre forme europee e da quelle presenti nell’Arco alpino e nell’Appennino settentrionale.
Inoltre, è stato dimostrato che la presenza di questa forma non è limitata soltanto alle tre
popolazioni “storiche”, ma si estende anche alla Maremma grossetana, al Lazio settentrionale e ad alcune aree delle province di Siena e Pisa. Allo stato attuale, le popolazioni toscane del Capriolo italico, nonostante siano oggetto di prelievo venatorio, sono quelle che presentano il migliore stato di conservazione: le consistenze sono in generale incremento e l’areale si sta espandendo verso Sud. Tuttavia, la prossimità con aree dove sono stati realizzati interventi di reintroduzione con caprioli non autoctoni (es. Monte Amiata) può rappresentare una reale minaccia per la conservazione dell’integrità genetica delle popolazioni di
Capriolo italico. Il nucleo di caprioli italici della Tenuta presidenziale di Castelporziano ha
evidenziato negli ultimi anni una significativa diminuzione della densità (da 15,5 a 6
ind./km2), dovuto probabilmente ad una coesistenza di fattori limitanti quali la competizione con il Daino e condizioni atmosferiche sfavorevoli. Due conteggi di caprioli per areecampione, in battuta, per un totale di circa il 9% della superficie boscosa (Foresta Umbra,
ca. 11.000 ha, Parco Nazionale del Gargano), nel 2003 e nel 2004, suggeriscono una densità
approssimativa di 6 ind./100 ha. L’area di distribuzione del Capriolo di Orsomarso (Parco
Nazionale del Pollino) sembra essere aumentata di oltre il 100% tra il 1994 e il 2004, anche
se informazioni attendibili sulla sua densità ancora mancano.
Le strategie di conservazione del Capriolo italico dovrebbero essere quindi differenziate a
seconda delle caratteristiche delle singole popolazioni:
a) Popolazioni “storiche”: costante monitoraggioi, attenuazione dei fattori limitanti (bracconaggio, randagismo canino, competizione con il Daino ecc.), uso esclusivo di fondatori
appartenenti alla forma autoctona negli eventuali progetti di restocking.
b) Popolazioni della Toscana e del Lazio settentrionale: monitoraggio genetico a larga scala,
gestione venatoria sostenibile finalizzata all’espansione delle popolazioni nei distretti interessati dalla presenza del Capriolo italico.
c) Capriolo europeo nello areale originario della sottospecie autoctona: specifica indagine
sulla presenza di caprioli europei in aree faunistiche o recinti in Italia meridionale; monitoraggio della popolazione di caprioli europei nel Parco Nazionale della Sila per accertarne
l’attuale distribuzione e consistenza e per programmare eventuali interventi di gestione.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
DISTRIBUZIONE E CARATTERISTICHE ECOLOGICHE DELLA
LEPRE ITALICA (LEPUS CORSICANUS DE WINTON, 1898)
E DELLA LEPRE COMUNE (LEPUS EUROPAEUS PALLAS, 1898)
IN PROVINCIA DI GROSSETO
MACCHIA M., RIGA F., TROCCHI W.
Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica “A. Ghigi”, via Ca’ Fornacetta 9, 40068 Ozzano
dell’Emilia (BO); Tel. 051651263; Fax 051796628; E-mail [email protected]
Con il presente lavoro sono state evidenziate l’area di distribuzione della Lepre italica entro
la Provincia di Grosseto e alcune differenze nell’uso dell’habitat tra la Lepre italica e la
Lepre comune.
L’area di studio è rappresentata dal territorio della Provincia di Grosseto. I punti di localizzazione dei Lagomorfi sono stati rilevati mediante percorsi notturni con fari, GPS e telemetro in 74 aree (delle quali il 61% a divieto di caccia) per un totale di 107 transetti e 878 km.
Gli avvistamenti georeferenziati sono stati 405 (di cui 33 per la Lepre italica). Altri dati sono
stati raccolti nel corso di 10 operazioni di cattura entro 7 ZRC (Zone di Ripopolamento e
Cattura). Sono stati confrontati campioni rappresentati da aree buffer circolari (r = 200 m)
tracciate intorno ai punti di localizzazione delle lepri. Per alcune variabili ambientali misurate entro le aree buffer (ArcMap 8.3) sono state eseguite analisi statistiche (SPSS 10.1).
La distribuzione della Lepre italica è limitata alla parte meridionale della Provincia, al di
sotto della S.S. 74. Viceversa, la Lepre comune presenta un’ampia diffusione in tutta l’area
di studio. La Lepre italica è presente solo in aree in cui non si esercitano traslocazioni né
prelievo venatorio di lepri da almeno 5 anni. Essa occupa un numero inferiore di Tipi climatici rispetto alla Lepre comune, con la quasi totalità delle osservazioni situate entro il
Tipo “subumido asciutto” (secondo l’Indice di umidità globale di Thornthwaite). In attività
di alimentazione la Lepre italica occupa 4 Tipi CORINE (boschi di latifoglie miste, seminativi in aree non irrigue, prati stabili, brughiere/cespuglieti), mentre la Lepre comune si alimenta prevalentemente su seminativi in aree non irrigue, secondariamente su prati stabili e
in boschi di latifoglie. Le lepri italiche sono state osservate sempre su aree marginali o intercalari ai boschi di latifoglie, ad una distanza massima di 150 m da essi; viceversa, le lepri
comuni sono state osservate fino a 11 km dai boschi.
L’ampia disponibilità provinciale/regionale dei boschi di latifoglie induce ad un’analisi di
maggior dettaglio riguardo alla composizione vegetazionale. Attualmente è stata osservata
un’ampia sovrapposizione tra l’area di distribuzione provinciale/regionale della Lepre italica e quella del Tipo forestale “Boschi di Cerro e Farnetto”.
Le caratteristiche ecologiche più evidenti, rilevate in Provincia di Grosseto, sono l’associazione tra la presenza di lepri italiche e alcune tipologie climatiche e di copertura del suolo.
Tuttavia, si evidenzia la discrepanza tra disponibilità e uso di alcuni tipi di habitat su scala
provinciale/regionale.
__________________________
Si ringrazia l’Amministrazione Provinciale di Grosseto per il finanziamento del progetto.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
PRIMI DATI SULLA POPOLAZIONE DI NUTRIA (MYOCASTOR COYPUS) IN UN’AREA COLTIVATA DELLA PIANURA PADANA,
LA VALLE DEL MEZZANO (FE)
PAGNONI G.A.1, SANTOLINI R.2
1
Istituto Delta di Ecologia Applicata Srl, via Puccini 29, 44100 Ferrara
E-mail: [email protected]
2
Istituto di Scienze Morfologiche, Università di Urbino, Campus scientifico Sogesta
61029 Urbino; E-mail: [email protected]
Nel Ferrarese si stimano le maggiori concentrazioni di Nutria Myocastor coypus della regione Emilia Romagna, pari a una popolazione di almeno 36000 individui.
In questo lavoro, per l’analisi della struttura di popolazione si è scelto un’area di 40 ha rinaturalizzata a zona umida. Dal marzo 2003 al maggio 2004 sono state condotte 12 sessioni di
cattura di circa una settimana ciascuna con gabbie. L’analisi dell’età é stata basata sul peso
secco del cristallino.
Nel Mezzano, i giovani (età < 8 mesi) sono risultati il 56% della popolazione e la coorte più
rappresentata è quella degli individui con età compresa tra i 2 e i 4 mesi. L’età media di tutti
gli individui catturati, calcolata secondo Cossignani e Velatta, è di 0,76 mesi superiore a
quella stimata secondo Gosling e collaboratori. Visto il basso errore (3% dell’età massima),
il metodo risulta sufficientemente adatto per analisi di tipo gestionale. Si nota una leggera
differenza in peso tra maschi e femmine: 5 e 6 kg le classi più frequenti per le femmine a
causa dell’elevata percentuale di individui gravidi, 4 e 5 Kg per i maschi. L’indice di condizione (IK) varia tra 34,1 a 45,2, con minimi nel periodo invernale e massimi nel periodo
primaverile-estivo in conseguenza delle migliori condizioni ambientali e della maggiore
disponibilità trofica. Mediamente oltre il 75% della popolazione femminile è in stato di gravidanza e tra marzo e giugno si raggiunge il 100%. La maggior parte dei parti avviene in
tarda primavera ed estate ed un secondo picco si verifica all’inizio dell’inverno in relazione
alle caratteristiche ambientali e alle condizioni meteorologiche. La dominanza maschile è
evidente negli embrioni (M/F=1,23:1) e nelle classi giovanili (< 8 mesi, M/F=1,47:1). Col
passare del tempo il rapporto sessi diviene paritario (negli adulti ≥ 8 mesi M/F=1,04:1) e
nelle classi più anziane (>12 mesi) si comincia a vedere la preponderanza delle femmine con
M/F=0,53:1. La porzione dei giovani della popolazione e la bassa percentuale di maschi
nelle classi adulte sono probabilmente conseguenze della intensa pressione dei piani di limitazione. Ciò induce a considerare che un fattore limitante quale un’azione di contenimento,
sia più efficace nel momento di crisi della popolazione, quale un inverno particolarmente
rigido, in cui effettuare una forte e duratura pressione di selezione.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
ARVICOLA TERRESTRIS TERRESTRIS IN ALTO ADIGE
SCARAVELLI D.1, LADURNER E.2
1
Associazione Chiroptera Italica, via Veclezio 10a, 47100 Forlì; E-mail: [email protected]
2
Museo Scienze Naturali Alto Adige, via Bottai 1, 39100 Bolzano
E-mail: [email protected]
Arvicola terrestris Linnaeus 1758 è una specie dalla complessa sistematica, distribuita con
numerose forme fossorie e semiacquatiche in buona parte dell’Europa ed Asia, dal Medio
Oriente alla Siberia, mancando dalla Francia occidentale e dalle penisole iberica e greca. In
Italia, è da ritenere originariamente presente in tutta la penisola ma oggi appare sempre più
localizzata.
Le sottospecie citate per l’Italia sono: A. terrestris italicus Savi, 1839, presente con forme
acquatiche e distribuita sull’intera penisola, A. t. musignani De Sélys Longchamps, 1839,
segnalata per le aree tirreniche e meridionali, di cui è incerto il ruolo sistematico e A. t.
scherman (Shaw, 1801), piccola forma sotterranea, accertata recentemente per l’area alpina
orientale.
Qui si riporta un primo approccio alla distribuzione ed identità sistematica delle Arvicola
terrestris rinvenibili in Alto Adige. Gli esemplari presenti nelle collezioni del Museo di
Scienze Naturali di Bolzano (MSNB) sono stati confrontati con altri provenienti dall’area
ravennate e con gli esemplari di A. t. scherman della collezione di Padova. I pochi esemplari
finora esaminati fanno presupporre l’attribuzione a A. t. terrestris Linnaeus 1758, forma
grande e fossoria che occupa tutta la parte centroeuropea dell’areale della specie.
Oltre che per gli ambiti dimensionali, i crani esaminati non mostrano la spiccata proodonzia di A. t. scherman ma rimangono praticamente ortodonti con un indice di Corbet e colleghi di 0,085. Tale valore non è significativamente diverso da quello riscontrato in A. t. italicus (media 0,024), dove a volte assume anche valori appena negativi (opistodonzia).
Di seguito, sono riportati alcuni dati morfometrici craniali, espressi come media in mm e
(D.S.), di A. t. terrestris del MSNB e di A. t. italicus della provincia di Ravenna.
A. t. terrestris: lunghezza condilo-basale 32,76 (3,43), lunghezza M1M3 8,70 (0,81),
Lunghezza bulla 7,10 (0,69), restringimento interorbitale 4,82 (0,16), larghezza nasali 4,42
(0,40), altezza cranio 11,30 (0,85), lunghezza mandibola 22,81 (2,60), altezza mandibola
10,79 (0,82), lunghezza M1M3 8,43 (0,95).
A. t. italicus: lunghezza condilo-basale 36,45 (1,25), L. M1M3 9,35 (0,48), lunghezza bulla
8,81 (0,65), restringimento interorbitale 5,18 (0,33), larghezza nasali 3,91 (0,52), altezza
cranio 12,44 (0,02), lunghezza mandibola 25,25 (0,97), altezza mandibola 12,67 (0,40), lunghezza M1M3 9,79 (0,44).
In aggiunta, sono riportate informazioni sull’attuale distribuzione di Arvicola t. terrestris in
Alto Adige.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
TALPA CAECA SAVI, 1822 NUOVA SPECIE PER IL MOLISE
SCARAVELLI D.1, MANCINI M.2
1
2
Associazione Chiroptera Italica, via Veclezio 10a, 47100 Forlì; E-mail: [email protected]
Università degli Studi del Molise, Ufficio Ricerca Scientifica, II Edificio Polifunzionale
via De Sanctis, 86100 Campobasso; E-mail: [email protected]
Talpa caeca è presente nella penisola italiana e nell’area tra Montenegro, Macedonia e
Grecia; popolazioni ancora da indagare dal punto di vista sistematico sono segnalate anche
in Turchia. In Italia T. caeca è segnalata nelle Alpi occidentali fino al Monte Baldo e alla
Lessinia e, in Appennino, dalle aree più settentrionali fino al Pollino e alla Sila; la conoscenza della sua distribuzione è tuttavia ancora puntiforme con rari riscontri per tutta la
penisola.
La regione Molise è di notevole interesse biogeografico per la sovrapposizione di faune
marcatamente appenniniche con quelle adriatico-meridionali. La sua teriofauna è ancora
poco nota, nonostante i pionieristici lavori di Altobello dell’inizio del XX secolo. Lo stesso
autore, per quanto riguarda le talpe, cita come presente in Molise la sola T. romana.
Nell’ambito di indagini naturalistiche condotte in questa regione, il 1 settembre del 2000, a
quota 1360 m s.l.m., nell’abetina ad Abies alba denominata Abeti Soprani (comune di
Pescopennataro, provincia di Isernia), un esemplare di talpa morto è stato raccolto ai margini della Strada Provinciale Prato Gentile. L’animale, di sesso maschile, al rilievo presentava un peso di 30,9 g e le seguenti misure in mm: lunghezza testa-coda 100; lunghezza coda
24,7; lunghezza piede posteriore 15,0; lunghezza unghia media anteriore 1,5; lunghezza
condilo-basale 29,7; lunghezza totale cranio 30,45; larghezza ai parietali 15,2; larghezza
zigomatica 10,22; larghezza interorbitale 7,46; ampiezza ai canini 3,82. La palpebra saldata ma soprattutto le caratteristiche biometriche e morfologiche (in particolare la forma cecoide del bacino) e i valori degli indici cranici trovati (proposti in letteratura), fanno attribuire
l’esemplare a T. caeca. Il rilievo di questa specie oltre ad aggiungere un taxon di notevole
interesse biogeografico alla già ricca fauna molisana, induce all’intensificazione delle ricerche nei territori montani peninsulari.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
IL GENERE APODEMUS (SOTTOGENERE SYLVAEMUS)
NELL’ITALIA NORD-ORIENTALE: VALIDAZIONE MOLECOLARE
DI TECNICHE PER L’IDENTIFICAZIONE DELLA SPECIE
COLLI L., NIEDER L.
Dipartimento di Biologia Evolutiva e Funzionale, Università di Parma, Parco Area delle
Scienze 11/a, 43100 Parma; E-mail: [email protected]; [email protected]
Le specie appartenenti al genere Apodemus (sottogenere Sylvaemus) sono caratterizzate da
un notevole grado di variabilità somatica associata alla distribuzione geografica.
Per quanto riguarda l’Italia, la discriminazione tra le specie A. flavicollis (Topo selvatico dal
collo giallo) e A. sylvaticus (Topo selvatico) risulta particolarmente complessa a causa di un
fenomeno di convergenza dimensionale e morfologica che invalida parzialmente l’efficacia
dei criteri diagnostici tradizionali. In area alpina, le due specie possono convivere sintopicamente con A. alpicola, il Topo selvatico alpino, elevato di recente al rango di “buona specie” grazie ad indagini genetiche. I caratteri macromorfologici e biometrici di quest’ultima
specie presentano variabilità intermedia rispetto a quelli di A. flavicollis e A. sylvaticus, rendendo ancora più complesso il riconoscimento delle specie.
Scopo del presente lavoro è stato quello di fornire nuovi dati circa la presenza e distribuzione delle specie di topo selvatico nell’Italia nord-orientale, valutando nel contempo l’efficacia di numerosi metodi di identificazione proposti in passato per il riconoscimento degli
Apodemus.
La ricerca è stata indirizzata verso un’area geografica comprendente il Trentino-Alto Adige
ed il Friuli-Venezia Giulia, per condurre contemporaneamente un’indagine sulla possibile
presenza di A. alpicola, specie endemica delle Alpi di cui non si conosce ancora con precisione l’estensione del margine orientale dell’areale.
Il campione di partenza era costituito da 230 esemplari catturati durante campagne di trappolaggio condotte tra il 2002 ed il 2004.
Gli individui sono stati sottoposti ad analisi genetiche (analisi RFLP e PCR con primers specie-specifici) per disporre di un’attendibile identificazione della specie d’appartenenza.
Successivamente, per ciascun individuo sono stati rilevati 21 parametri relativi a colorazione del mantello, dimensioni e morfologia del corpo e del cranio; tali rilevamenti hanno permesso di applicare 14 metodi di tipo biometrico o morfomeristico, tradizionalmente impiegati nella diagnosi sistematica, e di valutare l’efficacia di tali tecniche confrontandone l’esito con il dato genetico di partenza.
I risultati ottenuti hanno rivelato che l’efficacia dei metodi tradizionali varia considerevolmente e che la concordanza con l’esito di tecniche molecolari oscilla tra il 50-97%. La
variabilità individuale riscontrata globalmente all’interno del campione ha confermato la
complessità del problema dell’attribuzione specie-specifica nelle popolazioni italiane di
Apodemus.
L’insieme delle analisi condotte, inoltre, ci ha permesso di proporre alcune considerazioni
circa l’impiego dei criteri e metodi di discriminazione nella diagnosi sistematica delle specie di Apodemus, dove, in assenza di conferme genetiche, l’approccio più conservativo è
sicuramente rappresentato dall’applicazione contemporanea di un’insieme di metodologie.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
DENSITÀ E USO DELL’HABITAT DI LEPRE SARDA
(LEPUS CAPENSIS MEDITERRANEUS) E CONIGLIO SELVATICO
(ORYCTOLAGUS CUNICULUS) IN AREE PROTETTE
DELLA SARDEGNA
LUCHETTI S.1, SACCHI O.2, MERIGGI A.3
1
Dipartimento di Zoologia e Antropologia Biologica, Università di Sassari
via Muroni 25, 07100 Sassari Italia
2
Platypus S.r.l., via Pedroni 13, 20161 Milano
3
Dipartimento di Biologia Animale, Università di Pavia, piazza Botta 9, 27100 Pavia
La Lepre sarda in Europa è presente solo in Sardegna, mentre il Coniglio selvatico è largamente diffuso in vaste regioni del continente. Entrambe le specie sono importanti dal punto
di vista gestionale e la prima anche per la conservazione. Le conoscenze attuali sullo status
delle due specie in Sardegna sono scarse e frammentarie. Negli ultimi anni, entrambe le specie appaiono in declino, probabilmente a causa della riduzione di habitat idonei. Il presente
studio fornisce un contributo alle conoscenze sulla loro distribuzione ed ecologia. Esso è
stato effettuato in 14 aree protette distribuite su tutta la Sardegna, tramite censimenti notturni ed osservazioni diurne da marzo 2003 a settembre 2004. La composizione dell’habitat
attorno ai punti di osservazione degli animali in buffer di 100 e 200 m di raggio è stata confrontata, con quella di buffer, del medesimo raggio, attorno a punti distribuiti casualmente
nelle aree di studio mediante Analisi di Funzione Discriminate (AFD). Con i dati dei censimenti notturni è stata valutata la selezione dei tipi di uso del suolo (misurati nei buffer con
Arcview 3.2, utilizzando la carta di Uso del Suolo CORINE IV) attraverso il test del 2 ed
i limiti fiduciali di Bonferroni. Il Coniglio è risultato presente in 4 delle 14 aree di studio
con densità variabili da 3,5 ind./km2 nell’Oasi di Protezione Faunistica di Costa Rei a 15,3
ind./km2 a Monte Anzu. Nove variabili hanno avuto differenze significative tra i punti di
osservazione e i punti casuali: legati alla presenza del Coniglio sono le aree agro-residenziali, la macchia e i bacini artificiali. L’AFD ha classificato correttamente il 72,7% dei casi
totali (60,2% dei punti di osservazione e 81,3% dei punti casuali; 2=60,48; P<0,0001). Il
confronto tra i buffer di 200 m di diametro attorno ai punti di osservazione e ai punti casuali ha evidenziato l’esistenza di differenze significative per 12 variabili dell’uso del suolo. L’
AFD ha classificato correttamente il 74,4% dei casi totali (61,2% di quelli di presenza e
83,3% di quelli casuali; 2=67,66; P<0,0001). Il Coniglio ha sovrautilizzato la macchia
mediterranea (P<0.05) e i seminativi non irrigui (P<0.01). Le densità più elevate di lepri
sono state registrate nel Parco Nazionale dell’Isola dell’Asinara (76,3 ind./kmq). Sette variabili di uso del suolo hanno avuto valori medi diversi tra i punti di osservazione e i punti
casuali. L’AFD sui buffer di 200 m ha classificato il 58,2% dei casi originali (84,5% dei
punti di osservazione e 34,7% di punti casuali; 2=32,18; P<0,0001). Dalle lepri sono stati
sovrautilizzati (P<0.01) i prati artificiali e i pascoli, e sottoutilizzati (P<0,01) i seminativi.
La Lepre sembra avere una presenza più diffusa del Coniglio in Sardegna e densità di popolazione localmente più elevate. La macchia mediterranea è importante per entrambe le specie e la Lepre, rispetto al Coniglio, utilizza maggiormente le zone coltivate. Gli ambienti
chiave per la conservazione delle due specie sono individuabili nell’alternanza di zone a
macchia alternate ad aree aperte.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
L’ARVICOLA DELLE NEVI (CHIONOMYS NIVALIS)
NELL’APPENNINO CENTRALE: PRIMI DATI
BUSCEMI A., TUCCINARDI P.
Cooperativa Fauna urbis via Faustino Bertenghi 25, 00124 Roma
Tel.: 3392757268; Fax 0656352695; E-mail: [email protected]
Questo lavoro presenta i primi risultati di una ricerca condotta dal 2001 al 2004, i cui scopi
erano: definire la distribuzione dell’Arvicola delle nevi (Chionomys nivalis) all’interno del
Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e della Riserva Naturale Parziale
Montagne della Duchessa; confrontare le caratteristiche morfologiche-morfometriche delle
due popolazioni con quelle di altre popolazioni; definire la posizione tassonomica della specie nell’Appennino centrale.
Sono stati effettuati sopralluoghi nelle due zone protette, cercando tutte le situazioni idonee
alla specie, caratterizzate da accumuli di sassi e massi, sia su prato che in bosco. Sono stati
realizzati trappolamenti in 21 siti posti tra 950 e 2164 m s.l.m.
In ogni stazione sono state posizionate da 5 a 100 trappole a vivo di tipo LOT, lasciate attive da 2 a 7 notti per un totale di 3224 notti-trappola. In 7 siti sono stati catturati 13 individui di C. nivalis, tutti adulti. Il rapporto tra individui catturati e notti-trappola (0,0077) nelle
stazioni dove la specie è stata catturata, riflette una bassa densità della popolazione
dell’Appennino centrale in contrasto con la diffusa impressione dei frequentatori della montagna di una massiccia presenza della specie. Tale impressione potrebbe essere imputabile
alla sua antropofilia e alle sue abitudini parzialmente diurne.
La cattura di un’Arvicola delle nevi a quota 1450 m sul Gran Sasso segna, per ora, il limite
altitudinale inferiore di presenza della specie nell’area di studio.
I parametri morfometrici delle popolazioni delle due zone protette sono stati confrontati con
quelli di alcune popolazioni (Francia, Svizzera, Croazia, Italia Gran Paradiso) per le quali i
dati erano disponibili in letteratura. Differenze significative (Kruskal-Wallis Test e Least
Significant Difference, P=0,05) sono risultate tra la popolazione delle Montagne della
Duchessa e quella della Croazia per quel che riguarda la lunghezza testa-corpo e l’indice
lunghezza della coda x 100/lunghezza testa-corpo, utilizzato da precedenti autori per distinguere le sottospecie di C. nivalis. La stessa popolazione croata si differenzia significativamente da quella del Gran Sasso per la lunghezza del piede posteriore.
Per quanto riguarda le caratteristiche morfologiche, gli individui catturati sul massiccio del
Gran Sasso avevano il dorso marrone-rossiccio, il ventre grigio e il sottopelo del dorso grigio scuro, in accordo con quanto riportato in bibliografia per gli esemplari della regione
mediterranea, a differenza, invece, degli individui delle Montagne della Duchessa che presentavano una pelliccia di colore grigio argento, più scura sul dorso e quasi bianca sul ventre.
Per la definizione della posizione tassonomica della popolazione di C. nivalis
dell’Appennino centrale, allo stato attuale è stato possibile esaminare solo due esemplari,
ma è in corso di elaborazione un’analisi su un campione più ampio che potrà chiarire meglio
le diversità morfologiche e morfometriche rilevate nelle due popolazioni oggetto di studio.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
LA POPOLAZIONE DI CAPRE DELL’ISOLA DI MONTECRISTO:
RISULTATI DI TRE ANNI DI MONITORAGGIO
RAGANELLA PELLICCIONI E., ARMAROLI E., SCREMIN M., GUBERTI V.,
TOSO S.
Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, via Cà Fornacetta 9, 40064 Ozzano Emilia (BO)
L’origine della popolazione di Capra (Capra hircus) dell’Isola di Montecristo deve farsi
risalire all’introduzione operata dall’uomo di soggetti in una prima fase di domesticazione,
probabilmente nel Neolitico antico mediterraneo. Nonostante le ripetute immissioni, anche
relativamente recenti (1998), di esemplari domestici la popolazione conserva un fenotipo
simile a quello della forma originaria (l’Egagro asiatico) e per le caratteristiche eco-etologiche può essere assimilato ad un animale selvatico. La Capra di Montecristo rappresenta un
entità biologica di interesse storico-culturale ed estetico ed un esemplare caso di studio della
demografia di una popolazione di ungulati in un ambiente insulare. La popolazione si è
mantenuta nel tempo fra alterne vicende segnate da una fruizione di tipo venatorio e da operazioni di controllo numerico, mentre a partire dal 1997 - anno in cui sono stati realizzati gli
ultimi abbattimenti - la popolazione non è stata ulteriormente gestita.
L’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) ha realizzato una prima stima della popolazione nel 1992 e, a partire dall’inizio del progetto di studio commissionato dal Ministero
dell’Ambiente nel 2003, realizza il monitoraggio annuale della popolazione.
Qui sono presentati i risultati delle stime di popolazione effettuate dall’INFS negli anni
1992, 2003 e 2004 unitamente ai principali parametri demografici (piccoli per femmina, rapporto sessi) che la caratterizzano. La stima della popolazione viene realizzata attraverso
conte dirette della durata di 2 ore effettuate all’alba ed al tramonto, ripetute fino ad un massimo di 4 volte in due giornate consecutive. L’isola è stata suddivisa in 11 settori complessivi ispezionati da osservatori via terra, ai quali si aggiunge l’ispezione delle aree scoscese
a picco sul mare, realizzata percorrendo il periplo dell’isola con un’imbarcazione.
Alle stime puntuali - ottenute considerando la sessione in cui è stato avvistato il maggior
numero di animali - sono stati applicati degli intervalli di confidenza attraverso procedure
di ricampionamento casuale (n=1000) con sostituzione, al fine di poter operare un confronto fra le stime ottenute negli anni.
Con lo stesso approccio metodologico, è stata inoltre realizzata in primavera una stima dei
nuovi nati per femmina, mirata ad una quantificazione della produttività.
La densità di popolazione è variata da 46 ind./km2 (IC: 29,1-62,4) nel 1992 a 23 ind./km2
(IC: 14,1-33,3) nel 2004. La diminuzione della densità è accompagnata da un calo parallelo del numero di piccoli per femmina, passato da un valore di 0,84 nel 1992 ad 1 piccolo
ogni 8 femmine (0,12) nel 2004. I risultati sono discussi alla luce dei limiti metodologici
insiti nella realizzazione delle conte dirette sull’Isola.
Nell’ambito del progetto sono state avviate altre attività, quali i) la cattura e la marcatura di
capre al fine di individuare i tassi di sopravvivenza e per consentire l’applicazione di un
metodo di valutazione numerica della popolazione che tenga conto dell’entità della sottostima, basato sul Mark-Resight, ii) la realizzazione di un modello sperimentale mirato a quantificare l’impatto del browsing ircino sulla vegetazione dell’isola.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
VARIAZIONI DISTRIBUTIVE DELLE POPOLAZIONI DI CERVO
E DI CAPRIOLO NELLE PREALPI TREVIGIANE
BUSATTA S.
Settore Gestione Fauna, Provincia di Treviso, viale C. Battisti 30, Treviso
Tel.: 0422656184; Fax 0422656178
E.mail: [email protected]; [email protected].
Le popolazioni di Capriolo (Capreolus capreolus) e di Cervo (Cervus elaphus) nella zona
Alpi della Provincia di Treviso stanno vivendo una diversa evoluzione distributiva.
Il Capriolo ha conosciuto il massimo incremento nella metà degli anni ’80. Successivamente
l’aumento è stato modesto rispetto alle potenzialità della specie (dal 6 al 10%) e del territorio. Così come evidenziato dalla serie storica dei dati di censimento forniti, dapprima, esclusivamente dalla Vigilanza Provinciale e, successivamente, dalla stessa in collaborazione con
i volontari delle Riserve Alpine. Dal 1999 i censimenti sono realizzati su aree campione da
punti di vantaggio (con superfici variabili dal 10 al 100% della superficie utile per l’attività
di caccia programmata, TGPC) con almeno 4 ripetizioni (alba e tramonto) tra febbraio ed
aprile. Dal 2003 la superficie censita, circa 18000 ha, è stata annualmente incrementata, con
l’obiettivo di raggiungere almeno il 70% del TGPC, rispetto al 60% attualmente coperto.
Per quanto riguarda il Cervo i primi avvistamenti risalgono all’inizio degli anni ’90, ma il
monitoraggio standardizzato è il frutto di una recente pianificazione. La presenza accertata
del Cervo riguarda 9 Riserve Alpine-RA (delle 37 presenti) e 1 Azienda faunistico venatoria-AFV (delle 4 presenti in zona Alpi). Il territorio è stato suddiviso in due “comprensori
gestionali”: il comprensorio occidentale (Comprensorio A) si estende per circa 8000 ha e
quello orientale (Comprensorio B) per 6000 ha. Dal marzo 2003 il monitoraggio avviene
con l’ausilio di fonte luminosa da autovettura lungo percorsi predefiniti. I transetti sono stati
concordati, preventivamente, tra l’ufficio gestione della fauna e i presidenti delle RA e il
concessionario dell’AFV. Il conteggio è realizzato contemporaneamente (stessi giorni e
medesime fasce orarie) su tutto il territorio provinciale d’interesse con 3 ripetizioni, solitamente nel mese di aprile. Complessivamente ciascun anno sono stati percorsi 154 km nel
Comprensorio A e 60 Km nel Comprensorio B. La contattabilità degli animali è variata nelle
tre uscite e nei diversi comprensori. E’ emerso un netto gradiente altitudinale, accentuato nel
2004 (in occasione di una persistente coltre nevosa), nel contattare gli animali. Questo supporta l’ipotesi che la popolazione di Cervo è unica e tende ad utilizzare il territorio in relazione alla disponibilità trofica, all’assenza di coltre nevosa e al ciclo biologico della specie
(per tale ragione il monitoraggio è realizzato contemporaneamente anche nelle Province
limitrofe). Il trend della popolazione è sicuramente positivo (variando tra il 15 e il 34%).
Sembra esserci una “coevoluzione distributiva” tra le due popolazioni di Cervidi.
L’approccio gestionale e l’analisi cartografica sull’evoluzione ambientale forniscono degli
strumenti utili per ottenere indicazioni su come cambiamenti ambientali e scelte gestionali
possono condizionare l’incremento o il decremento di una popolazione animale.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
LA POPOLAZIONE DI CERVO (CERVUS ELAPHUS L.) NELLA
RISERVA REGIONALE MONTAGNE DELLA DUCHESSA E AREE
LIMITROFE
DI CLEMENTE G.1, LUCE L.1, MASTRANTONIO M.1, BELLAVITA M.2
1
Riserva Naturale Parziale Montagne della Duchessa, via della Medicina, Corvaro di
Borgorose (RI); Tel.: 0746306493; E-mail: [email protected]
2
Riserva Naturale Monte Rufeno, piazza G. Fabrizio 17, Acquapendente (VT)
Tel.: 0763733442
La Riserva Naturale delle Montagne della Duchessa ha un’estensione di circa 3200 ha e si
trova nella provincia di Rieti al confine con l’Abruzzo.
Il Cervo (Cervus elaphus L.) è stato reintrodotto a partire dal 1990 nella confinante Riserva
Naturale Orientata del Monte Velino, da qui si è spontaneamente diffuso nell’area di studio.
La metodologia utilizzata per la stima della popolazione è stata la tecnica del bramito. La
localizzazione degli animali bramitanti è stata effettuata da pattuglie dislocate in postazioni
fisse, individuate sul territorio in modo da garantire la totale copertura acustica dello stesso,
dalle ore 22.00 alle 24.00. Il suddetto periodo è stato suddiviso in intervalli di 10 minuti
alternando fasi attive (di ascolto e registrazione dati) e passive, al fine di mantenere alta l’attenzione dei rilevatori.
Il progetto di ricerca si è sviluppato nell’arco di tre anni, dal 2002 al 2004, con un minimo
di 2 ad un massimo di 4 giornate di ascolto.
La superficie interessata dallo studio è stata di circa 5000 ha, comprendenti la Riserva e le
aree limitrofe omogenee per caratteristiche geo-ecologiche.
Per ogni anno è stato considerato il giorno con il numero massimo di maschi adulti censiti;
è stata rilevata una costante crescita, dai 16 esemplari del 2002, ai 20 del 2003, ai 26 del
2004. I dati acquisiti consentono di stimare una popolazione attualmente compresa tra i 100
e i 137 individui. Tali valori sono stati calcolati considerando la percentuale di maschi adulti sul totale della popolazione, ricavata in base ai dati di archivio della Riserva relativi all’ultimo anno e quella teorica per una popolazione ormai strutturata e stabilizzata come da letteratura; questo ha permesso di ottenere un range all’interno del quale si colloca il valore
reale della popolazione in esame.
L’analisi dei dati ha inoltre permesso di individuare sei aree distinte in cui si è concentrata
l’attività di bramito dei cervi.
La copertura capillare del territorio (31 postazioni d’ascolto) ha anche permesso una valutazione dei fattori esterni, che possono incidere sull’applicazione di simili tecniche di monitoraggio faunistico, in particolare è stato evidenziato l’effetto “rumore di fondo” dell’autostrada A 24, percepito anche ad alcuni chilometri di distanza.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
LA CHIROTTEROFAUNA DELLA SPONDA PIEMONTESE
DEL LAGO MAGGIORE
DEBERNARDI P., PATRIARCA E.
Stazione Teriologica Piemontese, S.Te.P. c/o Museo Civico Storia Naturale c.p. 89
10022 Carmagnola (TO); E-mail: [email protected]
Le informazioni sui chirotteri della sponda piemontese del Lago Maggiore risultavano limitate ad alcune segnalazioni datanti all’800 o alla prima metà del ‘900, riferibili a 2, forse 3
specie e a un unico roost. Nel 1999-2005, l’Ente di Gestione dei Parchi e delle Riserve naturali del Lago Maggiore ha promosso un’indagine chirotterologica nell’area.
Sono stati ispezionati 153 siti denotanti potenzialità come roost: cavità ipogee naturali e artificiali (11% dei siti), ponti e darsene ispezionabili (26%), edifici ecclesiastici (37%), cimiteri (11%) e altri edifici (15%). Le cavità ipogee sono state ispezionate sia in periodo invernale che estivo, gli altri siti solo in periodo estivo.
Esemplari in volo notturno su ambienti acquatici sono stati catturati in 3 aree (parte alta,
media e bassa del lago), in ciascuna delle quali sono state realizzate 10-11 notti coronate da
successo di cattura, ripartite omogeneamente fra i mesi estivi.
Dati ulteriori sono stati derivati da analisi bioacustica e casuale rinvenimento di esemplari
morti. Le specie del genere Plecotus sono state determinate attraverso analisi genetiche.
Sono state rilevate: Rhinolophus ferrumequinum, Myotis blythii, M. capaccinii, M. daubentonii, M. myotis, M. mystacinus/aurascens, M. nattereri, Pipistrellus kuhlii, P. nathusii, P.
pipistrellus, Nyctalus leileri, N. noctula, Hypsugo savii, Eptesicus serotinus, Plecotus auritus, P. macrobullaris, Tadarida teniotis.
E’ stata accertata la frequentazione recente, da parte di chirotteri, di 61 siti, in alcuni casi
ospitanti più roost, per un totale di 71 roost individuati. Per 36 roost estivi, il rilevamento si
è basato sull’osservazione di guano, riferibile a singoli o pochi esemplari; per gli altri roost
viene caratterizzata la chirotterofauna associata. Le specie più frequentemente osservate
sono state P. kuhlii e P. pipistrellus, dominanti negli edifici, e M. daubentonii, dominante nei
ponti e nelle darsene.
Relativamente alle specie in allegato II Direttiva 92/43/CEE, sono stati rilevati 3 siti minori di svernamento e un’unica colonia riproduttiva, con 694-827 esemplari prima dei parti
(minimo e massimo di 6 censimenti annuali), prevalentemente riferibili a M. capaccinii,
marginalmente a M. blythii e M. myotis.
Per 3 edifici monumentali sono state raccolte testimonianze verbali dell’esistenza in passato di colonie probabilmente riferibili a specie in allegato II, oggi assenti. In altri 5 edifici
sono stati trovati scheletri e guano di rinolofidi non più presenti, in almeno 2 casi riferibili
a colonie riproduttive.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEI MAMMIFERI
SULL’APPENNINO PISTOIESE (TOSCANA)
VERGARI S., DONDINI G.
Cooperativa Itinerari, via Forravilla 35, 51027 Pracchia (Pistoia); coll. Est.Museo di
Zoologia “La Specola” Università di Firenze, via Romana 17, 50125, Firenze
E-mail: [email protected]
L’attuale stato delle conoscenze sulla teriofauna dell’Appennino pistoiese presenta serie
lacune dovute essenzialmente al limitato numero di ricerche effettuate. Varie pubblicazioni
di carattere generale raccolgono alcuni dati, spesso non sufficientemente documentati e
assolutamente incompleti sulla componente faunistica di tale area. L’Appennino pistoiese
pur abbracciando una piccola porzione di questa dorsale montuosa, presenta una notevole
varietà di ambienti, in parte determinati dal forte gradiente altitudinale (Monte Libro Aperto,
1942 m s.l.m.) e caratterizzati da particolari microclimi che influenzano direttamente il tipo
di vegetazione e la struttura del suolo. Inoltre la presenza di un importante relitto glaciale
quale è la pecceta di Campolino, le vaste faggete di Abetone e della Foresta del Teso e le
praterie cacuminali, primarie e secondarie, associate ad una elevata disponibilità idrica nell’arco dell’anno, favoriscono la diversificazione della teriofauna di questo territorio.
Lo scopo del presente lavoro è quello di redigere una preliminare lista ragionata delle specie fino ad ora rilevate, contribuendo così all’incremento delle conoscenze sulla diversità
biologica locale.
I dati qui presentati sono stati raccolti tra il 1990 e il 2005, identificando esemplari morti,
materiale osseo presente in borre di Allocco (Strix aluco), osservazioni dirette sul campo
(esemplari, tracce, resti di pasto ecc.) effettuate dagli autori o di altri collaboratori che hanno
contribuito alla realizzazione di questo lavoro.
Fino ad ora sono state sicuramente identificate 47 specie. In particolare i pipistrelli rappresentano il 34% di tutti i Mammiferi a riprova del loro importante contributo alla biodiversità dell’intera area.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
IL CINGHIALE SULL’ARCO ALPINO ITALIANO:
DISTRIBUZIONE, STATUS E GESTIONE DELLE POPOLAZIONI
MONACO A., CARNEVALI L., RIGA F., TOSO S.
Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, via Cà Fornacetta 9, 40064 Ozzano
dell’Emilia (BO); E-mail: [email protected]
Dopo la sua ricomparsa sull’arco alpino italiano nei primi decenni del XX secolo, il
Cinghiale (Sus scrofa) ha mostrato una lenta ma costante espansione, arrivando a colonizzare anche ambienti sub-ottimali come le aree alpine, con la conseguente comparsa di danni,
talvolta ingenti, alle attività agricole e alle biocenosi naturali.
In assenza di un quadro aggiornato della situazione del Cinghiale sull’arco alpino, è stata
condotta un’indagine mediante questionari distribuiti alle province interessate. L’adesione
all’indagine è stata completa a testimonianza del notevole interesse che la specie suscita
nelle amministrazioni provinciali. I dati sui quali è stata condotta l’analisi riguardano unicamente le porzioni alpine e prealpine delle province interpellate.
Attualmente il Cinghiale è presente in tutte le 21 province dell’arco alpino e oltre la metà di
esse risulta distribuito in modo diffuso. L’andamento demografico delle popolazioni è in
aumento ovunque (incluse le aree di presenza storica), ad eccezione di sole 5 province
(Varese, Lecco, Sondrio, Trento e Vicenza) in cui la consistenza può essere definita stabile.
Introduzioni illegali sono ancora frequenti soprattutto in Lombardia e Veneto dove, peraltro,
la diffusione della specie è ancora piuttosto localizzata.
In 14 delle 21 province cosiddette alpine sono autorizzati sia la caccia che il controllo numerico delle popolazioni e in una sola provincia (Verona) il prelievo è del tutto assente. Durante
la stagione venatoria 2003-04 sono stati abbattuti circa 8900 capi a cui si aggiungono circa
1900 capi abbattuti in controllo durante il 2003. Considerando questi dati, attualmente può
essere stimata una popolazione minima di 25000 cinghiali sull’arco alpino italiano. La
forma di prelievo venatorio più utilizzata è la braccata mentre il metodo più diffuso per il
contenimento delle popolazioni è il tiro da appostamento fisso. Il confronto con i dati riferiti al periodo 1998-1999, mostra un aumento annuo dei prelievi in caccia pari al 9,3%, mentre l’incremento annuo dei prelievi in controllo si attesta al 22,3%.
Tutte le province lamentano danni alle colture, ma solo il 62% di queste ricorre ad interventi di prevenzione. Nel 2003 la spesa complessiva stimata per il risarcimento dei danni
è di € 1.100.000 e per 3 province (Aosta, Torino e Cuneo) ha superato ¤.100.000.
Complessivamente la cifra investita sull’arco alpino per attività di prevenzione (soprattutto recinti elettrificati) è di almeno € 100.000. Il confronto con i dati del 1999 mette in evidenza un aumento annuo degli importi erogati per i risarcimenti pari al 6,8%.
Complessivamente, per l’entità dei prelievi e delle somme destinate a prevenzione e risarcimenti, la situazione dell’arco alpino sta evolvendo verso scenari di tipo “(nord) appenninico”, di fatto già presenti in alcune delle province interessate dall’indagine (soprattutto
Torino e Cuneo). Per il futuro, in relazione ad un prevedibile ampliamento dell’area occupata dalla specie e con essa dei conflitti legati agli impatti sulle biocenosi e sulle attività
agricole e zootecniche, sarà necessario sviluppare strategie di gestione coordinate, articolate e commisurate ad obiettivi espliciti e realistici al fine di anticipare l’insorgenza di situazioni critiche.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
ANALISI DEI FATTORI AMBIENTALI CHE INFLUENZANO
L’ABBONDANZA DI LEPRE SARDA (LEPUS CAPENSIS
MEDITERRANEUS) E CONIGLIO SELVATICO (ORYCTOLAGUS
CUNICULUS) IN SARDEGNA
SOTTI F., SACCHI O., MERIGGI A.
Dipartimento di Biologia Animale, Università degli Studi di Pavia, piazza Botta 9, 27100
Pavia; E-mail: [email protected]
L’indagine dei fattori ambientali che influenzano la distribuzione e l’abbondanza di una specie fornisce importanti strumenti per la gestione della stessa. La Lepre sarda e il Coniglio
selvatico sono specie di rilevante interesse venatorio e conservazionistico. La distribuzione
europea della prima è limitata alla Sardegna a differenza del secondo diffuso sul territorio
italiano e in Europa. Mancano tuttavia studi approfonditi sull’ecologia di entrambe le specie in habitat insulare e mediterraneo. La presente ricerca ha lo scopo di approfondire le
conoscenze sull’ecologia delle specie attraverso l’analisi dei fattori ambientali che ne
influenzano abbondanza e densità. A tale scopo sono stati analizzati i dati di abbattimento
delle Autogestite della provincia di Nuoro e di Oristano. Le variabili ambientali sono state
ricavate dal Corine Land Cover IV livello con il software Arcview 3.2. Per ogni specie è
stato calcolato il numero di capi abbattuti, la densità d’abbattimento (DAB) e la DAB pesata sul numero di cacciatori dell’Autogestita. Con il software SPSS 12.0 sono state effettuate le seguenti analisi statistiche: Correlazione tra le variabili di uso del suolo (per valutarne
il grado di associazione) e tra queste e gli indici cinegetici, Analisi di Regressione Multipla
(ARM) tra le singole variabili ambientali e gli indici cinegetici (per stimare l’incidenza delle
une sugli altri), ARM tra subset di variabili ambientali non correlate tra loro e indici cinegetici (per evitare l’esclusione di alcune variabili ambientali dai modelli di ARM solo perché strettamente correlate ad altre già incluse).
In provincia di Nuoro l’abbondanza della Lepre è risultata correlata positivamente con la
presenza di pascoli (r=0,433; P=0,003) e negativamente con la percentuale di boschi di
latifoglie (r=-0,389; P=0,007), in quella di Oristano positivamente con le aree a ricolonizzazione artificiale (r=0,440; P=0,004). Per il Coniglio selvatico è stata riscontrata una correlazione positiva con la presenza di seminativi non irrigui (r=0,688; P<0,0001) e pascoli
(r=0,401; P=0,006) a Nuoro e con i coltivi associati all’olivo (r=0,795; P<0,0001) a
Oristano. L’ARM ha spiegato il 33,6% della varianza del numero di lepri abbattute includendo nel modello i coltivi associato all’olivo, le colture agrarie e i vigneti in provincia di
Nuoro ed il 41,6% della DAB con la presenza di coltivi associati all’olivo, gariga e aree
ricolonizzate in provincia di Oristano. Per il Coniglio è stata spiegata una varianza della
DAB del 64,2% con la selezione di seminativi, prati artificiali e vegetazione ripariale in provincia di Nuoro e del 75,6% tra numero di capi abbattuti e coltivi associati all’olivo, colture arboree, seminativi non irrigui e gariga in provincia di Oristano. Utilizzando i subset di
variabili ambientali non correlate tra loro per entrambe le specie sono entrati nel modello
anche i pascoli in provincia di Nuoro ed i seminativi non irrigui in quella di Oristano. La
costante associazione tra alcune variabili ambientali e gli indici cinegetici suggerisce quale
habitat sia importante preservare per la conservazione delle specie.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
I MAMMIFERI TERRESTRI NON VOLATORI DELLE ISOLE
DEL GOLFO DI NAPOLI
NAPPI A.1, 2, MASSETI M.3
1
Associazione Vivara Amici delle Piccole Isole, piazza Riario Sforza 159, 80139 Napoli
E-mail: [email protected]
2
Gruppo Attivo Campano ARCA, c/o R. Guglielmi, viale della Resistenza, Coop. IrisIride 80144 Napoli
3
Dipartimento di Biologia Animale e Genetica, Università di Firenze. Laboratori di
Antropologia, via del Proconsolo 12, 50122 Firenze; E-mail: [email protected]
Lo studio della biogeografia dei mammiferi terrestri non volatori delle isole del Golfo di
Napoli (Ischia, Procida, Vivara, Nisida, Capri) risulta particolarmente interessante in quanto, dai dati disponibili, è possibile seguire, in alcuni casi, l’evoluzione delle faune in seguito a cause naturali e antropiche. È sembrato opportuno considerare anche Nisida, benché
collegata al continente da un istmo artificiale.
Lo spettro temporale più ampio riguarda Capri con faune (escludendo la precedente fase di
appartenenza alla terraferma) a partire già dal Pleistocene superiore comprendenti endemismi quali: Muscardinus malatestai Gliozzi 1995, Apodemus sylvaticus tyrrhenicus Gliozzi,
1988 e Cervus elaphus tyrrhenicus (Azzaroli 1961). Per quanto riguarda Vivara è interessante la presenza di Arvicola terrestris durante l’Età del bronzo. Questo particolare rinvenimento è stato interpretato sia come conseguenza di predazione da parte di rapaci sul continente e successiva emissione di borre a Vivara che come risultato di interventi antropici.
L’abbassamento, a quell’epoca, della linea di costa avrebbe favorito l’emersione di sorgenti sotterranee con possibili formazioni di ambienti favorevoli alla specie. Inoltre, su mappe
urbanistiche di Procida dei secc. XV e XVIII, è riportata la presenza di paludi su una porzione antistante Vivara. Entrambe le isole sono state inoltre riserve di caccia borboniche che
ospitavano ungulati, conigli e lepri.
Come dati inediti si segnalano le presenze di Erinaceus europaeus (da almeno 15 anni) e
Oryctolagus cuniculus a Procida, E. europaeus a Nisida.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
SULLA PRESENZA DI MICROTUS (TERRICOLA) MULTIPLEX
IN ABRUZZO: ESPERIENZE DALL’ANALISI
DEL PRIMO MOLARE INFERIORE
NAPPI A.1, BRUNET-LECOMTE P.2, RICCI F.3, PACI A.M.4,
BERTARELLI C.5, DE SANCTIS A.3, PELLEGRINI M.3, MONTUIRE S.2
1
Corso Umberto I 237, 80138 Napoli
Centre des Sciences de la Terre, 6 boulevard Gabriel, 21000 Dijon, Francia
3
WWF Abruzzo, via D’Annunzio 68, 65127 Pescara
4
Provincia di Perugia, Servizio Programmazione e Gestione Faunistica, via Palermo 21/c
06100 Perugia
5
Museo di Ecologia e Storia Naturale, piazza Matteotti 28, 41054 Marano sul Panaro (MO)
2
Se si escludono morfotipi attribuibili al gruppo multiplex-subterraneus da reperti fossili
pleistocenici dell’Italia centrale, la prima segnalazione in epoca recente relativa a questo
distretto peninsulare è attribuibile ad un esemplare di Microtus multiplex dei monti della
Maiella, già conservato presso il Museo di Storia Naturale di Verona e successivamente
andato perduto. Su nuovi reperti abruzzesi (crani da borre) raccolti in questi ultimi anni, è
stata effettuata l’analisi fine del primo molare inferiore (32 denti) rilevando sulla superficie
occlusale 27 misure. Le località di provenienza dei reperti sono: Palena, Sulmona e
Bolognano, tutte ricadenti nel comprensorio della Maiella. Ad un primo esame delle suture
nasofrontali e della morfologia generale dei molari, alcuni di essi sono sembrati attribuibili
a M. multiplex.
In particolare, dall’analisi discriminante, la maggioranza dei molari (21) si colloca effettivamente nell’ambito morfologico di M. savii mentre, fra i restanti, le attribuzioni si dividono tra M. liechtensteini, M. multiplex e M. subterraneus.
La presenza in Abruzzo di M. liechtensteini, allo stato attuale, è sicuramente da scartare trattandosi, tra l’altro, di una specie affine a M. multiplex con la quale si confonde facilmente.
Tenendo inoltre conto dell’estrema variabilità della morfologia dentaria delle arvicole e del
fatto che, all’interno della popolazione di una determinata specie, possono rinvenirsi morfotipi caratteristici di altre specie, i risultati ottenuti dal presente studio invitano a considerare
con cautela M. multiplex come specie abruzzese e ad effettuare in futuro analisi morfometriche e genetiche su un maggior numero di campioni.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
PRESENZA DI MYOTIS BECHSTEINII NEL PARCO NAZIONALE
D’ABRUZZO LAZIO E MOLISE
RUSSO D.1, 2, CISTRONE L.3
1
Laboratorio di Ecologia Applicata, Dipartimento Ar.Bo.Pa.Ve., Facoltà di Agraria,
Università degli Studi di Napoli Federico II, via Università 100, 80055, Portici, Napoli
E-mail: [email protected];
2
School of Biological Sciences, University of Bristol
Woodland Road, BS8 1UG, Bristol (U.K.)
3
Forestry and Conservation, via Botticelli 14, 03043, Cassino, Frosinone,
E-mail: [email protected]
Il Vespertilio di Bechstein (Myotis bechsteinii) figura tra le specie di chirotteri più rare
d’Europa. La distribuzione in Italia di questo taxon, tipicamente fitofilo, è poco nota. Nel
1915, in un più ampio lavoro sulla fauna a vertebrati del Parco d’Abruzzo (oggi d’Abruzzo
Lazio e Molise – PNALM), Festa riferiva di aver esaminato un solo esemplare di chirottero, un Myotis non identificato a livello specifico. Si trattava, in particolare, proprio di un M.
bechsteinii, specie della quale, per l’area in oggetto, sono noti tre esemplari provenienti da
Villetta Barrea, tutti facenti parte della ex collezione Festa, oggi conservata presso il Museo
Civico di Storia Naturale di Milano.
Indagini svolte nel luglio 2005 nell’ambito di un programma di ricerca sulla chirotterofauna condotto con l’Ente Parco hanno consentito, a quasi un secolo di distanza dalle suddette
osservazioni, di confermare la presenza di M. bechsteinii nel PNALM. Mediante reti mistnet poste su abbeveratoi per il bestiame abbiamo catturato quattro esemplari, di cui tre femmine in post-lattazione e un maschio adulto, tutti nel territorio di Villavallelonga (AQ).
Grazie alla notevole copertura forestale, spesso caratterizzata da boschi vetusti come l’antica faggeta di Val Cervara – nei pressi della stazione in cui M. bechsteinii è stato rilevato –
il territorio del PNALM rappresenta una roccaforte per specie forestali come quella in
oggetto e l’altrettanto raro Barbastello, Barbastella barbastellus.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
MORFOMETRIA COMPARATA DEL PRIMO MOLARE INFERIORE
IN POPOLAZIONI ITALIANE DI MICROTUS LIECHTENSTEINI
(RODENTIA, ARVICOLINAE)
BRUNET-LECOMTE P.1, MONTUIRE S.1, NAPPI A.2
1
Centre des Sciences de la Terre, 6 boulevard Gabriel, 21000 Dijon, Francia
2
Corso Umberto I 237, 80138 Napoli
Microtus liechtensteini, specie geneticamente affine a M. multiplex, occupa le Alpi orientali, dall’Italia all’Austria, la Slovenia, la Croazia e la Bosnia-Erzegovina. In Italia, è distribuito a Est dell’Adige, dal Trentino-Alto Adige a Nord, al Veneto a Sud e al Friuli Venezia
Giulia a Est.
Un’analisi canonica discriminante, da 27 misure rilevate sulla superficie occlusale del primo
molare inferiore (M1), il dente più ricco di informazioni circa l’evoluzione delle arvicole, è
stata effettuata tra 5 popolazioni italiane, Tarvisio (UD, presso il confine Nord sloveno),
Sgonico (TS, cod. 57), Lison (VE, cod. 71), Moriago della Battaglia (TV, cod. 135) e
Vittorio Veneto (TV, cod. 155) oltre a differenti popolazioni di M. liechtensteini di Slovenia,
Croazia e Austria, più una popolazione di M. bavaricus proveniente dalla località tipo della
specie, Garmisch-Partenkirchen in Baviera. Il piano 1-2 dell’analisi discriminante (73% di
varianza) mostra che le 4 popolazioni italiane 57, 71, 135 e 155 sono omogenee tra di loro
in confronto alle popolazioni di Austria, Baviera, Slovenia e Croazia, mentre quella di
Tarvisio è la popolazione morfometricamente più affine alle popolazioni non italiane, coerentemente alla sua popolazione geografica.
L’analisi dei differenti criteri dentari di M1 mostra che le popolazioni italiane sono caratterizzate da una lunghezza di piccola (Tarvisio) o media (Veneto) taglia, un cappio anteriore
stretto e un rapporto lunghezza/larghezza del dente ridotto o molto ridotto. Il confronto di
questi indici tra le popolazioni italiane conferma la loro affinità morfologica. Tuttavia, l’indice V12V10 tende a separare le popolazioni della pianura veneta e del Friuli da quelle del
Centro e del Nord del Veneto.
In ragione della sua particolare posizione geografica ed ecologica, la popolazione della pianura veneta è interessante in rapporto alle altre popolazioni italiane. Tuttavia globalmente è
poco divergente con queste popolazioni; la spiegazione potrebbe essere la sua colonizzazione recente nella pianura oppure uno scambio genetico regolare con le popolazioni del
resto del Veneto e del Friuli.
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RECENTI METODOLOGIE NELLA RICERCA
TERIOLOGICA
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
EFFETTI DEL PROTOCOLLO DI CAMPIONAMENTO SULLA MEDIA
E VARIANZA DELLE STIME DEGLI HOME RANGE: UN NUOVO
METODO DI ANALISI
BÖRGER L.1,2,3, FRANCONI N.3, MESCHI F.3, DE MICHELE G.3, GANTZ A.3,4,
MANICA A.5, LOVARI S.3, COULSON T.1
1
Division of Biology and Center for Population Biology, Faculty of Life Sciences,
Imperial College, Silwood Park, Ascot, Berkshire, SL5 7PY, UK; Tel.: +442075942447
Fax +442075942237; +39 347 4502089; E-mail: [email protected]
2
LARG, Department of Zoology, University of Cambridge, Downing Street, Cambridge
CB2 3EJ, UK;
3
Sezione di Ecologia Comportamentale, Etologia e Gestione della Fauna, Dipartimento di
Scienze Ambientali, Università di Siena, via P.A. Mattioli 4, 53100 Siena, IT
4
Laboratory of Ecology, Ciencias Básicas, Universidad de Los Lagos, PO Box 933,
Osorno, Chile
5
Evolutionary Ecology Group, Department of Zoology, University of Cambridge,
Downing Street, Cambridge CB2 3EJ, UK
Nonostante l´home range (HR) sia un concetto ecologico fondamentale, è ancora ampiamente dibattuto quale sia il metodo migliore di stima. Mentre su precisione e accuratezza
dei metodi di stima comunemente usati esiste un cospicuo numero di publicazioni scientifiche, non è così per l´effetto del protocollo di campionamento sulle stime e sulle inferenze
statistiche desunte dai dati.
Utilizzando un dataset particolarmente dettagliato sull´uso dello spazio di 32 caprioli (16
maschi e 16 femmine) individualmente marcati con radiocollare (n=19732 fix campionati su
30 mesi) confrontiamo la performance di 4 metodi di stima comunemente usati, simulando
4 protocolli di campionamento su 4 scale temporali (da mensile a annuale), su 7 differenti
Utilization Distribution isopleths con 23715 differenti stime di HR ciascuna. Abbiamo sviluppato una nuova procedura di analisi, combinando una derived variables analysis con una
variance components analysis utilizzando mixed effect models (con software open source R
2.01), che permette di decomporre il contributo percentuale di ogni singolo componente del
protocollo di campionamento (es. numero di individui monitorati, giorni di campionamento
ecc.) alla varianza complessiva delle stime. In particolare mostriamo che con il metodo del
Minimo Poligono Convesso (MCP) un´intensificazione del protocollo di campionamento
(da 4 a 17 giorni al mese) non solo causa considerevoli cambiamenti dell´intercetta, ma
anche imprevedibili e considerevoli cambiamenti della varianza delle stime (da –10% a
+414%), significativi a tutte le scale temporali (p<0,001; likelihood-ratio t-test). I metodi
del kernel sono invece considerevolemente robusti, la media resta praticamente invariata e
la varianza delle stime decresce regolarmente e non varia mai oltre il 70%, il cambiamento
del protocollo di campionamento non è mai significativo (p>0,05) e contribuisce a meno
dello 0,5% della varianza totale. Con tutti i metodi di stima utilizzati, la variazione tra gli
individui spiega gran parte della varianza totale. Concludiamo che, per specie filopatriche
come il Capriolo, 8~12 fix/mese sono sufficienti per ottenere stime accurate di HR indivi49
duali e che, raggiunto questo target, ogni risorsa aggiuntiva dovrebbe venire focalizzata nel
marcare un maggior numero di individui. Tuttavia, mostriamo per la prima volta che il protocollo di campionamento modifica la struttura della varianza dei dati, interferendo con le
inferenze statistiche, perciò con la necessità di standardizzare il protocollo di campionamento. I nostri dati suggeriscono che studi comparativi basati sul metodo del MCP debbano essere trattati con cautela, dati i bias imprevedibili e spesso considerevoli delle stime
ottenute con questo metodo. Deriviamo indicazioni pratiche e linee guida per studi sul
campo e per l´analisi dei dati e raccomandiamo l´applicazione delle procedure proposte ad
altri sistemi e specie di studio.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
ANALISI DEMOGRAFICA DELLA POPOLAZIONE DI CERVO
DELLA VAL DI SOLE (TN) E DEL PARCO NAZIONALE DELLO
STELVIO COL METODO DELLA POPULATION RECONSTRUCTION
NAVE L., PEDROTTI L.
Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio, Settore trentino, via Roma 65
38024 Cogolo di Peio (TN)
Tel.: 0463746121; Fax 0463746090; E-mail: [email protected]; [email protected]
Dal 1997 il Parco Nazionale dello Stelvio, in collaborazione con la Provincia Autonoma di
Trento (PAT) e l’Associazione Cacciatori della PAT, ha avviato un progetto sul Cervo
(Cervus elaphus), per approfondire le conoscenze sulla specie all’interno del Parco e nelle
zone limitrofe e di individuarne le linee di gestione. Il presente lavoro mira a valutare consistenza e tendenza evolutiva della popolazione, sperimentando l’efficacia di un metodo di
censimento mai utilizzato nell’area di studio e non impiegato nella gestione della specie, la
Population reconstruction from mortality data. I dati ottenuti hanno consentito di stimare la
consistenza della popolazione e di indagarne la dinamica evolutiva. Con questo metodo si
ottengono infatti informazioni dettagliate sui singoli individui, di cui vengono registrati età
e sesso, mentre con il censimento di campo questo spesso non è possibile, poiché alcuni
individui rimangono “indeterminati”. La Population reconstruction non fornisce informazioni attendibili sullo stato attuale delle popolazioni. Per questo carattere retrospettivo è tuttavia un ottimo strumento di verifica di altri metodi. Un limite del metodo è legato agli animali non rinvenuti una volta morti o uccisi illegalmente e agli individui che emigrano dall’area di studio o vi immigrano, non rispettando l’ipotesi di popolazione chiusa, alla base del
metodo. Un’altra possibile fonte di imprecisione è legata alla determinazione dell’età degli
animali in base all’usura dentaria. La raccolta dati ha interessato il periodo tra il 1972 (inizio dell’attività venatoria) e il 2004. Complessivamente sono stati raccolti 9609 record
(4800 femmine e 4809 maschi; 8040 abbattuti e 1569 rinvenuti morti) con data, sesso ed età
del soggetto. L’applicazione di questo metodo ha fornito un’accurata descrizione della
dinamica della popolazione e un trend dei dati coerente con quello di altri metodi finora
impiegati. Ad esempio, la Population reconstruction ha stimato 1219 e 1457 animali nel
1991 e nel 1992, rispetto ai 1359 e 1441 delle stime elaborate dalla PAT per gli stessi anni.
La Population reconstruction ha confermato la fase di arresto dell’accrescimento della
popolazione ed ha consentito di focalizzarne le cause. È stato evidenziato come per un certo
periodo la consistenza sia stata condizionata dal prelievo, ma in seguito sia subentrata una
competizione intra-specifica, che ha innescato effetti densità-dipendenti, testimoniati da
relazioni significative fra tasso di natalità e numero di femmine (F=61,2, P<0,01; r2=0,76),
tra tassi di mortalità e consistenza (F=29,8, P<0,01; r2=0,61) e tra lo sbilanciamento della
sex-ratio dei piccoli a favore delle femmine e consistenza (F=6,6, P<0,01; r2=0,45).
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
UNA “NUOVA” APPLICAZIONE PER UN “CLASSICO” METODO
DI STIMA DEI CERVIDI: IL PELLET GROUP COUNT NEL PARCO
REGIONALE DELLA MAREMMA
SFORZI A.1, LOVARI S.1, PISANI C.2, FATTORINI L.2
1
2
Dipartimento di Scienze Ambientali, Università di Siena, via P. A. Mattioli 4, 53100 Siena
Dipartimento di Metodi Quantitativi, Università di Siena, p.zza S. Francesco 8, 53100 Siena
Stime numeriche di cervidi nel Parco Regionale della Maremma sono state ottenute associando al pellet group count un campionamento ad hoc e due diverse suddivisioni in unità
ambientali. Il disegno campionario per la collocazione dei plot è stato diversificato sulla
base dell’ampiezza degli habitat. Per le grandi aree è stata applicata una strategia a due stadi:
nel primo le unità spaziali sono state selezionate con il campionamento di Lahiri-Midzuno,
mentre nel secondo i plot sono stati collocati casualmente nelle unità selezionate. Per ottenere dati di abbondanza relativa per habitat l’area di studio è stata ripartita in classi vegetazionali. A ogni ambiente è stato poi assegnato un numero di plot proporzionale alla propria
ampiezza. Sono stati così individuati 117 plot circolari, di 5 m di raggio. Dalle densità per
ciascun plot è stata calcolata la densità media e la stima del numero di pellet group nell’intera area di studio, moltiplicando la densità media per la superficie totale. Sono state condotte tre fasi di rilievo in periodo invernale e due in periodo estivo. L’analisi dei risultati ha
mostrato un’ampia variabilità delle stime, accentuata nella prima fase. Per il Capriolo, i
risultati delle prime tre fasi portano a una progressiva contrazione degli intervalli di confidenza, con una riduzione dei valori delle stime. Il fatto che esse siano comprese all’interno
di un medesimo intervallo depone per una crescente affidabilità dei loro valori. La stima più
attendibile (in termini di ridotta ampiezza degli intervalli di confidenza al 10%) per questa
specie è quella dell’estate 2002. Questa stagione è risultata la migliore, tra quelle indagate,
per la stima numerica dei caprioli con il pellet group count. Questo periodo coincide infatti
con quello riproduttivo, caratterizzato da territorialità maschile, minore “socialità” delle
femmine e una distribuzione più diffusa sul territorio degli individui. La minore attendibilità dei dati invernali può invece essere dovuta al comportamento gregario manifestato in
questo periodo, con una distribuzione di tipo aggregato. Le densità di Daino (valore totale
medio: 12,83 ind./100 ha) mostrano una minore variazione temporale, nonostante gli intervalli di confidenza si mantengano ampi, rispetto alle densità stimate per il Capriolo (valore
totale medio: 9,30 ind./100 ha). Questo concorda con la maggiore uniformità nella distribuzione del Daino nell’anno. La minore ampiezza degli intervalli di confidenza è relativa
all’inverno 2001/02. Il relativamente limitato numero di plot, sebbene calibrato per utilizzare al meglio le risorse umane disponibili, è probabilmente tra le principali cause di variabilità. È stata infine effettuata un’analisi di influenza, eliminando i plot con il maggior peso
sul valore finale delle stime, ottenendo valori con minore variabilità. La strategia campionaria usata ha permesso di calibrare la raccolta dei dati sulla biologia delle specie indagate
e sugli aspetti ambientali dell’area di studio. I risultati ottenuti con il pellet group count sono
nel complesso soddisfacenti, sebbene alcuni fattori di variabilità ne rendano difficile l’interpretazione in singole realtà ambientali. La sua applicazione in questo e altri contesti
ambientali dovrà essere preceduta da una attenta analisi dei costi-benefici.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
IL DISTANCE SAMPLING E IL CENSIMENTO DEI CERVIDI:
VANTAGGI E PROBLEMATICHE DEI METODI
DIRETTI E INDIRETTI DI STIMA DELLE DENSITA’
CAGNACCI F.1, FRANZETTI B.2, PEDROTTI L.3, RAGANELLA
PELLICCIONI E.2, DEMARINIS A.M.2, FOCARDI S.2
1
Centro di Ecologia Alpina, C.E.A., 38040 Viote del Monte Bondone (TN)
Tel.: 0461939527; Fax 0461948190; E-mail: [email protected]
2
Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, I.N.F.S., via Ca’ Fornacetta 9, 40064 Ozzano
Emilia (BO); Tel.: 0516512111; Fax 051796628; E-mail: [email protected];
[email protected]; [email protected]; [email protected]
3
Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio, Settore trentino, via Roma 65, 38024
Cogolo di Peio (TN); Tel.: 0463746121; Fax 0463746090; E-mail: [email protected]
Una gestione efficace necessita di dati di monitoraggio consistenti. Tuttavia, i metodi tradizionali non forniscono una misura della precisione dei conteggi e sono generalmente poco
sensibili, ostacolando la verifica a breve termine delle azioni intraprese. La pressante
domanda di metodiche semplici, affidabili e ad ampio spettro di applicazione, sta incoraggiando in ambito internazionale un sempre più diffuso utilizzo del Distance Sampling.
Pertanto, l’I.N.F.S., il C.E.A. e il P.N. dello Stelvio hanno iniziato una collaborazione al fine
di verificare l’efficacia di questa tecnica, associata all’applicazione del thermal imaging e
del pellet group count. Una validazione corretta del sistema necessita di aree di studio dove
la densità dei popolamenti d’interesse possa essere stimata in modo indipendente attraverso
l’uso di metodologie accurate e precise, che forniscano valori di riferimento con cui confrontare i risultati ottenuti attraverso la sperimentazione. In quest’ottica, sono stati effettuati censimenti mediante Distance Sampling in aree ove sono attivi programmi pluriennali di
radiotelemetria su popolazioni di Cervo (Cervus elaphus) o Capriolo (Capreolus capreolus).
Ciò fornisce informazioni sulla distribuzione e sui parametri demografici e permette, inoltre, l’applicazione di metodiche mark-resight per le stime di consistenza.
Il presente contributo si prefigge di 1) delineare e discutere lo schema di campionamento
adottato e le metodologie di analisi seguite; 2) confrontare le stime ottenute al fine di valutarne il grado di convergenza e la loro precisione; 3) fare un’analisi costi/benefici in relazione alla precisione delle stime conseguite.
Valli di Pejo e Rabbi (TN) 2004-2005: 17.600 ha, 1495-2308 cervi stimati; 35 individui radiomarcati.
Thermal imaging: 2.240 ha censiti, 46 km di transetti, 2 operatori, 6 notti lavoro (10 p.m.-5 a.m).
Densità medie stimate: 91 cervi/km2 (16% c.v.) e 113 cervi/km2 (17% c.v.) rispettivamente.
Consistenze medie: 554-1295 e 469-928 cervi. Pellet group count: 4.200 ha censiti, 12 km di transetti, 2 operatori. Densità media stimata: 1784 PG/ha (7% c.v.). Tasso di defecazione: 26 PG/cervo; tasso
di scomparsa: 137 giorni. Consistenza: 1827-2421 cervi.
AFV CIT - Tredozio (FC) 2002-2004: 800 ha, 115-173 caprioli stimati; 20-30 radiomarcati/anno.
Thermal imaging: 581 ha censiti, 21 km di transetti, 2 operatori, 3 notti lavoro (7 p.m.-5 a.m), 2 ripetizioni. Densità media stimata: 27 caprioli/km2 (14% c.v.). Consistenza media: 117-205 caprioli.
Monte Bondone (TN) 2005: 6.520 ha, media abbattimenti caprioli 1993–2004: 125±2,6 d.s., 12 individui radiomarcati. Pellet group count: 12 km di transetti, 2 operatori. Densità media: 124 PG/ha
(19.5% c.v.). Tasso di defecazione: 20 PG/capriolo; tasso di scomparsa: 90 giorni. Consistenza: 304660 caprioli.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
SPATIAL EXPLICIT POPULATION DYNAMICS MODEL (SEPM): UN
APPROCCIO INNOVATIVO ALLA PREDITTIVITÀ NELL’AMBITO
DELL’ECOLOGIA DELLE POPOLAZIONI
TATTONI C., PREATONI D., MARTINOLI A., WAUTERS L., TOSI G.
Dipartimento Ambiente-Salute-Sicurezza, Università degli Studi dell’Insubria
via J.H. Dunant 3, 21100 Varese
La rapida evoluzione e diffusione delle capacità di calcolo degli ultimi anni ha favorito lo
sviluppo di metodi per trattare, interpretare e rappresentare graficamente l’informazione
ecologica (in senso lato) attraverso software dedicato. Questo cambiamento ha influenzato
anche il campo della Biologia della Conservazione, consentendo la realizzazione di nuovi
strumenti di calcolo e di tecniche di simulazione in grado di fornire predizioni affidabili.Un
aspetto cruciale legato all’applicazione di metodi modellistici alla gestione delle risorse
naturali, in particolare per la conservazione della fauna vertebrata, è rappresentato dalla possibilità di effettuare previsioni affidabili sia nel contesto spaziale sia temporale.
I modelli denominati Spatially Explicit Population dynamics Models (SEPM) e gli Automi
Cellulari sono alcuni tra i metodi innovativi sopra citati.
I SEPM abbinano la capacità di quantificare l’andamento numerico di una popolazione ad
una mappa che rappresenta le caratteristiche del paesaggio, elaborata grazie a Sistemi
Informativi Geografici (GIS): in altre parole i SEPM contestualizzano spazialmente in una
serie di habitat reali le predizioni della dinamica di popolazione classica.
Nel caso degli Automi Cellulari, un sistema viene rappresentato come composto da tante
semplici parti, ognuna delle quali obbedisce ad una serie di regole interne ed interagisce solo
con le parti ad essa vicine. L’evoluzione globale del sistema emerge dalla evoluzione di tutte
le parti elementari. In questo tipo di approccio per ogni individuo (o ‘cellula’) vengono
simulati in modo probabilistico alcuni processi biologici quali nascita, morte, riproduzione,
interazione con altri individui: la posizione nello spazio dei singoli individui della popolazione gioca un ruolo fondamentale in quanto ogni individuo viene influenzato da ciò che
accade entro una certa distanza da sé.
L’uso di queste tecniche offre la possibilità di valutare scenari riguardanti popolazioni animali nel tempo e nello spazio: le ricadute applicative rivelano numerosi aspetti sia teorici sia
pratici, permettendo di effettuare interventi mirati sia nel campo della tutela sia della gestione: si pensi al vantaggio costituito dal poter conoscere con debito anticipo la dinamica di
espansione di una specie invasiva o alla possibilità di individuare zone preferenziali di spostamento, per l’identificazione di corridoi ecologici.
Nel presente lavoro si propongono alcune generalità su questi metodi e una serie di casi in
cui sono stati applicati e dai quali è possibile evincere potenzialità e limiti (essenzialmente
concernenti la disponibilità di dati di base validi) di queste tecniche di simulazione.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
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LA GENETICA NON-INVASIVA ED IL MONITORAGGIO GENETICO
DI POPOLAZIONI DI CARNIVORI
RANDI E., CANIGLIA R., DAVOLI F., DE BARBA M., FABBRI E., GRECO C.,
MUCCI N., SANTINI A.
Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, via Cà Fornacetta 9, 40064 Ozzano Emilia (BO)
Recenti progressi nell’applicazione di tecniche di genetica forense alla caratterizzazione di
specie selvatiche consentono di utilizzare campioni biologici raccolti in maniera non-invasiva, cioè senza la necessità di catturare gli animali. Campioni di DNA analizzabile possono essere estratti da escrementi, peli o penne, frammenti di epidermide, gusci d’uova, tracce di sangue ed urine. In questo modo è possibile caratterizzare geneticamente individui e
popolazioni di specie elusive, difficilmente contattabili direttamente. Geni specifici del
DNA target sono amplificabili tramite Polymerase Chain Reaction (PCR) ed analizzabili tramite le metodologie standard della genetica molecolare. I dati che si ottengono sono utilizzati non solo per caratterizzare geneticamente gli individui e le popolazioni (stimando la
variabilità genetica entro popolazione, la divergenza genetica tra popolazioni, il flusso genico ecc.), ma anche per progetti di censimento e monitoraggio demografico delle popolazioni. Infatti l’analisi genetica dei campioni non-invasivi consente di identificare con precisione i genotipi individuali (DNA fingerprinting), e quindi di conteggiare il numero minimo di
individui presenti nell’area e nel periodo di studio. Le liste dei genotipi georeferenziati possono essere analizzate ultilizzando modelli di cattura-ricattura per ottenere stime di dimensione delle popolazioni, indicazioni sugli ambiti territoriali di individui e gruppi familiari,
ed evidenze di dispersione. La qualità delle informazioni generate dalla genetica non-invasiva dipende da: 1 - protocolli di laboratorio che risolvano i numerosi problemi con i campioni non-invasivi (il DNA target è presente in bassa concentrazione e spesso è degradato;
il rischio di contaminazioni con DNA estraneo è elevato, gli errori di determinazione dei
genotipi possono essere frequenti); 2 - schemi di campionamento (opportunistico o pianificato) che consentano di ricavare stime affidabili dei parametri genetici e demografici. Sono
state sviluppate procedure in grado di risolvere sia i problemi di laboratorio che di campionamento, e che rendono applicabile la genetica non-invasiva allo studio ed alla conservazione di popolazioni naturali. I risultati di alcuni ricerche pubblicate recentemente hanno
dimostrato che è possibile identificare genotipi individuali corretti ed ottenere stime affidabili delle dimensioni delle popolazioni. Il Laboratorio di genetica dell’INFS è impegnato
nella realizzazione di progetti di monitoraggio genetico di alcune popolazioni italiane di carnivori (Orso bruno, Lupo, Lontra ed altri mustelidi), implementando metodologie e banche
dati di genotipi georeferenziati. I principali risultati di tali progetti verranno sinteticamente
illustrati in questa comunicazione.
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LA BIOPERMEABILITA’ DEL TERRITORIO COME METODO DI
ANALISI DEL PATTERN DI FRAMMENTAZIONE E DEL GRADO
DI CONNETTIVITA’
SERGIACOMI U., DI MURO G., LOMBARDI G., MAZZEI R.
Osservatorio Faunistico Regione Umbria, via M. Angeloni 61, 06100 Perugia
Tel.: 0755045002; Fax 0755045565; E-mail:[email protected]
Lo studio della frammentazione del territorio è stato basato per lungo tempo sulla teoria
della biogeografia insulare, configurando il territorio, come una struttura binaria: habitat e
matrice (intendendo con questo ultimo termine un non-habitat delimitante le patch di habitat). La matrice era considerata omogenea, uniforme e inospitale, come il mare intorno ad
un arcipelago, e l’isolamento delle patch (isole) veniva valutato semplicemente sulla base
della distanza geometrica tra di esse. E’ invece oramai acquisita, nell’ambito degli studi
sulla connettività, la necessità di valutare anche e soprattutto in modo qualitativo il territorio interposto tra le aree di habitat considerato idoneo per una determinata specie. E’ quindi
necessario completare ed integrare gli studi volti alla elaborazione di modelli di idoneità
ambientale, con analoghi metodi di valutazione delle aree risultanti inidonee; sulla base di
questi si potrà considerare il grado di “biopermeabilità” del territorio. Nell’ambito dell’analisi andranno prese in considerazione le variabili ambientali che rendono l’habitat inospitale, e approfondito e valutato il grado di “resistenza” che queste oppongono alla presenza ed
alla diffusione della specie oggetto di studio.
In questo lavoro viene riportato lo studio eseguito dall’Osservatorio Faunistico della
Regione Umbria sul Capriolo (Capreolus capreolus), utilizzando l’approccio metodologico
come sopra descritto. Dopo aver elaborato un modello di vocazionalità del territorio ed individuate le aree idonee con capacità predittiva altamente significativa (p<0,005) è stata analizzata la matrice. I risultati ottenuti hanno consentito l’elaborazione di una carta della permeabilità alla specie, basata su di un raster a matrice pesata. Attraverso l’utilizzo della LCP
(Least Cost Path analysis), sono state poi individuate le aree più “sensibili” e di maggiore
importanza per la connettività del territorio idoneo. Vengono poi riportate considerazioni sui
vantaggi dell’utilizzo della cartografia di tipo raster nelle elaborazioni dei modelli di valutazione ambientale.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
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ANALISI BIOMOLECOLARE E INDICI DI PRESENZA INDIRETTA:
UNO STRUMENTO UTILE AL RICONOSCIMENTO
SPECIE-SPECIFICO DI MUSTELIDI
VERCILLO F., LUCENTINI L., PALOMBA A., PANARA F., RAGNI B.
Dipartimento di Biologia Cellulare e Ambientale, Università degli Studi di Perugia
via Elce di Sotto, 06123 Perugia
Tel.: 0755855726; Fax 0755855733, E-mail [email protected]
L’applicazione di marcatori molecolari allo studio della fauna selvatica necessita dell’analisi di un numero elevato di esemplari. Per questo, la possibilità di impiegare metodiche di
campionamento non invasive, è essenziale per un approccio molecolare estensivo, che si
prefigga di non intaccare le popolazioni studiate, in particolare di specie elusive, a rischio o
di difficile discriminazione morfologica, quali Martora Martes martes, Puzzola Mustela
putorius e Faina Martes foina. A tal fine l’analisi degli indici di presenza indiretti (peli,
escrementi ecc.) può rappresentare un valido strumento per studi di dinamica popolazionale e di distribuzione di Mammiferi selvatici. Sulla base di tali considerazioni è stato messo
a punto un protocollo biomolecolare di PCR-RFLP che consente l’attribuzione specie-specifica di peli od escrementi di Martora e Faina. Inoltre, poiché la morfologia delle feci è
confondibile con quella della Puzzola e, a volte, della Volpe (Vulpes vulpes), la metodica è
stata sviluppata in modo da distinguere anche queste due specie. Il protocollo si basa sull’amplificazione di un frammento di 365bp del Citocromo b, un gene altamente conservato
e pertanto molto impiegato in studi di filogenesi. Con l’utilizzo di quattro enzimi di restrizione e mediante una serie di digestioni sequenziali, si ottengono pattern di restrizione specie-specifici in grado di discriminare e attribuire l’indice di presenza a una delle quattro specie studiate. I siti di restrizione sono stati identificati sulle sequenze del Citocromo b ottenute per campioni certi di ogni specie mediante clonaggio e sequenziamento di tali frammenti. I pattern desunti, sono stati saggiati su alcuni campioni di tessuto e pelo di individui
con attribuzione certa. La metodica RFLP è stata applicata a 50 campioni di escremento raccolti in natura e morfologicamente attribuibili al genere Martes. L’analisi molecolare ha
confermato circa l’80% di tali attribuzioni. La metodologia riportata grazie alla sua rapidità
(36h circa), non invasività, costo contenuto ed elevata affidabilità, rappresenta un valido e
potente strumento da impiegare a fini conservazionistici e gestionali.
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CENSIMENTO DELLA LONTRA (LUTRA LUTRA) NEL PARCO
NAZIONALE DEL POLLINO, MEDIANTE ANALISI GENETICA DI
CAMPIONI FECALI FRESCHI
PRIGIONI C., REMONTI L., BALESTRIERI A., SGROSSO S., PRIORE G.,
RANDI E., MUCCI N.
Dipartimento di Biologia Animale, Università di Pavia, piazza Botta 9, 27100 Pavia
E-mail: [email protected]
Lo sviluppo delle tecniche di amplificazione del DNA ha consentito di analizzare con successo quantità sempre più ridotte di materiale biologico. L’analisi genetica di campioni biologici non invasivi quali le feci, può costituire uno strumento di grande utilità per lo studio
e la conservazione di specie minacciate.
Questa tecnica è stata impiegata per censire la Lontra (Lutra lutra) nel Parco Nazionale del
Pollino, mediante la tipizzazione genetica di campioni fecali “freschi”, raccolti lungo 183,8
km di corsi d’acqua. Sono state analizzate complessivamente 244 feci, delle quali 217 raccolte nel periodo marzo-settembre 2004 e 27 raccolte nel periodo 2001-2002. Il campione
raccolto nel 2004 è stato utilizzato per la stima della consistenza della popolazione, mentre
le feci raccolte negli anni precedenti hanno consentito di ottenere informazioni aggiuntive
circa i tratti di fiume frequentati dalle lontre mappate.
E’ stato determinato il genotipo di 103 (42,2%) campioni fecali freschi, che sono risultati
attribuibili a 31 genotipi distinti, corrispondenti quindi a 31 lontre (23 dal campione del
2004, 8 dal campione del 2001-2002).
La consistenza della popolazione è stata stimata mettendo in relazione il numero feci tipizzate con il numero cumulativo di genotipi individuati, mediante un’analisi di regressione
non lineare. Il processo è stato reiterato dopo randomizzazione del campione, fino a quando la consistenza media stimata della popolazione non si è sufficientemente stabilizzata.
Con 140 iterazioni è stata stimata una popolazione di 34-37 animali (intervallo di confidenza del 95%), corrispondente ad una densità di 0,18-0,20 lontre/km di corso d’acqua.
La distanza massima, misurata lungo le aste fluviali, fra campioni fecali attribuiti allo stesso genotipo, è variata da 0,02 km e 34,8 km. Per due fiumi (Cogliandrino e Sinni), una
Lontra ha occupato, dal 2001 al 2004, un tratto fluviale di 34,8 km, all’interno del quale è
stata individuata la presenza contemporanea di almeno altre 6 lontre (2004), a cui si potrebbero aggiungere altri 2 animali individuati unicamente attraverso i campioni raccolti nel
2002. Lungo il bacino idrografico del fiume Mercure-Lao è emersa una situazione simile:
una Lontra ha occupato 21,6 km di corso d’acqua, all’interno del quale è stata individuata
la presenza contemporanea di almeno 6 lontre mappate nel 2004 e di altre 3 mappate fra il
2001 e il 2002.
Pur con la cautela che richiedono dati che non sono stati raccolti in modo standardizzato con
lo scopo di monitorare gli spostamenti delle lontre, sembra emergere un modello di organizzazione sociale che potrebbe riflettere lo schema tipico della specie, con ampie aree vitali di maschi adulti, includenti totalmente o parzialmente quelle di femmine accompagnate
da cuccioli.
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RETI NEURALI ARTIFICIALI E MODELLI DI IDONEITÀ
AMBIENTALE: APPLICAZIONI PER IL CERVO (CERVUS ELAPHUS)
NEL PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO, LAZIO E MOLISE
CASCONE C.1, TAGLIAFERRI R.2, STAIANO A.2, CIARAMELLA A.2,
LATINI R.3, CEPOLLARO A.3
1
Dipartimento delle Scienze Biologiche, Sezione Biologia Vegetale, Università degli Studi
di Napoli Federico II – CRdC INNOVA, via Foria 223, 80139 Napoli
Tel.: 0812538507; E-mail: [email protected]
2
Dipartimento di Matematica ed Informatica,Università degli Studi di Salerno, via Ponte
don Melillo, 84084 Fisciano (SA)
3
Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, via S. Lucia 1, 67032 Pescasseroli (AQ)
Nella gestione del territorio, ed in particolare delle aree protette, risultano molto utili i
modelli di idoneità ambientale, in quanto permettono di evidenziare le esigenze ecologiche
della fauna. I modelli basati sulle reti neurali artificiali stanno diventando uno strumento
sempre più usato per analizzare i sistemi ecologici, in quanto presentano il vantaggio di analizzare dati, come le variabili ambientali, che non presentano relazioni lineari.
In questo lavoro viene presentato un approccio allo sviluppo di un modello, basato su Reti
Neurali Artificiali, per la classificazione di habitat idonei per il Cervo (Cervus elaphus) nel
Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM) dove la specie è stata reintrodotta
negli anni ‘70. L’area di studio interessa esclusivamente la parte abruzzese del Parco, caratterizzata da grosse estensioni di boschi di faggio (Fagus sylvatica) e pascoli. L’abbondanza
relativa del Cervo è stata valutata mediante il conteggio dei gruppi di escrementi lungo 2
transetti di 1 Km posizionati in celle della griglia UTM. Utilizzando un’apposita estensione
del software GIS Arcview 3.2 le celle (quadrati di 1 km di lato) sono state selezionate
casualmente dalla griglia sovrapposta alla mappa del Parco. Durante il conteggio degli
escrementi sono state misurate anche le variabili ambientali (copertura percentuale in plot
circolari di 5 m di raggio e centro nel gruppetto di escrementi). L’abbondanza dei pellet di
cervo (variabile target) è stata divisa in classi. Il dataset è stato suddiviso in tre parti utilizzate rispettivamente per il training della rete, la validation ed il testing del modello. La tecnica di clustering adottata è basata sulle Probabilistic Principal Surfaces (PPS) e sul
NegEntropy Clustering (NEC). Le PPS sono un modello probabilistico generativo a variabili latenti mediante il quale è possibile determinare una funzione densità di probabilità di
un insieme di dati di input in modo totalmente non supervisionato; il NEC, è una procedura di tipo gerarchica, esso è in grado di individuare delle sottostrutture all’interno di un insieme di dati sfruttando una misura di informazione basata sul concetto di entropia e di discriminante lineare di Fischer. La matrice utilizzata nelle simulazioni contiene 692 casi per 33
variabili. Il modello ottenuto risulta molto sensibile nell’individuare sottostrutture nell’insieme di dati di input. Questi primi risultati si sono rivelati importanti al fine di implementare gli algoritmi di clustering nell’analisi dei dati ambientali al fine sia di ridurre i tempi di
training sia di migliorare l’efficienza della classificazione.
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UTILIZZO DI METODOLOGIE ETOLOGICHE PER LA
VALUTAZIONE DEI DIVERSI TIPI DI TEMPERAMENTO DI CANI
RESIDENTI IN CANILE AL FINE DI MIGLIORARNE LO STATO
DI BENESSERE E FACILITARNE L’ADOZIONE
DE PALMA C.
Dipartimento di Anatomia, Biochimica e Fisiologia Veterinaria, Viale delle Piagge 2,
56124 Pisa; E-mail: [email protected]
La valutazione del temperamento dei cani in canile ha numerose finalità, tra cui una maggiore conoscenza del comportamento del cane e l’individuazione delle affinità cane-proprietario per favorire un giusto rapporto uomo-animale, oltre che prevenzione degli abbandoni e del randagismo. Per questo scopo sono stati selezionati 74 cani presso un Pubblico
Canile e Ospedale Veterinario di Roma. Per le osservazioni, iniziate un mese dalla sterilizzazione per evitare modificazioni nel temperamento, sono stati utilizzati il “focal animal
sampling” e la registrazione “all occurrence”. Le situazioni di osservazione sono state 3: a)
nel box, con almeno un conspecifico; b) in uno spazio più ampio del canile senza interazione con l’osservatore; c) con le stesse modalità del punto b, ma con interazione dell’osservatore per valutare l’indipendenza dagli esseri umani, accompagnate da 2 passeggiate al
guinzaglio all’esterno della struttura per quantificare l’autocontrollo dell’animale. Quindi 9
osservazioni per ogni cane (4 h e 30’), per un totale complessivo di 666 sessioni (333 h),
unite alla raccolta di 3 campioni di feci per 3 giorni di seguito per la misurazione del cortisolo. I dati, messi in 16 categorie comportamentali, sono stati elaborati tramite l’Analisi
delle Componenti Principali (ACP), definendo dei “fattori” che hanno dato un punteggio a
ciascun cane, correlato con il livello di cortisolo fecale (rho di Spearman), nonchè con i
valori fatti registrare dai cani nei test comportamentali per l’indipendenza. I primi 5 fattori identificati dall’ACP spiegano il 56% della varianza totale e, considerando solo i valori
≥ 50%, sono stati definiti: a) fattore 1 “subordinazione per paura”; b) fattore 2 “indipendenza-dominanza”; c) fattore 3 “ansia-socievolezza verso i cani”; d) fattore 4 “giocosità”;
e) fattore 5 “socievolezza verso l’uomo”. Inoltre l’ACP ha assegnato un “valore individuale” dando ad ogni cane 5 punteggi tanti quanti i fattori, stabilendo quanto essi fossero
subordinati, dominanti, ansiosi, socievoli verso gli esseri umani e verso i cani. È risultata
una correlazione inversa tra il tasso di cortisolo fecale di 39 cani (8,6 ng/g) e i loro valori
individuali relativi al fattore 5 identificato dall’ACP (rs=-,276, P=0,08): si potrebbe, quindi, supporre che la presenza umana abbassa l’ansia! Concludendo, dall’ACP è emersa una
variabilità individuale molto alta e i dati dimostrano il basso tasso d’aggressività ed ansia,
l’assenza di stati depressivi e di apatia, automutilazioni ed altre stereotipie, ma alta ricezione agli stimoli ambientali.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
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IL CAPRIOLO CAPREOLUS CAPREOLUS NEL PARCO
NATURALE DELLE CAPANNE DI MARCAROLO
(APPENNINO SETTENTRIONALE, PROVINCIA DI ALESSANDRIA):
DUE METODI DI CENSIMENTO A CONFRONTO
TOFFOLI R., PANIZZA G., COLOMBI G.
Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo, via G. B. Baldo 29
15070 Lerma, AL; E-mail: [email protected]
Dal 2002 è stata monitorata la popolazione di Capriolo (Capreolus capreolus) nel Parco
delle Capanne di Marcarlo (AL).
I metodi di censimento utilizzati sono stati il conteggio diretto in aree campione e transetti
notturni, con misurazione delle distanze. Il primo è stato effettuato dal 2002 al 2004 in venti
settori di superficie compresa tra i 60 e 100 ha, per un totale di 4091 ha, pari al 49,8% della
superficie dell’area protetta utilizzando 30-40 operatori per 3-4 giorni consecutivi tra la fine
di marzo e i primi di aprile. La seconda metodologia di monitoraggio è stata utilizzata dal
2003 al 2005, compiendo sette transetti notturni con il faro, per una lunghezza complessiva
per anno di 91,5 km, percorsi in auto da 7 squadre composte da 2 operatori per due notti
consecutive tra fine di febbraio e metà di marzo. I dati raccolti sono stati elaborati utilizzando il software DISTANCE 4.0. I censimenti a vista hanno permesso di calcolare una densità compresa tra 8,72 individui/100 ha nel 2002, 9,80 individui/100ha nel 2003 e 9,88 individui/100 ha nel 2004. Questi valori permettono di stimare una popolazione compresa tra
715 e 810 individui, con una media di 800 nei tre anni.
Le densità rilevate con i transetti sono variate da 9,63 individui/100 ha nel 2003 (E.S.=3,0;
% coefficiente di variazione: 31,16; intervallo di confidenza 95%: 4,66–19,91), a 10,50 individui/100 ha nel 2004 (E.S.=2,3; % coefficiente di variazione: 22,11; intervallo di confidenza 95%: 6,67–16,52) e 14,29 individui/100 ha nel 2005 (E.S.=2,3; % coefficiente di
variazione: 14,29; intervallo di confidenza 95%: 10,09–20,23) con una media di 11,64 individui/100 ha (% coefficiente di variazione: 13,33; intervallo di confidenza 95: 7,83–17,30).
Tali valori hanno permesso di stimare una popolazione compresa tra 791 e 1164 individui
nei tre anni, con una media di 957. Il confronto delle densità e delle stime rilevate con i due
metodi, evidenzia come i valori siano simili tra di loro, leggermente superiori quelli ottenuti con i transetti, in ragione di una sottostima nei conteggi a vista.
La sex-ratio e age-ratio rilevate con le due metodologie presentano anch’esse valori simili.
Conteggi a vista: maschi/femmine: 0,93 nel 2002; 0,81 nel 2003; 0,78 nel 2004 e adulti/giovani: 2,9 nel 2002; 2,7 nel 2003; 2,5 nel 2004; transetti: maschi/femmine: 0,92 nel 2003;
0,88 nel 2004; 1,10 nel 2005 e adulti/giovani: 2,2 nel 2003; 2,1 nel 2004; 2,9 nel 2004. In
conclusione i censimenti con transetti nel Parco di Capanne di Marcarolo, dove la viabilità
permette di coprire in maniera uniforme l’area, sono sicuramente più efficaci nel monitorare la popolazione di Capriolo rispetto ai conteggi a vista, in relazione al minor sforzo in termini di numero operatori/giorni di censimento.
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METODI DI VALUTAZIONE DELL’ETÀ DEL CAPRIOLO
(CAPREOLUS CAPREOLUS): USURA DENTARIA E CONTA DEGLI
ANELLI DI CEMENTO A CONFRONTO
CAPITANI C.1, MATTIOLI L.2, APOLLONIO M.1
1
Dipartimento di Zoologia e Antropologia biologica, Università di Sassari, via F.Muroni,
25, 07100 Sassari; Tel.: 079228667; Fax: 079228665; E-mail: [email protected].
2
Provincia di Arezzo, Ufficio Piano Faunistico, piazza Libertà 3, 52100 Arezzo
L’età degli ungulati selvatici può essere stimata con metodi differenti, tra i quali il più frequentemente utilizzato è l’analisi dello stadio di eruzione e di usura dentaria. Questo metodo, tuttavia, può essere influenzato da fattori ecologici come le risorse trofiche disponibili o
le condizioni climatiche. Una tecnica più precisa è la conta degli anelli di accrescimento del
cemento sia con sezione sottile osservata al microscopio, sia con sezione longitudinale. In
questo studio sono stati confrontati i risultati ottenuti con l’analisi dello stato di usura dentaria e il conteggio degli anelli di cemento da sezione longitudinale, per la determinazione
dell’età di 172 caprioli abbattuti in Provincia di Arezzo. La concordanza tra i due metodi è
risultata pari al 57,6%. Considerando le classi comprese tra i 3 e i 5 anni, la concordanza è
risultata mediamente pari al 77,8%. L’errore medio effettuato col metodo dell’usura rispetto a quello della sezione è risultato pari a –0,20, il che significa la sottostima di 1 anno d’età
per circa un individuo su cinque. L’alto grado di compensazione tra gli errori ha fatto sì che
la struttura d’età della totalità del campione, determinata con i due metodi, si sia mantenuta
abbastanza simile. Nell’82,65% dei casi discordanti, infatti, la differenza tra i due metodi è
stata pari a ± 1, e solo in 3 casi l’errore è stato maggiore di ± 2, con un massimo di -4. I casi
in cui sono state riscontrate le differenze più ampie tra i due metodi sono rientrati nelle classi d’età più avanzate (7 anni e 8-12 anni), per le quali però l’errore medio nel complesso è
risultato il minimo. I risultati ottenuti suggeriscono che anche se il metodo dell’usura dentaria non può essere usato per la determinazione esatta dell’età di un individuo, tuttavia fornisce velocemente una stima sufficientemente precisa dell’età, che può essere nella pianificazione della gestione della specie e nella valutazione dei suoi effetti.
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TASSO DI SCOMPARSA DELLE FECI DI CAPRIOLO
IN UN AMBIENTE MEDITERRANEO
MINDER I., LOVARI S.
Sezione di Ecologia Comportamentale, Ecologia e Gestione della Fauna, Dipartimento di
Scienze Ambientali, Università di Siena, via P.A. Mattioli 8b, 53100 Siena
Tel.: 0577232953; Fax: 0577232825; E-mail: [email protected]
Le stime numeriche delle popolazioni animali possono essere basate sul conteggio dei segni
di presenza (es. escrementi, impronte), soprattutto in situazioni in cui l’osservazione e il
conteggio diretto risultano difficili o impossibili. La tecnica del pellet group count, spesso
adottata negli studi sugli ungulati selvatici, è basata sul rilevamento del numero di escrementi in aree-campione (sampling plot) e può permettere la stima della densità della popolazione. La tecnica richiede la conoscenza accurata di due variabili: il tasso di defecazione
e quello di scomparsa delle feci. Quest’ultimo parametro può risultare molto variabile in
relazione alla specie studiata e alle caratteristiche ambientali.
Nella presente ricerca, condotta nel Parco Regionale della Maremma, è stato studiato il
fenomeno della scomparsa delle feci di Capriolo (Capreolus capreolus) in funzione dei
parametri ambientali e climatici. Situata sulla costa tirrenica, nel sud della Toscana, l’area
di studio è caratterizzata prevalentemente da pascoli e coltivi (nella bassa piana del fiume
Ombrone) e da macchia mediterranea (sulle colline dell’Uccellina); il clima è mediterraneo
(precipitazione media annua 670 mm, temperatura minima media 6°C, temperatura massima media 23°C). All’inizio di ogni stagione sono stati distribuiti 12 campioni di 20 pellet
(raccolti nel mese precedente e in uno stato di conservazione ottimale) in ciascuna delle
quattro categorie ambientali individuate (macchia aperta, macchia coperta, zona agricola
aperta e zona agricola coperta). In seguito è stato rilevato, con cadenza mensile, il numero
di campioni residui. Il campione è stato considerato scomparso quando costituito da un
numero di pellet < 5.
Sono risultati necessari più di 4 mesi perché il 50% del totale delle feci scomparisse. Per
verificare l’esistenza di una relazione tra la variabilità nella scomparsa dei campioni e le
condizioni ambientali, i dati sono stati sottoposti in una prima fase ad analisi non-parametriche e, successivamente, ad analisi di regressione multipla. I primi risultati indicano che i
campioni esposti nella zona a macchia degradino più lentamente (di media, due mesi in più)
rispetto ai campioni lasciati nella zona agricola (Mann-Whitney U; p<0.05). Inoltre, risulta
significativa anche la differenza nel tasso di scomparsa di campioni esposti in mesi diversi
(Kruskall-Wallis H; p<0.05): campioni esposti a dicembre rimangono intatti più a lungo (di
media, tra 2 e 3 mesi in più) rispetto ai campioni esposti in altri mesi.
Vi sono indizi sufficienti per ritenere che le condizioni ambientali influiscano in modo sensibile sul tasso di scomparsa delle feci di Capriolo. Di conseguenza, risulta estremamente
importante, nella stima delle densità di popolazione di Capriolo attraverso il pellet group
count, considerare i principali parametri ambientali specifici per calibrare il valore del tasso
di scomparsa delle feci, adattandolo opportunamente.
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RADIO AURICOLARI VS RADIO COLLARI:
VALUTAZIONE COMPARATA DELLE PERFORMANCE
NEL CINGHIALE
MONACO A., CARNEVALI L.
Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, via Cà Fornacetta 9
40064 Ozzano dell’Emilia (BO); E-mail: [email protected]
La difficoltà di cattura di individui adulti di Cinghiale (Sus scrofa) è riconducibile a due fattori principali: la generale presenza di popolazioni ringiovanite per effetto della caccia e la
naturale diffidenza degli animali maturi nei confronti di strutture quali recinti o trappole.
L’applicazione dei radiocollari tradizionali ad individui giovani è problematica poiché se da
un lato è necessario che il collare aderisca al corpo, al fine di evitare problemi di varia natura, dall’altro l’applicazione di un collare stretto ad animali ancora in crescita è rischioso per
la loro salute.
Nell’ambito di una ricerca realizzata nell’Appennino tosco-romagnolo sono stati applicati
sia radiocollari (RC - Televilt) che radioauricolari (RA - Biotrack) ad un totale di 35 cinghiali. In totale sono state eseguite 40 radiomarcature: 30 mediante RA (età media=14,0
mesi) e 10 con RC (età media=18,4 mesi). Le performance dei due tipi di radio sono state
valutate mediante test sperimentali su radio di prova e su un animale dotato di entrambi i
tipi di radio. Sono inoltre state confrontate le dimensioni medie dell’area d’errore (ellisse di
Lenth) associata alle localizzazioni (N=2133) raccolte durante la ricerca.
Non si sono registrati malfunzionamenti delle radio, ma molte sono state le perdite (24 RA
e 3 RC). Nel caso dei RC, in due casi su tre l’animale è riuscito a sfilarsi il collare. La principale causa di perdita delle RA è stata la lacerazione della cartilagine auricolare dell’animale (N=16), quasi sempre riscontrata all’interno di fitti arbusteti. La durata media di permanenza sugli animali è risultata di 91 gg. (D.S.=40; min-max=39-186 gg.) con una differenza significativa (Test T: F=13,60, P=0,001) tra animali di peso inferiore a 30 kg (N=10,
media=66 gg.) e superiore (N=13, media=111 gg.).
I risultati dei test sperimentali hanno evidenziato una minore potenza di emissione del
segnale da parte delle RA, in particolare in presenza di importanti ostacoli fisici, sebbene in
assenza di ostacoli il segnale sia chiaramente ricevibile anche a 10 km di distanza. Per quanto concerne la precisione delle localizzazioni dai test non sono emerse differenze importanti tra i due tipi di radio e il confronto tra le aree di errore non ha messo in luce alcuna significatività (Test U: Z=-0,07, P=0,945).
La valutazione comparata ha messo in luce differenze rilevanti solo in termini di potenza di
emissione del segnale. La minore potenza delle RA ha creato qualche problema solo durante la ricerca degli animali in dispersione. Il problema principale delle RA è la ridotta permanenza della radio sull’animale, che può essere minimizzato applicando le radio su animali di peso non inferiore a 30 kg. Nel complesso le performance delle RA sono risultate
soddisfacenti e se ne consiglia l’utilizzo per ricerche a breve e medio termine in cui si intenda marcare individui giovani di cinghiale in condizioni di piena sicurezza.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
DISPERSIONE A LUNGO RAGGIO DI UN LUPO DALL’APPENNINO
SETTENTRIONALE ALLE ALPI MARITTIME: MOVIMENTI,
COMPORTAMENTO SPAZIALE ED ETEROGENEITÀ AMBIENTALE
CIUCCI P.1, MAIORANO L.2, ANDREANI M.3, REGGIONI W.3, BOITANI L.1
1
Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università di Roma “La Sapienza”, viale
dell’Università 32, 00185 Roma
2
Istituto di Ecologia Applicata, via Cremona 71, 00161 Roma
3
Progetto Life Lupo, Emilia Romagna
Nel Lupo Canis lupus, come in altre specie animali, gli spostamenti a lungo raggio influenzano la probabilità di trovare zone ed habitat idonei, opportunità di riproduzione e di alimentazione, e di minimizzare i rischi di mortalità e predazione. L’effetto congiunto di elementi antropici, di infrastrutture e barriere può influenzare nel Lupo i pattern di dispersione tra popolazione appenninica ed alpina, rispondendo quindi ad alterazioni a livello della
dinamica e genetica della (meta)popolazione. Nonostante l’argomento sia quindi di importanza critica per la gestione congiunta delle due popolazioni, nessun caso di dispersione tra
la popolazione appenninica ed alpina è stato ad oggi certificato direttamente, lasciando tra
l’altro spazio ad opinioni che negano la possibilità di un recupero spontaneo della specie
sulle Alpi . Il Lupo M15, un cucciolo maschio di 28 kg divenuto popolare con il nome di
Ligabue, rimase ferito il 24 febbraio 2004 nella periferia di Parma in seguito a collisione con
una macchina. Probabilmente in fase di dispersione, M15 era con ogni probabilità originario di un branco dell’Appennino modenese (Parco del Frignano), a circa 80 km in direzione
sud-est (come da analisi del DNA microsatellite su un campione fecale raccolto nel dicembre 2003). Dopo 2 settimane di riabilitazione, M15 è stato quindi rilasciato (11 marzo) nel
Parco Regionale dei Cento Laghi (PR), munito di radio-collare GPS (GPS-Direct, Televilt;
scarico dati remoto via GSM; resa: 78,6%). Dopo un breve periodo di perlustrazione della
zona di rilascio, M15 ha ripreso la sua attività di dispersione e nei successivi 10 mesi ha percorso l’intera catena appenninica raggiungendo le Alpi francesi il 7 ottobre 2004, fornendo
la prima evidenza diretta della connessione tra le popolazioni di lupi appenninica ed alpina.
M15 ha poi tentato di stabilizzarsi sul versante Italiano delle Alpi Marittime (Parco
Regionale della Valle Pesio), dove è stato trovato morto il 22 gennaio 2005. Sulla base di
484 localizzazioni GPS registrate ad intervalli di 12 ore, M15 ha percorso una distanza minima di 1243 km, per uno spostamento netto lineare di 217 km; ha attraversato 2 Stati, 4
Regioni, 4 autostrade e si è avvicinato 4-6 km a città come Sestri Levante, Genova e Cuneo.
L’intera traiettoria di spostamento viene descritta utilizzando indici metrici Eucliedi, indici
Frattali e statistiche circolari, e vengono così individuate differenti tipologie di movimento
e di comportamento spaziale; in ambiente GIS (ArcGISTM, v. 9.0, Esri), queste sono tra loro
confrontate in termini di caratteristiche dell’habitat, presenza antropica ed eterogeneità
ambientale. Utilizzando la proc ANOVA (SAS v. 8.02, Canonical Function), la struttura
canonica delle variabili considerate rivela che M15, durante il suo tragitto di dispersione, ha
modulato tipologia e tasso di spostamento essenzialmente in funzione della quota, della
distanza da strade e centri antropici, e della presenza di aree coltivate.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
ALIMENTAZIONE DEGLI ERBIVORI: CHIAVE D’IDENTIFICAZIONE
MICROISTOLOGICA DI 10 SPECIE VEGETALI DELLA MACCHIA
MINDER I., CAMPANA I., SANGIULIANO A.
Sezione di Ecologia Comportamentale, Ecologia e Gestione della Fauna, Dipartimento di
Scienze Ambientali, Università di Siena, via P.A. Mattioli 8b, 53100 Siena
Tel.: 0577232953-4; Fax: 0577232825; E-mail: [email protected]
Lo studio della dieta degli Ungulati selvatici si basa spesso sull’analisi degli escrementi,
soprattutto in ambienti dove l’osservazione diretta non è possibile e il rilievo delle brucature non consente un’attribuzione certa a causa della presenza di più specie consumatori. Nel
caso degli erbivori ruminanti, in cui la digestione di materiale vegetale è perfezionata, l’analisi fecale comporta l’identificazione microistologica dei frammenti di epidermide vegetale contenuti negli escrementi. La cuticola dell’epidermide delle foglie ha caratteristiche
specifiche e resiste generalmente alla digestione. Per l’identificazione è necessario creare
una collezione di riferimento, che si realizza attraverso la preparazione (prelievo, pulitura e
schiarimento tramite immersione in candeggina) e il montaggio permanente dell’epidermide delle piante selezionate (pagina superiore e inferiore delle foglie) su un vetrino. Si osservano e si descrivono poi le caratteristiche utili per la diagnosi, utilizzando un microscopio
ottico (100-400x) e un reticolo applicato all’oculare del microscopio per misurare i caratteri (0,05x0,05 mm a 200x). Sulla base delle caratteristiche specifiche viene finalmente
costruita una chiave anatomica.
Esistono pochi esempi di chiavi microistologiche, spesso non applicabili a frammenti piccoli (costituiti da poche cellule) piuttosto frequenti nelle feci degli erbivori ruminanti.
I risultati relativi all’analisi di 60 campioni fecali, raccolti (in tutti i mesi dell’anno) in aree
a macchia mediterranea del Parco Regionale della Maremma, hanno consentito di individuare le 10 specie vegetali più consumate dal Capriolo Capreolus capreolus: Quercus ilex,
Arbutus unedo, Cistus sp., Erica sp., Phillyrea latifolia, Phillyrea angustifolia, Smilax aspera, Rubia peregrina, Rosmarinus officinalis e Rhamnus alaternus. Queste specie, tipiche
della macchia mediterranea, sono state utilizzate per costruire una chiave d’identificazione
microistologica che consentisse il riconoscimento anche di piccoli frammenti. Nel presente
lavoro le caratteristiche diagnostiche utili per l’identificazione sono: il contorno delle cellule, la dimensione cellulare rispetto all’unità quadrata del reticolo a ingrandimenti 200x, lo
spessore della parete cellulare, la forma degli stomi e l’orientamento delle cellule sussidiarie, la presenza e forma dei tricomi e la presenza di cristalli. La chiave descritta, che necessita di integrazioni (un numero maggiore di specie rappresentative della macchia), costituisce uno strumento diagnostico utilizzabile in qualsiasi area contraddistinta da macchia
mediterranea.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
L’INTEGRAZIONE DEL TRACKING SU NEVE E DEL
WOLF-HOWLING NELLO STUDIO DEL LUPO
(CANISLUPUSNEL PARCO NAZIONALE DEI MONTI SIBILLINI
FORCONI P.1, DELL’ORSO M.2 , GALDENZI D.3
1
3
Studio Faunistico Chiros, via Nazionale 67, 62010 Sforzacosta (MC)
E-mail: [email protected]
2
Via Cesare Battisti, 20B, 62039 Visso (MC); E-mail: [email protected]
Via Tirreno 1, 63030 Monteprandone (AP); E-mail: [email protected]
Un monitoraggio sistematico del Lupo Canis lupus è stato svolto nel Parco Nazionale dei
Monti Sibillini (PNMS) ed alcune aree limitrofe (Appennino centrale), su una superficie
totale di circa 800 km2. Dal 2001 al 2005 sono state rilevate, mediante tracking su neve, 531
km di piste di Lupo e sono stati stimati 4 branchi costituiti ognuno da 2 a 8 individui.
Considerando i branchi con più di 5 individui, il numero massimo di lupi è stato rilevato in
media nell’8,41% (2,56-21,05%) delle piste di Lupo costituite da 2 o più individui. Ne consegue che per una stima accurata delle dimensioni dei branchi sarebbe necessario rilevare
almeno 12 piste di Lupo dello stesso branco durante ogni stagione invernale. Da luglio a
novembre 2003 e 2004, durante 48 notti, sono state svolte un totale di 133 sessioni di wolfhowling, ottenendo 24 risposte di lupi, di cui 17 sono del branco A, 5 del branco B e 2 del
branco C, accertando la riproduzione di 2 branchi nel 2003 e 3 nel 2004. Il tasso di risposta/notte è stato del 31,25% nel 2003 e del 59,37% nel 2004, il tasso di risposta/stazione è
stato del 11,63% e 38,78%, mentre il tasso di risposta/sessione del 9,09% e 24,36%, rispettivamente. La durata media degli ululati di risposta dei soli giovani è stata di 38’’ ± 20
(N=5), quelli di giovani e adulti di 111’’ ± 159 (N=10), mentre quella dei soli adulti di 85’’
± 133 (N=8); tali valori non risultano statisticamente differenti. Le aree di rifugio utilizzate
in inverno sono caratterizzate da una quota compresa tra 900 e 1400 m s.l.m., da una notevole pendenza dei versanti e da una vegetazione di bosco fitto. Quelle dello stesso branco
distano fra loro anche 9 km, mentre quelle principali appartenenti a branchi diversi distano
12-14 km. I siti di rendez-vous dei 3 branchi rilevati distano da 10 a 18 km e corrispondono in parte alle aree di rifugio invernale, anche se sono stati rilevati da 800 a 1700 m di
quota. Le aree di alimentazione in inverno ricadono principalmente tra 400 e 1150 m s.l.m.
e sono costituite da aree boscose di fondovalle in cui durante l’inverno si concentrano gli
ungulati selvatici, in particolare il Cinghiale Sus scrofa. Un caso eccezionale è stato rilevato a febbraio 2005 a seguito della presenza di 1-1,5 m di neve; due lupi sono stati osservati
per 4 giorni consecutivi in un’area di rifugio a circa 250 m da un sito in cui sono stati rinvenuti 8 caprioli da essi predati e mangiati durante 6-8 giorni. Integrando i dati dei due
metodi i branchi di Lupo presenti nel Parco sono 3-4 con una stima variabile negli anni tra
10 e 20 individui durante l’inverno, anche se alcuni di essi utilizzano aree esterne al Parco.
L’integrazione delle due tecniche ha permesso di ottenere dati più attendibili e completi;
infatti, con il tracking su neve è possibile estrapolare una stima dei branchi, rilevare il numero di individui in ogni branco, individuare le aree di rifugio invernali e le aree di alimentazione, mentre con il wolf-howling estivo si può confermare la presenza dei branchi, verificare il loro successo riproduttivo e localizzare le aree di rendez-vous.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
UN ESPERIMENTO DI RADIOTELEMETRIA
CON TECNOLOGIA GPS
MANDRICI A., RAGNI B.
Dipartimento di Biologia Cellulare ed Ambientale, Università degli Studi di Perugia
via Elce di Sotto, 06123 Perugia
Tel.: 0755855726; Fax: 0755855733; E-mail: [email protected].
Lo studio dell’attività di Mammiferi nello spazio e nel tempo è altamente dipendente dall’accuratezza e dalla precisione con le quali riescono a “lavorare” il metodo ed il mezzo
adottati nel rilevamento. La progressiva riduzione dei più disparati handicap, di natura tecnica, economica e politica, che rendevano poco accessibile ai teriologi di campo la tecnologia GPS (Global Positioning System) apre stimolanti prospettive, perfino per i ricercatori
italiani, per uno studio dell’ecologia comportamentale dei Mammiferi basata su tali metodo
e mezzo. In tale ambito è stato progettato e attuato un esperimento di recupero e reinserimento in natura di un esemplare di Lupo (Canis lupus) in un’area di studio dell’Appennino
umbro, con il fondamentale contributo della tecnologia GPS.
La lupa F1, “Cinicchia”, raccolta nell’agosto 2003 infestata da rogna sarcoptica e giacente
in gravi condizioni fisiche, è stata trasferita dal Centro di Recupero “Formichella” del Corpo
Forestale dello Stato (Monte Peglia, TR) al recinto di acclimatazione nell’Azienda
Faunistico Venatoria (AFV) “Paradiso di Pianciano” (Spoleto, PG) il 4 giugno 2004. In tale
data, previo screening sanitario, è stato applicato al soggetto un radiocollare Televilt Posrec
300 GPS-VHF. Nel periodo di osservazione-acclimatazione-condizionamento è stato attuato il programma di condizionamento comportamentale della lupa, al fine di orientarne l’attività di predazione e di alimentazione sulla specie-preda numericamente più disponibile
dell’Appennino Centrale: il Cinghiale Sus scrofa.
Il 4 agosto 2004, come da programma, all’età di 14 mesi, la lupa è stata messa in condizione di libertà mediante apertura della porta carraia del recinto; l’animale ha lasciato il recinto nella notte tra il 12 e il 13 agosto 2004; il 13 agosto 2004 è stato avviato il piano di monitoraggio costante tramite radiotracking. Il protocollo di referenziazione GPS era di 4 localizzazioni ogni 6 ore, quello VHF di almeno 1 localizzazione durante 2 dei 3 giorni settimanali di emissione VHF continua, fino al momento del distacco automatico del collare,
quando sarebbe stato possibile recuperare il collare seguendo il segnale specifico (Recovery
Beacon).
Il radiocollare si è staccato il 13 Dicembre 2004 ed è stato recuperato 7 giorni più tardi.
Lo 0,4% delle triangolazioni sono state effettuate con meno di 3 satelliti, il 20,8% con 3, il
22,3% con 4, il 56,3% con più di 4; sono andate a buon fine 475 localizzazioni GPS su 747
tentativi (63.7%).
Cinicchia ha avuto l’opportunità di stabilirsi in ambiti protetti a vario livello, dall’AFV al
Parco Regionale, per un’offerta complessiva di decine di migliaia di ettari, che però ha attraversato senza farlo; la lupa ha percorso almeno 600 Km, in un’area di 60000 ha; lo studio
ha dato la possibilità di validare sperimentalmente l’attendibilità della Rete Ecologica
Regionale.
Nella primavera 2005 una lupa è stata osservata nell’AFV di rilascio, ma l’analisi del suo
sangue estrale ha consentito di escludere che si trattasse di Cinicchia.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
SELEZIONE DELL’HABITAT E DEI PERCORSI INVERNALI
DEI LUPI DELLE ALPI LIGURI
RUGHETTI M. 1, MARUCCO F. 2, BOITANI L. 2
1
2
Parco Alpi Marittime, via Regina Elena 30, 12010 Valdieri, Cuneo
Tel.: 3395271070; E-mail [email protected]
Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università di Roma “La Sapienza”,
viale dell’Università 32, 00185 Roma
Dagli anni settanta l’areale italiano del Lupo (Canis lupus) si è espanso verso nord, lungo
l’Appennino, fino ai primi avvistamenti sulle Alpi Marittime nel 1992. In Provincia di
Cuneo, i danni causati sugli alpeggi delle Alpi Marittime e del massiccio del Mercantour
hanno risvegliato l’interesse per il Lupo. Per comprendere le dinamiche di selezione del
Lupo su scala locale sono stati esaminati 850 km di percorsi tracciati da due branchi all’interno del loro territorio durante il periodo invernale dal 1999 al 2002; i percorsi sono stati
ricostruiti seguendo le tracce del branco sulla neve. L’intero percorso seguito dai lupi senza
interruzioni è individuato come una tracciatura. Sono stati risolti i problemi legati all’indipendenza spaziale e temporale dei dati raccolti su neve, identificando come unità di campionamento l’insieme di una o più tracciature lasciate dai lupi con un intervallo minimo di
24 h. Utilizzando la “compositional analysis” come metodo statistico, sono state confrontato le caratteristiche biofisiche dei percorsi utilizzati dai lupi (habitat utilizzato) con le caratteristiche presenti all’interno del territorio minimo stimato del branco (habitat disponibile).
I dati spaziali, come quelli delle tracce lasciate dai lupi, si adattano bene ad essere elaborati dalla compositional analysis poiché, rispetto ad altri metodi statistici, come la regressione logistica, il problema dell’autocorrelazione delle osservazioni è irrilevante. Sono stati
esaminati i percorsi rispetto all’altitudine, all’esposizione, all’inclinazione, all’uso del
suolo, all’orografia, alla distanza dalle strade e dagli edifici, ordinando le classi in cui è stata
divisa ogni variabile ambientale in ordine crescente di utilizzo. I lupi delle Alpi Liguri selezionano, specialmente durante le fasi di caccia, il fondovalle (p<0,01), fino ai 1500 m
(p<0,01), dove si muovono su pendenze non elevate nei boschi di latifoglie e conifere
(p<0,01); questi ambienti sono il tipo di habitat in cui vive il Capriolo Capreolus capreolus,
la preda più utilizzata dai lupi delle Alpi Liguri. Nell’attività di spostamento i lupi non
mostrano selezione per le fasce altitudinali (N=57, =0,78, P=0.016); questa mancanza di
selezione potrebbe rispondere alla necessità degli animali di valicare i passi alpini per arrivare ai valloni limitrofi. La distanza dai centri abitati e la densità delle strade, sono utilizzati come potenziali indicatori del disturbo antropico. I lupi delle Alpi Liguri evitano i centri abitati e le strade principali (p<0,01), con un comportamento schivo ed elusivo nei confronti dell’uomo; al contrario selezionano positivamente, in particolare durante l’attività di
caccia, le strade sterrate (p<0,01), non sfruttate dall’uomo durante il periodo invernale poiché generalmente inaccessibili.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
LA REINTRODUZIONE DELL’ORSO BRUNO (URSUS ARCTOS)
SULLE ALPI CENTRALI: ANALISI DELLA SELEZIONE DELLE
RISORSE TROFICHE
BRAGALANTI N.1, MUSTONI A.1, CARLINI E.1, ZIBORDI F.1, TOSI G.2,
MARTINOLI A.2, PREATONI D.2
1
2
Gruppo di Ricerca e Conservazione dell’Orso Bruno del Parco Naturale Adamello
Brenta via Nazionale 24, 38080 Strembo (TN)
Tel.: +390465806655; Email: [email protected]
Unità di Analisi e Gestione delle Risorse Ambientali Dipartimento “Ambiente-SaluteSicurezza”, Università degli Studi dell’Insubria, via J.H. Dunant 3, 21100 Varese
Tel.: +390332421538; Email: [email protected]
Con l’obiettivo di ricostituire una popolazione vitale di Orso bruno (Ursus arctos) sulle Alpi
Centrali, il Parco Naturale Adamello Brenta (PNAB), a partire dal 1996, ha promosso un
progetto di reintroduzione denominato “Life Ursus”. Il progetto è stato possibile grazie alla
collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale per la Fauna
Selvatica. Tra il 1999 e il 2002 sono stati rilasciati 10 orsi, provenienti dalla Slovenia. Ogni
animale è stato monitorato radiotelemetricamente, con l’obiettivo di ottenere un minimo di
2 localizzazioni (fix) al giorno. Secondo questo principio, tra il 1999 e il 2003, sono stati raccolti complessivamente 7773 fix, che costituiscono la banca dati sulla quale è stata impostata l’analisi della selezione trofica degli individui immessi.
L’area di studio sulla quale si è concentrato il lavoro coincide con il territorio del PNAB,
che si estende nel Trentino Occidentale su di una superficie di circa 620 km2. Utilizzando la
carta della vegetazione del PNAB sono state individuate 58 tipologie vegetazionali, successivamente accorpate in 9 macrocategorie di habitat, funzionali per indagare l’autoecologia
dell’Orso bruno. La sovrapposizione dei fix sulla carta della vegetazione ha permesso l’analisi in merito alla selezione dell’habitat da parte della specie. L’elaborazione dei dati è
stata effettuata mediante l’applicazione del modello log-lineare e ha permesso di spiegare la
variabilità dei dati con una probabilità dell’87%.
Le principali considerazioni emerse sono le seguenti:
- la selezione dell’habitat da parte di orsi erratici e stanziali varia nel corso degli anni e delle
stagioni. Gli individui sembrano frequentare zone geograficamente distinte, sfruttando principalmente le risorse trofiche maggiormente disponibili;
- la scelta della tana non sembra dipendere dalle risorse trofiche ma da parametri quali esposizione, quota, geomorfologia, microclima e presumibilmente da fattori quali sesso, età,
stato riproduttivo e preferenze individuali;
- la scelta delle risorse trofiche da parte degli orsi è maggiormente spiegabile tramite l’osservazione delle localizzazioni degli orsi “sedentari” che hanno il maggior numero di probabilità di essere localizzati nel momento in cui selezionano una categoria vegetazionale;
- le dinamiche temporali di selezione dell’habitat sembrano confermare l’esigenza di perlustrare il nuovo territorio da parte degli orsi immessi nel corso del primo anno dopo la loro
liberazione.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
STIMA DELLA VARIABILITÀ DI CAMPIONAMENTO NELLE
ANALISI DELLA DIETA: IL LUPO (CANIS LUPUS)
NELL’APPENNINO SETTENTRIONALE
GROTTOLI L., CIUCCI P., TOSONI E.
Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università di Roma “La Sapienza”,
viale dell’Università 32, 00185 Roma
In Italia a partire dagli anni ’70 sono stati realizzati oltre 17 studi sulla dieta del Lupo Canis
lupus. L’analisi degli escrementi, la tecnica più comunemente utilizzata, soffre tuttavia di
importanti limiti interpretativi e metodologici, primo tra tutti l’influenza sui risultati finali
delle dimensioni del campione analizzato. La quantificazione della dieta infatti si basa su un
sottocampione degli escrementi effettivamente prodotti dai lupi presenti nell’area durante il
periodo di studio e, in quanto tale, è soggetta a variabilità di campionamento; questa
influenza i risultati della dieta in termini di accuratezza delle proporzioni relative di ciascuna categoria alimentare e, di conseguenza, la possibilità statistica di rilevare differenze tra
campioni (es., stagioni, anni e/o territori differenti). Il problema è particolarmente rilevante
soprattutto in virtù delle esigue dimensioni dei campioni analizzati (71≤n≤982), quindi soggetti ad ampia variabilità di campionamento. In questo lavoro l’analisi della dieta del Lupo
è stata effettuata su un campione di 755 escrementi raccolti tra ottobre 2001 e marzo 2004,
nei parchi regionali di crinale dell’Emilia Romagna aderenti al progetto LIFE96
NAT/IT/003115, e l’influenza della variabilità di campionamento sulla dieta (quantificata in
base al numero di equivalenti, alla frequenza ed alla stima della biomassa) è stata valutata
tramite tecniche di bootstrapping (Resampling Stat, v. 5.0.2) applicate ad unità di analisi
coincidenti con il branco/stagione (11≤n≤118), dove gli ambiti territoriali dei diversi branchi sono stati stimati in base ad un parallelo programma di monitoraggio. Gli ungulati selvatici sono risultati predominanti rispetto alle altre categorie sia nella dieta estiva che in
quella invernale, con Capriolo (Capreolus capreolus) e Cinghiale (Sus scrofa) che insieme
costituiscono in media l’80% (min-max: 73-89%) della dieta estiva e il 73% (min-max: 6384%) della dieta invernale (frequenze equivalenti). L’ampiezza degli intervalli fiduciali
(bootstrapping) attorno alle proporzioni delle singole specie preda è risultata variabile da un
minimo del 2% (N=180) ad un massimo del 55% (N=11), tali intervalli sono stati utilizzati
al fine di definire i ranghi di importanza delle singole categorie alimentari così come a confrontare risultati relativi ad unità di analisi differenti. I risultati ottenuti vengono utilizzati
per illustrare e discutere l’applicazione delle tecniche di bootstrapping al fine di (1) quantificare un intervallo fiduciale attorno alle proporzioni delle singole specie preda in modo da
definire ranghi di importanza alimentare statisticamente distinti per ciascuna unità di analisi; (2) confrontare il risultato delle analisi di contingenza tradizionali con quello relativo alle
simulazioni di ricampionamento nel confronto statistico di due o più campioni; (3) stimare
il numero di escrementi necessari per determinare differenze tra due campioni di escrementi ad un dato livello di accuratezza.
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STUDIO DELLA DIETA DEL TASSO TRAMITE ANALISI FECALE:
COMPARAZIONE CRITICA DEI METODI E NUOVE PROCEDURE
MINDER I., GANDOLFI M., MASTROIANNI O., YOUNG C., FRANCONI N.,
BÖRGER L., LOVARI S.
Sezione di Ecologia Comportamentale, Etologia e Gestione della Fauna, Dipartimento di
Scienze Ambientali, Università di Siena, via P.A. Mattioli 8b, I-53100 Siena
Tel.: 0577232953; Fax: 0577232825; E-mail: [email protected]
Uno dei metodi più impiegati nello studio dell’alimentazione, l’analisi fecale, presenta considerevoli problemi metodologici, impedendo efficaci confronti comparativi. In particolare,
presenta problemi sia nel sampling design che durante le analisi di laboratorio, e allo stato
attuale poco è noto quanto ciò possa influire sulle inferenze statistiche desunte dai dati raccolti.
Usando un campione di 415 escrementi di Tasso Meles meles raccolti nell’arco di un anno,
si presentano nuovi metodi per valutare le analisi. In particolare, le problematiche affrontate sono: (a) Poiché il Tasso defeca regolarmente in un ristretto numero di siti (chiamati
“latrine”), un campionamento e un’analisi dei dati che non tengano conto della latrina di
provenienza dei singoli campioni possono portare a pseudoreplicazione. Costruendo una
matrice di diseguaglianza, basata sulla misura delle differenze di composizione volumetriche tra coppie di campioni, si possono confrontare statisticamente i campioni provenienti
dalla stessa latrina e quelli provenienti da latrine diverse. L’unità di misura è la Distanza
Euclidea Quadratica in uno spazio n-dimensionale, secondo la composizione in categorie
alimentari dei campioni. In un confronto su base mensile la composizione alimentare dei
campioni raccolti dalle stesse latrine è stata significativamente più simile tra di loro in circa
metà dei mesi dell’anno (Mann-Whitney U, Monte Carlo, p<0,05), soprattutto nei mesi con
maggior ampiezza di nicchia trofica della dieta (probabilmente una conseguenza della maggiore efficacia per rilevare differenze tra le coppie di campioni). Questo risultato può derivare sia dal ripetuto uso di ciascuna latrina a opera dello stesso individuo, o all’uso di essa
da individui diversi, ma alimentandosi nelle stesse aree. Si mostra come, utilizzando i
moderni metodi di decomposizione della varianza, si possa estendere questo approccio ad
una analisi della autocorrelazione spazio-temporale tra campioni raccolti nell’area di studio.
(b) In fase di analisi di laboratorio, per quantificare l’apporto di ogni alimento in ciascun
campione esistono diversi metodi, generalmente basati sul conteggio degli individui predati. Il metodo di Kruuk & Parish (1981) prevede la stima del volume parziale a occhio e la
trascrizione in classi volumetriche. Per diminuire la soggettività della stima viene usato
spesso un metodo più laborioso, in cui il numero di individui viene moltiplicato per il peso
medio dell’alimento. Si mostra che, nonostante le differenze significative tra i risultati ottenuti con questi due metodi (Wilcoxon, p<0,05), il quadro generale della dieta non cambia.
Tuttavia, le differenze tra i metodi aumentano secondo la complessità della composizione
del campione.
Si discute come le procedure presentate non solo contribuiscano ad una raccolta e analisi dei
campioni più efficienti e standardizzate, ma permettano di estendere il livello delle analisi
della dieta ad una piccola scala spaziale a livello di sottopopolazioni o individui.
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I MAMMIFERI COME POTENZIALI INDICATORI DI
QUALITA’ AMBIENTALE
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
INDICI E INDICATORI PER IL MONITORAGGIO
E LA VALUTAZIONE AMBIENTALE
BARBABELLA A.
Istituto Sviluppo Sostenibile Italia, via dei Laghi 12, 00198 Roma
Negli ultimi tempi sembra di assistere alla manifestazione di un crescente interesse per indici, indicatori e simili, in vari ambiti e da parte di diversi soggetti. Indipendentemente dagli
schieramenti di appartenenza, politici di ogni rango farciscono i loro discorsi con numeri di
ogni sorta a supporto delle proprie tesi. Questo atteggiamento è, forse, il prodotto della
ricerca di una credibilità, necessaria all’ottenimento del consenso, basata sul concetto di
oggettività idealmente custodito dal mondo della scienza e incarnato nel ‘feticcio’ del
numero. Gli indici/indicatori, e i valori numerici ad essi generalmente associati, stanno
diventando una specie di nuovo canale sensoriale di una umanità che sembra evolversi, con
successo oppure no, in direzione di un organismo sociale globale. Tra le particolarità di
questo nuovo senso vi è quella di essere governato da altri uomini che possono, spinti da
istinti assai poco sociali, alterare coscientemente e a proprio vantaggio l’informazione veicolata producendo una percezione della realtà distorta e potenzialmente dannosa per l’organismo sociale nel suo complesso.
Tutto ciò da un lato carica di responsabilità chi, a vario titolo, si occupa di elaborare e proporre suddetti indici e indicatori, dall’altro spinge a predisporre metodi atti a garantire un
certo grado di affidabilità a tali strumenti. In quest’ambito diversi enti ed organismi a vario
livello hanno sviluppato schemi e standard differenti, generalmente basati sui c.d. metodology sheet, attraverso i quali permettere la verifica dei dati e delle informazioni e la comprensione di ciò che lo specifico indicatori dice. E di ciò che non dice. Ciò presuppone l’esplicitazione del modello concettuale, formale o no, che ha portato a proporre lo specifico
indice/indicatore in risposta ad una specifica domanda.
In genere, e in particolare nel dominio ambientale, gli indici/indicatori vengono chiamati a
rispondere in modo semplice circa lo stato o l’evoluzione di sistemi reali complessi. La
risposta deve essere elaborata sulla base di un processo di sintesi, non di riduzione, senza
cadere nella trappola di una semplificazione eccessiva. Il più delle volte ciò si traduce nella
necessità di dover gestire un certo numero di parametri di natura anche diversa tra loro. Sono
stati sviluppati diversi approcci e metodologie per trattare una base informativa eterogenea
nell’ambito di un processo in cui è richiesto un elevato grado di sintesi. In alcuni casi, ad
esempio, è opportuno organizzare la base informativa in liste più o meno estese di indici e
indicatori strutturate, a seconda degli approcci, in modo gerarchico, per temi, settori ecc...
Talvolta può essere opportuno utilizzare dei metodi di combinazione di parametri differenti
cercando in ogni caso di minimizzare la fisiologica perdita di informazione e di produrre
indici trasparenti di facile interpretazione.
Spesso con indici e indicatori si cerca di rispondere ad una necessità di valutazione che presuppone un qualche metro di riferimento. In genere si tende ad utilizzare un concetto di qualità basato su misure di presenza/assenza di qualsivoglia modificazioni di origine antropica,
assumendo come negativa qualsiasi forma di intervento dell’uomo sull’ambiente. Un para74
digma più funzionale e meglio definibile sembra essere quello della sostenibilità ecologica:
anch’esso, tuttavia, risulta affetto da difficoltà di quantificare alcuni parametri di riferimento come la carrying capacity e la resilienza dei sistemi ecologici. Sembra ragionevole pensare alla sostenibilità come ad una condizione necessaria ma non sufficiente al raggiungimento della qualità ambientale.
Particolare attenzione è stata data agli indici e indicatori di biodiversità, ambiguamente intesa come misura diretta della qualità ambientale. Nonostante i progressi compiuti in termini
di analisi concettuale sull’argomento sono tuttora frequenti interpretazioni quantomeno
discutibili, aggravate dalla generale indisponibilità di una base informativa adeguata.
Appare, comunque, opportuno mettere in relazione l’elaborazione di specifici indici e indicatori agli obiettivi concordati in sede internazionale e comunitaria, in articolare quelli di
ridurre in modo significativo e arrestare il deterioramento della biodiversità entro il 20101.
Si contano ad oggi diversi approcci, nessuno dei quali sembra potersi considerare esaustivo.
1
L’obiettivo comunitario, indicato nel VI Programma di azione ambientale, è più impegnativo di quello concordato in occasione del Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite del
2002: ai fini della definizione di indici e indicatori specifici questa diversità può essere trascurata.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
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SELEZIONE DELL’HABITAT DA PARTE DEL SILVILAGO
(SYLVILAGUS FLORIDANUS) IN ITALIA SETTENTRIONALE:
PUO’ UNA SPECIE INTRODOTTA ESSERE UN INDICATORE
DI QUALITA’ AMBIENTALE?
VIDUS ROSIN A., GILIO N., MERIGGI A.
Dipartimento di Biologia Animale, Università degli Studi di Pavia, piazza Botta 9,
27100 Pavia; E-mail: [email protected]
Il Silvilago Sylvilagus floridanus è una delle principali specie di piccola selvaggina e il suo
areale è in aumento a causa delle introduzioni operate per scopi venatori. La specie è stata
introdotta in Italia nel 1966 in Piemonte e successivamente anche in altre regioni. Da maggio 2002 a novembre 2003 abbiamo studiato la selezione dell’habitat in due aree di studio
della provincia di Pavia, con ambienti simili e colonizzate in tempi differenti: la Zona di
Ripopolamento e Cattura di Castellaro de’Giorgi (325 ha) e l’area nel comune di Parasacco
(416 ha), localizzata nel Parco Regionale del Ticino e colonizzata in tempi più recenti. Per
determinare la densità di popolazione in entrambe le aree di studio abbiamo utilizzato il
metodo dei “Line transects”; i dati raccolti sono stati elaborati con il programma Distance
3.5. Abbiamo selezionato casualmente 100 punti in ogni area di studio in cui è stata determinata la presenza/assenza della specie, e in un buffer di 100 m di raggio, identificato attorno ad ogni punto, abbiamo misurato 9 variabili relative al microhabitat e 11 relative al
macrohabitat; abbiano quindi effettuato l’Analisi della Varianza ad un fattore di classificazione (One-way ANOVA) e l’Analisi di Funzione Discriminante (AFD) sui punti di presenza e di assenza. La densità di popolazione stimata nell’area di Castellano de’ Giorgi è stata
di 65,6 ind./km2 (CV = 8,6%), mentre quella nell’area di Parasacco è stata di 35,6 ind./km2
(CV = 16,4%). L’AFD nell’area di Castellano de’Giorgi, per le stagioni cumulate, ha individuato una funzione che ha discriminato significativamente i casi di assenza da quelli di
presenza (2=88,43; P<0,0001) classificando correttamente il 71,3% dei casi totali (77,2%
dei punti di presenza del Silvilago, 69,5% dei punti di assenza); la percentuale di elementi
lineari a vegetazione naturale, lo spessore della lettiera e la distanza dal bosco sono state le
variabili con maggior potere discriminante. Anche nell’area di Parasacco, per le stagioni
cumulate, l’AFD ha individuato una funzione significativa (2=37,78; P<0,0001) ha classificato correttamente il 66,0% dei casi totali, il 71,7% dei punti con presenza e il 65,3% dei
punti di assenza; la percentuale di boschi, di foglie morte sul terreno, di elementi lineari, lo
spessore della lettiera e la distanza dal bosco sono state le variabili con maggior contributo
alla funzione discriminante. Nel complesso è emerso come la presenza del Silvilago sia
strettamente legata agli ambienti naturali relitti e, in particolare, alla vegetazione ripariale,
alle formazioni cespugliari e ai frammenti di bosco naturale planiziale; tutti habitat di grande valore per la conservazione della biodiversità negli ecosistemi agricoli.
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ATTIVITÀ E DIVERSITÀ DELLA CHIROTTEROFAUNA:
UN RUOLO NELLA CARATTERIZZAZIONE DEGLI AMBIENTI
AGRO-SILVO-PASTORALI?
RUSSO D.1, 2, CISTRONE L.3, MIGLIOZZI A.1, JONES G. 2
1
Laboratorio di Ecologia Applicata, Dipartimento Ar.Bo.Pa.Ve., Facoltà di Agraria,
Università degli Studi di Napoli Federico II, via Università 100, 80055 Portici (Napoli)
Tel.: 0817754850; E-mail: [email protected]
2
School of Biological Sciences, University of Bristol, Woodland Road, BS8 1UG, Bristol, UK
3
Forestry and Conservation, Via Botticelli 14, 03043 Cassino (Frosinone)
Il presente contributo passa in rassegna il rapporto esistente tra chirotterofauna e qualità e
caratteristiche gestionali degli ambienti di alimentazione in paesaggi agro-silvo-pastorali. È
ormai acquisito che i chirotteri manifestino un’attività di foraggiamento variabile in relazione alla tipologia ambientale, e che l’intensificazione agricola comporti un impoverimento nelle faune insettivore. Di conseguenza, l’intensità di gestione degli agro-ecosistemi
determina cambiamenti nella diversità e nei livelli di attività di questi mammiferi, con valori più elevati negli agro-ecosistemi “biologici” rispetto a quelli convenzionali. L’intensità
gestionale degli agro-ecosistemi si correla anche alla presenza e all’estensione di elementi
paesaggistici caratteristici quali i sistemi di siepi. Mediante radio-tracking è stato evidenziato come i chirotteri dipendano dallo sviluppo e dalla continuità di questi per l’orientamento nel paesaggio. I chirotteri risultano inoltre fortemente legati a strutture tipiche del
paesaggio agricolo tradizionale, quali gli abbeveratoi destinati al bestiame, ove si registrano spesso elevati livelli di attività e ricchezza in specie. Studi sui rinolofidi condotti in
Spagna dimostrano come forme di gestione agro-silvo-pastorale di tipo tradizionale, quali le
dehesas, possano avere un ruolo nella mitigazione della competizione interspecifica, favorendo la coesistenza di specie simili. La conversione di questi ambienti ad altre forme di
governo del paesaggio può riflettersi in un impoverimento della chirotterofauna.
Talune specie di particolare rilevanza conservazionistica, come Barbastella barbastellus,
manifestano un forte legame con la presenza di alberi morti e di foreste a bassa intensità
gestionale. L’intensificazione della gestione forestale, in particolare, determina una progressiva scomparsa di questi taxa. Nonostante finora il ruolo della chirotterofauna nella bioindicazione sia stato poco esplorato, il forte legame che questi mammiferi contraggono con
le diverse modalità e intensità di uso del suolo su molteplici scale spaziali suggerisce che il
loro studio potrebbe fornire un valido contributo in questo settore d’indagine ecologica.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
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RECENTI METODOLOGIE IMPIEGATE AL FINE DI UTILIZZARE
I MAMMIFERI COME INDICATORI AMBIENTALI IN UN’AREA
A VASTO SFRUTTAMENTO PETROLIFERO: IL DELTA DEL FIUME
NIGER, NIGERIA
LUISELLI L.1, IKPEBA B.2, POLITANO E.3, ANGELICI F.M.4
1
2
FIZV (Ecologia), via Olona 7, 00198 Roma
Centre of Applied Petroleum Research, No 22-36 Egbide Estate, Yenagoa
(Bayelsa State), Federal Republic of Nigeria
3
Demetra Studi Ambientali s.r.l., via Tomassoni 17, 61032 Fano (PU)
4
FIZV (Zoologia), via Cleonia 30, 00152 Roma
La Nigeria è il sesto produttore mondiale di petrolio, ed il 90% dei suoi giacimenti si trova
in un’area di circa 20000 km2 situati all’interno del delta del fiume Niger. Quest’area è
estremamente interessante dal punto di vista ecologico e naturalistico, ed è caratterizzata
dalla presenza di alcuni lembi di foresta pluviale, da vaste estensioni di mangrovie, e da un
mosaico di fiumi, canali, paludi, stagni, e invasi d’acqua sia periodici che permanenti.
Tuttavia, negli ultimi 40 anni l’enorme impatto dell’industria petrolifera, insieme all’aumento esponenziale della popolazione umana, ha contribuito alla distruzione sistematica
della stragrande maggioranza del territorio forestato dell’area. Si calcola infatti che adesso
meno del 5% della foresta originaria sia ancora presente in quest’area della Nigeria meridionale.
Nell’ambito di vasti studi a lungo termine sulla biodiversità e gli ecosistemi dell’area in
questione, condotti con il finanziamento delle principali multinazionali del petrolio, si è
studiato l’uso di alcune specie di mammiferi come predittori della qualità ambientale. Si
sono usati metodi predittivi di regressione logistica per modellizzare la eco-distribuzione
dei vari taxa, e l’uso di simulazioni di Monte Carlo per comparare tali modelli ‘reali’ con
eco-distribuzioni ‘random’ attraverso l’uso di 50000 iterazioni “nulle”. Si sono usate le
seguenti specie bersaglio: civetta delle palme Nandinia binotata, genetta maculata Genetta
maculata, cane civetta Civettictis civetta, mangusta egiziana Herpestes ichneumon, antilope d’acqua Hyemoschus aquaticus, e cefalofo azzurro Cephalophus monticola. La ecodistribuzione di tutte queste specie si è dimostrata sempre statisticamente differente da ‘random’ (almeno P <0.02). Le specie che si sono rivelate buone indicatrici di habitat degradato sono Civettictis civetta e Nandinia binotata. Herpestes ichneumon si è rivelata indicatrice di habitat degradati abbandonati, in fase di riconversione a -forestazione, mentre
Hyemoschus aquaticus, Genetta maculata e Cephalophus monticola sono indicatori di
foresta di buon livello di conservazione, ciascuna specie, però, essendo indicatrice di tipologie forestali differenti.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
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VARIAZIONI DELLA QUALITÀ FAUNISTICO-AMBIENTALE
NELLE VALLI SUSA E CHISONE (TORINO): ELABORAZIONE DI
INDICI DI IDONEITÀ AMBIENTALE PER GLI UNGULATI E LORO
APPLICAZIONE ALLA VALUTAZIONE DEGLI IMPATTI ANTROPICI
LA MORGIA V., ISAIA M., BONA F., BADINO G.
Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università degli Studi di Torino, via
Accademia Albertina 13, 10123 Torino
Tel.: 0116704520/4527; Fax 011.6704508; E-mail: [email protected]
La corretta valutazione del valore faunistico-ambientale di un territorio è fondamentale per
individuare le strategie di conservazione e gestione delle specie animali e può assumere particolare importanza nei procedimenti di valutazione degli impatti delle azioni umane sull’ambiente naturale. In tali casi, le specie animali, in quanto strettamente legate alle altre
componenti ecosistemiche, possono svolgere un importante ruolo come indicatori delle
variazioni della qualità dell’ambiente. D’altro canto, quando la valutazione ambientale
riguarda territori molto vasti, il monitoraggio diretto delle popolazioni è di difficile attuazione ed è preferibile adottare metodologie di valutazione indiretta. In questo lavoro, si fornisce un esempio di utilizzo di indici di idoneità dell’habitat, sviluppati per alcune specie di
ungulati ed elaborati in ambiente GIS, come metodi per valutare la qualità ambientale delle
Valli Susa e Chisone (Alpi Occidentali, Prov. Torino), recentemente oggetto di profonde trasformazioni a causa della cantierizzazione per le Olimpiadi Invernali Torino 2006. Gli indici sono stati elaborati e validati per Cervo e Capriolo. Dati sulla presenza delle specie sono
stati raccolti in 14 aree di studio e messi in relazione con le diverse classi di idoneità dell’habitat individuate dai modelli: la distribuzione delle specie è risultata diversa dalla casuale (2(3)=31.7, P<0.01 per il Capriolo, 2(3) =17.2, P<0.01 per il Cervo), con densità delle
localizzazioni significativamente differente nelle aree a diversa idoneità faunistica (test di
Kruskal-Wallis g=9,5, P<0,05 sia per il Capriolo sia per il Cervo) e positivamente correlata
con il grado di vocazione (Capriolo rho=0,35, N=49; Cervo rho=0,39, N=48). Per quanto
riguarda il Capriolo, il modello elaborato ha correttamente classificato il 93,6% delle localizzazioni, mentre per il Cervo le localizzazioni correttamente classificate sono risultate pari
al 96,5%. Gli indici di idoneità hanno rappresentato la base per il calcolo di un indice ponderato di qualità ambientale, in grado di tenere in conto sia la quantità sia la qualità di habitat disponibile e utilizzabile per la valutazione degli impatti antropici. Questi ultimi hanno
portato ad una riduzione dell’habitat vocato per le specie, con sottrazione di 428,3 ha e di
385,7 ha vocati rispettivamente per il Cervo e il Capriolo, e ad una conseguente variazione
dei valori dell’indice di idoneità. L’estensione della metodologia ad altre specie di ungulati
presenti nell’area di studio (Camoscio e Stambecco) è proposta per ampliare la significatività ecologica dell’indice sintetico di qualità dell’ambiente.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
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UN CONTRIBUTO PER LA PIANIFICAZIONE DEGLI INTERVENTI
NELLA TENUTA DI SAN ROSSORE (PISA): LO STUDIO DELLA
CHIROTTEROFAUNA
AGNELLI P., GUAITA C., VERGARI S.
Museo Zoologico “La Specola”, Sezione del Museo di Storia Naturale dell’Università di
Firenze; E-mail:[email protected]
La distribuzione dei Chirotteri nella Tenuta di San Rossore è stata studiata al fine di indirizzare la gestione ambientale dell’area, in particolare degli ambienti forestali, per favorire
la protezione di questa importante componente faunistica. La comunità di pipistrelli si è
rivelata particolarmente interessante sia per il numero di specie segnalate (13), di cui una
nuova per la Toscana (Pipistrellus pygmaeus), sia per la presenza di importanti emergenze
come una colonia riproduttiva di Rhinolophus ferrumequinum, l’unica conosciuta su tutto il
territorio regionale e di elevato valore nazionale per la sua consistenza numerica.
Per valutare l’importanza relativa delle diverse tipologie ambientali della Tenuta abbiamo
monitorato l’intensità di attività dei pipistrelli durante la caccia notturna. Abbiamo quindi
scelto 8 transetti in altrettanti ambienti diversi: 1-Bosco mesofilo a Quercus robur e
Fraxinus angustifolia; 2-Coltivo con Pascolo; 3-Bosco a Pinus pinaster; 4-Bosco a Pinus
pinea; 5-Vegetazione ripariale ad Alnus glutinosa; 6-Pioppeto artificiale; 7-Coltivo; 8Riserva integrale dominata da boschi di sclerofille e mesoigrofili. Tra luglio e agosto 2003
abbiamo effettuato 6 campionamenti per ogni tipologia vegetazionale, procedendo a velocità costante e contando tutti i singoli contatti al bat-detector con esemplari in attività lungo
i transetti. In questo modo abbiamo potuto calcolare un indice relativo di abbondanza (I =
numero di contatti/100 metri) per ogni tipologia ambientale ed evidenziare differenze tra i
diversi ambienti. Un importante risultato è che il Bosco mesofilo di farnia e frassino si differenzia maggiormente rispetto alle altre tipologie ambientali, evidenziando un I particolarmente elevato. Il valore più basso dell’I è stato registrato nel pioppeto da impianto artificiale. Per quanto riguarda più strettamente la conservazione dei Chirotteri presenti nella
Tenuta, sono cinque le attività che si dovranno promuovere per una corretta gestione
ambientale: 1) mantenimento e manutenzione dei numerosi edifici abbandonati dove trovano rifugio i Chirotteri; 2) conservazione e incremento della vegetazione arborea a più elevata naturalità, e incremento delle aree di riserva integrale; 3) conservazione delle aree a
pascolo, indispensabili per una differenziazione degli ambienti di foraggiamento per la chirotterofauna; 4) conservazione e ripristino di siepi e formazioni lineari in genere; 5) mantenimento dei corpi idrici presenti e preservazione della loro invertebratofauna da fattori di
inquinamento sia chimico sia biologico.
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I MONITORAGGI FAUNISTICI NEL PARCO NATURALE
ADAMELLO BRENTA: SPERIMENTAZIONE DI UN METODO
DI VALUTAZIONE DELLA BIODIVERSITÀ DELLA ZOOCENOSI
A FINI GESTIONALI
MUSTONI A.1, CHIOZZINI S.1, MARCHESI L.1, TOSI G. 2, MARTINOLI A. 2,
PREATONI D. 2
1
Gruppo di Ricerca e Conservazione dell’Orso Bruno del Parco Naturale Adamello Brenta
Via Nazionale 24, 38080 Strembo (TN); Tel: +390465806655
Email: [email protected]
2
Unità di Analisi e Gestione delle Risorse Ambientali, Dipartimento Ambiente-SaluteSicurezza, Università degli Studi dell’Insubria, via Dunant 3, 21100 Varese
Tel: +390332421538; E-mail: [email protected]
In accordo con il proprio Piano Faunistico, il Parco Naturale Adamello Brenta (Trentino,
Italia) nella primavera del 2005 ha avviato un progetto di monitoraggio della zoocenosi presente sul proprio territorio. Tale progetto si pone come obiettivo la raccolta di dati utili per
indirizzare le azioni di conservazione e fornire un valido supporto all’individuazione delle
Riserve Speciali di tutela previste dalla Legge Istitutiva del Parco (L.P. 18 del 1988). Il lavoro è stato impostato su di un protocollo standardizzato per la raccolta di dati faunistici, ripetibile negli anni e in grado di valutare le dinamiche di distribuzione e di abbondanza delle
specie animali rappresentative della zoocenosi dell’area di interesse. Tale protocollo ha previsto la realizzazione di 71 transetti, della lunghezza media di 3,1 km, realizzati all’interno
del territorio del Parco (620 km2) da parte di 4 operatori. È stato inoltre previsto che il monitoraggio si concentrasse su 68 specie di Vertebrati, tra i quali 19 specie di mammiferi, ritenute sufficienti per ottenere un quadro significativo della biodiversità teriologica del Parco.
Al fine di poter ottenere utili informazioni anche sulla biodiversità dei Vertebrati dell’area
protetta, il monitoraggio ha contemplato anche 6 specie di anfibi, 8 di rettili e 35 di uccelli.
Per standardizzare il più possibile le metodiche di rilevamento, sono stati effettuati alcuni
incontri di formazione e ad ogni operatore è stato affiancato per circa 1/3 delle uscite uno
zoologo professionista esperto nel riconoscimento delle specie considerate e dei loro indici
di presenza. Seguendo i criteri esposti, tra il 15 aprile al 15 giugno, sono stati percorsi complessivamente 224,8 km, lungo i quali sono stati rilevati 2921 dati appartenenti a 47 specie,
con una media di 41,4 indici/transetto, il 17,8% dei quali diretti (avvistamenti ed emissioni
sonore) e l’82,2% indiretti (tracce). I dati raccolti, georeferenziati e archiviati in un database, costituiscono l’inizio di una serie storica che, grazie alla ripetizione periodica dei monitoraggi, potrà portare nel tempo a fornire interessanti dati circa il trend di alcune popolazioni animali riconosciute come di particolare pregio per l’area. Tra i risultati già raggiunti nel
corso del primo anno di lavoro, va peraltro evidenziata la possibilità di ricostruire carte della
distribuzione delle specie rilevate e di validare i Modelli di Valutazione Ambientale realizzati nel passato per ungulati e galliformi. In sintesi, il lavoro realizzato può essere considerato come un modello sperimentale di monitoraggio di una componente significativa della
zoocenosi vertebrata presente nell’area, utile per fornire informazioni essenziali per impostare una corretta ed efficace politica di gestione ambientale di un’area protetta.
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FELIS SILVESTRIS SILVESTRIS: SPECIE OMBRELLO DELLA
VERTEBROCENOSI DI UN’AREA DELL’APPENNINO CENTRALE
BIZZARRI L., RAGNI B.
Dipartimento di Biologia cellulare e ambientale, Università degli Studi di Perugia
via Elce di Sotto, 06123 Perugia; Tel.: 0755855726/32; Fax: 0755855733
E-mail: [email protected]
Il Gatto selvatico europeo (Felis silvestris silvestris), unico rappresentante della famiglia
Felidae nella fauna italiana autoctona, carnivoro obbligato e stenoecio, strettamente legato
a categorie vegetazionali di tipo forestale, rigorosamente protetto e di interesse comunitario,
viene considerato una specie ombrello capace di “coprire” le esigenze ambientali di numerosi taxa sintopici e di “indicare” una elevata condizione di naturalità delle aree frequentate. Tale taxon viene monitorato fin dalla metà degli anni Sessanta dello scorso secolo in
un’area dell’Appennino umbro, attualmente coincidente con l’Azienda Faunistico Venatoria
“Paradiso di Pianciano” estesa 1500 ha. L’area è caratterizzata da un mosaico ambientale
costituito da: orno-ostrieto (55 %), cerreto (17%) e faggeta (3%), prateria secondaria (9%),
oliveto (8%) e seminativi (7%), oltre a boschi di sclerofille sempreverdi e siepi; l’edificato
è storico e costituito da piccoli nuclei sparsi e da uno accentrato. Nell’area di studio, nel
periodo agosto 1966-agosto 1967, sono stati abbattuti 11 gatti selvatici, nell’anno successivo 21, di cui 17 maschi e 4 femmine (Game Book dell’Azienda); un monitoraggio con il
metodo naturalistico si attua tra il 1969 e il 1977, nel corso del quale vengono recuperate 12
carcasse della specie ombrello, nel 2002 viene catturato accidentalmente un maschio adulto, immediatamente rilasciato. Dal 2003 è in corso un programma di trappolamento e monitoraggio radiotelemetrico mirato al felide. Sono stati catturati 9 individui, 8 maschi e 1 femmina, tutti muniti di radiotrasmittente tranne 1, morto il giorno successivo alla cattura per
osteocondromatosi felina. Le estensioni medie di home range (MPC100%: 776,60 ha,
DS=345,35; kernel 95%: 339,05 ha, DS=132,60) e core area (kernel 60%: 123 ha,
DS=60,80), l’organizzazione spaziale che vede gli home range dei maschi completamente
separati o sovrapposti in situazioni rare ed eccezionali, le core area dei maschi totalmente
separate, l’home range e la core area della femmina inclusa in quella di più maschi evidenziano la presenza di una popolazione stabile e strutturata nell’area di studio. Il buono status
conservazionistico del felide “indica” anche un buono status dell’intera comunità di mesomammiferi. Tale ipotesi è confermata dai risultati del trappolamento e del metodo naturalistico. Con il primo, delle 8 specie di mesomammiferi attesi per l’area (Riccio, Istrice, Volpe,
Tasso, Puzzola, Faina, Martora, Gatto selvatico) si è potuta accertarne la presenza di 7 (specie non catturata: Martora). Con il secondo si è inoltre accertata la presenza di Lupo,
Cinghiale e Capriolo (assenti fino agli anni ‘70-’90) e Lepre, mai sottoposta a ripopolamento. Anche il Fagiano, immesso negli anni ‘80, oggi è presente con una popolazione vitale. Da quanto esposto, si evidenzia che le modalità gestionali agro-silvo-zootecnico-venatorie attuate in tale Azienda negli ultimi venti anni, hanno favorito la conservazione e lo sviluppo di una vertebrocenosi con caratteri di elevata naturalità e completezza nonostante le
sue ridotte dimensioni.
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IL RUOLO DELLA LEPRE ALPINA (LEPUS TIMIDUS) COME
POTENZIALE INDICATORE AMBIENTALE
NODARI M., MASSERONI E., PREATONI D., WAUTERS L.,
MARTINOLI A., TOSI G.
Dipartimento Ambiente-Salute-Sicurezza, Università degli Studi dell’Insubria,
via J.H. Dunant 14, 21100 Varese
La Lepre bianca (Lepus timidus) è una specie a distribuzione artico-alpina, presente sia nelle
regioni nord europee, sia nelle catene montuose dell’Europa meridionale. Essa mostra un’areale disgiunto, conseguenza dei fenomeni glaciali del quaternario. Attualmente le popolazioni appaiono in lento ma generalizzato declino in molte zone dell’areale alpino. Mentre la
specie è assiduamente studiata nelle regioni del nord Europa, il suo ruolo ecologico in
ambiente alpino rimane tuttora poco indagato e approfondito. Per sopperire alla quasi totale mancanza di informazioni a livello nazionale, è in corso dal gennaio 2005 un progetto di
studio che vede impegnati Università degli Studi dell’Insubria, Parco Nazionale dello
Stelvio e Provincia di Sondrio e che si propone, nell’arco della sua durata, di approfondire
le conoscenze sulla specie sia attraverso indagini sull’autoecologia e sulle preferenze
ambientali, sia attraverso l’elaborazione di modelli in grado di predirne la distribuzione sull’intero arco alpino.
La Lepre bianca può essere considerata specie indicatrice di quei fenomeni che caratterizzano gli ambienti artici e alpini a seguito del riscaldamento globale del pianeta (global warming). Tale fenomeno, seppur ancora poco compreso nelle dinamiche, è presumibile abbia
una forte influenza sugli ecosistemi tipici delle aree fredde del pianeta, tra cui anche gli
ambienti alpini in termini di riduzione di areale di specie tipiche di queste zone e di estinzioni locali.
Nel presente lavoro sono esposti i risultati di una campagna di monitoraggio effettuata tra
marzo e settembre 2005 su 5 animali (3 maschi e 2 femmine) tramite radiotracking nel territorio di S. Giacomo di Fraele, ricadente all’interno al Parco Nazionale dello Stelvio, e nell’area della Val Vezzola esterna al Parco. Dal punto di vista vegetazionale le due aree differiscono in maniera sostanziale: l’area all’interno del Parco, situata a 1950 m.s.l.m., è caratterizzata da una vasta foresta di Pino mugo (Pinus mugo) a portamento sia arboreo sia prostrato, mentre l’area della Val Vezzola, situata a 2050 m.s.l.m., presenta boschi misti di
Abete rosso (Picea abies), Larice (Larix decidua), Pino mugo (Pinus mugo) e Pino cembro
(Pinus cembra) con zone a pascolo d’alta quota. Nell’area di S. Giacomo la fase di trappolaggio è stata effettuata tramite l’utilizzo di trappole a vivo (Tomahawk Live Trap Co.)
disposte lungo un transetto lineare innescate con vari tipi di ortaggi e frutta (verze, carote e
mele). Nell’area della Val Vezzola si è invece utilizzata la tecnica della cattura in battuta
tramite l’utilizzo di reti. I dati di radiotracking sono stati esaminati tramite la tecnica dell’analisi composizionale utilizzando come supporto cartografico digitale le classi di utilizzo
del suolo della Carta della Vegetazione del Parco dello Stelvio e la Carta Geoambientale
della Regione Lombardia. Per ogni individuo monitorato sono stati calcolati home-range e
core-area con la tecnica di kernel rispettivamente al 95% e al 70%.
In questa lavoro sono presentati i primi dati sull’utilizzo dell’habitat e l’estensione degli
home range.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr . It. Teriolo gia
IDONEITA’ AMBIENTALE PER LA LONTRA EUROPEA:
IMPLICAZIONI PER LA CONSERVAZIONE DEGLI AMBIENTI
ACQUATICI E RIPARIALI ITALIANI
GIANNONI V.1, LOY A.1, DI MARZIO P.1, DI MARTINO P.1, REGGIANI G.2
1
Dipartimento STAT, Università del Molise, Via Mazzini 18, 86170 Isernia
E-mail: [email protected]
2
Istituto di Ecologia Applicata, Via Cremona 71, 00161 Roma
La Lontra rappresenta un’importante indicatrice dello stato di salute degli ambienti acquatici, rivestendo contemporaneamente i ruoli di “specie ombrello, specie chiave e specie bandiera”. L’identificazione e la conservazione degli ambienti idonei alla Lontra ha pertanto
importanti ricadute sulla vasta gamma di organismi acquatici e ripariali che caratterizzano i
bacini fluviali. La Lontra europea Lutra lutra ha subito in Italia un continuo declino a partire dagli anni ’70, fino alla scomparsa negli ultimi dieci anni delle ultime popolazioni residue nel centro nord della penisola. Attualmente la popolazione nota più estesa occupa un’area a cavallo tra Campania, Basilicata e Calabria. Un censimento sistematico compiuto negli
anni 2000-2004 nei fiumi del Molise ha rivelato l’esistenza di due piccoli nuclei di lontre
nell’alto corso del fiume Volturno e nell’alto e medio Biferno. Al fine di definire le potenzialità di espansione e consolidamento di questi nuclei è stato avviato un programma di
monitoraggio ambientale su base cartografica, a partire dall’alto Volturno. E’ stata posta particolare attenzione alla valutazione dello stato di conservazione degli ambienti ripariali, a
partire dalla restituzione cartografica delle tipologie CORINE land cover in scala 1:5000.
Sono stati digitalizzati da ortofoto i poligoni ricadenti all’interno di un buffer di 500 m intorno a tutte le aste fluviali oggetto del censimento. L’estensione, la continuità e la forma delle
aree interessate dalla vegetazione ripariale sono state valutate attraverso il calcolo degli
algoritmi MPS (Mean Patch Size), MPE (Mean Patch Edge) e MSI (Mean Shape Index)
all’interno di un buffer ristretto di 50 m dall’asta fluviale. Sono state inoltre elaborate carte
della biomassa ittica e della qualità delle acque (Indice Biotico Esteso), attraverso l’interpolazione dei rilievi puntuali derivati dalla Carta Ittica del Molise. E’ stato quindi associato
un valore di idoneità ai poligoni di ciascun tematismo. Infine è stata elaborata una carta del
rischio stradale con la costruzione di un buffer di 300 m dall’asta fluviale, attribuendo un
valore di rischio crescente per i poligoni contenenti strade provinciali, statali, o entrambe.
Tutte le carte di idoneità sono state sovrapposte per definire una carta dell’idoneità generale. La carta è stata confrontata con la distribuzione dei siti positivi e negativi per la presenza della lontra derivati dal censimento. Il modello risultante ha permesso l’individuazione
delle aree di possibile espansione, dei corridoi e delle priorità degli interventi di restauro e
salvaguardia.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
SULLA MICROTERIOCENOSI DI UN BOSCO MEDITERRANEO
APOSTOLICO F., SPILINGA C., RAGNI B.
Dipartimento di Biologia Cellulare ed Ambientale, Università degli Studi di Perugia, via
Elce di Sotto, 06123 Perugia; Tel. 0755855726, Fax 0755855733; E-mail: [email protected].
Nell’ambito del progetto Interreg IIIB Medoc RECOFORME “Strutturazione di reti e di
azioni di cooperazione nella foresta mediterranea”, al fine di verificare gli effetti del taglio
di ceduazione in un sito pilota localizzato nel SIC Monti Marzolana e Montali (2,5 km a
Sud-Est del Lago Trasimeno, Provincia di Perugia) è stato impostato un disegno sperimentale incentrato sulla Microteriofauna (Insectivora, Rodentia) considerandola un indicatore
sensibile alle modificazioni ambientali.
L’area di studio (2,8 ettari), coincidente con la particella forestale destinata al taglio del
2004, posta ad una quota media di circa 400 m sul versante esposto a Nord-Ovest digradante
verso il lago, è costituita da una lecceta governata a ceduo matricinato, dove al leccio
(Quercus ilex) si associa il corbezzolo (Arbutus unedo).
Il contributo è relativo alla caratterizzazione faunistica dell’area in studio prima dell’intervento.
Per rilevare la presenza delle specie prevalentemente terricole si è adottato il metodo del
trappolamento tramite live trap, distribuite lungo 3 transetti con 20 dispositivi distanziati di
10 m, raggiungendo uno sviluppo totale della line trap pari a 600 m. Sono state utilizzate
trappole modello LOT (Locasciulli Osvaldo Trap).
Gli animali catturati sono stati rimossi e successivamente rilasciati in situ al termine del
periodo di indagine.
Il rilevamento delle specie prevalentemente arboricole è stato attuato tramite gli hair tube
posizionati a coppie lungo rami e tronchi d’albero in 5 stazioni per transetto ad un’altezza
da terra di 1,5-2,0 m, dislocate lungo le line trap ad intervalli di 5 trappole l’una dall’altra.
Si è definito lo status della microteriocenosi ante l’intervento di taglio, tramite una sessione
preliminare di 5 notti-trappola dal 3 al 7 ottobre 2004.
E’ stato possibile rilevare la presenza e l’abbondanza di sole due specie di Roditori: 61
Apodemus sylvaticus e 14 Apodemus flavicollis.
La lecceta costituisce un ecosistema poco complesso e poco variabile, sia nel tempo che
nello spazio: tale condizione appare ben rappresentata dall’area di saggio in studio. Le due
specie di Murini rilevate tramite le tecniche di studio diretto risultano ben insediate nell’ambiente ed abbondanti, presentando quella proporzione demografica che conferma una
tendenza differenziale relativamente nota di selezione dell’habitat. E’ possibile che le non
abbondanti risorse rese disponibili dalla lecceta siano monopolizzate, nella
Microteriocenosi, dai due Apodemus i quali, insieme, colmano la nicchia trofica offerta da
tale ecosistema. Uno studio parallelo sulla Macroteriocenosi e sull’Erpetocenosi dell’area di
saggio, conferma la generalizzata povertà di specie di Vertebrati dell’ecosistema campionato.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
LA VALENZA TERIOFAUNISTICA COME STRUMENTO DI ANALISI
E PIANIFICAZIONE TERRITORIALE
SERGIACOMI U., DI MURO G., LOMBARDI G., MAZZEI R.
Osservatorio Faunistico Regione Umbria, via M. Angeloni 61, 06100 Perugia
Tel. 0755045002, Fax 0755045565; E-mail: [email protected]
Il presente lavoro esplora le possibilità di impiego del taxon dei Mammiferi per la costruzione di una carta della valenza teriofaunistica del territorio regionale.
La banca dati dell’Osservatorio Faunistico della Regione Umbria ha accolto nel corso del
tempo un’importante quantità di localizzazioni georeferenziate riferibili a taxa di
Mammiferi (circa 13800 record), attraverso la promozione di studi finalizzati ad arricchire
ed aggiornare le conoscenze sulla teriofauna umbra. Obiettivo dell’ufficio tecnico regionale è infatti quello di filtrare la banca dati attraverso modelli di idoneità ambientale e valenza faunistica, per strutturare la pianificazione del territorio sfruttando l’attuale potenzialità
delle tecniche di screening ambientale. Il presente lavoro ha lo scopo di analizzare le variabili ambientali che caratterizzano le aree di studio a maggiore valenza faunistica con l’obiettivo di estrapolare l’analisi condotta ad aree che per motivi contingenti sono meno conosciute ed indagate, e confrontare tali areali con l’attuale pianificazione territoriale che individua i territori da sottoporre a vincolo. La base teorica di partenza è la sovrapposizione
delle variabili ambientali ed ecologiche sfruttando la potenzialità dell’analisi su tematismi
raster. La valenza faunistica è stata individuata in base alla presenza dei taxa rilevati e al
valore ponderato di ciascun taxon preso in esame in relazione ai motivi di interesse considerati nella programmazione territoriale. In un’ottica di valutazione della capacità predittiva della valenza teriofaunistica così calcolata, viene fatto un confronto con le carte di vocazionalità elaborate per le specie di elevato interesse naturalistico.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
INDAGINI MICROTERIOLOGICHE IN AMBIENTI DEL MOLISE
SCARAVELLI D.1, MANCINI M.2, ANTONELLI S.3
1
Associazione Chiroptera Italica, via Veclezio 10a, 47100 Forlì; E-mail: [email protected]
Università degli Studi del Molise, Ufficio Ricerca Scientifica, II Edificio Polifunzionale,
via De Sanctis, 86100 Campobasso
3
c/o Dipartimento di Biologia Evoluzionistica Sperimentale, Sezione Zoologia, Università
di Bologna, via Selmi 17, 40126 Bologna
2
La teriofauna del Molise risulta ancora poco conosciuta, nonostante i pionieristici lavori di
Giuseppe Altobello dei primi anni del XX secolo. Questa regione si sviluppa dal livello del
mare fino alle vette oltre i 2000 m del Matese, delle Mainarde e della Meta, presentando
diverse fasce fitoclimatiche e microambienti diversificati. Forte risulta l’influsso dell’agricoltura e delle trasformazioni paesaggistiche che hanno reso il territorio un frammentato
mosaico di elementi naturali ed antropici. Sono state analizzate borre e resti di pasti di
Barbagianni Tyto alba raccolti nel periodo 1999-2000 in 7 diverse località situate in pianura, fascia collinare calda e submontana, tipizzate anche per diverso uso del suolo e struttura
ecosistematica. Il numero medio di prede per borra, in tre siti, è variato da 2,031 a 2,33. Su
di un campione di 3801 prede, le specie di mammiferi riscontrate sono state complessivamente 19: Sorex samniticus, Neomys anomalus, Suncus etruscus, Crocidura suaveolens, C.
leucodon, Talpa romana, Rattus rattus, Mus domesticus, Apodemus sylvaticus, A. flavicollis, Clethrionomys glareolus, Microtus savii, Arvicola terrestris, Muscardinus avellanarius,
Glis glis, Myotis blythii, Myotis emarginatus, Pipistrellus sp., Miniopterus schreibersii. In
termini faunistici si è raccolto il 67% degli insettivori, l’82% dei roditori e il 19% dei chirotteri considerati presenti in Molise.
Il ritrovamento di A. terrestris a Monteroduni (provincia di Isernia) risulta inoltre la prima
segnalazione recente di questa specie per la regione dopo i dati di Altobello. I popolamenti
riscontrati si differenziano sulla base delle caratteristiche ambientali delle stazioni ed in particolare si riscontra la mancanza di Sorex nel distretto arido e submediterraneo della pianura e la dominanza di M. savii in tutti i siti fuorché due, nei quali prevalgono le caratteristiche forestali e la presenza di zone umide. Di interesse la diffusione di M. avellanarius e le
predazioni su Chirotteri. Nel sito di Guglionesi in particolare ciò avviene a carico di una
cospicua presenza di varie specie. Gli indici ecologici mostrano elevata similarità e l’indice
di termoxerofilia arriva a elevati valori nell’area costiera per poi decrescere con la quota. Il
rapporto insettivori/roditori in media risulta di poco superiore al 20%.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
COMUNITÀ DI MICROMAMMIFERI TERRICOLI (INSECTIVORA,
RODENTIA) NELLE PINETE DI RAVENNA
SCARAVELLI D., RAVAIOLI S., BERTOZZI M.
Associazione Chiroptera Italica, via Veclezio 10a, 47100 Forlì; E-mail: [email protected]
Le pinete della costa di Ravenna verso la metà del 1700 si estendevano da sud del fiume
Reno fino a Cervia in un nucleo uniforme e continuo lungo circa 35 km e largo oltre 4 km
lungo la costa Adriatica. Oggi restano meno di 2000 ha, distribuiti in modo frammentario a
nord-est della città con la pineta San Vitale, a sud-est con le pinete di Classe e di Cervia.
Lungo la costa sono anche presenti nuclei discontinui di pineta litoranea piantata artificialmente in un trentennio a partire dal 1905. Le caratteristiche di mediterraneità di queste formazioni sono influenzate dallo scarso fattore termico dell’Adriatico e dalla forte influenza
della Valle Padana.
Al fine di realizzare un campionamento il più possibile completo delle pinete ravennati sono
state allestite 8 stazioni di trappolaggio di 15 trappole a caduta ciascuna in diversi ambienti delle pinete, per i quali è stata rilevata una serie di variabili ambientali. Il campionamento ha coperto 10 mesi, dal novembre 2003 al settembre 2004, con controlli mensili.
In totale sono stati catturati 298 micromammiferi appartenenti a 6 specie: Sorex arunchi, S.
samniticus, Crocidura suaveolens, Microtus savii, Apodemus sylvaticus, Muscardinus avellanarius.
A. sylvaticus è risultata specie ubiquitaria e dominante con due picchi di presenza in novembre e aprile-maggio. S. arunchi è stato accertato in tutte le stazioni, talvolta con numeri consistenti, con un picco di presenza in maggio e giugno, mentre localizzato e numericamente
scarso è risultato S. samniticus. Per C. Suaveolens, diffusa nelle diverse aree campionate, è
stato evidenziato un picco di catture in maggio. Nel complesso tutte le specie accertate presentano modelli simili di regressione rispetto alle variabili ambientali rilevate. Per S. arunchi, S. samniticus e C. suaveolens il modello è risultato significativo per la copertura delle
classi dendrometriche intermedie riunite. Le presenze di M. savii e A. sylvaticus sembrano
essere positivamente influenzate dalla copertura di arbusti.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
DINAMICA DELLE AGGREGAZIONI INVERNALI DI RHINOLOPHUS
HIPPOSIDEROS (BECHSTEIN, 1800) IN RELAZIONE
ALLA QUALITA’ AMBIENTALE
CRUCITTI P., CAVALLETTI L., LEONE M.
Società Romana di Scienze Naturali (SRSN), via Fratelli Maristi 43, 00137 Roma
tel./Fax 0641400494; E-mail:[email protected]
Lo status legale delle popolazioni italiane del Ferro di Cavallo minore Rhinolophus hipposideros è compreso tra vulnerabile e criticamente in pericolo. Questa specie è legata agli ipogei naturali e artificiali (grotte calcaree, gallerie, miniere ecc.) nonché agli edifici antropici.
Un contributo alla sua conservazione consiste pertanto nell’individuare le cavità che ospitano aggregazioni invernali particolarmente numerose nonché i roosts estivi delle colonie
riproduttive. E’ quindi interessante segnalare la presenza di importanti aggregazioni invernali che utilizzano stabilmente le cavità artificiali ubicate sul versante occidentale del Monte
Calvario interamente compreso nel Comune di San Donato Val di Comino (FR) al limite
della fascia di protezione esterna del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Si tratta
di miniere a galleria attive ininterrottamente dal 1853 al 1860 per l’estrazione della limonite e successivamente dismesse. Sino agli anni ’40 del secolo scorso, il Monte Calvario era
pressoché privo di vegetazione arborea in quanto occupato da monocolture; a partire dagli
anni ’50, furono effettuati estesi rimboschimenti a Pinus nigra, al quale attualmente si associano Ostrya carpinifolia, Quercus ilex e Q. pubescens sino a circa 1100 m s.l.m.; al di sopra
di tale quota predomina Fagus sylvatica. Le cavità si aprono tra 1100 e 1200 m s.l.m., in una
fascia caratterizzata dalla presenza di bosco misto con poche radure. A tre anni dalla loro
scoperta è stato realizzato un programma organico di osservazioni sulle fluttuazioni di
Rhinolophus hipposideros. I censimenti sono stati effettuati da ottobre 2004 a maggio 2005
per complessivi 8 sopralluoghi giornalieri a cadenza mensile. Nel corso di ogni sopralluogo
tutte le cavità venivano visitate; la frequenza delle osservazioni relativa agli individui monitorati veniva riportata su protocolli prestampati..Gli individui di questa specie formano piccole aggregazioni e riposano in piena aria. E’ pertanto ragionevole ritenere che il numero di
presenze da noi rilevato sia prossimo alla realtà. Il numero più elevato di individui monitorati in un singolo sopralluogo è stato registrato in inverno, 63 in dicembre e 66 in gennaio
(le aggregazioni invernali più numerose sinora riscontrate nel Lazio non superavano 18 individui), mentre alla fine di ottobre e di maggio sono stati censiti 29 e 0 individui, rispettivamente. La storia del territorio suggerisce un’origine relativamente recente del popolamento
chirotterologico. La densità del Ferro di Cavallo minore è condizionata dalla varietà della
copertura vegetale arborea che supporta una comunità entomatica presumibilmente assai
abbondante e diversificata. Lo status di area protetta in buone condizioni di naturalità è attestato dalla presenza di specie significative per rarità e valore estetico, quali Canis lupus,
Ursus arctos e Rupicapra pyrenaica ornata.
____________
Ricerche della SRSN, progetto “Struttura di zoocenosi vertebrate di aree protette dell’Italia centrale”.
89
RAPPORTI PREDA-PREDATORE
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
IL SISTEMA PREDA-PREDATORE IN ALPE DI CATENAIA
(AREZZO)
LAMBERTI P., VIVIANI A., CAPITANI C., ALBONI M., GAZZOLA A.,
MATTIOLI L.1, APOLLONIO M.
Dipartimento di Zoologia e Antropologia Biologica, Università di Sassari, via Muroni 25
07100 Sassari
1
Ufficio Caccia e Pesca, Amministrazione Provinciale di Arezzo, piazza della Libertà 3,
52100 Arezzo
Dal 2001 è in corso, in Provincia di Arezzo, una ricerca sul sistema preda-predatore costituito da Lupo (Canis lupus) e ungulati selvatici. L’area di studio, situata nel massiccio montuoso “Alpe di Catenaia”, si estende per 117,8 km2. La comunità di ungulati selvatici è rappresentata dal Capriolo (Capreolus capreolus) e dal Cinghiale (Sus scrofa).
Durante il periodo d’indagine, dal 2001 al 2004, sono state studiate la densità, la struttura di
popolazione e la mortalità delle due prede principali. Dati relativi alle densità sono stati ottenuti attraverso il metodo delle battute campione (N=46, complessivamente). Mentre, la
struttura di popolazione del Capriolo è stata valutata effettuando ogni mese, da giugno 2001
a maggio 2004, 11 percorsi campione all’alba. Tutti gli animali avvistati sono stati registrati e divisi in classi di sesso ed età. Invece, per il Cinghiale sono stati analizzati 1740 individui, abbattuti tra settembre e gennaio nel corso di tre anni. Per quanto riguarda la mortalità
degli ungulati si sono considerati gli abbattimenti di Capriolo, dalla caccia di selezione, e di
Cinghiale derivanti dalla caccia in battuta all’esterno dell’oasi. Inoltre, da marzo 2002 sono
stati catturati e radio-collarati 63 caprioli e 79 cinghiali, al fine di ottenere dati percentuali
sulla mortalità.
La presenza e la consistenza del branco di lupi residente nell’area di studio è stata intensamente investigata applicando diverse metodologie d’indagine: il wolf-howling, lo snowtracking e l’analisi molecolare degli escrementi.
Dal 1998 un branco di lupi è stabilmente presente e si è sempre riprodotto con successo.
La dieta del Lupo è stata valutata mediante analisi di resti non digeriti rinvenuti negli escrementi. Dal marzo 2001 a febbraio 2004 sono stati analizzati 635 escrementi. Inoltre, nel
periodo 2001-2004 sono stati ritrovati ed esaminati 37 resti di ungulati, sia selvatici che
domestici, consumati dal Lupo.
Le informazioni raccolte nella presente area di studio sull’ecologia alimentare e sulla consistenza numerica dei lupi e i valori di fabbisogno giornaliero di carne per Lupo dedotti dalla
letteratura scientifica, hanno permesso di fornire una stima dell’impatto del Lupo sulle
popolazioni di ungulati selvatici.
Dai risultati finora ottenuti emerge una preferenza del Lupo verso il Cinghiale, nonostante
il Capriolo risulti la specie numericamente più abbondante nell’area di studio. Il Lupo non
sembra rappresentare un fattore limitante per le popolazioni di Capriolo e di Cinghiale.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
VARIABILITÀ SPAZIALE E STAGIONALE DELLA DIETA DEL LUPO
(CANIS LUPUS) NELL’APPENNINO SETTENTRIONALE
GROTTOLI L.1, CIUCCI P.1, RAGANELLA PELLICIONI E.1, REGGIONI W.2
1
Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università di Roma “La Sapienza”, viale
dell’Università 32, 00185 Roma
2
Parco del Gigante, via Nazionale 3/1 Busana (RE)
Nell’ambito del progetto Life Natura 2000, è stata studiata la dieta del Lupo (Canis lupus)
nei parchi regionali dei Cento Laghi (PR), del Gigante (RE) e del Frignano (MO). Dal 2001
al 2004 sono stati analizzati 813 escrementi, raccolti su 65 percorsi e durante altre attività di
monitoraggio. E’ stato calcolato, per le specie preda, un indice di prevalenza (% transetti
positivi/transetti totali) basato su un campionamento sistematico su transetti lineari (2x500
m; N=590), stratificati in base all’estensione di 6 categorie vegetazionali ed altimetriche.
L’identificazione delle prede è avvenuta in base al riconoscimento dei resti non digeriti, in
particolare le caratteristiche dei peli (osservazione di midollo e cuticola al microscopio 440X). L’attendibilità degli osservatori (N=6) è stata individualmente valutata attraverso
blind test. Per ridurre l’autocorrelazione temporale, gli escrementi ritrovati nei pressi della
stessa carcassa (N=4) o durante la medesima sessione di tracciatura su neve (N=35), sono
stati accorpati (campione finale N=774). Le aree occupate dai branchi (N=6), sono state stimate dalle tracciature su neve (598 km totali di piste seguite), dalla localizzazione dei campioni tipizzati con analisi genetiche a livello individuale (N=222 campioni fecali), e dalle
localizzazioni acustiche (ululato indotto) dei siti di rendezvous in estate. Come unità d’analisi è stata considerata la zona/stagione dove, ogni zona corrisponde ad un’area occupata da
un minimo di 1 ad un massimo di 3 branchi. I ranghi d’importanza delle categorie alimentari sono stati definiti quantificando la variabilità di campionamento (bootstrapping), e con
la stessa procedura è stato confrontato l’uso delle specie preda tra le diverse unità di analisi. Gli ungulati selvatici sono risultati predominanti rispetto alle altre categorie in tutte le
unità di analisi considerate ed, in particolare, Capriolo (Capreolus capreolus) e Cinghiale
(Sus scrofa) hanno costituito in media l’80% della dieta estiva e il 73% della dieta invernale. Gli ungulati domestici sono risultati di secondaria importanza nella dieta. L’uso degli
ungulati selvatici è stato massimo nella zona del Parco del Frignano, mentre nel branco gravitante nell’area del Parco dei Cento Laghi i domestici (in media 19%) sono stati utilizzati
più che altrove. Considerando la variabilità di campionamento, non è stato possibile rilevare differenze nell’uso di Capriolo e Cinghiale tra i branchi. L’uso e la selezione delle prede
sono discussi considerando la variabilità di campionamento, associata alla raccolta degli
escrementi e alla quantificazione degli indici d’abbondanza relativa delle specie preda.
Infine, l’analisi della dieta, secondo le procedure sopra descritte, è discussa alla luce degli
importanti limiti procedurali e interpretativi.
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V Congr. It. Teriologia
LA REINTRODUZIONE DELL’ORSO BRUNO (URSUS ARCTOS)
SULLE ALPI CENTRALI: INDAGINE SUL COMPORTAMENTO
TROFICO STAGIONALE
ZIBORDI F.1, MUSTONI A.1, CARLINI E.1, CHIRICHELLA R.1 FACCIN F.2,
FRANZETTI E.2, MARTINOLI A.2, PREATONI D.2, TOSI G.2
1
Gruppo di Ricerca e Conservazione dell’Orso Bruno del Parco Naturale Adamello Brenta
via Nazionale 24, 38080 Strembo (TN)
Tel.: +390465806655; E-mail: [email protected]
2
Unità di Analisi e Gestione delle Risorse Ambientali, Dipartimento Ambiente-SaluteSicurezza, Università degli Studi dell’Insubria, via J.H. Dunant 3, 21100 Varese
Tel.: +390332421538; E-mail: [email protected]
Il Parco Naturale Adamello Brenta (PNAB) ha iniziato dal 1996, in collaborazione con la
Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, un progetto di
conservazione dell’Orso bruno (Ursus arctos) finanziato mediante lo strumento Life, con
l’obiettivo di ricostituire una popolazione vitale sulle Alpi Centrali tramite la liberazione di
10 individui provenienti dalla Slovenia. Considerando le scarse conoscenze sulle esigenze
ecologiche dell’Orso bruno sulle Alpi, una delle linee di indagine ha riguardato il regime
alimentare della specie, anche con l’obiettivo di verificare l’adattamento al nuovo territorio
di vita. Una prima fase della ricerca (1999-2000) è stata realizzata mediante la raccolta e la
successiva analisi di 65 campioni fecali, recuperati in maniera occasionale e grazie alle localizzazioni radiotelemetriche dei primi 5 orsi immessi. Nel corso della seconda fase di analisi (2000-2003), la ricerca dei campioni fecali è stata effettuata percorrendo transetti standard, uniformemente distribuiti all’interno dei diversi tipi ambientali: ciò ha permesso la
raccolta e la successiva analisi di 108 campioni. Per ogni campione recuperato è stata effettuata una stima volumetrica (Vm%) delle componenti alimentari al momento dell’ingestione, identificando le componenti stesse tramite l’analisi dei resti indigeriti: frammenti chitinosi per gli insetti; peli e ossa per i mammiferi; semi per i vegetali.
Le analisi hanno confermato l’eurifagia della specie nell’ecosistema alpino, come dimostrato dall’elevato numero di fonti trofiche utilizzate (32 nella prima fase, 40 nella seconda).
Concordemente con quanto rilevato in altri studi condotti in Europa meridionale, il comportamento alimentare dell’Orso in Trentino è risultato spiccatamente vegetariano
(Vm%=62,5; Fc%=47,7 per la prima fase; Vm%=74,0; Fc%=56,7 per la seconda). Altre
categorie trofiche sfruttate, soprattutto in alcuni periodi dell’anno, sono risultate gli imenotteri (Vm%=28,4; Fr%=17,1 per la prima fase; Vm%=28,5; Fr%=13,6 per la seconda) e i
mammiferi (Vm%=6,5; Fr%=6,0 per la prima fase; Vm%=8,6; Fr%=6,9% per la seconda)
nel corso di entrambe le fasi di studio. In base alla quantità di escrementi attualmente in possesso del PNAB e in previsione dei futuri ritrovamenti, risulta auspicabile proseguire le analisi con lo scopo di verificare il grado di opportunismo alimentare della specie in relazione
alle fonti trofiche disponibili. Nuovi spunti di ricerca da approfondire nel futuro potranno
inoltre mirare alla valutazione della digeribilità di differenti componenti trofiche da parte di
orsi in stato di cattività, allo scopo di stimarne la presenza oggettiva all’interno dei campioni fecali.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
VARIAZIONI DELLE SPECIE-PREDA DI FELIS SILVESTRIS
SILVESTRIS IN ITALIA NEGLI ULTIMI 30 ANNI
APOSTOLICO F., VERCILLO F., RAGNI B.
Dipartimento di Biologia Cellulare e Ambientale, Università degli Studi di Perugia, via
Elce di Sotto, 06123 Perugia; Tel.: 0755855726; Fax 0755855733; E-mail [email protected]
Lo status del Gatto selvatico europeo in Italia è definito vulnerable e le responsabilità, in
parte, sono da imputare alla frammentazione e modificazione dell’habitat, che possono aver
cagionato alterazioni della nicchia trofica, alle quali i predatori specialistici sono molto sensibili. L’andamento temporale dell’ecologia alimentare del felide nel suo areale è ancora
poco conosciuto. A tale scopo è stata realizzata una ricognizione dei dati raccolti in Italia,
fin dal 1972, per una comparazione “storica” con le ultime osservazioni, basate sul materiale proveniente da 59 depositi fecali e 24 ingesta del carnivoro.
La categoria alimentare più popolare è quella dei Mammiferi, ricorrendo nel 98,79% dei
campioni esaminati; nel 12,04% ricorre la classe degli Uccelli, mentre i Rettili ricorrono nel
25,30%. Gli Artropodi, nonostante costituiscano una biomassa trascurabile, sono presenti
nel 34,93% dei campioni.
Anche all’interno di quella che è la categoria alimentare principale del Gatto selvatico si
registrano sostanziali variazioni: storicamente il taxon di Roditori più predato era quello
degli Arvicolinae (51,61% di frequenza nel 1972, 74,71% nel 1978 e di 58,49% nel 1981),
ma un’inversione di tendenza si registra nel 1999 quando gli Arvicolinae costituiscono il
35,5% dei Roditori, fino ad arrivare a 34,21% nel lavoro in oggetto.
I Lagomorfi, che comparivano nella dieta del Gatto selvatico con rilevanze mai eclatanti
(nel 1972 ricoprivano l’8,87% delle frequenze numeriche degli individui-preda totali, nel
1978 comparivano con un solo esemplare, nel 2000 compaiono con basse frequenze) non
sono stati individuati nel presente studio.
Si registra anche la comparsa di taxa finora assenti o per lo meno poco frequenti, come
l’Istrice ed i Gliridi, i quali nel lavoro attuale ricorrono nel 14,45% dei campioni esaminati.
Rispetto ai dati del passato anche la presenza dei Rettili, tra le specie-preda del felide, subisce un notevole incremento arrivando ad una frequenza individuale pari al 9,61% contro lo
0,80% del 1972.
Sembra possibile correlare i cambiamenti nell’ecologia alimentare e predatoria del Gatto
selvatico europeo, in Italia, a cambiamenti ambientali che possono avere indotto modificazioni nella disponibilità delle specie-preda.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
ANALISI DEL COMPORTAMENTO ANTIPREDATORIO IN FEMMINE
DI DAINO E STAMBECCO DURANTE LA GESTAZIONE E LO SVEZZAMENTO DEI PICCOLI
GRIGNOLIO S., BONGI P., CIUTI S., BERTOLOTTO E., ROSSI I.,
BASSANO B.1, APOLLONIO M.
Dipartimento di Zoologia e Antropologia Biologica, Università degli Studi di Sassari via
Muroni 25, 07100 Sassari; Tel.: 079228667; Fax 079228665; E-mail: [email protected]
1
Centro di Ricerche sulla Fauna Alpina, Parco Nazionale del Gran Paradiso
via della Rocca 47, 10123 Torino; Tel.: 0118606216; Fax 0118121305
Lo scopo di questa ricerca è stato quello di analizzare come la gravidanza e lo svezzamento del piccolo modificano il comportamento spaziale in femmine di due specie di ungulati
(Daino Dama dama - Stambecco alpino Capra ibex). Lo studio è stato condotto, per quanto riguarda il Daino, nella Tenuta di San Rossore (PI) dove 23 femmine sono state monitorate da marzo 2003 ad agosto 2003 utilizzando la tecnica del radio-tracking. Allo stesso
modo il comportamento di 28 femmine di Stambecco è stato studiato nel Parco Nazionale
del Gran Paradiso da luglio 2001 a dicembre 2004. Le analisi di uso dello spazio (Kernel
95%) sono state svolte a livello stagionale e bimestrale. Nonostante la distanza filogenetica,
le differenze ambientali e comportamentali (hider vs follower) tra le due specie, sono state
riscontrate risposte convergenti. Daino - Gli home range estivi di femmine con piccolo sono
risultati significativamente minori di quelli registrati per le femmine senza piccolo (MannWhitney test, P=0,003). La selezione dell’habitat delle femmine con e senza piccolo è risultata significativamente differente già in maggio quando solo le femmine gravide iniziano a
raggiungere le aree utilizzate per il parto e le prime settimane di allattamento. Le femmine
con piccolo hanno mostrato un uso significativamente superiore delle aree umide (P=0,041),
corrispondenti alle zone che offrono i siti ottimali dove nascondere i piccoli. Le femmine
con piccolo hanno evitato le aree di pascolo che non offrono alcun tipo di riparo per il piccolo. Al contrario, i pascoli sono stati selezionati dalle femmine senza piccolo in correlazione diretta alla loro produttività. Stambecco - Le femmine con il capretto hanno dimensioni degli home range estivi inferiori a quelli delle altre femmine (t test, 0,01 < P < 0,02 ).
L’analisi a livello bimestrale ha dimostrato che durante i primi due mesi di vita del capretto
sono avvenute le modificazioni più importanti del comportamento spaziale. Gli home range
bimestrali delle femmine allattanti sono risultati sempre più piccoli rispetto a quelli delle
altre femmine (t test 0,002 < P < 0,02), mentre nei bimestri successivi non sono state riscontrate differenze significative. In estate le femmine con il capretto hanno selezionato habitat
più sicuri (pareti rocciose), mentre le altre femmine hanno utilizzato principalmente le aree
di foraggiamento (praterie alpine) (P=0,01). La presenza del capretto ha influenzato l’aggregazione degli individui e, in particolare, la localizzazione dei gruppi. I gruppi di femmine con piccoli erano localizzati più vicino alle aree di rifugio (GLM P<0,001).
I risultati di questa ricerca hanno evidenziato come le femmine di Daino e Stambecco in presenza del piccolo siano costrette ad utilizzare aree sub-ottimali dal punto di vista della disponibilità delle risorse trofiche, dove la selezione di habitat più poveri ma più sicuri porta a
ridurre il rischio di predazione per i nuovi nati.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
RAPPORTO PREDA-PREDATORE: ANALISI EL POPOLAMENTO
MICROTERIOLOGICO PREDATO DAL GHEPPIO
(FALCO TINNUNCULUS)
NIEDER L.1, CASAGRANDE S.2, LA FATA I.3
Dipartimento di Biologia Evolutiva, Università di Parma, viale delle scienze, 43100 Parma
E-mail: 1 [email protected], 2 [email protected], 3 [email protected]
Questa ricerca fa parte di uno studio sulla selezione dell’habitat di caccia del maschio di
gheppio (Falco tinnunculus) in un’area della Pianura Padana (PR). E’ stata analizzata la
comunità microteriologica della zona per valutare la disponibilità trofica di ognuno dei quattro habitat in cui risulta suddiviso il territorio del Gheppio (prati, aree agricole e urbane,
incolti, argini). Il popolamento microteriologico è stato studiato con: 1) catture degli individui nelle stesse aree e nello stesso periodo in cui sono state compiute osservazioni dirette sul
Gheppio mentre esercitava la predazione; 2) censimenti stagionali nei medesimi territori; 3)
analisi delle borre di Gheppio; 4) raccolta ed esame di borre di un predatore più generico
quale il Gufo comune (Asio otus), per confrontare i risultati ottenuti sul Gheppio. L’analisi
diretta della comunità di micromammiferi è stata condotta, dal 2001 al 2003, con trappolaggi stagionali o mensili in 10 sessioni di censimento (totale: 13670 notti/trappola). Sono
state analizzate 377 borre di Gheppio e 185 di Gufo comune. Dalla comparazione dei dati
raccolti sulla predazione stagionale del Gheppio, inoltre, si è potuto delineare il rapporto trofico che intercorre tra quest’ultimo e le specie di micromammiferi presenti.
Sono state censite 6 specie: Apodemus sylvaticus, Microtus arvalis, M. savii, Crocidura suaveolens, Sorex araneus, Mus domesticus. La specie più abbondante è risultata A. sylvaticus
(75%), seguita da Crocidura spp. (14%) e da Microtus spp. (5%); le altre specie compaiono
con una percentuale ≤3%. Dall’analisi delle borre, però, si evince come della comunità
microteriologica facciano parte anche Talpa caeca, Crocidura leucodon, Sorex minutus,
Micromys minutus e Rattus norvegicus. La comunità più complessa è stata trovata nel prato
stabile, dove sono presenti tutti e cinque i generi. Il comportamento predatorio del Gheppio
evidenzia come la maggior parte di catture di quest’ultimo avvengano nel prato stabile; inoltre l’analisi delle borre rileva che il genere Microtus è la preda preferita (86%), seguito dal
genere Crocidura (6%) e da A. sylvaticus (4%). Rispetto all’atteso, il genere Microtus è
stato predato in misura 14 volte superiore, mentre il Topo selvatico in misura 19 volte inferiore. Sorex sp., Crocidura sp. e M. domesticus sono stati predati proporzionalmente alla
loro disponibilità.
Considerata la scarsa disponibilità delle arvicole, il Gheppio è apparso molto efficiente nel
catturare queste prede, selezionando marcatamente tra i micromammiferi disponibili. Pur
essendo considerato un generalista evidenzia un comportamento predatorio selettivo verso
un singolo genere.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
COMPOSIZIONE E DINAMICA DI UN BRANCO DI LUPI IN
PROVINCIA DI AREZZO
VIVIANI A., LAMBERTI P., ALBONI M., SCANDURA M., CAPITANI C.,
MATTIOLI L.1, MAURI L., APOLLONIO M.
Dipartimento di Zoologia e Antropologia biologica, Università di Sassari, via Muroni 25
07100 Sassari; E-mail: [email protected]
1
Ufficio Caccia e Pesca, Provincia di Arezzo, piazza della Libertà 3, 52100 Arezzo
L’area di studio, situata in provincia di Arezzo, si sviluppa sul massiccio montuoso
dell’Alpe di Catenaia, una catena secondaria dell’Appennino. Si estende su una superficie
totale di 11780 ha, e nel 1997 è stata istituita al suo interno l’Oasi di Protezione Faunistica
“Alpe di Catenaia” (2730 ha).
Dal 2000 al 2004 è stata indagata in modo intensivo la composizione di un branco di lupi
(Canis lupus) presente in questo territorio. Sono stati effettuati censimenti invernali mediante snow-tracking, e censimenti estivi utlizzando la tecnica del wolf-howling. Inoltre, il DNA
estratto da escrementi, peli e campioni di sangue reperiti nell’area è stato analizzato con un
set di 10 loci microsatelliti. Grazie all’ausilio della genetica non-invasiva, è stato così possibile risalire all’identità degli individui presenti; tra tutti i lupi così identificati è stata valutata la compatibilità parentale in modo da tracciare una possibile genealogia all’interno del
branco.
Complessivamente, sono stati rilevati 176 km di piste di impronte su neve, che hanno permesso di censire da un minimo di 2 individui nell’inverno 2000-01, ad un numero massimo
di 6 nel 2002-2003. Attraverso il wolf-howling è stata accertata l’avvenuta riproduzione
durante tutti gli anni di studio, con un numero medio di 2 cuccioli all’anno. Sono noti casi
di mortalità relativi a 3 individui nell’anno 2000-2001 e di 1 individuo nell’anno 2002-2003.
Una delle cause principali di mortalità giovanile è legata al fenomeno del bracconaggio, a
cui si aggiunge la mortalità da incidenti stradali, come è emerso anche in altri branchi di aree
limitrofe.
Dalle analisi genetiche emerge che un individuo maschio, continuativamente presente dal
novembre 1998 al settembre 2003, è risultato compatibile con la posizione di maschio alfa
del branco, e risulta essersi accoppiato con la stessa femmina in almeno 3 stagioni consecutive, generando 7 degli individui campionati. Nel corso dell’ultimo anno (2004) sembra sia
avvenuto un avvicendamento nella coppia alfa, ed un nuovo maschio, proveniente da un’altra area monitorata, si sarebbe accoppiato con la femmina alfa.
Il branco risulta stabile nel tempo, sia in termini di presenza nel territorio che di successo
riproduttivo.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
LA FAINA (MARTES FOINA) NELLA REGIONE CENTROEUROPEA
E MEDITERRANEA: ABITUDINI ALIMENTARI E DIMENSIONI
DEL PREDATORE A CONFRONTO
DE MARINIS A.M.1, SIRACUSA .M.2
1
Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica “Alessandro Ghigi”, via Ca’ Fornacetta 9
40064 Ozzano dell’Emilia (BO); E-mail: [email protected]
2
Dipartimento di Biologia Animale “M. La Greca”, Università di Catania, via Androne 81
95100 Catania; E-mail: [email protected]
La Faina (Martes foina) è un predatore generalista la cui alimentazione ha variazioni geografiche poco note. La taglia della specie varia di regione in regione, senza seguire la regola di Bergmann. Le variazioni dimensionali nei carnivori sono state interpretate sulla base
di una correlazione tra la dimensione del predatore e quelle delle prede disponibili. Scopo
del presente lavoro è la descrizione della variazione della dieta della faina, attraverso
l’Europa ed in secondo luogo l’analisi craniometrica di alcune popolazioni provenienti dalle
medesime aree biogeografiche. Sono stati analizzati 17 studi (9 dell’area centroeuropea e 8
dell’area mediterranea) nei quali la composizione della dieta, determinata tramite analisi
delle feci, era espressa in percentuale di frequenza di comparsa. Le categorie alimentari utilizzate nell’analisi sono: mammiferi, uccelli, altri vertebrati, invertebrati e frutta. L’analisi
delle componenti principali (PCA) ha consentito di distinguere in uno spazio tridimensionale due gruppi, riferibili all’area centroeuropea e all’area mediterranea, con una percentuale di variabilità spiegata del 90%. L’alimentazione della Faina in centroeuropa risulta
caratterizzata da elevate percentuali di mammiferi ed in secondo luogo di uccelli, mentre
nella regione mediterranea gli invertebrati e la frutta rappresentano i componenti principali
della dieta. Sono state identificate 8 variabili relative all’apparato masticatorio e misurati
187 crani di Faina, 135 centroeuropei (110 -- e 25 UU) e 52 mediterranei (38 -- e 14 UU).
L’analisi discriminante ha individuato due funzioni capaci di distinguere (P<0,01) sia le
popolazioni esaminate sia i sessi, in relazione alle dimensioni del cranio. Sulla base dei
risultati ottenuti la Faina avrebbe ruoli trofici diversi nelle aree geografiche considerate, in
relazione alla disponibilità delle risorse alimentari. La variazione geografica osservata nelle
dimensioni del cranio della Faina è stata interpretata in base alle abitudini alimentari descritte per gli ambienti centroeuropei e mediterranei. E’ stato, inoltre, discusso il diverso dimorfismo sessuale del mustelide nelle due aree geografiche.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
USO E SELEZIONE DEGLI HOME SITES IN UNA POPOLAZIONE DI
LUPI NELL’APPENNINO NORD-ORIENTALE
CAPITANI C.1, MATTIOLI L.2, AVANZINELLI E1., GAZZOLA A.1, LAMBERTI
P.1, MAURI L.1, SCANDURA M.1, VIVIANI A.1, APOLLONIO M.1
1
Università di Sassari, Dipartimento di Zoologia e Antropologia biologica, via F. Muroni
25, 07100 Sassari; Tel.: 079228667; Fax: 079228665; E-mail: [email protected].
2
Provincia di Arezzo, Ufficio Piano Faunistico, piazza Liberta’ 3, 52100 Arezzo
In questo studio abbiamo analizzato i fattori che influenzano la selezione degli home sites e
la fedeltà alle aree di riproduzione in una popolazione di Lupo (Canis lupus).
Dal 1993 al 2004 abbiamo identificato 45 home sites distinti che sono stati confrontati con
punti casuali, identificati all’interno dell’area d’indagine, per quanto riguarda variabili legate alla topografia, all’habitat, e al disturbo umano. Gli home sites sono risultati significativamente più frequenti all’interno delle aree protette rispetto ai punti a caso e a una maggiore distanza dalle strade asfaltate e dai centri abitati. Inoltre essi sono stati localizzati a una
quota significativamente più elevata sia in valore assoluto sia in percentuale rispetto alla
variazione altitudinale disponibile. Le foreste decidue sono state selezionate positivamente,
al contrario delle aree aperte. La distanza dalle aree protette e la presenza di foreste decidue
sono risultati i principali fattori d’influenza. Per 5 dei branchi studiati, abbiamo identificato
7 diverse aree di riproduzione stabili. Solo la distanza dalle aree protette condiziona in modo
significativo la fedeltà alle aree di riproduzione. Il nostro studio suggerisce che in aree dove
la distribuzione del Lupo si sovrappone alle attività umane, durante la stagione riproduttiva
i lupi tendono a selezionare particolari siti caratterizzati dall’assenza della caccia, da un alto
grado di copertura forestale e di distanza dal disturbo antropico.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
RAPPORTI CONSUMATORE-RISORSE IN FORESTE DI CONIFERE
ALPINE: RISPOSTE DELLO SCOIATTOLO COMUNE EUROPEO
(SCIURUS VULGARIS L., 1758) ALLE VARIAZIONI
DELLA DISPONIBILITÀ ALIMENTARE
MOLINARI A., AIROLDI G., BRUNELLA A., CERINOTTI F., DI PIERRO E.,
LABITA M., PREATONI D., MARTINOLI A., WAUTERS L., TOSI G.
2
Unità di Analisi e Gestione delle Risorse Ambientali, Dipartimento Ambiente-SaluteSicurezza, Università degli Studi dell’Insubria, via J.H. Dunant 3, 21100 Varese
Tel.: +390332421538; E-mail: [email protected]
Il ruolo dello Scoiattolo comune (Sciurus vulgaris) nell’ecosistema delle foreste alpine è
poco conosciuto. Per sopperire a questa mancanza di informazioni, dal 1999 in un’area
campione nel del Parco delle Orobie Valtellinesi è stata valutata la risposta della specie alla
variazione della disponibilità trofica, in una foresta di conifere dominata da Abete bianco
(Abies alba) e Abete rosso (Picea abies). La produzione annuale di pigne è stata monitorata da postazioni fisse, stimando la disponibilità energetica dei semi (kJ/ha), con analisi calorimetriche. La disponibilità di funghi, epigei e ipogei, è stata campionata 2 volte a settimana da aprile ad ottobre. La consistenza della popolazione di Scoiattolo è stata stimata
mediante tre sessioni (primavera, estate, autunno) di cattura-marcatura-ricattura, di almeno
dieci giorni ciascuna, su un’area di trappolaggio di 30 ha con 20 punti trappola (hair-tube,
0,66 trappole/ha) per analizzare la demografia e le condizioni riproduttive degli animali.
Sono stati marcati 59 animali, 26 dei quali sono stati dotati di radiocollare. L’analisi dei dati
di radiotracking, svolto in due sessioni annue (una primaverile-estiva ed una autunnale), ha
permesso di mettere in relazione la dinamica di popolazione, nonchè l’estensione degli
home range (Minimo Poligono Convesso, MPC 100%) e delle core area (MPC 85%) con la
disponibilità trofica dell’area di saggio. Per lo studio della relazione tra disponibilità trofica
e dinamica di popolazione è stata usata una statistica di tipo Mixed ANOVA utilizzando tre
modelli in cui la densità autunnale nell’anno t e densità primaverile nell’anno t+1 di scoiattoli maschi e femmine erano considerate come variabili dipendenti, mentre stagione e anno
come fattori random. Ogni modello differiva dall’altro per una diversa misura della disponibilità delle risorse alimentari (modello 1: tutte le specie di alberi in anno t; modello 2:
esclusa A. alba nell’anno t; modello 3: tutte le specie di alberi nell’anno t-1). E’ risultata
una relazione positiva significativa tra produttività di semi di conifere e densità di maschi e
femmine di Scoiattolo solo quando la disponibilità alimentare era calcolata senza considerare la produzione di semi di Abete bianco. Ciò lascia presupporre una selezione negativa
nei confronti dell’Abete bianco e un possibile non adattamento da parte dello Scoiattolo al
peculiare ciclo riproduttivo della specie arborea. La relazione tra disponibilità trofica e uso
dello spazio è stata indagata mediante analisi composizionale dove è stato considerato come
“disponibile” (macrohabitat) il’MPC 100% comprendente il totale dei fix di tutti gli scoiattoli del 2000, 2002 e 2004 e come “utilizzato” (microhabitat) l’insieme delle specie arboree
preferite da ogni singolo animale evidenziate dai dati di radiotracking. I risultati dimostrano una selezione positiva per il Larice nell’anno 2000 e per l’Abete rosso sia nel 2002 che
nel 2004, mentre gli scoiattoli evitavano l’Abete bianco in tutte le stagioni ed anni.
100
PARASSITI E MAMMIFERI SELVATICI
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
THE ROLE OF PARASITIC HELMINTHS OF WILD SMALL
MAMMALS IN THE DIVERSITY AND CONSERVATION BIOLOGY
CASANOVA J.C.
Laboratory of Parasitology, Faculty of Pharmacy, University of Barcelona
Av. Joan XXIII s/n, 08028 Barcelona, Spain
The majority of mammalian species are of a small size and belong mainly to three large
orders, Chiroptera, Insectivora and Rodentia, as well as to Lagomorpha and some marsupial
orders. Small mammals are conspicuous and important components of any biota. Their
populations are large and many of them inhabit large territories. As such, they represent an
important element of biodiversity all over the world. Small mammals are a major component of predator diets and perform vital ecosystem services, particularly in seed and spore
dispersal and germination. Many of them are also keystone species (e.g. ecological engineers). Consequently, the existence of countless other animals and plants depends on small
mammals. As a result, small mammals have to be one of the primary targets of conservation
effort. On the other hand, small mammals are aggressive agricultural pests that are responsible for huge harvest losses in many countries. They are also hosts for numerous parasite
species and reservoirs for many diseases dangerous for both humans and livestock.
Small mammals offer the most spectacular and explosive evolutionary radiations of modern
mammals and are also of interest in that light. In addition, the ubiquity of small mammals
and the large sizes of their populations made them one of the favourite models for studies
aimed at elucidating fundamental rules and patterns of various physiological, behavioural,
ecological and evolutionary processes. Conservation of biodiversity as well as control of
animal populations is impossible without understanding the factors that govern the dynamics of populations and communities of target organisms. Parasites are one of these factors.
They strongly affect the abundance and composition of populations and communities of
their hosts. Understanding the relationships between micromammals and their parasites is,
therefore, crucially important for our attempts to manage small mammal populations from
both conservation and control points of view. Patterns and processes in small mammalian
host-parasite systems have been studied at a variety of scales, in different habitats, biogeographic regions and for various parasite taxa. In the last two decades, the biology of different species (Trematoda, Cestoda, Nematoda and Acanthocephala) and the role of small
mammals in their transmission have been documented.
___________________________
This Study is supported by Catalonian Project AIRE-CTP 2003-4)
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
ASPETTI COEVOLUTIVI OSPITE-PARASSITA: L’ESEMPIO DEI
MAMMIFERI MARINI E I NEMATODI ANISAKIDI
DEL GENERE ANISAKIS
MATTIUCCI S.1, NASCETTI G.2
1
Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica, Sezione di Parassitologia, Università degli
Studi di Roma “La Sapienza”, piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma
Tel.: 0649914894; Fax: 0649914644; E-mail: [email protected]
2
Dipartimento di Ecologia e Sviluppo Economico Sostenibile, Università della Tuscia
via S. Giovanni Decollato 1, 01100 Viterbo
I nematodi anisakidi del genere Anisakis Dujardin, 1845 comprendono specie con cicli biologici a più ospiti, ed hanno come ospiti definitivi mammiferi marini, soprattutto cetacei. La
loro sistematica è stata rivoluzionata dall’analisi genetica condotta con marcatori nucleari
(allozimi) e recentemente anche dallo studio di geni mitocondriali (mt-DNA cox2), dimostrando, tra l’altro, che specie considerate cosmopolite e ad ampia valenza ecologica, sono
in realtà complessi di specie gemelle con un proprio areale e ciclo biologico. In particolare,
meccanismi di preferenza d’ospite definitivo sono stati osservati in varie specie, suggerendo che eventi di coadattamento possono avere accompagnato i processi evolutivi in questi
nematodi anisakidi e dei loro ospiti. La congruenza, recentemente osservata, tra la topologia degli alberi filogenetici ottenuti dall’analisi dei geni nucleari (allozimi) e mitocondriali
(mt-DNA cox2) che illustrano le relazioni tra specie del genere Anisakis, è risultata parallela a quella recentemente suggerita dallo studio di geni sia nucleari che mitocondriali che
mostra le relazioni genetiche tra fiseteridi, zifidi e delfinidi, principali ospiti definitivi di
questi nematodi anisakidi. Questi risultati sembrano supportare l’ipotesi di eventi di co-speciazione di questi cetacei e dei loro nematodi endoparasssiti.
103
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
EFFETTI DEMOGRAFICI DELLA MORTALITÀ INVERNALE
E DELLA ROGNA SARCOPTICA NELLA POPOLAZIONE
DI STAMBECCO DELLA MARMOLADA
MONACO A.1, NICOLI F.2, GILIO N.3, FRAQUELLI C.4
1
via del Rondone 10, 40122 Bologna
via Cugini 14, 42100 Reggio Emilia
3
via Ontani 32, 20152 Milano
4
Servizio Foreste e Fauna, Provincia Autonoma di Trento
via G.B. Trener 3, 38100 Trento
2
La mortalità da inanizione invernale o starvation riveste una notevole importanza nella
regolazione delle popolazioni di ungulati di alta montagna. A questo tipo di mortalità può
associarsi quella dovuta a patologie come la rogna sarcoptica, la cui insorgenza viene spesso facilitata da un quadro di generale debilitazione fisica della popolazione quale quello causato da un inverno sfavorevole. Le informazioni reperibili in letteratura sull’andamento
delle epidemie di rogna nello Stambecco (Capra ibex) e sugli effetti causati sulle popolazioni, sono piuttosto esigue e quasi esclusivamente riferite ai tassi di mortalità complessivi.
Poca attenzione è stata dedicata all’esposizione differenziale delle diverse classi di sesso ed
età a questo fattore di mortalità. Fino al 2003 la popolazione di Stambecco della Marmolada
(Dolomiti) costituiva il nucleo numericamente più importante dell’arco alpino orientale, con
una consistenza stimata di oltre 500 esemplari. A partire dal 2003 la Provincia Autonoma di
Trento ha attivato un programma di monitoraggio radiotelemetrico e visivo, mirato all’acquisizione di conoscenze sufficienti ad affrontare in modo più efficace l’imminente insorgenza della rogna, già rilevata nell’area sul Camoscio (Rupicapra rupicapra). All’inizio del
2004, nel corso dell’inverno più severo degli ultimi anni, la malattia è comparsa nella popolazione di Stambecco. La mortalità derivante dall’azione congiunta dei fattori climatico e
patologico è risultata considerevole. Nel corso del 2004 le carcasse ritrovate sono state 140,
78 delle quali presentavano evidenti segni della malattia, e gli stambecchi avvistati nel corso
del conteggio estivo sono stati 208. Nel presente lavoro sono esposti i primi risultati relativi all’effetto concomitante esercitato dai due fattori di mortalità sulla struttura e dimensione della popolazione. La base dati complessiva è riferita al periodo agosto-dicembre del
2003 e 2004 ed è costituita da 943 gruppi avvistati (2003 = 473; 2004 = 470), per un totale
di 5561 stambecchi (2003 = 3351; 2004 = 2210). Dal confronto fra la situazione antecedente
all’inverno 2003-2004 e quella successiva emerge una riduzione delle dimensioni medie dei
gruppi da 7,1 a 4,5 animali/gruppo, mentre la frazione di animali solitari passa dal 15,2% al
39,8% del totale dei gruppi osservati. In diminuzione sono risultati anche il numero di piccoli/femmina adulta (da 0,50 a 0,31) e quello di yearling/femmina adulta (da 0,11 a 0,02).
La sex ratio (FF/MM) passa da 0,49 a 0,64 per la frazione adulta della popolazione (femmine da 4 a 13 anni e maschi da 4 a 11 anni) e da 0,22 a 7,40 nel caso della frazione anziana. La mortalità ha colpito principalmente i piccoli e gli anziani e limitato, nel contempo, le
potenzialità riproduttive delle femmine adulte. La componente maschile nel suo complesso
è risultata essere caratterizzata da i tassi di mortalità più elevati, probabilmente in conseguenza di una maggiore esposizione al contagio dovuta alla vita gregaria.
104
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
AN UPDATING ON ECHINOCOCCUS MULTILOCULARIS AND
OTHER INTESTINAL HELMINTHS OF THE RED FOX VULPES
VULPES (LINNÆUS, 1758) FROM ITALIAN ALPS
MANFREDI M.T.1, DI CERBO A.R1., CASULLI A.2 , BAZZOLI F.1,
TREVISIOL K.3, BREGOLI M.4, FERRO MILONE N.5, GAFFURI A.6,
ORUSA R.7
1
DIPAV, Facoltà di Medicina Veterinaria, Milano; 2 Istituto Superiore di Sanità, Roma 3
IZS Bolzano; 4 IZS Trento; 5 IZS Belluno; 6 IZS Bergamo; 7 IZS Aosta
Red foxes Vulpes vulpes can transmit parasitic diseases that may cause serious pathologies
in humans, such as Human alveolar echinococcosis (AE), a zoonosis caused by larval stages (metacestodes) of tapeworm Echinococcus multilocularis. The life cycle of the cestode
includes mainly the red fox as definitive host, and rodents as intermediate hosts. In Italy,
several studies were carried out on helminth fauna of red foxes. Yet, the presence of E. multilocularis in host red fox was recorded only in 2002, when the cestode was found in two
specimens from Trentino Alto Adige.
The aim of the present study was to investigate spread of E. multilocularis and to update
data on helminth fauna in foxes from the Italian Alps. During 1998-2004, we examined 1446
animals from the Trentino Alto Adige, Veneto, Valle d’Aosta, Lombardia and Liguria
regions. One or more diagnostic techniques (Ca-ELISA, PCR, necroscopy) were applied on
faeces and/or intestine of foxes to assess the presence of E. multilocularis. All other parasites found in the intestine were also collected and identified. The 4.6% (24/516) of faecal
samples of foxes were positive to PCR analysis. All positive cases originated from Trentino
Alto Adige: 22 out of 160 specimens were from the provinces of Bolzano (prevalence rate
13.7%) and 2 out of 98 from Trento (prevalence rate 2%). Faecal samples of foxes from
other regions were negative (N=258). E. multilocularis was recorded in 5 out of 610 foxes
examined by necroscopy (prevalence rate 0.82%); all infected hosts were from Bolzano province. The intestinal helminth fauna in alpine red fox population was formed by Cestoda
(Mesocestoides lineatus, Taenia crassiceps, T. hydatigena, T. taeniaeformis, E. multilocularis) with prevalence of 48.5%, Nematoda (Uncinaria stenocephala, Toxocara canis,
Pterygodermatites affinis, Molineus legerae, Trichuris vulpis, Capillaria spp., Oxynema
crassispiculum) with prevalence of 76.9% and Trematoda (Pharyngostomum cordatum,
Metorchis vulpis and Plagiorchis elegans) with prevalence of 0.7%.
105
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
FAUNA PARASSITARIA DELL’ ISTRICE HYSTRIX CRISTATA
IN ITALIA
POGLAYEN G.1, SCARAVELLI D.2, TAMPIERI M.P.1, GALUPPI R.1,
NUTI C.1, GAGLIO G.3, ABBENE S.3
1
Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale, Univiversità di
Bologna, via Tolara di sopra 50, 40064 Ozzano Emilia (Bologna)
E-mail: [email protected];
2
CdL in Acquacoltura e Ittiopatologia, Università di Bologna, via Vespucci 2
47043 Cesenatico (FC)
3
Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria, Università di Messina, Polo Universitario
dell’Annunziata, 98168 Messina
L’Istrice Hystrix cristata è specie in rapida espansione in Italia negli ultimi due decenni. Le
conoscenze relative al suo corredo parassitario sono particolarmente scarse. Pertanto sono
stati esaminati per la presenza di parassiti dell’apparato digerente e della muscolatura 64
esemplari deceduti per incidenti stradali, suddivisi in due gruppi, siciliano e peninsulare
(Agrigento 27, Emilia Romagna 22, Toscana 13 e 2 di provenienza non definita). Entrambi
i gruppi sono risultati negativi a livello muscolare per Trichinella sp. e Sarcocystis sp.
I parassiti dell’apparato digerente mostrano una situazione differenziata con
Archeostrongylus italicus (prevalenza 40,5%) isolato solo nel gruppo peninsulare e
Trichuris ovis (89%) nel gruppo siciliano. Mentre il primo elminta era già segnalato in Italia,
l’Istrice è stato riconosciuto come ospite di T .ovis solo da Neveu–Lambire (1936) che però
non specifica l’origine dell’animale. L’assenza di A. italicus in Sicilia potrebbe essere giustificata da condizioni eco-pedologiche che ne condizionerebbero la fase subaerea del ciclo
biologico, peraltro non completamente conosciuto, mentre molte perplessità sorgono relativamente alla presenza di T. ovis. L’analisi morfologica ne ha confermato l’appartenenza alla
specie caratteristica degli ovini e non a T. hystricis (Kreis, 1938), unico tricocefalo descritto specificamente nel roditore. Gli indici epidemiologici (Prevalenza = 89 %, Intensità
media = 10,5, Abbondanza = 9,3, Range = 2–43) indirizzano verso una distribuzione di tipo
aggregato e quindi ad un rapporto stabile ospite–parassita. Si osserva comunque come questo tricocefalo, ben poco presente negli ovini siciliani e appartenente ad un gruppo particolarmente specie-specifico, nel nostro caso mostri invece di aver colonizzato, con una popolazione ben strutturata, un ospite zoologicamente lontano. Studi di biologia molecolare
potrebbero chiarire queste perplessità. Omogenea fra maschi e femmine (2 = 0,13, P>0,05),
la presenza di T. ovis sembra privilegiare i soggetti adulti (2 = 13,2, P<0,001) con un rischio
relativo, in questa categoria, 8 volte superiore di contrarre l’elmintosi rispetto ai giovani.
Degni di interesse anche i risultati relativi all’affidabilità dell’esame coprologico (sensibilità, specificità, valori predittivi positivi e negativi sempre al 100%) per T. ovis, mentre per
A.italicus (Se = 26%, Sp = 89%, Vpp = 44%, Vpn = 80%) appare di scarsa utilità.
106
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
CONSIDERAZIONI SULLA FAUNA ELMINTICA DI MURINAE
E ARVICOLINAE (RODENTIA) DELLA CALABRIA
MILAZZO C.1, CASANOVA J.C.2, ALOISE G.1, DI BELLA C.3, GERACI F.3,
CAGNIN M.1
1
Dipartimento di Ecologia, Università della Calabria, via P. Bucci s/n., 87036 Rende
(Cosenza); E-mail: [email protected]
2
Laboratorio di Parassitologia, Facoltà di Farmacia, Università di Barcellona
Av. Diagonal s/n., 08028 Barcellona, Spagna; E-mail: [email protected]
3
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri”, via G. Marinuzzi 3
90129 Palermo; E-mail: [email protected]
L’interesse sempre crescente che viene riservato da parte di zoologi allo studio dei parassiti delle popolazioni naturali è dovuto sia al fatto che questi partecipano alla biodiversità
degli ecosistemi naturali che dalla loro utilità come indicatori di eventi ecologici e biogeografici.
L’analisi dell’elmintofauna di Muridae ed Arvicolidae della Calabria è stata effettuata attraverso l’esame di 1328 esemplari appartenenti a sei specie: Apodemus sylvaticus (N=697), A.
flavicollis (N=194), Mus domesticus (N=108), Rattus rattus (N=28), Clethrionomys glareolus (N= 93), Microtus savii (brachycercus) (N=108). In totale sono state rinvenute 31 specie elmintiche: 2 trematodi digenei (Brachylaima sp., Corrigia vitta), 11 Cestodi di cui tre
in fase larvale (Hydatigera taeniaeformis larvae, Taenia martis larvae, Catenotaenia pusilla, C. henttoneni, Skrjabinotaenia lobata, Paranoplocephala omphalodes, Gallegoides
arfaai, Mesocestoides sp. larvae, Hymenolepis diminuta, Hymenolepis sp., Rodentolepis
straminea, Microsomacanthus muris-sylvatici) e 17 nematodi (Trichuris muris, Capillaria
sp., Aonchotheca annulosa, A. muris-sylvatici, Eucoleus gastricus, Calodium hepaticum,
Mastophorus muris, Rictularia proni, Heligmosomoides polygyrus, H. glareoli,
Nippostrongylus brasiliensis, Syphacia stroma, S. frederici, S. obvelata, S. petrusewiczi,
Syphacia sp. e Aspiculuris tetraptera.
La ricchezza specifica riscontrata in Calabria appare relativamente povera se comparata a
quella delle comunità elmintiche dell’Europa continentale.
La composizione della comunità elmintica di A. sylvaticus è stata messa in relazione con gli
aspetti biologici della specie ospite (sesso, età, stato riproduttivo) e con i fattori ecologici
delle stazioni di campionamento (biotopo, distribuzione stagionale, fascia bioclimatica)
attraverso un’analisi multivariata lineare con l’ausilio di un modello statistico di tipo
ANOVA sviluppato con la PROC GLMs.
Le variabili ecologiche considerate sono risultate essere in relazione con le variazioni di
carica parassitaria, tra le componenti biologiche invece, sembrano avere importanza l’età e
lo stato riproduttivo.
107
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
INTESTINAL PARASITES INFECTING SYLVILAGUS FLORIDANUS IN
A POPULATION INTRODUCED INTO ITALY
/
°
HURKOVÁ
L.1, BERTOLINO S.2, PERRONE A.3, MODRY D.1, 4
1
Faculty of Veterinary Medicine, Department of Parasitology, Palackého 1-3, 612 42
Brno, Czech Republic; E-mail: [email protected]
2
Univerisity of Turin, DIVAPRA Entomology and Zoology, via L. Da Vinci 44
10095 Grugliasco (TO); E-mail: [email protected]
3
Centro Ricerche in Ecologia Applicata, via Catti 12, 10146 Torino
4
Institute of Parasitology AV CR, Braniovská 31, 370 05 Ceské Budejovice
Czech Republic
One of the risks related to the translocation of species outside their natural range is the
introduction of parasites associated with the animals released in the new area. The natural
range of the Eastern cottontail (Sylvilagus floridanus) occurs in North America. The species has been introduced into Italy since 1966 for hunting purposes and has increased its
range and the population density in the last decade. Here we describe the intestinal parasites found in a population of the cottontail, including temporal patterns of prevalence.
The study area was inside the “Riserva Naturale Torrente Orba” (Alessandria). Cottontails
were live-trapped for 8 days every two months, from December 2004 to April 2005. After
the release of trapped animals, faeces were collected from traps and one half of the sample was placed in vials containing 2.5% (w v-1) aqueous potassium dichromate (for detection of coccidian oocysts) and the second half into 10% formalin (for detection of helminth
eggs and protozoan cysts). In the laboratory, the samples were examined for presence of
parasites.
Oocysts of the genus Eimeria were found in 76 faecal samples of 81 (93.8%) trapped cottontails. Seven Eimeria species were determined (prevalence range): E. environ (57.189.3%), E. honessi (35.7-71.4%), E. maior (21.4-42.9%), E. minima (6.5-21.4), E. neoirresidua (28.6-46.4%), E. neoleporis (6.5-42.9%), E. poudrei (10.7-71.4%). Moreover, E.
leporis was found, but only in one animal trapped in April. Some cottontails showed onespecies infection, but mostly co-infection of 2 to 5 eimerian species was detected.
Helminths were also detected in cottontails: tapeworm eggs (Anoplocephalidae) were
found in all three collections (range: 17.9-57.1%), but nematode eggs (Strongylidae) were
absent in samples collected in December, appeared in February (32.1% of the samples) and
the prevalence increased in April (69.6%).
A host specificity of Eimeria in Lagomorpha may be broad. Some of the Eimeria species
reported in Sylvilagus were also found in Lepus and Oryctolagus. Among the species we
reported in cottontails, E. minima and E. leporis were described in Lepus and E. neoleporis was reported in Oryctolagus. Three of the Eimeria species reported in our cottontail
population (E. environ, E. honessi, and E. leporis) were found by a previous research in
the province of Alessandria.
108
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
SELEZIONE DEL MICROHABITAT DI APODEMUS FLAVICOLLIS IN
UN’AREA ENDEMICA PER LA TBE IN TRENTINO
STRADIOTTO A., CAGNACCI F., TIOLI S., RIZZOLI A., ROSÀ R.,
TAGLIAPIETRA V.
Centro di Ecologia Alpina, Viote del Monte Bondone, 38040 Trento
Tel.: 0461939527: Fax 0461948190; E-mail: [email protected]
Questa ricerca si inserisce in un progetto che prevede lo studio dell’epidemiologia
e del
∨
∨
rischio di trasmissione all’uomo di malattie zoonosiche come l’encefalite virale trasmessa
da zecche (TBE). Tale patologia presenta una distribuzione geografica a focolai d’infezione, tra cui in Italia, alcune aree del nord-est delle Alpi (Province di Trento e Belluno). La
TBE trova il principale serbatoio in alcune specie di micromammiferi, in particolare
Apodemus flavicollis, ampiamente diffuso nelle faggete termofile del Trentino. Al fine di
indagare la dinamica di trasmissione della malattia, il pattern di infestazione da zecca Ixodes
ricinus di maschi e femmine di A. flavicollis è stato posto in relazione con la loro distribuzione spaziale. Il monitoraggio a lungo termine avviato nel 2000 è tuttora in atto. Per i campionamenti di micromammiferi sono state allestite 4 griglie da 1,4 ha ciascuna (8x8 trappole), monitorate a cadenza quindicinale, per 2 notti, da aprile a ottobre. In ogni griglia, in corrispondenza di ciascun sito di cattura, sono stati effettuati rilievi vegetazionali (tipologia e
maturità forestale; copertura erbacea, arborea, arbustiva e di lettiera nuda). L’analisi di uso
dell’habitat è stata effettuata mediante il confronto tra le frequenze di trappolaggio nel
microhabitat e la proporzione dello stesso (test degli intervalli fiduciali di Bonferroni). La
media d’infestazione da zecca I. ricinus degli individui catturati tra il 2000 e il 2004 è risultata significativamente maggiore nei maschi rispetto alle femmine, sia relativamente alle
larve che alle ninfe (carico medio di larve = 12,53 ± 0,93 e 9,48 ± 0,65 per maschi e femmine rispettivamente, gl=1, Dev.=8,48, P<0.01; carico medio di ninfe = 0,13 ± 0,03 e 0,04
± 0,02 per maschi e femmine rispettivamente, gl=1, Dev.=6,54, P<0.01). Questa specie
tende a selezionare positivamente la tipologia forestale a latifoglia, sottoutilizzando gli
ambienti aperti e di conifera; si evidenzia inoltre un sovrautilizzo di ambienti caratterizzati
da elevata copertura arbustiva. Maschi e femmine selezionano diversamente le classi di lettiera nuda; ciò è consistente con l’ipotesi che il ruolo differenziale dei sessi nella trasmissione della TBE sia legato non solo a motivi ormonali, ma anche all’uso da parte dei maschi
di un microambiente preferenziale per la presenza di zecche, in particolare degli stadi di
larva e di ninfa.
109
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
ABOMASAL PARASITES OF RED DEER (CERVUS ELAPHUS) IN
STELVIO NATIONAL PARK (NORTH-EASTERN ITALY)
DI CERBO A.R.1, MANFREDI M.T.1, TRANQUILLO V.2, NASSUATO C.2,
PEDROTTI L.3
1
2
DIPAV, Facoltà di Medicina Veterinaria, Milano
Osservatorio Epidemiologico Veterinario Regionale della Lombardia, IZS Brescia;
3
Parco Nazionale dello Stelvio, via Roma 26, 23032 Bormio (SO)
The abomasal parasitofauna of red deer (Cervus elaphus) from the Stelvio National Park
(SNP) was studied and parasite diversity was estimate in red deer populations living in different sectors of the protected areas. Abomasal helminths from 298 red deer belonging to
three different sectors of SNP were collected (Bolzano, BZ: N=191; Sondrio, SO: N=31;
Trento, TN: N=76). A comparative approach used was at the infracommunity level and epidemiological indices were calculated for each species of helminth. The structure of helminth
communities was studied by heterogeneity indices and by an important index (It). The association between parasite burdens and the geographic areas of belonging of the hosts has been
studied by the negative binomial regression. Total prevalence calculated in BZ, TN and SO
sectors of SNP indicates that almost all red deer from these populations are infected by parasites (P=95.81%, P=93.42%, and P=96.77% respectively). The helminths recorded were:
Ostertagia leptospicularis, O. kolchida, Spiculopteragia spiculoptera, S. mathevossiani,
Marshallagia marshalli, Teladorsagia circumcincta, Haemonchus contortus,
Trichostrongylus axei. The most common species were S. spiculoptera (P=79.53%) and O.
leptospicularis (P=40.94%), while T. circumcincta, M. marhalli and H. contortus resulted
very rare (P=1.00%, P=1.34% and P=1.34% respectively). The deviance analysis of the
negative binomial regression model shows that the geographic area is significantly related
to the parasite burden (Deviance=16.43, df=2, P=0.0016). The deviance analysis of the adjusted model (for host age classes and for year of sampling) shows that age and year of sampling are significantly related to the parasite burden. The parasite burden of red deer belonging to the TN area is 1.6 greater than that of BZ (exp 0.51), while in SO the mean parasite burden is smaller than that of BZ (0.93 fold) (exp –0.07). Prevalences of hosts with parasite are smaller in SO (OR=0.78; 95% CI: 0.26-2.23) and TN (OR=0.89; 95% CI: 0.41-1.91)
sectors than in BZ one. Nevertheless, these differences are not statistically significant.
110
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
INFESTAZIONE DA ZECCHE IN POPOLAZIONI DI RODITORI
IN UN’AREA DELLA SICILIA
CAGNIN M.1, ALOISE G.1, MILAZZO C.1, SCIMECA S.2, NICOSIA S.2,
TORINA A.2
1
Dipartimento di Ecologia, Università della Calabria, via P. Bucci s/n.
87036 Rende, Cosenza; E-mail: [email protected]; [email protected]
2
Istituto Zoorpofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri”, via G. Marinuzzi 3
90129 Palermo; E-mail: [email protected]
I Roditori sono considerati gli ospiti preferenziali di molte specie di ectoparassiti, fra questi
numerose specie giocano un ruolo importante nell’epidemiologia, come reservoirs e come
ospiti intermedi di malattie in ambiente naturale, negli animali domestici e nell’uomo.
Fra gli ectoparassiti che comunemente infestano i piccoli mammiferi selvatici vi sono le zecche (Acari, Ixodida: Argasidae e Ixodidae).
Nel corso del 2003 è stato effettuato un campionamento stagionale di micromammiferi nell’area di Corleone (PA), in 6 stazioni: un ambiente naturale (Bosco della Ficuzza) e 5 aziende agricolo-zootecniche differenziate per tipo e gestione dell’allevamento, caratteristiche,
queste, ritenute influenti sulla composizione e densità della popolazione di Roditori presente. In totale sono stati campionati 128 animali: 78 Apodemus sylvaticus (43 - 35 U), 28
Mus domesticus (13 - 15 U), 22 Rattus rattus (8 - 14 U).
La sola specie in cui sono stati rinvenuti ectoparassiti è A. sylvaticus, sia nell’area naturale
del Bosco della Ficuzza che all’esterno di una azienda, con una Prevalenza (P=N° di ospiti
parassitati /N° di ospiti x 100) rispettivamente del 75 % e del 37 % .
Gli ectoparassiti ritrovati sono larve del genere Ornithodorus (N=593), larve di Ixodes ricinus (N=33) e adulti di Laelaps spp. (N=7) con una prevalenza rispettivamente di 59,0%,
23,1% e 3,8 %.
L’intensità media (IM=N° di parassiti/N°di ospiti parassitati) delle larve del genere
Ornithodorus è stata di 12,89 (min-max: 1-105), quella di Ixodes ricinus è stata di 1,83
(min-max: 1-7), quella di Laelaps spp. di 2.83 (min-max: 1-4).
La differenza del grado di infestazione fra maschi e femmine risulta non significativa per le
larve del genere Ornithodorus (test t per campioni indipendenti: t = -1,04, P>0,30) né per
Ixodes ricinus (test t per campioni indipendenti: t = -0.81 p > 0.41). Non si sono evidenziate differenze nella prevalenza e nell’intensità dell’infestazione di maschi e femmine.
Mentre, dal punto di vista stagionale l’intensità dell’infestazione è maggiore in inverno per
le larve del genere Ornithodorus.
111
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
HELMINTH FAUNA OF MUSTELIDS IN NORTH-EASTERN ITALY
DI CERBO A.R.1, MANFREDI M.T.1, BREGOLI M..2, FERRO MILONE N.3
1
DIPAV, Facoltà di Medicina Veterinaria, Milano
2
IZS, Trento; 3IZS, Belluno
Helmiths of Mustelids (18 badgers, 9 stone martens and 1 pine marten) from Trento and
Belluno provinces (Eastern Italian Alps) were studied. On 54 organs examined (28 intestines; 12 stomachs, 6 lungs and 8 livers), the 61% was positive to one or more parasite species. The 94.4% of Meles meles and the 77.8% of Martes foina examined have one or more
organs infected. The specimen of M. martes analysed was negative. A total of 2.098 helminths belonging to Nematoda (90%) and Cestoda (10%) were collected. No parasite was
found in the livers of badgers and martens. The nematodes of gastrointestinal tract were
Uncinaria criniformis, Molineus patens and Aonchotheca putorii, found both in the intestine and in the stomach. The most common species of M. meles intestine was U. criniformis
(P=88.9%; A=33.6). M. patens and A. putorii were less frequent (P=22.2%, A=7.7 and
P=16.7%, A=4.6, respectively), such as Cestodes (P=22.2%, A=11.8). In M. foina intestine,
A. putorii was observed more frequently (P=22.2%) than M. patens, U. criniformis and
Cestodes (each P=11.1%). Yet, U. criniformis was the most abundant species (A=1.2). Only
2 out of 5 stomachs of badger were positive to parasite, one organ was infected by M. patens
(P=20%) and one by A. putorii (P=20%). A. putorii was much more abundant than the former species (A=68.2 vs A=0.4). In the stone marten stomach, besides A. putorii (P=42.9%,
A= 8.7) and M. patens (P=14.3%, A=0.1), U. criniformis was also collected (P=14.3%,
A=0.4). Only lungs belonging to M. foina were examined: Eucoleus aerophilus (P=83.3%;
A=2), Crenosoma petrowi (P=66.7%; A=7.3), and Sobolevingylus petrowi (P=16.7%; A=1)
were collected. The data confirm that the typical structure of gastrointestinal helminth fauna
of Mustelids is given by M. patens, U. criniformis and A. putorii. The last species has an
indirect cycle and its intermediate host is earthworms. This invertebrate is an important food
item in badger diet. Bronchopulmonary helminths of stone marten are parasites with indirect cycle too, with molluscs and earthworms as intermediate hosts. Thus, this homogeneity
of helminth fauna recorded in our mustelids could be associated both to a partial overlap of
habitats and trophic sources between badgers and stone martens alpine populations.
112
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
HELMINTHS OF APODEMUS FLAVICOLLIS (MELCHIOR, 1834) AND
CLETHRIONOMYS GLAREOLUS (SCHREBER, 1780) FROM
TRENTINO ALTO ADIGE (NORTH-EASTERN ITALY)
ROSSO F.1, SCALET G.1, FERRARI N.1, MANFREDI M.T. 2 , RIZZOLI A.1 , DI
CERBO A.R.2
1
2
Centro di Ecologia Alpina, Sardagna (Trento)
DIPAV, Facoltà di Medicina Veterinaria, Milano
Overall 542 small rodents (425 Apodemus flavicollis and 117 Clethrionomys glareolus)
were analysed for gastrointestinal helminths. Specimens were collected in 6 sites in the province of Trento (valleys of Non, Fiemme, Cembra, Lamar, Molveno, Sella and Laghi).
Stomachs and intestines were analysed. Eight nematode species were identified:
Heligmosomoides polygyrus, Heligmosomoides glareoli, Heligmosomum mixtum, Syphacia
frederici, Syphacia stroma, Mastophorus muris, Rictularia proni and Trichuris muris. In
addition, 3 species of Cestoda (Hymenolepis fraterna, Catenotaenia cricetorum,
Passerilepis crenata) and one species of Trematoda (Corrigia vitta) were recorded. A. flavicollis showed the highest richness of parasite species (11). C. glareolus was only infected
by five species of helminths (H. polygyrus, H. glareoli, H. mixtum, C. cricetorum and C.
vitta). Both H. polygyrus and C. vitta occurred in the two rodent hosts. The abundance of H.
polygyrus (min-max: 0.48-2.78) in C. glareolus was lower than that observed in A. flavicollis. The highest values of prevalence and abundance were found for H. polygyrus and S. frederici in A. flavicollis and H. glareoli and H. mixtum in C. glareolus. S. stroma was found
in very few animals (P= 2.1% - P=3.7%) even if this parasite was reported as one of the most
common for Apodemus. Prevalence, abundance and mean intensity of parasites varied
according to the trapping sites. H. polygyrus was found in all trapping sites with high prevalence (27.3-85.9%) confirming this species to be one of the most common parasites of
Apodemus. It showed the highest abundances too, mainly in rodents from valleys of Cembra
and Fiemme (A=8.7 and A=12.2 respectively). In C. glareolus, H. glareoli was widely
distributed between the trapping sites with a prevalence ranging from 17.1% through 50%.
H. mixtum in C. glareolus was recorded in valley of Fiemme with a prevalence of 88.8%
and abundance of 18.7. Further R. proni and M. muris were recovered only in A. flavicollis
from the valley of Cembra and valley of Laghi respectively. In addition, S. frederici was present in all trapping sites.
113
IL RUOLO FUTURO DELLA TERIOLOGIA IN ITALIA:
RICERCA, PIANIFICAZIONE, DIVULGAZIONE
114
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UTILITÀ DEGLI STUDI A LUNGO TERMINE E CON REPLICA
DELLE AREE: UN ESEMPIO DA UNA RICERCA SULLO
SCOIATTOLO COMUNE (SCIURUS VULGARIS)
BERTOLINO S.1, WAUTERS L.2
1
Università di Torino, DIVAPRA Entomologia e Zoologia, via L. da Vinci 44
10095 Grugliasco (TO); E-mail: [email protected]
2
Università dell’Insubria, Dipartimento Ambiente, Salute e Sicurezza
via J.H. Dunant 3, 21100 Varese
Molti aspetti dell’ecologia e del comportamento di specie animali possono essere indagati
con studi a breve termine (1-2 anni). In altri casi, solo ricerche a medio e lungo termine e la
replica della raccolta dati su più aree, consentono di rispondere in modo adeguato a domande eco-etologiche. La disponibilità alimentare, ad esempio, può influenzare i parametri
demografici di una popolazione, ma anche determinare adattamenti eco-etologici. La loro
verifica è però legata alla raccolta dati in anni con disponibilità alimentare variabile che possono ripetersi periodicamente, ma in maniera non prevedibile. A fronte di questa esigenza,
gli studi a medio (> 3 anni) e lungo temine (> 6 anni), e con la replica in più aree, sono in
Italia ancora un’eccezione. Nel presente lavoro sono illustrati alcuni risultati ottenuti in una
ricerca su Sciurus vulgaris durata 6 anni e ripetuta in 6 aree. Lo scopo è quello di stimolare
una discussione sull’importanza di avviare studi di questo tipo.
Nel 2000 abbiamo avviato una ricerca sull’ecologia dello scoiattolo comune nel Parco
Nazionale del Gran Paradiso. Una ricerca analoga è in corso in Valtellina. In tutte le aree (2
nel PNGP e 4 in Valtellina) lo studio è condotto con le stesse metodologie.
Nel periodo 2000-2003, 42 animali sono stati seguiti con il radiotracking in contemporanea
con il monitoraggio della produzione del bosco. Variazioni consistenti nelle dimensioni
degli home range e delle core area, e la rottura della normale organizzazione sociale della
specie nel corso del 2001 (elevata sovrapposizione delle core area invece della tipica territorialità femminile) sono stati interpretati come un adattamento a forti fluttuazioni nella
disponibilità alimentare. La struttura genetica di sette popolazioni di scoiattolo presenti sulle
Alpi centrali e occidentali sono state studiate con tecniche genetiche. I risultati indicano una
differenziazione delle popolazioni solo in parte spiegabile con la distanza geografica delle
aree. Un probabile crollo demografico delle popolazioni in corrispondenza della frammentazione forestale prodotta dall’uomo nel XIX sec. potrebbe aver influito su tale fenomeno.
Il confronto delle comunità di coccidi intestinali dello scoiattolo in 5 aree ha portato all’individuazione di 2 clusters, corrispondenti ai 2 settori geografici. Inoltre, è stata evidenziata
una interazione tra densità, organizzazione sociale e uso dello spazio nel determinare un
effetto del sesso sulla prevalenza di Eimeria sciurorum. Una ricerca preliminare condotta
per 2 anni nel PNGP, ha permesso di rilevare un notevole consumo di funghi da parte dello
scoiattolo. Dal 2002 è in corso in 5 aree il proseguimento della ricerca. In particolare si
vuole verificare l’importanza dal punto di vista alimentare del consumo di funghi e se la specie, disperdendone le spore con le feci, abbia un ruolo nella formazione di nuovi miceli fungini e nel mantenimento del sistema simbiotico tra funghi ipogei e piante.
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IMPORTANZA DELLE RACCOLTE DATI A LUNGO TERMINE IN
CAMPO TERIOLOGICO: L’ESEMPIO DELLE RICERCHE SULLO
STAMBECCO ALPINO NEL PARCO NAZIONALE GRAN PARADISO
VON HARDENBERG A., BASSANO B.
Centro Studi Fauna Alpina, Parco Nazionale Gran Paradiso
via della Rocca 47, 10123 Torino; E-mail: [email protected]
Molti processi ecologici possono essere compresi soltanto se studiati su una scala temporale lunga. Tuttavia, nonostante la loro importanza, la raccolta di dati a lungo termine non è
una prassi comune nelle ricerche teriologiche, perché necessita dell’investimento nel tempo
di risorse umane e finanziarie i cui benefici sono spesso poco evidenti a breve termine.
Come esempio di ricerche teriologiche che hanno sfruttato con successo le raccolte di dati
a lungo termine, presentiamo alcuni risultati del programma di ricerca sullo Stambecco alpino (Capra ibex) in corso nel Parco Nazionale Gran Paradiso (PNGP). Più di 45 anni di censimenti esaustivi hanno permesso di testare la relativa importanza della densità e di fattori
climatici sulla dinamica di popolazione degli stambecchi nel PNGP.
Questa serie temporale eccezionalmente lunga, ha permesso di testare il potere predittivo di
un semplice modello dell’effetto dell’interazione fra densità di popolazione e altezza del
manto nevoso, stimando i parametri del modello utilizzando i primi 20 anni di dati e testando il potere predittivo del modello sulla serie temporale successiva. La raccolta sistematica
di crani di stambecchi, trovati morti in inverno, ha permesso invece la scoperta che la
dimensione degli anelli di accrescimento delle corna riflettono la probabilità di sopravvivenza dei maschi negli anni successivi. Questi risultati non sarebbero mai stati raggiunti
senza l’impegno a lungo termine di generazioni di guardaparco del PNGP che hanno profuso il proprio lavoro nella raccolta sistematica di dati e di campioni molto prima che si avesse un idea chiara di come utilizzarli dal punto di vista scientifico.
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IL PROGETTO DI CONSERVAZIONE DELL’ORSO BRUNO (URSUS
ARCTOS) NEL PARCO NATURALE ADAMELLO BRENTA: ANALISI
DEGLI EFFETTI DELLE INIZIATIVE DI COMUNICAZIONE
MUSTONI A., CARLINI E., CHIOZZINI S., CHIARENZI B., BONARDI A.,
CHIRICHELLA R., ZIBORDI F.
Gruppo di Ricerca e Conservazione dell’Orso Bruno del Parco Naturale Adamello Brenta
via Nazionale 24, 38080 Strembo (TN)
Tel. +390465806655; E-mail: [email protected]
Nel 1996, su iniziativa del Parco Naturale Adamello Brenta (PNAB), ha preso avvio un progetto di reintroduzione volto a ricostituire una popolazione vitale di orso bruno (Ursus arctos) nelle Alpi Centrali. L’iniziativa è stata realizzata nella consapevolezza sia dell’importanza ecologica della specie, sia del suo ruolo nella cultura e nella storia dell’uomo. Anche
per questo motivo è apparso evidente, fin dalle prime fasi di impostazione del progetto, il
ruolo fondamentale delle attività di comunicazione, realizzate con lo scopo di trasmettere le
reali motivazioni poste alla base dell’iniziativa e favorire l’accettazione sociale dell’orso da
parte di tutte le categorie sociali potenzialmente interessate dalla sua presenza. Per valutare
l’attitudine della popolazione locale nei confronti del plantigrado, nel 1997, nell’ambito
dello studio di fattibilità posto alla base del progetto, è stata realizzata una indagine demoscopica nell’area di studio (Trentino Occidentale e porzioni alpine delle province di Brescia,
Verona, Bolzano, Sondrio) secondo la quale l’80% della popolazione è risultato in favore
del progetto e della presenza dell’orso sul territorio.
Successivamente a tale indagine, nel corso dello svolgimento dell’intero progetto di reintroduzione, sono state intraprese numerose attività di comunicazione nei confronti delle
popolazioni locali e turistiche (divulgazione sui mass media, redazione e distribuzione di
opuscoli divulgativi, interventi didattici nelle scuole, realizzazione di un sito web, promozione e allestimento di un museo e di uno stand itinerante, realizzazione di una newsletter,
realizzazione di convegni e incontri-dibattito).
Nel tempo si è andata ad evidenziare una crescente attenzione dell’opinione pubblica nei
confronti del progetto, che ha portato anche a situazioni conflittuali probabilmente accentuate dall’enfasi data dai mass media locali.
Anche per questo motivo, per valutare a distanza di 6 anni l’attitudine della popolazione
residente, nel 2003 la Provincia Autonoma di Trento ha promosso una indagine demoscopica sull’intero territorio provinciale. Nello stesso periodo, il PNAB ha commissionato un
sondaggio per conoscere le opinioni in merito alla potenziale influenza degli orsi sull’affluenza dei turisti nella zona.
Entrambe le indagini hanno suggerito un grado di accettazione nei confronti dell’orso simile a quello emerso nel 1996. Nonostante le oggettive difficoltà di quantificazione del confronto tra le diverse ricerche, possono essere ipotizzati in via preliminare i punti di forza e i
difetti della strategia di comunicazione attuata negli ultimi 9 anni.
In sintesi, la principale indicazione emersa sembra essere la necessità di individuare per il
futuro delle più attente forme di valutazione delle attività di comunicazione messe in atto,
per trovare sempre più efficaci strategie di conservazione.
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LA HUMAN DIMENSION NELLA CONSERVAZIONE: INDAGINE
SULL’ATTITUDINE DEL MONDO VENATORIO NEI CONFRONTI
DEI GRANDI CARNIVORI IN TRENTINO
CARNEVALI L., GENOVESI P.
Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, via Cà Fornacetta 9, 40064 Ozzano Emilia (BO)
Tel.: 0516512228; Fax: 051796628, E-mail: [email protected]
Negli ultimi decenni le componenti socio-culturali e politiche della gestione ambientale
sono drasticamente cambiate e oggi le attività di pianificazione richiedono non solo la conoscenza biologica ed ecologica delle specie, ma anche quella delle attitudini del pubblico nei
confronti di queste e la loro conoscenza dei possibili approcci gestionali.
Questo è fondamentale nei confronti delle problematiche legate alla conservazione dei grandi carnivori, sempre più spesso riconducibili a ragioni di carattere socio-politico. Se da un
lato è riconosciuta da molti l’importanza della conservazione dei carnivori in quanto speciechiave della comunità, dall’altro è ancora forte l’opposizione della popolazione che vive più
a contatto con i selvatici e ancora vede i predatori come minaccia per il bestiame o come dei
competitori per la predazione di ungulati.
Queste considerazioni fanno da sfondo al presente studio, il cui scopo è quello di valutare
l’attitudine dei cacciatori, che sono un gruppo di interesse “critico” nelle strategie di conservazione della fauna, nei confronti di orso, lupo e lince, in Trentino che rappresenta un territorio chiave nelle dinamiche di espansione previste a breve-medio termine per tutte e 3 le
specie oggetto di studio.
L’indagine, realizzata nel 2003, ha interessato 14 distretti venatori dei 21 presenti sul territorio della provincia di Trento per un totale di 187 questionari.
I risultati mettono in luce l’attitudine complessivamente negativa dei cacciatori nei confronti
dei grandi carnivori (49% esprime un’opinione negativa contro il 22% positiva). Una differenza significativa (2 = 56,79, g.l = 8., p<0,001) si evidenzia però tra l’attitudine nei confronti dell’orso da una parte (36% di opinione positiva contro il 29% negativa) e di lupo e
lince dall’altra (rispettivamente 61% e 57% di opinioni negative contro il 13% e il 18% di
positive).
Come atteso, questa opinione trova il suo fondamento nella percezione dei carnivori come
minaccia. Nel caso dell’orso il peso maggiore è dato dalla percezione della specie come una
minaccia per il bestiame (89%), mentre nel caso del lupo e soprattutto della lince a pesare è
la convinzione che rappresentino una minaccia per la selvaggina (87% e 90% rispettivamente).
Per il grado di consenso del mondo venatorio alla politica di conservazione italiana, e in
generale europea, il 74% dei cacciatori si è dichiarato contrario ad un’espansione dei carnivori in Italia ritenendo troppo elevato un numero di 20 esemplari sull’intero arco alpino.
Basso è stato anche il consenso nei confronti della politica di conservazione, che attualmente prevede la totale protezione dei carnivori (il 13% dei cacciatori a favore). Solo una
parte evidenzia però una rigida posizione di rifiuto (23%), mentre la maggioranza abbraccia
delle posizioni più possibiliste, che rappresentano uno spiraglio importante nell’ottica di una
politica di concertazione delle strategie di conservazione tra tutti gruppi di interesse.
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PIANIFICAZIONE DELLE RICERCHE PER LA GESTIONE DEL
CINGHIALE IN PROVINCIA DI SPEZIA: 17 ANNI DI ESPERIENZE
E PRIME ANALISI SULL’USO DIFFERENZIALE DELL’HABITAT
PER SESSO E STRUTTURA FISICA
MACCHIO S.
Sezione Faunistica della Polizia Provinciale, Provincia di Spezia,, Area 9, via Vittorio
Veneto 2, 19100 La Spezia
Tel.: 3497538077; E-mail: [email protected]; [email protected]
Dal 1988 si è provveduto ad organizzare la raccolta di dati utili alla gestione del Cinghiale,
incontrando spesso ostacoli alla pianificazione delle ricerche. Con l’obiettivo di individuare relazioni tra habitat, sesso e struttura fisica degli animali è stato considerato l’uso percentuale del suolo (11 categorie) in 56 zone fisse di caccia (328 - 1878 ha) e le medie di:
peso pieno ed eviscerato, lunghezza totale (LT), circonferenza collo (CC), circonferenza
toracica (CT), altezza alla spalla (AS), distanza grifo-orecchio (GO), lunghezza piede posteriore (PP), lunghezza coda (C), lunghezza orecchio (O) dei 2038 capi abbattuti dal 19 ottobre al 24 dicembre 2003. Le zone sono state raggruppate sulla base del superamento o meno
della media delle singole misure. Sono stati adottati tre approcci: Analisi della Regressione
Logistica con le coperture percentuali dell’uso del suolo (ARL1), Analisi della Regressione
Logistica (ARL2) ed Analisi della Funzione Discriminante (AFD) con i fattori derivanti
dall’Analisi delle Componenti Principali dell’uso del suolo. Le misure che risultano significativamente correlate all’habitat sono LT, CC e PP per i maschi e LT, CC, CT, AS, C, peso
pieno per le femmine. I maschi con LT maggiore della media risultano più concentrati dove
maggiore è l’estensione di colture agricole miste, boschi misti, oliveti ed oliveti abbandonati; mentre quelli più corti risultano più concentrati dove sono più estesi i boschi di angiosperme mesofile, le praterie ed i prati sfalciabili (PARL1= 0,009, PARL2= 0,010, PAFD= 0,006).
I maschi con CC maggiore risultano più concentrati nei territori dove i boschi a conifere termofile sono più estesi, mentre quelli con taglia inferiore sono più concentrati dove i vigneti sono più estesi (PARL1= 0,036, PARL2= 0,054, PAFD= 0,046). Le femmine con peso pieno
(PARL1= 0,007, PARL2= 0,003, PAFD= 0,001), LT (PARL1= 0,006, PARL2= 0,018, PAFD= 0,013), CT
(PARL1= 0,004, PARL2= 0,003, PAFD= 0,001), AS (PARL1= 0,002, PARL2= 0,027, PAFD= 0,022), C
(PARL1= 0,007, PARL2= 0,007, PAFD= 0,004) superiori alla media sono più concentrate nei territori con maggiore estensione di oliveti, colture agricole miste, vigneti, boschi misti ed oliveti abbandonati; mentre quelle con valori inferiori si rinvengono soprattutto dove i boschi
di angiosperme mesofile, le praterie ed i prati sfalciabili occupano superfici maggiori. Stesso
risultato si ottiene con la CC (PARL2= 0,012, PAFD= 0,008), ma in più appaiono positivi per le
femmine di taglia superiore anche i boschi a conifere termofile (PARL1= 0,047).
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CONFRONTO TRA STATUS DI POPOLAZIONI DI CAPRIOLO
(CAPREOLUS CAPREOLUS) IN AREE SOGGETTE A PRELIEVO
SELETTIVO NELLE PROVINCE DI MODENA, REGGIO EMILIA
E PARMA
CAVENAGO C., GEREMIA R.
Dipartimento di Biologia Animale, Università degli Studi di Pavia, piazza Botta 9
27100 Pavia; E-mail: [email protected]; [email protected]
Il presente lavoro ha lo scopo di verificare l’influenza del prelievo venatorio selettivo sullo
status di alcune popolazioni di capriolo dell’Appennino settentrionale. A tal fine sono stati
analizzati i dati riguardanti i censimenti, i piani di prelievo e gli abbattimenti realizzati nelle
province di Parma, Reggio Emilia e Modena negli anni tra il 1996 e 2003, periodo per il
quale esiste una certa uniformità di copertura ed un numero significativo di dati. L’inizio
della caccia di selezione, anche all’interno di una stessa provincia, non è avvenuto contemporaneamente, ciò ha consentito un ulteriore confronto tra zone in cui si caccia con zone in
cui non si caccia.
L’analisi dei censimenti ha permesso di definire la tendenza e la struttura della popolazione
nel tempo: i risultati dell’ANOVA univariata sulle densità mostrano un incremento di popolazione significativo e sempre positivo, con valori compresi tra il 95% e il 109% e con un
tasso medio di crescita annuale intorno al 15%. Questa crescita è più marcata negli anni e
nelle zone in cui non si è cacciato, con un tasso di incremento medio annuo sempre superiore al 25%. Tale dato è confermato dall’analisi di regressione lineare con stima di curve
che è risultata significativa e con trend positivo per le tre province. Il test del 2 per Tavole
di Contingenza, nel totale degli anni, ha mostrato differenze statisticamente significative
evidenziando una predominanza di individui adulti con una sex ratio a favore delle femmine, questa situazione è stata riscontrata anche per gli anni e le zone di caccia. Considerando
solo gli anni e le zone di non caccia, la stessa analisi non ha evidenziato alcuna differenza
statisticamente significativa sulla struttura della popolazione, tranne per la Provincia di
Parma, dove la caccia è iniziata in alcune zone già dal 1996.
L’analisi univariata e il test del 2 sui piani di abbattimento realizzati e sulla percentuale del
successo del piano realizzato sui censiti mostrano un miglioramento non solo nella programmazione, con un numero di capi assegnati rispetto ai censiti maggiormente rispondente alla struttura di popolazione, ma anche nella realizzazione del piano stesso.
Il confronto tra i trend della densità di popolazione e gli indici di mortalità venatoria ha evidenziato i seguenti casi: la pressione venatoria è superiore all’incremento della popolazione, la pressione venatoria coincide con l’incremento della popolazione, la pressione venatoria è minore dell’incremento della popolazione.
In conclusione, è emerso quanto sia importante una corretta valutazione a priori dello stato
reale della consistenza e della struttura di popolazione per definire il piano di prelievo, e
quanto lo sia altrettanto una corretta applicazione del piano stesso.
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IL CERVO NEL PARCO NAZIONALE DELLO STELVIO E IN VAL DI
SOLE (TRENTO): SOLUZIONI GESTIONALI E RICERCA APPLICATA
PEDROTTI L.1, ANGELI F.2, BRUGNOLI A.3, LUCHESA L.3
1
Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio - Settore trentino, via Roma 65, 38024
Cogolo di Peio (TN); Tel. 0463 746121; Fax 0463 746090; E-mail: [email protected]
2
Provincia Autonoma di Trento - Servizio Foreste e Fauna - Ufficio Distrettuale Forestale
di Malé (TN); E-mail: [email protected]
3
Associazione Cacciatori Trentini, via Guardini 41, 38100 Trento, E-mail: [email protected]
Nel 1997 il Parco Nazionale dello Stelvio ha attivato un programma di ricerca e gestione del
cervo in relazione all’elevato impatto sulla rinnovazione forestale. Il piano ha definito l’unità di gestione “Val di Sole”, comprendente il settore trentino del Parco (177 Km2) e le
restanti porzioni dei Distretti faunistici della Val di Sole (546 Km2).
Il Parco include solo il 10% dei circa 110 Kmq delle aree di svernamento considerate; si è
quindi puntato a stabilizzare la popolazione attraverso un graduale incremento dei prelievi,
nell’ipotesi che essi incidano in modo significativo sulla parte di popolazione che trascorre
l’estate nel Parco e d’inverno si sposta a quote più basse. Il piano di gestione ha approfondito alcuni aspetti dell’ecologia e della demografia della popolazione, con particolare riguardo alla sua valutazione quantitativa e alla ricostruzione delle sue dinamiche. La sottostima
dei censimenti è stata determinata attraverso il mark-resight (37% nel 2004-05). Sono stati
inoltre applicati differenti metodi per la valutazione delle consistenze. Dal 1993 al 2000 i
prelievi sono progressivamente aumentati da 285 a 703. Nel 2000 la popolazione ha raggiunto la sua massima consistenza primaverile stimata in 3.050 soggetti (6,7 cervi/Km2 di
habitat occupato, con valori superiori ai 15 cervi/Km2 nel Parco). Tra il 2001 e il 2005 la
popolazione, fluttuando tra 2550 e 2950 capi, è rimasta pressoché costante. L’analisi dei prelievi, in relazione alla consistenza della popolazione (tasso medio di prelievo 2001-2004,
0,18 ± 0,02) indica come la stabilizzazione sia legata al sensibile aumento della mortalità
naturale, soprattutto all’interno del Parco, per fenomeni dipendenti dalla densità.
Dall’osservazione del comportamento migratorio della popolazione emerge come il 42%
delle femmine monitorate (n=21) abbia compiuto spostamenti, ma su distanze estremamente ridotte (6,8 km ± 2,9), il 58% di esse si è mosso esclusivamente all’interno dell’area protetta. La sostanziale stabilità della popolazione nell’ultimo quinquennio maschera tendenze
differenziate fra interno ed esterno del PNS. Dal 2001 al 2005 la popolazione censita nel
Parco è passata da 623 a 1072 soggetti (tasso istantaneo di crescita 0,11), mentre all’esterno è diminuita da 996 a 757 capi (tasso istantaneo di crescita -0,06). L’aumento dei prelievi, realizzati solo all’esterno del PNS, ha accentuato l’effetto rifugio dell’area protetta,
creando elevate concentrazioni e un notevole gradiente nelle densità. Conseguentemente i
piani di prelievo, tarati sull’intera popolazione, hanno indotto un calo delle consistenze nelle
aree soggette ad attività venatoria. Diverse ipotesi, inerenti l’opportunità del controllo della
popolazione all’interno del Parco e della creazione di aree di tranquillità permanenti all’esterno, sono discusse relativamente alle future strategie di gestione volte ad una distribuzione della popolazione maggiormente omogenea sull’intera unità di gestione.
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V Congr. It. Teriologia
ANALISI DEI CONTEGGI DI PALLOTTOLE FECALI DI CONIGLIO
SELVATICO, ORYCTOLAGUS CUNICULUS, NELL’ISOLA DI USTICA
(SICILIA)
LO VALVO M.1, LA SCALA A.2, DI PIAZZA L.3, SCALISI M.4
1
Dipartimento di Biologia Animale, via Archirafi 18, 90123 Palermo
E-mail: [email protected]
2
via Benedetto Croce 16, 90135 Palermo
3
via della Repubblica 75, 90046 Monreale (PA)
4
I.E.Zo.A., via M. Scoto 2, 90135 Palermo
In questo contributo vengono riportati i risultati ottenuti con l’analisi dei conteggi delle pallottole fecali relativi alla popolazione di Coniglio selvatico dell’Isola di Ustica (Palermo),
sia nell’area soggetta a prelievo venatorio che nell’area protetta di riserva naturale. Tra
marzo 2002 e gennaio 2004, ogni 5-7 settimane, è stato effettuato il conteggio e la rimozione delle pallottole fecali in 92 aree campione di 1 mq ciscuna e per un totale di 15 campagne di campionamento. Le stime di densità cunicola sono state calcolate utilizzando l’algoritmo di Eberhardt e Van Etten. Con un calibro digitale sono stati misurati l’altezza e i diametri di alcune pallottole fecali al fine di derivare indicazioni sull’età dei soggetti presenti.
Dall’analisi dei valori di densità ottenuti sono stati osservati trends con fluttuazioni pressoché costanti e con andamento periodico, ma con una differenza tra l’area protetta e l’area
fuori riserva. Nella prima (204 ha) il trend di densità ha mostrato due picchi massimi in corrispondenza del giugno 2002 e marzo 2003, con rispettivamente 22 e 23 conigli/ha, e due
picchi minimi registrati nel novembre 2002 e 2003, con rispettivamente 2 e 3 conigli/ha.
Nell’area soggetta a prelievo venatorio (665 ha) sono stati osservati un picco massimo nel
marzo 2003, con circa 43 conigli/ha, e due picchi minimi in corrispondenza di novembre
2002 e ottobre 2003, con rispettivamente 7 e 6 conigli/ha. Tenendo conto delle stime di densità e delle superfici è stato possibile risalire ad una stima numerica dell’intera popolazione
di Coniglio selvatico ad Ustica. Nell’area di riserva il numero di individui è risultato oscillare tra 400 e 4.900 individui circa, mentre nell’area soggetta a prelievo venatorio tra 4.000
e 28.600 individui circa. Se si considera che dall’analisi dei tesserini venatori il numero di
conigli abbattuti ad Ustica è trascurabile e che durante tutto il periodo del nostro campionamento non si sono verificate epidemie né di mixomatosi né di epatite emorragica, è presumibile che l’elevato tasso di mortalità sia dovuto alla disponibilità di cibo e di acqua, che
rappresenterebbero pertanto gli unici fattori limitanti per la popolazione di Coniglio selvatico ad Ustica. Dall’analisi delle dimensioni medie delle pallottole fecali sono emerse
dimensioni maggiori nell’area fuori dalla riserva naturale piuttosto che all’interno dell’area
protetta. E’ probabile pertanto che la seconda area, caratterizzata soprattutto da un ambiente a pineta, rappresenti una “area rifugio” per tutti quegli individui, in maggioranza giovani, con scarsa fitness.
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IL MONITORAGGIO DELLO STATO DI CONSERVAZIONE DEI
CHIROTTERI IN ALLEGATO II DIRETTIVA 92/43/CEE IN PIEMONTE
E VALLE D’AOSTA
DEBERNARDI P., PATRIARCA E., TOFFOLI R.
Stazione Teriologica Piemontese, S.Te.P. c/o Museo Civico Storia Naturale c.p. 89
10022 Carmagnola (TO); E-mail: [email protected]
Il DPR 357/1997, modificato e integrato dal DPR120/2003, dispone il monitoraggio dello
stato di conservazione delle specie di interesse comunitario, fra le quali tutti i chirotteri
europei. Il regolare censimento delle principali colonie riproduttive e svernanti costituisce
attualmente, per molte specie di chirotteri, l’unico metodo per monitorarne lo stato di conservazione.
In ottemperanza alla normativa, le Regioni Piemonte e Valle d’Aosta, rispettivamente nel
2004 e nel 2005, hanno dato avvio a un programma di monitoraggio chirotterologico, attualmente relativo a 27 siti, selezionati dalla banca dati dei roost di chirotteri in quanto: roost di
particolare interesse conservazionistico nazionale (criteri proposti nelle Linee Guida sul
monitoraggio dei chirotteri Ministero Ambiente-INFS-GIRC) e/o roost riproduttivi di specie in allegato B e/o roost di svernamento con almeno 10 esemplari di specie in allegato B.
I censimenti degli esemplari ibernanti vengono effettuati direttamente a vista o (gruppi
aggregati) da foto. Per minimizzare il disturbo si effettua un solo rilevamento per sito, dal
15 dicembre al 15 febbraio, preferibilmente in gennaio.
Il censimento delle colonie riproduttive è finalizzato al rilevamento del numero degli esemplari adulti/subadulti, ossia con l’esclusione dei piccoli dell’anno. Vengono condotti mediamente 2 conteggi per sito, in periodo perinatale, basati su videoriprese (con termocamera o
telecamere ad alta sensibilità abbinate a fonte di luce infrarossa) degli esemplari in uscita
serale dal roost, e sul conteggio visivo diretto e/o da foto degli esemplari eventualmente
rimasti nel roost al termine della fase di sciamatura. Ove tale procedura non è praticabile,
ad esempio per problemi di accessibilità serale, si effettua il conteggio da foto scattate nel
roost nelle ore diurne o (colonie con meno di 15 esemplari) direttamente a vista nel roost
nelle ore diurne.
Sono stati acquisiti gli eventuali dati pregressi rilevati secondo la stessa metodologia e per
9 dei siti considerati si dispone di serie continuative di dati di almeno 5 anni (massimo 14
anni).
Sulla base dei risultati dei censimenti, dei dati distribuzionali storici e attuali e delle informazioni circa il disturbo alle colonie, viene discusso lo stato di conservazione locale delle
specie in allegato B. Le conclusioni, parziali, evidenziano la complessità della procedura di
valutazione dello status per specie tradizionalmente poco studiate come i chirotteri.
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LA DISSEMINAZIONE DEI RISULTATI NELLA RICERCA
SCIENTIFICA: STRATEGIE INNOVATIVE PER LA PROMOZIONE
DEGLI STUDI TERIOLOGICI
MARTINOLI A.1, PREATONI D.1, BEZZI A.2, MORNATI S.3
1
Dipartimento Ambiente-Salute-Sicurezza, Università degli Studi dell’Insubria, Varese
2
Sistema Bibliotecario di Ateneo, Università degli Studi dell’Insubria, Varese
3
Consorzio Interuniversitario Lombardo per L’Elaborazione Automatica (CILEA)
Sebbene non sia facile dare una definizione di “ricerca scientifica” univoca e condivisa, è
possibile darne una definizione operativa, individuando le fasi portanti del processo: l’ideazione (il cosiddetto disegno sperimentale), il suo svolgimento, la deduzione possibile e, di
non secondaria importanza, la diffusione come risultato, seppur spesso temporaneo, di questo iter.
La teriologia è quindi da considerarsi un processo di produzione di conoscenza scientifica,
anche se in un settore non “strategico”, o comunque con una ridotta percezione da parte dei
non “addetti ai lavori”.
Quindi è da sottolineare il ruolo cruciale che assume una efficace capacità di disseminazione dei prodotti della ricerca teriologica, soprattutto nel contesto della attuale “crisi della
comunicazione scientifica” ove si individuano aspetti legati alle nuove modalità di conduzione della ricerca (capacità e tecnologia computazionale, di rete, della produzione di dati
digitali ecc): i grandi cambiamenti nel modus operandi proprio della ricerca scientifica
richiedono cambiamenti corrispondenti nelle modalità di comunicazione.
La situazione si aggrava se si fa riferimento all’attuale monopolio del processo di diffusione dei prodotti della ricerca, esercitato da multinazionali private, fenomeno che spesso risulta essere uno dei freni alla distribuzione massiva dei risultati.
Infatti è possibile identificare un “circolo vizioso” per cui gli autori (spesso finanziati con
risorse pubbliche) cedono in toto i diritti sulla pubblicazione a editori (privati) che, operando in monopolio (specialmente nei settori scientifico, tecnologico e medico), impongono
prezzi sempre più alti alle biblioteche degli Enti di ricerca (pubblici). Questo avviene peraltro in una congiuntura economica nella quale i bilanci delle biblioteche sono in contrazione
e, se occorre operare un contenimento della spesa, le riviste che trattano argomenti di minor
rilevanza vengono frequentemente dismesse, con grave danno per la diffusione delle conoscenze nel settore.
In questo contesto si pone l’Open Access Initiative, soluzione innovativa volta all’aumento
della disseminazione dei risultati della ricerca e alla riduzione dei costi, attraverso strategie
complementari. Un risultato interessante è il confronto tra la diffusione della rivista Hystrix
– The Italian Journal of Mammalogy in formato cartaceo e digitale (Portable Document
Format), accessibile sul sito www.italian-journal-of-mammalogy.it: 300 spedizioni circa
riservate ai Soci oltre agli scambi con altre associazioni o Enti editori di riviste del settore
(per cui è impossibile definire il numero di lettori), contro oltre 5000 contatti rilevati sul
web, con presumibili ricadute di citazioni nell’immediato futuro.
Pur non limitando, ovviamente, la dialettica teriologica nazionale esclusivamente all’ambito di questa rivista, gli autori incentivano i teriologi italiani a privilegiare la disseminazione
dei prodotti della ricerca attraverso il progetto Open Access.
124
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
PIANIFICAZIONE, GESTIONE E RICERCA FAUNISTICA:
LA STRATEGIA DEL PARCO NAZIONALE DELLE FORESTE
CASENTINESI NEL CASO DEL CONTROLLO DEL CINGHIALE
GRIGIONI J.1, GENNAI A.2, D’AMICO C.3
1
Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, via Brocchi 7, 52015 Pratovecchio (AR)
Tel. 057550301; Fax 0575504497; E-mail: [email protected]
2
Servizio Pianificazione e Gestione delle Risorse del Parco Nazionale delle Foreste
Casentinesi, via Brocchi 7, 52015 Pratovecchio (AR); Tel. 0575503030
Fax 0575504497; E-mail: [email protected]
3
CTA del Corpo Forestale dello Stato, via Brocchi 7, 52015 Pratovecchio (AR)
Tel. 0575503024; E-mail: [email protected]
I Parchi Nazionali italiani, scrigno del tesoro faunistico nazionale, costituiscono oramai un
vero e proprio sistema all’interno del quale viene svolta una cospicua attività di gestione e
ricerca in campo faunistico. Molto spesso però le attività di ricerca, possibili grazie a speciali finanziamenti, si alternano a fasi di assoluto abbandono di interi settori d’indagine, con
una gravissima perdita nella produzione di dati. Anche molte attività di gestione, quale ad
esempio il controllo delle specie in sovrannumero, vengono svolte sulla spinta di emergenze per poi essere prontamente cessate senza dar luogo a programmi gestionali e di monitoraggio adeguatamente strutturati e continuati.
Il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, nell’ambito di un progetto di sistema tra i
Parchi Nazionali italiani, ha lavorato e sta lavorando alla gestione del cinghiale con l’obiettivo di costruire un modello, sia di gestione che di ricerca, basato su uno sforzo sostenibile
nel lungo periodo. Tale attività, garantita nel tempo dalle risorse economiche ed umane stabilmente a disposizione dell’Ente, andrà a costituire il substrato su cui poter sviluppare
ricerche più approfondite da parte di soggetti esterni e permetterà in ogni caso di ottenere
nel lungo periodo dati certi e significativi anche ai fini gestionali e pianificatori.
Si descrivono dunque le strategie, i metodi e i primi risultati del programma di controllo del
cinghiale attivato a partire dal 2003 dal Parco Nazionale. Tali aspetti vengono descritti con
particolare attenzione all’utilizzo delle fasi gestionali anche a fini di ricerca, secondo un
meccanismo di feedback ciclico, ed all’interno di un approccio di azione sul cinghiale come
componente di un sistema più complesso.
125
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
THE ELEPHANTS OF TARANGIRE (TANZANIA): USE OF HABITAT
AND AGGREGATION PATTERN DURING THE RAINING SEASON
BASSIGNANI F.1, DOGÀ S.1, BARONI P.2, CARLONI E.1, POLCE C.2, TOSI G.2
1
Dipartimento di Biologia Evolutiva e Funzionale, Università di Parma,
viale delle Scienze 43100 Parma
2
Università dell’Insubria, Dipartimento di Ambiente Salute e Sicurezza,
via J.H. Dunant 3, 21100 Varese
This study focuses on the elephants living in the northern Tarangire N.P. and in the Manyara
ranch. Data were collected by means of road transects during rainy season 2002 (Jan.-May)
in order to understand habitat use and grouping patterns. Fifteen habitat types were identified and 312 records on 2,587 spotted individuals were collected along 1,187 km transect.
The mean group size was 8.3 (SD: ± 8,6; range: 1-55); the most frequent group size was 1
(20% of spotted individuals ). In each habitat type elephants’ and tsetse flies’ densities were
measured by the Kilometric Abundance Index (KAI), and the Habitat Selection Index (HIS
= index of habitat use/index of habitat available) was calculated for elephants. Elephants’
KAI was highly predictive of the HIS. Habitats dominated (or co-dominated) by Acacia tortilis were positively selected by elephants. Habitats where Commiphora and Markhamia
were co-dominant with A. tortilis were strongly preferred, whereas open grassland and habitats dominated by Combretum were strongly avoided. In the study area the elephant density
showed a significant positive correlation with the estimated proportion of A. tortilis in the
habitat, whereas a significant negative correlation was found between elephant density and
the proportion of Combretum and/or of swamp in the habitat. Significantly positive correlations were found both between the proportion of Combretum and the proportion of swamp
in the habitat and the tsetse flies density; whereas a significantly negative correlation was
found between elephants’s and tsetse flies densities. The implications of these results on the
ecology and management of savannah elephants and consequently on the management of
large protected areas in Africa are discussed.
126
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005):
V Congr. It. Teriologia
MOBILITÀ E HOME RANGE DEL CERVO NEL PARCO NAZIONALE
DELLO STELVIO E IN VAL DI SOLE (TRENTO)
LUCHESA L.1, PEDROTTI L.2, CALLOVI I.1, ZANINETTI M.3, BRAGALANTI
N.1, LUCHETTI S.1, PERROTTA I.1, TOMMASINI M.1
1
Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio – Settore trentino, via Roma 65, 38024
Cogolo di Peio (TN); Tel. 0463.746121; Fax 0463.746090; E-mail: [email protected]
2
Associazione Cacciatori della Provincia di Trento; E-mail: [email protected]
3
Istituto Oikos ONLUS, via Crescenzago 1, 20134 Milano; Tel. 02.21597581
Fax 02.21598963; E-mail: [email protected]
Obiettivo dello studio è la comprensione delle dinamiche di utilizzo dello spazio della popolazione di cervi della Val di Sole in relazione alla presenza di un’area protetta e la verifica
dell’ipotesi che ci sia totale continuità tra i nuclei di cervi del Parco Nazionale dello Stelvio
e quelli delle aree esterne soggette a prelievo venatorio. Il lavoro è svolto mediante radiotracking in un’area situata nel Trentino nord-occidentale, ai confini con la Lombardia e il
Sudtirolo e comprende il settore trentino del PNS (177 Km2) e le restanti porzioni del comprensorio della VS (546 Km2). L’attività di cattura si è svolta tra il 2003 e il 2005 mediante
5 trappole. Le catture con trappole sono risultate selettive rispetto al sesso e poco efficienti
nelle zone esterne al parco. Per ovviare a questo problema, sono state effettuate catture
mediante telenarcosi in free-ranging, con l’obiettivo di marcare maschi adulti.
Complessivamente sono stati catturati 26 cervi nell’inverno 2002-2003 (di cui 18 muniti di
radiocollare) e 22 cervi nell’inverno 2003-2004 (di cui 16 muniti di radiocollare) con le trappole, mentre 7 sono stati catturati in free-ranging, tutti marcati con radiocollare.
Complessivamente sono stati catturati 59 cervi (26 maschi e 33 femmine) e 41 di essi sono
stati marcati; 12 di questi sono morti (in 2-22 mesi). Il monitoraggio prevede 12 localizzazioni/mese per animale; l’attività è stata concentrata alla sola fase diurna. Gli home-range
sono stati valutati con il MCP al 95%. Lo studio ha confermato l’esistenza di due principali strategie di uso dello spazio. Tra i cervi che presentano un comportamento migratorio e
stanziale si collocano i cervi con comportamento di tipo intermedio, con areali stagionali
separati, ma contigui nello spazio. Le tre tipologie di comportamento sono più marcate per
le femmine: il 43% di esse (n = 21) ha mostrato un comportamento migratorio, il 29% un
comportamento intermedio e il restante 29% un comportamento stanziale. Non è stata evidenziata alcuna relazione tra la strategia di uso dello spazio e l’età, mentre è stata verificata una totale fedeltà ai siti di svernamento in anni diversi. La distanza tra i siti di estivazione e svernamento passa dai 1588 m (±807,9) per le stanziali agli 8655 m (±3.877,1) per le
migratrici, e 2004 m (±394,0) per le migratrici intermedie. Le date di migrazione delle femmine verso i siti di estivazione sono comprese tra il 24 aprile e il 6 maggio, mentre le partenze per le aree di svernamento sono comprese tra il 22 settembre e il 22 dicembre.
Un’analisi preliminare del comportamento spaziale dei maschi evidenzia una tendenza a
muoversi su superfici maggiori, con una minore evidenza di comportamenti tradizionali,
tranne che per il periodo riproduttivo.
Lo studio ha confermato i pattern di comportamento spaziale evidenziati da altri lavori ed
evidenzia come non sia complessivamente possibile considerare i cervi del PNS e quelli
della Val di Sole come unità distinte e separate.
127
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005):
V Congr. It. Teriologia
IL MONITORAGGIO DEL CAPRIOLO NELLA RISERVA NATURALE
MONTE RUFENO
BELLAVITA M., PAPI R.
Riserva Naturale Monte Rufeno, Piazza G. Fabrizio 17, 01021 Acquapendente (VT)
Tel.: 0763733442; Fax 0763730223; E-mail: [email protected]
Il capriolo, estinto nella provincia di Viterbo nella prima metà del secolo scorso, ha ricominciato a popolare i boschi della Riserva Naturale Monte Rufeno (2889 ha), provenendo
dalla confinante Toscana, a partire dai primi anni ottanta. Nel 1983 sono iniziati i primi sporadici avvistamenti documentati e nel 1997 si stimava una popolazione minima di 40 esemplari.
Vista l’aumentata frequenza degli avvistamenti, la Riserva ha deciso di avviare un programma di monitoraggio della popolazione di capriolo che è iniziato nel 2002.
Il metodo di censimento prescelto è stato quello in battuta su aree campione, un metodo utilizzato anche in altre località dell’Italia centrale. Sono state individuate due aree boscate nel
settore settentrionale della Riserva.
Le aree di battuta, con superficie complessiva di 107 ha, sono due querceti misti, rappresentativi dei boschi che ricoprono la Riserva, a quote tra 530 e 755 m s.l.m.: un ceduo invecchiato e un recente avviamento ad alto fusto.
I risultati dei censimenti, nei quattro anni esaminati, mostrano una popolazione in forte crescita che nel 2005 ha raggiunto la densità di 21,5 capi/100 ha, dato che fa ipotizzare una
popolazione complessiva di circa 500 capi.
La dinamica della popolazione nella Riserva Monte Rufeno conferma il quadro generale
d’espansione della specie in atto in Italia centrale nel corso dell’ultimo decennio.
Soltanto la ripetizione per alcuni anni del censimento potrà consentire di avere una serie storica e fornire, di conseguenza, indicazioni utili alla gestione faunistica raccogliendo dati su
consistenza e dinamica della popolazione di capriolo nell’intera Riserva. Questo tipo di attività ha una duplice valenza: oltre all’attività di ricerca applicata alla gestione c’è uno scopo
didattico e di coinvolgimento nelle attività della Riserva di vari soggetti pubblici e privati
presenti nel territorio tra cui, ricordiamo, le aree protette del Lazio, la Provincia di Viterbo,
il Corpo Forestale dello Stato, ricercatori e studenti delle Università di Viterbo, Perugia e
Roma, le associazioni venatorie, le squadre di caccia al cinghiale di Acquapendente ed altri
volontari.
Nell’ambito del progetto di monitoraggio, la Riserva in collaborazione con l’Istituto
Nazionale per la Fauna Selvatica ha avviato nel febbraio 2005 uno studio sulla biologia del
capriolo tramite telemetria, ed un esame genetico sulla popolazione presente.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
PROPOSTE OPERATIVE PER LA CONSERVAZIONE DELLA
POPOLAZIONE DI SCOIATTOLO SCIURUS VULGARIS NEL PARCO
DELLO STIRONE
MALAVASI D.1, TRALONGO S.2, BONIZZONI A.2
1
2
Studio ECO-AUDIT, via Pace 14, 41033 Concordia s/S (MO)
Parco Fluviale Regionale dello Stirone, via Loschi 5, 43039 Salsomaggiore Terme (PR)
Le ricerche sullo Scoiattolo Sciurus vulgaris nel Parco Fluviale Regionale dello Stirone,
effettuate durante il triennio 2001-2004, hanno evidenziato la presenza di una popolazione
distribuita in maniera molto frammentaria all’interno dell’area protetta; la sopravvivenza
stessa della specie nel territorio considerato potrebbe essere a rischio nel medio periodo,
dunque è opportuno individuare interventi specifici finalizzati alla sua conservazione.
Nel 2004 lo studio è stato compiuto su alcune centinaia di ettari del territorio del parco utilizzando principalmente il metodo del censimento dei nidi durante i mesi invernali, in quanto il numero dei nidi invernali è un indice fondamentale per comprendere aspetti importanti della biologia dello Scoiattolo, quali le differenze nella densità di popolazione fra habitat
diversi e fra anni diversi.
Sono stati censiti 51 nidi, un numero inferiore rispetto alle attese, anche perché le avversità
meteorologiche, ed in particolare le abbondanti nevicate dell’inverno 2003-2004, hanno
distrutto una certa percentuale di nidi, in particolare quelli più esposti, localizzati ai margini delle aree boscate.
Caratteristiche dei nidi: specie arboree: 64,16% Pioppo nero; 15,10% Robinia; 11,32%
Farnia; 5,66% Pioppo bianco; 3,76% altre latifoglie; altezza media dei nidi: 10,60 m; ubicazione del nido sulla pianta: 41,5% biforcazione secondaria; 43,0% chioma; 24,5% biforcazione principale.
Utilizzando la formula di Wauters e Dhondt (1990), è stato ottenuto il valore della densità
di scoiattoli per ettaro, che, per l’area considerata, è pari a 0,05, valore che risulta molto
inferiore a quello riscontrato nel 2002, che si riferiva ad aree meno estese (valori oscillanti
fra 0,17 e 1,02), anche se paragonabile a quelli ottenuti in altri studi effettuati nell’Italia settentrionale ed in Europa.
Considerando i valori ottenuti nello studio ed alcuni parametri biologici ed ecologici della
specie desunti dalla bibliografia, sono state costruite alcune tavole demografiche che permettono di affermare che una popolazione di circa 20-25 individui nell’area esaminata (ipotesi minima), con un tasso riproduttivo abbastanza basso, pari a 0,30, che nel giro di qualche anno potrebbe avere un incremento, a prescindere da mutamenti stocastici imprevedibili, purtroppo sempre presenti, senza tuttavia affrancarsi dalla continua minaccia dell’estinzione locale.
Pertanto gli interventi di riqualificazione ambientale e territoriale dovranno privilegiare
alcune aree, come la vallecola del Rio Gardello, attualmente all’esterno del confine del
Parco, ma molto importante come source area per le zone comprese fra Laurano e Fidenza,
tutelare le aree a maggiore densità di scoiattoli come la zona di San Nicomede e la Bocca
presso Scipione, ed incrementare la rete ecologica, attraverso la creazione di corridoi biologici costituiti da siepi plurispecifiche e filari alberati, con specie trofiche per lo Scoiattolo,
come le querce, il Noce e il Nocciolo nelle aree verso Fidenza.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
CHIROTTERI DEL SISTEMA CARSICO DEL PARCO REGIONALE
GOLA DELLA ROSSA E DI FRASASSI (ANCONA)
BARILI A.1, BURATTINI R.2, CORVETTI S. 1, D’ALLESTRO V.1, FUSCO G.2,
PIVOTTI I.1, RONCA F.1, VERGARI S.3
1
Centro di Ateneo per i Musei Scientifici dell’Università degli Studi di Perugia, via Borgo
XX Giugno 1, 06100 Perugia; E-mail: [email protected]
2
Parco Regionale Gola della Rossa e di Frasassi, Serra San Quirico, Ancona
3
coll. est. Museo di Zoologia “La Specola” Università di Firenze, via Romana 17, 50125
Firenze; E-mail: [email protected]
Il Parco Regionale Gola della Rossa e Frasassi racchiude uno dei più importanti, e noti,
complessi carsici italiani. Le conoscenze faunistiche relative ai Chirotteri sono, invece, particolarmente limitate e lacunose se comparate alla grande abbondanza delle colonie presenti. Proprio per l’area di Frasassi vari anni fa è stato pubblicato un piccolo contributo sulla
grotta Beata Vergine nel quale sono riportate 5 specie (Bassi e Fabbri, 1986-87). Purtroppo,
sul citato lavoro, sono riportate poche informazioni relative alle abbondanze delle varie specie. In questo lavoro biennale abbiamo puntato la nostra attenzione sull’aggiornamento dei
dati faunistici, sulla valutazione delle abbondanze e, infine, alla caratterizzazione sia estiva
sia invernale dei vari complessi carsici. Si è quindi proceduto a visitare, durante il giorno,
tutti i potenziali rifugi, mentre durante la notte si sono effettuate catture con mistnet, posizionate dove gli animali passano nei loro spostamenti dai rifugi alle aree di foraggiamento.
Inoltre, per integrare le conoscenze sulla chirotterofauna del parco, sono stati compiuti rilievi all’interno di edifici interamente o parzialmente abbandonati.
Per ogni esemplare catturato è stata compilata una scheda su cui sono stati riportati i principali parametri biometrici e fisiologici: sesso, status riproduttivo (femmina gravida, allattante ecc.) lunghezza avambraccio, peso, presenza di parassiti, usura dei denti.
Come primo risultato sono state identificate 10 specie che utilizzano gli ambienti ipogei
durante vari periodi dell’anno, di cui 3 (Myotis blythii, M. capaccinii e Eptesicus serotinus),
in base alle più recenti monografie, sono risultate mai segnalate per la regione Marche.
Sono state caratterizzate le varie colonie con particolare riferimento alla fase del ciclo biologico. Quattro importanti complessi ipogei (Grotta dell’Infinito, Grotta del Fiume, Grotta
del Vernino e Grotta della Beata Vergine di Frasassi) sono utilizzati da notevoli colonie
riproduttive di Miniopterus schreibersii, Myotis blythii, M. myotis, Rhinolophus euryale e R.
ferrumequinum.
130
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
INTERVENTI PER LA CONSERVAZIONE DI UNA COLONIA DI
MYOTIS EMARGINATUS NELLA RISERVA NATURALE "PONTE
BURIANO E PENNA" IN PROVINCIA DI AREZZO
1
2
GUSMEROLI E ., AGNELLI P. , GUAITA C.
2
1
2
Provincia di Arezzo U.O. Protezione della Natura, Parchi e Riserve Naturali
Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze, Sezione di Zoologia “La Specola”
via Romana 17, 50125 Firenze
Un progetto organico per la tutela della biodiversità e la realizzazione di una rete ecologica
nel territorio aretino, ha inizio nel 1994 con la redazione, da parte della Provincia di Arezzo,
della Carta del Rispetto della Natura, che ha acquisito ed organizzato le conoscenze naturalistiche a livello provinciale, con particolare riferimento agli habitat (aree di pregio naturalistico), alle specie animali e vegetali (lista di attenzione) e alle aree umide diverse dai corsi
d’acqua. Ciò ha permesso di definire la distribuzione delle specie della lista di attenzione
provinciale e degli habitat esposti a rischi di degrado o scomparsa e le relative misure di
conservazione. Per alcuni ambiti di particolare pregio naturalistico, quali le Riserve Naturali
gestite dalla Provincia di Arezzo, sono state attivate diverse ricerche scientifiche per il monitoraggio delle emergenze naturalistiche presenti. Per quanto attiene i mammiferi di medie e
piccole dimensioni le indagini sono state svolte dagli zoologi de “La Specola” del Museo di
Storia Naturale dell’Università di Firenze, che hanno evidenziato la presenza di molte specie di interesse conservazionistico. Tra queste citiamo Mustela putorius, Neomys anomalus
e numerose specie di Chirotteri (Rhinolophus ferrumequinum, R .hipposideros, Pipistrellus
pipistrellus, P. kuhlii, Hypsugo savii, Eptesicus serotinus, Myotis emarginatus, M.capaccinii, Plecotus austriacus).
In particolare all’interno della Riserva Naturale "Ponte Buriano e Penna", in una casa colonica in stato di abbandono, è stata studiata e monitorata una colonia riproduttiva di M. emarginatus composta da circa 250 femmine, che ogni stagione danno alla luce oltre 100 piccoli, e che rappresenta una delle più grandi colonie di questa specie conosciute in Italia. A partire dall’anno in corso sono state attivate adeguate misure per la sua conservazione, che ha
visto tra l’altro il coinvolgimento della Provincia di Arezzo, dei ricercatori de “La Specola”
e dei proprietari dell’immobile. Si sono così potuti effettuare gli interventi di consolidamento della struttura muraria e del tetto, la realizzazione di una recinzione perimetrale e la
stipula di una convenzione con i proprietari della casa colonica per la destinazione d’uso
dell’immobile, per i prossimi cinque anni, esclusivamente per attività di ricerca scientifica.
Periodicamente viene effettuato un conteggio esatto degli esemplari mediante videocamera
e una web-cam opportunamente posizionata verrà utilizzata a scopi scientifici e divulgativi.
L’intero progetto è inserito all’interno dei programmi di divulgazione ed educazione
ambientale della Riserva Naturale e nelle iniziative per la tutela della biodiversità a livello
provinciale.
131
TEMI VARI
132
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
STIMA DELL’IMPATTO DEL BRACCONAGGIO SU UNA
POPOLAZIONE DI CAPRIOLO (CAPREOLUS CAPREOLUS)
ATTRAVERSO L’ANALISI DELLE COORTI
CAPITANI C.1, MATTIOLI L.2
1
Dipartimento di Zoologia e Antropologia biologica, Università di Sassari, via F. Muroni
25, 07100 Sassari; Tel.: 079228667; Fax: 079228665; E-mail: [email protected]
2
Provincia di Arezzo, Ufficio Piano Faunistico, piazza Liberta’ 3, 52100 Arezzo
In questo studio l’analisi delle coorti è stata utilizzata per ottenere una stima dell’impatto del
bracconaggio su una popolazione di Capriolo (Capreolus capreolus) della Provincia di
Arezzo. La consistenza delle popolazioni iniziali in sei distretti caccia è stata stimata con il
metodo delle battute campione, effettuate nella primavera del 1995, 1996, 1997 e 1998.
Successivamente la proporzione di individui di un anno d’età è stata calcolata attraverso i
dati ottenuti dalle osservazioni effettuate nel marzo precedente. Per ricostruire la dinamica
delle coorti fino al 2004, per ciascun anno sono stati considerati: 1) il numero di animali prelevati legalmente che appartenevano alle coorti analizzate; 2) l’impatto della predazione da
parte del Lupo (Canis lupus), stimata sulla base dei dati della dieta ottenuti localmente; 3)
l’impatto della mortalità naturale e degli incidenti stradali. Inoltre abbiamo calcolato il
numero di individui appartenenti alle coorti analizzate e sopravvissuti fino al 2004, moltiplicando la consistenza stimata nel 2004 per la proporzione d’individui di età superiore a 9,
8, 7 e 6 anni rispettivamente, derivata dai dati di abbattimento. I fenomeni di migrazione e
immigrazione sono stati considerati probabili in uguale misura. Quindi abbiamo creato una
matrice in cui erano rimossi gli individui morti per cause note ciascun anno, a partire dalla
consistenza iniziale stimata per ciascuna popolazione e quindi iterando il procedimento per
tutti gli anni di analisi. Nella matrice di calcolo è stato incluso un ulteriore fattore di mortalità non spiegata, tale che il numero di sopravvissuti finali risultanti dal modello fosse uguale a quello stimato. La mortalità non spiegata è stata considerata come una stima del prelievo illegale. I risultati indicano un tasso di bracconaggio molto simile al prelievo legale, e in
generale una maggiore incidenza sulla popolazione dei fattori di mortalità legati all’attività
umana.
133
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
EFFETTI DELLA COMPOSIZIONE E STRUTTURA DELL’HABITAT
SU USO DELLO SPAZIO E SOCIALITA’ IN MASCHI DI CAPRIOLO
FRANCONI N., FERRETTI F., BÖRGER L., MESCHI F., DE MICHELE G.,
LOVARI S.
Sezione di Ecologia Comportamentale, Etologia e Gestione della Fauna, Dipartimento di
Scienze Ambientali, Università di Siena, via P.A. Mattioli 8b, 53100 Siena
Tel.: 0577232953; Fax: 0577 232825; E-mail: [email protected]
Le interazioni tra l’eterogeneità ambientale e l’uso dello spazio degli individui possono
avere importanti conseguenze per l’ecologia degli animali e costituiscono uno degli argomenti di maggiore interesse della recente ricerca ecologica. Il Capriolo (Capreolus capreolus) è un’interessante specie modello (es. l’habitat determina il peso corporeo di piccoli e
adulti, la sopravvivenza dei piccoli o velocità e distanza di dispersione). Abbiamo mostrato
altrove che il tipo di habitat dominante all’interno degli home range (HR) spiega la maggior
parte della variazione delle dimensioni degli stessi, a prescindere dalla scala spazio-temporale considerata. Estendiamo queste analisi a livello di area di studio, analizzando le relazioni tra composizione in habitat degli HR, variazione spaziale dell’eterogeneità ambientale, uso dello spazio e socialità. Si analizzano dati di radiotelemetria su 14 maschi, a livello
mensile, tra gennaio 2002 e dicembre 2004.
L’area di studio, un´area costiera mediterranea, è composta prevalentemente da coltivi,
pascoli e bosco. Si individuano due zone contigue a differente eterogeneità ambientale: una
zona dominata da coltivi e meno eterogenea (patch size media: 83,39 ha, DS = 221,8), e una
zona più eterogenea (media: 26,17 ha, DS = 37,8) senza habitat dominanti. Gli individui
delle due zone (7 per ciascuna) frequentano solamente una delle due.
La composizione in habitat degli HR riflette la differenza tra le due zone. Raggruppando gli
habitat in aree chiuse e aperte si rileva che in entrambe le zone gli HR sono costituiti prevalentemente da aree aperte (media: 84,7%, DS = 2,6), senza differenza significativa sia a
livello di HR (95% fixed kernel, K95) che core area (50% fixed kernel, K50) (test di
Wilcoxon: P>0,05). Tuttavia, le aree chiuse risultano più presenti negli HR della zona eterogenea (K95 P<0,01; K50 P<0,01) e l’andamento temporale è opposto tra le due zone: le
percentuali di aree chiuse calano nei mesi estivi nella zona eterogenea, mentre crescono
nella zona omogenea. Le dimensioni degli HR nella zona eterogenea sono risultate significativamente minori (test di Wilcoxon: K95 P<0,01, K50 P<0,01), con sovrapposizioni significativamente maggiori al K95 (P<0,01), un maggior numero di individui che si sovrappongono fra loro e minori distanze tra i centri degli HR. La variazione nel corso dell’anno delle
percentuali di sovrapposizione, invece, è simile tra le due zone. Queste differenze si riflettono anche in un diverso grado di socialità: le dimensioni dei gruppi sono minori nella zona
eterogenea.
In conclusione, le differenze riscontrate su piccola scala mostrano che la relazione tra uso
dello spazio degli animali e le aree boscate non è generalizzabile e probabilmente più complessa di quanto ipotizzato in letteratura. L’influenza dell’eterogeneità ambientale su piccola scala spaziale sull’uso dello spazio nei caprioli mostra l’importanza di effettuare analisi
spazialmente esplicite; vengono discussi nuovi metodi di analisi.
134
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
USO DELLO SPAZIO DURANTE IL PERIODO DEGLI
ACCOPPIAMENTI IN FEMMINE DI CAPRIOLO
MESCHI F., FRANCONI N., BÖRGER L., DE MICHELE G., FERRETTI F.,
LOVARI S.
Sezione di Ecologia Comportamentale, Etologia e Gestione della Fauna, Dipartimento di
Scienze Ambientali, Università di Siena, via P.A. Mattioli 8b, 53100 Siena
Tel.: 0577232953; Fax: 0577232825; E-mail: [email protected]
Le cause e le conseguenze della scelta sessuale femminile sono state oggetto di molte recenti ricerche in ecologia comportamentale. Il caso del Capriolo (Capreolus capreolus) presenta interessanti particolarità, in quanto è un sistema descritto come mating system basato principalmente su territorialità maschile e difesa delle risorse, con un tipo generale di uso dello
spazio caratterizzato da marcata site-fidelity in entrambi i sessi. Sono ormai numerose, però,
le evidenze dirette ed indirette di accoppiamenti multipli delle femmine con maschi diversi
nel corso delle escursioni effettuate durante il picco dell’estro fuori dallo home range abituale. Tuttavia, dati quantitativi esistono solo per due aree di studio scandinave e solamente
come medie di popolazione.
Si presentano i primi dati, da uno studio a lungo termine su una popolazione di caprioli “di
campo” in un’area costiera mediterranea (Parco Regionale della Maremma/GR), con dati
raccolti nell’arco di più di tre anni (marzo 2001-agosto 2004) su un campione di 17 femmine marcate individualmente con radiocollare. In particolare, si affrontano due questioni: 1)
Quali sono i pattern di uso dello spazio nelle femmine durante il periodo degli accoppiamenti (luglio-agosto)? Esistono differenze fra gli individui e, se sì, in quali proporzioni? 2)
Le differenze fra particolari individui sono persistenti anche tra anni diversi?
Per individuare e quantificare in modo obiettivo la presenza di diversi tipi di comportamento di uso dello spazio adottati dalle femmine è stata applicata una Hierarchical Cluster
Analysis (average linkage-between groups cluster method, software SPSS 9.2) alle percentuali di sovrapposizione degli home range (MPC 100%), di ogni singolo individuo, tra
periodi bisettimanali successivi. Sono state individuate 4 differenti tipologie di uso dello
spazio. Si discute, infine, come alcuni nuovi metodi recentemente sviluppati per altre specie per l’analisi dei movimenti degli animali, possano essere utilizzati per studi più
approfonditi delle cause e funzioni delle tattiche di uso dello spazio durante il periodo degli
accoppiamenti nelle femmine di capriolo.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
ESPERIENZE INIZIALI DI GESTIONE DEL CINGHIALE
NELLE PREALPI TREVIGIANE
BUSATTA S.1, PASCOTTO E.2
1
Settore Gestione della Fauna, Provincia di Treviso, viale C. Battisti 30, 31100 Treviso
Tel.: 0422656184; E-mail: [email protected]; [email protected]
2
Sezione Biologia e Patologia Animale, DIAN Università di Udine, via delle Scienze 208
33100 Udine; E-mail: [email protected]
Il Cinghiale (Sus scrofa), così come nel resto d’Italia, sul versante nord-orientale era praticamente estinto. Il Suide sulle prealpi trevigiane è una recente scoperta: dapprima ha riguardato l’area di confine con il Friuli Venezia Giulia (Fregona, Cordignano, Sarmede e Vittorio
Veneto) e, successivamente, il versante occidentale (Pederobba e l’area dei Colli Asolani).
Quanto l’azione umana abbia determinato il ritorno di una specie così problematica sotto il
punto di vista gestionale, rimane un quesito, anche se la cattura di alcuni soggetti fenotipicamente ibridi è un’amara realtà.
Il presente studio è finalizzato alla presentazione dell’iter perseguito dall’Amministrazione
provinciale dal 2000 sino ad oggi, le diverse tecniche di intervento attuate, i risultati raggiunti e le riflessioni maturate. Successivamente al parere favorevole di eradicazione da
parte dell’INFS pervenuto nel 2000, l’Amministrazione ha cercato di pianificare una serie
di interventi con il diretto coinvolgimento della vigilanza d’Istituto e con l’aiuto di coadiutori nominalmente autorizzati. Il riesame del percorso effettuato sino al 2004, ha permesso
di apportare alcune modifiche e miglioramenti.
Sino al 2004 l’intervento di controllo era limitato all’azione della vigilanza provinciale con
il coinvolgimento non standardizzato dei coadiutori. Successivamente all’avvio di corsi
appositamente realizzati volti ai selezionatori esperti, un maggior numero di coadiutori è
stato coinvolto nelle attività di controllo. Quindi, da un lato la vigilanza può prelevare il cinghiale su tutto il territorio provinciale per l’intero anno; diversamente, i coadiutori possono
agire esclusivamente in determinati periodi ed esclusivamente da appostamenti autorizzati.
Parallelamente all’azione di prelievo da appostamento e di cattura mediante chiusini sono
stati effettuati interventi per la prevenzione dei danni (recinzioni elettrificate).
Sulla base della accertata presenza del cinghiale, delle localizzazioni dei danni e della copertura vegetazionale e della sicurezza di tiro sono stati autorizzati alcuni appostamenti, tutti
georeferenziati. I selezionatori esperti autorizzati, non più di due, possono agire solo ed
esclusivamente sotto lo stretto controllo della vigilanza che è localizzata in prossimità dell’appostamento.
Nel 2004 l’azione coordinata vigilanza-coadiutori è stata limitata a 30 giorni tra giugno e
luglio. I risultati sono stati contenuti ma utili per testare il coordinamento necessario. Nel
2005 gli interventi di controllo, con il coinvolgimento dei coadiutori, sono stati realizzati
dall’inizio di febbraio per circa sei mesi. Complessivamente gli appostamenti autorizzati
sono stati 47 e, nelle zone agricole maggiormente soggette a danni, sono stati utlizzati anche
dei chiusini.
Sono qui presentati i dati biometrici degli animali prelevati e sono confrontate le diverse
aree di intervento. Attualmente sono in fase di approfondimento anche gli aspetti epidemiologici, che saranno oggetto di future illustrazioni.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
LA GESTIONE DEL CINGHIALE SUS SCROFA NEL PARCO
NATURALE DELLE CAPANNE DI MARCAROLO
(REGIONE PIEMONTE, AL)
PANIZZA G., COLOMBI G., TOFFOLI R.
Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo, via G. B. Baldo 29, 15070 Lerma (AL)
E-mail: [email protected]
Dal 2000 è iniziato un programma di gestione del Cinghiale Sus scrofa nel Parco Naturale
delle Capanne di Marcarolo (Appennino settentrionale, prov. di Alessandria), in base ad un
piano redatto ai sensi di legge e ad un progetto di cattura e marcatura finalizzato ad acquisire informazioni sugli spostamenti degli animali all’interno ed all’esterno dell’area protetta, e sulla struttura e dimensione della popolazione.
Dal 21.9.00 al 1.8.03 sono stati abbattuti 250 cinghiali, mediante appostamenti fissi, catture con gabbie e battute con la tecnica della girata, come descritto dall’Istituto Nazionale
delle Fauna Selvatica. Per ogni animale catturato è stato valutato il sesso, l’età raggruppata
in 6 classi in base alla crescita ed usura dei denti, peso eviscerato, lunghezza testa-tronco,
lunghezza del garretto, numero di feti.
Sono stati catturati: 17 individui nel 2000 (7 maschi, 10 femmine) 77 nel 2001 (24 maschi,
47 femmine, 6 indeterminati), 90 nel 2002 (34 maschi, 42 femmine, 14 indeterminati) e 66
nel 2003 (32 maschi, 33 femmine). Il 49,2% (123 individui) è stato catturato con l’uso delle
gabbie (56 maschi, 53 femmine, 14 indeterminati), il 36% (90 individui) da appostamento
fisso (29 maschi, 50 femmine, 11 indeterminati) e il restante 14,8% (37 individui) mediante la girata (9 maschi, 23 femmine, 5 indeterminati). Le tre tecniche hanno avuto un’efficienza diversa in funzione del sesso (2=7,28; P<0,05; g.l.= 2; N=220): la girata e la posta
hanno permesso di catturare un maggior numero di femmine, mentre le catture con le gabbie sono state più proporzionate rispetto alla sex-ratio. Il 57,9% degli animali catturati (135
individui) aveva un’età inferiore ad un anno (classi 0 ed 1), il 29,1% (68 individui) compresa tra 2 e 3 anni (classi 2, 3 e 4), mentre il 12,8% (30 individui) era di età superiore ai 3
anni. Anche in questo caso i differenti metodi di cattura hanno avuto un’efficienza diversa
in funzione dell’età (2= 51,89; P<0,001; g.l.=10; N=229): la percentuale di cattura di soggetti d’età inferiore ad un anno variava dal 74,1% con le gabbie al 48,6% con la tecnica della
girata, al 38,7% con le poste. A partire dal 5.7.04 è iniziato il progetto di cattura-marcaturaricattura, mediante l’utilizzo di 9 gabbie, distribuite in due aree del Parco. Al 14.6.05 sono
stati catturati 201 cinghiali, di cui 81 come ricatture (40,3%). Per quanto riguarda l’efficienza del trappolaggio, sono state effettuate 82 “chiusure” che hanno portato alla cattura di
1-9 individui (media: 3,62 ind.; DS=2,24; N=201). Il rapporto sessi (maschi/femmine) è
risultato di 1:1,2 con l’80% dei soggetti catturati (92) di età inferiore all’anno. Le ricatture
sono avvenute all’interno dell’area protetta con l’eccezione di due registrate durante la stagione venatoria 2004-05 nelle immediate vicinanze del Parco, evidenziando così spostamenti di pochi chilometri dai luoghi di cattura.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
LA COLLEZIONE TERIOLOGICA DEL MUSEO ZOOLOGICO
DELL’UNIVERSITÀ DI NAPOLI FEDERICO II
MAIO N.1, NAPPI A2
1
Museo Zoologico, Centro Museale “Musei delle Scienze Naturali”, Università di Napoli
Federico II, via Mezzocannone 8, 80134 Napoli
2
corso Umberto I 237, 80138 Napoli
Il Museo Zoologico della Regia Università di Napoli, istituito nel 1813, è entrato a far parte
nel 1992 del Centro «Musei delle Scienze Naturali». In tale occasione, mediante un meticoloso lavoro d’archivio, di ricatalogazione, revisione e restauro delle collezioni, molti
reperti si sono rilevati di notevole interesse tassonomico e storico-faunistico: nel presente
lavoro sono riportati i risultati più significativi relativi ai Mammiferi conservati.
La collezione teriologica comprende oltre 1000 reperti, e tra questi il più interessante dal
punto di vista tassonomico è l’olotipo di Crocidura hydruntina, uno scheletro di un esemplare di Otranto (LE). Questa specie, considerata sinonimo di C. Russula, si è dimostrata
appartenere a C. leucodon. Similmente il lectotipo di Mus meridionalis, un esemplare tassidermizzato proveniente dal napoletano, ha consentito di confermare la sinonimia di questo
taxon con Micromys minutus e ne rappresenta la prima segnalazione certa in ordine cronologico per l’Italia centro-meridionale.
Tra i Cetacei un eccezionale reperto è lo scheletro di Eubalaena glacialis catturata il 9 febbraio 1877 nel Golfo di Taranto, l’unico esemplare completo del Mediterraneo conservato
in un museo. Importanti sono anche lo scheletro incompleto di Globicephala melas, il primo
musealizzato in Italia, catturato nel Golfo di Salerno nel 1866, l’esemplare naturalizzato di
Tursiops truncatus della collezione settecentesca e lo scheletro di Lagenorhyncus acutus,
uno dei due esemplari completi conservati in musei italiani. Tra gli altri Mammiferi marini
interessanti reperti sono: Monachus monachus proveniente dal Golfo di Napoli, che rappresenta una preziosa testimonianza storica dell’areale di questa specie, e lo scheletro di
Dugong dugon, uno dei tre scheletri completi presenti nei musei italiani.
Degni di nota sono anche l’esemplare naturalizzato di Onychogalea lunata, una specie
ormai estinta, diversi reperti di Canis lupus provenienti dall’Italia meridionale, lo scheletro
di Elephas maximus ritenuto risalente al XVIII secolo (uno dei due scheletri montati completi di questa specie presenti nelle collezioni italiane) e l’esemplare naturalizzato di okapi
(Okapia johnstoni), una specie che oggi è divenuta molto rara.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
MAMMIFERI TERRICOLI PREDATI DA BARBAGIANNI TYTO ALBA
NELL’ISOLA DI CRETA (GRECIA)
ALOISE G.1, SCARAVELLI D.2
1
Dipartimento di Ecologia, Università della Calabria, via P. Bucci s.n., 87036 Rende (CS)
E-mail: [email protected]
2
Associazione Chiroptera Italica, via Veclezio 10a, 47100 Forlì
E-mail: [email protected]
L’isola di Creta è di estremo interesse biogeografico per la ricchezza di endemismi e la
diversità di popolamenti animali presenti. Come la maggior parte delle isole mediterranee i
suoi popolamenti animali riflettono le diverse storie della colonizzazione biologica ed
antropocora e le strategie di adattamento alle specifiche condizioni ambientali.
La fauna teriologica è costituita da 3 insettivori (1 endemico), 15 chirotteri, 2 lagomorfi, 8
roditori (1 endemico), 5 carnivori e un ungulato, con diversi taxa sottospecifici considerati
di particolare interesse faunistico ed ecologico.
In tale ottica sono stati esaminati i resti delle prede di Barbagianni Tyto alba, raccolti in tre
siti il 2-9 settembre 1992. Nell’isola il Barbagianni utilizza ancora diversi siti di nidificazione “primari”, cioè pone il suo rifugio in ripari naturali (es. fenditure e cavità) e sottoroccia, e meno in edifici.
I siti studiati sono situati sulla costa sud orientale (dintorni di Koutsouras, distretto di
Ierapetra, 200 m s.l.m., colline con gariga mediterranea subdesertica, poche aree con arbusti nelle parti ombrose e riparate e campi con oliveti a circa 1 km) e centrale (Màtala, distretto di Mirés, sul livello del mare., area periurbana con garighe e piccoli campi di cereali e
oliveti), e sulla costa nord centrale (Tilisos, distretto di Iraklion, 350 m s.l.m., zona carsica
arida con gariga semidesertica e poche aree con arbusti e piccoli alberi, pesantemente pascolate, uliveti e vigneti.).
Le specie predate dal Barbagianni sono risultate: Crocidura suaveolens, C. zimmermanni,
Suncus etruscus, Oryctolagus cuniculus, Apodemus mystacinus, A. sylvaticus, Rattus rattus,
Mus domesticus, Acomys minous, Glis glis.
Vengono analizzate le differenze quali-quantitative delle comunità rilevate, in relazione alle
differenti situazioni ambientali, ed in particolare la presenza delle specie endemiche, quali
A. minous, la cui distribuzione ed ecologia è ancora poco nota, così come per C. zimmermanni.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
SEXUAL AND AGE SEGREGATION IN SAVANNAH ELEPHANTS
(LOXODONTA AFRICANA) IN NGORONGORO CRATER (TANZANIA)
BASSIGNANI F., DOGÀ S., CARLONI E.
Dipartimento di Biologia Evolutiva e Funzionale, Università di Parma, viale delle Scienze
43100 Parma; Tel.: 0521905958; Fax 0521905657; E-mail: [email protected]
The purpose of this study is to analyse the phenomenon of sexual and age segregation in the
savannah elephants (Loxodonta africana) living in the Ngorongoro crater, part of the great
Serengeti ecosystem. Within the crater boundaries a population of 20-40 male elephants is
regularly observed during raining seasons, and it appears that only adult males can usually
be seen. This finding is based on three kinds of records: i) road transects from a 4x4 vehicle, ii) a check of available literature on savannah elephants, iii) interviews with local researchers, photographers, park staff and drivers of safari companies. Single adult females are
spotted quite rarely and for very short lapses of time. Most observed individuals were prime
bulls aged 35 or older. Ngorongoro crater is one of the very few remaining areas where it is
possible to see bulls with very large tusks (about 2 m or more). Several speculative hypotheses are put forward to explain the causes of this phenomenon. Individual and/or social learning should be considered the proximate cause of this segregation. In particular, social learning could directly determine the absence of family groups, whereas it is unclear which kind
of learning may cause the presence of adult males and the unusually high density of prime
bulls with large tusks. The ultimate causes of the segregation should be represented by the
ecological features of the crater’s habitat -excluding families- and the intensive warding by
park rangers attracting long-tusked males. In fact, a review of the available literature suggests that family groups might avoid the crater because of its unusually high density of lions
and spotted hyenas potentially dangerous for immature elephants. Alternative hypotheses
are discussed.
140
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
USO DEL MICROHABITAT DA PARTE DEL QUERCINO (ELIOMYS
QUERCINUS) DURANTE LA FASE DI ATTIVITÀ NOTTURNA
BERTOLINO S., HUGONEN J.
DIVAPRA Entomologia e Zoologia, Università di Torino, via L. da Vinci 44
10095 Grugliasco (TO); E-mail: [email protected]
Il Quercino (Eliomys quercinus) è un gliride poco arboricolo. Per questo motivo gli animali sono catturati facilmente con trappole poste a terra e normalmente impiegate per i roditori terragnoli. Scopo della nostra ricerca è stato quello di indagare le variabili ambientali che
permettono di distinguere le aree usate dal Quercino da quelle evitate durante le fasi di attività notturna.
L’area di studio era posta in un bosco di Pino silvestre (Pinus sylvestris) a circa 1300 m
s.l.m., nella valle di Champdepraz (Valle d’Aosta). Le catture sono state effettuate con 100
trappole Sherman poste in una griglia di 10x10 trappole e spaziate di 20 m. Le trappole sono
state attivate per sei giorni ogni mese, da maggio a settembre 2000. In corrispondenza di
ogni punto trappola sono state rilevate 23 variabili ambientali all’interno di tre aree di saggio centrate sulla trappola e costituite da un cerchio di 1 m di raggio, due transetti di 2x20
m, e un cerchio di 10 m di raggio. La selezione delle variabili ambientali che favorivano la
presenza del Quercino durante la fase di attività notturna è stata condotta confrontando le
caratteristiche ambientali dei punti trappola che hanno catturato (N=48) o no (N=52) i quercini. Si è prima proceduto al confronto delle singole variabili mediante l’analisi della varianza, o il relativo test non parametrico. Successivamente si è proceduto con l’analisi di funzione discriminante (AFD) con il metodo stepwise per selezionare le variabili che differenziavano i punti trappola usati da quelli evitati dagli animali.
Sono stati catturati 23 quercini per un totale di 123 catture. La densità registrata mensilmente variava da 0,22 ind./ha a 2,58 ind./ha. All’analisi della varianza 9 variabili differivano tra i punti trappola usati ed evitati. L’analisi discriminante (autovalore = 0,227, Wilks’ λ
= 0,815, 2 = 19,768, P < 0,001) le ha ridotte a 3. I siti usati dal Quercino erano caratterizzati da un’alta copertura rocciosa al suolo (42,7% presso i punti trappola usati, 27,0% presso quelli evitati), una maggiore densità di fusti legnosi nel cerchio di 1 m di raggio (3,23 ±
5,05 e 1,73 ± 3,25 fusti), e un diametro minore dei tronchi dei quattro alberi dello strato
arboreo basso più vicini (7,76 ± 3,51 cm e 9,67 ± 2,63 cm). La funzione discriminante classificava correttamente il 71% dei punti trappola in base alla selezione da parte del Quercino
(73,1% dei siti evitati e 68,8% di quelli frequentati). Le variabili selezionate dall’AFD
descrivono i siti preferiti dal Quercino durante le fasi di attività notturna. La presenza di
un’elevata copertura rocciosa all’interno della pineta è legata alla caduta di rocce dalle parti
superiori del versante. In queste aree gli alberi sono più giovani e piccoli, la copertura delle
chiome è ridotta e quindi lo strato arbustivo è più sviluppato rispetto ad altre parti del bosco.
La selezione di aree con buona copertura rocciosa e arbustiva potrebbe essere legata a comportamenti antipredatori. In diversi studi è emerso che una copertura arbustiva densa riduce
il rischio di predazione, in particolare da predatori aerei. La presenza di cavità e anfratti,
dovuta alla copertura rocciosa elevata, renderebbe difficoltosa la predazione anche da parte
dei mammiferi. Anche le condizioni climatiche possono aver influito sulla selezione del
microhabitat.
141
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
ANALISI DELLE DIMENSIONI DELLE AREE DI PRESENZA
DIURNE DELLA POPOLAZIONE URBANA DI GATTO DOMESTICO
LIBERO (FELIS CATUS) NEL BIOPARCO DI ROMA
SORANGELO P.1, NATOLI E.2, FANFANI A.1
1
Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università di Roma “La Sapienza”, viale
dell’Università 32, 00185 Roma
2
Ospedale Veterinario, Azienda USL, Servizio Veterinario, via Portuense 35, 00153 Roma
Il gatto domestico e il leone sono gli unici felidi sociali. In ambiente urbano, grazie all’ampia disponibilità di risorse trofiche, il gatto domestico libero vive in gruppi sociali anche
molto numerosi e prossimi tra loro. Al fine di approfondire lo studio del comportamento
spaziale e dell’organizzazione sociale del gatto domestico libero è stata osservata per circa
un anno l’intera popolazione residente all’interno del Bioparco di Roma e della sua area
confinante (circa 20 ha).
Nel 1999 sono stati identificati, tramite il disegno-colore del mantello, 86 individui residenti, dei quali erano sterilizzati: tutte le femmine eccetto 2 e un maschio. Il campionamento è stato svolto nelle ore diurne attraverso transetti. Le localizzazioni di ogni individuo
incontrato sono state digitalizzate e georeferenziate utilizzando il programma GIS
(Geographic Information System) ArcView 3.2. Dopo il controllo dell’indipendenza dei
punti sono state calcolate le aree di presenza diurne con il metodo del minimo poligono convesso, calcolato da un numero minimo di 20 localizzazioni. I risultati hanno evidenziato una
variabilità molto elevata nelle dimensioni delle aree di presenza dei gatti domestici, che
vanno da un minimo di 0,26 ha (un maschio subadulto) ad un massimo di 4,5 ha (un maschio
adulto); variazioni simili sono state trovate in altri studi condotti sulla specie in ambiente
urbano. Per le femmine l’analisi ha permesso di identificare le aree di presenza di 7 distinti
gruppi sociali (costituiti a partire da una femmina con i cuccioli fino a 11-15 individui) e di
6 femmine “periferiche” la cui area di presenza era più ampia dell’area della propria colonia con cui si alimentavano regolarmente. La dimensione media delle aree di presenza delle
femmine è stata di 1,26 ha (DS=0,9, N=13) con variazioni tra 0,3 a 2,95 ha, mentre nei
maschi adulti è stata di 1,73 ha (DS=1,5, N=16), da 0,38 a 4,5 ha. Il confronto fra le dimensioni delle aree di presenza tra i due sessi risulta significativo (Mann-Whitney P<0.05) con
l’esclusione di una femmina che ha ristretto la sua area a partire dall’estate. Nonostante i
maschi abbiano un’area di presenza media più ampia delle femmine, questa conclusione non
può essere generalizzata. Per i maschi la dimensione dell’area sembra essere direttamente
correlata al numero di gruppi sociali che il singolo individuo frequenta regolarmente. Nei
maschi subadulti la dimensione media è stata di 1,0 ha (DS=0,6, N= 4). Il confronto tra le
aree dei maschi adulti e subadulti non è risultato statisticamente significativo.
142
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
OBSERVATION OF A GROUP HUNT IN LYCAON PICTUS: WAS IT
COOPERATIVE HUNTING?
BASSIGNANI F., DOGÀ S., CARLONI E.
Dipartimento di Biologia Evolutiva e Funzionale, Università di Parma, viale delle Scienze
43100 Parma; Tel.: 0521905958; Fax: 0521905657; E-mail: [email protected]
The occurrence of cooperative hunting in Lycaon pictus is still controversial: some authors
recognised clear signs of coordination whereas others failed to see any such evidence or
interpreted those signs as mere coincidental events. However, available literature shows that
Lycaon inhabits very different ecosystems and thus its hunting strategies may adapt to cover
vegetation and to features of the terrain. We witnessed a successful hunt by a wild pack in
Kruger National Park, South Africa. The pack was composed by 12 individuals (6 adult
males, 2 adult females, 2 subadult males, 2 subadult females). Individuals were identified
by: size (adults were larger), genitals, scars and coat colouration pattern. During the hunt
individual behaviour was observed and we found evidence of coordination and division of
labour. The 50 minute sequence of events, ending with the kill and the immediate consumption of one adult female impala, is described and commented further.
143
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
LA SCOMPARSA DEL LUPO NEL SETTORE LIGURE DELLE ALPI
NEL XIX SECOLO: ANDAMENTO DEGLI ABBATTIMENTI E CAUSE
STORICHE DELLO STERMINIO
FARINA N.1, GAVAGNIN P.2, ZANELLA S.3
1
strada Peiranze 8, San Remo; E-mail: [email protected]
2
corso Garibaldi 60, San Remo; E-mail:[email protected]
3
Amministrazione Provinciale di Imperia; E-mail: [email protected]
Dopo un secolo di assenza, il ritorno del Lupo (Canis lupus) sulle Alpi Liguri è un dato
certo. La specie è stata presente sul territorio fino agli inizi del XIX secolo, quando si consumò l’epilogo di secoli di persecuzione. Nell’ambito del Progetto “Biodiversità nelle Alpi
Liguri” finanziato dall’Unione Europea e coordinato dalla provincia di Imperia, è stata indagata anche la dinamica dello storico antagonismo uomo-lupo e della conseguente “distruzione” del predatore. E’ stata svolta una ricerca d’archivio sui documenti che testimoniano
in modo certo gli abbattimenti. In particolare, in seguito alle Regie Patenti del 1836, nello
Stato Sabaudo si stabilì chiaramente il procedimento di riscossione dei premi per gli abbattimenti dei “nocivi”. Si è potuto quindi disporre di una vasta documentazione che, pur non
contando le vittime della diffusa pratica dei bocconi avvelenati, e con la sola lacuna archivistica dal 1855 al 1866, testimonia il ritmo delle uccisioni nei vari settori alpini dell’estremo Ponente Ligure. I dati conseguiti sono stati inseriti nei GIS e nei data-base predisposti
per la ricerca sulla presenza attuale della specie nel versante ligure delle Alpi.
L’interpretazione storica del contesto politico e socio-economico ha poi permesso di individuare una serie di cause che hanno acuito i caratteri dell’antagonismo (scomparsa degli
ungulati selvatici, promozione della silvicoltura “industriale”) e favorito le attività di persecuzione fino allo sterminio degli ultimi esemplari (crisi del pastoralismo, sfavorevoli andamenti del mercato dei prodotti agricoli e silvicoli, politiche governative volte alla strumentalizzazione del Lupo, miglioramento dell’apparato venatorio ecc.).
Il confronto tra le statistiche sull’entità dei premi pagati e l’ammontare dei salari medi e dei
prezzi di vendita nel contesto geo-storico di riferimento ha rimarcato come quello del “cacciatore di lupi” fosse, a cavallo tra ‘800 e ‘900, uno degli ultimi mestieri redditizi della montagna alpina ligure.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
IL LUPO E LE COMUNITÀ LIGURI ALPINE: ANTICHE
RAPPRESENTAZIONI, PERCEZIONI ATTUALI E
STRUMENTALIZZAZIONI POLITICHE
FARINA N.1, GAVAGNIN P.2
1
strada Peiranze 8, San Remo; E-mail: [email protected]
2
corso Garibaldi 60, San Remo; E-mail:[email protected]
Il ritorno del Lupo (Canis lupus) nel settore ligure delle Alpi ha riproposto il problema delle
convivenza tra popolazioni della montagna e predatore. Questo argomento è stato oggetto di
studio nell’ambito dello svolgimento del Progetto “Biodiversità sulle Alpi Liguri” finanziato dall’Unione Europea, per la parte Dedicata al Lupo. Una ricerca etnografica sulla letteratura orale presso le comunità alpine liguri – dalla francese Val Roja all’alta Val Tanaro, tra
Piemonte e Liguria – ha consentito di individuare gli elementi ed i temi principali della “storica” rappresentazione del Lupo, sopravvissuta nel ricordo degli ultimi testimoni delle
veglie invernali – usanza di trasmissione del patrimonio, scomparsa nella zona verso gli anni
’50. Ne esce un Lupo “cattivo”, principale nemico dei pastori, ma anche simbolo della natura selvaggia, di un mondo ostile all’uomo, di cui, tuttavia, si riconosceva almeno l’esistenza. Finalità dell’indagine è stata la comprensione dei meccanismi psicologici di ostilità e la
necessità di ottenere spunti utili per favorire l’attenuazione dei conflitti.
Una seconda parte dell’inchiesta ha riguardato l’attuale percezione del “nuovo” Lupo presso le categorie implicate (pastori locali, pastori neo.rurali, cacciatori, popolazioni dei paesi
montani, amministratori, ambientalisti, turisti ecc.) e gli effettivi caratteri della convivenza.
Si è così riscontrata una grande varietà di rappresentazioni “lupesche”, a volte assolutamente positive, a volte fortemente condizionate dallo storico immaginario negativo. In alcuni casi sono emerse evidenti strumentalizzazioni politiche e culturali del Lupo, divenuto elemento-chiave del conflitto tra poteri centrali e popolazioni locali. In generale, è parso chiaro che un’adeguata condotta può permettere una convivenza non problematica, priva di reali
danni economici per pastori e soggetti attivi sul territorio, se subordinata ad una volontà di
accettazione del Lupo.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
APPARATO GASTROINTESTINALE DEL TASSO (MELES MELES):
RILIEVI MACRO-ANATOMICI E STRUTTURALI
PASCOTTO E.1, CODOLO R.2, FASANO D3., BUSATTA S.4, COLITTI M.1
1
Sezionde Biologia e Patologia Animale, DIAN Università di Udine, via delle Scienze
208 33100 Udine; Tel.: 0432558590/1; Fax 0432558585; E.mail:
[email protected]
2
via Ponte della Regina 7, 33075 Morsano al Tagliamento (PN)
E.mail: [email protected]
3
via Montessori 17, 30026 Portogruaro (VE); E-mail: [email protected]
4
Settore Gestione della Fauna, Provincia di Treviso, E.mail: [email protected]
Il Tasso (Meles meles), specie appartenente all’ordine Carnivori, presenta adattamento alimentare onnivoro con una certa “specializzazione” alla predazione su invertebrati. Il presente studio analizza l’anatomia macroscopica e microscopica strutturale del tratto gastroenterico del Tasso alla luce di una notevole carenza di informazioni in letteratura. I dati raccolti sono comparati con altre specie appartenenti allo stesso ordine e considerati alla luce
di possibili risvolti funzionali. La ricerca è stata realizzata su tre tassi adulti investiti, reperiti in Italia nord-orientale. Le carcasse sono state conservate alla temperatura di –20°C fino
alla dissezione. I preparati istologici sono stati fissati in formalina neutra tamponata al 10%
e processati secondo le tecniche istologiche attualmente in uso. L’esofago (Oesophagus)
presenta diametro uniforme e lunghezza media di 31 cm. Esso appare internamente rivestito da un epitelio di tipo pavimentoso pluristratificato non cheratinizzato. Lo stomaco
(Ventriculus s. gaster), semplice, piuttosto allungato nella sua porzione pilorica (Pars pylorica), evidenzia un prominente fondo gastrico (Fundus ventricoli). Tra i mezzi di fissità
appare particolarmente robusto il gastro-frenico (Ligamentum gastrophrenicum) che si presenta breve e delinea una sorta di aderenza gastro-diaframmatica. Tutta la superficie interna
è ricoperta da epitelio ghiandolare. La mucosa cardiale è limitata ad un esile anello attorno
al margine distale della mucosa esofagea (2% della mucosa gastrica). La mucosa di tipo
fundico è molto estesa (78% della mucosa gastrica) ed occupa tutto il fondo e gran parte del
corpo dello stomaco. La mucosa pilorica riveste invece la regione dell’antro pilorico e del
canale pilorico (20% della mucosa gastrica). L’intestino appare lungo ed uniforme (lunghezza media: 586,5 cm; larghezza relativa media: 8,3 cm). Il tenue rappresenta il 95% dell’intestino in termini di lunghezza ed il 93% in termini di superficie basale. Come già sottolineato da altri autori il cieco e lo sfintere ileo-colico sono assenti. I dati raccolti nel presente studio integrano le informazioni disponibili in letteratura. Le caratteristiche del tratto
gastroenterico ed in particolare la distribuzione delle mucose sottolineano importanti similitudini con i Carnivori tipicamente “faunivori”. La notevole ampiezza della mucosa fundica è probabilmente da correlarsi alla necessità di un’elevata acidità gastrica nella digestione
della quota animale e delle emicellulose. L’assenza del cieco e di una valvola ileo-colica e
la ridotta superficie basale del crasso, suggeriscono una scarsità di siti di fermentazione per
la quota vegetale a vantaggio di una maggior velocità di transito peraltro già rilevata in
Taxidea taxus. La conformazione della porzione pilorica non dimostra particolari adattamenti all’insettivorismo.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
FATTORI INFLUENZANTI LA SELEZIONE DELLE TANE DA PARTE
DEL QUERCINO (ELIOMYS QUERCINUS)
CORDERO DI MONTEZEMOLO N., BERTOLINO S.
DIVAPRA Entomologia e Zoologia, via L. da Vinci 44, 10095 Grugliasco (TO)
E-mail: [email protected]
Il Quercino (Eliomys quercinus) è uno dei gliridi europei meno studiati. In particolare, le
informazioni riguardanti la selezione dei siti usati come tane sono tuttora scarse. Alcuni dati
sembrerebbero indicare un uso limitato degli alberi e una preferenza per aree al suolo o edifici. Lo scopo della nostra ricerca è stato quello di indagare quali variabili ambientali
influenzassero la selezione delle tane da parte del Quercino.
L’area di studio era posta in un bosco di pino silvestre (Pinus sylvestris) a circa 1300 m
s.l.m., nella valle di Champdepraz (Valle d’Aosta). I quercini sono stati catturati da maggio
a settembre 2000, con l’utilizzo di 100 Sherman live-traps posizionate in griglia (10x10) a
intervalli di 20 m. Gli animali catturati sono stati marcati con un tatuaggio numerico auricolare e dotati di radiocollare (Biotrack, England) del peso di 3,28 g (TW4, 173 MHz). In
totale sono stati radiocollarati 15 animali (5F e 10M).
Per ogni tana localizzata sono stati selezionati 2 punti random all’interno dell’area di studio,
definita dall’insieme degli home range degli animali. In corrispondenza di ogni tana e dei
punti random sono state rilevate 23 variabili ambientali, all’interno di tre aree di saggio centrate sulla trappola e costituite da un cerchio di 1 m di raggio, due transetti di 2x20 m, e un
cerchio esterno di 10 m di raggio. La selezione delle variabili ambientali che favorivano la
scelta dei luoghi dove i quercini sostavano durante la fase di inattività diurna, è stata condotta confrontando le caratteristiche ambientali delle tane (N = 16) con quelle dei punti random (N = 32). Si è prima proceduto al confronto delle singole variabili mediante l’analisi
della varianza, o il relativo test non parametrico. Successivamente si è proceduto con l’analisi di funzione discriminante (AFD) con il metodo stepwise. Sono stati localizzati 16 ricoveri in alcuni casi frequentati da due animali. Quindici di essi erano localizzati al suolo, in
anfratti rocciosi, e solo uno su un albero morto. All’analisi della varianza 17 variabili differivano tra i nidi e i punti random. L’analisi discriminante (autovalore = 1,940, Wilks’ λ =
0,340, 2 = 46,91, P < 0,001) le ha ridotte a 5. Le tane usate dal Quercino erano caratterizzate da un’alta copertura rocciosa al suolo (60,5 % in corrispondenza delle tane e 29,4%
presso i punti random), una lettiera più spessa (3,25 cm e 1,22 cm), una chioma arborea più
aperta (65,5% e 85,7%), un numero di fusti erbacei alti minore (2,4 ± 3,6 e 4,7 ± 4,5 nel cerchio di un metro) e meno ceppi nelle vicinanze (0,1 ± 0,2 e 1 ± 0,9 in media nei quattro quarti del cerchio grande). La funzione discriminante classificava correttamente il 91,7% delle
variabili ambientali in base alla selezione da parte del Quercino (100% delle tane e 87,5%
dei punti random). I fattori selezionati dall’analisi discriminante individuano aree ad elevata copertura rocciosa dove lo sviluppo della vegetazione arborea ed erbacea è minore. Tale
scelta è probabilmente collegata ad adattamenti antipredatori, in particolare nei confronti di
Martora e Faina che potrebbero raggiungere più facilmente i nidi sugli alberi. Il maggiore
spessore della lettiera e la presenza di rocce potrebbero anche contribuire a diminuire gli
sbalzi termici e facilitare la termoregolazione.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
SELEZIONE AMBIENTALE DA PARTE DEI SILVILAGHI
(SYLVILAGUS FLORIDANUS) PER LA COLLOCAZIONE
DEI COVI DIURNI
CORDERO DI MONTEZEMOLO N.1, BERTOLINO S.1, PERRONE A.2
1
DIVAPRA Entomologia e Zoologia, via L. da Vinci 44, 10095 Grugliasco (TO)
E-mail: [email protected]
2
Centro Ricerche in Ecologia Applicata, via Catti 12, 10146 Torino
Il Silvilago o minilepre (Sylvilagus floridanus) è una specie alloctona, originaria del nord
America e introdotta recentemente in Italia. Nell’ambito di una ricerca sull’ecologia della
specie, abbiamo indagato i fattori ambientali che influenzano la selezione dei covi diurni da
parte degli animali.
Lo studio è stato condotto in un’area pianeggiante della Riserva Naturale Torrente Orba
(AL). I silvilaghi sono stati catturati con trappole a cassetta e dotati di radio-collare (Holohil
System Ltd., 2MI-12) del peso di 25 g. Ogni due mesi gli animali deceduti, venivano sostituiti con altri, in modo da disporre di almeno 12 individui da seguire contemporaneamente.
In totale abbiamo catturato e collarato 40 animali (23M e 17F).
Gli animali sono stati rintracciati con la tecnica dell’homing nelle ore centrali della giornata. Dopo l’individuazione del covo si è proceduto alla descrizione della vegetazione. A livello di microhabitat è stata misurata la densità della vegetazione nel punto esatto del covo, sia
in senso verticale (V) sia in senso orizzontale (O) con una barra di legno divisa in sei sezioni di 25 cm ciascuna. Ad ogni sezione è stata attribuito un punteggio compreso tra 0 (copertura 0%) e 5 (copertura 100%). Per valutare la selezione dell’ambiente a livello di macrohabitat è stata prodotta una carta dell’uso del suolo dell’area di studio. La scelta d’habitat da
parte dei silvilaghi per la collocazione dei loro covi diurni è stata analizzata mediante l’indice di selezione di Savage.
Gli animali hanno usato quasi esclusivamente gli ambienti arboreo-arbustivi (91%, N=228
covi) per i loro covi, utilizzando il greto, l’incolto e il bosco secondo la disponibilità ed evitando gli altri ambienti. In particolare sono stati evitati, nonostante la grande disponibilità
(59,5% della superficie totale) mais, grano e barbabietola.
I covi usati successivamente nel tempo da uno stesso Silvilago non erano molto distanti uno
dall’altro (media: 38,7 ± 67,7 m); tale distanza non differiva tra i sessi (M 47,7 ± 87,4 m, F
27,1 ± 22,2 m, H=0,02, g.l.=1, P=0,89). Un maschio ha effettuato gli spostamenti maggiori, con una distanza media di 112,0 ± 186,7 m tra i covi, a causa di un allontanamento causato dalla mietitura. A livello di microhabitat gli animali collocavano i covi in aree con fitta
vegetazione. In verticale (V) la vegetazione presentava una copertura maggiore del 60% dal
terreno fino a 0,75 m di altezza, mentre diminuiva (40-60%) tra 0,75 m e 1 m. In orizzontale (O) essa era sempre maggiore del 60%. La copertura media (verticale e orizzontale) era
massima in autunno (punteggio medio: V=3,41 ± 1,59; O=4,69 ± 0,30) e minima in inverno (V=2,07 ± 1,36; O=3,12 ± 0,54). Il tempo di utilizzazione di un covo variava tra 1 e 9
settimane (media totale: 2,42 ± 1,88 settimane; maschio: 2,64 ± 2,09; femmina: 2,19 ± 1,60).
Dai risultati ottenuti emerge che i silvilaghi scelgono habitat riparati e con vegetazione fitta,
principalmente sotto arbusti, che assicurano parziale riparo dai predatori (in particolare
rapaci) e protezione da sbalzi termici.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
VERIFICA DELL’ESITO DEL PROGETTO DI REINTRODUZIONE
DELLO STAMBECCO (CAPRA IBEX) NEL PARCO NATURALE
ADAMELLO BRENTA
MUSTONI A.1, LATTUADA E.1, CHIOZZINI S.1, CARLINI E.1, STEFANI G.1,
STELLA E.1, FRAQUELLI C.2
1
Gruppo di Ricerca e Conservazione dell’Orso Bruno del Parco Naturale Adamello
Brenta via Nazionale 24, 38080 Strembo (TN)
Tel.: +390465806655; E-mail: [email protected]
2
Servizio Foreste e Fauna, Provincia Autonoma di Trento, via G.B. Trener, 3
Tel.: +390461495591; E-mail: [email protected]
Sulla base delle indicazioni contenute nel Piano Faunistico, il Parco Naturale Adamello
Brenta (Trentino), nel 1995 ha promosso un progetto di reintroduzione dello Stambecco
(Capra ibex), realizzato in concomitanza con un’analoga operazione svolta sul versante
lombardo del Massiccio dell’Adamello, nell’ambito di un più vasto programma di reintroduzione della specie nel territorio alpino lombardo, iniziato nel 1984.
Tra il 1995 ed il 1999, anche con la collaborazione dei Servizi Forestali della Provincia
Autonoma di Trento, sono stati rilasciati nel settore occidentale del Parco (Val di San
Valentino e Val di Genova) 43 stambecchi provenienti dal Parco Naturale delle Alpi
Marittime e dal Massiccio dei Monzoni (Trentino Orientale). Tra il 2003 e il 2004 le osservazioni di campo hanno permesso di stimare la presenza complessiva di 43-61 stambecchi
(30-33 capi in Valle di San Valentino e 13-18 in Val Genova).
Con riferimento ai normali tassi di incremento numerico, in accordo con i quali dovrebbe
essere presente un nucleo di circa 80-90 individui, si è quindi ipotizzato un incremento scarso, o addirittura nullo della neocolonia. Per comprendere le cause di questo mancato accrescimento, nel 2005 il Parco ha impostato una nuova fase di monitoraggio, basata principalmente sul rilevamento “a vista” degli animali. Per aumentare le possibilità di contatto con i
branchi, nel corso della primavera 2005, sono stati catturati e dotati di radiocollare 6 stambecchi (3 maschi in Val Genova, 2 femmine e 1 maschio in Val di San Valentino). Il monitoraggio radiotelemetrico di questi individui e il conseguente loro avvistamento diretto,
hanno già permesso di migliorare la conoscenza dello status della popolazione nel Parco. E’
stato inoltre possibile avanzare alcune ipotesi preliminari utili per valutare le cause dell’attuale situazione. Prima di tutto è possibile che gli individui presenti siano in realtà in numero maggiore rispetto a quanto ipotizzato in precedenza. Sono inoltre stati documentati fenomeni di emigrazione verso le limitrofe colonie dell’Adamello lombardo e casi di morte naturale, principalmente dovuti alle frequenti slavine. In base all’alto numero di individui giovani e alla relativa scarsità di adulti, non è peraltro possibile escludere che ai fattori sopraccitati si siano aggiunti casi di prelievo illegale, soprattutto nell’area della Valle di San
Valentino.
È principalmente su queste ipotesi che potrà essere impostata una nuova fase del progetto di
conservazione, basata principalmente su attività mirate di comunicazione ed eventualmente
su nuovi rilasci che portino sia un contributo numerico alla neocolonia, sia ad una maggiore presa di coscienza in merito all’importanza ecosistemica e culturale della presenza della
specie.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
MONITORAGGIO DEL CINGHIALE (SUS SCROFA)
IN REGIONE PIEMONTE
BOSSER PEVERELLI V., PERRONE A., VITERBI R.
Osservatorio Regionale sulla Fauna Selvatica, Direzione Territorio rurale, Regione
Piemonte, corso Stati Uniti 21, 10128 Torino
Lo scopo del presente lavoro è quello di delineare un quadro rappresentativo dello status del
Cinghiale (Sus scrofa) in Piemonte. Data l’impossibilità a censire la specie, i dati di consistenza utili per definire la dinamica di popolazione sono ricavabili dall’analisi dei carnieri
annuali e dell’impatto della specie sulle attività antropiche. La gestione faunistico venatoria
del Cinghiale è effettuata in 16 comprensori alpini e 15 ambiti territoriali di caccia. Oltre
alla suddetta attività, la specie è oggetto di controllo demografico in tutte e 8 le province e
in quasi tutti i parchi piemontesi. Viene inoltre monitorato l’impatto della specie sulle attività antropiche attraverso l’analisi annuale dei danni alle colture agricole e degli incidenti
stradali. La colonizzazione della specie in Zona Alpi si fa risalire agli inizi del 900 e in
seguito il Cinghiale si è diffuso prima nelle zone collinari e, a partire dagli anni ‘80, anche
in pianura. Questo ha influenzato la gestione venatoria: in montagna l’attività è iniziata negli
anni ’70, soprattutto nelle province di Torino e Cuneo, ed in seguito si è diffusa anche ad
est; oggi è esercita su una superficie di circa 600000 ha. Al contrario negli ambiti di pianura tale attività è iniziata a partire dagli anni ‘90 su un territorio di circa 800000 ha.
Il trend degli abbattimenti in Zona Alpi mostra un aumento dal 1996 al 2004 (Rho di
Spearman= 0,81; P< 0,004); per la pianura i dati sono ancora piuttosto incompleti, ma l’andamento degli abbattimenti dal 2000 al 2003 è in crescita (Pearson= 0,99; P< 0,003). In territorio montano il prelievo del Cinghiale è concentrato soprattutto nelle Province di Cuneo
e Torino che hanno un indice cinegetico significativamente maggiore delle altre (ANOVA,
F4,32 = 31,8; P<0.0001). In pianura e collina le Province maggiormente interessate sono
Alessandria e Cuneo (ANOVA, F5,13= 25,58, P<0.0001). Anche per le attività di controllo
demografico si registra un trend positivo negli anni con le province di Torino e Alessandria
che risultano più efficaci. Analizzando i danni alle colture dovuti a diverse specie si osservano differenze significative (test 2, g.l.=35; p< 0,001) tra le province: in territori montani
la percentuale dei danni causati dal Cinghiale è più alta rispetto alle altre specie, nelle aree
di pianura e collina si osserva invece un progressivo incremento dei danni causati da avifauna. Lo stesso andamento si ritrova analizzando la percentuale dei danni nei principali tipi
di istituti di gestione e aree protette.
Considerando il numero di incidenti causati dal Cinghiale si riscontra che le province maggiormente interessate sono Torino, Cuneo e Alessandria che sono quelle in cui il prelievo e
le operazioni di controllo sono più elevati.
Questi risultati consentono di effettuare una prima analisi dello status della popolazione di
Cinghiale nel territorio piemontese e mettono in evidenza, soprattutto nella zona di pianura,
la necessità di una raccolta dati standardizzata e costante nel tempo e un miglior coordinamento tra i diversi enti preposti alla gestione e al monitoraggio della specie.
150
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
CARATTERIZZAZIONE DELLE TANE DI
SVERNAMENTO DELL’ORSO BRUNO (URSUS ARCTOS) NEL
PARCO NATURALE ADAMELLO BRENTA IN RELAZIONE
ALLE FONTI DI DISTURBO ANTROPICO
MUSTONI A., CALIARI A., ZIBORDI F., BONARDI A., CARLINI E.,
CHIRICHELLA R., CHIOZZINI S.
Gruppo di Ricerca e Conservazione dell’Orso Bruno del Parco Naturale Adamello Brenta
via Nazionale 24, 38080 Strembo (TN)
Tel.: +390465806655; E-mail: [email protected]
Nel territorio del Parco Naturale Adamello Brenta (Trentino) è presente una popolazione di
Orso bruno (Ursus arctos), frutto di un progetto di reintroduzione realizzato a partire dal
1996 grazie a contributi LIFE dell’Unione Europea e alla collaborazione della Provincia
Autonoma di Trento e dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica.
Nel tentativo di individuare le migliori misure di conservazione per il plantigrado, è stato
impostato uno studio volto ad individuare le possibili linee di impatto tra le diverse attività
antropiche e la presenza invernale dell’orso.
Più in particolare, ci si è proposti di valutare quali siano le potenziali fonti di disturbo capaci di condizionare la scelta delle tane di ibernazione o il loro eventuale abbandono.
Con questo obiettivo è stata attuata un’indagine di campo volta a individuare il maggior
numero possibile di tane di svernamento. Le cavità esplorate sono state riconosciute come
tane di orso solo nel caso in cui erano rinvenuti giacigli a nido o a lettiera, realizzati dagli
orsi per agevolare la loro ibernazione invernale. In accordo con questo principio sono state
trovate 28 tane, di cui 20 già segnalate in precedenti studi. Tutti i siti di svernamento sono
risultati compresi tra una quota minima di 970 m s.l.m. e una massima di 1970 m s.l.m.
(media = 1471,1 m s.l.m.; N=28). Gli ingressi sono risultati mediamente alti 0,60 m (minmax = 0,2–1,4 m; N=28) e larghi 2,05 m (min-max = 0,5 – 8,0 m; N=28), mentre la lunghezza massima dell’interno delle cavità è mediamente di 5,75 m (min-max = 1,4 – 35,0 m;
N=28), la larghezza di 2,7 m (min-max = 0,9 – 9,0 m; N=28) e l’altezza di 1,11 m (min-max
= 0,5 – 4,5 m; N=28). L’angolo di esposizione degli ingressi rispetto al nord è mediamente
di 152,2° (min-max = 0 – 310°; N=27).
Grazie all’utilizzo di un Sistema Informativo Territoriale, per ogni tana è stata poi calcolata
la distanza dalle principali fonti di disturbo antropico (centri abitati, strade asfaltate, piste
forestali, principali sentieri ecc.) con l’obiettivo di avanzare ipotesi in merito alla sensibilità
dell’orso nei loro confronti.
Nonostante l’indagine debba essere considerata preliminare, soprattutto in relazione all’esiguità dei dati raccolti, è stata confermata la necessità da parte della specie di disporre di zone
di svernamento caratterizzate da scarso disturbo antropico.
Va peraltro evidenziato come la variabilità delle situazioni osservate rafforzi l’idea che gli
orsi siano animali con uno spiccato “comportamento individuale”, capaci di adattarsi anche
a situazioni differenti da quelle più consone alla specie.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
UNGULATI RECUPERATI IN PROVINCIA DI PORDENONE:
ANALISI DEI DATI E PROPOSTE GESTIONALI
FASANO D.1, FILIPPIN D.2
1
2
via Montessori 17, 30026 Portogruaro (VE); E-mail: [email protected]
Provincia di Pordenone, Comando di vigilanza ittico-venatoria, via Rovereto 3
33170 Pordenone
Dal 2000 il Comando di vigilanza ittico-venatoria della Provincia di Pordenone ha archiviato tutti i dati relativi ai recuperi di fauna selvatica in difficoltà o morta di sua competenza. Recentemente si è provveduto alla revisione ed analisi dei dati dal 2000 al 2003. Dei
1178 animali recuperati, il 59,9% sono stati mammiferi e di questi il 64,4% ungulati, in particolare, caprioli (Capreolus capreolus, N=361) e cinghiali (Sus scrofa, N=55); decisamente inferiore è stato il ritrovamento di altre specie, quali Cervo (Cervus elaphus, N=14),
Camoscio (Rupicapra rupicapra, N=13), Muflone (Ovis orientalis, N=7), Daino (Dama
dama, N=3).
Il Capriolo in Friuli Venezia Giulia è diffuso in tutta la zona montana e collinare e in pianura, fino alle zone perilagunari. In provincia di Pordenone attualmente si stima una popolazione di 5500 esemplari. Il 33,2% degli individui recuperati è stato investito su strade, il
6,3% era affetto da malattie e il 9,4% è stato recuperato per altre cause, soprattutto per annegamento in canali e condotte. Le predazioni, attribuite tutte a cani vaganti, sono state 21
(5,8%). Oltre il 50% dei recuperi ha avuto luogo nei comuni della fascia pedemontana. Gli
investimenti di entrambi i sessi aumentano nei mesi primaverili fino ad un picco in maggio.
Successivamente l’andamento si differenzia tra i sessi con un secondo picco estivo per i
maschi, corrispondente al minimo annuale delle femmine, per le quali è stato registrato un
secondo picco in autunno, quando gli investimenti dei maschi si azzerano.
Il Cinghiale in provincia di Pordenone si è diffuso spontaneamente dalla fine degli anni ‘70,
con un marcato incremento negli anni ’90. Attualmente la specie è presente in 32 dei 51
comuni della provincia con un numero di individui stimabile in qualche centinaio di capi.
La causa principale d’intervento è stata l’investimento stradale (74,6%). Il fenomeno nel
periodo in esame si è sviluppato in modo pressoché esponenziale passando da 3 a 30 interventi l’anno e la sua proiezione nel tempo potrebbe destare nei prossimi anni qualche preoccupazione se non verranno adottate delle misure consone di contenimento e gestione. Circa
due terzi degli investimenti sono avvenuti nei mesi estivi, da maggio a settembre, e la restante parte, in inverno. La frequenza delle femmine investite è stata più del doppio di quella dei
maschi.
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Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
BIOMETRIA DEL POPOLAMENTO DI UNGULATI DELLA
PROVINCIA DI SIENA
BRANGI A.1, MAZZONI DELLA STELLA R.2
1
2
Settore Faunistico Ambientale, Provincia di Pavia, via Taramelli, 27100 Pavia
Servizio Difesa Fauna, Provincia di Pisa, piazza Vittorio Emanuele II 14, 56125 Pisa
E-mail: [email protected]
L’attività venatoria sul popolamento di ungulati della provincia di Siena ha avuto inizio nel
1990 per il Capriolo, nel 1992 per il Daino e nel 1996 per il Muflone. Da allora tutti gli animali abbattuti sono stati esaminati da personale tecnico che ne ha determinato il sesso, l’età,
il peso prima dello svuotamento dei visceri e dal 1998 anche la lunghezza della mandibola.
Il valore del peso è stato confrontato tramite test t di Student e one-way ANOVA per valutare le differenze stagionali, tra sessi, classi di età, anno di abbattimento e distretto di caccia. Sono anche state effettuate Analisi di Regressione con stima di curve, al fine di valutare le relazioni esistenti con la lunghezza della mandibola, e Analisi di Regressione Multipla
Stepwise, al fine di evidenziare gli eventuali legami esistenti tra caratteristiche ambientali e
dimensioni corporee medie delle diverse specie di ungulati.
Il valore medio del peso dei caprioli è risultato 22,1 kg (E.S. = 0,05; N = 6150) e della lunghezza della mandibola 15,4 cm (E.S. = 0,04; N = 1122); la lunghezza della mandibola è
risultata correlata significativamente con il peso per quanto riguarda la totalità degli individui (R2 = 0,77). Differenze significative sono state riscontrate tra i sessi, le classi di età, gli
anni e i distretti; quest’ultima differenza è risultata legata in maniera minima alle caratteristiche ambientali (R2 = 0,15). Infine il peso misurato nelle due stagioni non è stato significativamente diverso.
Il valore medio del peso dei daini è risultato 59,2 kg (E.S. = 0,58; N = 1332) e della lunghezza della mandibola 19,0 cm (E.S. = 0,17; min-max = 12,0-23,5; N = 243) e la lunghezza della mandibola è risultata correlata significativamente con il peso (R2 = 0,49). Differenze
significative sono state riscontrate tra i sessi, le classi di età e gli anni, mentre il peso misurato nelle due stagioni e nei diversi distretti non è stato significativamente diverso.
Sul totale degli individui di Muflone abbattuti il valore medio del peso è risultato 34,8 kg
(E.S. = 0,75; N = 237) e della lunghezza della mandibola 16,6 cm (E.S. = 0,27; N = 65);
anche in questo caso i due parametri sono risultati correlati significativamente tra loro (R2 =
0,81). I valori misurati differiscono in maniera statisticamente significativa tra i sessi, le
classi di età, le stagioni e non tra gli anni, e i distretti di caccia.
153
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
STRUTTURA DELLE POPOLAZIONI DI CAPRIOLO, DAINO E
MUFLONE DELLA PROVINCIA DI SIENA
BRANGI A.1, MAZZONI DELLA STELLA R.2
1
2
Settore Faunistico Ambientale, Provincia di Pavia, via Taramelli, 27100 Pavia
Servizio Difesa Fauna, Provincia di Pisa, piazza Vittorio Emanuele II 14, 56125 Pisa
E-mail: [email protected]
I dati riportati sono stati raccolti durante censimenti da punti di vantaggio effettuati dal 1998
al 2000 in provincia di Siena; essi sono stati espressi come numero di individui per classi di
sesso e di età; i valori trovati nei diversi Ambiti Territoriali di Caccia (ATC) e distretti sono
stati confrontati tra loro tramite test Chi-quadrato. Il rapporto sessi è stato espresso come
numero di femmine per maschio e lo scostamento dal rapporto teorico 1:1 è stato verificato
tramite il test Goodness of Fit. Per valutare la produttività delle popolazioni è stato utilizzato il numero di giovani per femmina. I valori medi misurati nei diversi ATC e distretti sono
stati confrontati tramite one-way ANOVA.
Nella popolazione di Capriolo residente in provincia di Siena i maschi sono il 46,2% e le
femmine il 53,8%; i giovani sono pari al 26,8% dell’intera popolazione, i subadulti al 19,4%
e gli adulti al 53,8%. Il rapporto sessi sul complesso della popolazione esclusi i giovani è
pari a 1,16 e si discosta significativamente da quello paritario (2 = 5,75; g.l. = 1; P = 0,017).
La produttività media della popolazione risulta pari a 0,7 piccoli per femmina. Le cucciolate composte da 1 giovane rappresentano il 33,4%, quelle da 2 giovani il 64,3% e quelle da
3 giovani il 2,3%. Sono state registrate differenze significative tra molti dei parametri osservati nei diversi ATC e distretti.
Per la popolazione di Daino, i maschi rappresentano il 33,1% e le femmine il 66,9%; i giovani sono pari al 19,8%, i subadulti al 20,6% e gli adulti al 59,6%. Il rapporto sessi si discosta in maniera statisticamente significativa da quello paritario sul complesso della popolazione esclusi i giovani (RS = 2,02; 2 = 19,13; g.l. = 1; P = 0,001). La produttività media è
pari a 0,4 piccoli per femmina. Anche in questo caso si sono registrate differenze statisticamente significative per alcuni dei parametri considerati, misurati nei diversi ATC e distretti.
Per la popolazione di Muflone, i maschi rappresentano il 35,1% degli animali sessati e le
femmine il 64,9%; i giovani sono pari al 26,7% dell’intera popolazione, i subadulti al 26,7%
e gli adulti al 46,6%. Il rapporto sessi, pari a 1,85, si discosta in maniera statisticamente
significativa da quello paritario sul complesso della popolazione (2 = 10,94; g.l. = 1; P =
0,001). La produttività media della popolazione di Muflone residente in provincia di Siena
risulta pari a 0,9 piccoli per femmina. Solo in pochi casi sono state registrate differenze statisticamente significative tra i parametri osservati nei diversi ATC e distretti.
154
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
LA MASSA MATERNA E’ UN BUON INDICATORE
DELL’INVESTIMENTO RIPRODUTTIVO?
IL CASO DEL MUFLONE BIGHORN (OVIS CANADENSIS)
FEDER C., FESTA-BIANCHET M.
Université de Sherbrooke, Québec, Canada; E-mail: [email protected]
Lo studio di come l’investimento materno vari secondo la disponibilità di risorse è un nodo
centrale per comprendere l’ecologia di una popolazione e l’evoluzione delle strategie riproduttive. La massa può avere un effetto sulla sopravvivenza di un individuo o su caratteri
secondari. Da qui l’interesse di determinare se le femmine di bighorn adottino una strategia
di investimento riproduttivo dipendente dalla massa. Inoltre abbiamo voluto evidenziare i
fattori che influiscono sulla massa dell’agnello al termine del periodo di cure materne.
L’area di studio è situata a Ram Mountain in Alberta, Canada (1200-2100 m s.l.m). Durante
la stagione estiva i bighorn, tutti individualmente riconoscibili, sono catturati e pesati 2-6
volte tra metà maggio e fine settembre. I pesi vengono poi aggiustati a due date di riferimento (5 giugno-15 settembre per le femmine e 15 giugno-15 settembre per gli agnelli),
considerando la curva di aumento di peso di ogni individuo. I dati presentati si riferiscono
al periodo 1973-2003. Il peso dell’agnello il 15 settembre è la misura dell’investimento
assoluto della femmina poiché tale data coincide approssimativamente con lo svezzamento.
Il rapporto tra la massa dell’agnello e la massa della madre rappresenta l’investimento
materno relativo. La densità della popolazione è descritta come “crescita” (1973-1989) e
“declino” (1990-2003), in base alla proporzione media di agnelli che sono sopravvissuti al
primo inverno (rispettivamente 0,84 e 0,44). Per tutti i modelli (GLMM con l’identità della
femmina come fattore aleatorio) è stato testato l’effetto dell’anno. I dati sono ricavati da 311
coppie femmina-agnello e per 200 agnelli è stato possibile determinare il periodo di nascita. L’effetto della massa materna sulla massa dell’agnello allo svezzamento è molto debole
(r2= 0,02). Tra i numerosi parametri considerati il modello che meglio descrive la massa dell’agnello al termine dell’investimento materno include la massa della femmina, il sesso del
piccolo, la densità della popolazione e le precipitazioni primaverili. L’investimento relativo
è maggiore durante la fase di crescita della popolazione. Il modello finale include la massa
materna, il sesso dell’agnello e la densità di popolazione spiegando il 32% della variabilità
totale. Il periodo di nascita dell’agnello ha un effetto negativo sulla massa in settembre. Il
modello finale include solamente il periodo di nascita e il sesso dell’agnello, mentre la
massa materna non è più statisticamente significativa. Le femmine di bighorn sembrano
adottare una strategia di investimento riproduttivo dipendente dalla massa, anche se la
massa materna per se ha un effetto debole sulla massa dell’agnello alla fine del periodo di
investimento. Inoltre sembra che le femmine più leggere investano più risorse nella riproduzione rispetto alle più pesanti. Infine, numerosi altri parametri hanno un effetto importante sulla massa dell’agnello in settembre e potrebbero mascherare o confondere l’effetto
materno.
155
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
V Congr. It. Teriologia
CONTROLLI SANITARI IN UN SETTORE DI CACCIA ALPINO:
RISULTATI PARASSITOLOGICI
ANDREOLI E.1, CORRADINI BARTOLI G.1, MANFREDI M.T.2,
MATTIELLO S.1
1
Istituto di Zootecnica, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi
di Milano via Celoria 10, 20133 Milano
Tel.: 0250318041; Fax 0250318030; E-mail: [email protected]
2
Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria
Università degli Studi di Milano, via Celoria 10, 20133 Milano
Abbiamo analizzato il contenuto abomasale di 29 cervi, 6 caprioli e 16 camosci abbattuti in
Val Fontana (SO) durante le stagioni venatorie 2002-2004 (settembre-novembre), per determinare le specie elmintiche che infestano questi ungulati selvatici e valutare l’eventuale
interazione con i bovini e gli ovi-caprini presenti nell’area di studio durante il periodo di
alpeggio. Le specie parassitarie riscontrate, appartenenti alla classe Nematoda, superfamiglia Trichostrongyloidea, sono risultate tipiche degli ungulati presenti sull’arco alpino
italiano, tranne Haemonchus contortus che è stato riscontrato nell’abomaso di un camoscio
nel 2004. Sono stati calcolati gli indici epidemiologici di prevalenza, abbondanza ed intensità, per tutte le specie elmintiche rinvenute rispetto al totale dei soggetti. I tricostrongilidi
con maggior prevalenza sono risultati Spiculopteragia spiculoptera per il cervo (62%) ed il
capriolo (67%) e Teladorsagia circumcincta per il camoscio (75%). H. contortus ha mostrato una prevalenza del 6,25%. I dati ottenuti (anche da analisi sierologiche e istopatologiche
sugli stessi animali), rivelano delle buone condizioni sanitarie generali degli ungulati a vita
libera presenti nell'area di studio e fanno propendere per l’ipotesi di un buon rapporto ospite
– parassita nelle tre specie selvatiche. E’ evidente, però, che la presenza, seppur contenuta,
di H. contortus indica la trasmissione di parassiti dagli animali domestici alla fauna selvatica: questo è un aspetto importante da considerare nella gestione dei siti di alpeggio dell’area
di studio.
156
Hystrix, It. J. Mamm. (n.s.) supp. (2005)
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INDAGINE DI HUMAN DIMENSION SUL LUPO
IN DUE CATEGORIE DELLA POPOLAZIONE
DEL VERBANO CUSIO OSSOLA
PASSALACQUA C.
Parco Naturale Alpe Veglia e Severo, Villa Gentinetta, viale Pieri 27, 28868 Varzo (VB)
Con il termine human dimension si intende lo studio della percezione da parte delle persone di fronte ad un fenomeno. Recentemente le ricerche di human dimension sono state utilizzate nell’ambito della gestione e conservazione della fauna. Si è infatti compreso che l’atteggiamento della popolazione rispetto alla tutela di specie di particolare interesse influenza le scelte politiche e socioeconomiche che hanno un effetto determinante sulla conservazione stessa
Lo studio di human dimension si dimostra di particolare interesse se rivolto ad animali quali
i predatori che per loro natura vengono percepiti come pericolosi e portatori di danni.
Il lavoro qui presentato, effettuato nel 2004, costituisce una prima indagine di human dimension rivolta a due gruppi della popolazione della provincia del Verbano Cusio Ossola, che
rappresenta un’area recentemente ricolonizzata dal Lupo (Canis lupus), seppur in poche
unità, dopo decenni di assenza. Le due categorie monitorate sono state gli studenti di terza
media di sette scuole della provincia ed i cacciatori dei tre comprensori venatori della provincia. Per l’indagine si sono utilizzati due tipi di questionari, uno più esteso rivolto ai cacciatori che includeva domande sulla gestione oltre a quelle sulla conoscenza biologica, sull’esperienza personale rispetto ai lupi e alle informazioni socio-demografiche su ciascun
intervistato, ed uno più sintetico per i ragazzi. I cacciatori costituiscono una categoria interessante perché a stretto contatto con il territorio e per il loro atteggiamento spesso conflittuale con il predatore. I ragazzi costituiscono invece una categoria ancora priva di condizionamenti.
Per quanto riguarda i cacciatori l’attitudine negativa aumenta se si passa da un riferimento
allargato su scala nazionale ad un riferimento locale e la politica di protezione del Lupo è
osteggiata sia a livello nazionale (61%) che a livello locale (47%).
Circa il timore per l’incolumità personale, tra i tre predatori evocati nel questionario (Orso
Ursus arctos, Lupo, Lince Lynx lynx) è stato indicato dalla maggioranza l’Orso (36%), non
presente nell’area. Nell’opinione della maggioranza dei cacciatori il Lupo è visto come un
pericolo per i danni prodotti al bestiame domestico (66%), e ancor più nei confronti della
selvaggina (69%). Questo può anche giustificare la netta avversione dimostrata nei confronti
dell’attuale politica di gestione, essendo la gran parte dei cacciatori favorevole all’abbattimento del predatore responsabile dei danni (64%).
Nell’ambito delle valutazioni espresse dagli studenti, la maggioranza degli interpellati
auspica la conservazione del Lupo per le generazioni future (70%) pur avendo scarse conoscenze biologiche sulla specie, al contrario dei cacciatori.
L’analisi costituisce un primo approccio alla valutazione della human dimension riferita al
Lupo alla quale è seguito il coinvolgimento di altre categorie della popolazione al fine di
elaborare una politica gestionale quanto più condivisa.
157
ELENCO AUTORI
ABBENE S.
106
AGNELLI P.
80, 131
AIROLDI G.
100
ALBONI M.
91, 97
ALOISE G.
20, 107, 111, 139
AMORI G.
20, 21
ANDREANI M.
65
ANDREOLI E.
156
ANGELI F.
121
ANGELICI F.M.
21, 78
ANNESI F.
18, 20
ANTONELLI S.
87
APOLLONIO M.
23, 24, 62, 91, 95, 97, 99
APOSTOLICO F.
85, 94
ARMAROLI E.
37
AVANZINELLI E.
99
BADINO G.
79
BALESTRIERI A.
27, 58
BARBABELLA A.
74
BARILI A.
130
BARONI P.
126
BASSANO B.
95, 116
BASSIGNANI F.
126, 140, 143
BAZZOLI F.
105
BELLAVITA M.
39, 128
BEN SLIMEN H.
23
BERTARELLI C.
45
BERTOLINO S.
108, 115, 141, 147, 148
BERTOLOTTO E.
95
BERTORELLE G.
24
BERTOZZI M.
88
BEZZI A.
124
BIZZARRI L.
82
BOITANI L.
65, 69
BONA F.
79
BONARDI A.
117, 151
BONGI P.
95
BONIZZONI A.
129
BÖRGER L.
49, 72, 134, 135
BOSSER PEVERELLI V.
150
BRAGALANTI N.
70, 127
BRANGI A.
153, 154
BREGOLI M.
105, 112
BRUGNOLI A.
121
BRUNELLA A.
100
BRUNET-LECOMTE P.
45, 47
BURATTINI R.
130
BUSATTA S.
38, 136, 146
BUSCEMI A.
36
CAGNACCI F.
53, 109
CAGNIN M.
107, 111
CALIARI A.
151
CALLOVI I.
127
CALVI G.
25, 28
CAMPANA I.
66
CANIGLIA R.
55
CAPANNA E.
18
CAPITANI C.
61, 91, 97, 99, 133
CAPIZZI D.
21
CARLINI E.
70, 93, 117, 149 151
CARLONI E.
126, 140, 143
CARNEVALI L.
29, 42, 64, 118
CASAGRANDE S.
96
CASANOVA J.C.
102, 107
CASCONE C.
59
CASTIGLIA R.
20
CASULLI A.
105
CAVALLETTI L.
89
CAVENAGO C.
120
CEPOLLARO A.
59
CERINOTTI F.
100
CHIARENZI B.
117
CHIOZZINI S.
81, 117, 149, 151
CHIRICHELLA R.
93, 117, 151
CIARAMELLA A.
59
CISTRONE L.
46, 77
CIUCCI P.
65, 71, 92, 95
CIUTI S.
95
CODOLO R.
146
COLANGELO P.
18
COLITTI M.
146
COLLI L.
34
COLOMBI G.
61, 137
CORDERO DI MONTEZEMOLO N. 147, 148
CORRADINI BARTOLI G.
156
CORVETTI S.
130
COULSON T.
49
CRESTANELLO B.
24
CRUCITTI P.
89
D’ALLESTRO V.
130
D’AMICO C.
125
DAVOLI F.
55
DE BARBA M.
55
DE MICHELE G.
49, 134, 135
DE PALMA C.
60
DE SANCTIS A.
45
DEBERNARDI P.
40, 123
DELL’ORSO M.
67
DE MARINIS A.M.
53, 98
DI BELLA C.
107
DI CERBO A.R.
105, 110, 112, 113
DI CLEMENTE G.
39
DI MARTINO P.
84
DI MARZIO P.
84
158
DI MURO G.
DI PIAZZA L.
DI PIERRO E.
DOGA’ S.
DONDINI G.
FABBRI E.
FACCIN F.
FANFANI A.
FARINA N.
FASANO D.
FATTORINI L.
FEDER C.
FERRARI N.
FERRETTI F.
FERRO MILONE N.
FESTA-BIANCHET M.
FILIPPIN D.
FOCARDI S.
FODDAI R.
FORCONI P.
FRANCONI N.
FRANZETTI B.
FRANZETTI E.
FRAQUELLI C.
FUSCO G.
GAFFURI A.
GAGLIO G.
GALDENZI D.
GALUPPI R.
GANDOLFI M.
GANTZ A.
GAVAGNIN P.
GAZZOLA A.
GENNAI A.
GENOVESI P.
GERACI F.
GEREMIA R.
GIANNONI V.
GILIO N.
GRECO C.
GRIGIONI J.
GRIGNOLIO S.
GROTTOLI L.
GUAITA C.
GUBERTI V.
GUSMEROLI E.
HUGONEN J.
°
HURKOVA L.
IACOLINA L.
IKPEBA B.
ISAIA M.
JONES G.
LA FATA I.
LA MORGIA V.
79
LA SCALA A.
122
LABITA M.
100
LADURNER E.
32
LAMBERTI P.
91, 97, 99
LATINI R.
59
LATTUADA E.
149
LAURA L.
25, 28
LEONE M.
89
LO VALVO M.
122
LOMBARDI G.
56, 86
LOVARI S.
29, 49, 51, 63, 72, 134, 135
LOY A.
18, 84
LUCE L.
39
LUCENTINI L.
57
LUCHESA L.
121, 127
LUCHETTI S.
35, 127
LUISELLI L.
21, 78
MACCHIA M.
30, 31
MACCHIO S.
119
MAIO N.
138
MAIORANO L.
65
MALAVASI D.
129
MANCA G.
24
MANCINI M.
33, 87
MANDRICI A.
68
MANFREDI M.T.
105, 110, 112, 113, 156
MANICA A.
49
MARCHESI L.
81
MARTINOLI A. 19, 54, 70, 81, 83, 93, 100, 124
MARUCCO F.
69
MASSERONI E.
83
MASSETI M.
44
MASTRANTONIO M.
39
MASTROIANNI O.
72
MATTIELLO S.
156
MATTIOLI L.
62, 91, 97, 99, 133
MATTIUCCI S.
103
MAURI L.
97, 99
MAZZEI R.
56, 86
MAZZONI DELLA STELLA R.
153, 154
MERIGGI A.
35, 43, 76
MESCHI F.
49, 134, 135
MIGLIORI L.
24
MIGLIOZZI A.
77
MILAZZO C.
107, 111
MINDER I.
63, 66, 72
/
MODRY D.
108
MOLINARI A.
100
MONACO A.
42, 64, 104
MONTUIRE S.
45, 47
MORNATI S.
124
MUCCI N.
22, 55, 58
56, 86
122
100
126, 140, 143
41
55
93
142
144, 145
146, 152
52
155
113
134, 135
105, 112
155
152
53
23
67
49, 72, 134, 135
53
93
104, 149
130
105
106
67
106
72
49
25, 28, 144, 145
91, 99
125
118
107
120
84
76, 104
55
125
95
71, 92
80, 131
37
131
141
108
23, 24
78
79
77
96
159
MUSTONI A.
70, 81, 93, 117, 149, 151
NAPPI A.
44, 45, 47, 138
NASCETTI G.
103
NASSUATO C.
110
NATOLI E.
142
NAVE L.
51
NICOLI F.
104
NICOSIA E.
25, 28
NICOSIA S.
111
NIEDER L.
34, 96
NODARI M.
83
NUTI C.
106
ORUSA R.
105
PACI A.M.
45
PAGNONI G.A.
31
PANARA F.
57
PANIZZA G.
61, 137
PAOLOMBA A.
57
PAPI R.
128
PASCOTTO E.
136, 146
PASSALACQUA C.
157
PATRIARCA E.
40, 123
PECCHIOLI E.
24
PEDROTTI L.
51, 53, 110, 121,127
PELLEGRINI M.
45
PERRONE A.
108, 148, 150
PERROTTA I.
127
PISANI C.
52
PIVOTTI I.
130
POGLAYEN G.
106
POLCE C.
126
POLITANO E.
78
POSILLICO M.
26
POTENA G.
26
PREATONI D.
54, 70, 81, 83, 93, 100, 124
PRIGIONI C.
27, 58
PRIORE G.
27, 58
RAGANELLA PELLICCIONI E.
37, 53, 92
RAGNI B.
57, 68, 82, 85, 94
RANDI E.
22, 54, 58
RAVAIOLI S.
88
REGGIANI G.
84
REGGIONI W.
65, 92
REMONTI L.
27, 58
RICCI F.
45
RIGA F.
29, 30, 31, 42
RIZZOLI A.
109, 113
RONCA F.
130
ROSA’ R.
109
ROSSI I.
95
ROSSO F.
113
RUGHETTI M.
69
RUSSO D.
46, 77
SACCHI O.
35, 43
SAMMARONE L.
26
SANGIULIANO A.
66
SANTINI A.
55
SANTOLINI R.
31
SARA’ M.
17
SCALET G.
113
SCALISI M.
122
SCANDURA M.
23, 24, 97, 99
SCARAVELLI D.
32, 33, 87, 88, 106, 139
SCIMECA S.
111
SCREMIN M.
37
SERGIACOMI U.
56, 86
SFORZI A.
51
SGROSSO S.
27, 58
SIRACUSA M.
98
SORANGELO P.
142
SOTTI F.
43
SPILINGA C.
85
STAIANO A.
59
STEFANI G.
149
STELLA E.
149
STRADIOTTO A.
109
SUCHENTRUNK F.
23
TABARRONI C.
22
TAGLIAFERRI R.
59
TAGLIAPIETRA V.
109
TAMPIERI M.P.
106
TATTONI C.
54
TIOLI S.
109
TOFFOLI R.
61, 123, 137
TOMMASINI M.
127
TORINA A.
111
TOSI G.
54, 70, 81, 83, 93, 100, 126
TOSO S.
29, 37, 42
TOSONI E.
71
TRALONGO S.
129
TRANQUILLO V.
110
TREVISIOL K.
105
TROCCHI W.
30, 31
TUCCINARDI P.
36
VALFIORITO R.
25, 28
VERCILLO F.
57, 94
VERGARI S.
41, 80, 130
VIDUS ROSIN A.
76
VITERBI R.
150
VIVIANI A.
91, 97, 99
VON HARDENBERG A.
116
WAUTERS L.
54, 83, 100, 115
YOUNG C.
72
ZANELLA S.
25, 28, 144
ZANINETTI M.
127
ZIBORDI F.
70, 93, 117, 151
160