Natura Nascosta n° 19 - Gruppo Speleologico Monfalconese
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Natura Nascosta n° 19 - Gruppo Speleologico Monfalconese
Natura Nascosta Numero 19 Anno 1999 pp. 1 - 7 Figure 10 Il VINO CHE NASCE DAL MARE: I VIGNETI DEI COLLI ORIENTALI CRESCONO SU DI UN FONDALE MARINO TROPICALE DI 50 MILIONI DI ANNI FA A vine born from the sea: the vineyards of the Colli Orientali (Friuli, NE Italy) grow on a tropical sea bottom 50 millions of years old Fabio M. Dalla Vecchia Scritto e dedicato a Raffaele Tomat nel giorno del suo 60° compleanno Abstract - The Colli Orientali, litterally theEastern Hills, is a part of the Friuli-Venezia Giulia Region of NE Italy known all over the world for its rare vines (Refosco, Cabernet, Pinot, Tocai, Picolit etc). The quality of the vines are due to the soil which originated from marls and sandstones (Flysch) formed in a deep sea basin of Eocene age (about 50 m.y.a.). The Flysch sometimes contains levels rich in fossils. In particular, the locality of Russiz is rich of corals and other reef organisms, fallen down the slope of the basin from the margins of the Friuli carbonate platform where the coral reefs developed. I Colli Orientali sono una zona del Friuli nota in tutto il mondo per la produzione di vini pregiati. Pochi però sanno che la produzione vitivinicola, così importante per l’economia della zona e per il palato degli intenditori, è strettamente legata alle condizioni geologiche del suolo ove la vite può crescere. Questa pianta, infatti, al pari del castagno, vive solo su suoli silicei («acidi»), cioè cresce e prospera sulla terra derivata da rocce formate da minerali di silicio e non attecchisce sull’altro grande gruppo di suoli, quelli carbonatici («basici»), derivati dalle rocce carbonatiche, ricche quindi di carbonato di calcio. L’Italia del Nord è una delle regioni della Terra più ricche di rocce carbonatiche (calcari e dolomie), basti pensare alle Dolomiti e, in Friuli, alle Prealpi Carniche, Carso e colle di Medea. Tuttavia, i Colli Orientali, ultima propaggine meridionale del sistema montuoso Alpino-Dinarico prima della Pianura Friulana e del mare Adriatico, sono formati da rocce a composizione prevalentemente silicea (quindi ottimale per vite e castagno). Si tratta di alternanze più o meno fitte di strati rocciosi verdi, grigio-piombo, grigio-azzurro o marroncino (talvolta giallastri sulla superficie) friabili, e strati più sottili e resistenti, esternamente di colore giallo, marrone o arancione-rossastro (fig. 1). Le rocce che costituiscono gli strati teneri si chiamano marne (dall’omonima regione della Francia), quelle che formano gli strati duri (noti in friulano con il nome di saldàn) sono le arenarie ed hanno una struttura più grossolana. Le alternanze di marne e arenarie che affiorano nei Colli Orientali hanno uno spessore complessivo di centinaia di metri, continuano quindi in profondità sotto la superficie topografica. Questo spesso corpo roccioso deriva da fanghi (le marne) e sabbie (le arenarie) depositati su di un fondale marino circa 55-45 milioni di anni fa durante l’intervallo del tempo geologico chiamato Eocene. Cinquanta milioni di anni fa la geografia del Friuli era totalmente diversa da quella attuale. Non c’erano nè montagne nè colline e il paesaggio era dominato dal mare. Fig. 1 - Il Flysch, alternanze di marne (tenere) e arenarie (strati più duri). Tutta una zona a forma di fascia, orientata NNO-SSSE a partire dal Gemonese per finire sul Carso, era una depressione marina profonda (bacino) (fig. 2). In questa depressione si depositavano per decantazione i fanghi fini, messi in sospensione da correnti marine e tempeste o portati dai fiumi. Ogni tanto, un terremoto o un uragano faceva franare dai margini del bacino sino sul fondo le sabbie che costituiscono gli strati di arenarie. Talvolta, anche sedimenti più grossolani come le ghiaie, potevano franare e depositarsi al fondo. Vi erano inoltre dei delta fluviali che, progradando da NNE verso SSO (fig. 2), tendevano a colmare il bacino con ghiaie, sabbie e fanghi. Tutti questi sedimenti provenivano dall’erosione delle Alpi che stavano iniziando a formarsi più a nord e a est. Durante i maggiori eventi tellurici anche parti dei fianchi del bacino franavano, formando accumuli -potenti decine di metri - di grandi blocchi rocciosi che raggiungono anche dimensioni di 40x30 metri. Una di queste megafrane si osserva nella cava Italcementi di Vernasso, vicino a Cividale del Friuli. L’accumulo di strati sopra altri strati e la successiva compattazione e cementazione, ha trasformato i sedimenti in rocce e ha portato - in milioni di anni al colmamento del bacino marino. Fig. 2 - Schema paleogeografico del Friuli orientale di circa 50 milioni di anni fa. 1) Aree emerse, 2) aree sottomarine direttamente influenzate dai delta fluviali, 3-4) aree bacinali (4: aree bacinali più profonde), 5) piattaforma carbonatica Friulana. Da PIRINI RADRIZZANI et al. (1986). Fig. 3 - Le colline nei dintorni di Russiz superiore, costituite dal Flysch, coltivate a vigneto. La depressione marina in cui si depositavano fanghi, sabbie e ghiaie era bordata a sud (in una area che ora è coperta dalla pianura Friulana, formatasi 12.000 anni fa dallo scioglimento dei ghiacciai, ma questa è un’altra storia...) da un zona piatta di mare basso, chiamata piattaforma carbonatica Friulana (fig. 2), coperta da scogliere coralline e più o meno simile alla barriera corallina australiana attuale. Cinquanta milioni di anni fa la nostra regione si trovava più a sud di adesso e il clima era di tipo tropicale. Le potenti successioni di strati rocciosi derivate dal colmamento del bacino (note col nome di Flysch) vennero successivamente coinvolte nell’innalzamento della catena montuosa Alpino-Dinarica, causato dallo scontro tra continente Africano e continente Euroasiatico. Le rocce vennero quindi compresse, piegate, innalzate, ribaltate a formare le attuali montagne e colline (fig. 3). Dai margini della piattaforma Friulana, cinti dalle scogliere coralline, franavano giù lungo i fianchi e sul fondo del bacino anche gli scheletri e i gusci degli organismi che vivevano nella scogliera. Nei Colli Orientali vi sono località fossilifere classiche, note sino dal secolo scorso, come Noax, Casali Otellio, Rocca Bernarda, Buttrio e Russiz. Nelle prime tre località si rinvengono soprattutto resti di conchiglie (gasteropodi, bivalvi) e coralli. A Buttrio si trovano per lo più ricci di mare. Nelle colline di Russiz (fig. 3), tra i vigneti, abbondano i resti dei costruttori delle scogliere: coralli (sclerattinie, ottocoralli, idrozoi, figg. 4-7) e alghe calcaree. Si osserva persino un enorme blocco calcareo di parecchi metri cubi (si veda MADDALENI, 1997, fig. 4), incastonato tra le marne e le arenarie, che rappresenta un pezzo di scogliera franato per centinaia di metri se non chilometri dai bordi del bacino sul fondo. Tra gli organismi marini che si trovano fossilizzati vi sono inoltre gasteropodi (fig. 8), bivalvi, resti di ricci di mare, spugne, briozoi, vermi incrostanti a testimoniare una eccezionale ricchezza di forme di vita. Dappertutto sono comuni i gusci - a forma di lenticchia o monetina (fig. 9) - di organismi unicellulari chiamati nummuliti (dal latino nummus, che significa proprio moneta) e tipici di quell’intervallo di tempo geologico (si estinsero circa 35 milioni di anni fa). Lo stato di conservazione dei fossili di Russiz è eccezionale: si possono osservare tutti i dettagli degli scheletri calcarei di organismi vissuti 50 milioni di anni fa e per un momento, chinandosi a terra per raccogliere questi fossili, si ha la sensazione di trovarsi in riva ad una spiaggia del Mar Rosso piuttosto che su di una collina in Friuli. Quando vi assaporate un Refosco dal Peduncolo Rosso (fig. 10) o un Tocai Friulano dei Colli Orientali, meditate: quel vino ha una radice vecchia di 50 milioni di anni. Fig. 8 - Gasteropodi, Russiz superiore. L'esemplare a sinistra è "incrostato" da un corallo. Fig. 9 - Nummuliti, Russiz superiore. Fig. 10 - Una bottiglia di Refosco e un gasteropode di Russiz superiore. Opere citate M ADDALENI P. (1997) - I coralli di Russiz nel Collio orientale (Luteziano inferiore, Gorizia, Italia Nord-orientale). Gortania, v. 19, pp. 61-84. PIRINI RADRIZZANI C., TUNIS G. & VENTURINI S. (1986) -Biostratigrafia e paleogeografia dell'area sud-occidentale dell'anticlinale M. Mia - M. Mataiur (Prealpi Giulie.). Riv. It. Paleont. Strat., v.92(3), pp.327-382. Natura Nascosta Numero 19 Anno 1999 pp. 8 - 9 Figure 1 L’ESPOSIZIONE PALEONTOLOGICA DELLA ROCCA DI MONFALCONE Michela Edalucci e Matteo Duca Si ritiene che la Rocca (fig. 1) sia stata edificata attorno al 490 d.C. con il nome originario di Verruca Montis Falconis (la traduzione è “sommità del monte Falcone”). Essa ha resistito fino ai giorni nostri aiutata dal restauro e ora è affidata dal Comune di Monfalcone alle cure del Gruppo Speleologico Monfalconese A.d.F. che vi ha allestito al suo interno l’attuale esposizione paleontologica. La parte espositiva è costituita da due sale: una inferiore e una superiore. Incominciando dalla prima sala, la vetrina a sinistra (n. 1) fornisce una spiegazione generale su cosa sono i fossili, come si sono formati e a quali intervalli del tempo geologico risalgono. La vetrina n° 2 introduce, con raffigurazioni molto semplici e dirette, il processo di fossilizzazione, sottolineando le continue “metamorfosi” della crosta terrestre. Il processo di fossilizzazione vero e proprio viene illustrato nella vetrina n° 3, dove troviamo un’interessante ricostruzione al riguardo. La vetrina n° 4 fornisce, quindi, una chiara spiegazione del significato e degli scopi della Paleontologia. Nella vetrina n° 5 troviamo una ricostruzione schematica dei principali ambienti di sedimentazione e fossilizzazione, effettuata mediante illustrazioni riassuntive. Le vetrine successive delle sale 1 e 2 espongono i reperti delle più importanti località fossilifere del Triveneto e dell’Istria, con ampie testimonianze della flora e della fauna fossile del Carso e del Friuli. Come si può dedurre da questa breve guida, il pregio principale dell’esposizione è la sua semplicità e chiarezza nel descrivere i fenomeni geologici, nello spiegare che cos’è un fossile e come si è formato e nel fornire una descrizione sintetica dei fossili esposti, dei quali è riportata la determinazione, la provenienza e l’età. L’esposizione, inoltre, è ricca di illustrazioni a colori e di fotografie che lo rendono adatto alla visita dei bambini accompagnati dai genitori. La famiglia può decidere per una piacevole passeggiata domenicale nel verde del Carso e giungere fino alla Rocca. Una volta arrivati, oltre a godere del magnifico panorama sulla città di Monfalcone e sul Golfo di Panzano, si può entrare nella Rocca e vedere l’esposizione. L’entrata è gratuita, perciò il legame tra utile e dilettevole qui non ha alcun impedimento (se non vogliamo addentrarci nello spinoso problema delle barriere architettoniche e di quelle socio-culturali dei visitatori…e dei bagni evanescenti). Nonostante ciò i visitatori sono pochi. Per quale motivo? Durante uno dei turni di apertura dell’esposizione sono state poste ai fruitori delle domande per tentare di chiarire i motivi della poca affluenza. Dalle risposte è emerso che la maggior parte di loro non aveva alcuna idea della presenza del l’esposizione paleontologica allestita all’interno della Rocca. Chi ne era al corrente invece si lamentava che fosse spesso chiusa. D’altra parte, il Gruppo Speleologico A.D.F. di Monfalcone opera il possibile per far conoscere il suo impegno culturale con il programma didattico nelle scuole, con gli stands occasionalmente allestiti e con il rilascio dei volantini sui quali, per altro, è indicato anche l’orario di apertura dell’esposizione della Rocca (giorni festivi maggio - luglio 10-12 e 16–19 e settembre – aprile 10-12 e 14-17), ma evidentemente tutto ciò non basta. Questo articolo forse non sarà sufficiente, ma è un altro piccolo contributo nel tentativo di risvegliare l’interesse di un potenziale futuro visitatore. Infine, un piccolo monito: se egli fosse di nazionalità diversa da quella italiana potrebbe avere qualche difficoltà a capire le didascalie e gli schemi, riportati solo in italiano (questo purtroppo è già successo). Speriamo, allora, che prossimamente ci possa essere un rinnovamento in tal senso e così anche noi avremo fatto un piccolo passo in avanti nei confronti dei nostri affezionati visitatori stranieri. Fig. 1 - Veduta della Rocca di Monfalcone, sede espositiva del Museo. Natura Nascosta Numero 19 Anno 1999 pp. 10 - 19 Figure 13 THE FOSSILS OF THE CRETACEOUS LAGERSTÄTTE OF POLAZZO (FOGLIANO-REDIPUGLIA, GORIZIA, NE ITALY) Davide Rigo Abstract - The fossils of the Lagerstätte of Polazzo (Fogliano-Redipuglia, NE Italy), represented mainly by fishes, are here briefly described. They are found in the “Calcari di Aurisina” representing deposition in an inner carbonate platform setting and their age is early Senonian (Late Cretaceous). Riassunto - Sono brevemente descritti i fossili, rappresentati principalmente da pesci, del Lagerstätte di Polazzo (Fogliano-Redipuglia, NE Italy). I livelli fossiliferi, datati al Senoniano inferiore (Cretaceo superiore) si trovano nei “Calcari di Aurisina”, formatisi in un ambiente di piattaforma carbonatica interna. Key words: Lagerstätte, Cretaceous, Fishes, NE Italy. Introduction The presence of fossil fishes in the Cretaceous limestones around Polazzo was firstly reported by STACHE (1889) and D’ERASMO (1912, 1946, 1952) described remains from this area. During the 70’s the accidental discovery of other fossil remains awoke the interest on the site and, at the end of the 80’s, led to the discovery of a relatively rich fossiliferous outcrop (outcrop A). Under the direction of Prof. Nevio Pugliese (University of Trieste) excavations were made between 1990 and 1993. During this field work more than 750 specimens, mainly fishes, were collected. Another outcrop (B), placed about 500 metres SW from the first one, was excavated beginning during 1996-199. Some hundred of specimens were collected. All the fossils are now deposited at the Museo Paleontologico Cittadino, Monfalcone (Gorizia). Site setting The little village of Polazzo is situated near Fogliano-Redipuglia (Gorizia) in the southern borders of the Karst. The site is included in the following topographic maps: Tavoletta 1:25000 40a IV Sud Ovest of the Istituto Geografico Militare and in the Carta tecnica Regionale, sezione 088100 Sagrado, elemento 088102 Fogliano-Redipuglia. The first outcrop is placed near a forest road that leads to the village of Doberdò del Lago, 77 m above sea level, near an oil pipeline. Geological setting and stratigraphy Recently BERNOULLI et alii (1996) suggested a palogeographic reconstruction of the Late Cretaceous Periadriatic region as it was constituted by three bahamiantype carbonate platforms, separated by deep basins. Rudist reefs were widespread on these platforms, giving rise to internal shallow lagoons (TINTORI et alii, 1993). The main lithology in the Polazzo area consists in limestone rich in rudists and microfossils, while the Lagerstätte interval is made up of thinly laminated limestones, light grey-brownish colored with stromatolite-like structures. According to MARTINIS (1962) the interval is included in “Calcari di M.te S.Michele” unit (Cenomanian-Maastrichtianian), while TENTOR et alii (1994) set it in “Calcari di Aurisina” (Turonian-lower Senonian). The presence of the foraminifer Moncharmontia apenninica just below the fossiliferous interval, and of Accordiella conica and Sgrossella partenopea at the top of it suggests that this should be considered as early Senonian in age (TINTORI et alii, 1993). Fossils The fossil association is made up of vertebrates (fishes and rare reptiles), rare benthic invertebrates, algae and land plants. VERTEBRATES Osteichthyes Pycnodontiformes (figs. 1- 2) Pycnodonts are relatively common in the Polazzo ichthyofauna. They are found mainly as fragments of jaws with teeth, but at least one well preserved specimen (fig. 1) is present in the 1990-93 collection from the first site, showing the typical body shape and teeth. These specimens were provisionally attribuited to the genus Coelodus, distinguishing a “form A” from a “form B” (RIGO , 1998). During 199899 field work in the site B, many new specimens were found. They suggests that all the specimens could belong to another genus. Pycnodonts lived along the reef feeding on corals and calcareous algae that thrived among the rudists (TINTORI et alii, 1993). Anguilliformes? (fig. 3) Part of the body of a possible eel has been found and, if the identification is correct, it could be the oldest Italian specimen of this kind of fish. Aulopiformes: Enchodontoidei: Enchodontidae: Enchodus? Some fragmentary specimens (fig. 4) were provisionally attribuited with doubt to this large predator. Aulopiformes: Ichthyotringoidei: Dercetidae: Rhynchodercetis The elongated rostral region and the double transverse process in dorsal vertebrae permit an easy identification of this genus (figs. 5- 6). Rhynchodercetis is the most common fish in the site and specimen of very different size have been found (see figs. 5- 6). It was a fast predator who swam on the water surface to capture its preys. Gonorhynchiformes: Chanoidei: Chanidae: Parachanos? Some fragmentary specimens (fig. 7) have been provisionally attribuited to Parachanos but the material is not sufficient to give a certain attribution. Cypriniformes? (fig. 8) At least two different forms of little fishes have been found. Gloria Arratia (Museum of Natural History, University of Kansas; pers. comm.) suggested a possible attribution of them to the order Cypriniformes. Cypriniformes are usually considered fresh water fishes. Beryciformes (fig. 9) Also in this case two different forms have been distinguished. The specimens can be identified as different from other small fish of the same group, by the presence of some spines in the dorsal fin. Reptiles Chelonia (fig 10) The presence of turtles in Polazzo is testified to by scattered fragments of carapaces and plastrons, appendicular, axial and girdle bones. Crocodylia A single tooth has been found in the outcrop A. Two possible crocodile teeth are found in the site B. INVERTEBRATES Arthropoda Decapoda A few parts of the abdominal segment of shrimps were found. Mollusca Bivalvia:Hippuritacea Few fragments of rudists were found in the outcrop A. ALGAE cfr. Phaeophyta (fig. 11) Large ramified specimens without any clear structure (e.g. spicules) and possibly belonging to brown algae were collected in the outcrop A. Some centimeter-long fragments of undetermined algae are characterized by light alveolar structures on the thallus. PLANTS Gymnosperma All plant remains are preserved as light marks without any kind of structure. Branches of Coniferales (cf. Sequoia, fig. 12) and Araucariaceae are found in the site A. Possible Dicotyledonae (little oval leaves) are present too. Fig. 1 - Pycnodont (Coelodus "form A" of RIGO , 1998). Picnodonte (Coelodus "forma A" di RIGO, 1998). Fig. 2 - Pycnodonts from the outcrop B. Picnodonti dell’affioramento B. Fig. 3 - Possible eel from the outcrop A. Scale bar centimetric. Possibile anguilla rinvenuta nell’affioramento A. Scala di riferimento centimetrica. Fig. 4 - Fragmentary specimen of ?Enchodus, site A. Scale bar centimetric. Esemplare frammentario di ?Enchodus, sito A. Scala di riferimento centimetrica. Fig. 5 - Rhynhodercetis sp. from the outcrop B. Rhynhodercetis sp. dall’affioramento B. Fig. 6 - Rhynchodercetis sp., small, probably juvenile specimens from the outcrop B. Rhynchodercetis sp., piccoli esemplari, probabilmente giovanili dall’affioramento B. Fig. 7 - ?Parachanos sp. from the outcrop A. ?Parachanos sp. dall’affioramento A. Fig. 8 - A possible Cypriniformes from the outcrop A. Scale bar centimetric. Un possibile Cypriniformes rinvenuto nell’affioramento A. Scala di riferimento centimetrica Fig. 9 - Beryciformes from both outcrops. Beryciformes trovati in entrambi i siti. Scala di riferimento centimetrica. Fig. 10 - Chelonia, armour plates and humerus, outcrop A. Scale bar centimetric. Chelonia, piastre del carapace e omero, affioramento A. Fig. 11 - Probable brown algae (cfr. Phaeophyta), outcrop A. Probabili alghe brune (cfr. Phaeophyta), affioramento A. Fig. 12 - A conifer branch (cfr. Sequoia), outcrop A. Un ramo di conifera (cfr. Sequoia), affioramento A. Fig. 13 - Strange, net-shaped ichnofossils, putcrop B. Curiosi icnofossili a forma di rete, affioramento B. References BERNOULLI D., A NSELMETTI F.S., EBERLI G.P., M UTTI M., PIGNATTI J.S., SANDERS D.G.K. & VECSEI A. (1996) - Montagna della Maiella: the sedimentary and sequential evolution of a bahamian-type carbonate platform of the south-tethyan continental margin. Mem. Soc. Geol. It., v. 51(3), pp. 7-12. D’ERASMO G. (1912) - Il Saurorhamphus Freyeri Heckel degli scisti bituminosi cretacei del Carso triestino (Comen, Malidol e Vucigrad). Boll. Soc. Adriat. Sc. nat. Trieste, v. 36 (I), pp. 45-88. D’ERASMO G. (1946) - L’ittiofauna cretacea dei dintorni di Comeno nel Carso Triestino. Atti R. Acad. Sci. Fis. 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Natura Nascosta Numero 19 Anno 1999 pp. 20 - 22 Figure - FUNZIONI E CARATTERISTICHE DI UN MODERNO MUSEO NATURALISTICO Fabio M. Dalla Vecchia Le funzioni di un museo moderno sono: 1) Conservazione delle collezioni 2) Ricerca scientifica nel proprio ambito disciplinare 3) Divulgazione Alla conservazione , per quanto riguarda un museo paleontologico, viene data in Italia una importanza particolare in quanto i fossili sono beni indisponibili dello Stato, secondo l’art. 1 della legge 1089/1939. Il Museo è quindi il luogo ufficiale di deposito e di cura di parte del patrimonio (inventariato) dello Stato. La conservazione richede, oltre alle norme di protezione e tutela, anche la numerazione, registrazione, inventariazione ed eventualmente, schedatura dei reperti. Questo riguarda sia il materiale già presente nelle collezioni al momento di istituzione del Museo, sia i reperti che entrassero successivamente, per donazioni, acquisizioni o campagne di scavo. Infatti nell’ambito della conservazione e collegato con la funzione scientifica del Museo, bisogna considerare anche l’incremento delle collezioni, secondo un ottica museologica e, quindi, in linea di massima decisa “a tavolino”. L’incremento delle collezioni può avvenire secondo acquisizioni tematiche (per esempio, un museo potrebbe mirare a specializzarsi sui vertebrati quaternari oppure incrementare la collezione didattica) oppure attraverso campagne di scavo. Quest’ultima soluzione riguarda soprattutto i musei legati ad un territorio particolarmente ricco e interessante. I reperti non oggetto di esposizione dovranno essere custoditi in appositi locali e secondo criteri che ne garantiscano la corretta conservazione, prevedendo in anticipo l’occupazione di spazio che i futuri incrementi richiederanno. La seconda funzione riguarda lo studio e valorizzazione scientifica del patrimonio del Museo o di reperti che abbiano qualche connessione con questo. La pubblicazione in riviste specializzate dei risultati dei vari argomenti di studio è la naturale via di espressione di questa funzione. La quantità e qualità delle pubblicazioni da parte del personale di un Museo è un termometro della sua vitalità scientifica. I fossili ottenuti nelle campagne di scavo dovranno essere preparati per lo studio e anche l’esposizione negli appositi laboratori idoneamente attrezzati per questa funzione. I laboratori saranno allestiti a norma di legge per tutelare la salute di chi vi lavora. Una biblioteca specialistica, fornita delle opere indispensabili per la ricerca e sempre incrementata a questo fine, è parte integrante di un Museo. L’attività scientifica, la responsabilità e la cura delle collezioni dipendono dal personale scientifico che opera nel Museo. Il buon funzionamento di questo dipende da loro e dall’operato dell’ente gestore. Lo “spessore” dell’attività scientifica di una istituzione museale, oltre a dare prestigio allo stesso, ha una ricaduta sulla terza funzione, la divulgazione. La divulgazione avviene mediante molteplici veicoli. Il principale, intrinseco al Museo stesso e spesso confuso con esso, è l’esposizione permanente cioè le sale espositive. La superficie espositiva e la sua qualità scientifica e museografica riflettono l’importanza del Museo nonchè le ambizioni e le qualità organizzative dell’ente gestore. Le sale espositive sono l’aspetto “pubblico”, l’immagine permanente del Museo e quindi devono essere particolarmente curate, con un progetto scientifico che parta da presupposti certi e con un “target” ben preciso. Sarà principalmente l’esposizione permanente che farà dire al contribuente “almeno i miei soldi sono stati spesi bene”. Seguendo certe tematiche, le sale espositive possono diventare meta di visita da parte di un numero elevato di persone ed essere, quindi, oggetto di sviluppo economico, come si dirà oltre. La maggiore comprensione delle sale espositive potrà essere integrata da visite guidate, prestazione fornita da personale appositamente istruito. Tuttavia, il Museo moderno non è più quella pesante ostensione di oggetti tipico degli allestimenti museali del passato (il “museo” nella sua accezione deteriore e tetra). L’esposizione del reperto è oggi integrata da didascalie, disegni, fotografie, grafici, modelli, ricostruzioni e sistemi informatici interattivi in modo da permettere l’acquisizione del suo significato reale, al di là di quello di estetico “feticcio”. Un altro veicolo divulgativo sono le pubblicazioni (anche su supporto magnetico o in rete) atte a far conoscere il Museo, le sue attività e i risultati di tali attività. A queste si affiancano le conferenze e i corsi, tenuti dal personale del Museo o da specialiste esterni, che possono interessare il mondo della scuola così come il semplice cittadino. A tal fine un Museo moderno possiede una capiente sala conferenze, attrezzata per l’utilizzo di mezzi audiovisivi. Per le scolaresche si possono attrezzare laboratori didattici, luoghi dove gli scolari imparano a conoscere gli oggetti del Museo e il loro significato attraverso la manipolazione e l’esperienza diretta. Per ultime ma non ultime, ho tenuto le esposizioni temporanee. Esse sono il modo più efficace per tenere vivo l’interesse della gente (soprattutto in ambito locale) verso il Museo. Per queste bisogna individuare degli spazi espositivi ad hoc e idonei allo spessore culturale delle iniziative e alle loro potenzialità di successo. Le funzioni del Museo identificano da sè le necessità organizzative, architettoniche e di spazi del Museo stesso. Uno squilibrio di una delle sue funzioni, oltre a comportare in certi casi complicazioni legali, potrebbe pregiudicare lo sviluppo delle altre. Venendo al caso di un Museo Paleontologico a Monfalcone, a mio avviso non vanno trascurate le potenzialità non solo culturali (che secondo il trend attuale ricevono ben poca attenzione da parte di tutti e ne riceveranno sempre meno) ma anche turistiche e di immagine per la Città, di un’esposizione museale ben congeniata. Questo è stato capito per esempio a Lerici (La Spezia) dove è stato realizzato una specie di “Parco” con le ricostruzioni dei dinosauri e di altri rettili preistorici le cui testimonianze sono state rinvenute in Italia. Il “Parco” è allestito all’interno delle sale di un castello e sono previsti 50.000 visitatori all’anno. L’allestimento è stato realizzato attingendo ai finanziamenti CEE grazie all’intraprendenza e perseveranza dei funzionari comunali. Esisteva comunque già l’esempio di Bolca (VR) dove la presenza del Museo privato di Massimilano Cerato e delle cave da cui vengono estratti i celeberrimi pesci fossili, attirano decine di migliaia di visitatori da tutto il mondo e questo ha portato allo sviluppo turistico di una zona altrimenti depressa e priva di attrattive. Il Museo di Monfalcone ha a disposizione, per citare le cose più importanti, i pesci e altri organismi fossili perfettamente conservati del giacimento di Polazzo (85 milioni di anni), una vera rarità e una peculiarità locale di particolare interesse scientifico; i resti delle scogliere coralline di 50 milioni di anni fa rinvenuti nel Colli Orientali del Friuli; ossa dei mammiferi che popolavano il Carso 750.000 anni fa, tra i quali bisonti, rinoceronti, cervi giganti, cavalli, orsi, iene, tigri dai denti a sciabola e il più antico resto di leone rinvenuto sulla Terra. Inoltre, vi sono i calchi delle impronte di dinosauro dell’Istria, senza dimenticare che al Villaggio del Pescatore è stato scoperto un giacimento di ossa di dinosauro che potrebbe diventare una grande attrattiva. Per favorire l’afflusso turistico e le visite al Museo si dovrebbe allestire una sala dedicata ai dinosauri, partendo dallo spunto che i reperti istriani e quelli del Villaggio del Pescatore ci danno. Quasi tutto il Carso è costituito da rocce che si sono formate nell’era dei Dinosauri e a Polazzo potremmo trovarne i resti fossili. Per attirare i visitatori, oltre alle ricostruzioni del Carso di milioni di anni fa e dell’evoluzione del paesaggio fino ai giorni nostri, si potrebbero esporre le riproduzioni degli scheletri di alcuni dinosauri e le ricostruzioni di altri. I dinosauri sono noti a tutti, eccitano la fantasia della gente, soprattutto dei più giovani, e sono un veicolo di promozione della cultura naturalistica, perchè non sono “fumetti” ma animali veri e propri vissuti nel passato, testimoni di un passato diverso ed ora estinti. Infine, la collocazione di Monfalcone e dell’eventuale edificio museale sono ideali per l’utilizzo a fini turistici del Museo, considerando la vicinanza della strada statale - grande via del traffico vacanziero estivo e del fine-settimana, dell’ampliando polo turistico di Marina Julia, di Grado e di una grande città come Trieste, abitata da gente curiosa che ama “disperdersi” sul territorio e che risponde - per tradizione mitteleuropea - alle iniziative culturali. Natura Nascosta Numero 19 Anno 1999 pp. 23 - 26 Figure - PSICOLOGIA APPLICATA ALLE ATTIVITA’ DIDATTICHE Giorgio Deiuri Riassunto - L’iniziativa didattica comincia già prima dell’incontro con la classe quando il conduttore è ancora solo e deve avere già preparato una scaletta di argomenti da sviluppare e valutato per ogni argomento il livello delle proprie conoscenze. Si parla quindi dell’arrivo della classe e della predisposizione psicologica positiva. E’ opportuno valutare anche se la classe è calma o turbolenta adottando le opportune strategie che verranno mantenute anche durante lo svolgimento dell’attività, cercando nel caso negativo di riportare l’uditorio a un positivo interesse per l’argomento. L’importanza delle attività divulgative sull’ambiente è in questi anni è stata ampiamente sottolineata. La divulgazione viene richiesta anche ai gruppi speleologici soprattutto in merito al Carsismo. Tali attività quando vengono svolte per le scuole possono essere ripetitive. E’ importante allora il giudizio positivo o negativo da parte degli insegnanti. Emerge la necessità di avere alcune conoscenze psicologiche che devono essere tenute sempre in considerazione per evitare il fallimento dell’iniziativa o comunque un giudizio negativo. Vengono forniti suggerimenti per operare in questo senso con successo. I parte: ATTIVITÀ DIDATTICHE IN CAMPAGNA Prima dell’incontro I metodi per aumentare le possibilità di successo in un’attività didattica, sono la valutazione dell’obbiettivo che si vuol raggiungere e la preparazione dell’intervento. L’obbiettivo deve essere interpretato come la volontà di fare un qualcosa di positivo, i mezzi per raggiungerlo e la dialettica. In pratica si tratta di un auspicabile successo per chi lo fa. La preparazione deve contenere un numero di argomenti adeguati al tempo a disposizione, comprensivo dell’introduzione, di una sintesi, e del tempo per la merenda. Per quanto riguarda gli argomenti ci si prepara valutando un argomento alla volta, chiedendosi se si sa svilupparlo bene oppure no. Se si scopre di non saperlo valutare, allora è meglio lasciar perdere o darsi da fare per migliorarlo, in quanto non è vero che il pubblico non sarà sufficientemente maturo, capace di rilevare le vostre gaffes. Poi si passa al secondo argomento e così via. Se durante la preparazione ci sovviene un nuovo argomento, bisogna valutare se può essere compreso nella scaletta, altrimenti si rischia di doverlo esporre in modo troppo conciso e quindi non assimilabile dagli uditori. n pratica la preparazione equivale alla valutazione dei metodi/tempi. Quando arriva la classe Bisogna ignorare tutte le preoccupazioni di casa o del lavoro e concentrarsi sugli aspetti positivi di ciò che si va a proporre, presentandosi all'appuntamento sicuri di convincere. Ad esempio: • dimostrare che si stava attendendo con ansia il loro arrivo (perché ciò facilita l’empatia) • presentarsi (perché ciò facilita la sicurezza di sé) • sorridere (perché ciò facilita la comunicatività) • affermare che sarà una uscita piacevole e intelligente (perché ciò dispone alla curiosità). Le prime occhiate all’uditorio E’ importante comprendere entro i primi 5 minuti il tipo di uditorio che si deve affrontare, per scegliere la migliore strategia che deve comunque essere flessibile. Se l’uditorio dimostra già insofferenza si usa una linea piuttosto dura, o facendo finta di avere un senso di disagio e attendendo in silenzio che il gruppo taccia (senza però polemizzare), o mettendosi sul fianco destro degli alunni più indisciplinati e guardandoli (così si crea in loro un senso di soggezione). Poi gradualmente si porta l’uditorio al coinvolgimento, magari con un sorriso. L’inizio Bisogna considerare che si deve coinvolgere il “branco” dapprima con l’offerta di benefici verbali e poi con la richiesta di azioni verbali o operative. I benefici verbali sono gratificanti per l’uditorio: ad esempio esponendo i brillanti risultati ottenuti grazie alla presenza delle scuole (se non ci fossero, queste non si potrebbero proporre), affermando che per noi e per loro l’uscita sarà anche divertente oltre che istruttiva: insomma è importante far sentire tutti valorizzati e contenti. Il proseguo Solamente dopo avere accontentato l’uditorio si può passare alle azioni di richiesta verbali o operative proponendo, ad esempio, delle domande (che siano naturalmente pertinenti all’argomento che si sta svolgendo) o coinvolgendolo in brevi esperienze. Attenzione benefici azioni azioni = coinvolgimento positivo benefici = coinvolgimento rischioso Quando il gestore dell’attività parla molto e prende tutte le decisioni da solo, si ottiene un gruppo gerarchizzato. In questo caso non è possibile ricevere una comunicazione di ritorno da parte degli altri. E’ una situazione da evitare perché le idee positive altrui vengono soffocate. Se ci si accorge di aver superato alcuni minuti di questo atteggiamento è ora di cambiare..…e passare ad un tipo di gestione collaborativa in cui il coordinatore potrebbe al limite solo indirizzare l’attenzione della classe sugli argomenti che intende proporre e sorvegliare ciò che gli altri fanno, operando come un punto di riferimento per domande e risposte. Attenzione: • non dire cose per le quali mancano prove adeguate, • non farsi coinvolgere in domande che nulla hanno a che fare con l’argomento in corso (per non deviare l’interesse), • cambiare spesso il tono della voce: forte e deciso per le cose importanti (i gesti aumentano notevolmente l’efficacia di quanto si sta dicendo), seguìto da alcuni istanti di silenzio per permettere agli altri di memorizzare, poi proseguire con un tono più blando per le cose meno importanti, • c’è sempre chi fa domande più degli altri. Non bisogna attaccarsi a lui e ignorare il resto del gruppo. La conclusione Se avanza tempo e se il gruppo è interessato, è utile concludere con una breve sintesi. Se non c’è tempo o il gruppo dà sintomi di impazienza, è il caso di evitare la conclusione, ma al momento del commiato è utile ringraziare, dire sorridendo “mi auguro che sia stata un’esperienza piacevole ma soprattutto intelligente……o no?” guardando dritto negli occhi e attendendo una risposta II parte: LE PROIEZIONI Ovviamente si tratta di un argomento più semplice da trattare (e anche più veloce) per cui il coinvolgimento sarà sicuramente inferiore, però bisogna comunque sempre ben disporsi. Prima dell’incontro Dopo essersi presentato, bisogna informare l’insegnante che si ha la necessità di montare i proiettori, di provare la distanza di proiezione, di oscurare la sala e quindi di attendere qualche minuto prima di presentare la classe (ciò vi offre una buona occasione per non affannarvi inutilmente). Quando arriva la classe Vale quanto detto nella prima parte riservata alle uscite in campagna. Infatti, non c’è alcuna differenza nell’atteggiamento positivo con cui uno deve presentarsi. Prima della proie zione Se l’insegnante non ha preparato la classe sull’argomento che dovrete trattare (capita!), dovrete giocoforza farlo voi con delle sommarie spiegazioni (preparatevi già un breve schema al riguardo). Comunque è utile esporre i tempi di proiezione e anche comunicare che alla fine ci sarà il tempo per le discussioni, per cui è utile annotarsi tutte le domande che man mano emergeranno ed è meglio concentrarle alla fine. La conclusione Bisogna far passare qualche decina di secondi dalla fine della proiezione, impegnandosi in una breve sintesi su ciò che si è mostrato e chiedendo alla fine le osservazioni sul filmato (e non sulle situazioni personali perché ciò distoglierebbe l’attenzione dall’argomento che si sta trattando). Sempre col viso rivolto alla curiosità, se non ci sono domande (capita più frequentemente di quanto si possa pensare) bisogna stimolare i ragazzi con domande del tipo “vediamo chi sa rispondere, perché……….” e spaziare lo sguardo a destra e a sinistra. Per questo bisogna avere già alcune domande pronte (avremo già preparato 2 o 3 domande). Quando si raggiungerà il coinvolgimento non bisogna, comunque, privilegiare le domande sempre degli stessi alunni perché si rischia di avere un rapporto biunivoco, ingenerando una specie di sofferenza/antipatia verso gli altri alunni. Si deve invece essere disponibili alle domande di tutti. Quando un occhiata all’orologio ci fa capire che il tempo programmato sta scadendo, bisogna attendere un momento di “stanchezza” nella classe e poi dire : “beh….spero con questo di aver soddisfatto a tutte le vostre domande “ e cominciare (dopo alcuni secondi) a muoversi verso i proiettori . Ringraziamenti Un sentito ringraziamento va alla dott. Simona Nardone per la lettura critica del testo. Bibliografia di riferimento A LBERONI F. (1998) - Abbiate coraggio. Rizzoli, pp. XX, Milano. BERTOLINO F. (1994) - Saper parlare in pubblico. De Vecchi, pp. XX, Milano. CEPPELLINI S. (1991) - Ansia e stress . De Vecchi. pp XX,Milano. POLMONARI A. (1995) - Processi simbolici e dinamiche sociali. Il Mulino, pp. XX, Bologna. REED S.K. (1989) - Psicologia cognitiva. Il Mulino, pp. XX, Bologna. VIANELLO R. (1995) - Psicologia dello sviluppo. Junior, pp.XX, Bergamo. A NONIMO (1980) - Come ottenere il consenso. Varriale Formazione s.r.l., pp. XX, Milano. Natura Nascosta Numero 19 Anno 1999 pp. 27 - 33 Figure 5 NUOVE ESPLORAZIONI ALL'INGHIOTTITOIO DI MINERES (422 FR) Alessandro Zoff Premessa La Val d'Arzino è una realtà naturalistica posta pochi chilometri a nord del comune di Clauzetto (PN). A questa valle, in un contesto molto selvaggio e intriso di rigoglioso verde, fa da cornice lo svettare delle cime dei monti Pala (m 1231), Cuar (m 1478) e Taiet (m 1369). La piovosità media durante l'anno è molto elevata, l'umidità del luogo è molto alta e abbondano i corsi d'acqua a regime torrentizio che a seconda del periodo possono sparire o essere consistenti. Questo contesto meteo-morfologico, abbinato a un terreno calcareo posto nella parte altimetricamente più depressa della vallata, ha portato alla formazione dell'inghiottitoio di Mineres: in pratica un grosso imbuto naturale creato dall'acqua stessa erodendo la roccia, nel quale convergono gran parte dei torrentelli che scendono dai monti circostanti. Qui abbiamo deciso di allargare il nostro mondo conosciuto, il limite oltre al quale c'è l'ignoto. Per la maggior parte delle persone conoscere, vedere quello che nessuno ha mai visto, non provoca nulla, non è un'emozione che vale la pena di essere vissuta. Per noi "speleo" questa emozione racchiude l'essenza principale, la motivazione magica e spronante dell'attività sotterranea. Nuove vie verso l'alto Sono passati ormai un paio d’anni da quando siamo andati la prima volta assieme al Gruppo Triestino Speleologi all’inghiottitoio di Mineres (figg. 1-2). Da quella prima volta ci siamo tornati spesso (l’ultima volta nel dicembre del 1998) per completare l’esplorazione e il rilievo di nuovi rami trovati con l’impiego di tecniche di risalita in artificiale (fig. 3). Un torrente quasi invisibile che scendendo dal versante nord del monte Pala nella stupenda Val d’Arzino, in prossimità dell’abitato (in verità molto poco abitato visto che di solito non c’è anima viva) di Zattes, si “inabissa” in un bancone calcareo andando a formare una serie di pozzi fino alla profondità massima di 76 metri. In questo inghiottitoio abbiamo incominciato a lavorare unendo le nostre forze con quelle del G.T.S. Le prosecuzioni erano sicure ed evidenti, bastava la volontà e la disponibilità a passare qualche domenica a stretto contatto con l’acqua gelida. Soprattutto nella parte più profonda della cavità le risalite da poter effettuare erano potenzialmente interessanti. Scesi due primi pozzi molto larghi e ancora raggiunti dalla luce esterna, profondi uno 11 e l’altro 12 metri, si segue il corso dell’acqua in una bassa e stretta galleria piena per quasi metà altezza: già qui (e siamo solo all’inizio) l’acqua gelida che ti entra negli stivali ti inibisce il cervello e incominci a rimpiangere il tepore dell’alcova casalinga da poco abbandonata. Dopo circa 60 metri si arriva nel punto forse più critico della progressione: qui il torrente occlude totalmente la galleria che stiamo percorrendo, l’unico passaggio è una fessura alta pochi centimetri posta sopra il percorso dell’acqua. In questo punto in caso di piena improvvisa dovuta, per esempio, a temporali, credo che il passaggio diventi impraticabile. Sbuffando, soffiando, sillabando frasi sconnesse e poco decorose e invidiando chi passa senza gemere affatto (per le stazze robustine) si prosegue. In breve si arriva al terzo pozzo (profondo 11 metri) della sequenza fin qui seguita. La partenza di questo terzo salto è disassata rispetto la verticale della discesa per cui mettendosi in sicura bisogna, in contrapposizione fra le pareti, spostarsi verso l’attacco della verticale del pozzo. La discesa, fatta il più velocemente possibile, avviene sotto lo scarico continuo d’acqua. Alla base di questo salto, dietro la modesta cascata che l’acqua forma cadendo dall’alto, la grotta prosegue formando un meandro zigzagante abbastanza agevole fino a raggiungere gli ultimi due consecutivi salti che portano al punto più profondo di tutto il sistema ipogeo. Qui stiamo sempre seguendo il torrente artefice della creazione dell’inghiottitoio. L’acqua nel suo percorso raggiungendo il ciglio di questi ultimi pozzi forma delle vaschette di contenimento dalle quali costantemente un rivolo d’acqua precipita in basso sul groppone dell’impavido esploratore di turno che scende in corda: a pensarci bene, svuotarle il più possibile dall’acqua, con i piedi protetti dagli stivali, prima di partire per la discesa sarebbe una cosa intelligente! Chissà perchè certi lampi di genio vengono solo quando si è fuori?! ...Forse l’acqua e il freddo intirizziscono anche il cervello. Adesso si è nel punto più profondo della cavità conosciuta, siamo in una saletta allungata dal fondo fangoso nella quale le acque si insinuano fino al sifone finale per il momento impercorribile. Due pareti alte e levigate dall’acqua delimitano questo nebbioso e umidissimo ambiente dantesco, davanti a noi dalla parte opposta del rivolo d’acqua dal quale siamo discesi le pareti di roccia si restringono e si inerpicano verso l’ignoto. La debole luce del nostro acetilene fende a malapena l’eterea cortina d’acqua sospesa nell’aria. Incomincia l’assunzione della droga di cui fa spesso uso lo “speleo”: l’esplorazione! La prima risalita risulta abbastanza agevole (figg. 4-5), le pareti sono larghe e non ostacolano il lento procedere della “punta” - quello che arma in risalita la roccia dopo 11 metri verso l’alto il meandro diventa per poco orizzontale, fino ad arrivare ad un’altro camino che punta deciso e invitante verso l’oscuro soffitto. Due risalite, rispettivamente di 5 e 8 metri, interrotte da un breve ripiano, portano all’inizio di uno stretto e ostico meandro lungo una ventina di metri. Dopo essersi abrasi nel meandro, sulle ruvide pareti calcaree segnate dallo scorrimento millenario Fig. 1 - Pianta della grotta. Fig. 2 - Spaccato della grotta. Fig. 3 - Si preparano i fix per la risalita. Fig. 4 - Piccola pausa durante la R.11. dell’acqua, si arriva, superata un’altra piccola e tecnicamente non impegnativa risalita di 5 metri, alla sala finale molto vicina alla superfiice esterna. Ci siamo fermati qui. In questa fradicia saletta si arriva al termine dell’avventura. Siamo molto vicini alla superficie e le pur numerose fessure che puntano verso l’alto dal soffitto si estinguono dopo pochi metri. E’ una grotta secondo me particolare, visto l’ambiente nel quale si effettua la progressione, forse anello di congiunzione fra speleologia e torrentismo. Bisogna procedere con circospezione e molta tecnica se si vuole uscire - dopo il paio d’ore necessarie alla visita completa - abbastanza asciutti e non compromessi nella salute dall’acqua gelida. Seguire il corso dell’acqua nel suo procedere sottoterra implica la possibilità di bagnarsi in qualsiasi momento, perciò è d’obbligo avere degli indumenti di ricambio, se non addirittura al seguito in grotta in un contenitore isolante, per lo meno fuori in macchina da usarli quando si esce. Scheda d’armo: P11 - Utilizzando l’accesso da est della voragine d’ingresso si parte dall’albero in alto sulla destra, di seguito spuntone di roccia al suolo e quindi frazionamento a circa metà pozzo sempre su spuntone roccioso. P12 - Vari spit sulla parete sinistra di cui uno avanzato ottimale per la discesa. Frazionamento artificiale circa a metà pozzo. Con una corda da 50 metri è possibile armare il precedente pozzo e questo. P11 - Ancoraggio naturale sulla destra ad un paio di metri dal bordo e spit avanzato in alto a destra. Per raggiungere la verticale del pozzo bisogna fare un traverso a cui prestare attenzione. La discesa avviene sotto scarico di acqua. Corda m 20. P6 - Ancoraggio naturale su concrezione a sinistra e spit a destra sul bordo. P6,50 - Concrezione in alto sulla destra. Corda di 30 metri per questi ultimi due pozzi. Risalite: Le prime risalite (R11, R5, R8) sono state lasciate armate. Assicurarsi comunque dell’affidabilità delle corde. Dati catastali: Nome: Inghiottitoio di Mineres Numero catastale: 950/422 FR Comune: Clauzetto Località: Mineres C.T.R. : 1:5000 n. 048112 Posizione: 12°54’44”- 46°19’39,5” Quota ingresso: 581 m Sviluppo planimetrico: 620 m Dislivello: 76 m Pozzo ingresso: 11 m Pozzi interni: 12/11/6/6,50/+11/+5/+8/+5 m Rilievo: Gruppo Triestino Speleologi, 1994; Gruppo Triestino Speleologi e Gruppo Speleologico Monfalconese A.D.F., 1997 Fig. 5 - Progressione su R.11. Bibliografia consultata BENEDETTI G e CIARABELLINI M. (in stampa) - Aggiornamenti esplorativi all’inghiottitoio di Mineres (Prealpi Carniche). Atti del VIII Convegno Regionale di Speleologia del Friuli Venezia-Giulia. BONE N. (1989) - Attività della "C.G.E.B." nell'anno 1988. Alpi Giulie, v. 83 (1), p. 60. CARACCI P., MUSCIO G. & SELLO U (1986) - Carsismo e idrologia sotterranea. In: Guida del Friuli, VI. S.A.F., pp. 67-81, Udine. GASPARO F. (1978) - Ricerche speleologiche nel Canale di Vito. Progressione 2, v. 1(2), pp. 17-18. GASPARO F. (1979) - Attività nelle Prealpi Carniche. Progressione 4, v. 2 (2), p. 10. GUIDI P. (1972) - Ricerche speleologiche in Val d'Arzino. Rassegna Spel. It., v. 24(4), p. 402. PITACCO D. (1995) - L'inghiottitoio di Mineres - 422 Fr. Boll. Gruppo Triestino Spel., v. 14, pp. 33-38. Natura Nascosta Numero 19 Anno 1999 pp. 34 - 36 Figure - BREVISSIMA STORIA DELLA PALEONTOLOGIA Fabio M. Dalla Vecchia La Paleontologia è la disciplina scientifica che tratta lo studio della Vita nel passato. E' una scienza storica che si inserisce nell'ambito delle scienze storiche naturali, con metodologie diverse ma non meno valide di quelle utilizzate dalle Scienze con la esse maiuscola, cioè le scienze sperimentali (Fisica, Chimica ecc) quelle che praticandole si può vincere il premio Nobel. Un paleontologo non potrebbe mai vincere un premio Nobel. Sono stati trovati fossili in caverne abitate da uomini preistorici. In una caverna francese (20.000 anni) è stato rinvenuto un trilobite proveniente dalla Cecoslovacchia. Gli uomini preistorici dunque si scambiavano i fossili, che consideravano amuleti od ornamenti (praticamente delle rocce già scolpite) oppure, come nel caso delle conchiglie fossili isolate, non li distinguevano dai resti degli organismi moderni. Anche nelle tombe egiziane sono stati rinvenuti fossili, in particolare ricci di mare di 30 milioni di anni fa, uno dei quali è custodito al Museo di Storia Naturale di Udine. Sempre in una tomba etrusca nei pressi di Marzabotto è stato scoperto il tronco di una pianta mesozoica di provenienza locale. Il filosofo greco Senofane (576-480 a.C.) attribuì resti fossili di pesci e di foglie raccolti nell'isola di Paro e nei dintorni di Siracusa a organismi reali, un tempo viventi, così come fece lo storico Erodoto (484-425 a.C.) che affermò che il mare un tempo aveva ricoperto l'Egitto lasciando a testimonianza conchiglie pietrificate. Tuttavia nel IV secolo a.C. il maggiore dei filosofi greci, Aristotele, diede una interpretazione dei fossili che, sebbene ignorata dai contemporanei, pesò notevolmente sulle interpretazioni successive, per più di 2.000 anni. Aristotele, per spiegare la natura di alcuni pesci fossili, affermò che potevano essersi formati direttamente nel fango per opera di una "forza formativa", non meglio definita, da uova di pesci marini dispersi durante il diluvio di Deucalione e Pirra. I romani meno avvezzi a disquisizioni filosofiche e più pratici, interpretarono i fossili per lo più correttamente. Cenni a terre nate dalle acque e a conchiglie marine trovate lontane dal mare si trovano, ad esempio nelle Metamorfosi di Ovidio. L'Alto Medioevo fu un periodo buio per l'interpretazione dei fossili. La fiorente cultura araba si interessò dell'argomento con il famoso medico e naturalista Avicenna (980-1037). Seguendo le orme di Aristotele, Avicenna affermò che i fossili devono la loro origine a una particolare "forza plastica" (vis plastica) capace di plasmare la materia in varie forme, animali e vegetali per esempio, senza essere in grado di dare vita alle sue creazioni che restano, quindi, pietrificate nella roccia. Durante tutto il medioevo per quanto riguarda le scienze naturali regnò la legge dell’"ipse dixit". Chiaramente una società fondata sui testi sacri non poteva che basare il proprio sapere naturalistico sui testi sacri naturalistici che erano le opere di Aristotele. Poichè Aristotele e Avicenna non erano stati molto chiari nel definire le loro forze creative, fiorirono pedanti e fantastiche disquisizioni sull'argomento. Si trovò la causa nell'influsso degli astri, nell'intervento di spiriti sotterranei (del resto i fossili si trovano nel sottosuolo!), chiaramente cattivi, e in divertimenti della natura (ludum naturae) che imitava nel mondo minerale le strutture viventi. Nel Rinascimento si diffuse l'opinione, per lo meno più logica a rigore della cultura dominante, che i fossili fossero tracce del diluvio di cui parla la Bibbia. La loro diffusione si spiegava con l'universalità del Diluvio. Naturalmente questo si scontrò a lungo con le idee aristotelicoidi, dure ad essere abbandonate, ma del resto la cosa si ripete ai giorni nostri e sembra una costante dell'umanità quella di restare attaccata a idee obsolete e superate. Tuttavia talvolta si trova nei libri qualche interpretazione corretta dei fossili, come per esempio in un'opera del Boccaccio - dove le conchiglie fossili presenti sulle colline di Firenze vengono prese a prova di un'antica invasione del mare - e negli scritti di quel grande pensatore che fu Leonardo da Vinci, il quale affermò chiaramente queste idee nel codice di Leicester (1503-1508). All’inizio del 1500 venne usata per la prima volta, dal tedesco Giorgio Bauer noto col nome di Agricola, la parola "fossile" (dal latino foedere=scavare). Essa venne utilizzata per identificare tutto ciò che era estratto dal suolo. Secondo Bauer alcuni fossili erano stati creati da una "materia grassa" contenuta nell'acqua. Le interpretazioni fantasiose continuavano a fiorire: c'era chi parlava di vegetazione dei sassi, chi sosteneva che le pietre avessero sessi e fossero in grado di partorire, altri immaginavano che dal mare si levassero vapori carichi di seme capaci di generare organismi fossili penetrando nelle rocce. Denti di squalo erano interpretati come lingue di pietra (glossopetre), le conchiglie spiralate di ammoniti erano considerate serpenti arrotolati pietrificati, i rostri delle belemniti, che possiamo assimilare agli ossi di seppia, l'effetto dei fulmini sulle rocce (folgoriti). Ora non bisogna ridere di queste interpretazioni, perchè se le conoscenze a livello di èlites culturali sono molto progredite, a livello popolare (anche in strati sociali insospettabili) oggi troviamo ancora un grado di conoscenza seicentesco. Le cose cambiarono nel 18° secolo grazie alla grande rivoluzione culturale nota con il nome di Illuminismo, che ha cambiato radicalmente la struttura della società occidentale. Alla corretta comprensione dei fossili contribuì notevolmente anche la moda settecentesca delle grandi collezioni di antichità varie, che comprendevano anche minerali e ... fossili. Naturalmente idee progressiste e idee conservatrici coesistettero anche nel 18° secolo. Nel 1726 il medico svizzero Johan J. Scheuchzer descrisse un fossile proveniente dal lago di Costanza, attribuendolo a un "Homo diluvii testis", un uomo testimone del Diluvio. Si trattava in realtà dello scheletro incompleto di una salamandra gigante. In questo modo venivano interpretati i fossili prima che il confronto tra cose che realmente esistono si sostituisse alle fantasticherie metafisiche (sempre però a livello di èlites culturali). Tuttavia, alla fine del 18° secolo i fossili erano ormai considerati da tutti gli studiosi per quello che sono: resti di antichi organismi. Mentre alla fine del 1700 divene chiara l'origine biologica dei fossili, nella prima metà del secolo successivo iniziò il confronto tra le forme passate e gli organismi viventi. Ci si accorse che nel passato erano vissuti animali molto diversi dagli attuali, si cercò di confrontare e trovare affinità tra gli animali attuali e quelli estinti. Autorità indiscussa in questo campo fu il barone “Georges” Cuvier, "inventore" dell'anatomia comparata. Si osservò inoltre che nei vari corpi rocciosi che si sovrappongono si trovano animali e, soprattutto, associazioni di animali diversi. Queste osservazioni fecero nascere la teoria, attribuita a Cuvier, che nella storia della Terra ci fossero state ripetute catastrofi che avevano portato alla scomparsa delle associazioni fino allora dominanti. Ci si accorse che a causa di queste associazioni diverse si potevano dividere i corpi rocciosi in unità identificabili mediante i fossili stessi, in modo da poter datare in senso relativo tutti gli affioramenti rocciosi. Nacque la suddivisione dei corpi rocciosi in Primario, Secondario e Terziario e vennero istituiti i vari periodi geologici (Triassico, Giurassico ecc). A partire dalla seconda metà del secolo venne formulata e si diffuse la teoria evoluzionistica di Darwin (L’origine della Specie, 1859). L'estinzione degli organismi non venne più vista come l'effetto di catastrofi, ma come il risultato di lenti cambiamenti graduali e della selezione naturale. I lenti cambiamenti graduali portavano al passaggio da una forma (specie) a un altra, la selezione naturale eliminava i meno adatti alla sopravvivenza. Grande aiuto all'affermazione della teoria darwiniana fu dato dai fossili, soprattutto da un fossile, l'Archaeopteryx litographica, che presenta caratteri misti di rettile e di uccello (ha i denti, una coda ossea e le dita della mano sono provviste di unghie ma ha anche le penne). Scoperto nel 1861, venne considerato subito la tipica forma di transizione prevista dalla teoria darwiniana. Negli ultimi 40 anni del secolo scorso, la teoria evoluzionistica portò ad accesi scontri e dibattiti e divise in due schieramenti i paleontologi e i naturalisti di tutto il mondo. All'inizio del 20° secolo però, la teoria darwiniana era quasi universalmente accettata. Dopo un secolo di raccolta di fossili per fini stratigrafici o per ricostruire grandi organismi, si iniziò ad utilizzarli anche per ricostruire gli ambienti del passato, si cominciò a ricostruire in modo analitico i loro modi di vita e le loro interrelazioni: nacque la Paleoecologia . Quella del paleontologo divenne una professione, dopo che per gran parte dell'800 era stata un'attività quasi esclusiva di uomini ricchi o sostenuta da ricchi mecenati. A partire dagli anni '30 si iniziò lo studio intensivo dei microfossili (i fossili di dimensioni non risolvibili ad occhio nudo) al fine di datare i campioni di roccia di ridotte dimensioni ottenuti nelle ricerche petrolifere. Dagli anni '60, con l'accettazione della tettonica a zolle, provata da numerose evidenze indipendenti, i fossili vennero utilizzati come indicatori dei collegamenti tra le varie masse continentali nei diversi intervalli di tempo della storia della Terra. Natura Nascosta Numero 19 Anno 1999 pp. 37 - 46 Figure - APPUNTI SULLA PALEOGEOGRAFIA DEL GIURASSICO-CRETACICO DEL FRIULI-VENEZIA GIULIA. RELAZIONI CON L’ASSETTO LITOSTRATIGRAFICO A short note about the paleogeography of Jurassic and Cretaceous of FriuliVenezia Giulia (NE Italy). Relationships with the lithostratigraphic structure Sandro Venturini “Riuscire a porsi un interrogativo ben congegnato per sintesi e scelta di parole è già metà della risposta che si cerca.” - A LDO BUSI , Vita standard di un venditore provvisorio di collant Abstract - The paleogeographic evolution of the Friuli-Venezia Giulia Region (northeastern Italy) during the Jurassic and the Cretaceous is herein briefly described. Some important biologic and tectonic events can give a support for the realization of a systematic stratigraphic framework. Riassunto - Viene brevemente tracciata l’evoluzione paleogeografica dei depositi giurassico-cretacici affioranti nel Friuli-Venezia Giulia. I principali eventi biologici e tettonici che hanno segnato questa evoluzione possono essere utilizzati per la costruzione di un più organico quadro litostratigrafico. Key words: Paleogeography, Jurassic, Cretaceous, NE Italy. Introduzione Nel corso della stesura del capitolo riguardante la successione giurassicocretacica per la “Guida geologica del Friuli-Venezia Giulia” (in stampa), ci si è trovati di fronte a un quadro litostratigrafico per certi versi farraginoso (oltre 70 unità riportate in bibliografia). Al fine di delineare un assetto stratigrafico più organico, omogeneo, sintetico (e, auspicabilmente, meno soggettivo), si è ritenuto opportuno utilizzare come elementi di definizione e suddivisione litostratigrafica, oltre che le caratteristiche litologiche, anche i principali contesti paleoambientali (piattaforma, scarpata, bacino) e soprattutto i principali eventi tettonici, eustatici e biologici che hanno controllato l’evoluzione paleogeografica. Va sottolineato che nel lungo intervallo di tempo considerato si sono deposte essenzialmente facies calcaree apparentemente monotone, se si escludono la locale presenza di selce e gli apporti terrigeni nel Cretacico sommitale. Quindi, pur nel rispetto della tradizione e delle priorità, sono state scelte, e talora parzialmente “emendate”, alcune unità litostratigrafiche che apparentemente testimoniavano le fasi principali dell’evoluzione della Piattaforma Friulana e dei bacini circostanti. I limiti di competenza e di spazio, le finalità del lavoro, la sede di pubblicazione non hanno consentito di approfondire i motivi e i criteri di tali scelte: un serio lavoro di revisione avrebbe richiesto tempi e spazi ben più ampi. Di conseguenza, la sintesi stratigrafica riportata nella “Guida” non può e non vuole rappresentare un punto di arrivo, bensì una base di discussione sulle lineaguida sugli scopi delle indagini stratigrafiche nelle Prealpi e nel Carso. Come iniziale contributo alla discussione, in questa sede vengono brevemente descritti i principali eventi che hanno caratterizzato l’area della Regione durante il Giurassico-Cretacico, i loro effetti sulla deposizione dei carbonati e il loro impatto sul quadro litostratigrafico. Evoluzione paleogeografica Al passaggio Triassico-Giurassico, l'area dell'attuale Friuli-Venezia Giulia era un'estesa piattaforma carbonatica peritidale, ad eccezione del versante meridionale dell' alta Val Tagliamento dove proseguiva la sedimentazione di calcari selciferi in un bacino relativamente profondo già presente nel Triassico superiore. Durante il Lias, vaste aree di piattaforma sono sprofondate e si sono così individuati due domini paleogeografici principali: la Piattaforma Friulana nelle Prealpi meridionali e nel Carso, bordata a settentrione da una fascia di mare profondo, in particolare verso NO (Bacino di Belluno) e verso NE (Bacino di Tolmino). Nelle aree più settentrionali, la distribuzione a"macchia di leopardo" delle successioni condensate suggerisce maggiormente l'esistenza di alti relativi locali piuttosto che di un vero e proprio plateau. Ciò sembra confermato dalla presenza di risedimentazioni provenienti dalla piattaforma. Questo assetto paleogeografico è stato determinato da una fase tettonica distensiva, che ha dato origine a un sistema di faglie orientate NO-SE (listriche) e SO-NE (probabilmente trascorrenti). Il bordo della piattaforma ha così assunto il caratteristico andamento a zig-zag riconoscibile in particolare nel sottosuolo della pianura. Il margine settentrionale attualmente affiora lungo la fascia meridionale delle Prealpi (Cansiglio, Val Cellina, M. Ciaurlec, M. Prat, Bernadia, Val Iudrio, M. Sabotino) ed è stato ampiamente coinvolto nella strutturazione alpina. La paleogeografia della regione è rimasta sostanzialmente immutata durante il Giurassico-Cretacico. Il dominio di ambiente neritico rappresenta la parte più settentrionale del vasto complesso di piattaforma dinarico-adriatico. La successione liassica della Piattaforma Friulana è dominata da calcari a grana fine, depostisi generalmente in lagune, con subordinate intercalazioni di calcari bioclastici e oolitici (Calcari Grigi). Si osservano comunque condizioni di maggiore circolazione marina o di minore aridità rispetto al Trias superiore: le facies dolomitizzate e stromatolitiche risultano infatti drasticamente ridotte. In alcune zone (Valli del Natisone e gruppo del M. Verzegnis), nel Lias inferiore lo smembramento della piattaforma ha determinato anche prolungate emersioni, con sviluppo di significativi fenomeni paleocarsici. Contemporaneamente, nella depressione delle Prealpi settentrionali si andava sviluppando una rampa ooliticobioclastica (Calcari oolitici di Stolaz e "Calcari a Crinoidi"). Lo sviluppo di queste facies era consentito dalla profondità limitata di questo "Solco Prealpino". Verso occidente, invece, il marcato dislivello creato dalle faglie bordanti il Bacino di Belluno ha impedito la progradazione delle facies di rampa e ha dato luogo alla deposizione di calcari selciferi, talora dolomitizzati, con frequenti intercalazioni torbiditiche contenenti elementi di piattaforma e con sporadici livelletti marnosi (Formazione di Soverzene). Questa unità affiora tra la Valle del Vajont e l'alta Val Cellina; a essa sembrano riferibili i Calcari selciferi di Val Lavaruzza, che sovrastano i Calcari Grigi precocemente “annegati” del "solco Prealpino" nelle Prealpi Giulie settentrionali, e le facies selcifere liassiche di C. Naiarda e del gruppo del M. Verzegnis (Prealpi Carniche settentrionali). Alla fine del Lias (Toarciano) nelle aree bacinali si assiste allo sviluppo di facies calcareo-marnose, talora di tipo nodulare ad ammoniti (Formazione di Igne). Sugli alti strutturali si sono deposti prevalentemente calcari nodulari a bivalvi pelagici. La locale presenza, alla base dell'unità, di marne nerastre ricche di materia organica consente di riconoscere l'evento anossico toarciano. Tra il Toarciano e il Dogger inferiore si è verificata una nuova importante fase tettonica che ha determinato lo sprofondamento della fascia di margine della piattaforma, interrompendo la sedimentazione dei Calcari Grigi e producendo frane intraformazionali nella Formazione di Igne. Contemporaneamente, a occidente del Bacino di Belluno è annegata la Piattaforma di Trento. Il riarrangiamento paleogeografico ha trasformato la Piattaforma Friulana in un'attiva area dl produzione di sabbie oolitiche. I depositi di piattaforma del Dogger attualmente affioranti sono limitati ai calcari oolitici, apparentemente di rampa, dei monti Pala e Prat (Prealpi Carniche meridionali). La quasi totalità delle ooliti risulta invece risedimentata nelle aree più profonde attraverso flussi torbiditici (Calcare del Vajont). L'enorme quantità di torbiditi oolitiche giunte nel Bacino di Belluno rispetto al Bacino di Tolmino potrebbe essere legata alla diversa posizione del margine rispetto alle correnti marine e atmosferiche. Il contesto bacinale del Calcare del Vajont è testimoniato in particolare dalle intercalazioni di calcari a grana fine, contenenti microorganismi pelagici, e dalla gradazione di alcuni orizzonti, con brecce alla base passanti a calcari oolitici verso l'alto. Sporadiche “passate” oolitiche hanno raggiunto anche le Prealpi Carniche nordorientali, intercalandosi a facies condensate di tipo "Rosso Ammonitico" e si sarebbero spinte a NE fino al Gruppo del Mangart nel Tarvisiano. Tra la fine del Dogger e l'inizio del Malm le risedimentazioni oolitiche sono sostanzialmente cessate, probabilmente per cause climatico-biologiche: dal Giurassico superiore in poi il margine della Piattaforma Friulana ha prodotto quasi esclusivamente tritume bioclastico. In questo quadro si inserisce un evento a scala globale che, nel Giurassico superiore, e più precisamente nell'OxfordianoKimmeridgiano, ha dato origine ad importanti scogliere a idrozoi e coralli lungo i margini di piattaforma delle fasce tropicali. In Friuli, queste antiche biocostruzioni coralline sono attualmente esposte sul versante orientale del Cansiglio e al M. Prat, e sono note come Calcari ad Ellipsactinia (o Calcari di Polcenigo). Questa unità rappresenta l'unica vera e propria scogliera nella storia della Piattaforma Friulana. Contemporaneamente, nelle aree interne della piattaforma sì è sviluppato un sistema di lagune dove si sedimentavano fanghi carbonatici che hanno dato origine ai Calcari di Cellina. Ai Calcari di Cellina viene riferita la quasi totalità delle facies di piattaforma del Giurassico superiore e del Cretacico inferiore affioranti, oltre che lungo la valle omonima, sul versante orientale del Cansiglio-M.Cavallo, e lungo la pedemontana, sui monti Ciaurlec, Prat e Bemadia. Verso oriente si rinvengono lungo la valle dello Iudrio, al M. Sabotino e infine in limitate aree dei Carso. Si tratta prevalentemente di calcari ben stratificati di ambiente lagunare e di piana di ' marea, con scarsi macrofossili e con frequenti episodi di emersione. L’ alternanza degli ambienti ha dato luogo a una caratteristica ciclicità di questi depositi. Lo spessore complessivo dovrebbe aggirarsi sul migliaio di metri. Durante il Kimmeridgiano la scogliera corallina è progradata verso i quadranti settentrionali, andando a coprire con corpi bioclastici e brecce di scarpata il bordo dell'antistante bacino: ciò è riscontrabile per esempio sull'altipiano del M. Prat, dove i calcari e le brecce a idrozoi poggiano su calcari selciferi a cefalopodi. Simili calcari selciferi sono ben sviluppati nel bacino delle Prealpi Carniche centrosettentrionali e sono correlabili con la Formazione di Fonzaso (OxfordianoKimmeridgiano inf.) del Bacino di Belluno. Questa formazione, oltre agli abbondanti livelli a radiolari, presenta frequenti intercalazioni torbiditiche calcarenitiche e bioclastiche. Verso l'alto i depositi risedimentati si riducono progressivamente e il colore dei calcari a grana fine assume talora variegature rossastre e verdastre: ciò marca il passaggio al Rosso Ammonitico superiore (Kimmeridgiano sup. - Titoniano inf.). Nel Rosso Ammonitico gli apporti torbiditici sono sostanzialmente scomparsi, mentre i calcari, talora selciferi, mostrano localmente il tipico aspetto nodulare con colori variabili dal grigio al rossastro. L'assenza di risedimentazioni suggerisce una temporanea crisi di produttività della Piattaforma Friulana, forse legata a una prolungata fase di emersione. Sul margine della piattaforma, in effetti, il reef ad Ellipsactinia si è estinto e nella vicina Slovenia, poco a nord di Gorizia, il tetto di questa scogliera è interessato da intensi fenomeni paleocarsici. Dopo questo evento regressivo, in Friuli, sopra il reef si è formato un orizzonte trasgressivo a molluschi (tra i quali sono comuni le nerinee), coperto a sua volta dai Calcari di Cellina che, a partire dalla fine del Malm hanno occupato anche le fasce di margine. Contemporaneamente nel bacino lo sviluppo esplosivo di minutissimi organismi planctonici (nannoplancton) ha dato inizio alla sedimentazione di calcari biancastri a grana finissima, con noduli e liste di selce (Maiolica). Nell'area friulana e bellunese, la prossimità della piattaforma ha comunque dato luogo alle consuete intercalazioni torbiditiche che si discostano dalla tipica facies di questa unità (Calcare di Soccher). All'inizio del Cretacico, durante parte del Berriasiano-Valanginiano, in corrispondenza delle aree di margine si sono formati dei cunei bioclastici di scarpata, la cui esistenza è stata registrata anche ai bordi del bacino, nelle Valli del Natisone ("Calcareniti di Linder"). In Val Iudrio, il più recente di questi corpi marginali, del Valanginiano inferiore, è nuovamente coperto dalle facies prevalentemente fangose e a bassa energia ambientale dei Calcari di Cellina. L'apparente monotonia di questi depositi è interrotta da un'importante fase trasgressiva-regressiva al passaggio Hauteriviano-Barremiano che ha dapprima creato spazio per livelli con Requienidae (rudiste s.l.) e successivamente ha dato luogo a una lunga emersione, con formazione di profonde "tasche" riempite da marne verdastre. In alcune zone del margine (per esempio nella Bernadia), gli apporti continentali d'acqua dolce e di terrigeno fine legati a questa emersione hanno causato la formazione di calcari argillosi scuri, a volte bituminosi. In bacino è proseguita la sedimentazione della Maiolica, che contiene livelli di calcareniti e brecce in particolare nel segmento di età valanginiana. Le caratteristiche e la distribuzione dei depositi valanginiani sul margine e in bacino indicherebbero un controllo di tipo tettonico. Successivamente, fino all'Aptiano inferiore, le risedimentazioni torbiditiche si sono drasticamente ridotte , a significare che la piattaforma non era più in grado di generare abbondante materiale bioclastico. In questo periodo le aree di margine sono anch'esse coperte da fanghi carbonatici intrappolati da "tappeti" di alghe unicellulari che hanno generato le tipiche laminazioni stromatolitiche e hanno impedito consistenti asporti di carbonati verso il mare aperto. Nell' Aptiano inferiore, un nuovo evento trasgressivo ha ricoperto gran parte della piattaforma con un importante orizzonte a rudiste. Questo orizzonte è riconoscibile per l'abbondanza di bivalvi e per la presenza di un foraminifero bentonico (Palorbitolina) che ha dato il nome al livello stesso. Una superficie paleocarsica è localmente riconoscibile alla sommità del livello a Palorbitolina. Numerosi episodi di emersione, con brecce e argille residuali, sono osservabili anche nella sovrastante successione aptiano-albiana. In alcune aree del margine, risulta particolarmente ampia la lacuna dell'Albiano inferiore. Contemporaneamente, imponenti corpi di calciruditi e brecce sono giunti nella scarpata e in bacino, intercalandosi a facies marnose e calcaree fini di colore grigio, verdastro e rossastro, spesso riportate sotto il nome di Scaglia Variegata e che trovano corrispondenza con l'evento che ha generato le Marne a Fucoidi dell'Appennino. I marcati cambiamenti litologici e sedimentotogici, le emersioni sul margine e la formazione di prismi sedimentari sulla scarpata sono connessi ad una fase tettonica di particolare significato. Alla fine dell'Albiano, una lenta fase trasgressiva ha ricreato normali condizioni marine su vaste aree della piattaforma. Una maggiore circolazione è registrata anche nelle aree più interne. L'“apertura” ambientale è maggiormente apprezzabile nel Cenomaniano inferiore-medio, quando nelle fasce di margine si sono sviluppati imponenti corpi bioclastici con intercalati sottili orizzonti a foraminiferi planctonici. Contemporaneamente, in alcune aree interne, quali il Carso, la fase tettonica che ha determinato la rapida subsidenza del margine è invece testimoniata da una prolungata emersione che ha dato origine a fenomeni carsici e a brecce dolomitiche. I sostanziali cambiamenti paleogeografici, con lo sviluppo di una rampa nelle aree esterne della piattaforma e ampie emersioni nelle zone interne, consentono di distinguere un nuovo ciclo sedimentario e una nuova unità litostratigrafica, i Calcari di M. Cavallo, costituiti da depositi prevalentemente bioclastici, di solito mal stratificati e spesso ricchi di rudiste. Numerosi generi e specie di questi molluschi sono stati istituiti su esemplari provenienti dai vari giacimenti fossiliferi del Friuli-Venezia Giulia. Nel Cenomaniano medio p.p.-superiore, il depocentro carbonatico si è trasferito nelle aree interne della piattaforma, dove si osservano alternanze di facies ad alta energia, in cui domina il bivalve Chondrodonta, e facies lagunari localmente dolomitizzate e relativamente protette, talora con scarsa ossigenazione al fondo ("Scisti di Comeno"). L'insieme di questi depositi è storicamente riferito alla Formazione di Monrupino. L’unità, delimitata alla base dall'ampia lacuna citata in precedenza, è superiormente interrotta dal temporaneo "annegamento" della piattaforma verificatosi al passaggio Cenomaniano-Turoniano. Lo sprofondamento, di origine prevalentemente eustatica, ha consentito l'ingresso di organismi planctonici in vaste aree della piattaforma interna, mentre nelle aree esterne la sedimentazione, già decisamente ridotta nel Cenomaniano superiore, si è arrestata. Durante il Turoniano e soprattutto nel Senoniano inferiore, si sono ripristinate normali condizioni di piattaforma carbonatica che è via via progradata fino a raggiungere, nel Santoniano, le aree del precedente margine. La progradazione si è attuata in più cicli, con orizzonti di calcari a rudiste a stratificazione mal visibile (i tipici "marmi" del Carso) che interrompono una successione ben stratificata di calcari a grana fine con frequenti episodi di emersione. Tra gli episodi di emersione, sono da sottolineare le fasi tettoniche santoniane e del Campaniano basale, che hanno dato origine, nel Carso Triestino, alle brecce di Slivia, del Villaggio del Pescatore e alla "Breccia bianco-rosea". L'emersione campaniana, connessa con lo sviluppo del bacino del Flysch nelle Prealpi Giulie, ha chiuso il grande ciclo dei calcari a rudiste del Turoniano-Senoniano inferiore (noti come Calcari di Aurisina). Nel Maastrichtiano, nelle depressioni del Carso Triestino meridionale e Goriziano settentrionale, si sono deposte alternanze di facies dulcicole, salmastre e marine, di colore scuro, degli "Strati di Vreme" (Gruppo Liburnico). I macrofossili sono rappresentati da rari bivalvi, mentre alla sommità dell'unità, al passaggio Cretacico-Terziario, sono segnalati importanti fenomeni paleocarsici e localmente un importante orizzonte di breccia. Nelle aree di rampa, dopo la lacuna del Turoniano e di parte del Senoniano inferiore, la sedimentazione è ripresa con flussi bioclastici, talora con organismi planctonici, e successivamente con facies detritiche a rudiste, di età SantonianoCampaniano p.p.. Questi calcari a rudiste, affioranti in Val Iudrio e al M. Jouf, sono correlabili con i Calcari di Aurisina e sono progradati su depositi di maggiore profondità, riferiti al Calcare di M. Cavallo s.1.. Infine, in concomitanza con le estese emersioni campaniano-maastrichtiane, un ulteriore sprofondamento di blocchi tettonici lungo il margine ha creato spazio per facies ad alta energia con Orbitoides (grandi foraminiferi bentonici), in gran parte risedimentate in bacino. Lungo le scarpate a maggiore acclività, la sedimentazione risulta notevolmente ridotta, anche a causa di movimenti tettonici che hanno determinato scivolamenti e nicchie di distacco. Le zone bacinali, durante il Cretacico superiore, sono caratterizzate dalla sedimentazione di fanghi carbonatici a foraminiferi planctonici. Per il tipo di fratturazione delle superfici alterate, questi sedimenti vengono usualmente denominati "Scaglia". Nel Cenomaniano-Turoniano si osservano calcari argillosi verdastri, rossastri e grigi, spesso con selce. In varie zone di alto relativo e di scarpata vi sono ampie lacune oppure si osservano facies di tipo nodulare. Nel Senoniano inferiore-Campaniano prevalgono invece le tonalità sul grigio. Infine, nel Campaniano superiore-Maastrichtiano sono giunti in bacino apprezzabili quantità di terrigeno fine, che assieme ai fanghi pelagici ha dato origine alla "Scaglia Rossa", costituita principalmente da marne rossastre e talora grigie. Tra i materiali provenienti dalla piattaforma sono da segnalare, oltre alla parte distale dei cunei bioclastici marginali del Cenomaniano inferiore-medio, i grossi sistemi torbiditici del Senoniano che vengono talora distinti dalla Scaglia con i termini di Calcare di Volzana (Prealpi Giulie) o Calcare del Fadalto. Nel Maastrichtiano invece prevalgono le intercalazioni di breccia, legate a intense pulsazioni tettoniche in particolare nelle Prealpi Giulie. In quest'ultima area, nel tardo Campaniano ha avuto inizio la sedimentazione di torbiditi silicoclastiche. L’avvento del Flysch segna l’inizio di un lungo ciclo sedimentario che porterà a drastici cambiamenti paleogeografici, con migrazione del bacino verso SO e annegamento e parziale smantellamento della Piattaforma Friulana. Questi Flysch hanno registrato sia l’evoluzione paleotettonicapaleogeografica, sia le oscillazioni eustatiche, attraverso consistenti variazioni negli apporti terrigeni (di provenienza settentrionale) e carbonatici, questi ultimi costituiti da brecce e calcareniti bioclastiche, provenienti dalla piattaforma posta a meridione. Queste variazioni degli apporti, associate alle caratteristiche sedimentologiche, sono state utilizzate per la distinzione di alcune unità stratigrafiche di età campaniano-maastrichtiana (Unità di Drenchia, Flysch di Clodig, Flysch dello Judrio, Flysch di M. Brieka). Discussione metodologica Rispetto alla litostratigrafia classica, alcuni criteri di scelta e suddivisione adottati nella Guida prevedono il riconoscimento di discontinuità, di fasi trasgressive, di variazioni ecologiche, di fasi tettoniche con significato a scala regionale. Per l’applicazione organica di tali criteri è necessaria la costruzione di un dettagliato quadro bio-cronostratigrafico a scala quanto meno regionale. Infatti, nonostante l’inevitabile e gravoso impegno dal punto di vista metodologico e operativo, una moderna stratigrafia è imprescindibile da un’accurata tracciatura delle linee-tempo, da una precisa definizione dei rapporti laterali e verticali, da una per quanto possibile corretta ricostruzione geometrica dei corpi sedimentari e dei relativi ambienti deposizionali. Tutti questi elementi sono riassunti nelle unità litostratigrafiche, che sono quindi entità di valore geologico fondamentale. In quest’ottica, è opportuno, per quanto possibile, evitare di utilizzare unità litostratigrafiche con top e bottom che taglino le linee-tempo. I passaggi laterali (le eteropie ) sono altrettanto critici, e andrebbero definiti mediante significative variazioni di sistema deposizionale. Spesso, analisi di dettaglio hanno evidenziato che le eteropie sono in realtà delle vere e proprie discontinuità, con sedimentazione di corpi sedimentari eterocroni (classici esempi sono noti sui margini delle piattaforme carbonatiche). In sintesi, le formazioni che attraversano le linee-tempo o che si sono deposte in più ambienti hanno un modesto significato geologico. Un esempio di criticità legata all’eterocronia dei limiti è rappresentato dalla base dei Calcari Grigi. Il passaggio alle sottostanti unità (Dolomia Principale, Calcare del Dachstein ecc.) viene solitamente collocato in corrispondenza della scomparsa degli orizzonti con laminazioni stromatolitiche o dei livelli dolomitizzati. Chiunque, sulla base di questi criteri, abbia avuto la ventura di rilevare e cartografare questo limite anche a scala locale nelle nostre Prealpi sa con quanti problemi si è scontrato e su quanti dubbi ha dovuto sorvolare. Se sussistono dubbi anche a scala locale, che significato geologico ha tale limite? Una soluzione pragmatica, ma che presenta anche interessanti risvolti teorici, è data dal riconoscimento di un importante evento globale, rappresentato dalla crisi biologica verificatasi al passaggio Trias-Lias. Questa crisi è riconoscibile da un drastico cambiamento delle associazioni di piattaforma, con scomparsa delle tipiche microfaune e flore triassiche: alla base del Lias sono infatti presenti solo piccoli foraminiferi agglutinanti “sopravvissuti”. Un simile criterio “cronostratigrafico”, per quanto possa far storcere il naso ai puristi delle litostratigrafia, sembra, al momento, l’unico coerentemente praticabile per la definizione dei Calcari Grigi, a meno di vasti fenomeni di dolomitizzazione, ed è in sintonia con il significato storico di tale limite. Un ulteriore esempio di eterocronia dei limiti è dato dalla sommità del Biancone, unità che viene utilizzata per comprendere gran parte delle facies bacinali cretaciche. Il passaggio alla sovrastante Scaglia Rossa viene spesso legato a cambiamenti di colore, che in questo caso hanno scarso significato litostratigrafico, essendo fortemente influenzati dai contesti locali. Un maggiore rigore caratterizza il limite superiore della Maiolica, che coincide con l’avvento di apporti terrigeni fini, sostanzialmente a partire dalla base dell’Aptiano. Questo terrigeno ha dato origine alle Marne a Fucoidi (la “Scaglia variegata” delle Prealpi orientali). Nella Guida si è quindi optato per questa seconda soluzione. Analogamente, il passaggio tra “Scaglia variegata” e “Scaglia selcifera” e tra “Scaglia selcifera” e Scaglia Rossa sono stati fatti provvisoriamente coincidere con la scomparsa e la ricomparsa di consistenti apporti argillosi, rispettivamente nell’Albiano sommitale e nel Campaniano superiore. Questi materiali terrigeni sono il sintomo di fasi erosive in aree orogene settentrionali, e hanno verosimilmente subito una distribuzione a vastissimo raggio. Un problema litostratigrafico legato a un passaggio orizzontale è costituito dalla distinzione, nel Cretacico superiore, tra le unità di margine e quelle “interne” della Piattaforma Friulana. Se tale distinzione può avere fondamento almeno per quanto riguarda il Cenomaniano (si veda il capitolo paleogeografico), una separazione litostratigrafica risulta più ambigua nel Turoniano-Senoniano, almeno sulla base delle attuali conoscenze. Inoltre una certa confusione terminologica e la non continuità degli affioramenti tra Carso e Prealpi non aiutano a dirimere la questione. Per quanto le facies di margine risultino statisticamente più “aperte”, la presenza ubiquitaria di caratteristici bio-orizzonti, quali per esempio il livello a Keramosphaerina tergestina, e di facies di tipo “foramol” anche in aree molto interne fanno pensare a importanti fasi trasgressivo-regressive, che hanno dato origine a un complesso sistema deposizionale. Se i rapporti Prealpi-Carso sono ancora da precisare, non sussistono analoghi problemi tra Carso Triestino, Carso Goriziano e Carso sloveno. Per quanto riguarda il Carso, non sembra “elegante” che vi siano almeno tre litostratigrafie in uso, trattandosi della medesima serie. Nel tentativo di semplificare il quadro litostratigrafico, nella Guida si è proposto il ripristino della classica nomenclatura di STACHE (1889, 1920), ripresa da D’AMBROSI (1960) e da P LENICAR (1960). Questa scelta presenta alcune problematiche, in quanto necessita di parziali semplificazioni ed emendamenti, ma risolve i problemi di priorità e ha comunque seri fondamenti geologici (TENTOR et al., 1994). Considerazioni finali La litostratigrafia classica punta prevalentemente sulle caratteristiche litologiche, spesso generando una discreta confusione anche a livello cartografico. Per contro, l’allostratigrafia attualmente in voga presenta seri problemi di applicazione pratica, in assenza di affioramenti davvero spettacolari o di linee sismiche calibrate. Una soluzione a questi problemi è rappresentata da un ragionevole compromesso tra litostratigrafia tradizionale e allostratigrafia, dando maggiore peso ai rapporti spazio-temporali dei corpi sedimentari rispetto alle pure caratteristiche di litofacies. In sostanza, le unità litostratigrafiche dovrebbero rappresentare degli insiemi di litofacies deposti in un certo intervallo di tempo e in un certo luogo. Ciò è valido in particolare nelle imponenti ma relativamente monotone successioni del Giurassico-Cretacico esaminate, e nei Flysch senonianopaleogenici. In conclusione, eventuali formalizzazioni di unità litostratigrafiche del FriuliVenezia Giulia sono da operarsi nell’ambito di adeguate conoscenze stratigrafiche a scala regionale e con una visione unitaria dei problemi geologici. Sono ben conscio, infatti, di aver contribuito ad aumentare la confusione terminologica nella fase iniziale degli studi sui Flysch delle Prealpi Giulie, e di quanto sia costato e costi tutt’ora diradare in qualche maniera il “polverone” creato. A tale riguardo, è in corso un tentativo di formalizzazione litostratigrafica di alcune unità della Regione da parte dell’Università di Milano (coordinatrice M.B. Cita). Questa operazione sarà tanto più lodevole quanto più attuerà una catalogazione dei più significativi dati a disposizione, e non una vera e propria formalizzazione, in quanto il quadro stratigrafico-paleogeografico del Mesozoico e del Cenozoico inferiore presenta ancora molti lati oscuri. Ringraziamenti Questa nota sarebbe rimasta nel cassetto senza lo sprone e la collaborazione di Giorgio Tunis e Maurizio Tentor. Bibliografia D’A MBROSI C. (1960) - Sviluppo e caratteristiche geologiche della serie stratigrafica del Carso di Trieste. Boll. Soc. Adriatica Sc., v. 51, pp. 39-58. PLENICAR M. (1960) - Stratigrafski razvoj Krednih plasti na juznem Primorskem in Notranjskem. Geologija, v. 6, pp. 22-145. STACHE G. (1889) - Die Liburnische Stufe und deren Grenz-Horizonte. Erste Abteilung. Abh. K.K. Geol. Reich., v. 13, pp. 1-170. STACHE G. (1920) - Görz und Gradisca Geol. Spezial Karte der in Reichsrate vertreten Konigreiche und Lander Osterreichisch-Ungarischen Monarchie. Geol. Bund.. TENTOR M., TUNIS G. e VENTURINI S. (1994) - Schema stratigrafico e tettonico del Carso isontino. Natura Nascosta, v. 9, pp. 1-32. TUNIS G e VENTURINI S. (in stampa) - La successione giurassico-cretacica e paleogenica. In: Guide Geologiche regionali. Friuli-Venezia Giulia. A cura della Società Geologica Italiana. Natura Nascosta Numero 19 Anno 1999 pp. 47 - 54 Figure 7 ALCUNE GROTTE SCOPERTE E RILEVATE NEGLI ANNI '90 Maurizio Tentor Riassunto - Vengono presentati e descritti i rilievi di alcune cavità scoperte negli anni '90 dal Gruppo Speleologico Monfalconese A.d.F. Introduzione Dopo diversi numeri di Natura Nascosta senza lavori speleologici a carattere esplorativo e di ricerca, mi sento in dovere di rendere note alcune delle cavità scoperte e rilevate negli ultimi anni. Grotta Marisa II (VG. 5736) La cavità (fig. 1) rilevata nel 1992 si apre sulla parete di una dolina fra le imboccature di due gallerie militari. La grotta è stata scoperta durante una prospezione geologica. Un colpo di martello per il prelievo di un campione roccioso metteva alla luce un piccolissimo foro dal quale fuoriusciva una notevole corrente d'aria. Un successivo impegnativo lavoro di disostruzione ha permesso di accedere a un pozzo di 12 metri che termina in una sala del diametro di circa 15 metri, riccamente concrezionata. Nella parte terminale di questa sala, un'altra strettoia aperta dopo disostruzione ci ha permesso di accedere ad un secondo pozzo di 12,4 metri alla fine del quale si trova una seconda sala di 10 per 24 metri anche questa riccamente e variatamente concrezionata. Attualmente la grotta è chiusa e le chiavi sono disponibile presso il nostro Gruppo. Fig. 1 - Rilievo della grotta Marisa II. Pozzetto I a N.E. della grotta Marisa II (VG. 5815) Si tratta di una piccola cavità (fig. 2) aperta nel 1995, ad andamento verticale con profondità di 6 metri, aperta dopo un breve lavoro di disostruzione. Sul fondo del pozzo si trova una piccola nicchia che probabilmente da accesso ad altri vani. Dopo un tentativo di rimuovere la frana che incombe sulla nicchia, si è dovuto rinunciare a causa del rischio. La grotta dopo essere stata rilevata è stata richiusa con dei massi. Fig. 2 - Rilievo del pozzetto I a N.E. della grotta Marisa II. Grotta del Clandestino (VG. 5994) L'ingresso della grotta (fig. 3), scoperta nel 1996, è costituito da un pozzetto di 10 metri. La breve galleria sotto il pozzo impostata su frana è leggermente in pendenza positiva. Seguendo in discesa la galleria, dopo circa 6 metri si trova un gradino che risale per circa 2 metri e immette nella parte finale, riccamente concrezionata. Fig. 3 - Rilievo della grotta del Clandestino. Pozzetto del Finanziere (VG. 5995) L'ingresso, scoperto nel 1996 (fig. 4), si trova in una fessura della roccia. Il pozzo d'accesso è di 3,3 metri. Sul fondo, superata una strettoia, si entra in una saletta molto ricca di concrezioni. Fig. 4 - Rilievo del pozzetto del Finanziere. Grotta Nonno Pian (VG. 6025) L'ingresso trovato e disostruito nel 1996 (fig. 5), è costituito da un scivolo molto inclinato che termina con un pozzetto di circa 7 metri, superato il quale si prosegue in leggera pendenza fino a una strettoia che immette in un pozzo di 13 metri. A lato della base di quest'ultimo, si trova un'ulteriore pozzo di 23 metri che in caso di pioggia è soggetto ad intenso stillicidio. Il fondo, di forma pressoché circolare, è riempito da detriti. La grotta termina con una galleria lunga circa 10 metri. Dopo aver eseguito il rilievo, la cavità è stata richiusa con massi in quanto pericolosa trovandosi sul bordo di un sentiero. Fig. 5 - Rilievo della grotta Nonno Pian. Grotta Staige (VG. 6035) Scoperta nel 1997 (fig. 6), questa cavità inizia con un pozzetto di 6 metri. Arrivati sul fondo, si segue un ramo piuttosto angusto e in discesa alla fine del quale scendendo un'altro pozzetto si accede a una piccola sala dove sono presenti alcune concrezioni. Fig. 6 - Rilievo della grotta Staige. Pozzo presso il valico di S. Pelagio (VG. 6036) Questa cavità, scoperta nel 1997 (fig. 7), si apre su una frattura con direzione NS e il suo ingresso misura 1 per 0,50 metri ed è costituita solamente da un pozzo di 11,5 metri. Non presenta segni di prosecuzione. Fig. 7 - Rilievo del pozzo presso il valico di S. Pelagio. Bibliografia di riferimento GUIDI P. (1996) - Toponomastica delle grotte della Venezia Giulia. Quaderni del Catasto Regionale delle grotte del Friuli-Venezia Giulia, p. 78. GUIDI P. (1999) - Nuove grotte della Venezia Giulia anni 1992-1997. Quaderni del Catasto Regionale delle grotte del Friuli-Venezia Giulia, pp. 17, 42, 79, 95, 100. INDICE IL VINO CHE NASCE DAL MARE: I VIGNETI DEI COLLI ORIENTALI CRESCONO SU DI UN FONDALE MARINO TROPICALE DI 50 MILIONI DI ANNI FA Fabio M. Dalla Vecchia pag. 1 L’ESPOSIZIONE PALEONTOLOGICA DELLA ROCCA DI MONFALCONE M. Edalucci e M. Duca pag. 8 THE FOSSILS OF THE CRETACEOUS LAGERSTÄTTE OF POLAZZO (FOGLIANO-REDIPUGLIA, GORIZIA, NE ITALY) D. Rigo pag. 10 FUNZIONI E CARATTERISTICHE DI UN MODERNO MUSEO NATURALISTICO F. M. Dalla Vecchia pag. 20 PSICOLOGIA APPLICATA ALLE ATTIVITÀ DIDATTICHE G. Deiuri pag. 23 NUOVE ESPLORAZIONI ALL'INGHIOTTITOIO DI MINERES (422 FR) A. Zoff pag. 27 BREVISSIMA STORIA DELLA PALEONTOLOGIA F. M. Dalla Vecchia pag. 34 APPUNTI SULLA PALEOGEOGRAFIA DEL GIURASSICOCRETACICO DEL FRIULI-VENEZIA GIULIA. RELAZIONI CON L’ASSETTO LITOSTRATIGRAFICO S. Venturini pag. 37 ALCUNE GROTTE SCOPERTE E RILEVATE NEGLI ANNI '90 M. Tentor pag. 47