Edizione # 30 Giugno 2014 Italiano

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Edizione # 30 Giugno 2014 Italiano
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ANSAR AL SHARIA E LE SUE DIRAMAZIONI
Allo stato attuale ecco la genesi e la presenza delle varie “Ansar al Sharia” nel mondo
islamico:
Marocco
Il gruppo compare in Marocco nel settembre del 2012 con un annuncio su internet e con
l’apertura di una pagina su Facebook. A seguito dell'uscita pubblica scattano i primi arresti
da parte delle autorità locali anche se, ufficialmente, l’ Ansar marocchina, pur perseguendo
l’immediata applicazione della sharia, rifiuta la lotta armata.
Nella pratica quindi il gruppo non ha mai svolto attività eversiva, salvo alcune
manifestazioni a favore dei detenuti ed accuse alla polizia di torture. Complessivamente la
costola marocchina del gruppo ha tenuto un basso profilo, forse determinato dal limitato
seguito di questa formazione nel contesto sociale marocchino. Ma un altro motivo è forse il
fatto che già esiste nel paese magrebino un’altra formazione estremista, il “Comitato per la
Difesa dei Detenuti Islamisti”, dove sono confluiti ex veterani afghani e dove vengono già
perseguiti obiettivi interni quali, oltre la difesa dei detenuti, l'instaurazione di un califfato. In
senso più lato, l’estremismo islamico in un paese governato da una monarchia
discendente dal profeta rende oggettivamente più difficile e meno credibile una lotta
armata in chiave integralista islamica.
Algeria
L’Algeria, almeno sinora, è un caso a sé stante in quanto non è mai comparsa la sigla di
Ansar al Sharia nel panorama terroristico di quel paese. Il motivo può essere ricercato nel
fatto che il terrorismo islamico è presente in Algeria fin dal 1991 ed è stato un continuo
proliferare di sigle: GIA (Gruppo Islamico Armato), AIS ( Armata Islamica di Salvezza,
braccio armato del FIS), il GSPC (Gruppo Salafita per la Predicazione ed il
Combattimento) da cui poi si è distaccata AQIM(Al Qaeda nel Maghreb islasmico). In
questo marasma di sigle probabilmente non si avvertiva la necessità di aggiungerne altre.
Anche perché poi Ansar al Sharia è comparsa in Mali e le milizie terroristiche vivono
alternativamente tra il nord del Mali ed il sud dell’Algeria.
Mali
La creazione di Ansar al Sharia in Mali risale al dicembre del 2012 a Gao, nel nord del
paese, su iniziativa di Omar Ould Hamaha, noto anche come “Hakka” (dalla storpiatura del
suo kalashnikov Ak47) o come “barbarossa” (dal colore dei suoi capelli). Prima della
formazione di Ansar, il personaggio maliano ha transumato in tutte le altre formazioni
terroristiche che pullulano nel nord del Mali: AQIM, Ansar Dine (in cui ha svolto a lungo
funzione di portavoce), il Movimento per l’Unità e la Jihad nell’Africa Occidentale (MUJAO,
dove ha svolto le funzioni di Capo di Stato Maggiore). Il fatto che più qualifica il ruolo di
Ould Hamaha è però la parentela con Mokhtar Benmokhtar (sposato con una delle sue
figlie) che, nel nome di AQIM (ma in pratica da solo), continua ad essere il terrorista di
maggior riferimento nell’area (nonostante sia stato dato spesso per morto).
Nel caso maliano, la creazione di una nuova sigla terroristica è più un fatto estetico che
pratico, forse dettato dal desiderio di Hamaha di essere anche lui un capo e non la spalla
di altri capi. Questa sua trovata gli ha immediatamente guadagnato una taglia americana
per la sua cattura del valore di 3 milioni di dollari.
Mauritania
La branca mauritana di Ansar al Sharia si chiama “Ansar al Sharia fi Bilad al Shinquit
(Ansar al Sharia nel paese di Shinquiti, dal nome di un ideologo estremista mauritano,
Sheykh Abu al Mundhir al Shinquiti,che ha molto seguito nel mondo dell’integralismo) e
viene indicata sotto il comando di Mokhtar Benmokhtar. Il collante che lega questa
organizzazione alla limitrofa Ansar al Sharia maliana è proprio questo noto terrorista.
Anche qui c’è un fatto eclatante che serve a legittimare il nome: l’attacco all’ambasciata
israeliana a Nouakchott nel febbraio 2008. Evento prima rivendicato da AQIM, ma poi
attribuito ad Ansar al Sharia (e qui è da notare che, a quei tempi, Mokhtar era membro di
AQIM da cui poi veniva successivamente espulso per dissidi coi vertici
dell’organizzazione) quando questa nuova sigla compare per la prima volta pubblicamente
nel giugno del 2013.
Ufficialmente il capo di questo nuovo gruppo è un mauritano, Ahmed Salem Ould al
Hassan, già ospite delle patrie galere per militanza in gruppi radicali islamici. Ed è proprio
nelle carceri di Dar Naim che si è inizialmente concepito questo gruppo. Gli obiettivi
dichiarati appaiono al momento più concentrati su questioni interne, nel perseguito intento
di islamizzare maggiormente la società. Al momento, a parte i dichiarati legami con il
mondo dell’estremismo islamico e la rivendicazione di un atto di terrorismo pregresso (il
cui coinvolgimento è da ritenersi più morale che pratico), questo gruppo si confronta con
una società, come quella mauritana, dove prevalgono tradizioni e conservatorismo, ma
dove comunque l’Islam è stato interpretato in chiave moderata.
Tunisia
Ansar al Sharia compare in Tunisia nell’aprile del 2011. Il capo riconosciuto è Seif Allah
Benahssine ibn Hussein, noto anche anche con il nome di Abu Iyadh al Tunsi, un terrorista
di lungo corso con precedenti afghani. E' apparso sulla scena politica in Tunisia nell’aprile
del 2011 fondando Ansar al Sharia a seguito della sua liberazione dal carcere per
amnistia, stava scontando una condanna a 68 anni per terrorismo comminata dall'ex
dittatore Ben Ali nel 2003.
Il personaggio si era allontanato dal paese nel 1991 per studiare legge in Marocco,
rientrato nel 1994, era poi scappato in Inghilterra dove gli era stato rifiutato il diritto di asilo,
quindi un'esperienza di guerra in Afghanistan combattendo contro gli americani, fino al suo
arresto in Turchia nel 2003 e la sua estradizione in Tunisia. In Afghanistan, nel 2000, Abu
Iyadh aveva incontrato a Kandahar Osama bin Laden e da lì era nato il sodalizio con Al
Qaeda, circostanza sempre pubblicizzata e mai negata dal diretto interessato.
I suoi studi teologi pongono Abu Ayadh oltre il semplice combattente ed evidenziano lo
spessore di un uomo di pensiero capace di giustificare le proprie iniziative secondo i sacri
testi. Almeno nella fase iniziale, Abu Iyadh ed il suo gruppo propugnavano la non violenza
e si dedicavano ad opere sociali, ribadendo che la Tunisia era terra di proselitismo e non
di jihad.
L’attacco all’ambasciata americana in Tunisia nel 2012, le violenze di piazza e i sermoni
infuocati anche contro Ennadha hanno portato, nell'agosto del 2013, alla massa al bando
da parte delle autorità tunisine di Ansar al Sharia. L’accusa è anche di collusione con Al
Qaeda nel Maghreb Islamico. Su questo movimento grava anche il sospetto del suo
coinvolgimento nella recente uccisione di due esponenti laici tunisini, Chokri Belaid e
Mohamed Brahmi. Durante le indagini sarebbe stata scoperta una lista di ulteriori
personaggi politici da eliminare, compresi esponenti di Ennadha.
Oggi Abu Iyadh vive in clandestinità o, se si da credito a notizie non confermate, sarebbe
stato arrestato a Misurata, in Libia, nel dicembre 2013 dagli americani ed estradato a
Tunisi.
Libia
Ansar al Sharia, che ha combattuto in Cirenaica contro Gheddafi durante la guerra civile,
è diventata famosa in Libia per l’operazione contro il consolato americano di Bengasi e
l’uccisione dell’ambasciatore USA. Tra le sue altre iniziative di spessore vi sono anche, nel
solco dell’integralismo salafita che non tollera la venerazioni di altri soggetti che non siano
Allah, la distruzione di luoghi di culto di santi sufi a Bengasi e Tripoli.
Vi sono due organizzazioni con il nome Ansar al Sharia attualmente in Libia. Esse operano
territorialmente in due aree distinte, Derna e Bengasi, e non è chiaro se siano sotto un
unico comando. Quella di Derna, una via di mezzo tra banditismo e terrorismo, faceva
capo a Abu Sufian bin Qumu, ucciso nell’aprile 2013. Un terrorista di lungo corso con
esperienze afghane, Qumu è stato rinchiuso a Guantanamo, consegnato ai libici nel 2007
e amnistiato dal Geddafi, insieme ad altri esponenti del Gruppo Islamico Combattente
Libico di cui era stato militante, nel 2010.
L'Ansar al Sharia di Bengasi, invece, fa capo a Ahmed Abu Khattalah. Sono loro il gruppo
che materialmente ha guidato l’attacco contro il consolato americano l’11 settembre 2012.
Sotto Geddafi, Khattalah era assurto alla ribalta nel 2011 quando la sua milizia aveva
ucciso un ex ministro dell’Interno, Abdel Fattah Younis. Il nome di Ansar Al Sharia è stato
dato alla sua milizia in un momento successivo alla guerra civile. Comunque, le simpatie di
Khattalah per Al Qaeda correlati a contatti con AQIM in Mali sono fatti noti. La cattura di
Abu Anas al Libi nell'ottobre 2013 a Tripoli da parte delle Forze speciali americane, con
conseguente estradizione negli USA, ha reso Khattalah, che prima si dedicava ad
interviste e minacce pubbliche, più prudente.
L'Ansar al Sharia libica fornisce assistenza alla popolazione, dà supporto ad
organizzazioni caritatevoli, fornisce cioè un servizio alla popolazione di Bengasi che il
governo centrale non è in grado di assicurare. E quindi, nonostante la caccia americana,
Khattalah gode di considerazione e protezione in Cirenaica.
Egitto
In Egitto, dopo il crollo del regime di Hosni Mubarak e la maggiore condiscendenza dei
Fratelli Musulmani verso le frange islamiche, erano comparse nel paese due
organizzazioni che si ricollegavano al nome della legge islamica: una, la “Gamaat Ansar Al
Sharia” (Associazione Ansar al Sharia, nata nell'ottobre 2012), dedicata più alle riforme
della società egiziana attraverso l’applicazione stretta della sharia, ed un’altra, apparsa
qualche mese più tardi, la “Al Taliah al Salafiyah al Mujahediyah Ansar al Sharia”
(l’Avanguardia Salafita Combattente di Ansar al Sharia), più internazionalista e quindi
dichiaratamente più vicina ad Al Qaeda. Non casualmente, in questa seconda
organizzazione è comparso tra i militanti anche Mohammed al Zawahiri, fratello del più
noto Ayman, liberato dalle carceri egiziane nel marzo 2012, dove era rinchiuso perché
membro della Jihad Islamica egiziana.
Dopo l’estromissione di Morsi e il ripristino del regime militare, la Gamaat Ansar al Sharia
ha tralasciato gli aspetti sociali ed umanitari e si è convertita, con un proclama ufficiale del
luglio 2013, alla lotta armata spostando il suo centro operativo nel Sinai. Il suo capo,
Ahmad al Arush, è un ex combattente afghano liberato anch'egli dopo la Primavera Araba.
Paradossalmente, nella stessa circostanza, la Al Talyah ha effettuato il percorso inverso:
su indicazione del capo di Al Qaeda si è affrancata dalla lotta armata per dedicarsi ad
attività di propaganda e proselitismo. In altre parole, in Egitto le due organizzazioni sono
complementari ed intercambiabili.
A seguito di un attentato contro un autobus di turisti sud-coreani nel Sinai è comparsa una
nuova organizzazione che ha rivendicato l’attacco: Ansar Beit al Maqdis. Anche in questo
caso è probabile che si utilizzino parole ricorrenti nel lessico islamico-terroristico per dare
l’impressione che nel Sinai, dove è già comparsa Al Qaeda nella Penisola del Sinai,
operino organizzazioni distinte. Probabilmente sono sigle alternative di un’unica struttura.
C’è chi ritiene che questo gruppo sia l’ala militare dei Fratelli Musulmani, chi lo ricollega ad
Hamas di Gaza, chi direttamente – per affiliazione o simpatie – ad Al Qaeda, chi invece lo
ritiene diretta emanazione della citata “Al Taliah al Salafiyah al Mujahediyah Ansar al
Sharia”.
Comunque, a seguito della defenestrazione del Presidente Mohamed Morsi e la
persecuzione dei Fratelli Musulmani, le rivendicazioni sotto questa sigla sono state molte
ed anche fuori dal Sinai: l’attentato contro il Ministro degli Interni, l’attacco contro i Quartier
generali della Sicurezza Nazionale a Cairo e Mansoura, l’uccisione di diversi poliziotti.
Yemen
In Yemen Ansar al Sharia è comparsa in molti comunicati abbinati o intervallati a quelli di
Al Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP). Questa circostanza lascia presupporre che il
nome sia stato usato alternativamente da una stessa struttura operativa. Molti analisti del
settore ritengono questo un fatto oramai acquisito e incontrovertibile. Un po’ come
auspicato dalle direttive di Osama Bin Laden ad Abbottabad. E forse, in questo, non
bisogna dimenticare che la famiglia del leader di Al Qaeda era proprio originaria del nord
dello Yemen ai confini con l’Arabia Saudita. Il dato è indirettamente confermate dal fatto
che le disfatte operative subite dagli interventi dei droni americani contro AQAP abbiano
poi avuto ripercussioni anche su Ansar al Sharia.
La prima comparsa di questa sigla in Yemen risale al 2011, a cavallo delle rivolte popolari,
con l’occupazione da parte di questo gruppo di una sede del governatorato di Abyan nel
sud del Paese e la contestuale dichiarazione della creazione di un emirato islamico.
Sconfitta poi da un intervento armato delle forze di sicurezza yemenite, Ansar al Sharia (o
AQAP) ha continuato a fare proclami, minacce di operazioni nel paese, ma senza più
occupare parte del territorio. Tuttavia, nel corso del 2013 il nome più utilizzato per i
proclami è stato quello di AQAP.
Il leader riconosciuto di questo gruppo è Nasir al Wuhayshi, un ex segretario di Bin Laden
in Afghanistan, arrestato dagli iraniani, rispedito in Yemen, scappato dalle carceri e, una
volta libero, si è dedicato a riorganizzare e riunificare le strutture di Al Qaeda in Arabia
Saudita e Yemen. Nel 2013, con la mediazione di esponenti religiosi locali, Ansar al
Sharia/AQAP aveva negoziato e poi concordato un cessate il fuoco con le autorità locali.
L’accordo è poi fallito per decisione governativa.
In Yemen le operazioni di Ansar al Sharia erano inizialmente mirate contro la popolazione
che non si piegava ai dettami islamici. Adesso – un po’ per necessità di difesa e un po’ per
assecondare quello che diceva Bin Laden – gli obiettivi sono soprattutto gli americani e, in
subordine, le forze di sicurezza yemenite che, con il concorso dei droni americani, li
stanno combattendo con soddisfacente successo.
Il comportamento dell’Ansar al Sharia locale è stato oggetto, lo scorso anno, di una
disputa ideologica tra i due sheykh che attualmente vantano il maggior seguito: il siriano
Sheykh Abu Basir al Tartusi ed il mauritano Sheykh Abu al Mundhir Shinqiti. Il primo ha
accusato Ansar per non aver cambiato strategia del colpire la popolazione dopo la
cacciata del dittatore Ali Abdullah Saleh, il secondo era invece su posizioni molto più
estreme.
IL FRANCHISING DEL TERRORISMO ISLAMICO E IL CASO DI ANSAR AL SHARIA
Il mondo dell’estremismo islamico è fatto di tante sigle, qualcuna più nota, altre meno,
alcune compaiono una volta per poi sparire, altre, invece, si ripetono da paese a paese.
Sono nomi evocativi di lotte per il primato dell’Islam, per l’imposizione della sua legge e
delle sue regole. Oppure, in linea subordinata, per sventolare la bandiera dei luoghi sacri
all’Islam, come Gerusalemme (che in arabo si chiama Al Quds o, in forma poetica, “Beit Al
Maqdis”, la casa della santità). Generalmente questi nomi si affermano e si confermano a
cavallo di un atto di terrorismo che serve a pubblicizzare ed enfatizzare il loro operato, a
diventare importanti e famosi nella galassia estremistica e oltre.
Al Qaeda Inc.
Ci sono poi anche sigle che vogliono indicare l'affiliazione ad organizzazioni più illustri ed è
questo il caso di Al Qaeda, che può adesso contare su “Al Qaeda nella Penisola Arabica”
in Yemen, “Al Qaeda nel Maghreb Islamico” in Algeria e Mali, “Al Qaeda nella Penisola del
Sinai” in Egitto. Per dirla in termini di marketing: il franchising garantisce la qualità del
prodotto.
Ma anche se non figura semanticamente nelle sigle dei gruppi terroristici, Al Qaeda
fornisce, di volta in volta e attraverso le dichiarazione del suo attuale capo, Ayman
Zawahiri, attestati di legittimità. Anche in questo caso potremmo a lungo disquisire
sull’emergente ISIS (Islamic State in Iraq and Syria), inizialmente sponsorizzato dal
menzionato Zawahiri (che poi ha spostato il suo appoggio al Jahbat al Nusra che combatte
Assad con milizie di ex combattenti in Afghanistan) per sfruttare, in chiave islamicoterroristica, gli spazi operativi che la guerra civile siriana ed irachena concedono.
La realtà che emerge in questo mondo fatto di sigle e proclami indica che talvolta l’unico
comune denominatore che lega queste organizzazioni è il terrorismo fine a sé stesso, la
lotta armata verso l’empio di turno, sotto la bandiera di un Islam che altro non è che un
pretesto per ogni tipo di efferatezza. Un mostro a più teste, molte volte disarticolate e non
collegate tra loro, ma che vivono delle stesse connivenze e malesseri sociali, reclutano i
quadri negli stessi ambienti, hanno talvolta fonti di finanziamento comuni e condividono
personaggi che transumano da una guerra all’altra e da un gruppo all’altro.
Sono questi ultimi l’unica cintura di trasmissione che lega queste organizzazioni, anche se
non è stato dimostrato che questo porti a sinergie operative e che quindi, in ultima analisi,
esista un’unica mente che li guidi o coordini. Infatti, ancora oggi non è stato dimostrato
alcun legame operativo tra “Al Qaeda nel Maghreb” o gli Shabab somali benché siano
operativi in aree geografiche limitrofe. E lo stesso si potrebbe dire tra gli Shabab e gli altri
gruppi terroristici che operano sull’altra sponda del Mar Rosso come “Al Qaeda nella
Penisola Arabica” ed i ribelli huiti dello Yemen.
Una dispersione di motivazioni, di risorse – e questo è un bene perché li indebolisce – ma
che, nel contempo, impedisce anche di combatterli efficacemente. Ogni gruppo ha la sua
storia, il suo capo, i suoi obiettivi, le sue strutture. Questo, nei fatti, incide negativamente
sulla leadership di Al Zawahiri, ma, di contro, fornisce maggiori opportunità di reclutamento
e espansione al terrorismo islamico. Al Qaeda agisce oramai solo come etichetta di un
prodotto del quale non può più garantire la qualità.
Confinato e nascosto nell’are tribale tra Afghanistan e Pakistan, costretto per motivi di
sicurezza a comunicare in modo discontinuo e secretato, Ayman al Zawahiri gestisce
quello che enfaticamente viene definito il “Comando Centrale” di Al Qaeda. Ha però forti
limitazioni nei movimenti e nei contatti, ma anche soprattutto una limitata conoscenza
diretta del mondo della jihad di cui si ritiene leader morale o materiale. Non decide o si
esprime mai per cognizione diretta, ma per interposta persona. Ed è una situazione che
lentamente sta deteriorando il suo prestigio. Oramai il mondo dell’estremismo e terrorismo
islamico cammina da solo, non ha bisogno di tutele, Al Qaeda rappresenta per loro solo il
passato. Finché durerà sarà una bandiera comune con la quale proiettarsi in una
continuità ideale di intenti e obiettivi.
Il caso di Ansar al Sharia
Come abbiamo detto, un nome o una sigla che si afferma nel panorama dell’estremismo
islamico scatena una competizione per usare la stessa etichetta. Un approccio che sa
molto di marketing o, in alternativa, di violazione del copyright. Sta di fatto, che una sigla
diventata improvvisamente popolare nel mondo di fanatismo, la ritrovi riprodotta in
comunicati, rivendicazioni, magari anche in posti distanti geograficamente tra loro. Uno dei
casi più eclatanti è quello di Ansar al Sharia (“I Partigiani della Sharia”, ovvero della legge
islamica) che ha rivendicato atti di terrorismo in Libia, Yemen, Tunisia, Mali, Marocco,
Mauritania, Egitto.
Si tratta quindi di un'organizzazione unica ramificata in tutto il Medio Oriente e nord Africa?
Allo stato attuale la risposta è no. Un po’ come avviene per Al Qaeda nelle sue varie
denominazioni territoriali, Ansar al Sharia è un nome, una sigla, la denominazione di un
prodotto. Nel caso specifico, l’attestato della sua qualità è garantito direttamente
dall’attuale capo di Al Qaeda Ayman al Zawahiri.
Dietro Ansar al Sharia ci sono la filosofia e le teorie di Abu Mohammed al Maqdisi, di
origine giordano-palestinese, intellettuale e scrittore, ora detenuto in Giordania. Al Maqdisi
aveva anche ispirato le gesta dell’uomo di Al Qaeda in Iraq subito dopo l’invasione
americana, quel Abu Musab al Zarqawi (con cui condivideva la nazionalità giordanopalestinese) poi ucciso dagli americani nel 2006. Una filosofia fatta di lotta contro
l’occidente, gli empi, gli apostati; insomma un teorico a tutto tondo della cultura jihadista.
Nel covo di Osama bin Laden a Abbottabad, in Pakistan, sono stati trovati degli scritti nei
quali il leader di Al Qaeda suggeriva di utilizzare il nome “sharia” nell'appellativo delle
organizzazioni dedite al terrorismo perché rende meglio il significato religioso delle proprie
gesta e rivendicazioni. A seguito di questa indicazione, il termine è poi comparso anche in
molte rivendicazioni attribuibili alla stessa Al Qaeda. Negli stessi scritti, Bin Laden
chiedeva anche un cambio di approccio delle organizzazioni terroristiche: non più
integralismo nei confronti delle masse musulmane nell’imposizione di costumi e moralità,
ma comprensione e tolleranza. Basta ad azioni armate che uccidono innocenti, il danno
collaterale deve essere limitato al massimo.
Le varie Ansar al Sharia che sono apparse nel mondo musulmano hanno fatto propri i
dettami di Osama bin Laden, da un lato hanno dato spazio alle teorie estremiste di Al
Maqdisi ed alla sua idea di jihad, dall'altra si sono dedicati al proselitismo ed alla
islamizzazione della società. Due anime soltanto apparentemente in contrasto e che sono
valse ad Ansar al Sharia l'iscrizione nella liste delle organizzazioni terroristiche da parte
degli Stati Uniti.
Ansar al Sharia, più di altre, rappresenta soprattutto un nome sotto il cui vessillo vengono
oggi portate avanti le istanze generali del fondamentalismo islamico, abbinate agli obiettivi
e finalità del paese in cui operano. In riferimento a quest’ultimo aspetto, è di interesse
notare come si diversifichino i comportamenti da luogo all'altro, passando dall’omicidio
politico all’impegno sociale, dall’attentato al fiancheggiamento dell’attività eversiva. Ansar
al Sharia è a volte un organizzazione autonoma e reale, a volte solo un’etichetta, un tipico
esempio di un mondo dove tutto ed il contrario di tutto avvengono all'insegna dello stesso
nome.
IL TERRORISMO E IL PROBLEMA DEL FINANZIAMENTO
Nel terrorismo islamico sono due i fattori principali che qualificano il quoziente operativo di
una organizzazione e, quindi, la sua correlata pericolosità: la capacità di reclutamento e di
finanziamento.
Giovani senza futuro
Il reclutamento non rappresenta oggi una difficoltà, in quanto vi è una forte offerta di
manovalanza nel mondo arabo e musulmano. L'instabilità diffusa offre oggi immense
opportunità operative; il mix di disagio sociale, rancori e frustrazioni economiche spinge
masse di diseredati a votarsi ad un ideale peraltro giustificato da dettami religiosi. Ad
alimentarlo vi è la martellante propaganda di organizzazioni islamiche o i sermoni nelle
moschee che sobillano questi risentimenti, ispirano e divulgano teorie estremistiche sotto
la copertura di servizi sociali.
Il giovane che non ha aspettative per il futuro, non ha lavoro o soldi, vive nel quotidiano
sotto un regime totalitario o nella prevaricazione o nella povertà, tramuta la sua rabbia e
frustrazione in violenza e, se questa violenza viene giustificata da motivazioni religiose,
decade anche un'eventuale remora psicologica tra il fare del bene ed il fare del male. Per
lui il terrorismo diventa una necessità, un'opportunità, un'aspettativa. Se non ha futuro,
non ha paura del futuro. E' questo aspetto del reclutamento dei potenziali terroristi che,
come illustrato, avviene con sufficiente facilità a causa del contesto sociale in cui si
realizza.
Follow the money
L’aspetto invece più complicato è quello del finanziamento delle organizzazioni
terroristiche perché, se è pur vero che i soldi che circolano in questo settore sono molti, è
altrettanto vero che i meccanismi per movimentare queste masse di denaro devono
essere cautelati, coperti, nascosti. Devono, in altre parole, essere resi invisibili per non
essere individuati: sia per mantenere anonima l’identità di chi fornisce i soldi, sia per
assicurare che il denaro arrivi a destinazione.
Le precauzioni sono tante perché questo è un campo dove i Servizi, le strutture di
sicurezza dei vari paesi sono particolarmente attrezzate e impegnate per combattere il
terrorismo. Anche perché nel settore dell’antiterrorismo l’assunto “follow the money” ha
sempre ricadute positive.
Ci sono molti modi per fare circolare i soldi, sia in modo formale (come le banche)
nonostante i controlli bancari siano molto stretti e le transazioni finanziarie lasciano tracce
indelebili, sia al di fuori dei circuiti ufficiali. E’ chiaro che le organizzazioni terroristiche
propendono verso questa seconda soluzione, anche se molto avviene ancora anche sui
canali “ufficiali”.
I canali ufficiali
La fonte primaria “ufficiale” per il transito di denaro verso le organizzazioni fondamentaliste
sono soprattutto le banche di ispirazione islamica, ovvero quegli istituti finanziari dove
sono concettualmente rifiutati gli interessi e la speculazione finanziaria (percepiti come
usura) nell’applicazione di un concetto di equità nella distribuzione della ricchezza come
intesa dal Corano e nell’applicazione del disegno divino e della legge islamica (“sharia”).
Nate inizialmente nel 1963 in Egitto e poi diffusesi con la Islamic Development Bank nel
1975 e la Islamic Association of Islamic Banks nel 1977, le banche islamiche si sono
diffuse geograficamente in tutto il mondo arabo e non solo con un proliferare di istituti e
organismi. La natura di queste banche, vuoi per il loro approccio religioso, la vicinanza al
mondo e clero musulmano e il reclutamento di personale nelle strutture religiose, meglio di
altre si adatta a quelle transazioni finanziarie il cui movente ha una preminente fisionomia
etico-religiosa.
Ad essere veicolata nella forma apparente di soldi puliti che poi possono diventare
malamente impiegati è soprattutto la “zakat”, la carità, ovvero quel sistema di elargizione
finanziaria da parte di devoti musulmani a favore dei meno abbienti. Una elemosina,
correlata al proprio reddito, che diventa solidarietà islamica a compensazione delle
disuguaglianze sociali. Sono soldi ufficiali, pubblici, noti quindi esenti, almeno fino alla
dimostrazione del contrario, da sospetti. Il fatto che transitino per queste banche e che
circolino soprattutto in Paesi arabi o musulmani rende, per questi flussi di danaro,
problematico il già citato “follow the money”. Al riguardo, basti pensare che i soldi per i 19
attentatori/dirottatori dell’11 settembre 2011 erano giunti da Dubai per vie “ufficiali”.
La finanza islamica è oggi particolarmente diffusa anche nei paesi occidentali e si stima
che la massa di denaro movimentato da queste strutture oscilli oggi tra i 1500 ed i 2000
miliardi di dollari. In questo mare di soldi è facile che una transazione con finalità occulte
possa passare inosservata. Alcune delle banche islamiche sono state accusate di essere
strumento diretto – e non fortuito – del finanziamento di organizzazioni estremiste e/o
terroriste. E’ il caso della Al Barakaat Bank, che ha almeno 40 filiali in tutto il mondo, della
Al Taqwa Bank, che ha sede anche in paradisi fiscali (ed è considerata sotto il controllo
operativo dei Fratelli Musulmani), la Daar al Mahal al Islami e la Dallah al Baraka
(considerate a suo tempo sotto controllo o nella compiacenza operativa di Osama Bin
Laden).
Affiancate al sistema bancario islamico ci sono poi le fondazioni islamiche, comunemente
indicate come “waqf” cioè quelle che amministrano, con finalità caritatevoli o di gestione
patrimoniale di beni a scopo religioso (moschee o altro). Nelle fondazioni confluiscono
donazioni, elargizioni di soldi, lasciti ereditari. Spesso anche fra le pieghe di questo flusso
circolano soldi dalle dubbie finalità. Per avere la dimensione del fenomeno basti pensare,
ad esempio, che solo in Italia le moschee sono circa mille.
Accanto alle fondazioni vi sono anche le organizzazioni caritatevoli che svolgono
ufficialmente attività umanitaria. Anche qui convergono donazioni di denaro e zakat, ma
soprattutto vi è una forte commistione tra finanziamento illecito e reclutamento. Altrettanto
si può dire delle scuole coraniche che pullulano in tutto il mondo, dove vengono venduti
libri, registrazioni, raccolte quote associative, organizzate conferenze e raduni.
I sistemi alternativi
Oltre ai cosiddetti canali ufficiali, vi è in alternativa anche un sistema informale per le
transazioni finanziarie divenuto famoso soprattutto perché applicato in forma massiva in
Somalia (e poi mutuato altrove): l “hawala” (in arabo 'trasferimento'). Io do dei soldi ad un
intermediario nel mio paese, mentre un altro intermediario versa l'ammontare equivalente
a chi di dovere in un altro paese. I due intermediari sono compensati finanziariamente in
un conto gestito dalla casa madre. Non figura il nome di un mandante, non figura il nome
di un ricevente, non c’è traccia di un trasferimento internazionale di soldi. Il sistema
hawala ha la principale base operativa a Dubai, garantisce completamente l’anonimato ed
è quindi particolarmente utile a chi non vuole fare controllare le sue iniziative finanziarie. Il
suo giro d’affari annuale è stimato tra i 6/8 miliardi di dollari. Oggi questo sistema si è
allargato ed evoluto con l'ausilio delle agenzie di “money transfer” che talvolta operano
disattendendo le norme di sicurezza in materia di verifica e controllo nei paesi in cui
operano.
Può essere ritenuto complementare al trasferimento di soldi informale anche quello che
avviene tramite l’utilizzo di contanti materialmente trasportati da una persona da un paese
all’altro. I rischi, in questo caso, sono ammortizzati dall’utilizzo di parenti. Poi c’è internet,
dove una transazione finanziaria tramite agenzie non ufficiali può essere portata a
compimento con sufficiente facilità. Ultimamente si sono aggiunti i trasferimenti di soldi
tramite schede telefoniche (al riguardo si erano opposti a queste transazioni gli Shabab
somali nelle aree sotto il loro controllo per favorire l’hawala).
A supporto delle attività illecite di trasferimento di denaro per finalità terroristiche si
affiancano e intersecano spesso e volentieri le analoghe attività criminali di riciclaggio.
Come ampiamente confermato dai fatti, c’è una collusione ed una sinergia tra questi due
mondi, i quali condividono un comune obiettivo pratico seppur differenziato da finalità
eversive o criminali. I talebani afghani si dedicano al traffico di droga ed impongono tasse
sulla coltivazione dell’oppio (denominata “ushr”), gli Shabab somali si fanno pagare dei
dazi nei territori sotto il loro controllo (nei porti, sul commercio del carbone, ai posti di
blocco). Il proliferare di altre attività similari è comune ad altre parti nel mondo dove sono
presenti formazioni terroristiche: estorsioni ,riciclaggio, traffico di esseri umani e di armi,
rapine, furti ,sequestri e richieste di riscatti (in Mali e dintorni), falsificazione di documenti
(gli algerini in Italia), commercio di pietre preziose (Boko Haram in Nigeria ma sembra
anche Ansar al Sharia in Tunisia).
Un'ultima attenzione bisogna poi riservarla a tutta una serie di società di copertura dove,
accanto ad una attività ufficiale e lecita, se ne nasconde un’altra illegale. I Servizi
occidentali hanno più volte scoperto strutture del genere: le cosiddette società di comodo.
In prima linea appaiono nella casistica le società di import-export. E’ questo un settore in
cui, fin dall’inizio, si è dedicata anche Al Qaeda. Basti pensare a tutti gli investimenti (per
fare soldi, ma anche per trasferirli) che nel tempo sono stati accreditati allo stesso Bin
Laden: dalle citate società di import-export, agli appezzamenti agricoli in Tajikistan e
Sudan, investimenti immobiliari e terreni boschivi in Turchia, cartiere e legname in
Norvegia, pescherecci in Kenya e così via. Un giro di affari e di investimenti stimato in
termini di valore patrimoniale intorno ai 5 miliardi di dollari.
Un fenomeno difficile da combattere
La globalizzazione dei mercati, società offshore, paradisi fiscali, trust, offrono grosse
opportunità alle transazioni finanziarie coperte. Il terrorista moderno non si identifica con lo
stereotipo del mujaheddin barbuto con il kalashnikov in mano che urla “Allah Akbar”. Il
combattente radicale è solo l’ultimo stadio della catena terroristica, il manovale ma non la
mente. Dietro di lui, maggiormente pericoloso, è l’esperto di sistemi finanziari e bancari, il
manager,colui che ha dimestichezza con le comunicazioni ed internet, conosce i mercati,
conosce le leggi e la maniera di aggirarle. E’ il cosiddetto colletto bianco che sta dietro
l'estremista sul campo.
E questo è un mondo difficile da decifrare perché attività legali ed illegali si sovrappongono
ed è quindi più arduo trovare una chiara demarcazione tra finanza e terrorismo. Per
questo vi si stanno dedicando in maniera massiva molti Servizi di Sicurezza. Gli Stati Uniti,
ad esempio, hanno approvato leggi restrittive in materia finanziaria. Altrettanto ha fatto
l’Europa contro il riciclaggio di denaro attraverso le iniziative della Financial Action Task
Force. Anche le Nazioni Unite, nonostante lo scarso valore impositivo delle proprie
iniziative, hanno adottato ed approvato una serie di misure miranti a colpire i sistemi
finanziari che alimentano il terrorismo. Questo perché è ampiamente dimostrato che i soldi
che alimentano una struttura terroristica provengono in massima parte dall’estero e quindi
hanno bisogno, in qualche modo, di essere trasferiti.
Tuttavia, il finanziamento del terrorismo è ben lontano dall'essere sradicato e, se questo
non avviene efficacemente, è ben difficile che lo stesso terrorismo venga debellato.
Perché, se è pur vero che il terrorista è motivato soprattutto da convinzioni ideologiche, ha
comunque bisogno di soldi per sopravvivere e per rendere efficace il suo strumento di
morte.