Estinzione della societa`: presupposti necessari per la tutela del
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Estinzione della societa`: presupposti necessari per la tutela del
Giurisprudenza Diritto societario S.r.l. Estinzione della società: presupposti necessari per la tutela del creditore insoddisfatto Tribunale di Milano, Sez. VIII, 8 marzo 2011, n. 3142 - Pres. e Rel. Peroziello - C.M. ed altro c I.E. s.r.l. Società - Società di capitali - Società a responsabilità limitata - Estinzione - Creditori - Liquidatore - Responsabilità (Cod. civ. artt. 2043, 2495) Il liquidatore può essere chiamato a rispondere nei confronti del creditore insoddisfatto solo a condizione che questi dimostri l’esistenza, nel bilancio finale di liquidazione, di una massa attiva che sarebbe stata sufficiente a soddisfare il suo credito ed è stata invece distribuita ai soci oppure di una condotta colposa o dolosa del liquidatore cui sia imputabile la mancanza di tale massa attiva. Società - Società di capitali - Società a responsabilità limitata - Estinzione - Responsabilità soci - Onere della prova (Cod. civ. art. 2495) Nelle società di capitali è la concreta attribuzione patrimoniale ‘‘secondo il bilancio finale di liquidazione’’ ad implicare ex lege l’assunzione in capo al socio anche di una corrispondente quota parte dei debiti sociali rimasti insoddisfatti. Detta attribuzione rappresenta non solo il ‘‘limite’’ ma anche il ‘‘fondamento’’ della pretesa che può essere fatta valere dal creditore insoddisfatto - e l’onere della prova della effettiva sussistenza di un tale ‘‘fatto costitutivo’’ non può che cadere su chi agisce in giudizio. Il Tribunale (omissis). Con l’atto introduttivo del presente giudizio parte attrice agisce ex art. 2495 cpv c.c. per la riscossione di un credito vantato nei confronti della società (omissis) s.r.l., in liquidazione dal 2001 e poi cancellata in data 27 luglio 2008 e dunque estinta, nei confronti del cessato liquidatore (omissis) e di uno dei soci (omissis). Nella specie risulta pacifica sia la sussistenza del credito vantato verso la società (omissis) (quale derivante da una sentenza del 18 giugno pronunciata in suo favore) sia la piena consapevolezza di tale pendenza da parte del liquidatore (omissis) (come da scambio di corrispondenza intercorso tra le parti e documentato in atti). In tale contesto l’attore ha prodotto il bilancio della società (omissis) s.r.l. al 31 dicembre 2001 (primo bilancio redatto in fase di liquidazione) ed ha chiesto ex art. 210 c.p.c. l’emissione di ordine di esibizione dei successivi bilanci della società fino al bilancio finale di liquidazione - nel merito ha richiesto la condanna di entrambi i convenuti, in via solidale o alternativa tra loro, al pagamento integrale del credito vantato. A fronte di tali richieste e prospettazioni il Tribunale ha 1138 ritenuto innanzitutto di dover rigettare la richiesta istruttoria di ordine di esibizione, quale formulata in maniera palesemente esplorativa (invero parte attrice nulla deduce in ordine alla effettiva predisposizione e pubblicazione dei bilanci in parola) e comunque con riguardo a documenti che (ove esistenti ed effettivamente depositati) la stessa parte interessata alla prova avrebbe potuto e quindi dovuto acquisire. Nel merito, sulla base del materiale di prova cosı̀ acquisito in atti, ha ritenuto di dover senz’altro rigettare la domanda nei confronti di entrambi i convenuti contumaci - per motivi appresso distintamente indicati in relazione alla diversa posizione dei convenuti chiamati in giudizio. Nei confronti del liquidatore (omissis) parte attrice correttamente prospetta una ipotesi di responsabilità extracontrattuale e lamenta in particolare la violazione da parte del convenuto dei ‘‘doveri legali e statutari richiesti dalla natura dell’incarico, segnatamente per il mancato pagamento di un debito conosciuto e/o conoscibile con la normale diligenza’’. Per questa parte, il Collegio al di là della possibile fondatezza dei rilievi proposti in tema di violazione dei doveri propri del liquidatore in ordine al corretto svolgi- Le Società 10/2011 Giurisprudenza Diritto societario mento della fase di liquidazione, ritiene le menzionate deduzioni di parte manifestamente inidonee, già in diritto, a fondare una responsabilità risarcitoria del convenuto, in mancanza di un effettivo nesso causale (neppure prospettato prima che non provato) tra i lamentati inadempimenti e il danno subito dalla parte: invero, secondo concorde insegnamento di giurisprudenza e dottrina, assolutamente consolidato, deve reputarsi che ‘‘il liquidatore ... può essere chiamato a rispondere nei confronti del creditore insoddisfatto solo a condizione che questi dimostri l’esistenza, nel bilancio finale di liquidazione, di una massa attiva che sarebbe stata sufficiente a soddisfare il suo credito ed è stata invece distribuita ai soci oppure di una condotta colposa o dolosa del liquidatore cui sia imputabile la mancanza di tale massa attiva’’. Nel caso di specie, come già evidenziato, una condotta che possa dirsi direttamente cagionativa di danno nei termini sopra evidenziati non è stata neppure prospettata, mentre l’unico elemento di prova concretamente proposto (il bilancio 31 gennaio 2001, relativo al primo esercizio di liquidazione) propone elementi contrari all’accoglimento della domanda di parte, evidenziando una situazione di patrimonio netto negativo e insieme la mancanza in concreto di qualsiasi posta dell’attivo da cui potesse ragionevolmente attendersi l’emergere di plusvalenze latenti idonee a consentire la soddisfazione dei creditori sociali - mentre neppure è prospettato un diverso profilo di responsabilità per eventuale violazione di par condicio creditorum. Parimenti di rigettare, nel contesto descritto anche la domanda proposta nei confronti del socio (omissis). Per questa parte correttamente l’attore richiama il consolidato orientamento di giurisprudenza e dottrina volto ad individuare il fondamento della responsabilità diretta del socio per i debiti della società cancellata ‘‘nel carattere strumentale del soggetto-società, per cui, una volta estinto questo, i soci sono gli effettivi titolari dei debiti sociali nei limiti della responsabilità che essi avevano secondo il tipo di rapporto sociale prescelto, in una sorta di sostituzione in una determinata posizione giuridica di un soggetto ad un altro’’. Ma proprio in tal senso, ricordato come la prevalente giurisprudenza abbia senz’altro letto il fenomeno in termini di ‘‘modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio’’ (Cass. n. 3879/75), occorre soprattutto sottolineare che la concreta disciplina positiva risulta chiaramente orientata a rispettare rigorosamente, nella menzionata fase di ‘‘successione’’, i ‘‘limiti di responsabilità’’ che i soci avevano ‘‘secondo il tipo di rapporto sociale prescelto’’ - come puntualmente ribadito, in termini di ratio legis, nella recentissima pronuncia delle Sezioni Unite n. 4061/10, in cui la positiva limitazione della responsabilità dei soci ‘‘fino alla concorrenza con quanto riscosso nel riparto del capitale sociale’’ viene appunto inequivocabilmente letta come strettamente coerente al sistema di responsabilità limitata delle società di capitali, modellata, ‘‘in ragione della accentuata e totale autonomia del patrimonio delle società aventi personalità giuridica che ... resta comunque destinato a soddisfare i creditori della Le Società 10/2011 società, nei limiti della sua capienza, anche dopo la ripartizione’’. Proseguendo in tale linea di riflessione, si deve allora arrivare a concludere che nelle società di capitali la successione nel lato passivo delle obbligazioni sociali non discende affatto, automaticamente, dalla ‘‘mera qualità pregressa di socio (come parrebbe pretendere parte attrice) ma piuttosto si fonda, in fatto, ‘‘sulla percezione da parte di questi di (quota parte delle) attività destinate alla soddisfazione dei creditori sociali’’: cioè la concreta attribuzione patrimoniale ‘‘secondo il bilancio finale di liquidazione’’ ad implicare ex lege l’assunzione in capo al socio anche di una corrispondente quota parte dei debiti sociali rimasti insoddisfatti (secondo il meccanismo che si verifica in sede di ‘‘scissione’’, laddove una attribuzione senza titolo potrebbe piuttosto dar luogo ad una diversa fattispecie di responsabilità per ‘‘indebito arricchimento’’ ovvero da ‘‘fatto illecito’’, come tale distintamente disciplinata) e a questo punto occorre altresı̀ necessariamente convenire che nella fattispecie in esame detta attribuzione rappresenta non solo il ‘‘limite’’ ma anche il ‘‘fondamento’’ della pretesa che può essere fatta valere dal creditore insoddisfatto (la ‘‘misura’’ di responsabilità fissata dalla norma discende direttamente dalla ‘‘natura’’ del fatto costitutivo del relativo rapporto) - e l’onere della prova della effettiva sussistenza di un tale ‘‘fatto costitutivo’’ non può che cadere su chi agisce in giudizio. In tal senso si ritiene quindi che, pur a seguito della riforma del 2003, non sussista motivo alcuno per discostarsi dagli orientamenti già emersi in relazione al previgente testo normativo, quando la medesima questione qui di interesse era stata espressamente affrontata sotto il profilo della diretta utilizzabilità nei confronti del socio del titolo esecutivo ottenuto dal creditore nei confronti della società debitrice e risolta positivamente dalla più autorevole dottrina sulla base di un duplice presupposto, necessario, che si riteneva di poter individuare nel sistema: da un lato, puntuale salvaguardia del principio di letteralità del titolo esecutivo, atteso che ‘‘il contenuto della responsabilità dei soci è descritto nel bilancio finale di liquidazione’’ (per quanto attiene alla puntuale individuazione della predisposizione e deposito di un formale bilancio di liquidazione quale ‘‘elemento costitutivo’’ della fattispecie di responsabilità ‘‘contrattuale’’ di cui all’art. 2495 c.c.); dall’altro, piena tutela comunque riconosciuta al socio ‘‘giacché all’interno del processo di esecuzione il creditore procedente sarebbe pur sempre chiamato a dimostrare ... il presupposto dell’azione esecutiva, vale a dire l’entità della quota di liquidazione attribuita all’esecutato’’ (quale conseguente risvolto della menzionata prospettazione teorica sul piano della distribuzione degli oneri di prova). Di fatto nel presente giudizio è proprio l’attore a rivendicare il proprio (effettivo e indiscutibile) interesse all’esame dei bilanci di liquidazione, ma sotto tale profilo non può che ribadirsi l’ammissibilità del provvedimento istruttorio richiesto quale tipicamente esplorativo (un ‘‘tentativo’’ volto propriamente a scoprire se, in ipotesi, dai bilanci in oggetto possano emergere i presupposti di una ‘‘successione’’ del socio negli obblighi propri della 1139 Giurisprudenza Diritto societario società estinta), necessario risvolto in realtà del carattere meramente ipotetico della pretesa vantata nei confronti dell’odierno convenuto. Per questi motivi si ritiene qui di dover anzitutto senz’altro rigettare le domande proposte da parte attrice nei confronti dei convenuti contumaci. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, rigetta le domande formulate dall’attore. (omissis). IL COMMENTO di Valentina De Campo Il commento si riferisce ad una decisione assunta dal Tribunale di Milano la quale offre una compiuta disamina dei presupposti necessari all’accoglimento della domanda promossa da un creditore, ex art. 2495 c.c., per il pagamento di un credito rimasto insoddisfatto nel corso del procedimento di liquidazione. Il caso Nella sentenza in commento il Tribunale di Milano si è pronunciato in relazione alla vexata quaestio relativa alla possibilità per i creditori rimasti insoddisfatti in sede di liquidazione di una società di vedere riconosciuta la propria pretesa. Nel caso di specie, il creditore di una società a responsabilità limitata in liquidazione dal 2001, poi cancellata dal Registro delle imprese nel luglio del 2008, aveva promosso - a norma dell’art. 2495 c.c. - un’azione nei confronti del liquidatore e di uno dei soci per ottenere il pagamento del proprio credito rimasto insoddisfatto. Il credito in questione derivava all’attore da una sentenza pronunciata in suo favore nel maggio del 2006 quando il procedimento di liquidazione della società era già pendente. Il Tribunale di Milano ha rigettato integralmente le istanze del creditore nei confronti di entrambi i convenuti avvalendosi di motivazioni che attengono in parte al rito ed in parte al merito. La sentenza che si commenta offre pertanto una chiara ed utile disamina circa i presupposti di fatto e di diritto necessari affinché un creditore, che non abbia visto onorato il proprio credito nel corso del procedimento di liquidazione, possa rivalersi nei confronti del liquidatore o dei soci (anzi, ex soci) di una società ormai estinta, ai sensi dell’art. 2495 c.c. Le questioni affrontate dal Tribunale di Milano Ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. In via preliminare, il creditore/attore ha avanzato una domanda volta all’ottenimento di un ordine di esibizione, ex art. 210 c.p.c., dei bilanci della so- 1140 cietà redatti in fase di liquidazione (escluso il primo bilancio prodotto dal creditore stesso). A tale richiesta il Tribunale ha offerto una risposta negativa giustificata anzitutto dalla formulazione meramente esplorativa di tale istanza, priva di riferimenti circa l’effettiva esistenza dei bilanci dai quali doveva risultare la fondatezza della pretesa attorea. Tale impostazione è conforme a quanto rilevato dalla giurisprudenza più recente in merito al carattere residuale della richiesta istruttoria avanzata ex art. 210 c.p.c. e ai presupposti necessari per il suo ottenimento. La Suprema Corte ha infatti più volte rilevato come tale strumento possa essere utilizzato solo qualora la prova di un fatto non sia acquisibile «aliunde» (1) e purché il soggetto interessato deduca elementi relativi all’effettiva esistenza del documento di cui viene richiesta l’esibizione e del suo contenuto, al fine di verificarne la rilevanza in giudizio ed evitare un’inutile protrazione della fase istruttoria a danno del principio di ragionevole durata del processo (2). In secondo luogo i Giudici milanesi hanno rilevato, conformemente alla giurisprudenza ormai unanime, come l’istanza ex art. 210 c.p.c. non valga a supplire l’onere gravante su chi ne abbia interesse di provare i fatti costitutivi della propria pretesa, Note: (1) Ex multis, Cass. civ., sez. VI, 16 novembre 2010, n. 23120, in Giust. civ. Mass., 2010, 11, 1457; Cass. civ., sez. lav., 23 febbraio 2010, n. 4375, ivi, 2010, 4, 485; Cass. civ., sez. lav., 14 agosto 2008, n. 21671, in Rep. Foro it., 2009, voce Esibizione delle prove, n. 2; Cass. civ., sez. lav., 14 luglio 2004, n. 12997, in Giust. civ. Mass., 2004, 7-8; Cass. civ., sez. lav., 19 settembre 2002, n. 13721, ivi, 2002, 1687; Cass. civ., sez. lav., 14 settembre 1995, n. 9715, ivi, 1996, 88. (2) Cass. civ., sez. lav., 20 dicembre 2007, n. 26943, in Giust. civ. Mass., 2007, 12. Le Società 10/2011 Giurisprudenza Diritto societario laddove, come nel caso di specie, la parte interessata possa (e quindi debba) acquisire un certa prova nel proprio interesse (3). Invero, nel caso di specie, poiché oggetto dell’ordine di esibizione erano i bilanci delle società - soggetti a deposito presso il Registro delle imprese - il Tribunale di Milano ha ritenuto che il creditore si trovasse nella possibilità di adempiere autonomamente alla prova senza ricorrere alla richiesta di esibizione. La responsabilità del liquidatore per il mancato pagamento del creditore Secondo quanto previsto dall’art. 2495 c.c., dopo la cancellazione della società dal Registro delle imprese, ai creditori rimasti insoddisfatti è concessa la possibilità di far valere i propri crediti nei confronti dei liquidatori «se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi». La responsabilità dei liquidatori verso i creditori rimasti insoddisfatti ha secondo quanto sostenuto unanimemente dalla dottrina e dalla giurisprudenza - natura di responsabilità extracontrattuale. Tale conclusione viene argomentata muovendo, da un lato, dalla considerazione circa la mancata preesistenza di un vincolo obbligatorio tra creditore e liquidatore, imprescindibile presupposto della responsabilità contrattuale e, dall’altro lato, dall’espresso richiamo effettuato dall’art. 2489 c.c. alle norme che disciplinano la responsabilità degli amministratori (4). In particolare, l’art. 2394 c.c. sanziona, a titolo di responsabilità extracontrattuale, i componenti dell’organo gestorio per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Analogamente, anche la responsabilità dei liquidatori nei confronti dei creditori sociali ai sensi dell’art. 2495 c.c., viene ritenuta alla stregua di una responsabilità extracontrattuale per lesione del diritto di credito del terzo (5). Trattandosi di responsabilità aquiliana, l’azione esperita nei confronti del liquidatore è soggetta a prescrizione quinquennale, decorrente dal giorno dell’iscrizione della cancellazione della società dal Registro delle imprese. Presupposti di tale responsabilità sono il mancato pagamento (elemento oggettivo) e la riconducibilità del mancato pagamento alla condotta colposa dei liquidatori (elemento soggettivo) (6). Ciò premesso, dalla riconosciuta natura extracontrattuale della responsabilità dei liquidatori discende, quale inevitabile conseguenza, l’onere in capo al creditore di provare i fatti costitutivi di tale responsabilità, ovvero di dimostrare: (i) la condotta colposa (o dolosa) del liquidatore (7); (ii) il pregiudizio subito da parte del creditore; e (iii) il nesso di causalità tra la Le Società 10/2011 condotta posta in essere dal liquidatore ed il pregiudizio subito. Quanto alla condotta colposa, si deve rammentare che, ai sensi dell’art. 2489, comma 2, c.c., i liquidatori sono tenuti ad adempiere i propri doveri «con la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico». In via esemplificativa, la dottrina ha ricondotto ai liquidatori il dovere di liquidare le attività con l’impegno necessario per la massimizzazione dei ricavi, di accertare attraverso un accurato controllo contabile la posizione debitoria della società, di soddisfare i creditori sociali con le somme ricavate dalla realizzazione dell’attivo e, solNote: (3) Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2009, n. 20104, in Giust. civ. Mass., 2009, 9, 1329; Cass. civ. 12 maggio 2006, n. 11004, in Banca, borsa, 2007, II, 731; Trib. Pescara 4 ottobre 2007, n. 1288, in Giur. mer., 2008, 4, 1042. (4) A. Zagarese, Sopravvenienze passive e responsabilità del liquidatore ex art. 2465 c.c., in Giur. comm., 2002, 376, ove si rileva che «per quanto attiene la natura della responsabilità dei liquidatori nei confronti dei creditori sociali continua il parallelismo con quanto stabilito in materia di responsabilità degli amministratori per cui si afferma che la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti del liquidatore rientra nello schema della responsabilità di natura extracontrattuale prevista dall’art. 2394 c.c. riguardante gli amministratori, ma applicabile altresı̀ ai liquidatori per il rinvio contenuto nell’art. 2276 c.c. (attuale 2489, comma 2, c.c.)». (5) Sulla natura extracontrattuale della responsabilità dei liquidatori, in giurisprudenza, ex multis, cfr. Cass. civ., sez. I, 1 aprile 1994, n. 3216, in Foro it, 1995, I, 1302, ove «ha natura extracontrattuale l’azione di responsabilità di cui all’art. 2395 c.c., proposta contro i liquidatori dal terzo che si reputi danneggiato dall’omessa vigilanza degli stessi sulle nuove operazioni eseguite dall’ex-amministratore dopo la messa in liquidazione della società». Trib. Milano 17 febbraio 2005, in Giust. a Milano, 2005, 11, 79 ove «la pretesa risarcitoria della società creditrice, nei confronti del liquidatore, non può essere fatta valere contando su di una responsabilità che comunque gravi sullo stesso, ma può essere fatta valere soltanto affermando i fatti costitutivi della responsabilità e, in particolare, fatti che integrino un di lui colpevole comportamento, attivo od emissivo, un pregiudizio della garanzia patrimoniale e un rapporto di causalità tra detto comportamento e detto pregiudizio». (6) A. Dimundo, Sub art. 2495 c.c., in G. Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, Commentario, Milano, 2003, 227; C. Pasquariello, Sub art. 2495 c.c., in A. Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, Commentario, Padova, 2005, 2290; V. Sangiovanni, Estinzione delle società di capitali e attività e passività residue, in Notariato, 2009, 680 ss. (7) Benché l’art. 2495, comma 2, c.c. non vi faccia espresso riferimento, la dottrina ritiene che la disposizione comprenda anche l’ipotesi di dolo dei liquidatori. In tal caso questi rispondono penalmente, posto che, secondo quanto previsto dall’art. 2366 c.c. «i liquidatori che, ripartendo i beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o dell’accantonamento delle somme necessarie per soddisfarli, cagionano danno ai creditori, sono puniti a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni». Cfr. R. Alessi, I liquidatori di società per azioni, Torino, 1994, 202; G. Niccolini, Sub art. 2495, in G. Niccolini - A. Stagno d’Alcontres (a cura di), Società di capitali, Commentario, Napoli, 2004, 184. 1141 Giurisprudenza Diritto societario tanto dopo l’estinzione delle passività, di ripartire tra i soci l’eventuale residuo attivo (8). Ciò detto, la sussistenza di una condotta colposa da parte del liquidatore è ravvisabile anzitutto in caso di mancato pagamento dei crediti conosciuti o conoscibili utilizzando la normale diligenza (9) tra cui rientrano, in particolare, le passività derivanti da diffide, accertamenti tributari o, come nel caso di specie, da procedimenti giudiziari (10). L’individuazione di una condotta colposa posta in essere dal liquidatore non è peraltro sufficiente a determinare la responsabilità di quest’ultimo nei confronti del creditore rimasto insoddisfatto. A tal fine è infatti necessario che il mancato soddisfacimento del credito sia eziologicamente riconducibile al liquidatore, il che si verifica, secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza, qualora il creditore dimostri: (i) l’esistenza, nel bilancio finale di liquidazione, di una massa attiva che sarebbe stata sufficiente a soddisfare il suo credito ed è stata invece distribuita ai soci, oppure (ii) in mancanza di una massa attiva, l’imputabilità di tale circostanza alla condotta colposa o dolosa del liquidatore (11). Nel caso di specie, il Tribunale di Milano, aderendo all’indirizzo giurisprudenziale ricordato, ha rigettato la domanda promossa dal creditore nei confronti del liquidatore rilevando come, sebbene il mancato pagamento del credito in questione potesse essere ricondotto alla condotta colposa di quest’ultimo - che non poteva non conoscere le ragioni di un credito accertato giudizialmente e sorto in pendenza della liquidazione - totalmente assente appariva la prova circa la sussistenza di un nesso causale tra il mancato pagamento del creditore e la condotta del liquidatore. Invero, l’unico bilancio prodotto dall’attore mostrava una situazione patrimoniale della società (con patrimonio netto negativo e assenza di qualsiasi posta dell’attivo da cui potessero emergere plusvalenze latenti idonee a soddisfare i creditori) tale da escludere ogni concreta possibilità di soddisfacimento del creditore. Fondamento e limiti della responsabilità dei singoli soci Quanto alla responsabilità dei singoli soci nei confronti del creditore rimasto insoddisfatto in sede di liquidazione, l’art. 2495, comma 2, c.c. prevede che «ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino a concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione». La norma in questione è stata da ultimo modificata dal legislatore della 1142 Note: (8) A. Dimundo, Sub art. 2495 c.c., in G. Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, Commentario, Milano, 2003, 227. In giurisprudenza, Trib. Milano, sez. VIII, 18 dicembre 2008, n. 15023, in Giust. a Milano, 2008, 12, 88, ove, con riferimento al liquidatore si sostiene che «è suo preciso dovere procedere alla liquidazione per pagare i debiti sociali e comunque conservare il patrimonio della società sia nell’interesse dei soci sia nell’interesse dei creditori, i quali debbono essere soddisfatti per quanto possibile durante la liquidazione. Principale obbligo del liquidatore è, infatti, quello di liquidare i beni e cosı̀ pagare i debiti sociali distribuendo l’eventuale resto ai soci». (9) R. Alessi, I liquidatori di società per azioni, cit. 202 il quale menziona tra gli altri casi tipici di condotta colposa del liquidatore la vendita dei beni sociali a prezzi troppo bassi rispetto al prezzo di mercato, la distribuzione di acconti ai soci oltre i limiti previsti dall’art. 2491, comma 2, c.c. Cfr. V. Sangiovanni, Estinzione delle società di capitali e attività e passività residue, cit. 680 e ss.; M.P. Ferrari, Responsabilità del liquidatore di società a r.l. per omessa considerazione di un debito, nota a Trib. Milano 14 novembre 2007, in questa Rivista, 2009, 1045 ss. In Giurisprudenza, Trib. di Rovereto 16 aprile 2007, in Giur. comm., 2008, II, 443, con nota di Moietta. (10) Trib. Napoli 3 giugno 2004, in questa Rivista, 2005, 487 ss. con nota di I. Laureti; Trib. Roma 19 maggio 1995, in Foro it., 1996, I, 2258; Trib. Verona 19 giugno 2001, in Giur. comm., 2002, II, 376, con nota di Zagarese, cit., ove in caso analogo a quello in commento si rileva che «la responsabilità del liquidatore per l’omessa considerazione del debito deriva dalla doverosità della consapevolezza della pendenza del giudizio». (11) Tale orientamento è largamente condiviso in giurisprudenza, cfr. Trib. Milano 14 novembre 2007, in questa Rivista, 2009, 1045, con nota di M.P. Ferrari, Responsabilità del liquidatore di società a r.l. per omessa considerazione di un debito, cit., ove «affinché vi possa essere risarcimento per comportamento illegittimo dell’amministratore o del liquidatore, occorre che sia provata non solo la illiceità del comportamento, ma anche la conseguenza dannosa che da questa discende, in modo causalmente connesso»; Trib. Napoli 9 ottobre 2007, in Corr. mer., 2007, 12, 1400 ove «il liquidatore di una società a responsabilità limitata che abbia, con la sua condotta, reso impossibile la soddisfazione di un creditore sociale, è responsabile nei confronti di questi ex art. 2395 c.c., e può essere disposto, nei suoi confronti, anche il sequestro conservativo dei beni (nella specie il liquidatore aveva redatto il bilancio di liquidazione con criteri non conformi a legge, facendo risultare la totale in capienza della società)»; Trib. Napoli 3 giugno 2004, in questa Rivista, 2005, 487; Trib. Roma 20 marzo 2000, in Giur. it., 2001, 104 ove, in merito all’azione promossa nei confronti del liquidatore si conclude che «la fondatezza dell’azione, pertanto, è subordinata al concorso dei suoi elementi costitutivi ovvero la (iscrizione della) cancellazione della società dal Registro delle imprese, l’esistenza di un credito rimasto insoddisfatto e la condotta colposa del liquidatore, da cui sia derivato, in nesso eziologico, il mancato soddisfacimento del credito»; Trib. Roma 19 maggio 1995, in Foro it., 1996, I, 2258. In dottrina, cfr. C. Pasquariello, Sub art. 2495 c.c., in A. Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, Commentario, Padova, 2005, 2291; A. Dimundo, Sub art. 2495 c.c., in G. Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, Commentario, Milano, 2003, 227; M.P. Ferrari, Responsabilità del liquidatore di società a r.l. per omessa considerazione di un debito, cit. 1045, la quale rileva che «nel caso in cui la cancellazione della società ad istanza dei liquidatori venga effettuata nonostante sussistano rapporti debitori non definiti, ma in assenza di attivo nel bilancio finale di liquidazione, ove quest’ultimo sia stato redatto nel rispetto delle norme di legge ed all’esito di un corretto svolgimento delle attività liquidatorie, deve ritenersi che la condotta dei liquidatori non costituisca in realtà la causa del mancato pagamento dei crediti, da imputarsi esclusivamente all’insufficienza dell’attivo patrimoniale, ma piuttosto la mera occasione del mancato soddisfacimento dei creditori sociali». Le Società 10/2011 Giurisprudenza Diritto societario Riforma nel 2004 con l’inserimento dell’inciso «ferma restando l’estinzione della società», il quale ha inferto un vero e proprio colpo mortale all’unanime orientamento della giurisprudenza che, nel vigore della precedente formulazione, aveva sostenuto l’efficacia meramente dichiarativa dell’iscrizione della cancellazione della società ad esito della liquidazione (12). Alla luce del nuovo tenore assunto dalla disposizione, non appaiono invero sussistere dubbi circa l’idoneità della cancellazione dal Registro delle imprese a determinare l’estinzione irreversibile della società pur in presenza di debiti rimasti insoddisfatti, con conseguente perdita di legittimazione passiva della società in caso di azioni promosse da parte dei creditori rimasti insoddisfatti. Piuttosto controversa è, al contrario, l’individuazione del titolo in base al quale i singoli soci subentrano nelle obbligazioni della società ormai estinta (13). Sul punto il Tribunale di Milano aderisce all’interpretazione favorevole a ricondurre l’ipotesi in questione ad una successione vera e propria dei soci nei debiti della società tenuto conto del carattere strumentale di quest’ultima. Tale scelta appare invero condivisibile, posto che il fenomeno in questione si realizza con il subentro di un soggetto (in questo caso il socio) nella posizione giuridica precedentemente occupata da un altro soggetto (la società estinta) (14). Tuttavia, rifiutando qualunque tentativo di ricondurre la fattispecie in questione alla disciplina della successione mortis causa (15)che, inutile ricordarlo, si realizza sul presupposto che il soggetto ‘‘estinto’’ sia una persona fisica, il Tribunale di Milano individua tra le righe dell’art. 2495 c.c. la previsione di un’autonoma ipotesi di successione ex lege subordinata alla percezione da parte del singolo socio di una quota parte del patrimonio della società. I Giudici meneghini giungono a tale conclusione soffermandosi, in particolare, sul principio affermato dall’art. 2495, comma 2, c.c., in base al quale i soci di una società ormai estinta possono divenire effettivi titolari dei debiti fino a concorrenza di quanto ricevuto in sede di liquidazione. Come rilevato, tale regime di responsabilità appare coerente con l’autonomia patrimoniale che caratterizza le società aventi personalità giuridica per cui, anche dopo la cancellazione e l’estinzione della società, solo il patrimonio di quest’ultima continua a rappresentare la garanzia per il soddisfacimento dei creditori sociali. La ratio dell’art. 2495 c.c. è dunque, secondo quanto sostenuto dai Giudici milanesi, quella di far sı̀ che, per effetto dell’estinzione della società, la responsabilità dei singoli soci non divenga illimitata, ma resti circoscritta entro i con- Le Società 10/2011 fini della responsabilità assunta in base al tipo sociale prescelto. Per questo motivo i singoli soci possono divenire effettivi titolari dei debiti sociali, non automaticamente in quanto ex soci, ma in quanto, e nei limiti in cui, siano stati effettivi destinatari di una quota parte delle attività che dovevano essere destinate alla soddisfazione dei creditori sociali. La vicenda viene affiancata a quanto si verifica in caso di scissione, ove la devoluzione patrimoniale determina l’assunzione da parte della società beneficiaria non sono degli elementi dell’attivo patrimoniale, ma anche di una corrispondente quoNote: (12) Ex multis Cass. civ., sez. III, 12 novembre 2004, n. 21520, in Rep. Foro it. 2004, voce Società, n. 1209; Cass. civ., sez. II, 13 agosto 2004, in Rep. Foro it., 2004, voce Società, n. 1212, n. 15735.A. Milano, 2 dicembre 2003, in Giur. it., 2004, 1213; Cass. 14 maggio 1999, n. 4774, in Giur. comm. , 2001, II, 50 Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1999, n. 5233, in Giust. civ., 1999, I, 2965, con nota di Marchegiani; Cass. civ., sez. I, 14 maggio 1999, n. 4774 in questa Rivista, 1999, 1326, con nota di Di Chio; Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 1998, n. 10380 in Giur. it., 1999, 912; Cass. civ., sez. III, 7 luglio 1998, n. 6597, in Rep. Foro it. 1998, voce Società, n. 861; Cass. civ., sez. II, 16 novembre 1996, n. 10065, ivi, n. 847; Cass. civ. 29 agosto 1987, n. 7139 in Dir. fall., 1988, II, 34. (13) Quanto alla natura della responsabilità dei soci, parte della dottrina individua il fondamento di tale responsabilità nell’arricchimento senza causa. Le critiche principali mosse a tale tesi riguardano il fatto che: (i) il limite della responsabilità del socio non è determinato dal suo arricchimento; (ii) l’azione di arricchimento è azione generale sussidiaria, che trova applicazione solo quando non vi sia diverso titolo in base al quale il soggetto è chiamato a rispondere e (iii) tale tesi richiede una divaricazione della spiegazione nel caso di estinzione di società di persone i cui soci rispondono illimitatamente. In replica a tale orientamento si è argomentato che il titolo in base al quale risponde l’ex socio è lo stesso in base al quale risponde il socio ovvero limitato alla quota in caso di società con personalità giuridica e illimitata per le società di persone. Secondo altro orientamento, l’azione va ricondotta nell’alveo della ripetizione dell’indebito ex art. 2280 c.c. avendo i soci ricevuto una quota di liquidazione pur in presenza di passività ancora da liquidare. In contrasto a tale tesi si è tuttavia argomentato che la responsabilità del socio è commisurata a quanto indebitamente percepito (al momento del pagamento) e non, come invece in base all’art. 2041 c.c., all’arricchimento. Infine, la giurisprudenza e parte della dottrina hanno ricondotto l’ipotesi in questione alla disciplina della successione mortis causa, titolo universale o particolare. Per una puntuale disamina dei diversi orientamenti cfr. C. Pasquariello, Sub art. 2495 c.c., in A. Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, Commentario, Padova, 2005, 2288-2289; A. Dimundo, Sub art. 2495 c.c., in G. Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, Commentario, Milano, 2003, 210-211; G. Niccolini, Sub art. 2495, in G. Niccolini - A. Stagno d’Alcontres (a cura di), Società di capitali, Commentario, Napoli, 2004, 1842. (14) R. Niccolò, voce Successione nei diritti, in Nuoviss. Dig. it., XVIII, Torino, 1957, 606. (15) Sulla riconducibilità dell’ipotesi in questione ad una successione mortis causa cfr. A. Zorzi, Cancellazione della società dal registro delle imprese, estinzione della società e tutela dei creditori, in Giur. comm., 2002, 1, 91, nota a Trib. Monza 12 febbraio 2001; M. Speranzin, Recenti sentenze in tema di estinzione di società: osservazioni critiche, nota a Cass. civ. 20 ottobre 1998, n. 10380, sez. III, in Giur. comm., 2000, 4, 281. 1143 Giurisprudenza Diritto societario ta parte dei debiti facenti capo precedentemente alla società scissa. Il ragionamento descritto porta i Giudici meneghini a rilevare come la concreta attribuzione patrimoniale effettuata a favore del socio, sulla base del bilancio finale di liquidazione, rappresenti non solo il limite oltre il quale nulla potrà pretendere il creditore, ma anche il fondamento vero e proprio di ogni sua pretesa. In assenza di tale presupposto ovvero, come nel caso di specie, in mancanza della prova circa la sua sussistenza, nulla può quindi essere preteso da parte del creditore nei confronti del singolo socio, il cui patrimonio personale resta - durante e dopo la vita della società - al riparo dalle richieste dei creditori della stessa (16). Da ultimo, la sentenza che si esamina, aderendo all’indirizzo espresso dalla dottrina maggioritaria, riconosce espressamente la possibilità per il creditore rimasto insoddisfatto di ricorrere ad un utilizzo diretto nei confronti del socio del titolo esecutivo ottenuto nei confronti della società estinta, sottolineando come tale possibilità non offenda né il principio di letteralità del titolo esecutivo, né il diritto di difesa del socio. Quanto al primo presupposto, i Giudici rilevano come il limite della responsabilità del socio risulti descritto nel bilancio di liquidazione; quanto al secondo presupposto, si sottolinea come il diritto di difesa del socio non possa dirsi pregiudicato tenuto conto dell’onere comunque gravante sul creditore di dimostrare il fondamento dell’azione esecutiva, ovvero l’entità della quota liquidata al socio (17). tale responsabilità discende l’onere in capo al creditore di dimostrare non solo la condotta colposa (o dolosa) del liquidatore, ma, soprattutto, la riconducibilità a tale condotta del proprio pregiudizio. Più incisiva appare invero la posizione assunta dal Tribunale di Milano con riferimento alla responsabilità degli ex soci per i debiti della società non pagati in sede di liquidazione. Muovendo infatti dalla configurazione di tale responsabilità come descritta dall’art. 2495, comma 2, c.c. i Giudici giungono ad individuare un’autonoma fattispecie di successione ex lege la cui operatività è rimessa, sia nell’an che nel quantum, alla concreta attribuzione patrimoniale effettuata nei confronti del socio in base alle risultanze del bilancio di liquidazione. Cosı̀ facendo, la sentenza in esame pone la vicenda entro un’orbita esclusivamente societaria, potendosi cosı̀ legittimamente allontanare dalle diverse interpretazioni dottrinali favorevoli vuoi a ricondurre la responsabilità del socio all’indebito arricchimento, vuoi alla successione mortis causa. Conclusioni Le decisioni assunte nella sentenza in commento appaiono invero pienamente condivisibili e contribuiscono a chiarire il regime di tutela offerto dall’ordinamento al creditore rimasto insoddisfatto ad esito del procedimento di liquidazione di una società, nella specie, di capitali. Come appare dalla sentenza, il venir meno della società ad esito della sua cancellazione dal Registro delle imprese non lascia i creditori rimasti insoddisfatti sprovvisti di tutela, ma il riconoscimento delle loro ragioni è soggetto alla sussistenza di una serie di presupposti la cui prova, come avvenuto nel caso di specie, può risultare diabolica. Quanto alla possibilità per il creditore di vedere riconosciuta la propria pretesa presso il liquidatore, la sentenza in commento, aderendo all’orientamento prevalente della giurisprudenza, ha ribadito il principio in base al quale dalla natura aquiliana di 1144 Note: (16) Come rileva V. Sangiovanni, Estinzione delle società di capitali e attività e passività residue, in Notariato, 2009, 680 ss., «se i soci rispondono solo con il patrimonio della società durante societate, non si capisce per quale ragione essi dovrebbero rispondere in misura maggiore dopo la sua estinzione. Le somme ripartite fra i soci altro non sono che il patrimonio residuo della società, quello in relazione al quale si era limitata la responsabilità verso terzi». (17) A. Dimundo, Sub art. 2495 c.c., in G. Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, Commentario, Milano, 2003, 227; G. Niccolini, Scioglimento, in Colombo Portale (diretto da), Trattato di diritto commerciale, Torino, 1997, 714. Le Società 10/2011