n. 12 - Primavera 2010 - Le Montagne Divertenti

Transcript

n. 12 - Primavera 2010 - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
T rimestrale
di
A lpinismo
e
C ultura A lpina
n°12 - primavera 2010 - EURO 3
Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio
Sci di fondo
Provare per credere
Meridiane
L'ora di Fratello Sole
Sentiero del
Viandante
Da Dervio a Colico
e
v
r
i
D tenti
Giovanni Morelli
"Valtellina nel passato"
Sondrio
I suoi ultimi prati
Cima della
Bondasca
Scialpinismo fuori
traccia
Alta Valle
Monte Rinalpi, ai piedi
della Cima Piazzi
Fotografia
Fenomeni naturali
spiegati e fotografati
Redorta
Re delle Orobie
Natura
Insetti, rondini e fiori
Valchiavenna
Savogno e Dasile, un
tuffo nel passato
Pittura
Ferruccio Vanotti:
paesaggi e lampi di
colore
Inoltre
Ricette, poesie, giochi,
leggende...
Giovello
le miniere della Valmalenco
valchiavenna
- bassa valtellina - Valmasino - alpi retiche e orobie - valmalenco - alta valtellina
1
Le Montagne Divertenti Editoriale
Beno
La pace è quando arrivi in vetta e il buio è la tua compagnia,
quando in balia della corrente del fiume non hai paura di annegare,
quando puoi startene fermo e fissare il vuoto,
quando mangi solo se hai fame e piangi perchè sei felice,
quando il tuo viaggio ha una meta,
quando non c'è fretta di tornare,
quando hai il coraggio di essere te stesso,
un abbraccio,
quando non hai paura che qualcuno faccia meglio di te,
quando ti senti ospite e non padrone del mondo.
La pace è stata investita da un SUV sulla SS38.
2
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Tramonto in vetta al Pizzo Giumellini (6 gennaio 2010, foto Beno).
In copertina: disgelo al lago Pirola in Valmalenco (23 maggio 2009, foto Roberto Moiola).
Ultima di copertina: fioritura di Crocus in località Corte Granda di Albaredo, sullo
le vetteDivertenti
ancora innevate
Lesfondo
Montagne
della Valgerola (6 maggio 2009, foto Roberto Ganassa).
1
Legenda
Spiegazione delle schede tecniche
Ottimo anche per anziani non autosufficienti
o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale
per la camporella, anche per le coppiette
meno esperte.
Una breve e divertente spiegazione dei gradi di difficoltà (in “scala Beno”) che vengono assegnati
agli itinerari nelle schede sintetiche, così che possiate scegliere quelli a voi più congeniali. I gradi si
riferiscono al periodo in cui è stato compiuto l’itinerario, sono quindi influenzati dalle condizioni
del tracciato. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa
rivista e dalle nostre stesse capacità. In DETTAGLI, invece, viene espressa la difficoltà in caso di
condizioni ideali del tracciato secondo la scala alpinistica convenzionale.
Le schede sintetiche sono anche corredate da indicatori grafici che vi permetteranno, a colpo
d’occhio, di valutare l’itinerario.
Bellezza
pericolosità
Quasi meglio il centro commerciale
Carino
Ne vale veramente la pena
Assolutamente sicuro
Basta stare un po’ attenti
Assolutamente fantastico
Fatica
Richiesta discreta tecnica alpinistica
Pericoloso (è necessaria una guida)
ore di percorrenza
Si comincia a dover stare
attenti alle storte,
alle cavallette carnivore
e nello zaino è meglio mettere
qualche provvista
e qualche vestito.
dislivello in salita
Una passeggiata!
meno di 5 ore
meno di 800 metri
Nulla di preoccupante
dalle 5 alle 10 ore
dagli 800 ai 1500 metri
Impegnativo
dalle 10 alle 15 ore
dai 1500 ai 2500 metri
Un massacro
oltre le 15 ore
oltre i 2500 metri
Le scarpe da ginnastica
cominciano ad essere
sconsigliate (sono d’obbligo
abito da sera e mocassini).
E’ meglio stare attenti
a dove si mettono i piedi.
Vertigini vietate!
su RADIO TSN
FM 101.100/97.700
ogni martedì con Beno & special guests
ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45
WWW.RADIOTSN.IT
Montagna divertente,
itinerario molto lungo
e ricco di insidie di varia
specie. Sconsigliato a tutti gli
appassionati di montagna non
esperti e non dopati.
Itinerario abbastanza
lungo, ma senza
particolari difficoltà
alpinistiche.
E’ richiesta una buona
conoscenza dell’ambiente
alpino, discreta capacità
di arrampicare
e muoversi su ghiacciaio
o terreni friabili come
la pasta sfoglia.
E’ consigliabile una guida.
E’ una valida alternativa
al suicidio. Solo per
persone con un’ottima
preparazione fisicoatletica e buona
esperienza alpinistica.
Servono sprezzo del
pericolo e, soprattutto,
barbe lunghe e incolte.
Sommario
Le Montagne Divertenti
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna
Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369
Speciali
Editore
Beno
Direttore Responsabile
Maurizio Torri
Redazione
Alessandra Morgillo
Enrico Benedetti (Beno)
Roberto Moiola
Valentina Messa
Responsabile della fotografia
Roberto Moiola
Realizzazione grafica
Itinerari
d’alpinismo
Itinerari
d’escursionismo
Rubriche
55 Sentiero del Viandante:
da Dervio a Colico
74
6
Beno
Revisore di bozze
Mario Pagni
Hanno collaborato a questo numero:
Alessandra Osti, Antonio Boscacci, Carlo Pelliciari, Carmen
Mitta, Enrico Minotti, Fabio Pusterla, Eliana e Nemo Canetta,
Franco Benetti, Franco Cirillo, Giacomo Meneghello, Gianni
De Stefani, Giordano Gusmeroli, Giorgio Orsucci, Giorgio
Urbani, Kim Sommerschield, Luciano Bruseghini, Luigi Zani,
Luisa Angelici, Marcello Di Clemente, Marino Amonini, Mario
Sertori, Matteo Gianatti, Nicola Giana, P. Brichetti, Paolo
Rossi, Paride Dioli, Pascal van Duin, Pierandrea Brichetti,
Piero Gaggioni, Renzo Benedetti, Riccardo Ghislanzoni,
Riccardo Scotti, Roberto Ganassa, Ufficio Turismo di Madesimo
(Arianna e Michela), Viola Doddi.
Si ringraziano inoltre
Carlo Giotta, Ezio Gianatti, Filippo Scaramella, Gioia Zenoni,
Mario Maffezzini, Matteo Tarabini, Fabrizia Vido, Johnny
Mitraglia, Eva Fattarelli, CAI Valtellinese, la Tipografia
Bonazzi, tutti gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la
rivista e tutti gli sponsor che credono in noi e in questo progetto.
Redazione
Il giovello
7 Una storia lunga 600 anni
15 Progetti per il futuro
16 Le serpentiniti
17
80 Il mondo in miniatura
85
Arretrati
[email protected] - € 5,00
PDF scaricabili dal sito della rivista
Prossimo numero
21 giugno 2010
Pubblicità e distribuzione
[email protected]
tel. 0342 380151
Stampa
Bonazzi Grafica
Via Francia, 1
23100 Sondrio
Disegni Carlo Pelliciari / Dicle
Responsabile cartografia Matteo Gianatti
Per ricevere la nostra newsletter fate richiesta a:
[email protected]
Contatti, informazioni e merchandising
[email protected]
www.lemontagnedivertenti.com
Fauna: messaggeri di primavera
88 Flora: bulbose
Abbonamenti per l’Italia
Giovanni Morelli, il modellista
23
26
I mille volti del Marocco
39 Alta Valle:
Monte Rinalpi
Via S. Francesco, 33/C – 23020 Montagna (SO)
annuale (4 numeri della rivista):
costo € 20 euro da versarsi sul
c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio Sede di Sondrio
IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50
intestato a:
Beno di Benedetti Enrico
Via S. Francesco 33/C
23020 Montagna SO
NELLA CAUSALE specificare: nome, cognome,
indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti”
comunicare il versamento con email a:
[email protected]
oppure telefonicamente
(0342 380151 - basta lasciare i dati in segreteria)
Valtellinesi nel mondo:
60 Lo Sbarramento del Poschiavino
Meridiane: l'ora di Fratello Sole
42
Valmasino:
Cima della Bondasca
91
Pittura: Ferruccio Vanotti
97
Poesia in dialetto:
I dùu scióor
66 Passo dopo passo:
Pralamagno
Gli ultimi prati di Sondrio
32
Sci di fondo
99 L'arte della fotografia:
Fenomeni naturali
104 Le foto dei lettori
50 Versante orobico:
Pizzo Redorta
70
Valchiavenna:
Savogno e Dasile
110 Giochi
112 Le ricette della nonna
Speciali di primavera
Cavatori all’imbocco della galleria (foto Archivio del Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco).
A fianco: Località Giuèl: gruppo di cavatori di fine ‘800 con le piode dei morti. Secondo la tradizione, ogni anno tutte le Compagnie offrivano, a
suffragio dei cavatori caduti sul lavoro, un numero variabile di piode che, in seguito, venivano messe all’asta. Completava il rito un lauto pasto
a cui potevano partecipare anche i figli dei giovellai. Al centro della foto si nota la pioda di dimensioni maggiori, che veniva premiata con la
bandiera, una singolare botte colma di vino di cui la Compagnia vincitrice andava fiera perché segno evidente di un buon operato
(foto Archivio del Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco).
LE
CAVE
DEL
GIUÈL
Una storia lunga 600 anni
Valentina Messa
S
ono passati un po' più di vent'anni da quando la produzione di piode di serpentino
in località Giovello è terminata e, insieme a lei, è caduto nell'oblio un sapere
artigianale unico nel suo genere.
S
ituata a circa due chilometri a
nord di Chiesa in Valmalenco, a
m 1130, la zona del Giovello si estende su di una ripida pendice coprendo
una superficie di circa dieci ettari. Un
tempo testimone di una fiorente attività estrattiva e di un vivace brulicare
di instancabili cavatori, oggi si presenta come una massa informe di detriti
accumulatisi nel corso degli anni, a
tratti sostenuti da muretti a secco tra
i quali si scoprono i resti di antiche
tettoie sotto cui venivano lavorate le
piode.
In realtà, l'attività estrattiva è ancora presente in Valmalenco. Ad essere
cambiati sono i modi, i tempi, i luoghi
e le persone. La pendice del Giovello
è stata abbandonata e "sostituita" da
numerosi altri siti dislocati nella valle.
Il serpentino, le cui cave un tempo si
sviluppavano nel sottosuolo seguendo
solo le vene buone (i soli imbocchi
risultavano visibili sulla pendice),
oggi viene estratto a cielo aperto con
l'ausilio di esplosivi che demoliscono
ingenti quantità di roccia per volta. La
lavorazione, che una volta era minuziosa e semplice, ora sfrutta moderni
6
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Le Montagne Divertenti Località Giuèl: panoramica degli anni ‘50 (foto archivio Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco).
macchinari e tecnologie presenti nei
grandi cantieri.
Sembra che le piode resistano
al tempo che passa sebbene siano
scomparsi quei saperi artigianali che
hanno cullato la cultura valligiana fin
dai tempi antichi. La tradizione e le
consuetudini, tramandate di padre in
figlio per generazioni, hanno lasciato
il posto a nuove abitudini e ad attività più confortevoli, ma anche ad un
silenzio e ad un vuoto quasi irreale.
Il Giovello
7
Speciali di primavera
Valmalenco
L'espressione 'ndà a Giuèl significa andare a
lavorare in una cava di piode, diversamente
da 'ndà int al Giuèl che, invece, significa
recarsi presso la località Giovello.
Un nome originale…
I
l termine Giu(v)èl o Giuèl dà il
nome ad una località che affonda
le sue radici nella tradizione, nel sapere artigianale e nell'esperienza di una
comunità da sempre legata a doppio
filo con il territorio e le sue ricchezze.
L’origine del nome resta dibattuta.
Gli antichi abitanti di Chiesa erano
soliti battezzare con un nome proprio
tutti quei luoghi che potevano avere
un interesse particolare, sia dal punto
di vista naturalistico che economico
e sociale. E i nomi non venivano mai
dati a caso.
Il termine Giuèl potrebbe essere
ricondotto al latino Jugum, giogo,
che al diminutivo Jughellum prende il
significato di piccolo valico o bocchetta. In passato, infatti, la pendice era
attraversata a mezza costa da una
strada che portava alla valle superiore: una “cavallera” che congiungeva
Sondrio all’Engadina e alla Val Bregaglia attraverso il Passo del Muretto.
Un secondo significato riporta,
invece, all'attività mineraria: Giuèl
indicava un insieme di cave di serpentino o, più comunemente, di piode.
Entrambi i significati celano una
profonda verità.
Cenni storici
L
e prime testimonianze che
individuano la diffusione delle
piode della Valmalenco risalgono
al 1300. Ne veniva fatto uso
prevalentemente nella costruzione
dei tetti, fino ad allora realizzati in
paglia e scandola. La tradizione orale
racconta che la produzione delle
cave del Giovello ebbe inizio intorno
al 1400, seppur la mancanza di
documenti renda difficile datarne con
esattezza l'avvio dei primi cantieri;
quello che è certo, però, è che in quel
periodo le piode malenche erano
già abbondantemente conosciute
anche fuori valle. Pareri contrastanti,
invece, riguardano l'origine di questa
attività mineraria, da alcuni attribuita
all'inventiva della gente del posto,
da altri relegata al sapere di abili
forestieri che portarono le proprie
conoscenze in Valmalenco. In quei
tempi, infatti, numerosi erano i
8
Le Montagne
Divertenti
Spacco manuale
di lastre grezze (foto archivio Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco).
Primavera 2010
Le Montagne Divertenti Perforazione manuale con stämp e mazza cubia (1979, foto archivio Consorzio Artigiani
Cavatori della Valmalenco).
passanti che transitavano in valle dal
Passo del Muretto: commercianti,
soldati e viandanti che potrebbero
aver trasmesso agli abitanti della
valle le tecniche di estrazione e
di lavorazione della roccia situata
lungo la via di passaggio (il Giovello
appunto). Eppure non è da escludere
nemmeno l'ipotesi che la scoperta sia
da attribuire ai locali: la presenza di
una roccia tanto scistosa, come è il
serpentino, e la facilità di lavorazione
con pochi semplici strumenti
avrebbero potuto favorire l'inizio di
una fiorente produzione mineraria.
primi passi di questa nascente
forma di artigianato sfruttarono
attrezzi e modalità semplici, quasi
rudimentali. Ben presto, però, non fu
più sufficiente. Si cominciò a fare uso
del fuoco, tecnica precedentemente
utilizzata nelle miniere di ferro e di
rame, per generare fratture nella roccia
che facilitassero l'estrazione. La legna
migliore, ricca di resina che assicurava perciò una maggior resa di calore,
era quella dei boschi di pino mugo
di Giumellini e Entova. Il mattino i
cavatori, dopo aver ripulito l’ambiente da brace e cenere, si apprestavano
I
al disgaggio con mazze e cunei. Solo
nel 1600, il fuoco verrà sostituito
dalle mine: piccole e profonde cavità
nella roccia riempite di polvere pirica,
detta anche polvere nera, che esplodendo staccava importanti volumi
di serpentino, agevolando il lavoro
dei cavatori in termini di tempo ed
energie. Individuate quindi le banche
di serpentino buono, si preparava in
superficie lo spazio dove raccogliere
e lavorare le lastre di pietra: in corrispondenza dell'imbocco della cava,
che si sviluppava nel sottosuolo, veniva allestito un terrazzino con l'ausilio
di muri a secco, protetto a sua volta
da una tettoia, la “teciada”. Qui, i
lotti di roccia estratta venivano scissi
e rifiniti in pratiche piode. Accanto,
non potevano mancare la “ca de la
pulénta” e la “ca di fèr”, la prima per
la preparazione del pranzo, la seconda per gli attrezzi. La sponda, mano a
mano che il minerale veniva estratto
e lavorato, si ricopriva di detriti; era
compito delle donne, mogli dei cavatori, trasportare gli scarti delle opere
di finitura oltre lo spazio di attività.
gni cava era gestita da una
compagnia e aveva un proprio
O
Il Giovello
9
Speciali di primavera
Valmalenco
Lavorazione delle piode sotto la tettoia (1979, foto archivio Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco).
Fondamentale nella stesura dell'articolo: Annibale Masa, A Chiesa, un tempo, 'si andava a Giovello', Tipografia Mevio, Sondrio 1994.
nome, spesso riferito al soprannome
dei giovellai. Ricordiamo, a titolo di
esempio, il giuèl del pinacul, il giuèl
di cabèi, il giuèl di schenatum, quello
di bac e quello di prémul. Nel corso
degli anni, numerose cave sono state
scoperte, sfruttate seguendo le vene
buone e in seguito abbandonate.
el 1957 il Distretto Minerario di Milano (oggi sostituito negli incarichi dalla Regione
Lombardia) impose al comune di
Chiesa il rilevamento topografico di
tutte le cave del Giuèl. Il risultato fu
un vivace intreccio di gallerie esteso e
complesso che registrava l'apice nella
cava dei Pauletti con ben 175 m di
profondità. Purtroppo, nessuna ulteriore cartografia venne più realizzata
durante gli ultimi anni di attività:
risulta perciò impossibile conoscere
l'evoluzione dell'ambiente minerario
che ha portato all'abbandono della
sponda nel 1987, quando anche l'ultima delle compagnie, quella di Olivo
Gianfranco, cessò l'attività nel suo
cantiere di Zòt Ciàta.
N
10
Le Montagne Divertenti Oggi, quel che resta
dell'antica area è stato
nuovamente censito e
registra ventotto cave
sotterranee con una
lunghezza variabile da 80 a
280 metri.
Le Compagnie
I
l lavoro nelle cave del Giuèl era
lungo, faticoso e complesso,
impossibile da condurre per un solo
operaio. Ogni cantiere era gestito da
un gruppo di persone, detto Compagnia, con mansioni e responsabilità
differenti. Nessun documento scritto legava i componenti di ciascun
nucleo operativo, che si impegnava
nei confronti dei propri compagni
sulla parola. La lealtà e il rispetto
reciproco stavano alla base della vita
in cava. Generalmente formate tra
padri e figli, parenti e amici stretti,
in un numero variabile tra i due e i
cinque individui secondo necessità,
le Compagnie prevedevano per tutti i
membri il diritto al lavoro e la suddivisione paritaria del prodotto ricavato.
Addirittura, i gruppi più antichi non
prevedevano la presenza di capi: tutti
avevano pari diritti e dignità.
olo nel 1933 quando, a seguito
del riconoscimento di sfruttamento del suolo pubblico a fini
minerari, venne introdotto nel regolamento una nuova voce; l'articolo
8 così citava: "i vari operai di una
data cava dovranno eleggersi un Capo
Squadra o Capo Compagnia che verrà
assumendosi le responsabilità dei singoli
lavori nei riflessi della legge di Polizia
mineraria."
n realtà, nonostante questa
nuova imposizione, nulla o quasi
cambiò per i lavoratori: il ruolo di
Capo veniva generalmente conferito al più anziano o al più prestante
con l'assenso di tutti, senza necessità
di elezione alcuna, ciò nonostante
le decisioni e l'operatività venivano
comunque gestite democraticamente
e collegialmente.
I rapporti fra le varie Compagnie
S
I
Primavera 2010
Preparazione manuale di un foro da mina (1979, foto archivio Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco).
Per approfondire: AAVV, Serpentinoscisto della Valmalenco, Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco, TLC Grafica, Torino 2002.
erano buoni, poche furono le liti a
memoria d'uomo: lo spirito di collaborazione portava spesso i cavatori a
prestare polveri per le mine, carburo
per le lampade, a volte sale e farina
per la polenta.
Non conosciamo con esattezza il
numero di Compagnie che operava sul territorio del Giovello; in una
statistica dell'economista Melchiorre
Gioia datata 1813 si parla di circa
una cinquantina di operai. Lo stesso documento descrive l'attività del
cavatore come secondaria rispetto alle
principali occupazioni negli alpeggi e
nelle coltivazioni; al Giovello il lavoro veniva perciò sospeso da aprile a
novembre: la redditività in quei mesi
era scarsa, pare che il guadagno medio
giornaliero per persona si aggirasse
intorno ai 75 centesimi di lira.
Una vita spesa in cava
N
el corso degli anni di attività,
ovviamente, le abitudini che
scandivano il lavoro in cava mutarono, evolvendo verso una più confortevole modernità. Vale la pena, però,
fare una riflessione su quanto caratterizzava i cavatori nel passato.
Abbigliamento
I
l gelo invernale e i freddi venti
che soffiavano dalle Tremogge,
costringevano i giovellai a un abbigliamento molto pesante; alcuni
sostenevano addirittura che la quantità di lana indossata ogni giorno fosse
pari all’intera pelliccia di una pecora!
Solo negli ultimi decenni
del XIX secolo, l'attività
del giovellaio divenne,
in alcuni casi, quella
principale.
Le Montagne Divertenti Il Giovello
11
Speciali di primavera
Valmalenco
I vestiti abituali venivano protetti con
giacche e pantaloni da lavoro che di
sera erano accuratamente appesi nella
ca de la pulénta. Ai piedi calzavano
scarpe chiodate e ghette di lana spesse e alte fino al ginocchio. Quando il
clima lo permetteva, invece, erano i
pedü la scelta abituale: tipiche scarpe
di pezza della Valmalenco cucite dalle
donne della famiglia nelle lunghe sere
passate intorno al fuoco.
Gli operai che lavoravano all’interno della cava portavano zuculùn di
legno. Grosse calze di lana, un cappello e guanti foderati sul palmo con del
fustagno completavano la "divisa" del
giovellaio. Tutti i capi e le calzature
utilizzati erano ovviamente soggetti a
forte usura e poiché dovevano durare
nel tempo subivano frequenti rattoppi. In un contesto di povertà, quale
era quello in cui si viveva allora, non
si buttava via niente.
Tecnica di spacco manuale (foto archivio Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco).
Il pranzo
F
ino ai primi anni '60 il piatto quotidiano al Giovello fu
la polenta. Di facile preparazione e
molto economica, era particolarmente indicata nella dieta dei cavatori
perché garantiva sazietà per lunghe
ore. In realtà, il granoturco venne
importato dall'America non prima
del 1500. Prima di allora la farina
per preparare la polenta era ottenuta
macinando differenti cereali (segale, frumento, miglio, etc.) insieme
a legumi e ortaggi. In una relazione inviata nel 1813 all'economista
Melchiorre Gioia si legge: "Sono pochi
anni, che si è introdotta in Malenco la
coltivazione del Grano Turco". Veniva
coltivato prevalentemente in località
Vassalini e lungo la soliva Valle del
Lanterna.
La polenta preparata
al Giovello era
particolarmente asciutta e
spezzettata (ancora oggi si
parla di pulénta da giuelää),
tanto che era possibile
mangiarla direttamente con
le mani.
A
lle undici circa il cuoco di
ciascuna compagnia si recava nella Ca de la pulénta, un locale
L'area del12
Giovello
(22 ottobre
2006, foto archivio
Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco).
Leoggi
Montagne
Divertenti
Primavera 2010
Le Montagne Divertenti Antico cantiere di lavoro (1979, foto archivio Consorzio Artigiani Cavatori della Valmalenco).
di pochi metri quadri, provvisto di
tettoia e focolare, dedicato alla
preparazione del pranzo. Il brùunz
(recipiente in ghisa) veniva riempito d’acqua; aggiunta la farina, che a
turno ciascun cavatore si premurava
di portare da casa, era compito del
cuoco rimestarla con il pal. A mezzogiorno in punto, all’urlo di “l'è cöcia"
tutti gli operai si radunavano nei
pressi del proprio focolare e pran-
zavano insieme. Qualcuno portava
con sé del formaggio, qualcun altro
accompagnava la polenta con salsicce
di produzione casalinga. Per alcuni il
companatico mancava del tutto.
aranno gli anni '60/70 a segnare
il primo vero cambiamento: gli
affari andavano a gonfie vele grazie a
una crescente domanda sul mercato
delle piode. Ogni aspetto della vita
nelle cave del Giovello ne risentì posi-
S
Il Giovello
13
Valmalenco
Speciali di primavera
tivamente, anche quello alimentare:
le ca de la pulénta furono realizzate
più ampie e spesso dotate di fornelli
a legna o a gas, suppellettili e elementi
d'arredo provenienti dalle abitazioni.
Questo nuovo benessere permise alle
Compagnie di acquistare direttamente diversi generi alimentari, tra cui
pasta, riso, burro, formaggio e pane. Il
passaggio successivo di questa rapida
evoluzione portò, infine, a un cambiamento ancor più radicale: grazie ad un
rinnovato servizio di spartineve esteso
fino al Giovello, i cavatori ebbero,
finalmente, la possibilità di rientrare a
casa in auto per mezzogiorno e pranzare con la propria famiglia.
Progetti per il futuro
N
el 1974 nasce il Consorzio Artigiani Cavatori della
Valmalenco, con lo scopo di fornire
agli associati servizi utili alle attività di
estrazione e lavorazione del serpentino.
Le aziende consociate detengono un sapere ormai secolare grazie
all’inscindibile rapporto che lega i
valligiani alle ricchezze del territorio.
Con lo scopo di salvaguardare e allo
stesso tempo valorizzare il patrimonio storico legato all'attività estrattiva di serpentino in Valmalenco, che
risulta essere la più datata e presente
a livello mondiale in questo unico
sito, il consorzio ha portato avanti
un progetto tanto ambizioso quanto
degno di stima, volto alla diffusione
e alla condivisione della memoria e
dei saperi artigianali tramandati localmente di generazione in generazione.
Protagonista: il Giuèl. L'idea è quella
di descrivere il serpentino attraverso
un percorso museale a più tappe, che
tocchi riferimenti geografici, tecnici,
storici e culturali. L'iniziativa, strettamente coordinata allo sviluppo sul
territorio di altri simili progetti (ad
esempio la Miniera della Bagnada),
mira a perseguire il concetto di museo
diffuso di valle: un progetto innovativo rivolto certamente ai valligiani, per
rafforzare in loro il senso di appartenenza alla propria cultura, ma anche a
tutti i visitatori della valle.
La salute
L
a vita dei cavatori era tutt’altro
che facile ed era continuamente minata dai pericoli che il territorio
celava. Gli infortuni sul lavoro capitavano sovente: un masso che si staccava
all’improvviso, un’esplosione prima
del tempo, una frana di detriti dalla
cava sovrastante, l’utilizzo maldestro
dei ferri da lavoro. Nonostante i giuelää sdrammatizzassero e ironizzassero
spesso circa la sicurezza nelle cave (è
loro il detto "i fèr i gà minga i öcc' "),
si ricordano diversi
incidenti, in alcuni casi
purtroppo mortali, in
altri invece causa di ferite,
mutilazioni, o piccoli
inconvenienti come
semplici escoriazioni o dita
schiacciate.
A
nche all'esterno della cava, in
realtà, i pericoli erano tanti.
Al di là delle calamità naturali, del
tutto imprevedibili, come valanghe
e esondazioni del Mallero, i detriti
che ricoprivano la pendice del Giuèl,
estremamente ripida e franosa, minavano la sicurezza della strada sottostante, collegamento con Chiareggio.
Un documento del tempo illustra la
proposta di stabilire un orario unico,
da mezzogiorno alle 15, in cui tutte le
Compagnie provvedessero allo scarico
dei detriti, predisponendo un uomo
di guardia sulla strada che garantisse
l'incolumità dei passanti.
14
Le Montagne Divertenti L'ingresso di una delle ultime cave in località Giovello (5 luglio 2009, foto Roberto Moiola).
L'
ambiente, già di per sé piuttosto disagiato, costringeva
spesso i cavatori a vivere in condizioni dannose anche per la loro salute,
causando talvolta malesseri, altre volte
gravi malattie. Dal semplice mal di
schiena, dovuto al peso dei materiali
che venivano trasportati all’interno
dei cantieri, alle irritazioni a gola e
occhi, causate dal fumo della legna
ancora verde o tagliata in cattiva luna
che bruciava all'interno della cava
o dal carburo delle lampade, diversi
furono i casi di malattie polmonari e
febbri reumatiche, tipiche di ambienti
umidi e con forti escursioni termiche
tra interno ed esterno.
In pochi casi capitò la silicosi,
malattia emblema dei minatori causata dall'inalazione di polvere di roccia:
al Giuèl la quantità
di polvere di roccia
era piuttosto limitata,
quantomeno fino
all’introduzione delle
perforatrici ad aria
compressa nell'attività
quotidiana.
Nel biennio 1949/51, venne infine
realizzata una piccola infermeria nei
pressi del Ponte del Giovello, dotata
dei medicinali di primo soccorso.
Primavera 2010
Il progetto prevede
il ripristino dell'area
del Giuèl mediante
la realizzazione di un
itinerario che permetta
di capire le esperienze
di intere generazioni di
cavatori.
Tutisti visitano il Giovello (5 luglio 2009, foto Roberto Moiola).
ne della pietra verranno ristrutturati,
riportati allo stato originario e corredati da numerosi esemplari di attrezzi
del mestiere, con lo scopo di condividere, ancora una volta, un patrimonio
altrimenti destinato all’oblio.
L’area dell’antico Giuèl sarà oggetto
di recupero strutturale e, grazie alla
sua naturale conformazione, diverrà
anche oggetto di una progettazione
artistica che mira a farne un’opera di Land Art: un'interpretazione
museale non invasiva che, rivisitando
elementi del paesaggio, propone una
visione della realtà originale e degna
di riflessione. A sostegno dell'intero
progetto, nel 2009 è stato realizzato
una seconda importante iniziativa:
il festival "I giorni della pietra". Una
quattro giorni ricca di contenuti
culturali, volta a celebrare le tradizioni legate agli antichi saperi minerari,
con un programma di tutto rispetto: visite guidate, mostre tematiche,
incontri musicali dal titolo “Suoni di
pietra” con maestri della percussione,
concerti, percorsi enogastronomici ed
eventi artistici che hanno portato alla
realizzazione di quattro sculture ad
opera di artisti di fama internazionale,
oggi in mostra permanente a Chiesa
nella contrada del Curlo. La manifestazione, che nella sua prima edizione
ha fatto registrare un'ottima affluenza, cercherà un secondo successo nel
2010.
L'appuntamento è fissato per
domenica 4 luglio 2010, per una
giornata dedicata alla scoperta delle
contrade e dei sapori malenchi; per
l'occasione verrà svelato il nome della
contrada che, seguendo l'esempio del
Curlo, ospiterà la seconda edizione
del Festival "I giorni della Pietra" ed
avrà l'onore di esporre le opere che
realizzeranno artisti del calibro di
Roland de Jong Orlando (Olanda),
Beppe Bonetti (Italia), Moises Preto
Paulo (Portogallo) e Giuseppe Zecca
(Italia).
E'
prevista la realizzazione, peraltro già avviata, di un fabbricato d'accoglienza al cui interno saranno
allestiti uno spazio museale, un’area
espositiva e un’aula didattica dove
organizzare laboratori per le scuole e
convegni. Dal museo si diramerà un
sentiero pedonale che permetterà di
raggiungere l'antico sito estrattivo
del Giuèl. Sul tracciato d’accesso agli
imbocchi delle ventotto cave sotterranee rimaste, oggetto di ripristino e
messa in sicurezza, alcuni fabbricati
utilizzati anticamente per la lavorazioLe Montagne Divertenti Il Giovello
15
Adèss té
špiéghi
Speciali di primavera
Le serpentiniti
Carmen Mitta
T
ra le rocce della Valmalenco, le
serpentiniti sono le più rilevanti
sotto il profilo volumetrico e certamente
le più rappresentative. Nessuno scorcio
del paesaggio ne è privo; prima o poi
l’occhio le avvista, e ne coglie forme e
colori.
Geologicamente
parlando,
esse
sono molto diverse dalle altre rocce
presenti in valle. Diverse per genesi e
per composizione mineralogica. Marmi,
paragneiss, micascisti e quarziti sono
di origine crostale, dunque più superficiali, e nulla hanno in comune con le
serpentiniti, le quali, con la loro derivazione profonda, attestano quanto sia
stato elevato il grado delle forze che,
stappandole al mantello, le ha infilate
tra le rocce della crosta terrestre. Tutto
è successo durante l’orogenesi alpina e
il suo metamorfismo, in un intervallo di
tempo compreso tra 110 e 30 milioni di
anni.
Giovanni Morelli, classe 1923,
è l'uomo che da oltre 17 anni
sta realizzando dei modelli
miniaturizzati degli antichi
ambienti e macchinari un tempo
diffusi in Valtellina.
Testi e foto Marino Amonini
Serpentinoscisto. Sezione sottile a nicols incrociati. Ben evidente l’alternanza di due
livelli subparalleli, mineralogicamente differenti: uno, di colore grigio, composto da un
feltro di minuti cristalli isorientati, di antigorite e l’altro, con colori vivaci, costituito
da pirosseni e olivina, di dimensioni maggiori. Quest’ultimo livello è compenetrato
da individui aghiformi di antigorite. La foliazione della sezione, e dunque la scistosità
della roccia, è determinata dalla alternanza dei livelli e dall’orientazione dei minerali.
S
Sezione sottile a nicols incrociati di serpentinite massiccia.
La composizione mineralogica è la stessa della foto precedente. Si notano le maggiori
dimensioni degli individui cristallini e il medesimo livello di cristalli, minuti ed
isorientati, di antigorite. Pirosseni e olivina, invece, condividono lo spazio con grossi
cristalli di antigorite che non hanno un’orientazione preferenziale, ma sono messi in
disordine. Da qui una scistosità meno evidente e la compattezza della roccia.
16
Le Montagne Divertenti tudi petrografici, supportati da
abbondanti dati di terreno e di
laboratorio, dimostrano che il massiccio ultrabasico della Valmalenco, al
quale le serpentiniti appartengono,
costituiva il mantello litosferico sottocontinentale della falda Margna in
epoca pre – alpina. (Trommsdorff
& al., 1993; Münterer & Hermann,
1996; Münterer & al., 2000).
Per quanto concerne la composizione mineralogica, le serpentiniti,
sono rocce costituite prevalentamente da un solo minerale, l’antigorite
associata a pochi altri minerali, quali
olivina, pirosseni, clorite, magnetite.
La scistosità più o meno evidente
dipende dalle pressioni subite dalla
roccia durante la sua storia. Al microscopio le due varietà, serpentinoscisto e serpentino massivo, si differenziano anche per l’aspetto. Il primo
è caratterizzato da un’alternanza
millimetrica e sub-millimetrica di livelli
antigoritici a grana finissima, con altri
di olivina e clinopirosseni; marcata
foliazione. Il secondo possiede grana
più grossolana e foliazione meno
evidente.
Primavera 2010
Le Montagne Divertenti Giovanni Morelli
17
Speciali di primavera
Artigiani
“Valtellina nel passato”, passata attraverso una ostinata capacità di ricerca, osservazione ed
Laelaborazione,
è concentrata qui, nello straordinario unicum realizzato dall’artigiano villasco.
A
visitare il laboratorio museale che Giovanni Morelli ha
concentrato nella sua ex officina di
Villa di Tirano si corre un solo rischio:
restarne stregati. Tanto dal fascino
dei modellini lillipuziani che vi sono
stipati quanto dalle efficacissime spiegazioni che l’inossidabile artigiano del
sapere e del fare sa dare a ogni domanda, a ogni curiosità, a ogni sfumatura
di ciò che rappresenta l’ampia rassegna di strutture e utensili da lui realizzati in oltre vent’anni.
utto è cominciato nel 1985,
quando Giovanni ha potuto
godere della pensione. Divorato dalla
curiosità di conoscere, sostenuto da
una capacità intuitiva e da una non
comune manualità, l’ex meccanico di
moto, motocarri e wagen, ha ritrovato
una nuova dimensione ed una nuova
stagione: il passato.
T
18
Le Montagne Divertenti Nello svolgere la bobina della sua
memoria hanno ritrovato posto e
smalto la cucina, la stanza, la casera,
la latteria, il mulino, la segheria, la
fucina … poi ancora, la bottega del
calzolaio, il torchio e la cantina, la
pila, la folla, il telaio...
Riproduzioni di ambienti e di
utensili con fedeltà assoluta, quasi
maniacale nella scelta dei materiali,
delle proporzioni, dei dettagli e nella
precisione.
Quattordici ambienti in cui leggervi
una dignitosa povertà di vita ed un
ingegno aguzzato proprio per riscattarsi da questa.
Impossibile non restarne ammirati.
L’armonia formale che si coglie
osservando minuziosamente la cucina o la stanza di un tempo lievita ad
entusiasmo quando lo sguardo osserva
un mulino, una segheria o una pila
funzionare perfettamente.
Perfettamente!
L’unica variante, legittimamente
adottata, è che in sostituzione all’energia idraulica che azionava in origine
questi opifici, Giovanni si avvale di
qualche minuscola manovella che fa
girare la pala, ossia ciò che produceva
la forza dell’acqua.
“Valtellina nel passato” condensa in pochi metri quadri decenni di
storia valliva; gli ambienti realizzati da
Giovanni Morelli sono testimonianze
vive di un vissuto comune.
Gli utensili, i manufatti accendono memorie di lavoro, di mestieri
un tempo diffusi, di tecniche tanto
semplici quante ingegnose.
Un mondo pressoché scomparso,
quasi cancellato dalla memoria e dalla
didattica salvo le sopravvivenze isolate
nei musei etnografici – decisamente
Primavera 2010
N
el suo costruire sono fondamentali le capacità del falegname, del carpentiere, del muratore, del fabbro,
del tornitore, del lattoniere, dell'imbianchino e con il valore aggiunto di saper miniaturizzare il tutto.
meno rappresentativi degli ambienti
di Giovanni – e nelle rappresentazioni folcloristiche e presepistiche che
costellano le valli.
In aggiunta alle 14 vette (paragonabili agli “ottomila”) costituite dagli
ambienti di vita e lavoro brillano
intere bacheche di utensili da bosco,
da fieno, da campagna, una straordinaria rassegna di carri, carrette,
priale.
E ancora aratri, carrelli per filare,
mastelli, tini e botti, mulinelli per
granaglie, mole da arrotino, utensili d’uso quotidiano; una quantità di
manufatti difficili da inventariare.
a panoramica sugli oggetti è
limitata dagli spazi; il demone
del lavoro che ha intossicato Giovanni
fin dall’infanzia si è scatenato quando
il dinamico artigiano ha “chiuso” con
la lunga attività professionale e si è
L
Le Montagne Divertenti “divertito” cimentandosi come polivalente in questa inimitabile avventura.
Indiscutibilmente bravo nel fare,
Giovanni si esalta con gli interlocutori
che si rivelano appassionati al tema;
eccolo allora diventare torrentizio
nel descrivere dove, come, quando e
perché quegli opifici funzionavano
così, come in cantina o in latteria le
sequenze osservavano una scrupolosa
liturgia di gesti e di tempi.
Si rivela il suo sapere: antico, solido,
ampio e soprattutto appassionato.
Giovanni è andato in ogni dove
della Valtellina e Valchiavenna per
osservare una segheria ad acqua, un
mulino, una pila, una folla… capirne
il respiro e i segreti, studiarne i particolari ed elaborarli in scala.
Tanto gli era già in testa per aver
visto durante l’infanzia quei luoghi,
quegli attrezzi, ma era necessario più
di un ripasso, più di una testimonianza per attivare la sua divorante voglia
di conoscerli e ricostruirli.
Pazienza, tenacia e passione lo
hanno poi supportato per dar forma e
vita alla “Valtellina nel passato” e liberare la sua genialità costruttiva.
Ad oltre 17 anni da quando l’indimenticato Ferry (Ferruccio Scala) ne
pennellò un gustoso ritratto sul n° 62
del Notiziario della Banca Popolare
di Sondrio, restano invariati gli interrogativi su cosa ne sarà e dove andrà
l’ampia rassegna di manufatti griffati
Giovanni Morelli.
Scrisse allora il Ferry:
"E poi come dice lui: «Ho settant’anni e non venti. Questi lavori hanno
bisogno di manutenzione. Ogni due
o tre anni bisogna vitalizzare il legno,
nutrirlo, tenerlo pulito.
Tener puliti i meccanismi, ingrassarli,
Giovanni Morelli
19
Speciali di primavera
rinnovare il grasso. Proprio come veri
posti di lavoro o officine.
Chi c’è stato lo sa.
E poi? Dove finiranno, a chi potranno servire, insegnare qualcosa specie
alle giovani generazioni che non sanno
nulla di quel che è stato prima di loro…
Questa è vera cultura, perché legata ad
ognuno di noi, in Valtellina.»”
iovanni è contrario al fatto
che il suo materiale vada a finire in un museo, magari sempre chiuso
o con orari che vietino l’afflusso dei
giovani e dei meno giovani.
Basterebbe, a mio avviso, assegnare a Giovanni uno stabile dove possa
svolgere la continuazione di questo
lungo racconto, spiegando il suo sape-
G
Artigiani
re. Forse darebbe il via a quel caro
progetto che anche io accarezzo da
quando mi trovo in pensione: “fare
in modo che la gente possa muovere
le mani, fabbricare, costruire, quando
ormai ha già dato il suo contributo
alla società.”
Giovanni a 87 anni ha programmato di realizzare nei prossimi due anni
due capitoli complementari: gli attrezzi per i lavori ambulanti (magnani,
muléta, ombrellai, seggiolai, spazzacamini, …) e i vecchi giochi dei bimbi
(con i loro essenziali “giocattoli”).
In tal senso si appella a quanti
vogliano fornirgli testimonianze,
documentazione e letteratura sugli
argomenti, un’aiutino per implemen-
tare la sua memoria.
Anche la verve di Giovanni è
inesauribile.
uando si sono esaurite le
curiosità scaturite dai suoi
manufatti e dal suo sapere stuzzicategli l’ironia di cui è dotatissimo.
Chiedetegli di quella ilare storia
di cannabis rimbalzata sui quotidiani e settimanali locali nel luglio
2005 che quasi gli fece udire un
tintinnar di manette!
Il verbale delle Fiamme Gialle
campeggia in bella vista sul pilastro
centrale del suo regno di Lilliput.
Q
Allora Giovanni?
“Adess te spieghi!”
Contrada Beltramelli: passato e futuro
a “Valtellina nel passato” di Giovanni Morelli
LMolti
è un capitale di cultura da investire.
hanno ammirato la sua opera, qualche
mostra e pubblicazione hanno rivelato il talento
dell’artista e la qualità dei suoi manufatti; gli
elvetici più di tutti lo hanno gratificato nelle
visite e nell’interesse.
Un sostanziale disinteresse
hanno invece
mostrato associazioni ed enti che pure menano
vanto di promuovere, valorizzare, formare,
sostenere. Solo parole al vento.
Uno squarcio nell’indifferenza l’ha aperto
da due anni un intelligente progetto della
Valtellina Rurale s.r.l., una società composta da
quattro liberi professionisti valtellinesi: Fulvio
Santarossa, Nadia Andreis ed i fratelli Daniele e
Matteo Sambrizzi.
Il 29 settembre 2008 è iniziata l’attività
dell’impresa con l’acquisto di beni immobili
costituiti da vecchi fabbricati a Villa di Tirano in
località Contrada Beltramelli e di fondi agricoli.
Tra le vecchie dimore figura anche la casa
paterna di Giovanni.
La società si propone in partenrship con gli
enti territoriali, associazioni no profit, soggetti
singoli e consorziati del settore agricolo, di
promuovere il recupero degli storici edifici in
proprietà al fine di sviluppare attività multiple
dell’agricoltura di montagna, legate ad
attività didattiche di pubblica fruizione e di
incentivazione turistica.
l progetto elaborato è davvero articolato ed
ambizioso; un modello di recupero mutuato
da realtà europee ben note nel saper coniugare
cultura, armonia ambientale e sviluppo.
I
20
Le Montagne Divertenti Fare di contrada in abbandono un polo
culturale che salda il passato al futuro, un
lembo di comunità al suo territorio e questi agli
anelli virtuosi dei sapori, dei saperi, del turismo
sostenibile con valenza transnazionale.
L’opera di Giovanni Morelli in quel progetto
e in quel contesto assume rilievo, lo connota,
diventa un prezioso strumento didattico capace
di attivare ricerche e stimoli per le nuove
generazioni.
Gli obiettivi del progetto ”Rural Resort” in
sintesi sono:
- la salvaguardia e valorizzazione della tipologia
storica di architettura rurale della contrada
Beltramelli;
- la conservazione degli elementi e degli
archetipi dell’architettura contadina: l’involt, la
lobbia, la casa a ringhiera ecc.
- il recupero delle testimonianze dell’economia
di sussistenza contadina tradizionale, lo
sviluppo delle funzioni multiple.
Primavera 2010
Profilo d'artista
Giovanni Morelli nasce a Villa di Tirano l’11
aprile 1923.
Frequenta, integrando lo studio coi lavori
agricoli, “l’avviamento al lavoro”, tre anni a
Tirano, che perfeziona con "solo officina" e
guadagna subito un posto in officina da Perego
a Tirano.
Due anni dopo riceve la cartolina precetto; va
in grigioverde a Milano, Bologna e Torino come
autiere e lì frequenza un corso per meccanici
Fiat per un anno intero.
Finisce il militare nel ’43 e torna a casa, ma per
sfuggire ai rastrellamenti si rifugia in Svizzera.
Con altri valtellinesi e lombardi viene sistemato
per la quarantena nei pressi di Berna.
Una famiglia di contadini elvetici lo ingaggia
per i lavori di campagna; possiedono un trattore
e subito ne diventa il conduttore. Per 22 mesi,
salariato con la paga stabilita dal governo
elvetico, sgobba, fa esperienza e guadagna da
vivere.
Torna a Villa di Tirano, riprende l’attività da
Perego finchè uno screzio con la proprietà lo
induce a cambiare mestiere.
Per un anno insegna all’Istituto Professionale
di Tirano, ma la passione per il fare prevale su
quella di insegnare; la Perego lo richiama e in
quell’officina ci sta fino al 1954.
Maturata una solida esperienza si mette in
proprio, nella casa paterna adatta una vecchia
stalla a officina e avvia l’attività.
Nel 1955 sposa Lina Bassi da cui ha due figli.
Sempre nel 1955 costruisce una nuova officina
sul ciglio della Statale, dove, sfruttando i telai
ed i motori della “Fiat 1100 10 quintali”, inizia
anche a costruire wagen agricoli.
Accorcia i telai, irrobustisce i semiassi, elabora
la trazione e nella sua officina prendono vita
oltre cinquanta esemplari di robusti automezzi
per gli agricoltori del mandamento tiranese.
Tutti regolarmente omologati e a norma, anche
se ancor oggi rimpiange l’esosa parcella saldata
all’ingegnere milanese che aveva firmato quei
certificati.
Nel 1985 giunge la pensione.
Basta automezzi, basta orari senza fine.
Da una sfida con un amico, impegnato a
costruirsi il modello della nuova abitazione,
parte la scintilla che lo porta a buttarsi a
capofitto nelle ricostruzioni degli ambienti del
passato.
Quasi nell’indifferenza generale; non compreso,
non incoraggiato.
Solo la moglie lo ascolta e approva il suo
divorante fare.
Le Montagne Divertenti Giovanni Morelli sorride leggendo il verbale delle Fiamme Gialle che
lo denunciavano per detenzione di cannabis (18 gennaio 2010).
Per otto anni Giovanni studia, ascolta, produce,
assembla poi finalmente qualcuno comincia ad
osservare con interesse i suoi manufatti.
Nel 1993, prima la Biblioteca di Chiuro con una
mostra e una pubblicazione, quindi il Notiziario
della Banca Popolare rivelano al pubblico la
straordinaria opera di Giovanni Morelli da Villa
di Tirano.
Nel 1996 muore la moglie Lina; oltre al dolore
per la perdita gli tocca riorganizzare i ritmi
domestici.
Ora Giovanni si rivela anche provetto cuoco
e scarella pizzoccheri con la stessa precisione
chirurgica con la quale ha elaborato la
“Valtellina nel passato”.
Sempre da uno sguardo al passato, ha insistito
con alcuni volonterosi locali a ripristinare le 7
grandi croci, a mo’ di punti trigonometrici, che
punteggiavano un tempo gli alpeggi di Villa di
Tirano.
Mai tardi! si dice al Tirano!
Ma anche "Mai stracc e Mai fermo"
l’inossidabile Maestro villasco!
Giovanni Morelli
21
Speciali di primavera
L'ora di
Fratello Sole
Piero Gaggioni
San Giacomo e Filippo, località Laghizzuola: meridiana con forte esposizione E e perciò dotata di gnomone gigante (foto Gianni de Stefani).
Tirano, Piazza della Basilica della Madonna. Complesso a doppio orologio a ore italiche e a ore francesi con doppio gnomone che si trova sulla
faccia SE della basilica. E' stato recentemente restaurato e mancano i due gnomoni (23 gennaio 2010, foto Nicola Giana).
22
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Le Montagne Divertenti Meridiane
23
Speciali di primavera
La gente va in
montagna per i motivi
più svariati; il mio
personale interesse
legato alle zone rurali
in quota, strano e
piuttosto singolare, è la
ricerca di meridiane.
Non di rado, infatti, ho rilevato
che tra gli antichi borghi e nuclei di
comunità abitative (di cui oggi molte
abbandonate) sono presenti delle
meridiane.
Il termine “meridiane”, di uso
comune, deriva dal latino “meridies”
cioè mezzogiorno ed è riferito a quella
linea che indica il mezzogiorno solare vero di ciascuna località, ma forse
sarebbe più appropriato definire le
meridiane con la giusta terminologia:
orologi solari.
Sì, perché in effetti quelle che noi
comunemente chiamiamo meridiane
sono dei veri e propri orologi perpetui
alimentati dalla luce del sole.
e sorprese che un orologio solare correttamente costruito ci
riserva vanno ben oltre la semplice
e scontata indicazione delle ore: il
costruttore, oltre alla imprescindibile
parte squisitamente tecnica, talvolta
riporta numerosi dettagli coreografici
di completamento, esclusivamente
dettati dal gusto personale come la
data di realizzazione, i segni dello
zodiaco, cornici esterne, motti o
scritte di varia natura e genere, curve
astronomiche, linee di costruzione,
classificazione e forma del ferro che
genera l’ombra ed altro ancora.
L
Meridiane
Non dobbiamo considerare un
orologio solare come un oggetto
appartenente ad un passato ormai
lontano e superato dalla tecnologia
nucleare, la quale scandisce il tempo
legando il concetto di secondo alla
transizione tra i due livelli iperfini
dello stato fondamentale del cesio
133, ma qualcosa di vivo ancora nel
presente e in grado di fornirci molte
informazioni storiche e geografiche.
Per dare una lettura attenta di una
meridiana dovremmo:
- confrontare l'ora con quella del
nostro orologio da polso per verificarne la correttezza;
- osservare la linea degli equinozi
(ovvero quella linea che taglia orizzontalmente, tipicamente con scarsa angolazione rispetto al piano di
costruzione, la raggiera oraria ) che
indica qualitativamente l’asse estovest, da cui si deduce facilmente il
nord;
- valutarne lo stato di conservazione, quindi di utilizzo e funzionalità
attuali, alterazioni o interventi successivi alla costruzione come eventuali
restauri o modifiche;
- notare le dimensioni del quadro
e sua lettura, talvolta possibile da
distanza anche considerevole, grafica delle ore e delle scritte, tecnica di
costruzione (riporto di calce, affresco, incisione, graffiato, su ceramica o
altro materiale);
- leggere motti ed iscrizioni varie.
ueste ed altre considerazioni di carattere squisitamente
tecnico, per lo più a beneficio degli
gnomonisti più esperti, non sono
sempre, e con certezza, riscontrabili
su ogni meridiana.
Q
Oltre alle meridiane "professionali"
si trovano meridiane dipinte senza il
rigoroso rispetto dei macchinosi e
complessi algoritmi che stanno alla
base delle tecniche costruttive presenti
nella letteratura dedicata, ma realizzate con “licenza poetica”.
A me piace ritornare con il pensiero a qualche anno fa ed immaginare
che i caricatori d’alpe, siano essi in
gruppo organizzato che conduttori
singoli, ovvero in regime familiare,
durante i lunghi ed assolati pomeriggi
estivi trascorsi a guardia del bestiame, in attesa della mungitura serale,
si mettessero a giocare con l’ombra
che il proprio bastone, conficcato nell’erba, proiettava sul terreno
confrontando, quotidianamente, l’
armonico andamento del percorso
che l’ombra descriveva sullo stesso e,
sulla base della reiterazione di questo
procedimento empirico, segnare dei
precisi riferimenti relativi alle ombre
correlate alle varie posizioni del sole
in determinati periodi delle stagioni e
della giornata; e perché no, successivamente, mutuare questo gioco su una
parete verticale e riportare su di essa
gli stessi riferimenti.
Così possono essere nate alcune
delle meridiane che, pur non essendo precise e affidabili per tutto l’arco
dell’anno, sono comunque degne di
apprezzamento e plauso per la loro
silenziosa presenza e per quanto esse
fossero parte integrante e testimoni di
un costume di vita ormai scomparso.
n Valtellina la maggior diffusione delle meridiane è concentrata
sulla mezza costa, meglio se ben esposta al sole e per un maggior numero
di ore, laddove l’abitato costituiva
I
la dimora stanziale delle comunità.
Qui è più facile scovare le “vecchie
meridiane” maestosamente affrescate
o dipinte, talvolta anche con criterio
minimalista volto all’essenzialità della
loro funzione. Esse si trovano sui muri
delle Chiese, delle case parrocchiali
o delle dimore importanti, su palazzi blasonati, oltre che sui campanili
dove, spesso e volentieri, fungevano
da perpetui regolatori ai primi prototipi degli orologi meccanici.
Nel corso dei secoli sono state
costruite un'infinità di meridiane
strettamente correlate e dirette figlie
della cultura e delle tradizione di
ogni civiltà e nazione. Sono così nate
le meridiane a ore italiche, babilonesi, astronomiche, francesi, curve,
concave, convesse, piane, inclinate,
reclinate, sferiche, geometriche, a
riflessione, immerse in liquido sfruttando la diffrazione ottica, insomma
chi più ne ha più ne metta.
Capitolo a parte meritano i motti:
possono essere gioiosi ("per gli amici
qualunque ora"), beneaugurati ("Segno
solo le ore serene"), oscuri moniti ("ogni
grandezza il tempo al fin risolve, in
pianto, in fumo, e l’uomo in polve"),
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Linea equinoziale:
L'ombra della punta
dello gnomone
scorre su questa linea
durante l'equinozio di
primavera
(22 marzo) e
l'equinozio di autunno
(23 settembre).
Sono inoltre riportati
i segni zodiacali di
Cancro, Capricorno,
Bilancia, Ariete.
Quando, ad esempio,
l'ombra dello gnomone
di questa meridiana segnerà il mezzodì l'1 aprile il nostro orologio indicherà circa le 13:23
(+ 1 ora per l'ora legale, + 20' circa per la differenza di longitudine tra Tirano e il meridiano
dell'Etna, +3' per l'equazione del tempo).
vere perle di saggezza ("fai buon uso
del tuo tempo") o semplicemente
scherzosi ("Muta io son eppur ti dico in
mia favella che l’ora di polenta e la più
bella").
Una cosa è certa: l’uomo ha cercato
di catturare il tempo piegandolo alle
proprie necessità, ma il tempo, da
sempre, cattura l’uomo trascinandolo
inevitabilmente con sè.1
1 - Per approfondimenti: Piero Gaggioni, L'ora di
Fratello Sole, Litografia Mitta, Sondrio 2000.
Leggere l'ora della meridiana
I
n Valtellina esistono sostanzialmente due tipi di
meridiane, a ore italiche e a ore francesi. Talune sono
ibride e riportano entrambe le notazioni.
Q
uelle a ore italiche, comuni dall' XI alla metà del
XVII secolo, contano le ore a partire dal tramonto
(l'intervallo tra tramonto e tramonto è suddiviso in 24
ore). L'informazione sulle ore di luce rimanenti che
fornivano era dato cronologico fondamentale per quella
società di matrice contadina.
Con le campagne napoleoniche, invece, si diffusero
quelle a ora francese o astronomica, dove è indicato
l'intervallo tra la mezzanotte e la mezzanotte del giorno
successivo suddiviso in 24 ore.
er leggere l'ora di una meridiana a ora francese (per
quelle a ora italica la procedura è ben più complessa)
e confrontarla con quella del nostro orologio da polso
è necessario correggere il dato numerico indicato
dall'ombra che lo gnomone proietta sulla superficie
ricevente, secondo due scostamenti fondamentali:
- quello dovuto alla longitudine (fuso orario rispetto al
meridiano dell'Etna [15° est] a cui il nostro orologio da
polso fa riferimento. Ad esempio Sondrio, che è a circa
10° est, ha un fuso orario di 5° x 4'/grado=20 minuti);
- quello legato all'equazione del tempo (differenza di
+14/-16 minuti dovuta alle variazioni della velocità
di rotazione della terra attorno al sole nei vari mesi
dell'anno). La terra infatti, oltre al moto di rivoluzione
P
24
La meridiana costruita
nel 1674 sulla Chiesa
di San Martino a
Tirano (23 gennaio
2009, foto Nicola
Giana).
E' una meridiana a
doppia indicazione
oraria: in nero sono
indicate le ore italiche,
in rosso le ore francesi.
Le Montagne Divertenti -16 -15 -14 -13 -12 -11 -10 -9 -8 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
sett
ott
nov
dic
attorno al proprio asse che dura 24 ore, ruota attorno
al sole compiendo in un anno un'orbita ellittica.
Secondo le leggi di Keplero la velocità di rotazione è
massima nei punti più vicini al sole e minima nei punti
più lontani. La composizione del moto di rivoluzione e
quello di rotazione determina così delle anomalie i cui
valori possono essere ricavati o dalla curva a forma di 8
disegnata su talune meridiane (rappresenta l'equazione
del tempo) e su cui l'ombra del mezzogiorno indica
il valore della correzione, oppure dalla comoda tabella
soprastante dove sono indicati i minuti di correzione in
base al mese dell'anno.
Meridiane
25
Speciali di primavera
Gli
di
Sondrio
ultimi prati
ondrio
S
Franco Benetti
Tra l’argine dell’Adda e la tangenziale della città a sud, Via Marinai d’Italia
e Corso Europa a nord, Via del Ponticello, Via Samaden, Via Donatori di
sangue e Via Brigata orobica a ovest e ancora Corso Europa a est fino alla
tangenziale, vi è un’area che costituisce, insieme al Sentiero Valtellina una
delle poche aree verdi utilizzabili dai cittadini del capoluogo, come sfogo per
le passeggiate del tempo libero.
Q
uella a sud-est di Sondrio è
un’area destinata per gran
parte a zona agricola con solo alcune
porzioni destinate ad area residenziale
e a uso pubblico ed è già parzialmente utilizzata da abitazioni private e
aziende agricole che vi allevano i loro
animali e che vi tengono prati per
lo sfalcio stagionale; vi sono inoltre
incluse, l’autorimessa della STPS,
la sala del Regno dei Testimoni di
Geova, un'area destinata agli orti per
gli anziani, un’altra destinata al deposito materiale edile, un veterinario
e oltre a piccole aziende che si occupano di taglio pietre, rappresentanza
e vendita auto e di spurghi, le sedi
dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia,
dell’Associazione Provinciale Allevatori, di una grossa azienda di servizi
come l’ASM e del Consorzio Tutela
Formaggi Valtellina Casera e Bitto.
utta questa zona è anche attraversata da numerosi canali,
attualmente assai trascurati, ricettacolo di sporcizia e rifiuti di ogni genere;
è infatti usanza di pochi maleducati, utilizzare questi canali e le strade che li costeggiano per gettarvi i
loro rifiuti che svariano dalle batterie d’auto fino ai materassi e alle
poltrone.
Rifiuti di ogni tipo è facile anche
trovare ai margini dell’area occupata dall’ASM che, anche solo per una
questione di immagine, potrebbe
preoccuparsi di curare maggiormente
il look della propria sede sociale.
Questi canali, con i caratteristici
filari di salici che li costeggiano, che
un tempo, non solo qui, ma anche in
altre zone della periferia e del fondovalle, erano ricchi di fauna (gamberi
di fiume e le trote, i ramarri, le salamandre, le libellule e i coleotteri, ...)
sono ormai da tempo abbandonati
a sé stessi, e vi si riversano anche gli
scolatoi con sfiatatoio delle fognature
del quartiere est di Sondrio, che quando, per qualche particolare motivo
non trovano via libera per il depuratore scaricano nel canale che attraversa
Via Bormio, impestando irrimediabilmente quella poca acqua pulita che
i canali stessi risucchiano dal fratello
maggiore che scende all’Adda dalla
centrale Enel situata a est del cimitero
e sotto i vigneti dell’area Grumello.
T
Prati della periferia nella
nebbia mattutina (inverno
2007,
Benetti).
Le Montagne Divertenti 26foto Franco
Primavera 2010
Le Montagne Divertenti Salici lungo i canali (inverno 2008, foto Franco Benetti).
F
anno da bordura a questi canali, che un tempo ricevevano
l’acqua anche dalla rete dei malleretti
che passano sotto la città e che costituiscono o costituivano (dopo l’intervento che ha squarciato e scavato
Piazza Garibaldi e giardini limitrofi)
una ricchezza da salvaguardare, filari
di bellissimi salici e pioppi, canneti
e cespugli di Buddleya, Viburnum,
ed Everonymus dalle caratteristiche
bacche rosse.
Nonostante il degrado tutta l’area
è ancora ricca di fauna, che sarebbe opportuno salvare e non avvelenare con qualsiasi tipo di scarico
pestilenziale. Di questa diamo una
sintetica visione con le fotografie
a corredo di questo articolo: oltre
a uccelli abbastanza comuni come
il merlo, la rondine, il piccione, la
tortora dal collare, il balestruccio,
il pettirosso, la cinciallegra, il fringuello, la ballerina bianca e gialla, lo
scricciolo, il cardellino, il codibugnolo
e la cinciarella, è presente il picchio
rosso maggiore e il picchio verde, il
picchio muratore, il saltimpalo, la
volpe, l’astore, lo sparviere, il gheppio
e la civetta e di passo anche qualche
nibbio, il martin pescatore, la pavoncella, il ciuffolotto, l’averla cinerina, il
saltimpalo, il rampichino e il frullino;
sono presenti poi il germano reale che
talvolta, al riparo delle canne, vi nidifica e limicoli come il corriere piccolo.
el corso del 2009 si sono avuti
degli incontri tra rappresentanti della popolazione residente e le
autorità competenti tra cui in primis
il Comune di Sondrio e il Consorzio o
Comprensorio dell’Adda (si vorrebbe
N
Gli ultimi prati di Sondrio
27
Speciali di primavera
poi coinvolgere anche la Comunità
Montana, allo scopo di dare vita a un
progetto per la salvaguardia dell’area
che tenda a eliminare i guai attualmente presenti (soprattutto relativi
alla pulizia delle acque dei canali e
delle aree limitrofe impedendo gli
scarichi fognari e studiando un sistema più efficiente di prelievi d’acqua
pulita dal vicino canale dell’Enel), a
preservarla da danni futuri (costruzioni o altro che riducano ulteriormente,
occupandoli, i pochi prati attualmente
presenti), a curare che non si facciano
scarichi abusivi di immondizie o che
si taglino o rovinino le poche piante
presenti.
Non si chiedono
interventi costosi o
distruttivi della realtà
presente che va solo
preservata.
S
i potrà poi in seguito, una volta
che saranno ottenuti dei risultati concreti, passare ad esaminare la
possibilità di creare un piccolo “Parco
dei canali della periferia di Sondrio”.
Nell’area indicata sono già attive varie
Sondrio
Una città a misura d'uomo?
L
Vitellino alla poppata (estate 2008, foto Franco Benetti).
aziende agricole oltre all’attività di
un apicoltore privato e di un coltivatore di piccoli frutti. Tra queste in
via Bormio, quindi proprio al centro
dell’ipotizzato parco agricolo, è operativa da anni una piccola azienda che
produce e vende direttamente al
pubblico latticini pregiati, esempio da
seguire per qualità dei prodotti e riduzione dei costi dovuta ad accorciamento della filiera e polo attrattivo già
consolidato per i cittadini che qui nel
tempo libero passeggiano, accompagnano i loro cani, corrono o pedalano.
Dalla salvaguardia del nostro territorio tutti abbiamo da guadagnare, sia
chi vi vive e lavora nel capoluogo, sia
i passanti, i turisti e gli amanti della
natura che, con il loro contributo e
il loro corretto modo di comportarsi,
possono contribuire ad arricchire il
parco rendendolo, nei limiti possibili,
sempre più gradevole e accogliente.
Salviamo l’ultima area agricola
I cittadini si mobilitano e danno vita ad un comitato per salvaguardare l’area periferica dell’Agneda
Un gruppo di cittadini della periferia Est del capoluogo è deciso a promuovere la salvaguardia dell’ultima
area agricola nella piana di Sondrio. Si tratta della zona detta “Agneda”, che costituisce insieme al Sentiero
Valtellina, una delle poche aree verdi utilizzabili dai cittadini del capoluogo, come sfogo per le passeggiate
del tempo libero. E’ un’area destinata per gran parte a zona agricola con solo alcune porzioni residenziali
e a uso pubblico ed è già parzialmente utilizzata da abitazioni private e aziende agricole che vi allevano i
loro animali e che vi tengono prati per lo sfalcio stagionale. Il rischio di un progressivo degrado della parte
ancora coltivata, viene avvertito dalle persone che si stanno muovendo per promuovere la creazione di un
“parco agricolo” nell’area ancora intatta. Tutta questa zona è anche attraversata da numerosi canali, attualmente assai trascurati che – a detta dei residenti - sono ricettacolo di sporcizia e rifiuti di ogni genere […]
(dall' articolo di Paride Dioli comparso sul Giorno del 25 agosto 2009)
Cosa ne pensa il sindaco
Un primo stop al degrado della zona da parte del Comune, è stato dato con il parere negativo alla costruzione di una nuova centralina che una società privata vorrebbe realizzare alla foce del canale Enel ex-Vizzola
nell’Adda. Al riguardo il sindaco Alcide Molteni precisa che nel Piano regolatore generale l’area viene classificata come “FP1” e cioè ad alto valore ambientale. Infatti a monte della stessa c’è la vasta area agricola
dell’Agneda nella quale è possibile realizzare una intelligente riqualificazione agricola eco-sostenibile. “La
zona Asm – spiega il primo cittadino – verrà riqualificata e il deposito sarà spostato come anche gli impianti
di cava presenti che non sono affatto contemplati in quell’area e non sono certo definitivi”. Infatti proprio
perché l’esistente andrà rimosso, l’ente locale ritiene che sia assolutamente controproducente autorizzare
un nuovo capannone in zona Parco Adda-Agneda. La stessa Regione, con l’operazione “Foreste di pianura”, ha già destinato tutta la fascia golenale del Castelletto ad area di riqualificazione ambientale. “Noi ci
opporremo alla centralina in tutte le sedi e andremo sino in fondo. Chiediamo alla Provincia di fare altrettanto formulando parere negativo.”
(Il Giorno del 25 agosto 2009)
28
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
a modernità non porta solo
progresso, ma talvolta, specie
se avviene in modo esplosivo e non
pianificato, seguono effetti collaterali che peggiorano notevolmente la
qualità della vita.
Sondrio e il suo circondario sono
state travolte sia dalla speculazione edile, che ha fatto sparire quasi
completamente il verde e le zone
rurali, che dal vortice del consumismo e della distribuzione di massa
che rischiano di cancellare le piccole
realtà produttive, quelle dove ancora
vive il rapporto diretto tra consumatore e produttore e lega il produttore
al territorio stesso.
espansione edilizia ed edifici
inutili
area presa in esame per l'ipotetico “Parco dei canali della
periferia di Sondrio” non è edificabile
a parte un piccolo settore sotto Via dei
Marinai d’Italia, che è stato edificato
proprio nel corso del 2009; d’altra
parte Sondrio, dopo il boom espansivo degli anni sessanta-settanta che ha
visto allargarsi l’area urbana sotto la
ferrovia con la creazione del nuovo
quartiere della Piastra, ha segnato
il passo in quanto ad aumento della
popolazione e a richiesta di nuovi
appartamenti; nonostante questo, i
costruttori edili non sono stati con
le mani in mano: sono sorte nuove
costruzioni nella zona nord sotto l’ex
manicomio e nella zona di espansione
commerciale-artigianale verso Trippi,
per non parlare di quelli che sono
ormai definiti gli ecomostri dell’area
Carini, i cui spazi sembra siano rimasti fino ad ora in larga parte ancora
invenduti.
Questa progressiva occupazione di
territorio alla periferia di Sondrio, che
ormai ha portato a una quasi unione
di fatto tra Sondrio e i comuni di
Montagna (Trippi) a est, di Albosaggia (Porto) a sud e di Castione a ovest,
costituisce un motivo in più per
difendere strenuamente quei pochi
prati rimasti nell’area sud-est della
città.
L’
Le Montagne Divertenti Vendita diretta e filiera
corta
i fronte all’affermarsi sempre
più massiccio della grande
distribuzione, quali sono i punti a
favore della vendita diretta?
D
La vendita diretta, usufruendo
di una filiera più corta, permette
di offrire prodotti che al consumatore costano circa il 30% in meno
rispetto alla grande distribuzione.
La vendita diretta aiuta l’ambiente dato che permette di risparmiare
sugli imballaggi che sono ridotti
al minimo mentre l’agricoltore che
gestisce l’azienda svolge anche un’utile lavoro di cura e giardinaggio sul
territorio utili alla comunità.
La vendita diretta è sinonimo di
maggiore qualità. La qualità superiore del prodotto (sempre chiaramente
in presenza di garanzie di lavorazione
effettuata con i dovuti canoni igie-
Franco Benetti
nici) è certa dato che il consumatore
può verificare personalmente come
sono allevati gli animali da cortile o
da stalla, maiali, mucche, pecore ecc.
e come sono coltivate la verdura e gli
ortaggi.
La vendita diretta come anche la
piccola distribuzione permettono
di conservare il rapporto diretto
umano e di fiducia personale tra
venditore-consumatore, cosa praticamente impossibile nella grande distribuzione dove domina l’impersonalità
del rapporto.
La vendita diretta a cui in genere è collegata un’azienda agricola permette di conservare quelle
tradizioni lavorative che un tempo in
famiglia erano tramandate di padre in
figlio: l’allevamento del bestiame, l’arte casearia, la preparazione dei salumi,
la coltivazione degli ortaggi, la lavorazione del vigneto, il taglio periodico
del fieno ecc.
Aziende agricole presenti nella zona
Azienda agricola Della Maddalena Andreina - produce latticini
Azienda agricola Della Maddalena Stefano - alpeggiatore in Acquanegra in
Valmalenco
Azienda agricola Parolo Ezio - produce latte alimentare
Azienda agricola Gandossini Renato - produce latticini
Azienda agricola Zani e Della Maddalena - produce e vende direttamente al
pubblico rinomati prodotti latticini artigianali e vino
Azienda agricola Brunalli Fortunata - produce latticini con maggengo a Carnale
Tutte queste sono aziende proprietarie di un certo numero di capi di bestiame per la produzione del latte o per il solo carico d’alpe o maggengo.
Azienda agricola Gandossini Sergio - produce piccoli frutti
Azienda agricola Sertorelli - produce mais
Azienda agricola Bertini Bruno - produce vino
Azienda agricola Libera Maura - alleva cavalli
Gli ultimi prati di Sondrio
29
Speciali di primavera
Sondrio
Piccoli animali nell’ecosistema dei
canali circondati dai salici
Paride Dioli
I
grandi salici che costeggiano
alcuni canali in località Agneda,
nella periferia est di Sondrio, sono
l’esempio principale di un’agricoltura inserita nel contesto del paesaggio
e dell’ambiente naturale, nel segno
della continuità tra gli agro-ecosistemi
e il bosco fluviale. Infatti i prati della
piana valtellinese, coltivati secondo i
riti della fienagione, venivano circondati da filari di salice i cui rami - da
quelli più grossi a quelli più sottili venivano utilizzati nella fabbricazione
delle gerla e delle ceste oltre che per
legare i viticci. Si trattava cioè di una
coltivazione parallela a quella della
vite. Contemporaneamente avveniva
uno scambio tra i macroinvertebrati
che abitavano i due ecosistemi contigui.
Salici e pioppi fungevano da riparo
ombroso, durante l’estate, a coloro che si riposavano dopo le fatiche
del taglio del fieno e della successiva
lavorazione. Sostituivano i gazebo dei
ristoranti che oggi si allungano sui
marciapiedi di strade e piazze in città.
Questo ambiente, di derivazione
antropica, non mancava però di offrire ospitalità anche a diversi animali
che costruivano nidi e tane nel cavo
dei salici o sulle sponde dei canali.
alla primavera all’autunno
non era raro osservare nei
prati i cumuli di terra delle talpe
che, costruivano il nido principale
alla base di un salice, evitando così
la zona inondabile durante l’irrigazione periodica estiva. Sempre alla
base delle piante si trovavano i ripari per vari roditori, dalle arvicole ai
quercini. Biscia d’acqua, raganella
e biacco completavano l’elenco dei
vertebrati.
ra gli invertebrati non mancava
il Gambero di fiume autoctono (Austropotamobius pallipes).
Nei fossi non inquinati si può
ancor oggi scorgere il Ditisco (Ditiscus marginalis), coleottero predatore,
sempre attivo alla ricerca delle sanguisughe e di larve di insetti da aggredire
e succhiare con le potenti mandibole
scanalate.
D
T
Cinciarella sulle canne (inverno 2008, foto Franco Benetti).
C
Pettirosso su Viburnum (inverno 2007, foto Franco Benetti).
T
30
Le Montagne Divertenti Sulle piante di salice è tutt’ora
presente un corteggio di insetti che
contendono alla pianta ogni spazio
vitale. Si assiste perciò a una tenace resistenza da parte del salice che
mantiene vive alcune parti del tronco, permettendo così ai suoi rami e
alle foglie di prosperare, mentre altre
porzioni vengono degradate dalla
invadenza di vari coleotteri, sino
all’attacco finale di formiche e funghi.
ra i cerambidi dalle lunghe
antenne, si riconoscono il
Grande Capricorno (Cerambyx cerdo)
attivo volatore al tramonto e l’Aegosoma (Aegosoma scabricorne) quest’ultimo dalle antenne molto rugose e dai
costumi notturni. Di giorno si ripara
negli incavi del tronco. Sui rami frondosi, dove sgorga la linfa se vengono
incisi dalle mandibole potenti di
questi insetti, si trova anche l’Aromia (Aromia moschata) un insetto dal
colore verde dal profumo inconfondibile di muschio che i nostri vecchi
imprigionavano nelle tabacchiere per
aromatizzare il tabacco stesso. Di qui
il nome che Carol Linné (Linneo)
diede a questo cerambice.
ommensali al banchetto della
linfa dolciastra sono anche la
Cetonia (Cetonia aurata), di un bel
verde smeraldo con tacche più chiare
sulle elitre, e altre specie appartenenti
alla stessa famiglia come la Eupotosia
affinis, la Potosia cuprea, la Netocia
morio, la Liocola lugubris e la rarissima Potosia fieberi, tutte assieme spesso incredibilmente presenti sui salici
nell’intera piana di Sondrio. Difficile
da vedere di giorno ma non raro nelle
serate della tarda primavera anche
il Cervo volante (Lucanus cervus) il
più grande coleottero europeo con
i suoi sette centimetri di lunghezza.
Molto comune in certe annate anche
lo Scarabeo rinoceronte (Oryctes
nasicornis) la cui larva, a forma di “C”
come quella del Maggiolino, ma di
dimensioni nettamente maggiori, vive
a spese di sfasciumi del legno nella
zona radicale dei ceppi tagliati.
na vistosa specie predatrice
è poi la Calosoma (Calosoma sycophanta), in certe annate assai
numerosa alla caccia di bruchi della
Limantria dispar, una farfalla spesso dannosa proprio ai salici. Naturalmente abbondano, soprattutto
U
Codibugnolo su Ontano (primavera 2007, foto Franco Benetti).
Primavera 2010
Le Montagne Divertenti Vanessa Atalanta (primavera 2008, foto Franco Benetti).
Cerambice e , sotto, libellula su ortica(estate 2008, foto Franco Benetti).
alla fine dell’estate le libellule più
grandi e vistose come le Aeschna sp.
e alcune farfalle dalle ali iridescenti
come l’Apatura ilia e, in primavera,
la Cedronella (Gonepteryx rhamni),
dalle ali giallo-limone nel maschio e
l’Aurora (Anthocaris cardamines) il cui
maschio ha l’apice delle ali anteriori
color arancio vivo.
ra le ninfalidi non mancano
l’Antiopa (Vanessa antiopa),
che sverna e ricompare in marzo, e la
T
Vanessa multicolore (Nymphalis polycloros) “sorella maggiore” della Vanessa dell’Ortica (Vanessa urticae), la più
comune nei prati assieme alla Cavolaia (Pieris rapae).
n un concetto di Parco urbano estensivo, con la possibilità
di aree di ri-naturalizzazione, anche
questi lembi residuali di agro-ecosistema tradizionale, avrebbero validi
motivi di esistere, al riparo dall’antropizzazione.
I
Gli ultimi prati di Sondrio
31
Speciali di primavera
Sport invernali
Sci di fondo
provare per credere
una disciplina invernale economica e adatta a tutti che permette di migliorare la
propria forma fisica, aumentare la coordinazione del proprio corpo e rilassare la
Beno
mente nel contesto di splendidi scenari innevati
32
Le Montagne Divertenti Fondisti a Santa Caterina
(7 febbraio
Primavera
2010
2010, foto Giacomo Meneghello).
A
ppassionato di montagna
come sono, era inammissibile non avere mai messo gli sci da
fondo.
Così, deciso a colmare questa mia
lacuna, ho iniziato a informarmi
sulla disciplina per non arrivare al
banco di prova impreparato.
la storia
o sci di fondo nasce, come le
ciaspole, dall'esigenza delle
popolazioni nord europee e asiatiche
di muoversi in uno scenario che è
innevato per molti mesi all'anno.
L'intuizione porta l'uomo a
comprendere l'utilità di uno strumento che, oltre al galleggiamento sulla
neve, permetta maggiori velocità nei
tratti in discesa grazie allo scivolamento. Nascono così i primi rudimentali
sci. La loro datazione è impossibile,
ma già nelle incisioni rupestri i cacciatori talvolta sono raffigurati con delle
assi ai piedi. I reperti più antichi risalgono a 4500 anni fa e sono stati ritro-
L
Le Montagne Divertenti vati sui Monti Altai in Siberia. Sono
attrezzi diversissimi dagli attuali: uno
di questi sci è lungo, sottile e serve
per lo scivolamento, mentre l'altro,
più corto, largo e rivestito di pelle di
renna, è adibito alla trazione.
Descritti in letteratura fin da prima
di Cristo, diventano anche preziosi
ausili militari. Il re svedese Sverre, ad
esempio, vince nel 1100 una battaglia grazie agli sci. Sempre in Svezia,
Gustavo Svasa, tenta inutilmente
di fomentare una rivolta contro gli
invasori danesi. Deluso dagli svedesi,
decide di andare in esilio. Percorre
90 km, da Salen a Mora, dove viene
raggiunto poco prima del confine da
due sciatori che lo richiamano per
unirsi agli insorti. Così egli guida la
Svezia verso l'indipendenza dai danesi e viene incoronato nel 1523 Re
di Svezia col nome di Gustavo I. In
ricordo di questa vicenda nel 1922
nasce la gran fondo Vasaloppet, una
gara di sci di fondo che si snoda sullo
stesso percorso.
Il primo sciatore italiano è stato il
parroco di Ravenna, Francesco Negri,
il quale aveva fatto questa esperienza
durante un viaggio in Lapponia attorno al 1660. Ma poi più nulla finchè
nel 1890 esce a Londra il libro di
Fridtjof Nansen The First Crossing of
Greenland, riguardante appunto la sua
impresa di traversata con gli sci della
Groenlandia. Adolfo Kind, ingegnere
svizzero naturalizzato italiano, colto
da entusiasmo per il libro di Nansen
si fa spedire dalla Svizzera 2 ski Jacober in frassino. Ai primi esperimenti,
segue l'attività di propaganda sciatoria
in Italia, naturalmente di sole discipline nordiche.
Nel 1901, all'interno del CAI nasce
lo Ski Club Torino, primo in Italia,
finalizzato agli allenamenti nel pattinaggio e nelle escursioni con gli sci.
Il gruppo conta 29 elementi, tra cui
i più esperti alpinisti dell'epoca (Hess,
Dumondel, Valbusa, ...). Adolfo Kind
è eletto presidente e mantiene tale
carica fino al 1907, quando muore a
Sci di fondo
33
Speciali di primavera
soli 59 anni durante un'ascensione sul
Bernina.
Nel 1902 nasce lo Ski Club di
Milano, nel 1903 per lo sci di fondo
è la svolta: viene scoperta la sciolina
di tenuta (le pelli a tale scopo erano
utilizzate fin dalle origini degli sci).
Composta da una miscela con cera
d'api, la sciolina aumenta l'attrito
statico e riduce quello dinamico tra
sci e neve, permettendo così allo sci di
non scivolare all'indietro, pur scorrendo agevolmente in avanti.
Durante la Prima Guerra Mondiale
lo sci di fondo trova applicazioni militari tanto che vengono formati interi
reparti di sciatori per l'addestramento
dei quali sono ingaggiati istruttori
stranieri.
Negli anni lo sci di fondo ha quindi
assunto connotati prettamente sportivi e agonistici.
Sport invernali
le braccia. Per questa ragione gli atleti
che praticano questa disciplina hanno
braccia possenti.
Nelle competizioni di tecnica classica non sono permessi movimenti di
skating.
Nello skating gli sci scorrono alternativamente divaricati in punta e
diagonali rispetto al senso di marcia
su terreno privo di binari. A differenza della tecnica classica, lo sci è
sempre in movimento, anche in fase
di spinta, aumentando così i tempi di
applicazione della forza, la continuità
dell'azione e perciò anche la velocità.
La scarpetta è più alta. L'attrito tra
sci e neve avviene grazie alla presa
di spigolo degli sci, visto che non è
presente sciolina sul fondo. I movimenti degli arti superiori e inferiori
devono essere coordinati e l'azione
più rapida. Le competizioni di skating
sono anche chiamate "tecnica libera"
perchè è possibile utilizzare anche lo
stile pattinato.
Benefici fisici
Lo sci di fondo è uno sport
completo perchè fa lavorare tutta la
muscolatura e ha benefici anche sulla
circolazione e sull'apparato respiratorio. L'impegno muscolare e il conseguente aumento di tono, come già
accennato, è diverso nelle due tecni-
tecniche e attrezzatura
che. Nello skating si sfruttano particolarmente i glutei, i quadricipiti e i
polpacci, mentre nella tecnica classica
sono le spalle, le braccia e il dorso ad
essere maggiormente sollecitati.
"Essendo una attività prolungata
nel tempo, a bassa intensità di sforzo,
migliora l’efficienza cardiaca, stimolando la capacità del cuore di pompare
sangue nei vasi e in circolo, irrorando
i tessuti. Viene potenziata la capacità
di ventilare aria e ossigeno in maniera
continuativa, migliorando la capacità
respiratoria complessiva e dei singoli atti
respiratori [...].
Fa anche dimagrire. La quantità di
lavoro svolta aiuta a bruciare grassi, a
patto di seguire già da prima un’alimentazione corretta e senza difetti. Un’ora
di sci di fondo, ad andatura normale,
permette di smaltire circa 400 calorie.
Ma non solo. Il miglioramento della
circolazione si ripercuote anche sui vasi
capillari e su quelli linfatici, evitan-
do la formazione della cellulite o
migliorando la situazione di ristagno
dei liquidi nei tessuti in quelle donne
che hanno questo problema estetico e
funzionale. Infine, il cuore, contraendosi, funziona da pompa sulla circolazione periferica, stimolando il ritorno del
sangue venoso, evitando la formazione delle fastidiose varici.”3
consigli / avvertenze
Lo sci di fondo è uno sport che non
può essere totalmente improvvisato,
visto l'impegno muscolare richiesto.
Sebbene sia attività aerobica con sollecitazioni medio-basse dell'apparato
cardiocircolatorio, necessita tuttavia,
per i soggetti con vita sedentaria, una
3 - Tratto dall'intervista di Umberto Gambino al
dottor Sergio Lupo, dirigente medico dell’Istituto di Scienza dello Sport del Coni, pubblicata su
www.humanitasalute.it .
preparazione continuativa durante l'anno propedeutica alla stagione
invernale. Per ottenere benefici, inoltre, serve praticare fondo per almeno
50 minuti senza interruzioni. Sarà
perciò opportuno per i meno allenati
raggiungere queste durate di allenamento gradualmente.
Per apprendere la tecnica è consigliabile farsi seguire nelle prime uscite da un maestro o da un fondista
esperto. L'attrezzatura generalmente
può essere noleggiata nei pressi degli
impianti con circa 10 euro.
Essendo le velocità moderate, il
rischio di infortuni gravi è basso:
serve molta sfiga per arrivare a
lussarsi una spalla o fare una distorsione al ginocchio.
Nei soggetti meno allenati, le prime
sedute possono comportare dolori
articolari o muscolari, ma cio che non
uccide fortifica!
L'attrezzatura utilizzata è composta
da bastoncini (devono arrivare quasi
all'altezza dell'ascella) e da sci su cui la
scarpetta è fissata solamente in punta,
permettendo così la mobilità del tallone. Gli sci e le scarpette sono di diversa tipologia a seconda della tecnica
che si vuole praticare.
Gli stili del fondo sono due: quello
classico1 e lo skating2, introdotto ad
alto livello solo nell'inverno 1981-82
dal finlandese Siitonen.
Nella tecnica classica, la più facile da apprendere, si viaggia su binari
battuti. Lo sci è guidato e anche la
scivolata risulta più sicura. La scarpetta è avvolgente e alta fino alla
caviglia. La spinta avviene sia con le
braccia, grazia all'ausilio dei bastoncini, sia con le gambe che trasmettono
la spinta grazie alla sciolina di tenuta
o a delle scaglie presenti sulla parte
centrale della soletta degli sci. Si ha
ancoraggio solo quando la posizione del baricentro è centrale sugli sci.
All'aumentare della velocità è sempre
più breve il periodo in cui l'atleta si
trova a poter spingere con le gambe,
fino ad arrivare alla condizione per cui
la forza può essere impressa solo con
1 - Detto anche alternato.
2 - Detto anche pattinato.
34
Le Montagne Divertenti A sx sciata in skating e a dx sciata pattinata sulle nevi di Santa Caterina (7 febbraio 2010, foto
Giacomo Meneghello).
Primavera 2010
Le Montagne Divertenti Sci di fondo
35
Speciali di primavera
Sport invernali
I Gemelli di Chiareggio chiudono la valle.
D
opo tanta teoria, il 29 gennaio è giunta
l'ora che provi lo sci di fondo. Mi affido al mio amico Carlo che mi porta nel Centro
Sportivo San Giuseppe in Valmalenco, uno
splendido comprensorio per lo sci di fondo a
circa 40 minuti da Sondrio.
Carlo mi racconta che ha conosciuto questa
disciplina circa due anni fa e da allora se ne è
innamorato, tanto da farne appassionare anche
sua madre che ora spesso lo segue. Una giornata all'aria aperta, passata in luoghi incantevoli
praticando uno sport che distende anima e
corpo, questo è il perchè del fondo amatoriale.
Raggiungiamo località Sabbionaccio, a un
km dalla chiesa di San Giuseppe in direzione
Chiareggio1. Presso il Bar Isola c'è il noleggio e
con 10 euro ci procuriamo tutta l'attrezzatura.
Essendo la mia prima uscita Carlo mi consiglia
di prendere quella per il pattinato, perchè è più
facile da imparare. Abituato allo scialpinismo,
ho subito la stranissima sensazione di avere ai
piedi attrezzi troppo leggeri. Inoltre il tallone
non si muove solo su e giù, ma anche lateralmente. Serve equilibrio. Senza troppi preliminari, iniziamo la nostra avventura, lanciandoci
sull'anello più lungo: quello che sale fino a
Forbicina, oltre Chiareggio, per poi tornare a
Sabbionaccio dopo circa 15 km percorsi.
Inizialmente ho difficoltà a trovare il baricenLocalità Carot in discesa (29 gennaio 2010, foto Beno).
36
Le Montagne Divertenti 1 - Lasciata l'auto nei pressi delle cave di marmo, si deve scendere
per la stradina fino alla piana alluvionale del Mallero nota come
Sabbionaccio.
Primavera 2010
Il giro di boa presso Forbicina.
tro giusto per riuscire a spingere anche con le
gambe. Lo sci mi scappa sempre indietro perchè
sto troppo sulle punte. Risolvo l'inconveniente
"andando di braccia" come un disperato.
Man mano che imparo lo stile, ci inoltriamo
nel silenzio e nella pace della valle di Chiareggio.
Passiamo il Carot, sentendoci come statuette nel
presepe, poi continuiamo a salire fino a Senevedo e di lì, superati un paio di tornanti ripidi,
iniziamo ad ammirare la corona di vette che orla
la valle con le imponenti moli del Disgrazia,
delle Cime di Chiareggio e dei Gemelli di Chiareggio: Cima di Vazzeda e Cima di Rosso.
Il paesaggio fa dimenticare la fatica, e in men
che non si dica siamo al giro di boa nei pressi
di Forbicina. Veniamo superati da un fondista
attempato che, con lo skating e senza troppo
impegno, ci brucia a velocità doppia.
Inizia il veloce ritorno accanto al Mallero che
rumoreggia per scrollarsi di dosso l'abito ghiacciato. Al tornante sono obbligato a imparare
come si curva. Direi che è una specie di spazzaneve, ma la posizione è assai diversa rispetto a
quella che si tiene con lo sci da discesa. Quando
si prende velocità inoltre lo sci sbacchetta. Provo
anche a cadere (tecnica suggerita dalla FISI se
non ci si riesce a fermare) e capisco che non ci
si fa male. In meno di due ore e con solo un po'
di mal di braccia, si conclude il nostro anello.
Un bella esperienza, sicuramente consigliabile,
che mi ha riposato e rilassato prima di tornare a
impaginare Le Montagne Divertenti !
Le Montagne Divertenti La Sassa d'Entova e il Sasso Nero chiudono l'orizzonte a NE.
Sci di fondo
37
Speciali di primavera
Piste di fondo di Valtellina e Valchiavenna
L'anello di fondo di Mottale (foto archivio Ufficio Turistico di Campodolcino).
Le piste di Santa Caterina (foto Giacomo Meneghello).
ZONA
LUOGO
km di piste
noleggio
attrezzatura
telefono/email
orari d'apertura
Madesimo
Fondovalle
(m 1656)
5
Deghi Sport tel.
0343.53372
(1 giorno € 10)
tel. 0343 53015
infomadesimo@provincia.
so.it
sempre aperto
tel. 0343 50611
infocampodolcino@
provincia.so.it
sempre aperto
Campodolcino
Iselle (m 1080)
6.5
Baldiscio Sport tel.
338.3175342
(1 giorno € 7)
Campo Sport tel.
0343.51178
(1 giorno € 10)
Campodolcino
Motta (m 1720)
5
Levi Nicoletta tel.
0343.52947
(1 giorno € 10)
tel. 0343 50611
infocampodolcino@
provincia.so.it
sempre aperto
tel. 0343 50611
infocampodolcino@
provincia.so.it
sempre aperto
Campodolcino
Mottala (m 1361)
1.5
Baldiscio Sport tel.
338.3175342
(1 giorno € 7)
Campo Sport tel.
0343.51178
(1 giorno € 10)
Aprica
Pian del Gembro
(m 1352-1454)
7.5
presso Bar Pian del
Gembro (€ 10)
tel. 0342 746918
tutti i giorno 9-16:30
Livigno
Centro di Livigno:
Pista " mulin"
40 km
Scuola Sci Fondo
Livigno 2000
0342 996367
www.scuolascifondolivigno.
com
tutti i giorni, tutto il
giorno, per 1.5 km
anche illuminazione
serale
Valfurva - Santa
Caterina
Santa Caterina
Valfurva (m 1800)
tot 45 km anelli da
10 /15 km
Centro Sci Fondo
Valtellina :
Centro La Fonte,
noleggio € 5
334 2309939
www.scifondovaltellina.it
tutti i giorni 9 -17:00
Bormio
Piana dell'Alute
10 km
Sci Club
Altavaltellina
APT Bormio
0342 902765
tutti i giorni 9 - 16:30
0342 985768
tutti i giorni,
8 - 17 /
mer-gio-ven-sab anche
sera fino 23
38
Valdidentro Isolaccia
Isolaccia
25 km
Scuola Italiana Sci
Fondo Valdidentro
Val Gerola
Località Fenile
2,5 km
-
-
sempre aperto
Valmalenco
Località
Sabbionaccio
15 km
Bar Isola
(1 giorno € 10)
www.
centrosportivovalmalenco.it
347 9606848
tutti i giorni 9:30 - 17
Valmalenco
Lago Palù
7 km
-
Scuola Italiana Sci
Valmalenco 0342 451284
sempre aperto
Valmalenco
Lanzada
(località Pradasc)
5 km di cui 1
illuminato
Bar Pradasc
di Lanzada
Ivan Pegorari
347 4687105
sempre aperto, illuminazione fino alle 22
Le Montagne Divertenti Sciare ai piedi
della Cima Piazzi
Primavera 2010
Una ciaspolata all'Alpe Borron, o una scialpinistica ai m 3009 del Monte
Rinalpi, sono l'occasione per gustarsi una giornata sulle nevi della Valle Lia e
ammirare l'imponente mole della Cima Piazzi.
Beno
La Montagne
Cima Piazzi dall'alta
Valle Lia. Per il Monte Rinalpi si deve salire in fondo a sx (3 febbraio 2009, foto Beno). Monte Rinalpi (m 3009)
Le
Divertenti
39
Alta Valle
Alpinismo
P
artiamo di buon'ora da Isolaccia (m 1345)
e seguiamo la strada che, resa un biliardo
dal gatto delle nevi, si inoltra con poca pendenza
in Valle Lia.
Dall'altro lato della Valdidentro c'è un'alta
fascia rocciosa2 calcarea da cui scende una terrificante colata di ghiaccio. Pascal afferma che
nessuno l'ha mai salita perchè quella cascata non
si è mai formata completamente, probabilmente
per l'esposizione al sole che impedisce alle varie
colate di unirsi.
Giorgio aggiunge che quella cascata veniva
osservata dai contadini per la semina: appena
non c'era più ghiaccio significava che era giunta
la stagione buona.
Ci mettiamo in marcia e in circa un'ora passiamo sotto le Baite di Pezzel, quindi nei pressi di
Presedont c'è un bivio: noi saliamo a sx, vicino
alla cappelletta della Madonna di Presedont.
Seguitiamo quindi nel bosco di abeti lungo la
Valle Lia. Alla nostra dx il Dosso Pennaglia, alla
nostra sx il Dosso Le Pone, tutti solcati da tracce di sci. Davanti a noi s'alza la maestosa Cima
Piazzi, sfoggiando i suoi ghiacciai e le sue creste
tormentate dal vento. Fa molto freddo, le velature del cielo impediscono al sole di scaldarci,
così inizio a pregustarmi una bella "lessata" alle
terme di Bormio.
Finalmente usciamo dal bosco e tocchiamo
l'Alpe Borron (m 2057, ore 2:20), oggi deserta.
Pianeggiamo verso S fino in testa alla Valle
Lia. Purtroppo il Monte Rinalpi si nasconde alla
vista. Il Corno di San Colombano è invece meno
timido, e svetta tra le serpentine degli sciatori in
alto a SE.
Le pendenze, finalmente, iniziano a crescere
mentre pieghiamo leggermente a sx, saliamo un
primo circo, quindi deviamo a dx e attacchiamo
un ripido vallone che, dopo molte inversioni, ci
regala la conca tra il Colle Rinalpi (S) e il Monte
Rinalpi (O, sx). La cresta E della Piazzi, ora alla
nostra dx, incute un certo rispetto con le sue
torri e le sue lame di roccia.
lagellati dal vento leviamo gli sci per superare gli ultimi ripidi metri di neve dura e la
breve cresta che ci separano dall'ometto di vetta
(Monte Rinalpi, m 3009, ore 2:40).
Il paesaggio è ampio a N e a S, mentre le altre
direzioni sono chiuse dal San Colombano e dalla
Piazzi. In basso si vede Bormio coi suoi impianti.
Dato il freddo, per non emulare Oetzi, iniziamo subito la discesa. La sciata è molto bella fino
alla base del canale. Vista l'esposizione, infatti,
la neve è sempre leggera e abbondante. Poi, una
volta raggiunta quota 2100, non resta altro che
far correre le assi e lasciarsi trascinare dalla forza
di gravità fino alla macchina.
La Cima Piazzi dall'Alpe Borron (3 febbraio 2010, foto Beno).
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: Isolaccia (m 1345).
Itinerario automobilistico: da Bormio
prendere la SS 301 del Foscagno in direzione
Livigno fino ad Isolaccia. All'entrata del paese
seguire per Valle Lia - Alpe Borron. Se non c'è neve
la strada può essere percorsa in auto fin nei pressi
dell'Alpe Borron, evitando circa 2 ore e mezzo di
avvicinamento.
Itinerario sintetico: Isolaccia (m 1345) - Baite
di Pezzel - Madonna di Presedont - Prato di Sotto
(m 1850) - Alpe Borron (m 2057) - Monte Rinalpi
(m 3009).
L
a Cima di Piazzi, o Cima de
Piazzi, o comunemente chiamata Cima Piazzi (m 3439), è la più
imponente montagna della fascia
retica che va da Bormio a Poschiavo. Domina Val Grosina, Valdisotto
e Valdidentro, ma è sicuramente il
suo versante settentrionale quello
più bello e famoso. Questo è infatti
coperto da una possente e tormentata
calotta glaciale, che parrebbe appartenere a una vetta ben più elavata. Sulle
mappe il complesso glaciale è indicato come Vedretta di Piazzi, ma in
realtà esso comprende tre ghiacchiai
distinti: quello di Val Cardonè a NO,
quello di Val Lia a NE e il Ghiacciaio di Rinalpi a E, da qualche anno
40
Le Montagne Divertenti Tempo di salita previsto: 5 ore da Isolaccia.
Attrezzatura richiesta: attrezzatura da sci
alpinismo, pala, arva e sonda.
Difficoltà / dislivello: 3 su 6 / 1664 metri.
Dettagli: MSA. Gli ultimi metri per la vetta sono
un po' ripidi. Se ghiacciati meglio levare gli sci e salire
a piedi.
Mappe: Kompass n. 96 - Bormio Livigno - 1:50000.
nettamente diviso dagli altri e caratterizzato da due piccoli circhi a O della
montagna da cui prende il nome.
E
sistono due modi per
ammirare in tutta la
sua bellezza la Cima Piazzi:
guardare le bottiglie di
acqua minerale, oppure
farsi un'escursione in Val
Cardonè o in Valle Lia.
Il consiglio è quello di andare a
Isolaccia, bere l'acqua del rubinetto,
ottima anche se non imbottigliata, e,
armati di sci o ciaspole, avventuarsi
sulle nevi della Valle Lia.
Da Isolaccia si stacca verso O una
rotabile1 con indicazioni per Valle Lia
- Alpe Borron. Se c'è neve la strada è
chiusa al traffico e il fondo ben battuto dal gatto delle nevi per agevolare
in passaggio di fondisti e ciaspolatori.
Raggiungere semplicemente l'Alpe
Borron è una bella ciaspolata per chi
è alle prime armi con questo attrezzo,
ma si può anche proseguire: l'ascesa
dall'alpe al Monte Rinalpi è una classica scialpinistica. Sebbene il Rinalpi
sia solo un'elevazione rocciosa di poco
conto fra il Corno di San Colombano e la Piazzi, sciisticamente offre un
vallone molto divertente da 900 metri
di dislivello.
1- Tröi de Cardone poi Strada di Borron su
Kompass.
Primavera 2010
F
Verso la testa della Valle Lia (3 febbraio 2010, foto Beno).
Le Montagne Divertenti 2 - Sul ripiano superiore si trova Sant' Antonio di Scianno.
Monte Rinalpi (m 3009)
41
Valmasino:
Alpinismo
scialpinismo fuori traccia
Mario Sertori
Pizzo del Ferro Centrale o
Cima della Bondasca
(3287)
Pizzo del Ferro Orientale
(3199)
Torrione del Ferro
(3234)
Pizzo del Ferro Occidentale
(3267)
Passo del Ferro
(3203)
Bivacco
Molteni Valsecchi
(2510)
L'alta Valle del Ferro (16 gennaio 2010, foto Beno).
Alla pagina seguente: il tracciato per il Passo del Ferro (16 gennaio 2010, foto Beno).
Scialpinismo in Valmasino? Ai più sembrerà un ossimoro, perché la
conoscono bene solo per le sue ardite pareti e le cascate di ghiaccio, ma di
rado hanno sentito parlare di gite con le pelli di foca sui versanti meridionali
del gruppo. In realtà in ognuna delle valli minori sono possibili tracciati che
offrono discese lunghissime e mozzafiato. In queste pagine vi proporremo un
itinerario di quasi 2300 metri di dislivello positivo: l’ascesa alla Cima della
Bondasca (m 3287) per la Valle del Ferro.
Un’uscita da sogno, ma solo per i più allenati.
42
Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Cima della Bondasca (m 3287)
43
Valmasino
Alpinismo
Partenza: Cà Rogni (m 1030).
Itinerario automobilistico: da San
Martino Valmasino entrare in Val di Mello
e parcheggiare nell’apposita grande area
prima del Gatto Rosso.
Itinerario
Bellezza
Fatica
sintetico:
I giorno: imboccare il sentiero che all’inizio
segue l’argine idrografico dx e quindi
Pericolosità
piega decisamente a O (sx) risalendo la
vallata. Dopo aver passato il secondo
salto della cascata, si sbuca alla Casera del
Ferro (m 1568). Il tracciato estivo piega
ora a dx per evitare il gradino roccioso e
ritorna a sinistra (O) più sopra, ma si può
aggirare l'ostacolo anche da sx (O) per poi riaccentrarsi nella
valle. Nell'alta Val del Ferro, quindi, non c’è percorso obbligato,
basta puntare la bussola dei propri sci verso la scatola rossa del
Bivacco Molteni (m 2510), nei pressi di alcuni grandi macigni più
o meno in centro all’anfiteatro e a valle del tracciato (non visibile
in inverno) del Sentiero Roma.
Attrezzatura
richiesta: attrezzatura da sci alpinismo,
pala, arva e sonda, ramponi, piccozza, corda 40m, cordini e
imbraco per raggiungere il passo.
Difficoltà / dislivello: 4 su 6 / 2267 metri.
Dettagli: OSA.
Alpinistica PD- il tratto finale per il Passo del Ferro. E' presente
una corda fissa sulla probabile fascia rocciosa a quota 3100 ca
(20 m - consigliabile una calata in corda doppia in discesa).
10 m di calata in doppia anche dalla vetta (III+).
Passo del Ferro
(3203)
II giorno: dal bivacco piegare verso O fino ad imboccare il largo
pendio nevoso che scende dal Passo del Ferro. Risalirlo fino a
quando diviene troppo ripido e stretto per essere percorso con
gli sci ai piedi (roccette). Con ramponi e piccozza e sci in spalla
(pendenza max 45°) si prosegue fino a sbucare al Passo del
Ferro (m 3203). Rimessi gli sci si aggira da N l'anticima O, quindi
si porta sulla cima principale (m 3287). La discesa è sulla via
di salita e può richiedere una breve corda doppia dal Passo del
Ferro per raggiungere la neve del canale ed evitare le possibili
infide rocce affioranti.
M
i è stato chiesto di proporre
un escursione di scialpinismo
in Valmasino: un compito arduo?
Forse. Premetto che, in giovane età,
ho scorrazzato parecchio d’inverno tra
le valli del Masino, spesso con gli sci,
per andare ad arrampicare sulle pareti più in quota. Il mio era un utilizzo con scopi diversi dal piacere del
raggiungimento di una cima e della
discesa dispensatrice di grazia sinuosa.
I poveri attrezzi che avevo mutilato
accorciandoli a colpi di sega elettrica,
per meglio adattarsi ai percorsi stretti,
si vendicavano nel corso dei ritorni
che, gravati da zaini pesanti, si trasformavano sempre in epiche battaglie
per raggiungere indenni il fondovalle.
a Val Masino è conosciuta e
apprezzata tra gli alpinisti di
mezzo mondo per la sua roccia meravigliosa che dà vita e forma a lavagne
vertiginose terribilmente attraenti.
Su questi monti sono nate nel corso
del tempo scalate leggendarie che
hanno fatto crescere le pagine del
libro dell’alpinismo. Meno celebre, o
meglio, meno praticato dai moderni scivolatori con le assi di legno è
lo scialpinismo. In effetti non sono
molte le valli di questo bacino che si
prestano facilmente all’uso degli sci.
Gradini iniziali impervi e dirupati
per accedere agli ampi circhi superiori
scoraggiano anche i più motivati dal
lanciarsi in avventure dall’esito incerto. C’è anche da considerare che in
provincia di Sondrio sono parecchie
le aree prese d’assalto ogni inverno da
frotte di sciatori con le pelli di foca,
e a ragione, perché tante sono le zone
del nostro territorio adatte a questa
affascinante disciplina. Le Orobie
soprattutto - con le loro lunghe ombre
e le nevi soffici come polvere mantenute appetibili per un lungo periodo,
come i formaggi in una buona cantina
- sono una sorta di Mecca per gli aspiranti domatori di curve.
on dirò del conosciuto e
apprezzato itinerario di salita (e discesa ovviamente) al Monte
Disgrazia da Preda Rossa perché fa
parte del repertorio classico della
regione. Vorrei segnalare, a quanti ancora non la conoscono o non
l’hanno mai presa in considerazione,
una grandiosa ascesa con gli sci ad un
picco di granito solare con un pano-
di salita previsto: 4:30 ore per il Bivacco Molteni,
da qui 4 ore scarse per la vetta. Si consiglia pertanto di dividere
la gita in 2 giorni.
N
Le Montagne Divertenti gli amanti della solitudine, della fatica e degli ampi
spazi si apre tra i graniti ruspanti del Masino uno
scenario attraente e avventuroso, dove non mancano
percorsi assai remunerativi anche per i più raffinati supergigantisti.
L
Tempo
44
A
Primavera 2010
Le Montagne Divertenti rama eccezionale: il Pizzo del Ferro
Centrale o Cima della Bondasca,
partendo dalla Val di Mello. E’ questa
un’escursione fantastica, per i luoghi
che si attraversano, per gli ampi scorci
che si possono ammirare e soprattutto
per la speciale scivolata che si sviluppa su pendii che sembrano disegnati
appositamente per essere percorsi con
gli sci.
ccorre scegliere il periodo
adatto, in genere è tra febbraio
e aprile, quando si hanno le condizioni più favorevoli e la neve è ben assestata dall’azione del sole: bisogna tener
presente che siamo in pieno versante
S e bastano un po’ di giornate limpide
e temperature miti con un buon rige-
O
lo notturno per trasformare anche le
nevi più riottose. In ogni caso è una
gita particolare che richiede un certo
impegno fisico, ma anche e soprattutto adattamento all’ambiente. Bisogna
infatti portare gli sci in spalla per una
buona ora (abbondante… dipende da
dove si comincia a trovare la neve) sul
tortuoso sentiero del Ferro, ed avere
appresso un po’ di rifornimenti per
la sera e il giorno successivo. Salire
carichi come muli, nel caldo pomeriggio di aprile lambendo gli spruzzi
della cascata del Ferro potrà sembrare
improbo, ma man mano il dislivello
sarà superato, il carico diventerà meno
stressante e aumenterà la voglia di
progredire. In base all’innevamento si
Cima della Bondasca (m 3287)
45
Valmasino
Alpinismo
L'alba sul Cavalcorto da quota 1800 (16 gennaio 2010, foto Beno).
Una volta valicato il Passo del Ferro (m 3203) e così raggiunto il Ghiacciaio della Bondasca, si ha un paesaggio incredibile sui Pizzi Gemelli, sul
Cengalo e sul Badile. La discesa può essere effettuata, con attenzione ai crepacci, pure per lo straordinario versante N: 2500 metri di dislivello.
Con molta neve si riesce a raggiungere l'abitato di Bondo con gli sci ai piedi, quindi bus e treno per tornare a casa! (7 febbraio 2010, foto Beno).
Nel vallone a SO della Cima della Bondasca (16 gennaio 2010, foto Beno).
potranno alleggerire le spalle e inforcare gli sci con le pelli fino a sentirsi a
proprio agio nella parte. Alla Baita di
quota 2000 metri, più volte distrutta
dalla valanga e più volte ricostruita,
si imporrà una sosta per osservare la
muraglia ormai in ombra del Cavalcorto: è come un grande mausoleo
pieno zeppo di storie e di memorie di
coloro che lo hanno esplorato dal lato
più impervio, ma anche di quelli che
sotto la sua parete hanno vissuto con le
greggi protetti dalla sua benevola ala.
a nostra meta è il Bivacco
Molteni Valsecchi, una scatola
di latta rossa tra i macigni al centro
della valle. Da pochi anni la struttura
originaria è stata smantellata e, al suo
posto, messa in funzione una nuova.
Dentro è come essere in una piccola
stanza di legno di un vecchio albergo
di Chamonix o di Grindenwald, quasi
con le stesse comodità. Manca solo il
wc, ma fuori c’è la più bella e ampia
L
46
Le Montagne Divertenti sala da bagno che si possa desiderare. Da quassù tutto appare diverso
e, quando ci sei, anche la fatica per
arrivarci sembra svanita. Siamo soli a
goderci questo Grand Hotel dell’altopiano. Là sotto tutto è immobile e
solo il fischio di un camoscio rompe
l’aria di cristallo, come l’arbitro di
una partita che si gioca su questo
grande campo. Stambecchi dormienti
in piedi strabuzzano l’occhio e arricciano il naso stritolando l’aria: non
si muoveranno dalla loro cementata
postura, se non al sopraggiungere
di un pericolo grave. Si trovano su
una cengia esposta a valle del Passo
Qualido, io li osservo con il binocolo
e loro mi guardano senza particolari emozioni, perché intuiscono che
non rappresento una minaccia per la
loro pelliccia. Riconosco Gustavo, un
vecchio maschio sulla quindicina, con
corna ormai lisciate dalla smeriglia del
tempo. Si è trasferito qui dal Came-
raccio, dove era nato e dove l’ho visto
per la prima volta nel lontano ’96.
l Passo del Ferro, la nostra meta
di domani è lì, dritto sopra di noi.
Una lunga lingua di neve, come una
stola cardinalizia messa in candeggina, scende a precipizio dall’insellatura verso l’immenso tappeto bianco
che copre tutto il circo dell’alta valle.
I primi che ci hanno messo piede
sono stati gli inglesi Freshfield con
un amico e la guida chamoniarda
Devouassoud, nell’estate del 1864.
Lo leggo sulle pagine ingiallite de Le
Montagne di Val Masino pubblicato
nel 1883 dal CAI Milano a firma del
nobile Francesco Lurani Cernuschi,
uno dei maggiori esploratori del gruppo tra ‘800 e ‘900. Il sottile volumetto
è una specie reliquia, è come avere tra
le mani i pensieri dell’illustre milanese
e leggere tra le pieghe dei resoconti le
sue aspirazioni, paure e soddisfazioni; le mappe e i disegni sono i primi
I
Primavera 2010
su queste montagne, ancora in parte
sconosciute. Proprio il Cernuschi fu
protagonista della prima al Pizzo del
Ferro Centrale (la nostra meta) che
intraprese, con un percorso che oggi
ci appare insolito, partendo dai Bagni
di Masino, passando dall’Alpe Brasco
ed entrando in Val del Ferro dal
Bocchetto del Cavalcorto. Raggiunse il Passo del Ferro e da lì in breve
il Ferro Centrale. Con lui, le guide
Antonio Baroni di Sussia (Valbrembana) e Giulio Fiorelli di San Martino, capostipite della dinastia di guide
ancor oggi ben rappresentata.
ccoci dunque, dopo un viaggio nel tempo, di nuovo sulla
neve dura di questo luogo alto. Saliamo con ampi zig zag fino a quando
la pendenza si fa più accentuata e ci
costringe a togliere gli sci e a infilare
i ramponi. In breve siamo al colle,
accolti dagli sbadigli del vento della
Bondasca che sembra si sia svegliato
E
Le Montagne Divertenti Gli ultimi ripidi tratti per il Passo del Ferro (16 gennaio 2010, foto Beno).
Cima della Bondasca (m 3287)
47
Valmasino
Alpinismo
Pizzo del Ferro Centrale o
Cima della Bondasca
(3287)
con il nostro arrivo. Le Sciore ancora
avvolte dalle ombre ci sono di fronte e
sotto i loro sguardi si srotola il lungo
serpente di curve che ondeggia fino ai
prati di Laret, in Val Bondasca, una
discesa per veri intenditori.
n ultimo sforzo e, aggirata
l’anticima, ci arrampichiamo
(20 metri non facili) sulla più panoramica sommità del Masino, sospesi tra
l’aria quasi mediterranea di Valtellina
e quella più mitteleuropea dell’Engadina, tra due bacini, quello dell’Adda
che fa rotta a S e quello dell’Inn, che
dal vicino passo del Maloja, ha come
destino il Mar Nero.
a discesa da quassù è grandiosa
e dopo un tratto un po’ scorbutico sotto il colle, dove è meglio non
fare passi falsi1, si lascia andare alle più
varie interpretazioni, ma tutte all’insegna della bellezza e della potenza della
natura.
oco a valle della ripida strozzatura ognuno potrà scegliere la
U
L
In alto: il tratto finale dell'ascesa alla Cima della Bondasca visto da N. In basso a sx un primo piano da E del bizzarro testone sommitale, circa
15 metri di altezza; noi lo abbiamo superato dalla faccia N (III+). In basso a dx una strana scultura rocciosa sulla cresta che unisce la Cima della
Bondasca alla sua anticima orientale (7 febbraio 2010, foto Luciano Bruseghini).
P
1 - Il ritiro dei ghiacciai negli ultimi anni impone
– dove un tempo si sciava – una breve calata con la
corda per evitare le rocce scoperte.
48
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Le Montagne Divertenti Dal cocuzzolo della Cima della Bondasca verso NO (7 febbraio 2010, foto Pascal van Duin).
propria strada: lasciar correre le assi
o tenerle a briglia corta, pennellare,
condurre, usare il compasso, oppure
disegnare le curve più pazze fino a
quando le gambe ne avranno abbastanza. Alla fine della corsa, sarà un
navigare faticoso nella neve marcia,
che a grandi palloni da calcio riem-
pie i canali di valanghe primaverili.
E ancora un po’ di camminata per
mettere i piedi ormai infuocati a
bagno nelle fresche acque della bella
pozza della Cascata del Ferro che,
persi ormai da tempo gli aguzzi
cristalli di ghiaccio, darà sollievo alle
consumate estremità.
Cima della Bondasca (m 3287)
49
Alpinismo
Luciano Bruseghini
50
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Le Montagne Divertenti Cima della Bondasca (m 3287)
51
Versante Orobico
Alpinismo
Bellezza
Il Vallone di Scais e la via di salita alla piramide del Redorta (foto Ricky Scotti).
A dx : la crestina finale per la vetta con, in secondo piano, il Rodes (m 2829) (10 gennaio 2010, foto Luciano Bruseghini).
In copertina a questo articolo: acquerello del gruppo Scais-Redorta visto del Pizzo Rodes (Kim Sommerschield, www.kimsommerschield.com).
Fatica
Pericolosità
Partenza: Vedello (m 1032)
Itinerario automobilistico: Da Sondrio si
prende la SS38 in direzione Tirano fino alla fine della
tangenziale. Poco prima del passaggio a livello si
svolta a dx e si segue la SP che unisce Montagna
Piano e Piateda fino a Busteggia. 100 metri oltre
l'ex canile si prende la stradina sulla dx che sale a
Pam per poi ricongiungersi all'arteria principale per
Piateda Alta. Dopo circa 7 km da Sondrio si è al bivio
in località Mon. Si segue sulla dx la carrozzabile che
si inoltra in Val Vedello. Si lascia l'auto nei pressi
della Centrale di Vedello (m 1000, 6 km ).
Itinerario sintetico: Vedello (m 1032) - Agneda
(m 1228) - Diga di Scais (m 1500) - Baita di Caronno
(m 1612) - Rifugio Mambretti (m 2003) - Pizzo
Redorta (m 3039)
Tempo di salita previsto: 6 ore.
Attrezzatura richiesta: attrezzatura da sci
alpinismo, ramponi, piccozza, pala, arva e sonda.
Difficoltà / dislivello: 3+ su 6 / 2007 metri.
Dettagli: BSA. L'ultima cresta è un po' esposta.
Mappe: Kompass n. 104 - Foppolo Valle Seriana 1:50000.
Nonostante il Redorta per soli 11 metri non sia la cima maggiore delle Orobie, resta
tuttavia la vetta più alta raggiungibile facilmente durante il periodo invernale. Anche la
sciata che si svolge nel vallone glaciale, se effettuata con neve adeguata, è entusiasmante.
Q
uello proposto è un itinerario abbastanza lungo, con
un dislivello di 2000 metri e uno
sviluppo di circa 12 km, spezzabile
comunque in due giorni, con pernottamento alla Capanna Mambretti.
L
a salita inizia a Vedello (m 1032)
nel comune di Piateda, dove dalla
Val Venina si stacca la Val Caronno. Per
arrivarci dall’abitato di Piateda si seguono le indicazioni per la frazione Piateda
Alta e quindi per Centrale Vedello. La
strada, fin qui asfaltata, è sempre tenuta
pulita dagli addetti alla centrale idroelettrica.
Negli anni con scarso innevamento
La Capanna Mambretti e la testata della Val Caronno (10 gennaio 2010, foto Luciano Bruseghini).
52
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Le Montagne Divertenti nel fondovalle, si può imboccare la pista
sterrata che sfocia oltre il paese di Agneda (m 1228), al termine di un lungo
pianoro, proprio dove si trova sempre,
anche a inizio stagione, la slavina che
dalla Motta di Scais scende verso valle.
Da Vedello, seguendo il tracciato
della rotabile, si sale lungo la sponda sx
idrografica del torrente Caronno e con
vari tornanti si guadagna quota fino
a raggiungere Agneda (m 1228 ore
0:30). Un tempo abitato tutto l’anno,
oggi questo paesino viene frequentato
solo nei mesi estivi o durante i week
end da poche persone.
Lasciate le case alle spalle inizia un
tratto pianeggiante, abbastanza noioso
soprattutto nella discesa, che porta alla
slavina. Quest'anno è particolarmente
abbondante e per superarla bisogna
compiere alcuni slalom tra i blocchi
ghiacciati.
Qui la strada si fa più stretta e ripida e sale con rapide svolte in direzione del muro della diga di Scais. Poco
prima di raggiungere lo sbarramento si
imbocca il sentiero a sx e si attraversa
su un ponticello (Ponte della Padella)
il torrente Caronno. Il tracciato ora si
sviluppa in un fitto bosco di abeti, dove
la neve ogni tanto scarseggia. Si arriva
alla Diga di Scais, nei pressi della casa
Pizzo Redorta (m 3039)
53
Alpinismo
dei guardiani (m 1500 ore 0:45)1.
Si costeggia il lago, ghiacciato quasi
completamente, facendo attenzione
alle piccole slavine che di tanto in tanto
ostruiscono la via.
Raggiunte le case di Scais, in fondo
alla diga, il cammino si fa di nuovo erto
per vincere un piccolo dosso boschivo; servono alcune manovre tecniche a
causa del sentiero costretto fra le rocce.
In breve si raggiunge l'Alpe Caronno
(m 1612, ore 0:45), dove si trova una
baita isolata in mezzo a un grande pascolo. Da qui si hanno due opzioni di salita.
prendendo a sx si affronta un
lungo pendio privo di alberi
e abbastanza ripido. La mancanza di
grossi alberi è indice che di tanto in
tanto scendono a valle delle valanghe.
Improvvisamente al di là di un piccolo dosso appaiono la parte alta della
vallata e il tetto rosso della Capanna
Mambretti (m 2003, ore 1)2.
In lontananza verso E si intravede il
vallone di Scais, ma la cima del Redorta
ancora non si scorge, nascosta dall'imponente mole del Pizzo Brunone.
A sx del vallone di Scais c'è quello di
Porola, sede del ghiacciaio di Porola, un
tempo possente e crepacciata vedretta, simbolo del glacialismo orobico, e
oggi in costante e inesorabile ritiro. Nel
giugno 2009 una grossa frana scesa dalla
Cima del Lupo ha ricoperto il ghiacciaio con un consistente strato detritico,
dando quasi l'impressione che questo si
sia diviso in due longitudinalmente.
Si compie un lungo traverso a mezza
costa su ripidi pendii, fino a raggiungere il punto di confluenza tra il Vallone
di Scais e quello di Porola (m 2200, ore
0:45). Questo passaggio va affrontato
solamente con neve sicura, altrimenti
bisogna utilizzare l’altro itinerario al
bivio presso la Baita Caronno.
dalla Baita di Caronno si attraversa il torrente (dx), continuando nel fondovalle, prima lungo un
tratto pianeggiante, con slalom tra alberi e piccoli arbusti, poi con una breve
rampa fra alberi e grossi massi fino a
toccare il limitare del bosco. Costeggiando il corso d'acqua, si lascia sulla dx
la traccia che si inerpica verso il vallo-
I:
ne a SO del Pizzo Brunone e si punta
al canalone (NE) in corrispondenza
grande salto roccioso che si vede in
lontananza a sx. Il pendio è abbastanza
ripido e non molto largo, ma con parecchie diagonali anche questa difficoltà
viene superata.
ra il tracciato si fa meno impegnativo, anche se non concede
momenti di relax, e punta diritto all'imbocco del Vallone di Scais, dove si ricongiunge con il percorso che passa dalla
Mambretti (m 2200, ore 1:45).
Il primo tratto del vallone, incassato
tra la Cresta Corti alla Punta di Scais e il
Pizzo Brunone, non ha pendenze eccessive, me è spesso freddo e ombroso.
La fatica comincia a farsi sentire, ma
la piramide del Redorta è ora visibile
sullo sfondo, con i raggi del sole che ne
illuminano la cima, facendola sembrare
una corona in testa al suo re.
Nel tratto finale della Vedretta di
Scais, a circa m 2700, c'è un'impennata, detta "schiena di mulo". Un
tempo, prima del ritiro del ghiacciaio,
era molto crepacciata nel periodo estivo. Oggi veste il suo mantello invernale
ed è liscia e immacolata. Utilizzando le
energie residue si esce sul pendio superiore del ghiacciaio e si punta a sx verso
l'evidente Bocchetta di Scais (m 2905
ore 1:15), incastonata tra il Redorta e
un'anticima della Punta di Scais detta
"Fetta di Polenta".
Adesso bisogna prestare molta attenzione se si vuole guardare oltre: c'è un
precipizio verso la Val di Coca e un
ruzzolone da qui sarebbe tragico. Di
rimpetto troneggia con l'aspro versan-
O
te SO il Pizzo di Coca (m 3050), vero
dominatore delle Orobie.
Tornati sui propri passi si raggiunge la
parte bassa del canale che solca la faccia
O del Redorta. Lasciati gli sci, si sale
senza troppa difficoltà per circa cento
metri fino a toccare la cresta sommitale.
Proseguendo verso dx la lama si fa pian
piano più affilata e in breve si raggiunge
la croce di vetta del Redorta (m 3039,
ore 0:45), dove si ha la meritata ricompensa per la fatica sopportata.
Se il manto nevoso lo consente, è
possibile portare gli sci fin quasi in
vetta e poi ridiscendere con gli attrezzi
ai piedi (opzione riservata solamente a
ottimi sciatori).
In cima, nei pressi della piccola croce,
lo spazio è molto limitato: uno stretto
pianerottolo dove cinque o sei sciatori
ci stanno stretti.
Il panorama è di ampio respiro: verso
N la corona del Bernina, a NE in primo
piano il Pizzo di Coca e a N la Punta di
Scais, uniche altre vette delle Orobie a
superare i 3000 metri. A E e O seguita
la catena orobica con una quantità disorientante di picchi e vallate. Anche verso
S la vista è interessante, soprattutto se si
capita in vetta durante una giornata con
nuvole basse o nebbia asfissiante sulla
pianura padana: un'immensa coperta
grigiastra copre tutto e scompare verso
l'orizzonte, lasciando affiorare solamente le cime più alte, come isolette in un
gelido mare.
La discesa avviene lungo l'itinerario
di salita ed è motivo di soddisfazione
per chi ha reso omaggio da vicino al “Re
delle Orobie”.
Il Sentiero del
Viandante
da Dervio a Colico
Riccardo Ghislanzoni
II:
L’ultima tappa del Sentiero del Viandante ci accompagna lungo
la sponda orientale del Lago di Como fino alle porte di Valtellina,
attraverso un percorso ricco di storia e con panorami spettacolari.
1 - Questo è anche un punto di chiamata del soccorso alpino (i cellulari non sempre ricevono correttamente il segnale).
2 - 25 posti letto. Per il ritiro delle chiavi rivolgersi al
CAI Valtellinese 0342/214300.
54
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Panorama
sopraDivertenti
Dorio e verso
Le
Montagne
Olgiasca (2 dicembre 2009, foto Enrico Minotti).
Da Dervio a Colico
55
Porte di Valtellina
Escursionismo
Verso Corenno Plinio (2 dicembre 2009, foto Enrico Minotti).
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: Dervio (m 217).
Itinerario automobilistico: da Lecco
seguiamo la SS 36 e, dopo circa 27 km, prendiamo
l’uscita di Dervio. Raggiungiamo la piazza della
stazione dove possiamo parcheggiare l’auto. La
scelta più conveniente, anche in vista del rientro, è
quella di utilizzare il treno per gli spostamenti.
Itinerario
Dervio (m 217) – Corenno Plinio (m 229) –
Posallo (m 460) – Colico (m 227).
Tempo
-
sintetico:
di percorrenza: 5 ore.
D
alla piazza della stazione
risaliamo Piazza Cavour in
direzione del dosso del Castello, che
raggiungiamo grazie a una bella gradinata fra alte mura di cinta. Il borgo
di Castello è rimasto immutato nel
suo aspetto medievale: tortuosi viottoli, rustici portoni in legno, muri
in pietra e numerose nicchie dove
troviamo fresche fonti d’acqua. L’antico castello guardava dall’alto dello
sperone roccioso l’accesso alla Val
Varrone, un tempo luogo produttivo
di prim’ordine sopra la precipite forra
in cui rumoreggia il Torrente Varrone.
Lasciato l’abitato di Castello passando dal lavatoio, torniamo sulla strada
asfaltata. Prendiamo il sottopasso della
strada per Vestreno e proseguiamo per
Via al Monastero, attraverso i Prati di
56
Le Montagne Divertenti Attrezzatura richiesta: Difficoltà: 1 su 6.
Dislivello in salita: 600 metri.
Dettagli: T. facile e panoramica escursione tra
lago e monti.
Carte: Kompass 1:50 000, foglio n. 105,
Lecco – Valle Brembana.
Alcune informazioni sono tratte dalla guida Il
Sentiero del Viandante, Albano Marcarini, LYASIS
Edizioni (sito www.vasentiero.it).
Chiari. II percorso continua pianeggiante e sulla sx appare il complesso
rustico che costituiva il Monastero
di Santa Clemente degli Umiliati. Si
narra che l’Imperatore di Germania
Enrico II, verso l’inizio dell’XI secolo, nella lunga lotta con i lombardi
avesse fatto prigionieri parecchi nobili
milanesi e comaschi, poi condotti
oltr’alpe in qualità di ostaggi. Persi
in quelle terre a loro straniere essi
decisero di pentirsi, gettare le loro
ricchezze e indossare umili abiti per
dedicarsi alla produzione della lana.
L’imperatore, commosso da tale gesto,
avrebbe detto loro un giorno: “Eccovi
finalmente umiliati!”, rimandandoli
liberi in patria. Da quel momento, in tutta l’Italia settentrionale si
diffuse un nuovo ordine monastico,
detto appunto degli Umiliati, dedito
in tutta povertà al lavoro artigianale.
Ebbero una “casa” anche a Dervio,
una delle ventidue presenti nel Comasco, che fu dimora e laboratorio.
L’Ordine degli Umiliati fu soppresso
da papa Pio V nel 1571 perché accusato di aver accumulato con la loro
attività ingenti ricchezze che ne avrebbero corrotto gli ideali iniziali.
assato il monastero, proseguiamo su fondo sterrato e poi
sull’originario acciottolato. Superiamo una leggera soglia e poi scendiamo a Corenno Plinio (m 229, ore
0:45), pittoresco nucleo a lago, stretto
attorno al suo castello, eretto tra il
1363 e il 1370. Questo è un esempio
di castello-recinto, ossia un ricovero
temporaneo della popolazione in caso
P
Primavera 2010
di pericolo, con funzioni analoghe a
quelle del Castello di Vezio. Accanto
al castello, dove i cipressi contrastano
le fredde muraglie, troviamo la Chiesa
di San Tommaso da Canterbury, che
contiene antichi affreschi dal Trecento al Cinquecento. Sulla piazza ci
sono dei rari esempi di scultura gotica
rappresentati dalle tre arche funerarie
in marmo della famiglia Andreani.
opo un tratto di strada asfaltata e, nei pressi di un ristorante, riprendiamo il percorso pedonale
transitando accanto a una cappella
decorata con una crocifissione. Rimanendo sempre in costa, seguiamo la
mulattiera attraverso la Cascina del
Guasto e gli abitati di Torchiedo e
di Panico. Raggiungiamo la chiesa
di San Giorgio, antica parrocchiale
D
Le Montagne Divertenti di Dorio, già esistente nel 1412. La
parete sx dell’interno ha un grande affresco del 1492 che raffigura la
Madonna e i Santi e un fulgido San
Giorgio, vittorioso sul drago.
ltre la chiesa, arriviamo a
Mondonico, antico nucleo di
case costruite con la grezza pietra locale e ora abbandonato. Qui inizia la
salita nel castagneto che conduce alla
Cappella di San Rocco e alla soglia
che divide dalla costiera di Colico.
Questo è uno dei tratti più spettacolari che segue una mulattiera
realizzata con le tecniche tipiche di
un secolo fa. La strada sale regolare
con stretti tornanti fino ad arrivare alla piccola Chiesa di San Rocco
(m 498, ore 0:30), posta su un
poggio molto panoramico. Dietro alla
O
chiesa, troviamo un’area per una sosta
e una sorgente d’acqua freschissima.
Durante la salita notiamo anche un
cambio della tipologia di roccia: non
più calcare, ma bensì pietra scistosa e
vene di anfiboliti. Pure la vegetazione cambia: ecco la ginestra, l’erica e
arbusti che amano l’intensa insolazione di questo versante.
Un tratto di salita ed ecco la soglia
del contrafforte che divide la costa
di Dorio da quella che si affaccia sul
Laghetto di Piona. Il sentiero solca
la nuda roccia lavorata dai ghiacciai
quaternari e attraversa boschi di castagni, betulle e faggi. Accanto al sentiero di tanto in tanto degli strani cippi
numerati indicano i lotti in cui un
tempo era ripartito il bosco da legna.
Proseguiamo attraverso l’ombrosa Valle Rossello e transitiamo per
una scalinata di pietra. Raggiungiamo la luminosa radura circondata
dai castagni secolari nei pressi del
Monte Perdonasco, uno dei tanti
insediamenti stagionali sulle pendici
del Monte Legnone, dove in passato
si veniva a far provvista di legna e di
castagne. Oltre la Valle di Noh e il
Monte Sparse, arriviamo all’isolata
Chiesa della Madonna dei Monti.
Qui imbocchiamo la strada sterrata
che ci porta a Posallo (m 460, ore
1:45), dove troviamo un accogliente
punto di ristoro con un’ottima visuale
sul Monte Legnone.
A Posallo parte anche il sentiero
denominato Dorsale Orobica Lecchese (DOL), lungo circa 80 km e con
diverse varianti, percorribile in più
giorni, che termina a Valcava, transitando per gli alpeggi di Premana, i
Piani di Bobbio, i Piani di Artavaggio,
la Culmine di San Pietro, la Culmine
di Palio e il Monte Tesoro.
A Posallo, per la strada asfaltata, si
giunge a Borgonuovo e Corte, frazioni
di Colico, e alla stazione ferroviaria di
Piona. Seguendo le indicazioni facilmente si può visitare anche la famosa
Abbazia di Piona.
iprendiamo il cammino lungo
la carrozzabile e poco dopo
la abbandoniamo, passando su una
passerella il torrente Perlino e, per una
mulattiera, saliamo all’antica Chiesa
di San Rocco, con affreschi del XIV
secolo.
Passiamo quindi nei pressi di
R
Da Dervio a Colico
57
Porte di Valtellina
Escursionismo
T
un’azienda agrituristica e imbocchiamo la strada asfaltata. Man mano si
apre la visuale sulla piana di Colico.
Poco dopo raggiungiamo l’ampio
greto del torrente Inganna, all’Acqua
de La Fevra, conca acquitrinosa a
monte dei Molini con delle cascine
ammodernate.
Da qui, se seguissimo a sx la strada,
perverremmo a Villatico e, transitando per Campione e Pontée, alla Chiesa di San Giorgio e a Colico.
l nostro sentiero prosegue invece
verso Robustello e attraversa la
frazione di Chiaro lungo un’ampia
mulattiera selciata.
Oltre i vigneti di Chiarello e un
paio di fonti e passiamo sotto la SS36,
fino alle case di Curcio. Continuiamo nella stessa direzione (Via Strada
Granda) e, all’incrocio con Via Basett,
pieghiamo a dx e imbocchiamo il
sovrappasso della SS36 che finalmente abbandoniamo alle nostre spalle.
L
asciamo a dx l’accesso a Ca’
Biasett e continuiamo su sterrato in direzione della Torretta.
orniamo sul selciato di quella che era la più antica via di
comunicazione con la Valtellina, la
Scalotta o Scalottola, che ha preso
questo denominazione per via delle
rampe gradinate tagliate nella roccia.
Saliamo fino a oltrepassare il confine tra la provincia di Lecco e quella di
Sondrio. Poi il sentiero scende verso
valle. Abbandoniamo la strada che si
abbassa verso Piantedo e seguiamo il
cartello che ci fa deviare a sx. Per un
sentiero a ripide svolte, raggiungiamo
in pochi minuti il Santuario della
Madonna di Val Pozzo (m 227,
ore 2), grande chiesa ottocentesca con
un massiccio campanile e un monumento che ricorda i caduti e in particolare i martiri della Resistenza, che in
questa zona visse significativi episodi.
Dalla chiesa, la mulattiera scende verso la strada asfaltata. Da qui
possiamo raggiungere a piedi la
stazione ferroviaria di Colico distante
circa 3 km: seguiamo a sx la Via Colico, la Via al Confine (sottopasso della
SS36), Via Nazionale Nord e Via
Nazionale.
Altrimenti possiamo andare in direzione Piantedo, verso dx e, dopo circa
500 m, incrociamo la Strada Provinciale e la fermata più vicina dell’autobus (linea Morbegno – Delebio
– Colico).
Dalla stazione ferroviaria di Colico
facciamo comodamente ritorno in
treno a Dervio.
Le Montagne Divertenti L'Abbazia di Piona vista dalla vetta del Legnone (25 luglio 2007, foto Ricky Scotti).
L
’Abbazia di Piona sorge ai piedi del monte
Legnone, sulla collina di Olgiasca, a due passi
dalla riva del Lago di Como nel comune di Colico.
Le prime fonti che attestano la presenza in questo
territorio di una comunità monastica risalgono al
VII secolo. Sono stati trovati documenti del XII
secolo che dimostrano la vitalità anche economica
dell’Abbazia di Piona a quei tempi.
ntrando nell’Abbazia possiamo visitare la
chiesa, il chiostro, la sala capitolare e l’edificio
che ospita i prodotti dei monaci di Piona. La
chiesa, rivolta ad oriente, è lunga 27 m, larga 8 m
e alta 9 m, costruita su navata unica. Gli affreschi
del catino absidale, di epoca ignota, sono stati
riportati alla luce nel 1906 e anche la volta del
presbiterio e l’arco trasversale sono affrescati con
scene dell’ascensione del Cristo in cielo e degli
apostoli.
l chiostro, a forma quadrangolare, è il punto di
riferimento di tutta l’abbazia di Piona. Il chiostro
è un luogo di meditazione e di silenzio, la sua
struttura evoca la forza simbolica del numero
quattro: i quattro elementi dell’universo, i quattro
punti cardinali. Il chiostro fu fatto costruire dal
priore Bonaccorso de Canova tra il 1252 e il 1257.
E
I
58
L'Abbazia di Piona
I
L
a sala capitolare è il luogo d’incontro e di lettura
dei monaci, dove eleggono, con votazione
segreta, il superiore, discutono i problemi e
ammettono postulanti al noviziato. Le panche e
le spalliere di legno provengono dalla sagrestia di
San Zeno a Verona.
Nell’edificio adibito alla vendita dei prodotti dei
monaci possiamo trovare erbe medicinali, creme
cosmetiche, miele e i famosi liquori sapientemente
distillati secondo le più antiche tradizioni, tutti
prodotti naturali creati dai monaci.
n consiglio? Acquistate le “Gocce Imperiali”.
Sono un distillato d’erbe prodotte dai
monaci secondo un’antica ricetta, probabilmente
inventata da un frate di nome Eutimio tra la fine
del 1700 e gli inizi del 1800. Digestivo, cordiale,
energetico, dissetante, correttivo di bevande,
calma il dolore di denti e disinfetta la bocca.
L’uso esterno ha proprietà antireumatiche e
antiartritiche. Le “gocce” hanno una gradazione
alcolica di 90° e un gusto di anice. Ingredienti:
alcol, acqua, erbe, aromi naturali e zafferano, che
conferisce il colore giallo che le contraddistingue.
U
Il Laghetto di Piona (2 dicembre 2009, foto Enrico Minotti).
Primavera 2010
Le Montagne Divertenti Da Dervio a Colico
59
Lo Sbarramento
Escursionismo
del Poschiavino
Un potente insieme di fortificazioni, opere e strutture militari eretto nel periodo antecedente e durante la Grande Guerra - a
sbarramento di possibili invasioni da nord attraverso la Valle di
Eliana e Nemo Canetta
Poschiavo.
Tirano
I
n questi ultimi tempi si parla
parecchio dei Forti valtellinesi e
anche quello di Tirano, il più danneggiato e dimenticato, inizia ad avere
i suoi giusti riconoscimenti. Forse
anche grazie ai lavori di ricerca e di
pulizia voluti dall’attuale amministrazione comunale, dal Museo Tiranese e
dalla Sezione ANA locale.
Non bisogna, però, pensare ai Forti
di Colico, Tirano e Oga come a strutture isolate nel loro territorio. Questi,
infatti, rispondevano a esigenze diverse e quindi necessitavano di una serie
di opere distaccate, atte a migliorare la
difesa delle aree loro assegnate.
Perché il nostro esercito
decise di costruire questi
tre forti?
Per rispondere a questa domanda,
bisogna tornare indietro sino agli anni
immediatamente successivi all’Unità
d'Italia. In quel periodo, tutti gli stati
-ma proprio tutti- ritenevano che,
per difendere le frontiere, fosse indispensabile erigere forti e opere tali da
sbarrare ogni possibile via d’invasione.
L’Italia, fresca d’Unità, si trovò a dover
provvedere a tutto il confine alpino,
oltre naturalmente ai suoi 3000 e rotti
chilometri di coste. Probabilmente,
paesi ben più ricchi del nostro si sarebbero trovati in difficoltà; figuriamoci
Roma le cui casse erano perennemente
in crisi!
Fu quindi necessario fare delle scelte
e le poche risorse vennero impiegate
per contenere eventuali invasioni dalla
Francia che in quegli anni era considerata un po’ da tutti il probabile avversario. Ecco che sulle Alpi occidentali,
ove i Savoia già avevano conteso ai
nostri cugini d’oltralpe per secoli il
passaggio, si rimodernarono i forti già
esistenti, se ne eressero di nuovi, si
costruirono caserme, strade e tutto
quanto si ritenne necessario. Perfino
il Corpo degli Alpini, da poco costituito, fu in gran parte concentrato ad
occidente.
In Valtellina ci si contentò di sistemare un paio di Battaglioni Alpini.
In quegli anni l’Italia era alleata con
Austria e Germania, la famosa Triplice
Alleanza, e quindi da N ci si riteneva
abbastanza al sicuro. Ben presto tutto
cambiò e se da un lato i rapporti con
Santa Perpetua (5 gennaio
2010, foto Canetta).
60
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Le Montagne Divertenti la Francia migliorarono, peggiorarono quelli con l’Austria, specie sotto
la spinta dell’Irredentismo che richiedeva sempre più ad alta voce Trento
e Trieste. Fu allora che la necessità di
fortificare la Valtellina si fece maggiormente sentire.
Si aveva forse paura
che Berna puntasse a
riacquistare le Valli
dell’Adda e della Mera
che in fondo le erano
state tolte da pochi
decenni?
N
on era questo il punto; in realtà si temeva che, violando la
neutralità elvetica, gli austriaci attraverso l’Engadina aggirassero le difese
dello Stelvio e puntassero su Tirano,
per la Valle di Poschiavo, e su Chiavenna, per la Val Bregaglia.
I potenti cannoni del Forte Canali,
questo era il nome in genere utilizzato per indicare il Forte di Tirano,
avrebbero avuto la possibilità di colpire la Valle di Poschiavo sin nei pressi
dell’omonima cittadina. Quei quattro
cannoni, però, non erano ritenuti
sufficienti. Si decise allora, in modo
simile a quanto effettuato nei pressi
del Forte di Colico e di quello di Oga,
L’ interno di Santa Perpetua, con gli antichissimi affreschi (16 gennaio 2010, foto Canetta).
L’ arrivo della ferrovia (una delle prime a trazione elettrica) aveva fatto di Tirano un
importante centro economico e turistico (vecchia cartolina - archivio Museo Tiranese).
Lo Sbarramento del Poschiavino
61
Escursionismo
Tirano
di rafforzare le artiglierie con postazioni a Trivigno e sui pendii di Ronco
e Corradini. In tal modo le forze
italiane avrebbero potuto concentrare un notevole volume di fuoco in
direzione dello sbocco della Valle di
Poschiavo. Chiunque abbia un po’ di
conoscenza delle artiglierie moderne
sa, però, che, per guidarne il tiro a
notevole distanza, sono necessari degli
osservatori. Oggi abbiamo a disposizione elicotteri, aerei e persino satelliti. Inutile dire che prima della Grande
Guerra non si parlava nemmeno di
simili diavolerie della tecnica. L’osservazione veniva effettuata da ufficiali e
sottoufficiali che, per telefono, comunicavano al Forte e alle altre batterie
come modificare il tiro. Potrebbe
sembrare un procedimento farraginoso ma, con uomini allenati e ben
addestrati, il tutto funzionava bene e
celermente. Ecco allora la necessità di
avere degli osservatori il più possibile
vicino alla frontiera. Da uno schema
trovato nei polverosi archivi romani,
si può dedurre che, verso la Svizzera,
furono scelte le caserme della Guardia
di Finanza di Lughina e del Sasso del
Gallo. Altri osservatori erano situati
in posizioni tali che le artiglierie nelle
cupole del Forte potessero battere
pure il fondovalle tellino verso Grosio
e Teglio.
In quegli anni i Finanzieri non
erano impiegati, come oggigiorno, per
verificare bolle di spedizione e pagamenti dell’IVA, ma costituivano, sin
dai tempi di pace, una vera e propria
forza, ben armata ed addestrata, che
controllava capillarmente i confini.
Certamente si impegnavano per
reprimere il contrabbando, ma nondi-
meno sorvegliavano le frontiere e,
nei momenti critici, intercettavano
i malintenzionati (al tempo non si
parlava di terroristi). Questo spiega perché, tutto attorno al cuneo di
Poschiavo, troviamo ancor oggi delle
massicce caserme della Finanza: in Val
Fontana, a Lughina, sopra Baruffini,
a Schiazzera e in Val Grosina. Caserme ben più grandi ed importanti
della semplice necessità di ospitare in
tempo di pace poche Guardie.
Naturalmente gli osservatori andavano difesi; ecco allora che, sin dal
tempo di pace, furono redatti dei
piani (oggi depositati presso gli archivi romani e di cui il Museo Tiranese
è entrato recentemente in possesso)
per tracciare tutta una serie di difese
campali: trincee, reticolati e mulattiere. Inizialmente si pensò di fortificare Lughina, lo sbocco della valle e le
pendici del Masuccio, poi con la guerra tali fortificazioni speditive assunsero un’importanza sempre maggiore.
Non ci si deve far
ingannare dall’aspetto
tranquillo che aveva
all’epoca Tirano.
Qui giungeva da Milano la ferrovia
e di conseguenza, quando dallo Stelvio al Gavia si iniziò a combattere, a
Tirano giungevano tutti i rifornimenti, i materiali e gli uomini da indirizzare in alta Valtellina. In poche parole
il pacifico capoluogo del Terziere di
Sopra tornò ad essere, come in tempi
lontani, un centro strategico di prima
importanza e soprattutto la base logistica della difesa di tutta l’alta valle
dell’Adda.
Sarebbe qui troppo lungo elencare
le opere di difesa tracciate da Teglio
alla Val Grosina, nonché sulle morbide costiere tra Aprica e Mortirolo,
ma basta dare un’occhiata alle carte
dell’epoca per rendersi conto che fu
un’opera ciclopica che si interruppe soltanto nel novembre del 1918,
quando le nostre forze, caso unico
sul fronte italo-austriaco, forzando le
difese allo Stelvio e in alta Valfurva,
discesero in Val Martello sino a Prato
allo Stelvio, occupando quindi un
lembo di quell’Alto Adige che poi ci
saremmo fatti assegnare con la pace.
Persino sul ripiano
di Santa Perpetua,
fu sistemata una
postazione antiaerea.
In realtà la Valtellina ebbe a lamentare, in tutto e per tutto, solo una
singola bomba su Sondrio, sganciata
da un aereo imperial-regio nel 1916.
Pochi i danni: cadde nel giardino
dell’arciprete e uniche vittime furono
alcune galline. Sfidare la fortuna, ad
ogni modo, poteva essere pericoloso,
tanto più a Tirano, zeppo di depositi
e di strutture logistiche, e nelle vicine
centrali idroelettriche che fornivano
già allora energia a Milano.
Dai pressi dell’antichissimo xenodochio si fece buona guardia sul cielo
tiranese; per fortuna senza sparare un
colpo come, altrettanto per buona
sorte di tutti, mai i cannoni del Forte
di Tirano inviarono le loro granate su
Poschiavo.
Una nuova guida: Tirano da scoprire
ER
P
L
dita dal Museo Etnografico Tiranese e fresca di stampa è la nuova guida ai beni
culturali e ambientali del territoreio di Tirano.
ealizzato da Mauro Rovaris con Eliana e Nemo Canetta, questo volume
si offre come strumento prezioso per chi vuole conoscere e visitare
Tirano e dintorni.
asseggiate alla scoperta di storia, ambiente, luoghi, musei e leggende, ma
anche ricette gastronomiche, consigli sui vini e i luoghi dove soggiornare o
semplicemente saziare i propri stomaci dopo una lunga camminata.
a potete trovate nelle librerie di Sondrio e Tirano, oppure presso il
Museo Tiranese.
Il prezzo? Soli 10 euro.
62
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Bellezza
Partenza: Tirano (m 439).
Itinerario sintetico:
Fatica
Santa Perpetua (verde): Madonna di Tirano
(m 439) - Chiesa di Santa Perpetua (m 546) - strada
del Bernina - Rasica - Madonna di Tirano [ore 1:30].
Pericolosità
Lughina (giallo): Madonna di Tirano (m 439) Ronco - San Sebastiano (m 535) - Novaglia
(m 880) - Ramaione (m 1109) - Lughina (1464) Madonna di Tirano per la via dell'andata [ore 4:30].
-
Sasso del Gallo (rosso): Roncaiola (m 800) - Bedolle
- Caserma del Sasso del Gallo (m 1239) - Piazzo
(m 928) - Baruffini (m 729) - Roncaiola [ore 3].
-
Santa Perpetua
D
al piazzale del Santuario della
Madonna di Tirano (m 439),
ci si porta al vicino parcheggio situato lungo le rive del Poschiavino, che
si valica grazie ad un caratteristico
ponte di legno. Sull’opposto versante
si risale tra le vigne, lungo un sentiero
già dominato dalla rupe dove si trova
la chiesetta di Santa Perpetua. In tal
modo si giunge a poche decine di
metri dall’edificio sacro (m 546), che
è, assieme ad alcune strutture vicine,
quanto resta di un antichissimo xenodochio (ovvero un ospizio per viandanti) sulla strada del Bernina. Non
fu l’unico: in territorio elvetico vi era
Le Montagne Divertenti Attrezzatura richiesta: Difficoltà: rispettivamente 0, 2 e 1 su 6.
Dislivello in salita: rispettivamente 107 m,
1025 m e 439 m.
Dettagli: T/E .
Per approfondimenti:
•
Eliana e Nemo Canetta, Antichi percorsi del
Terziere di Sopra, Casa Editrice Stefanoni,
Lecco 2006
•
Eliana e Nemo Canetta, Storia della Grande
Guerra in Valtellina e Valchiavenna, Edizioni
Libreria Militare, Milano 2008
quello di San Remigio e un altro (oggi
non più esistente), invece, era localizzato nei pianori dell’Aprica. Non
sappiamo quando la chiesetta fu edificata, quel che è certo è che già esisteva
nel XII secolo. Dalla finestrella del
massiccio portone di acceso (purtroppo sempre chiuso), gettando lo sguardo all’interno, si possono scorgere gli
affreschi dell’abside, di età incerta, ma
considerati tra i più antichi in assoluto della Valtellina. La chiesetta è sita
su una sorta di terrazzo naturale che
domina tutta la conca tiranese.
E’ pure possibile osservare, sull’opposto versante dell’Adda, la città
vecchia, ancor oggi in parte racchiusa
dalle mura, e il sovrastante colle di
Dosso, che si ritiene il nucleo originario fortificato del capoluogo del
Terziere di Sopra.
Da Santa Perpetua val la pena di
continuare, addentrandosi lungo la
Valle di Poschiavo, lungo l’antica
mulattiera che va ad incrociare l’attuale carrozzabile del Bernina, sotto
le rupi di Lughina e Ramaione, un
chilometro a valle di Piattamala, dove
si trova la frontiera italo-svizzera. Valicato nuovamente il Poschiavino, invece di utilizzare la strada principale, è
consigliabile tornare verso Madonna,
traversando il nucleo di Rasica, un
tempo completamente distaccato e
sede di segherie.
Ore 1.30; turistico.
Lo Sbarramento del Poschiavino
63
Tirano
Escursionismo
Lughina
D
a Madonna di Tirano occorre valicare il Poschiavino e,
subito dopo la centrale idroelettrica,
prendere a dx seguendo le indicazioni
per Lughina. Si giunge così, in ripida
salita, al bivio di quota 509 dove è il
primo dei tabelloni posti dal Consorzio Val Maggiore (confine italo-svizzero) per illustrare l’importanza storica
di Lughina e dei borghi circostanti.
Lasciato a dx il tracciato che in breve
porta a Santa Perpetua, si prende a O
sino a Ronco, cui segue una ripida
serie di tornanti. Superato San Sebastiano (m 535), ecco un nuovo bivio
con un altro pannello. Continuando a
mezza costa si è a Novaglia (m 880),
minuscolo nucleo su un panoramico
terrazzo, dove conviene parcheggiare. Spostandosi un poco sul pianoro
è possibile godere di un panorama
ampio e spettacolare su gran parte
della Valtellina medio superiore,
nonché sullo sbocco della Valle di
Poschiavo. Ovviamente l’insieme di
creste e di colli circostanti aveva grande importanza per la difesa della sottostante cittadina. Per contro il Forte di
Tirano, che sta quasi di fronte a Novaglia sulle pendici boscose del Monte
Padrio, è completamente mimetizzato. Passando nei pressi di un vecchio
edificio con bella santella, continuiamo su una stradetta che prende quota
nel bosco e che permette di evitare
l’ultimo tratto asfaltato della carrozzabile, costruita dal nostro Genio
militare durante la Grande Guerra.
In tal modo si giunge a Ramaione
(m 1109), da dove è possibile continuare ancora lungo la mulattiera.
Seguendola si lascia a sx il tracciato
segnalato del Sentiero del Sole, che
conduce a mezza costa tra ripide vallette
boscose in direzione di Prato Valentino.
Un’ultima rampa e si è al parcheggio,
dove l’ultimo pannello dell’itinerario
culturale illustra la conca di Lughina
(m 1464).
iamo nei pressi del piccolo
altopiano, caratterizzato da
due dossi. Il primo, con una galleria militare sottostante, regge i resti
della caserma di Finanza; il secondo,
a picco sulla Valle di Poschiavo, è
intersecato da alcuni crepacci naturali come pure da notevoli resti di
S
64
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Le Montagne Divertenti Il borgo di Roncaiola a m 800 (10 ottobre 2008, foto Franco Benetti).
trincee. Il percorso ad anello realizzato dai volontari del Consorzio
permette di accedere ai punti più
interessanti delle difese di Lughina.
Volendo, in pochi metri si può arrivare a valicare la frontiera italo-elvetica,
per continuare poi lungo un sentiero
segnalato che porta in Val Saiento.
Ore 3-4 secondo i percorsi e i tempi
di osservazione; turistico se si resta
sulla strada, altrimenti in parte escursionistico.
Sasso del Gallo e Sentiero del
contrabbando e della memoria
I
l versante sud-occidentale del
Monte Masuccio è intersecato da
numerosi tracciati che per decenni sono
stati utilizzati dai contrabbandieri.
Lungo alcuni di questi, l’ANFI di Tirano ha inaugurato nel 2007 il Sentiero
del contrabbando e della memoria.
Durante la Grande Guerra questi
percorsi, di transito relativamente facile,
erano assai controllati anche per evitare
passaggio di informatori avversari.
a Tirano si sale in auto verso
Baruffini; al bivio di quota
700 circa si prende a sx per Roncaiola
(m 800), nei cui pressi si parcheggia. Il caratteristico villaggio è situato a picco sopra il capoluogo e offre
una spettacolare visione su tutta la
conca di Tirano e i monti circostan-
D
ti. Seguendo le segnaletiche si procede lungo un tratturo fino a Bedolle.
Lasciati a sx tracciati che scendono a
Rasica, si risale da ultimo abbastanza
ripidamente sin nei pressi della Caserma del Sasso del Gallo (m 1239).
Il vasto edificio, eretto sulle pendici
dell’omonimo immane roccione a
picco sulla valle a quota 1239, era uno
dei punti di controllo più importanti
lungo i transiti tra Tirano e Poschiavo. Di qui, infatti, passava l’antichissima mulattiera che, entrata in
territorio elvetico, portava a Viano e
di lì a San Romerio. La caserma era
anche uno dei punti di osservazione
principale per guidare i tiri del Forte
di Tirano e delle altre artiglierie dello
Sbarramento del Poschiavino, verso
un avversario proveniente dal Bernina. La caserma, purtroppo, è oggi in
stato di deplorevole abbandono, cui
vorrebbe porre rimedio l’ANFI tiranese, realizzandovi un punto di sosta e
una mostra sull’attività di finanzieri e
contrabbandieri.
Al ritorno vale la pena, invece, di
puntare su Roncaiola, di tenersi a
mezza costa lungo la vecchia mulattiera che gradatamente scende a
Piazzo (m 928), trasformandosi poi
in stradetta che conduce a Baruffini
(m 792), da dove si segue la strada asfaltata fino a Roncaiola.
Ore 2-3; escursionistico.
Lo Sbarramento del Poschiavino
65
Escursionismo
Passo dopo passo
Diario di Viaggio di Antonio Boscacci
Versante Retico
P
r
a
l
a
m
a
g
n
o
Hanno cambiato l’ora legale e
quindi si dovrebbe dormire un’ora
in più. Mi alzo come faccio da mesi
alla stessa ora e parto da Sondrio che
sono quasi le 7. Attraverso una città
ancora addormentata, con una pioggerellina sottile sottile che mi costringe ad aprire quasi subito l’ombrello.
Le montagne intorno, in un cielo che
si sta lentamente schiarendo, appaiono avvolte da dense cortine di nuvole. Mentre mi dirigo verso i Trippi,
camminando lungo la pista ciclabile
al bordo della strada, osservo, ancora
distesa sui prati, una spessa coltre di
nebbia. L’umidità del mattino che si
sta aprendo al giorno sembra per un
momento sollevarsi e svanire. Attraverso la statale 38 ai Trippi e imboc-
E’
La Chiesa di Bratta con il piccolo porticato sotto il quale si trovano gli affreschi del Valorsa (1 novembre 2009, foto Luisa Angelici).
Bellezza
Fatica
Pericolosità
-
Partenza: Bianzone (località Prada).
Itinerario automobilistico: da Sondrio
D
prendere la SS38 fino a Bianzone (23 km).
Abbandonare la SS38 (svolta a sx) in corrispondenza
di Via Roma. Seguire Via Roma verso il municipio,
quindi svoltare a dx su Via Stelvio, a sx su Via
Cantalupo fino alle case di Prada dove si può trovare
qualche piazzola per parcheggiare.
Itinerario sintetico: Bianzone (Prada)
(m 575), Bratta (m 1003), La Volta (m 1100),
Pralamagno (m 1333), Morelli (m 1379), Nemina
Bassa (m 1392), Piazzeda (m 894), Bianzone (Prada)
Tempo per l'intero giro: 4-5 ore.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà: 2+ su 6.
Dislivello in salita: 800 m.
Dettagli: Carte: Foglio Tirano dell’Istituto
Geografico Militare 1:25000, foglio Tirano - Val
Poschiavo, Edizioni Muligraphic (con qualche
errore), foglio Teglio - Tirano della Carta Tecnica
della Comunità Montana Valtellina di Tirano (manca Lungo la stradicciola che dalla località La Volta, si inoltra
il sentiero che porta ai Morelli).
nella Valle di Bianzone (1 novembre 2009, foto Angelici).
66
23 dicembre 2001
una fredda e serenissima
giornata.
Quando ci incamminiamo a piedi
dalle case di Prada, la contrada più
alta sul conoide di Bianzone.
ue cani ci seguono per un
tratto. Sembrano infreddoliti
anche loro, perché ci lasciano subito
e si rifugiano sotto una tettoia dove
sono ammonticchiati degli steli di
granoturco.
Percorriamo il primissimo pezzo
della strada che sale a Bratta a grande
velocità per scaldarci, poi dopo un
breve tratto di mulattiera ripido, ci
accorgiamo che le nostre giacche di
piumino sono superflue.
La mulattiera sparisce soffocata dai
rovi, dalle robinie e da qualche decennio di non passaggio; così dobbiamo
seguire la strada che, per altro, è molto
piacevole e panoramica. Quando
raggiungiamo i primi raggi del sole,
ci si mostra uno spettacolo speciale: la
valle in basso è ancora avvolta dal gelo
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Le Montagne Divertenti e il fumo dei pochi camini funzionanti
si sparge nell'aria in sottili volute che
si distendono formando una nebbiolina leggera.
Il muoversi concitato delle foglie
della rovere, che qui è l’albero più
diffuso, ci rivela la presenza del vento.
Prima è un soffiare leggero, poi
veniamo investiti da vere e proprie
folate che ci raggelano anche in
presenza del sole.
Chiediamo spiegazioni sul nostro
itinerario a un vecchio contadino con
un’ Ape e ci accorgiamo che è lo stesso al quale, almeno due anni prima,
avevamo chiesto altre informazioni.
Ci fermiamo a chiaccherare un
momento con lui poco sotto il mulino
nuovo di Bratta.
Quando gli chiedo come facesse a
funzionare, visto che non c’è traccia
di acqua nei d’intorni, mi spiega che
questo funzionava con l’elettricità
(ci dice che venne messo in funzione
intorno alla metà del secolo scorso).
Poi mi parla del mulino vecchio che
co la strada per Piateda, osservato,
mentre attraverso il ponte sull’Adda,
da un grosso corvo nero appollaiato
su un grande albero. Leggo gli avvisi
di una pesa pubblica e, poco dopo,
mi infilo a sinistra lungo una strada
sterrata che mi porterà a Piateda.
Chiedo conferma ad un contadino
mattiniero, intento a spargere letame
sull’argine di un fosso e lui annuisce.
La pioggia cessa e posso infilare l’ombrello dentro lo zaino. Ma
è una tregua di brevissima durata
perché, fatti duecento metri, la pioggia riprende più vigorosa di prima.
E’ una pioggia fastidiosa e, quando
passo davanti al centro sportivo e al
municipio di Piateda, mi accorgo di
avere le scarpe già per metà bagnate.
era giù nella valle e, usando l’acqua del
torrente, macinava i cereali sia di coloro che vivevano sulla sponda destra,
sia di quelli che vivevano sulla sponda
sinistra della Valle di Bianzone.
Passando accanto al mulino nuovo,
saliamo alla Chiesa di Sant’Antonio e
San Bernardo ad ammirare e fotografare gli affreschi di Cipriano Valorsa.
Questi si trovano nel piccolo porticato
che precede la facciata e, come si legge
accanto alla testa del Cristo dipinto
sopra la porta d’entrata della chiesa,
vennero eseguiti nel 1563.
Sempre segueno la strada, raggiungiamo il piccolo gruppo di case de
La Volta e, poco sopra, un marcato
tornante (La Vòlta, che dà il nome alle
case sottostanti), dal quale si stacca
una stradicciola a sinistra.
Il vento sembra essersi placato e fa
caldo, un caldo insolito però.
La stradicciola sale attraverso un
rado bosco con pochi larici e abeti,
alcuni con il fusto nero, segno di un
passato incendio.
Pralamagno
67
Passo dopo passo
Escursionismo
Gli affreschi del Valorsa a Bratta (1 novembre 2009, foto Luisa Angelici).
ripido bosco e una serie di vallecole .
Dopo una ventina di minuti il
bosco si apre un po’ verso l’alto e ci
rendiamo conto di essere arrivati al
maggengo di Morelli (m 1379).
Le baite non si vedono e occorre
salire una cinquantina di metri per
incontrarle. Sono abbandonate e
crollate e hanno accanto due piccoli e caratteristici ricoveri con tetto in
cemento2.
Mentre ci fermiamo a guardare il
panorama intorno, un vento fortissimo e freddo ci assale e ci costringe ad
andarcene.
Scendiamo a riprendere il sentiero
che stavamo seguendo. Questo prosegue con numerosi e continui saliscendi, non sempre facili da intuire e che
richiedono tutta la nostra attenzione,
in un bosco strano e sempre diverso,
con gli abeti e i faggi che si alternano o
si mischiano secondo l’esposizione del
pendio.
Un pendio a tratti così
ripido che il minuscolo
sentiero che stiamo
percorrendo sembra
essere stato scavato
appositamente da un
gruppo di equilibristi.
La vecchia baita di Pralamagno (1 novembre 2009, foto Antonio Boscacci).
Una parte delle piante bruciate sono
state tagliate e questo ha permesso la
crescita di un rigogliosissimo sottobosco. Basterebbe un fiammifero per
trasformare questa sterpaglia, che si
sbriciola per il troppo secco, in una
gigantesca torcia.
Ci chiediamo che cosa faremmo se
fossimo intrappolati da un incendio
e concludiamo che è una eventualità
alla quale è meglio non pensare.
Dopo un buon tratto di salita,
passato discutendo di boschi e di
incendi, arriviamo a un bivio.
Imbocchiamo la strada più bassa,
che attraversa un freddissimo bosco di
abeti e poi sbuca in una vallecola.
68
Le Montagne Divertenti Una baita dai muri robusti, ma
abbandonata da decenni, ci dice che
siamo a Pralamagno (m 1333).
La strada che stiamo seguendo
prosegue ancora per un centinaio
di metri poi si arresta davanti ad un
torrentello1.
Attraversiamo il torrente e imbocchiamo un sentierino [lo si prende
sotto le opere di presa]. Scendiamo e
saliamo (ma il percorso è complessivamente pianeggiante) attraversando un
1 - Qui sono state costruite delle opere di presa per
raccogliere l’acqua del torrente e convogliarla verso
la piccola e antica centralina idroelettrica, rimessa
appositamente in funzione. Per far questo, la strada che parte da La Volta è stata allargata e a tratti
rifatta.
Incontriamo tracce numerose della
presenza di cervi e caprioli, ma non
ne vediamo nemmeno uno. Solo di
quando in quando, spuntando magari
improvvisamente da dietro un dosso,
si sentono concitati rumori di fuga.
Al termine di questa lunga e non
facile traversata, complessivamente in
leggera salita, sbuchiamo tra le baite di
Nemina Bassa (m 1392), incrociando la strada che sale da Piazzeda.
Le vecchie baite non ci sono più e
sono state sostituite da nuove costruzioni. Ci fermiamo per il pranzo, riparandoci dietro l’angolo di una casa.
Dopo aver raccolto da un abete
qualche pigna, scendiamo chiacchierando lungo la strada sterrata.
All’ombra fa un freddo boia e
dobbiamo coprirci con tutto ciò che
2 - Accanto alle vecchie baite ora esiste una nuova e
grande abitazione, alla quale si accede dall’alto, con
una strada che scende da quella che collega Piazzeda
con Nemina Alta.
Primavera 2010
Diario di Viaggio di Antonio Boscacci
Versante Retico
abbiamo.
Poi però, quando cambia l’esposizione del pendio e ci troviamo in pieno
sud, il vento si placa e ci sembra quasi
che sia caldo.
Incrociamo un’auto che sale e il
guidatore si ferma a fare quattro chiacchiere.
Ci racconta che pochi
metri sotto di noi si trova
un grosso masso, il Sas de
la Crus, sul quale ci sono
numerose coppelle.
Ce lo mostra dicendoci nel contempo che più in alto, lungo la vecchia
mulattiera, ce n’è un altro con incisioni simili.
Mentre lui torna indietro con la sua
Panda, la moglie ci chiede se può scendere con noi lungo la strada per fare
quattro passi. Così ci racconta della
vita da quelle parti.
Lei è stata l’ultima ragazza a frequentare la scuola elementare di Piazzeda, poi chiusa nel 1960 o 1961 per
mancanza di alunni: ce n’erano solo 3.
Per fare la quinta elementare è dovuta
quindi scendere a Bianzone, ospite di
una zia. Dopo averci fatto attraversare
Piazzeda, per farci vedere la chiesa e la
vecchia fontana con la vasca in sasso,
ci accompagna lungo la stradicciola
che porta al piccolo cimitero della
contrada.
Qui, davanti all’entrata, ci
racconta la storia di quel
muratore che, la sera nella
quale terminò di costruire
il muro di cinta dello stesso
cimitero, disse che adesso
era tutto in ordine e che il
primo ad oltrepassare quel
cancello sarebbe stato lui.
Morì proprio quella notte.
Lasciamo la nostra accompagnatrice
davanti alla sua bella casa della contrada Gosatti con i balconi di legno e, tra
le ultime deboli raffiche di un vento
calante e gli ultimi raggi di un sole
altrettanto calante, scendiamo lungo la
strada fino alla nostra auto lasciata alle
case di Prada, accanto al torrente.
Le Montagne Divertenti Morelli (1 novembre 2009, foto Luisa Angelici).
La fontana in sasso di Piazzeda (1 novembre 2009, foto Luisa Angelici).
Aggiornamento sul percorso
Abbiamo rifatto lo stesso percorso l'1 novembre 2009. Fino a Pralamagno l’itinerario è lo stesso. Sotto le opere di presa si imbocca il sentiero pianeggiante che
porta ai Morelli. Fin qui non ci sono particolari difficoltà. Solo in caso di giornate tardo autunnali o invernali molto fredde, potrebbe esserci qualche problema di
ghiaccio e quindi delle difficoltà nell’attraversamento dei numerosi ruscelletti che
si incontrano. In ogni caso non si deve cercare di passare sul ghiaccio, ma occorre
risalire il rigagnolo ghiacciato fino a trovare il punto più favorevole all’attraversamento. Giunti al maggengo dei Morelli, si hanno altre due possibilità oltre a
quella proposta:
A) seguire la strada sterrata che parte dal maggengo e sale ad incontrare la strada
Piazzeda - Nemina Alta (è la soluzione consigliata);
B) quando, prima di arrivare ai Morelli, il bosco si apre un po’ sulla destra e si
vede in alto il dosso dietro il quale si trova il maggengo, il sentierino che si sta
percorrendo incontra un bivio (attenzione). Seguire il sentierino che scende e poi
si fa pianeggiante e con numerosi saliscendi non sempre facili da capire, porta
Dalò
la sua chiesetta
(13-dicembre
foto Roberto Moiola).
sullae strada
Piazzeda
Nemina2008,
Bassa.
Pralamagno
69
Valchiavenna
Escursionismo
Savogno e Dasile:
tuffo nel passato
In Valchiavenna, su un altipiano protetto da 170 metri di salto
roccioso, ci sono due minuscoli borghi dove il tempo pare essersi
Enrico Minotti
fermato alla prima metà del '900.
Fioriture di ranuncoli e di salvia dei prati ai piedi dei 170 metri di salto delle Cascate dell'Acqua Fraggia (8 maggio 2009, foto Enrico Minotti).
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: Serlone (m 405).
Itinerario automobilistico: per chi viene da
Milano l’accesso è praticamente obbligato per la SS
36 dello Spluga fino a Chiavenna. Si segue poi la SS
37 del Maloja in direzione del confine Svizzero sino
a Borgonuovo (m 400, 4 km da Chiavenna), quindi
prendere a sx lasciando l’auto alla frazione Selone
in una delle aree adibite a parcheggio prossime alle
Cascate dell'Acqua Fraggia.
Itinerario sintetico: Serlone (m 405) - Dasile
(m 1032) - Savogno (m 932) - Stalle dei Ronchi
-
S
avogno è una frazione disabitata
del comune di Piuro a m 932
di quota sul lato orografico dx della
verde Val Bregaglia. E' raggiungibile
solo a piedi lungo una ripida mulattiera che porta oltre il salto roccioso delle
famose Cascate dell'Acqua Fraggia.
Nei suoi edifici è viva la testimonianza
dell'architettura rurale spontanea.
asile (m 1032), suo paese
gemello e storicamente rivale,
è sull'opposta orografica della valle
dell'Acqua Fraggia.
er visitare questi borghi, proponiamo un'escursione adatta a
tutti che inizia a Borgonuovo, a 4 km
da Chiavenna, e attraversa scenari
naturali unici e affascinanti.
D
P
Il Rifugio70
Savogno
maggio 2009,
foto Enrico Minotti).
Le(8Montagne
Divertenti
Primavera 2010
Le Montagne Divertenti (m 590) - Serlone.
Tempo previsto: 3 ore per l’intero giro.
Attrezzatura richiesta: Difficoltà: 1 su 6.
Dislivello in salita: 650 metri circa.
Dettagli: per approfondimenti:
•
AA VV, C’era una volta – Vecchie storie e
leggende di Valtellina e Valchiavenna, Bonazzi
Grafica, Sondrio 1994
D
al parcheggio di Serlone,
proprio sulla dx delle magnifiche Cascate dell’Acqua Fraggia1,
al cartello indicatore, prendiamo il
sentiero di sx che si inoltra nel bosco
di castagni e sale con agevoli tornanti. In circa dieci minuti raggiungiamo
una deviazione che adduce in breve
alla piazzuola adiacente la cascata.
Oltre alla vista sulla Val Bregaglia e
Chiavenna, possiamo godere anche
dell’arcobaleno prodotto dalla nebulizzazione dell’acqua che si infrange
sulle rocce.
1 - Le Cascate dell'Acqua Fraggia dal 1983 sono
state elette a "Monumento Nazionale". Il toponimo
discende da aqua fracta, cioè acqua spezzata.
Savogno e Dasile
71
Valchiavenna
Escursionismo
R
Savogno (8 maggio 2009, foto Enrico Minotti).
La fontana alle Stalle dei Ronchi presenta due sezioni: un abbeveratoio per animali e una zona
di prelievo acqua destinata a uso umano (8 maggio 2009, foto Enrico Minotti).
Asini a Dasile (8 maggio 2009, foto Enrico Minotti).
72
Le Montagne Divertenti itornati al sentiero, raggiungiamo una scalinata in ferro che
supera un’altrimenti inagibile gola.
Proseguiamo nel bosco, caratterizzato
dal persistente e piacevole profumo
di funghi, sulla bella mulattiera che
per lunghi tratti costeggia il torrente.
Avremo modo di attraversarlo in un
paio di occasioni tramite ondeggianti e caratteristici ponticelli. Bellissima, nei pressi del secondo ponte, la
spumeggiante cascata che alimenta
una pozza naturale.
A m 800 incrociamo il sentiero
classico, proveniente dalla nostra dx.
Camminiamo ora più agevolmente
su questa bella mulattiera costituita da circa 3000 gradini. Un’opera
veramente grandiosa, eseguita a suo
tempo dai valligiani per agevolare il
transito del bestiame verso gli alpeggi
più alti.
Superiamo una croce di legno e in
pochi minuti arriviamo a un bivio
dove seguiamo l’indicazione a sx per
Dasile.
Oltre il cimitero e il lavatoio, attraversiamo il ponte in muratura sulla
profonda forra scavata dal torrente.
All’altezza della cappelletta dedicata
alla Madonna, possiamo ammirare
una suggestiva vista su Savogno.
Poca fatica porta al pianoro che
ospita Dasile. Rigenerante la vista
sulla valle e sul versante opposto con
il Pizzo di Prata e il Monte Gruf in
primo piano. Più lontano a E l’inconfondibile profilo del Badile. Una
simpatica famigliola di asinelli ci
accompagna nella breve visita nel
paese caratterizzato da sobrie case
interamente in pietra e dalla chiesetta dedicata a San Giovanni Battista. L'edificio con minuscola torre
campanaria, fu costruito nel 1689
anche grazie alle rimesse degli abitanti
emigrati a Venezia in cerca di lavoro.
Ritornando sui nostri passi a Savogno, vedremo subito che la costruzione più recente è la vecchia scuola
elementare ora ristrutturata e adibita a
rifugio, dove il signor Luigi, il gestore,
intrattiene con ottima cucina e simpatici aneddoti.
Da notare la particolare disposizione delle case, con le stalle a monte,
nettamente separate dalle abitazioni.
Particolare la chiesetta dedicata a San
Bernardino col magnifico campanile
Primavera 2010
risalente all’anno 1465. Il sagrato è un
autentico terrazzo con vista sulla valle
e sulle montagne1. Sembra giocare la
luce del sole, infiltrandosi tra vicoli e
viuzze, tra splendidi loggiati di legno
e scalinate di pietra. Ed è bello, anche
se un poco triste, indugiare nelle piazzuole, immaginando le persone affaccendate, gli schiamazzi dei bambini, il
passaggio del bestiame verso i pascoli
alti.
Il silenzio seppur
piacevole è innaturale,
non consono ad un
villaggio, rurale si,
ma ben conservato e
perfettamente vivibile.
Eppure, già dagli anni cinquanta, gli abitanti hanno lasciato man
mano questo gioiello, preferendo i
maggior agi del fondovalle (l'abbandono completo è datato 1967). Ora
qui risiede solo la famiglia del signor
Luigi, il gestore del rifugio.
Terminata la visita del villaggio
possiamo scendere utilizzando il
sentiero adiacente al piazzale della
chiesetta. Percorriamo questa volta
integralmente la via classica, quasi
tutta a gradini, molto agevole e
sempre nel bosco, con poche radure a
concedere piacevoli vedute sul fondovalle.
A quota m 590 nei pressi di una
fontana, con una breve deviazione è
possibile visitare il nucleo delle Stalle dei Ronchi, edifici allora adibiti a
deposito e stalle, costruiti con muri
a secco e travi di legno. Le piode sui
tetti provenivano dall’Alpe Alpigia.
Queste strutture erano utilizzate dai
contadini di Savogno che in questa
fascia montuosa coltivavano viti
e castagni. Qui è ancora possibile
ammirare un antico torchio da vino
risalente al 1704. La stessa fontana
merita la nostra attenzione, interamente scavata nel granito e divisa in
sezioni ben distinte per gli animali
e uomini, testimonianza di buone
norme igieniche. Lasciato l’abbeveratoio, in pochi minuti ritroviamo il
bivio da cui siamo partiti, nei pressi di
Serlone.
1 - Beato Luigio Guanella fu parroco di Savogno dal
1867 al 1875.
Le Montagne Divertenti Savogno, la casa parrocchiale (8 maggio 2009, foto Enrico Minotti).
La vendetta della morte nera
C
Q
L
P
ome
raccontato
nei
Promessi Sposi, la calata dei
Lanzichenecchi su Milano
portò la peggiore epidemia
di peste mai vista. In Valchiavenna,
in particolare, dal 1629 al 1631 vi fu
un'enorme strage. Anche Savogno e
Dasile ne furono coinvolti.
eggenda narra che la Morte
Nera infettò dapprima Dasile.
Ai primi sintomi, gli abitanti,
presi dalla paura di morire
tutti, decisero di mandare due
giovani in isolamento col bestiame
all'Alpe Corbia. Così almeno loro si
sarebbero salvati e da loro avrebbe
potuto continuare a vivere il paese.
uando, dopo mesi, i
giovani ridiscesero non
trovarono
più
anima
viva. Videro il ponte per
Savogno abbattuto e capirono che
gli abitanti del paese vicino avevano
isolato e lasciato al suo destino Dasile
per salvaguardarsi dal'epidemia.
resi
dall'ira
per
quanto
accaduto ai loro paesani, per
vendetta raccolsero con un
lungo palo un gatto morto e
lo gettarono sulla sponda di Savogno
innescando così un nuovo focolaio di
peste che flagellò pure il borgo rivale.
Savogno e Dasile
73
Rubriche
valtellinesi
nel mondo
Nicola sul cammello che lo porter‡ in cima alla duna per una bella sciata sulla sabbia (20 febbraio 2009).
Rifugio Toubkal del Club Alpino Francese. Alle sue spalle la vallettina di salita verso la cima del Toubkal (16 febbraio 2009).
I mille volti del Marocco
Gara di nuoto
su una duna
di sabbia (20
Le Montagne
Divertenti
febbraio 2009).
74
Primavera 2010
Testi e foto Luciano Bruseghini
Paesaggio
tipico Divertenti
marocchino lungo il viaggio da Marrakech a Mihamid, nel deserto del Shaara (20 febbraio I2009).
mille volti del Marocco
Le Montagne
75
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
Q
uando Ivan Pegorari mi chiese di andare a fare scialpinismo con lui in Marocco
credevo mi prendesse in giro. Pensai a una burla e per tutta la sera scherzammo domandandoci quale fosse il modo con cui i cammelli avanzano sulla neve:
particolari catene o zoccoli chiodati?
Nei giorni seguenti invece, navigando in internet, trovai parecchi siti che parlavano
della bella valle del Toubkal, vicino a Marrakech, dove la neve in inverno non manca
mai e dove c’è un rifugio che permette agli escursionisti di trovare riparo. Ci sono
cinque cime che superano i 4000 metri e la più alta, il monte Toubkal (m 4168) supera
di gran lunga il nostro Pizzo Bernina!
N
el mese di gennaio 2009 organizziamo il nostro viaggio in
Marocco. In totale saremo in sette:
quattro caspoggini (Ivan1, Luciano,
Nicola, Lorenzo), un lissonese (Angelo) e due svizzere (Francesca, originaria di Bergamo, e Madeleine, di
Stoccolma).
Alle 7.30 del 15 febbraio decolliamo con il volo della Easyjet e arriviamo a Marrakech alle 10.30 locali.
Cambiamo un po’ di euro in dirhams,
la moneta locale che vale all’incirca
un decimo di euro. Contrattiamo con
dei taxisti il passaggio all’hotel Alì
in pieno centro. La macchina è uno
spettacolo: un vecchio Mercedes con
tre sacche da sci e un paio di borsoni
sul tetto, il bagagliaio pieno di zaini e
sei persone a bordo!
L’hotel non ha certo gli standard
europei, però è pulito e ogni stanza
ha il suo bagno. Per dieci euro/notte a
testa possiamo accontentarci.
Nel pomeriggio andiamo a fare un
giro nel souk della città: una miriade
di stretti vicoli con piccole botteghe
che vendono di tutto (abbigliamento, tappeti, ciabatte, lampade, spezie,
animali, pugnali, quadri, manufatti in
1 - Guida Alpina Ivan Pegorari
www.valmalencoalpina.it
legno…). La gente ci guarda in modo
un po’ strano, forse perché parliamo
in dialetto e loro non capiscono niente o più probabilmente perché siamo
un po’ strani noi.
Marrakech si può definire una città
di frontiera tra l’Europa e l’Africa,
infatti si incontrano persone di diverse etnie e fra gli stessi marocchini si
notano molte differenze, soprattutto
fra le donne. Ci sono quelle vestite
con il burqa che non lascia intravedere nemmeno gli occhi, quelle con
il velo che nasconde parzialmente il
capo e quelle vestite all’occidentale
con acconciature alla moda, tutte che
chiacchierano cordialmente fra loro.
In serata arrivano da Zurigo anche
le due donzelle. Fortunatamente
Madeleine parla solo inglese e svedese, così eviterà tutte le nostre stupidate, invece Francesca sarà il nostro
bersaglio preferito.
Con un colpo di fortuna nella hall
dell’albergo conosciamo un vecchietto, che poi si rivelerà essere una
delle più famose guide di montagna
marocchine (se poi esistono realmente non si sa…), che ci organizza tutta
la spedizione sui monti dell’Atlante,
Carico dei muli a Imlil prima della partenza verso il rifugio Toubkal (16 febbraio 2009).
evitandoci problemi e contrattempi. Infatti per guadagnare la neve bisogna fare un po’ di strada e poi al rifugio
bisogna portarsi le provviste e un cuoco che cucini per noi
(non è un nostro vezzo, ma il regolamento della capanna!).
Un consiglio utile: per contrattare bisogna saper parlare
francese o inglese, oltre ovviamente marocchino, perché
non sempre l’italiano è compreso; solamente al mercato
tutti i venditori parlano correttamente la nostra lingua.
l giorno seguente la sveglia è all’alba: infatti l’ha puntata Nicola che non ha cambiato il fuso orario, così ci
svegliamo alle 5.30 anziché alle 6.30 e ci sorbiamo anche
mezz’ora di preghiera del muezzin!
Alle 8.00 partiamo per le montagne con destinazione il
paese di Imlil (m 1800), a 80 km dalla città, dove termina
la strada. Qui conosciamo Amid, un omone alto quasi due
metri con denti da castoro, che sarà il nostro cuoco al rifugio. Il grosso dei bagagli e gli sci vengono caricati su muli,
mentre noi ci avviamo a piedi nella valle del Toubkal. Già
all’inizio incontriamo un po’ di neve, ma si procede senza
problemi. La valle, molto arida e con solo pochi pascoli e
alberi, compie un semicerchio e improvvisamente ci si para
davanti l’imponente mole della cima che dà il nome a tutto
il gruppo: il Toubkal. Dopo un’ora e mezzo di cammino
arriviamo a Sidi Chamarouch (m 2310), dove termina il
trekking e inizia la nostra avventura con gli sci.
E’ un posto abbastanza squallido, incassato in fondo a
una valle, con poche case di fango dove vivono i portatori
che recapitano i bagagli dei turisti fino al rifugio.
Vestiti con abbigliamento da scialpinismo partiamo alla
volta della capanna. La salita lungo la valle del Toubkal è
molto dura, non tanto per le pendenze, piuttosto moderate, ma soprattutto per il caldo opprimente: ci saranno
almeno 20 °C. Dopo un paio d’ore arriviamo al rifugio
Toubkal (m 3200) del Club Alpino Francese. Un repentino sbalzo termico e inizia a nevicare! .
Anche se vi sono parecchi ospiti (soprattutto spagnoli
e francesi), il gestore (da noi subito ribattezzato il “Bianco” del Marocco) ci dà un camerone da 16 persone tutto
per noi, così possiamo sistemare un po’ di attrezzatura sui
letti. Ceniamo con minestra, carne e verdura lessa, tutto
sommato un pasto niente male.
Parlando con gli altri escursionisti, capiamo che, anche se
nevica molto, lungo le creste e i pendii più esposti il vento
smuove la neve facilmente, rendendo difficoltosa la sciata.
Solamente nei numerosi canali riparati il manto nevoso si
accumula abbondante e consente bellissime imprese.
L’ambiente è gelido, così dormiamo vestiti nel sacco a
pelo.
l giorno seguente partiamo con destinazione la sommità del Toubkal. Fortunatamente altri sciatori hanno
fatto la traccia nella neve fresca caduta ieri sera. Inizialmente è molto freddo, ma quando raggiungiamo la parte
soleggiata la temperatura si alza. Io e Lorenzo, ovviamente,
partiamo in quarta così, quando raggiungiamo il pianoro
a 3800 metri, togliamo le pelli e scendiamo per un bellissimo canalino sotto la cima est del Toubkal fino a quando
non ci ricongiungiamo con gli altri.
Riprendiamo di nuovo l’ascesa ma, invece di piegare
verso la cresta sulla destra dove tutti si arrampicano a piedi
I
I
76
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Le Montagne Divertenti Trekking nella valle del Toubkal verso Sidi Chamarouch.
Lorenzo lungo il canale del Ras con una pendenza media di 45°.
perché non c’è molta neve, ci teniamo lungo il pendio sud,
molto ripido ma con neve sufficiente per usare le pelli.
Alle 12 siamo in vetta al Toubkal, gli unici con gli sci ai
piedi. Il panorama è molto vario: oltre alle prossime cime
innevate, in lontananza si scorgono i verdeggianti prati
di Marrakech. Dicono che nelle giornate limpidissime si
riesca ad intravedere l’oceano Atlantico, distante circa 200
chilometri.
Sempre per essere differenti dagli altri, invece di prendere per la via normale, decidiamo di abbassarci dal versante
nord, dove non è ancora passato nessuno. Poco dopo però
la neve scarseggia, quindi siamo costretti ad avanzare a
piedi per un breve tratto. Vogliosi di gustare le nevi africane, rimettiamo gli sci troppo presto così li grattiamo sulle
I mille volti del Marocco
77
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
le rocce infide nascoste sotto pochi centimetri di coltre
bianca. Fortunatamente abbassandoci la neve diventa
abbondante e ci consente fluide serpentine. Il canale di
discesa che abbiamo individuato ci porta 100 metri a valle
del rifugio, così ci tocca rimettere le pelli e risalire sotto un
sole cocente, soddisfatti comunque per la splendida avventura. Purtroppo all’appello manca Francesca che, lenta
nella salita, ha scelto per il ritorno la via normale. Inizia a
nevicare e la nostra preoccupazione aumenta. Chiediamo
alla gente che rientra se qualcuno l’ha vista, ma nessuno sa
dirci niente. Allora montiamo gli sci ai piedi e ripartiamo
alla volta della cima. Anche il custode del rifugio è preoccupato e inizia a pregare rivolto verso la montagna. Grazie
al cielo, dopo non molto, la incontriamo mentre procede
in stile telemark e senza racchette: le ha buttate per paura
dei fulmini. Fortunatamente si è risolto tutto bene.
l giorno seguente le mete sono due: il monte Timezguida (m 4088) e il Ras (m 4083), due cime gemelle,
poco distanti fra loro.
Memorabile la discesa dal Ras per lo splendido e stretto canale immacolato che dalla cima precipita con una
pendenza di circa 45° verso il rifugio.
Dopo due giorni senza lavarci, decidiamo di pulirci un
po’ in bagno. L’unico problema è che si deve usare l' acqua
gelida, presa dal torrente che scorre appena fuori: che
piacevole sensazione ?!
l terzo giorno era in programma un tour che ci avrebbe portato in vetta ad altri due quattromila, l’Akioud
(m 4030) e l’Afella (m 4015), ma la previsione di un
peggioramento delle condizioni meteo in tarda mattinata
ci sconsiglia questo lungo itinerario. Così decidiamo di
inerpicarci per il canalone che porta ai piedi dei Clochetons (m 3900) vicino all’Afella. E’ una strettoia molto
lunga, circa 700 metri di dislivello, e ripida, principalmente nella parte alta (40°/45°). La salita si svolge tranquillamente in gruppo e alle 11 siamo in cima, presso il passo
che collega la valle del Toubkal con quella del Tazarhart.
Ovviamente nevica… Bellissima però la volata per i ripidi
pendii che ci riportano al nostro rifugio. Lungo la gola ci
sono diversi massi che proviamo a saltare, ma non sempre
con ottimi risultati, per la diversa compattezza della neve.
Le cattive previsioni meteo ci convincono a tornare a
Marrakech. Essendo posizionati vicino all’oceano, i monti
dell’Atlante subiscono notevoli cambiamenti climatici,
non sempre prevedibili con diversi giorni di anticipo.
Nella discesa dal rifugio anche Amid, il nostro cuoco,
vuole provare il brivido della sciata, così gli montiamo gli
sci portati per emergenza e, con un paio di scarponi da
trekking, parte con uno stile misto: spazzaneve, scivolata
e caduta.
Caricati i bagagli sui muli, una fitta nevicata ci accompagna fin quasi a Imlil. L’omettino che ci ha organizzato
la spedizione sull’Atlante ci vende anche un viaggio nel
deserto fino a Mihamid e uno a Todra dove sosteremo ad
arrampicare.
Per la cena gli altri preferiscono fermarsi in un ristorante e ordinare una pizza, invece io e Nico (si vede che
siamo cugini!), sotto una pioggia torrenziale, ci dirigiamo
al mercato a gustare alle bancarelle il menù tradizionale
I
I
Nella valle di Todra non si arrampica solo sulle pareti del canyon, ma
anche un altissima palma che Nicola la sale a piedi nudi.
78
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
marocchino, seduti al tavolo con la
gente del posto. Il cibo è ottimo: spiedini di carne alla griglia, gamberetti
arrosto e totani fritti, lumache, testa
di capra lessa, datteri e dolci al caramello.
l viaggio verso il deserto è molto
lungo, così decidiamo di partire
alle cinque del mattino.
Fa freddo sul minibus, ma l’autista dice che il riscaldamento non
funziona, così ci teniamo le giacche
ben strette. Ho sempre pensato che il
Marocco fosse un paese molto caldo,
ma mi devo ricredere: nel periodo
invernale durante la notte e al primo
mattino è freddo, mentre durante il
giorno si sta appena bene.
Attraversiamo l’impervio passo
Tizi-n-Tichka (m 2260) con la neve
a bordo strada e puntiamo al deserto. Il paesaggio è molto vario: zone
brulle e aride si alternano a terre fertili
lungo le rive dei fiumi. Sempre lungo
I
le sponde, sparsi qua e là, sorgono
piccoli nuclei abitativi.
Nel primo pomeriggio poco lontano da Zagorà facciamo una sosta a
Tame Groute dove c’è una bellissima
duna di sabbia. Ne approfittiamo
per lanciarci con gli sci lungo i suoi
pendii più verticali e per rotolarci
nella sabbia. A me è finita in buchi
che nemmeno sapevo di avere! Alle 18
siamo a Mhamid, il punto più a sud
del nostro viaggio, dove trascorriamo la notte in tenda nei pressi di un
accampamento berbero. Nonostante
il loro nome derivi dalla parola barbaro, sono molto accoglienti, gentili e si
lasciano fotografare durante le faccende domestiche.
indomani seguente partiamo con destinazione Todra.
L’autista decide di utilizzare una
scorciatoia. Prende una strada sterrata, nemmeno segnata sulla mappa,
rischiando di finire in un fosso per gli
scavi dell’acquedotto. Comunque a
mezzogiorno siamo alle gole di Todra
tutti interi.
Posto bellissimo: sembra il Grand
Canyon. E’ una stretta valle circondata da pareti verticali, attrezzate per
l’arrampicata. Ci tratteniamo tre giorni ad esplorare e a provare diverse vie
di salita, alcune anche molto tecniche
(fino all’ottavo grado).
l viaggio per il rientro a Marrakech è assai lungo: partiamo alle
sei di sera per arrivare all’aeroporto alle cinque del mattino. Alle 10
decolliamo e alle 14.30, ora italiana,
siamo alla Malpensa.
stato un bellissimo viaggio,
con numerose avventure e
divertimenti, che mi ha permesso di
visitare posti spettacolari, nemmeno
immaginabili, e di conoscere la cultura di un paese così vicino a noi ma
molto diverso e pieno di sfumature.
Lo consiglio a tutti!
l’Africa, continente meraviglioso e
pieno di sorprese, dove sono stato
già tre volte: forse a causa anche
del richiamo ancestrale impresso nel
nostro DNA.
La passione per la fotografia mi è
stata trasmessa dal Sysa e i suoi
preziosi consigli, sia tecnici che di
materiale, mi hanno permesso di
diventare un discreto fotografo.
E’ stato quindi un passaggio
naturale inserirmi nel gruppo che
partecipa alla stesura di “Montagne
Divertenti”, dove parliamo di
argomenti e cime non sempre
conosciuti dal grande pubblico, ma
apprezzati dai più avventurosi.
L'
I
E'
Luciano Bruseghini
S
ono nato l'8 ottobre 1974 e da
sempre risiedo a Caspoggio.
Mi occupo di controllo di
gestione e in parte della
qualità in un bresaolificio della media
Valtellina e nel poco tempo libero
a disposizione amo soprattutto
praticare sport.
Fin da giovanissimo sono stato
attirato dalle montagne da cui
sono circondato, compiendo prima
semplici trekking, poi escursioni
sempre più impegnative, fino ad
arrivare alle uscite alpinistiche con
il mitico Otzi Team, un gruppo di
sei scavezzacolli che ogni estate
compie qualche avventura no limits,
comunque sempre in sicurezza.
Un altro mio amore è la bicicletta, sia
da corsa sia mountain bike. Percorro
circa 3000 Km ogni anno, quasi tutti
in salita e discesa: non amo molto la
pianura!
Ma la mia passione più grande sono
gli sport invernali, forse perché il
giorno della mia nascita a Caspoggio
nevicava! Su tutti il magnifico
SCIALPINISMO che permette di
coniugare due attività sublimi: la
salita alle cime innevate e le discese
mozzafiato in neve fresca, meglio se
provviste di salti e passaggi estremi.
In questi ultimi anni ho scoperto di
essere attratto dai viaggi fai da te,
anche se il tempo a disposizione è
sempre limitato. Amo soprattutto
Le Montagne Divertenti Il gruppo in posa con il gestore "Bianco" del rifugio Toubkal (19 febbraio 2009).
I mille volti del Marocco
79
Speciali di primavera
Alessandra Osti
Macroglossum stellatarum sugge il nettare in volo librato
(TrivignoLe23Montagne
settembre 2009,
foto Paolo
Divertenti
Rossi).
80
Primavera 2010
Le Montagne Divertenti Il mondo in miniatura
81
Speciali di primavera
insetti
Il mondo in miniatura
E
ccovi una nuova rubrica
che vi farà esplorare
il misterioso e minuscolo
mondo degli insetti. Piccole
creature che popolano
le nostre terre, ma di cui
spesso non ci soffermiamo
ad ammirare la bellezza.
In questo numero vi
presenteremo la famiglia
dei Sirfidi e il Lepidottero
Macroglossum stellatarum,
creature facilmente
osservabili in Valtellina e
Valchiavenna.
I
Sirfidi sono insetti diurni e
amanti del sole che appartengono all’ordine dei ditteri, chiamati
così perché dotati di due sole ali.
Sono ditteri anche le comuni mosche
domestiche, ma a differenza di queste
ultime preferiscono vivere all’aria
aperta, per questo sono facilmente
osservabili tra i monti della Valtellina. Sono, tra l’altro, una delle specie
più diffuse sul pianeta ed è possibile
trovarli praticamente ovunque, salvo
regioni non proprio ospitali come
l’Antartide o alcune zone desertiche
dell'Africa.
irca seimila le specie di questo
genere di mosche, catalogate
grazie alla spiccata differenziazione morfologica che, nel corso della
storia, ha suscitato curiosità ed interesse tra gli studiosi di insetti data
l’ampia presenza di reperti fossili risalenti al Cenozoico e al Cretaceo. Al di
là dell’eterogeneità, i principali aspetti
che rendono i Sirfidi praticamente
unici nel mondo degli insetti sono
due: gli adulti sono gli artropodi più
diffusi ed i maggiori impollinatori del
pianeta mentre le larve predano altri
insetti come gli afidi.
C
Quale è l’aspetto di
queste simpatiche
creaturine?
I
Sirfidi adulti possono raggiungere
una dimensione massima di circa
82
Le Montagne Divertenti chilometri in un sol giorno spostandosi su fronti larghi quasi duemila
chilometri e profondi oltre mille
superando ostacoli naturali come le
catene montuose.
e montagne valtellinesi pullulano di insetti tra i più curiosi,
tra questi spicca il Macroglossum
stellatarum (letteralmente “Grande Lingua”), appartenente all’ordine
dei Lepidotteri. Altri nomi con cui
è conosciuta sono Sfinge del Galio,
Farfalla Sfinge o Sfinge Colibrì.
uesto lepidottero appartiene
alla famiglia delle “Sfingi” e
di preferenza vola durante il giorno
ma, se si è particolarmente fortunati, è possibile osservarlo all’alba e al
tramonto. In alcune occasioni sono
stati avvistati in giornate piovose, cosa
decisamente inusuale per le farfalle
diurne. La “Farfalla Sfinge” predilige i
mesi più caldi dell’anno, la sua attività
dura all’incirca da maggio fino all’inizio dell’autunno, quando se ne va
svolazzando per prati e giardini tutto
il giorno posandosi sulle corolle solo
dopo il tramonto per riposare. Fisicamente il Macroglossum ha un corpo
piuttosto grosso, tozzo e peloso, ma
nonostante questo il suo volo è rapidissimo (può arrivare a sbattere le ali
ad una frequenza di duecento volte al
secondo). Mentre si libra produce un
ronzio che appunto ricorda quello di
un colibrì. Grazie a questa caratteristica gli è valso l’appellativo di “Sfinge
Colibrì”.
na delle teorie sviluppate
negli anni dagli entomologi
per spiegare la rassomiglianza con
il grazioso uccellino (caratterizzato
dal velocissimo movimento alare e
dal lungo becco sottile che ricorda
la proboscide delle farfalle), ipotizza
che sia il risultato di un’evoluzione
convergente. Differentemente dalle
ali delle altre sue cugine, che vantano
colori sgargianti, quelle anteriori del
Macroglossum sono grigie con sottili
bande scure, mentre le posteriori sono
rosse/arancioni con una punta nera in
cima. L’apertura alare può variare tra
i 45 e i 58 millimetri, cosa che rende
il Macroglossum una delle sfingidi
più piccole. In fondo all’addome è
poi visibile un ciuffo di peli bianchi e
neri, utilizzato come timone per stabilizzare il volo. La Sfinge Colibrì vola
L
Q
Sirfide femmina (Eristalis interruptus) in fase di decollo verticale - (Carona 17 agosto 2008,
foto Paolo Rossi).
25 millimetri, la forma del corpo
può essere tozza o sottile. Altro segno
distintivo è la membrana esterna
(tegumento) che può essere ricoperta
di una sottile peluria. La livrea è di
solito a colori vivaci con riflessi metallici e iridescenti; l’addome può essere
disegnato a bande o a macchie, i colori variano da giallo a bruno alternati
al nero. L’insieme di tutti questi caratteri rende l’aspetto dei Sirfidi decisamente simile ad api e vespe, tanto
che questi diversissimi insetti possono
essere confusi facilmente da occhi
poco esperti.
a capacità di confondere è definita “mimetismo batesiano” ed
è tipica degli animaletti innocui che
la sfruttano per sfuggire ai predatori.
All’origine di questa abilità, che è più
presente in questo genere rispetto ad
altri ditteri, si ipotizza vi sia la specializzazione alimentare, le abitudini
comportamentali e il fatto che con
gli imenotteri (api e vespe) condividono il medesimo territorio e cibo.
Ulteriore tratto fisico tipico dei Sirfidi è la conformazione relativamente
grande del capo: nella maggior parte
dei maschi esso si presenta “oloptico”
(gli occhi si estendono dorsalmente o
frontalmente fino a toccarsi), mentre
nelle femmine è per lo più “dicoptico”
(occhi nettamente distanziati e separati da una zona più o meno ampia).
Il sistema visivo del Sirfide è composto di tre ocelli (occhi primitivi), che
L
reagiscono all’intensità della luce
percependo quella polarizzata, mentre
i due grandi occhi composti sono
fotorecettori più complessi destinati
alla percezione delle immagini.
ome le altre mosche i Sirfidi,
nella maggior parte dei casi,
sono privi di pungiglione, sebbene
alcuni esemplari, del tutto innoqui, possano presentare una sorta di
peduncolo che può essere scambiato
per un’arma di difesa. Altro primato
che spetta a questi piccoli insetti è
la loro particolare abilità nel volare: essi possono infatti roteare velocemente le ali, restando immobili
sospesi nell’aria, in un modo molto
simile all’elicottero - da questo gli
inglesi comunemente li definiscono
“hover flies” ovvero mosche elicottero - ma sono in grado di spostarsi
lateralmente a semicerchio rimanendo sempre rivolti verso il loro obiettivo. Si può osservare questa movenza
soprattutto prima che il Sirfide si posi
su un fiore per nutrirsi.
a loro “dieta” è composta principalmente da nettare, melata
e polline. Tra i vari aspetti comportamentali di questo insetto, ricopre
un ruolo importante la sua mobilità.
Vi sono infatti specie sia stanziali che
migratrici. Queste ultime tra la fine
dell’estate e l’inizio dell’autunno si
spostano verso ambienti più favorevoli per svernare. Uno sciame di Sirfidi
è in grado di percorrere anche cento
C
L
Primavera 2010
U
Le Montagne Divertenti con estrema rapidità da un fiore all’altro restando librata per pochi secondi
sopra di esso. Ciò avviene anche quando deve nutrirsi: per suggere il nettare
- alimento principale della sua dieta allunga la spirotromba, il tipico apparato boccale delle farfalle. Questa,
definita anche proboscide, è formata
da un tubo allungato e flessibile con
il quale riescono a raggiungere le parti
più interne e protette della corolla.
In fase di riposo è tenuta arrotolata
sotto il capo. Si è inoltre scoperto che
può raggiungere una lunghezza pari
a quella dell’intero corpo della farfalla. Ulteriore elemento a conferma
dell’unicità della “Sfinge del Galio” è
la sua buona capacità di distinguere i
colori, come emerso da studi condotti
su numerosi esemplari.
n Provincia di Sondrio la si può
trovare nei prati, in quota e spesso anche negli ambienti urbanizzati.
Pur essendo un insetto migratore
durante la vita adulta non disdegna
di restare nel suo habitat, invece che
migrare verso latitudini più calde,
trascorrendo i mesi freddi nascosto in
anfratti tra le rocce, negli incavi degli
alberi e persino all’interno degli edifici, “mettendo fuori la proboscide”
solo nei giorni più tiepidi per procurarsi del cibo.
I
Livrea dorsale di Sirfide maschio (Eristalis tenax) - (Carona 17 agosto 2008, foto Paolo Rossi).
Il mondo in miniatura
83
Rubriche
fauna alpina
Messaggeri
di primavera
Alessandra Morgillo
Ogni anno in primavera si manifesta la spettacolare rinascita della Natura: in svariate
forme sboccia la vita nei prati e gli alberi si vestono di fiori, tutti gli animali, dimentichi
del gelo che a lungo li ha intorpiditi, si destano sotto i tiepidi raggi del sole che pian piano
diffonde la sua vitale energia.
Ma la primavera giunge da venti lontani, viaggia veloce sulle ali dei suoi messaggeri che,
puntuali, annunciano l’inizio della bella stagione.
84
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Due giovani balestrucci. I proprietari della casa dopo la nidificazione hanno tinteggiato i muri e con essi anche il nido, l'anno successivo la
coppia
di balestrucci
ha ritrovato
e riutilizzato il proprio nido dopo averne rimesso in sesto l'ingresso con delMessaggeri
fango nuovo di
(foto
P. Brichetti).
primavera
Le
Montagne
Divertenti
85
Rubriche
Fauna
Messaggeri di primavera
Nelle settimane tra marzo e aprile riappaiono intrecciando danze
nell'aria, quelle vivaci frecce scure
che sono solite allietare le nostre
giornate estive. Riconquistano i
nostri cieli che hanno abbandonato
in autunno, partendo all’improvviso in grandi stormi. Da dove arrivano? Instancabili volatori, questi
animali hanno trascorso il rigido
inverno al centro e al sud del continente africano e percorrono fino a
10000 km, sfidando la distesa del
Mar Mediterraneo e del deserto del
Sahara, per tornare nel luogo in cui
sono venuti al mondo e in cui faranno nascere i loro piccoli.
T
Bal
est
ru
cc
io
(A
.M
org
illo
)
ra questi straordinari migratori la specie senz’altro più nota
è la rondine. Questo piccolo passeriforme, dal dorso scuro con riflessi
bluastri, il ventre bianco, la gola rossa
e un’inconfondibile coda lunga e
biforcuta, è un uccello un po’ speciale,
dalla forte carica emotiva e simbolica.
Da sempre a contatto con l’uomo, è
ben presente nell’immaginario collettivo come vero e proprio simbolo
della primavera. Ogni località ha le
sue rondini e tanto atteso è il loro
ritorno. Esse, con mirabile puntualità,
mantengono sempre la loro promessa e sanciscono ogni anno la fine dei
rigori invernali. Le loro ardite e festose
acrobazie ne fanno presenza gradita e
molto utile: i giocosi volteggi, infatti,
altro non sono che eleganti manovre
per afferrare col becco
migliaia e migliaia
di insetti.
Sono diverse le specie di
uccelli insettivori
molto simili alle
rondini e spesso
confusi con esse,
che annunciano la
nostra primavera.
La famiglia degli
Irundinidi, a cui
appartiene la rondine
comune
(Hirundo
Le Montagne Divertenti llo)
orgi
M
.
(A
dine
Ron
senza della coda forcuta e per
la colorazione nera del dorso, su cui
spicca un’evidente macchia bianca, e
la parte inferiore del corpo totalmente
bianca. È maggiormente diffuso nelle
zone urbane perché nidifica anche
sulle pareti di edifici a più piani; i
nidi, spesso riuniti in colonie, sono
coppe di fango che aderiscono
quasi completamente ai cornicioni,
se non per una sola piccola apertura
utilizzata come ingresso.
La rondine montana (Ptyonoprogne
rupestris) dai colori grigiastri spenti
e dalle caratteristiche macchie bianche sulla coda, nidifica nelle zone di
montagna, presso pareti rocciose o
edifici di centri abitati, anche oltre i
m 2000.
Il topino (Riparia riparia) è la specie
più piccola delle quattro. Presenta
una colorazione bruno-grigiastra ed è
riconoscibile in volo grazie a una sorta
di collare scuro che attraversa il petto
bianco. È facile individuarlo in prossimità di corsi d’acqua poiché nidifica
in colonie in tunnel sotterranei scavati
nei greti sabbiosi dei fiumi.
Infine la rondine rossiccia (Hirundo daurica) è piuttosto rara e presenta
il capo ornato da una tinta fulva.
Nati per volare
Vi sono poi messaggeri molto
speciali: i rondoni (Apus apus). Differiscono dalle rondini perché sono più
grandi, hanno lunghe ali a forma di
mezzaluna che non piegano in volo,
il corpo è più affusolato e la coda è
corta e poco biforcuta. Volano molto
in alto e prediligono le fresche ore del
mattino e del crepuscolo per sfrecciare
in gruppi assai rumorosi nei cieli dei
centri urbani. Le loro potenti strida
sono inconfondibili e ben diverse dai
cinguettii e garriti delle rondinelle.
Volatori eccezionali, possiedono tutta-
via zampe cortissime che li rendono goffi quando si tratta
di posarsi su qualsiasi
tipo di superficie.
Per
questo
accedono al
nido direttamente volando e infilandosi
nella fessura in cui
esso è riposto, di
solito sotto i coppi o
nei buchi dei muri di
vecchi edifici. Pur rassomigliando agli Irundinidi per forma ed abitudini,
questi appartengono a tutt'altro ordine, quello degli Apodiformi, come i colibrì. Il termine
deriva dal greco e significa letteralmente “senza piedi”, e rimanda alla
progressiva perdita della funzionalità
delle zampe, caratteristica di uccelli
molto specializzati nell’arte del volo.
L’habitat dei rondoni è l’aria e qui
spendono la maggior parte della loro
vita, riuscendo persino a dormire in
alta quota, sorretti probabilmente da
colonne d'aria calda. Un così straordinario adattamento alla vita aerea
fa di questi animali dei cacciatori di
insetti eccezionali: il loro volo agile e
potente li rende in grado di compiere
picchiate vertiginose e rapide virate, la
perfetta aerodinamica consente loro
di superare i 150 km/h in volo rettilineo, detenendo perciò il record assoluto di velocità nel mondo animale
per questo tipo di volo.
problema soltanto dal punto di vista
ecologico, ma è anche il segno di un
deterioramento dell’ ambiente in cui
vivono gli uomini.
Particolarmente sensibili
alle modificazioni
ambientali, infatti, le
rondini e le specie affini
possono considerarsi
"indicatori biologici" della
qualità ambientale, ovvero
vivono e prosperano solo
dove le condizioni naturali
non sono compromesse.
Ma non tutti ritornano
Negli ultimi decenni questi
utilissimi animali sono in
preoccupante diminuzione.
Un tempo se ne contavano
a migliaia, invece oggi ci
accorgiamo che numerosi tetti rimangono
vuoti e in alcune zone
addirittura le rondini non
si vedono più.
La causa principale è forse
imputabile all’uso massiccio
di pesticidi adoperati in campo
agricolo che hanno drasticamente ridotto gli insetti di cui
le rondini si cibano. Questo
impoverimento, però, non è un
Primavera 2010
lo)
Morgil
ne (A.
Rondo
86
Non solo
rondini
rustica),
è
rappresentata
in Italia da altre quattro
specie.
Il
balestruccio
(Delichon
urbicum) si distingue dalla
rondine per l’as-
Infatti, a mettere ulteriormente in
difficoltà questi uccelli concorre anche
la trasformazione del loro habitat di
nidificazione: la progressiva cementificazione di vaste aree li privano per
esempio di quella risorsa di fango
e di terriccio indispensabile per la
costruzione dei nidi e la modernizzazione della struttura degli edifici offre
sempre meno siti riparati con facile
accesso come rustici, casolari, o vecchi
fienili e stalle, oggi sostituiti da grandi
capannoni metallici senza possibilità
di entrata per le rondini.
Capita persino che i nidi vengano
rimossi volontariamente in quanto
considerati antiestetici e fonte di sporcizia. Ma il problema si può contenere installando sotto di essi mensole
removibili al termine della stagione
riproduttiva e inoltre va ricordato che
le rondini, compresi i loro nidi, uova
e nidiacei, sono protetti dalla legge
157/92 e dall’articolo 635 del Codice penale che ne vieta l’uccisione e la
distruzione. Non bisogna nemmeno
tentare di spostarli, poichè una volta
staccato dal suo sito, un nido fatto di
fango si danneggia irreparabilmente e
non può più essere collocato altrove;
in questo modo si chiede un enorme
dispendio energetico ai suoi costruttori che, già indeboliti dalla lunga
migrazione, dovranno mettersi alla
ricerca di un luogo più sicuro e realizzare nuovamente la loro opera.
Non è un caso dunque che queste
creature abbiano sviluppato quella
straordinaria capacità di orientamento
che ogni anno permette ad ognuna
Le Montagne Divertenti Una rondine raccoglie le pagliuzze per il nido nel fango - (Sondrio 25 aprile 2008, foto Franco
Benetti).
Per saperne di più
V
isitate il sito www.ornitho.it, si tratta dell' unica piattaforma
nazionale per la raccolta, l'archiviazione e la condivisione
dei dati ornitologici italiani. Iscrivendosi è possibile inserire in
modo semplice e veloce le proprie osservazioni, condividere i
propri dati con altri appassionati e collaborare alla realizzazione
degli atlanti sugli uccelli nidificanti e su quelli presenti in inverno
in Italia.
R
egistrate l’arrivo della bella stagione annotando sul
sito www.springalive.net gli avvistamenti dei messaggeri
primaverili per eccellenza come la cicogna bianca, la rondine,
il rondone e il cuculo. I risultati saranno illustrati sotto forma di
mappe animate che mostreranno il progressivo avanzamento
della primavera in Europa.
Il progetto di educazione ambientale “Spring Alive”, realizzato
in Europa da BirdLife International e in Italia dalla LIPU (Lega
Italiana Protezione Uccelli), coinvolge bambini, ragazzi, scuole
e famiglie.
di loro di ritrovare il proprio vecchio
nido. Già gli antichi notarono questo
comportamento: i Romani, per esempio, contrassegnando le rondini con
nastrini colorati ne verificavano il
ritorno e le ritenevano il simbolo di
fedeltà alla casa.
e per i nostri nonni ospitare
un nido di rondine presso la
propria abitazione era considerato di
buon augurio, oggi può assumere un
valore importante per la natura, come
gesto di sensibilità e di rispetto per
una specie in difficoltà.
noltre, la presenza di uccelli
insettivori nei nostri centri abitati
S
riveste un’utilità ecologica non indifferente, in quanto contribuiscono a
ridurre sensibilmente il numero di
insetti, comprese le fastidiosissime
mosche e zanzare.
Rondini, rondoni e altri uccelli
migratori sono purtroppo minacciati anche nei loro quartieri invernali
africani da un’agricoltura chimica e
intensiva, ma bastano piccole attenzioni e modesti interventi per rendere
almeno il nostro ambiente più ospitale.
I
Messaggeri di primavera
87
Speciali
di primavera
flora
alpina
D
opo le bulbose nivali sbocciano i narcisi, anch’essi
appartenenti alla famiglia delle Amaryllidacee.
Il nome del genere Narcissus deriva
dal termine greco narkòo che significa
“stordire” in relazione all’intenso
profumo dei fiori. I bulbi di queste piante
contengono alcaloidi particolarmente
tossici, che agiscono sul sistema nervoso.
Franco Cirillo
L
e piante si servono di diversi metodi per accumulare
sostanze nutritive da utilizzare al momento del bisogno. Particolarmente interessanti sono le bulbose, ovvero
quelle piante che alle radici presentano un bulbo, cioè un
ingrossamento ricco di nutrienti situato sotto o a livello del
terreno.
Per fare un esempio noto a tutti citiamo la comune
cipolla (Allium cepa L., fam. Liliacee) ove la parte radicale è costituita da foglie ingrossate e carnose strettamente
raccolte a formare, appunto, un bulbo.
L’attrattiva caratteristica delle bulbose è non solo culinaria, come nel caso sopra citato (anzi alcune sono velenose),
ma sono in genere apprezzate anche per i loro fiori appariscenti.
Le bulbose sono diffuse in tutto il mondo e presentano
tantissime specie. Sono molto resistenti perché proprio nel
bulbo accumulano l’acqua necessaria a superare periodi di
siccità, nonché le sostanze grasse per sopravvivere alle basse
temperature. Tra quelle adatte al clima montano e alpino
vi sono specie che fioriscono a inizio primavera, addirittura quando le nevi non sono ancora del tutto sciolte, con
maturazione dei semi in autunno, e quelle che fioriscono a
primavera inoltrata quasi prossima all’estate.
Tra le prime, le più comuni in Valtellina sono il croco, il
bucaneve e il campanellino di primavera.
l croco (Crocus vernus L. fam. Iridacee) fiorisce da
febbraio a maggio. I suoi minuscoli fiori, tipicamente
a forma di coppa, si aprono al sole e tappezzano i prati
alpini. Il colore va dal bianco puro al viola, con tutte le
tonalità intermedie.
Lo sapevate che lo zafferano (Crocus sativus L.) appartiene allo stesso genere ed è molto simile morfologicamente al
croco alpino? Il nome, infatti, deriva dal greco kròkes che
significa “filo di tessuto” e si riferisce ai lunghi stigmi rossi
dello zafferano coltivato che, raccolti pazientemente ed
essiccati, costituiscono una delle spezie di maggior valore.
Il suo nome volgare deriva dal persiano za’faran che significa oro, luce, saggezza rivelata.
l vero bucaneve non è quindi il croco, bensì il Galanthus nivalis L. (fam. Amaryllidacee) che presenta una
elegantissima corolla a sei tepali di cui tre più corti bianchissimi, con un macchia verde a forma di “V” al termine
del singolo tepalo. Il nome del genere Galanthus deriva da
due parole greche: gala cioè “latte” (per il colore bianco
simile il latte) e anthos che significa “fiore”. Mentre il nome
specifico nivalis fa riferimento alla sua precoce fioritura in
mezzo alla neve.
olto simile al bucaneve, ma mai contemporaneamente presente, è il campanellino di primavera
(Leucojum vernum L. fam. Amaryllidacee) anch’esso con
macchia verde chiaro, quasi giallastra, presente su tutti i
tepali di una corolla che si conforma ad un regolare e
gonfio campanello.
R
Paradisea liliastrum (12 giugno 2009, foto Franco Cirillo).
icordiamo il Narcissus tazetta L. bianco con la
paracorolla centrale a forma di piccola tazza (da cui
il nome) di colore arancione e il Narcissus pseudonarcissus L. completamente giallo, con la paracorolla centrale a
forma di trombetta da cui deriva anche il nome volgare di
questa specie. Quest’ultimo narciso è alquanto diverso da
tutti gli altri, per cui Linneo non voleva annoverarlo tra i
narcisi e da qui l’appellativo pseudonarcissus, ovvero falso
narciso.
on i primi caldi di aprile le vigne valtellinesi si ricoprono spesso di azzurro: è il muscari (Muscari botryoides L. fam. Liliacee), stranissima infiorescenza formata
da tante piccole campanelline blu raccolte intorno ad un
unico gambo. Il nome deriva forse dal fatto che alcune
specie hanno un leggero profumo di muschio. I giardinieri
li usano spesso in grandi quantità per simboleggiare ruscelli
o laghetti. Il lampascione, o cipollaccio, usato in cucina è il
bulbo di Muscari comosum (L.) Mill., liliacea estiva diffusa
in Valtellina nei coltivi e campi abbandonati.
maggio alle quote montane fioriscono i gigli che
danno il nome alla fam. delle Liliacee: il giglio bianco (Paradisia liliastrum L.) è comune sulle praterie solatie
e fertili; il giglio di San Giovanni (Lilium bulbiferum L.)
rosso arancio, severamente protetto, ama le pendici dirupate asciutte e solatie su terreno basico (calcare) e il martagone (Lilium martagon L.), detto anche turbante di turco
per l’aspetto dei petali carnosi rivolti all’indietro, si può
incontrare nei boschi radi di latifoglie, arbusteti e pascoli.
Per la semplicità della loro coltivazione, è sufficiente
infatti interrare il bulbo, le bulbose sono molto apprezzate
dai fiorai che le hanno selezionate e trasformate, riuscendo
persino a creare esemplari giganti molto belli e appariscenti.
C
Crocus vernus (30 aprile 2006, foto Franco Cirillo).
I
Narcissus pseudonarcissus (20 aprile 2009, foto Franco Cirillo).
Crocus albiflorus (25 aprile 2009, foto Alessandra Morgillo).
A
I
Leucojum vernum (13 marzo 2009, foto Franco Cirillo).
M
88
Le Montagne Divertenti Galanthus nivalis (13 marzo 2009, foto Franco Cirillo).
Primavera 2010
Lilium martagon (30 giugno 2009, foto F. Cirillo).
Le Montagne Divertenti Lilium bulbiferum (30 giugno 2008, foto Franco Cirillo) e il Narcissus
poeticus (25 aprile 2009, foto Alessandra Morgillo).
Flora Alpina
89
arte e montagna
Beno
E
F
Non lasciarci a secco:
dona sangue e torna a donare.
Se hai compiuto 18 anni e sei in buona salute, scegli di donare il tuo sangue.
Un gesto semplice e prezioso che aiuterà molte vite a ripartire.
90
AVIS SEZIONI COMUNALI DELLA PROVINCIA DI SONDRIO:
AVIS DI BORMIO 0342 902670, AVIS DI CASPOGGIO 0342 451954, AVIS DI CHIAVENNA
0343 67297, AVIS DI LANZADA 0342 452633, AVIS DI MORBEGNO 0342 610243, AVIS DI
POGGIRIDENTI
0342
Le
Montagne Divertenti
380292, AVIS DI SONDALO 0342 801098, AVIS DI SONDRIO 800593000
Inverno 2009
L’
arte si esprime con un lampo di genio, un’intuizione vanescente che dà vita e forma a
sentimenti e sensazioni.
E’ emozionante assistere al concepimento di un quadro, di una poesia, di una fotografia,
vedere l’artista che, colto da ispirazione, materializza la propria idea.
Proprio questi attimi sono i miei più bei ricordi di Ferruccio Vanotti, uno dei maggiori pittori
contemporanei valtellinesi, prematuramente scomparso nel 2007.
Rubriche
Arte e montagna
I
l mattino era lì in piedi dinnanzi
al cavalletto.
Le luci entravano prepotenti nel suo
studio di Polaggia.
Mi strofinavo gli occhi e lo osservavo. Era immerso in uno stato di
ascesi contemplativa della tela e di
un'immagine di paesaggio che, come
un amuleto, evocava l’ispirazione.
In una mano teneva la tavolozza del
colore, nell’altra pennello e sigaretta.
Lo sguardo era fisso, concentrato su
un punto che pareva stare al di là del
dipinto e del soggetto.
Attimi di silenzio, passi avanti e
passi indietro per cambiare prospettiva. Momenti d’immobilità. Poi d’improvviso una serie di pennellate sicure
e il quadro prendeva vita. Sembrava
che Ferruccio avesse già tutta l’opera
disegnata in testa.
F
erruccio Vanotti, classe 1952:
un vero e proprio talento. Già
da bambino si era messo in evidenza vincendo alle scuole elementari
un concorso nazionale di disegno.
Premio un'enciclopedia; mai ritirata
perchè scendere fino a Roma era allora una trasferta troppo onerosa.
Poi la prosecuzione degli studi lo
aveva portato su una strada lontana
dall’arte. Prima di completare la scuola superiore, aveva trovato impiego
come meccanico nelle Ferrovie dello
Stato, quindi era diventato macchinista sulla linea Milano-Sondrio.
Dall’inizio degli anni ‘80 Ferruccio
si era nuovamente dedicato alla pittura con costanza. Soleva dire, ricorda
l'amico Bruno Bongini: "ho dentro
di me un roveto e attraverso la pittura
cerco di districarmici."
I primi timidi esperimenti di arte
figurativa, fra cui molti ritratti, erano
maturati rapidamente e la presa di
consapevolezza delle proprie capacità
lo aveva portato a definire quel suo
personalissimo stile pittorico, caratterizzato da trasposizioni oniriche del
paesaggio intrise di una straordinaria
sensibilità prospettica e cromatica1.
Ferruccio ricostruiva i paesaggi
con associazioni apparentemente
arbitrarie del colore, cromie inusuali,
1 - "Da alcuni anni si dedica prevalentemente al
paesaggio, creando sovente visioni immaginarie dalla
policromia scintillante; egli stesso ama definirsi a giusto
titolo un colorista." D. Micault
92
Le Montagne Divertenti "L'albero" (acrilico 70x50cm) e, in copertina a questa rubrica, "La foresta degli gnomi" (acrilico 50x70cm). I due quadri, pur trasmettendo
sentimenti contrapposti (pace ne "L'albero" e minaccia ne "La foresta degli gnomi"), ben rappresentano la dimensione fiabesca dei quadri di
Ferruccio dove bellezza e regolarità delle forme sono elementi di secondo ordine nella percezione dello spazio e della natura.
Ferruccio Vanotti mentre dipinge a ScarpatettiArte.
che poi, quando si sdraiavano vicine
sulla tela, riacquisivano pace e unità.
La forte tensione tra i singoli tratti
si distendeva nell’equilibrio fiabesco
dell’opera.
Trapela dai suoi dipinti anche l’importanza del contesto naturale valtellinese, di cui aveva conosciuto ed
esplorato le montagne.
Sempre attivo nel sociale, Ferruccio
amava rendere partecipi gli altri della
sua arte e, come raramente accade,
dipingeva volentieri a quattro mani
con artisti o apprendisti. Frequentissime, in particolare, le collaborazioni
in numerosi murales con l’amico
Gianni Crotti.
Di questo desiderio di condivisione
ne hanno beneficiato il Gruppo Arte
Libera - dove teneva corsi -, ScarpatettiArte, i bambini e i detenuti a cui
aveva insegnato a dipingere e persino
i degenti degli ospedali cubani i cui
muri sono impreziositi dai suoi murales raffiguranti la magia delle nostre
montagne.
Ferruccio, sposato e padre di due
figlie, nell’ultimo periodo della sua
vita si era dedicato sempre più all’arte, ampliando i propri orizzonti grazie
a viaggi all’estero e approfondimenti
sulle filosofie orientali.
Primavera 2010
Il realismo delle opere si era così
lentamente dissolto in visioni interiori
dense di luce e di personalità.
I quadri di Ferruccio Vanotti sono
una via di fuga dal quotidiano, un
invito a entrare nel suo mondo fantastico per cercare le risposte che sfuggono quando si accetta acriticamente
la fredda logica di un sistema votato
alle guerre e alle ingiustizie.
A portarselo via nell’agosto del
2007 è stata una malattia tanto rapida quanto letale, appena pochi mesi
dopo la pensione che gli aveva regalato la possibilità di fare il pittore a
tempo pieno:
“A
ll”improvviso, senza ripensamenti. Anche la morte ha il
senso dell’arte e a Ferruccio lo ha presentato sotto forma di un foglietto in bianco
e nero, però giusto il tempo di prendere
conoscenza della malattia senza poi
poter più ritoccare il disegno, quello
divino o del destino che ci rende anche
noi pastelli e colori della stessa tela.2”
2 - Ricordo di Luca Paini su www.vatellinarte.it.
Le Montagne Divertenti “Come nascevano i quadri
di Ferruccio?”
“Che criteri usava per la
scelta delle cornici?”
“Quasi sempre utilizzava dei soggetti (cartoline o fotografie) come base”
mi racconta la figlia Manuela “ma
dandone una libera interpretazione
secondo il suo gusto personale. Addirittura quando gli venivano commissionati soggetti da privati riusciva
sempre a fare l’opera come più gli
aggradava, riconducendola a ciò che
più gli piaceva .”
“Andava a periodi. Inizialmente
sceglieva cornici belle, preziose, poi
si era messo a farle lui, dipingedole a
mano, mentre gli ultimi quadri li ha
voluti senza cornice.”
“Quanto impiegava per
realizzare una tela?”
“Dipingeva di getto, aveva una
produttività altissima. Talvolta un
quadro era pronto in meno di un’ora;
tavolta dopo la foga iniziale si fermava
e copriva la tela per riprendere a lavorarci magari anche dopo mesi.”
“Il Ferry firmava i quadri appena
dopo averli abbozzati” aggiunge la
moglie Paola mostrandomi la sua ultima opera del 2007, ancora incompiuta ma già firmata.
“Com’è avere un padre
artista?”
“A dire il vero, e me ne dispiaccio,”
– sottolinea Manuela – “la bravura di
mio padre mi ha spesso resa gelosa e
mi ha portato quasi a un rifiuto della
pittura stessa. Adesso che lui non c’è
più mi rendo conto a malincuore di
quante cose avrei potuto imparare da
lui e che, per puro orgoglio, non ho
voluto ascoltare a tempo debito.
Sono tuttavia felice che lui si sia
dedicato al Gruppo Arte Libera, di
cui è stato fondatore e direttore. Lì ha
insegnato la pittura ad allievi e amici.”
“Ricordi Ferruccio quando
dipingeva?”
Ferruccio Vanotti (1952-2007)
93
Rubriche
Arte e montagna
“Era concentratissimo, assente.
Diceva sempre di sì a tutto ciò che gli
si chiedeva, era un po’ la caricatura di
Homer Simpson quando guarda le
televendite. Ed io, “ aggiunge Manuela sorridendo, “ sapevo che quella era
l’occasione per fargli firmare i brutti
voti a scuola o farmi dare dei permessi
altrimenti insperati.”
“Quali sono stati gli ultimi
soggetti che ispiravano
Ferruccio?”
"Nei suoi soggetti - i paesaggi e il
sogno - non c’era spazio certo per la
denuncia sociale.
Ciò, tuttavia, non intendo dire che
scindesse l’arte dal suo impegno sociale, anzi, l’arte era proprio il mezzo per
realizzare ciò in cui credeva.
Ha infatti dipinto coi detenuti
nelle carceri, insegnato ai più piccoli
e decorato gli ospedali civili a Cuba
dando così alla pittura dei connotati
sociali.”
“Dove si possono ammirare
le sue opere?”
“Molte sono state acquistate e si
trovano in abitazioni private, ma
si possono vedere i suoi murales a
Berbenno, lungo il Sentiero Valtellina, a Triasso …
All’indirizzo
http://ferrucciovanotti.carbonmade.com
sono inoltre presenti le immagini dei
suoi lavori”.
“Sicuramente i piccoli paesi di mare
o di lago, con le casette abbarbicate
che si specchiano nell'acqua.”
“Può essere interpretato
come un desiderio di fuga?”
“No, lui era un sognatore attratto
da luoghi incantati, casette, gnomi,
boschi, fate e folletti. Mi ricordo che
quando ero piccola mi rubava spesso il libro di favole per ammirarne le
figure.”
“Nella sua lunga carriera ha
avuto dei rimpianti?”
“Certamente gli pesava non aver
frequentato scuole specifiche d’alto
livello, non avere un titolo ufficiale e
certamente il non essersi confrontato
con realtà di tipo accademico. Appena
in pensione, ti dirò, stava meditando
di iscriversi all’Accademia d’Arte!”
“Ferruccio era fortemente
impegnato nel sociale,
uomo di sinistra e
interessato alle tematiche
politiche; ma i suoi quadri
sembrano lontani da tutto
ciò...”
Nella pagina a fianco:
"Oceano rosso" (acrilico 100x70cm).
Può sembrare assurdo, ma in questa tela dai
colori eccezionali e dal soggetto tutt'altro
che alpino, ho sentito il forte legame con la
montagna di Ferruccio. Questo oceano non
spaventerebbe un montanaro: è stupendo
ma senza onde cannibali e l'incognita dell'
infinito. L'addensarsi dell'aria, infatti, lo
limita e come le montagne che proteggono
la nostra valle, impedisce di precipitare
nell'orizzonte.
94
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Le Montagne Divertenti "Case di cartone" (acrilico 70x50cm). I paesini abbarbicati sopra specchi d'acqua sono stati tema
ricorrente nelle ultime tele di Ferruccio Vanotti.
"La voce chiara del fiume" (acrilico 100x70cm).
Ferruccio Vanotti (1952-2007)
95
RimA e prosa in dialetto
Ul valdambrìi
Luigi Zani
Il vice presidente dell’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca
Gabriele Antonioli mi ha scherzosamente definito “uno degli ultimi mohicani”! Questi
“mohicani”, di cui faccio parte, sono gli ultimi superstiti originari di Ambria, un piccolo paesino
nel comune di Piateda che sorge a m 1325, alla confluenza fra i torrenti Venina e Zapello.
Con gli ultimi indigeni di Ambria è in via di estinzione anche l’originario dialetto (detto
valdambrìi) che, oramai, ben poche persone sono ancora in grado di capire e di parlare.
I
l dialetto “valdambrìi” è un patrimonio culturale a tutti gli effetti
in quanto era e rimane parte integrante di questo piccolo e remoto paesino
di montagna che lo utilizzava quale
unico sistema di comunicazione.
Il “valdambrìi” è un dialetto arcaico
e, come tale, ha il pregio di non essere
stato soggetto nel tempo da influssi linguistici esterni; mentre, quasi
nella totalità dei casi, i paesi limitrofi
hanno adeguato o “lombardizzato” il
loro dialetto originale. Probabilmente
la posizione geografica di Ambria ha
fatto sì che i contatti con i paesi vicini fossero limitati o comunque non
abbastanza prolungati nel tempo da
influenzare e/o alterare in qualche
modo la parlata.
L’
inesorabile avanzare del
tempo, tuttavia, porta con
sé anche le preziose testimonianze della gente e, di conseguenza, il
“valdambrìi” è destinato a estinguersi in pochi anni.
È un po’ come se venissero a mancare, una dopo l’altra, tutte le persone
che custodiscono dei piccoli segreti
mai svelati, tasselli di un mosaico che
non sarà più possibile ricostruire. È
chiaro che, senza alcuna testimonianza scritta, questo inestimabile patrimonio culturale andrà perso.
Perciò da diversi anni sono impegnato alla realizzazione del dizionario
etimologico del dialetto di Ambria,
raccogliendo tutte le testimonianze
orali che possono aiutarmi nel mio
scopo.
Tanti di voi si chiederanno perché
dedico buona parte del mio tempo
libero nell’approfondimento di questo
dialetto in via di estinzione: chi visita
Ambria rimane stregato dal paese e
sicuramente anche la sua “lingua” ha
un effetto tale.
I
l 13 novembre 2009 a Piateda, in occasione dell’incontro
organizzato da Marino Amorini sulla Guida Alpina Giovanni
Bonomi e condotto da “Beno”, ho
presentato I dùu scióor, una mia
poesia in originale “valdambrìi”
dedicata appunto a Giovanni Bonomi, leggendaria figura delle nostre
montagne.
Fonetica
I dùu scióor
ul ghişàtt al dundàava tacàt sü àla müscia
ndegàat ca lauràavi a fàa dùu tontógn
séeti a truntunàa pósa l’üss
al sa ntèersa scià a bèlbèl
e ‘l pàar descià ul Giuànn di Bunùm
cun dùu furèšc’ cài vuléeva scimà tresü la Vinìna
üü l’éera l’àarma nèta netènta
l’òotru l’éera iscé ‘n petasciùu cul portašpüüda
ma a vardàa dài mandrù ca i éeva sü
i paréeva pròpi dùu scióor
fó ndàa la cràpa e vàardi ‘l Bunùm cal tràava a grignàa
trezzót a chìi bàff néegri tücc’ štur­ğiüüc’
cài paréeva la cùua dün müşaràgn
ndegàat che i dùu scióor i lauràava a cüntàla fó ntéla nsèera,
ac fóo cul Bunùm
“ngött indàa tresü per i catapìzz
cul petasciùu cal na büt a gràmm a rivàa tresü ‘n Ambria?
.....ét ca dàcc’ améet cal bufàava cugnà ‘n màntes,
iló ‘l ta cràpa sü da öör a nna quài pludìscia!”
aràl vardàat ğió vergüü?
.....l’éera dréet a trà ‘l téep,
la tacàat de sumèlech e de trù ca ‘l tremàava a li başèrghi
gliùura, tàat da badentàa i dùu scióor, tàchi la ‘l peröll da fa scià ‘npóo ‘d còola
per una corretta pronuncia del valdambrìi
c'
cc'
cch
ch
é
è
ğ
ó
ò
ö
s
š
ş
ss
ü
z
ź
96
vàardi i dùu furèšc’ e ‘glà fó ca a tignìss,
al magrétt ac fóo tarà sü l’acqua nèta
e c’dìşi da seguitàa a mööf ul tarài sedenò la tàca ğió,
a l’òotru büdelùu a c’fóo cüntàa cincènt gràa de sàal
e c’dìşi da štà atènt, né üü de pü né üü de méenu,
sedenò an sé ca ncàas da fàcch tra sü ‘l bói
suono dolce, pronuncia semplice in fine di parola (calcio) = cunvìnc'
suono dolce, pronuncia doppia in fine di parola (miccia) = bòcc', cavìcc'
suono duro, pronuncia doppia in fine di parola (piccone) = pìcch, bècch
suono duro, pronuncia semplice in fine di parola (casa) = cèrech, fìich
per i suoni chiusi (méla) = ciapéll, fée
per i suoni aperti (bèllo) = bèll, fèrr
si pronuncia contemporaneamente una sce e una g (come dal francese jean) = ğélt, bàağiul
per i suoni chiusi (órso) = órs, blótt
per i suoni aperti (òsso) = òss, fòort
suono chiuso (ö lombardo/dal tedesco) = cört, rööda
sorda, pronuncia semplice (sale) = sàal, saiòtt
si pronuncia come le due consonanti “s” e “c” separate (ascia) = šciòpp, féšta
sonora (rosa) = peşànt, pişucàa
sorda, pronuncia doppia (rosso) = róss, péss
suono chiuso (ü lombardo/dal tedesco) = grüff, ferüüda
sorda (calza) = zàpa, zòcul
sonora (zero, zanzara) = źìu, brónźa
Le Montagne Divertenti ndóo ğió ntùl bàit e, ndegàat ca scìmi ‘l culderàtt cun la šplàana
al ma vée lannàaz ai öcc’ la móta ‘d butéer
c’aréss pudüüt fa scià sàl föss ca dàcc’ scià chi dùu magòoregn!
plée cugnàa sciàcc’ i dùu scióor, tàat cuntéec’,
i dervìss fó ‘n bursàtt cugnàa nn’armònica
e i ma šlùnga scià dées ghèi perű
.....éevi téep a vénden de butéer!
Plizar
Primavera 2010
Le Montagne Divertenti viàt scià tardulìi i sa nvìia, i é bunaméi foğió crónti al càap dàla camaméla
ma crìidi:
“salüüdi Bunùm, ac végnet a dumàa?”
al sa gìira, al ma vàarda, ma ‘l rešpónt ca,
al tra nùma a grignàa trezzót a chìi bàff néegri tücc’ štur­ğiüüc’
I dùu scióor
97
Rubriche
fotografia
I due signori (traduzione)
la pentola ondeggiava appesa alla müscia1
intanto che sbrigavo alcune faccende
sento rumoreggiare vicino alla porta
fuoco per preparare un po’ di polenta
si socchiude lentamente
e si affaccia il Giovanni Bonomi
accompagnato da due forestieri che volevano salire verso la
Val Venina
uno di loro era magro magro2
l’altro era un trippone con la barbetta
ma osservando attentamente i vestiti che indossavano
sembravano proprio due signori
i due signori stavano nel frattempo conversando fuori sul
viottolo
allora mi rivolgo al Bonomi
“dove vuoi avventurarti sui crepacci
col trippone che è arrivato a malapena fino ad Ambria?
..... non hai notato che sbuffava come un mantice,
vedrai che muore vicino a qualche pludìscia3!”
qualcuno avrà guardato giù dal cielo?
..... il tempo stava peggiorando,
sono iniziati lampi e tuoni che facevano tremare anche le
case
allora, per intrattenere i due signori, metto il paiolo sul
Ruttico
gomme
Fenomeni naturali
come catturarli?
Roberto Moiola e Beno
vado nel bàit5 e, intanto che scremavo il latte di una
caldaia con la šplàana6
vedevo davanti agli occhi il grosso pezzo di burro
che avrei potuto ricavare (da quella panna) se non fossero
arrivati questi due babbei!
ondeggio con la testa mentre guardo il Bonomi che
accenna un sorriso
sotto quei baffi neri tutti attorcigliati
che sembravano la coda di un toporagno
1 - Palo di legno conficcato nel muro adiacente al focolare.
2 - L’àarma nèta netènta = solo lo scheletro.
3 - Grossa pietra piatta e liscia.
guardo i due forestieri e non riesco a trattenermi,
a quello più magro gli faccio rimestare il paiolo con l’acqua
limpida
e gli raccomando di continuare a rimestare con il tarài4
altrimenti l’acqua aderisce al fondo,
all’altro trippone gli faccio contare cinquecento grani di sale
e gli raccomando di stare attento nel conteggio, né uno di
più né uno di meno,
altrimenti non saremo più in grado di portare l’acqua ad
ebollizione
sazi come rospi i due signori, tanto soddisfatti,
aprono un portafogli come una fisarmonica
e ognuno di loro mi porge dieci centesimi
..... quanto burro avrei dovuto vendere (per ricavare venti
centesimi)!
sul tardi prendono la via del ritorno, sono quasi all’altezza
del camposanto ma urlo:
“ti saluto Bonomi, vieni anche domani?”
lui si gira, mi guarda, ma non mi risponde,
accenna solo un sorriso sotto quei baffi neri tutti
attorcigliati
4 - Palo di legno utilizzato per mescolare la polenta
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utto
T
ciò che
possiamo
immaginare la
Natura l'ha già
creato ed è con questa
certezza che dobbiamo
ammirare il mondo
che ci circonda. Ogni
giorno, consapevolmente o
inconsapevolmente, assistiamo
a dei fenomeni naturali che ci
fanno rimanere allibiti dinnanzi
alla loro bellezza. Pensiamo agli
arcobaleni, ai fulmini, alle nubi di
forme e colori strani, ai tramonti, alle
piogge di sabbia...
Un tempo il loro fascino era accresciuto
dall'incapacità di spiegarli, perciò spesso
venivano associati a delle manifestazioni del
divino, pensiamo a fulmini e tuoni, imputati
agli umori di Giove, dio del cielo.
Oggi la scienza può svelarci l'origine di quasi
tutte le cose, ma certe situazioni ci lasceranno
sempre a bocca aperta.
Sono soggetti che colpiscono innanzitutto per la
loro immagine anomala, quasi magica, e in quanto
tale difficile da immortalare.
In queste pagine mostreremo i più noti fenomeni
naturali dell'ambiente alpino e, dopo averne dato
spiegazione scientifica, sveleremo i trucchi per riuscire a
fotografarli.
Andalo Valtellino, l’arcobaleno verso le orobie (15 giugno 2007, foto Ricky Scotti).
98
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Le Montagne Divertenti L'arte della fotografia
99
arcobaleno
A
pagina 99 osserviamo un doppio arcobaleno. L'arcobaleno primario (sequenza
dei colori dall'esterno: rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto)
con all'esterno, più grande e meno luminoso, un arcobaleno secondario (i colori sono
invertiti). L'area scura compresa fra i due archi viene chiamata "banda di Alessandro"
(Alessandro di Afrodisia fu il primo a descriverla nel III secolo d.C.).
L'arcobaleno, che nella mitologia greca e cristiana è un segno di comunicazione tra
uomo e divinità, in realtà è un fenomeno ottico che scaturisce dalla dispersione e dalla
diffrazione della luce solare contro delle particelle d'acqua in sospensione (vedi figura a
fianco). Lo possiamo perciò osservare dopo un temporale, ai bordi di una cascata o di
una fontana. La luce solare bianca, entra nella gocciolina d'acqua per poi essere riflessa
all'indietro alla successiva interfaccia goccia-aria. Nei passaggi aria/acqua la luce viene
anche rifratta e ad ogni lunghezza d'onda sono associati angoli diversi che portano alla
scomposizione in bande cromatiche. Lo spettro cromatico risulta inoltre "ribaltato"
perchè la goccia ha un punto focale al suo interno. L'arcobaleno di per sè non esiste nel
cielo, ma è un fenomeno percepito solo quando l'angolo tra la luce solare e il segmento goccia-osservatore è fra 40° e 42°
(da questo ne deriva anche la forma circolare). Tali angoli implicano che per osservare l'arcobaleno dopo un temporale il
sole dev'essere basso sull'orizzonte.
L'arcobaleno secondario è l'effetto della doppia riflessione della luce solare all'interno delle goccioline d'acqua. Questa
luce viene percepita quando l'angolo tra la luce solare e il segmento goccia-osservatore è fra 50° e 53° (perciò appare
più alto nel cielo). La doppia riflessione interna implica anche un doppio ribaltamento, ed è per questo che la sequenza
cromatica è invertita.
Benchè più difficili da osservare, esistono arcobaleni tripli e quadrupli, oltre che arcobaleni circolari di luna, ma in
questo caso il nostro occhio, data la scarsa luminosità, coglie solo in minima parte la scomposizione cromatica.
ra i fenomeni naturali l'arcobaleno è il più semplice da fotografare, sia perché si materializza di giorno che perché
non è poi così raro da incontrare. Solitamente questo evento ha luogo in estate dato che il temporale ne è l’artefice principale. Attendiamo la fine del maltempo e speriamo nell’arrivo repentino del sole che, illuminando verso la
perturbazione in allontanamento, ci regalerà la magia di colori che tutti conosciamo. Per poter fotografare un arcobaleno
dobbiamo avere l’accortezza di controllare la messa a fuoco. L’arcobaleno infatti, non avendo consistenza potrebbe andare
fuori fuoco, meglio quindi una messa a fuoco manuale. Importante attenzione va poi indirizzata verso l’inquadratura:
cerchiamo di isolare la scena includendo nello scatto soggetti interessanti come una chiesa o una porzione di paesaggio.
T
fulmine
I
l fulmine è una scarica elettrica che avviene in atmosfera e si instaura tra due corpi con grande differenza di potenziale. Nell'85% dei casi di fulmine tra cielo e terra accade che le cariche negative presenti nella parte bassa delle nubi
inducono cariche positive al suolo finchè la differenza di potenziale tra terra e suolo supera un valore compreso tra gli 80
milioni e 1 miliardo di Volt. In questa situazione si genera una prima scarica invisibile diretta dalla nube verso il terreno
detta "scarica pilota". La sua velocità si aggiara sui 100km/s. Analogamente dalla terra parte una "scarica di richiamo".
Quando le due si incontrano, preparando così un canale ionizzato conduttore, si genera il fulmine, o "scarica di ritorno"
(dai 10 ai 200 mila Ampere, un'energia in grado di far funzionare per 3 mesi una lampada da 100 W). Ad esso sono
associati un effetto luminoso detto "lampo", la cui durata è attorno al decimo di secondo, e uno sonoro detto "tuono",
dovuto all'espandersi dell'aria riscaldata dal passaggio del fulmine. Data la minore velocità del suono rispetto alla luce, il
tuono viene percepito dall'osservatore con un certo ritardo rispetto al lampo (circa 1 secondo ogni 340 metri di distanza).
Il fulmine tende a passare attraverso tutti i corpi a bassa resistenza prossimi al suo cammino, come oggetti metallici, ma
anche persone e animali. Il fulmine entra nel corpo umano attraverso occhi, orecchie, naso e bocca e si scarica a terra dopo
aver percorso il sangue e il sistema nervoso, causando arresto cardiaco e respiratorio, oltre che, in alcuni casi, ustioni. In
caso di temporale bisogna perciò abbandonare gli oggetti metallici, allontanarsi da potenziali punti d'innesco (ad esempio
alberi isolati) e se possibile rifugiarsi in strutture chiuse come baite o automobili. Se porte e finestre sono chiuse si creerà una
gabbia di Faraday che non verrà attraversata dal fulmine.
Secondo le mappe di densità (www.fulmini.it) Valtellina e Valchiavenna sono zone a incidenza di fulmini medio-bassa
con circa 1.5-2.5 Nt (fulmini al kmq ogni anno), mentre, ad esempio, la zona del Lago di Como è ad alta incidenza (4 Nt).
er fotografare i fulmini il discorso è complesso. Dobbiamo innanzitutto conoscere alcune nozioni di base legate agli
scatti realizzati con scarsa luce, praticamente in condizione notturna. Non che i fulmini avvengano solo di notte, ma
di certo una buona resa la si avrà solo col buio. Ci penserà il fulmine ad illuminare a giorno la scena, così come avviene
quando ammiriamo i fuochi d’artificio.
Nella fotografia notturna l'esposimetro non è più attendibile ed è compito del fotografo calcolare la corretta illuminazione (impostare la ghiera delle funzione sulla modalità M= manual Mode). Per prima cosa mettiamoci in una posizione
comoda, magari rialzata rispetto al fondovalle e, soprattutto, al riparo dalla pioggia. Una veranda all’aperto può essere
la soluzione migliore. Fissata la macchina al treppiede e scelta l’inquadratura cominciamo con un valore di sensibilità
basso, intorno a ISO 200; così eviteremo il rumore dovuto alla lunga esposizione. Decidiamo arbitrariamente per un
apertura intermedia (da f/8 a f/10). Un intervallo tra i 10 e i 20 secondi può essere ottimale se ci troviamo già a tarda sera.
Eseguiamo un primo scatto di prova per analizzare la corretta esposizione nella scena: teniamo presente che la quantità di
fulmini catturati nel nostro fotogramma sarà direttamente proporzionale alla lunghezza della posa, ma che lo sarà altresì
l’eventuale sovraesposizione. Andiamo quindi a raffinare i parametri di scatto fino a ottenere il risultato desiderato.
P
Fulmine in località Pra de l'O nei Cech (7 luglio 2009, foto Ricky Scotti).
Fantasma di Brocken
I
nube iridescente
Q
l Fantasma di Brocken, è la spettrale materializzazione della propria immagine ingigantita e proiettata sulla nebbia
dai raggi del sole. Il fenomeno ottico è chiamato "gloria" e avviene quando il sole si trova in un punto molto basso
all'orizzonte e la sua luce viene riflessa indietro dalla foschia. Se una persona è tra sole e nebbia, la sua ombra scurisce le
goccioline d'acqua che compongono la nebbia. Tali gocce sono relativamente vicine, ma l'occhio tende a confrontarle
direttamente con ciò che è in secondo piano giudicando così quest'ombra molto grande. La distanza variabile tra le
goccioline e l'osservatore poi sforma ulteriormente l'ombra, dandole pure effetto di tridimensionalità.
La gloria può avere anche degli anelli colorati concentrici che circondano l'ombra e che si spiegano in maniera analoga
all'arcobaleno. L'angolo di osservazione dell'iridescenza va dai 5° ai 20° d'inclinazione rispetto ai raggi solari. Il movimento delle foschie dovuto al vento può inoltre creare l'illusione di movimento del Fantasma di Brocken, rendendolo ancor
più spaventoso.
Il nome discende dal Brocken (m 1142), che è la più alta vetta dell'Harz (Germania). Questa montagna è di facile
accesso e per la maggior parte dell'anno lambita da grandi nebbie e foschie, tali da rendere frequenti gli avvistamenti del
fenomeno ottico che le è stato intitolato.
ealizziamo questa fotografia cercando di impostare manualmente la messa a fuoco ad una distanza ragionevole tra
noi e l’effetto. A seconda della modalità di lettura dell’esposimetro che abbiamo in uso potrebbe essere necessario
sottoesporre leggermente la scena evitando così di avere uno Spettro di Brocken appena visibile. Un’inquadratura inusuale
darà maggior risalto a questo fenomeno. Trovandoci di fronte ad un oggetto che potrebbe muoversi diamo un occhio di
riguardo al tempo di scatto, ricordando che un normale scatto realizzato senza cavalletto non deve mai esser più lungo di
1/125 di secondo. Buona regola da seguire è impostare un tempo che sia almeno il doppio della focale utilizzata (se ad
esempio stiamo fotografando con un teleobiettivo ad una focale di 100mm, imposteremo un tempo di scatto di almeno
1/200 di secondo).
uesta iridescenza è dovuta a una nube lenticolare costituita da cristalli di ghiaccio omogenei nella dimensione che
diffrangono la luce del sole uniformemente. I colori dello spettro sono inoltre deviati con angolazioni diverse.
Come per l'arcobaleno, anche la nube iridescente è un fenomeno percepito solo da un osservatore che si trova ad una data
angolazione rispetto all'asse nube-sole.
Il mio consiglio è quello di dotarci di filtro polarizzatore per poter contrastare maggiormente la nube dal cielo, donandole così un risalto maggiore. Se vogliamo esagerare includiamo nella fotografia una parte del paesaggio, ricordandoci
però che il soggetto principale è la nuvola e che quindi l’eventuale montagna dovrà essere isolata in basso, coprendo solo
da 1/5 a 1/3 del nostro fotogramma.
er un buono scatto, il filtro polarizzatore permette di contrastare maggiormente la nube dal cielo.
Se vogliamo esagerare includiamo nella fotografia
una parte del paesaggio, ricordandoci però che il
soggetto principale è la nuvola e che quindi
l’eventuale montagna dovrà essere isolata
in basso, coprendo solo da 1/5 a 1/3
del fotogramma.
102
Le Montagne Divertenti R
P
Nube lenticolare sopra la cima
Sassal Mason nei pressi del
Passo del Bernina (13
marzo 2008, foto R.
Moiola).
Fantasma di Brocken dalla cresta del Monte Azzarini sulle Alpi Orobie (14 ottobre 2007, foto R. Moiola).
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
L'arte della fotografia
103
le
foto dei lettori
Rubriche
1
Acqua e ombra nei pressi dei Bagni di Masino (11 luglio 2009, foto Marco Meda)
D
ue sezioni dedicate ai nostri lettori: una che premia il fotografo più bravo, l’altra che mostra
la fantasia di chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo (la foto deve
avere anche un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo!).
Le foto giunte a [email protected] sono state tantissime, per cui, nonostante sia stata ampliata
la sezione, qualcuno vedrà la propria pubblicata solo sul prossimo numero.
P
er ogni numero de “Le Montagne Divertenti” sceglieremo e premieremo la foto migliore
fra quelle ambientate sulle nostre montagne (inviare il materiale a [email protected]) e la
pubblicheremo con una recensione dettagliata e la scheda di presentazione del fotografo.
Se questa sarà a taglio verticale e con soggetto estivo potrà essere scelta con l'ultima di copertina
del prossimo numero! Lo scatto vincitore fra quelli giunti negli ultimi 3 mesi è quello di:
il fotografo
recensione di sysa
Marco Meda, classe 1982. Sin da adolescente ha sentito
forte il richiamo delle montagne, cominciando con le cime
vicino a casa nel Lecchese, per allargare poi lo sguardo
all’intero arco alpino e ancora oltre, dal Nepal all’Islanda,
dal Ladakh alla Patagonia. Amante dell’aria sottile dei
ghiacciai e dei 4000, della neve che cancella tracce e sentieri nella stagione invernale, degli itinerari poco frequentati,
delle notti in tenda, cerca costantemente di vivere la
montagna in una dimensione di avventura ed esplorazione
ancora possibile anche nelle “conosciute” Alpi Lombarde.
La laurea e la professione di geologo lo spingono poi a
cogliere anche quello che sta “sotto” le montagne, per
apprezzarne ancora di più la bellezza, muovendosi a piedi,
sugli sci, con le scarpette d’arrampicata, e sempre con la
macchina fotografica al collo. Ha un sogno nel cassetto:
vivere sempre a tempo pieno le sue passioni.
Il lento scorrere dell’acqua nei ruscelli di montagna ci dice che
finalmente è arrivata la primavera. Dimentichiamo il freddo
pungente dell’inverno e ci tuffiamo nella natura in cerca di
fotografie armoniose. Per cogliere il fluttuare dell’acqua dobbiamo riuscire ad impostare uno scatto abbastanza lungo,
perlomeno vicino al secondo. L’apertura del diaframma a sua
volta deve essere la più chiusa possibile e l’impostazione ISO
ridotta a livelli minimi (ad esempio 100 ISO).
Un buon accorgimento adottato dal bravo Marco è stato
di utilizzare un filtro neutro, cioè una lente che posta
sull’obiettivo non altera in alcun modo qualità o tonalità,
ma semplicemente sottrae luminosità alla scena, obbligando
l’esposimetro a impostare tempi maggiori. A livello di inquadratura e contenuti ritengo molto interessante in questa
foto l’accostamento acqua-muschio, un contrasto reso ancor più
vivace dalla forte ombra in alto alla scena.
104
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
3
2
1) Pascal van Duin durante l'esplorazione del canyon nel Tassili N'Ajjer nel Sahara Algerino (7 dicembre 2009).
2) Chiara e Cristiano in luna di miele in Islanda (sullo sfondo la cascata Svartifoss, 18 ottobre 2009).
3) Antonio Boscacci a Geilo in Norvegia (17 agosto 2009).
Le Montagne Divertenti Le
Lefoto
fotodei
deilettori
lettori
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le
foto dei lettori
Rubriche
Rubriche
5
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8
4) Francesco Vaninetti si butta dall'aereo con Le Montagne Divertenti (18 ottobre 2009, foto Vittorio Vaninetti).
5) Poldino sulla riva del Lago Tscheppa in Svizzera (m 2600 ca., 11 ottobre 2009, foto Eliana Gilardelli).
6) Martina Gusmeroli e Emma Moiola al Temple Bar di Dublino (Irlanda, 1 novembre 2009).
7) Pierangela e Gianfranco Roda a Budapest (28 novembre 2009).
8) Alberto Frigino col figlio Ivan a Torre Pali (Lecce, 5 ottobre 2009, foto Elena Mambretti).
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Le Montagne Divertenti Primavera 2010
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Un regalo
speciale?
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Sono disponibili fino a esaurimento
- le nuove magliette
de Le Montagne
Divertenti.
Comode e di cotone
morbidissimo.
Info su ---->
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9) Corlatti Simone e Cunca a Cartagena (Colombia, gennaio 2010).
10) Valentina Negrini e William Pegorari all'Alpe Prabello in Valmalenco (Rifugio Cristina, 24 gennaio 2010).
11) Michele all’interno del suo RIAD “Al Kadar” a Marrakech in Marocco (3 ottobre 2009).
12) Bricalli Fabiano al castello di Eurodisney (17 novembre 2009).
13) Flora Dell'Agosto, Floriana Faldrini, Giuseppe Dell'Agosto, Giancarlo Albareda, Antonietta e Pia Faldrini al
Lagazzuolo (10 ottobre 2009).
14) Doris Moretti, Alberto Rossattini, Nerino Panettai sulla Phi Phi Island (Thailandia, 16 novembre 2009).
15) Cristina Foppoli con figli e amici all'Isola della Maddalena (giugno 2009).
16) Nevio nella cantina gestita da Gruppo ANA di Albaredo durante Morbegno in Cantina 2009.
17) Alan e Simona in Val Viola (29 ottobre 2009).
18) Cesare Giana mostra Le Montagne Divertenti agli indigeni d'Egitto (27 ottobre 2009).
19) Ivan, Elena e Matteo nella Monument Valley (Utah/Arizzona USA, 24 agosto 2009).
20) Monti Stella porta la maglietta de Le Montagne Divertenti sulle pareti della Val di Mello (agosto 2009).
21) e 22) Carlo Pelliciari insegna ai sui bambini Pietro e Giacomo una sana abitudine (3 febbraio 2009).
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Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Primavera 2010
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Le
Lefoto
fotodei
deilettori
lettori
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www.lemontagnedivertenti.com
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Rubriche
Rubriche
Vincitori e
Giochi
Ma ch'el?
vinti
ma ch'el?
ma 'n gh'el?
L'oggetto qui sotto è il famigerato cilicio, antico strumento
di tortura conservato al Museo di Chiavenna e fotografato
da Luciano Bruseghini.
Purtroppo nessuno ha indovinato la soluzione e i premi
sono rimasti in nostro possesso per foraggiare i prossimi
concorsi!
La foto in oggetto, tratta dall'Archivio Baracchi, raffigura il
Castello di San Faustino a Grosio.
I vincitori, tutti racchiusi in pochi secondi, sono:
Sei pratico di cose strane?
Eccoti uno strumento antico
fotografato da Antonio Stefanini.
Dimmi di che cosa si tratta e come
veniva utilizzato.
I 2 più veloci dalle ore 20:00 del
25 marzo 2010 vinceranno
l’esclusiva maglietta de “Le
Montagne Divertenti / Waltellina”,
il 3° classificato ricevera' una copia
del libro "Giovanni Bonomi - Guida
Alpina" , il 4° e il 5° una fascetta
de "Le Montagne Divertenti /
Waltellina.it ".
1) Annamaria Sironi;
2) Bruna Corradini;
3) Martina Pedroli;
4) Alan Muscetti;
5) Maurizio Sala;
6) Bruna Sarotti;
7) Ivan Rastelli;
8) Giuseppe Mosconi;
9) Patrizio Ferrari;
10) Martina Besseghini.
Manda
le tue risposte a:
[email protected]
oggetto della mail: “ma ch'el?”
Ricordati di specificare il tuo
indirizzo e la tua taglia.
Annamaria Sironi, vincitrice
del concorso, mostra il suo
premio ai piedi delle cascate
dell'Acquafraggia.
Ma 'n gh'el?
Se
sei un attento osservatore,
indovina quale vetta ritrae
questo acquerello realizzato
da Kim Sommerschield.
Il più veloce dalle ore 20:00
del 25 marzo 2009 vincerà
il quadro (misure 33x44cm)
in pregevole cornice di legno
artigianale. Il 2° e il 3°
classificato avranno l’esclusiva
maglietta de “Le Montagne
Divertenti / Waltellina”,
il 4° e il 5° una fascetta de
"Le Montagne Divertenti /
Waltellina.it ".
Manda le tue risposte a
[email protected]
oggetto della mail: “ma 'n gh'el?”.
Ricordati di specificare il tuo
indirizzo e la tua taglia.
ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO O ALL'INDIRIZZO SBAGLIATO VERRANNO RITENUTE NULLE
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Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Le Montagne Divertenti Giochi
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Rubriche
lE RICETTE
DELLA NONNA
Sciroppo di fiori di sambuco
Dissetante se diluito in acqua, miracoloso contro il mal di gola
Beno
V
I
l sambuco è un arbusto di dimensioni medio-grandi,
un piccolo albero comunissimo lungo le siepi campestri, nei boschi, ai bordi delle strade di campagna, nonché
alla periferia delle città, dove rappresenta un relitto della
vegetazione spontanea.
frutti sono lassativi, la corteccia è diuretica, i fiori si
usano nelle malattie da raffreddamento, nell'influenza, nella febbre, nelle affezioni reumatiche e infiammatorie
dell'apparato respiratorio
n primavera/inizio estate le piante si ricoprono di
tantissimi e minuscoli fiori bianchi a 5 steli che si
raccolgono in ampie inflorescenze ombrelliformi. La loro
forma e il loro profumo dolcissimo sono inconfondibili.
Le inflorescenze possono essere impanate e fritte (effetto
distensivo), mentre col frutto (sono bacche nero-viola) si
fanno golosissime marmellate (lassative).
Dai fiori si può anche ottenere facilmente un buonissimo sciroppo che se diluito in acqua è dissetante, se puro
è ottimo contro il fastidiosissimo mal di gola grazie alle
proprietà lenitive del fiore e a quelle disinfettanti del limone contenuto nello sciroppo.
I
I
Ingredienti
4 limoni
10 inflorescenze (non infestate dai pidocchi!)
1 litro di acqua
1 kg di zucchero
1 cucchiaio di aceto bianco
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Le Montagne Divertenti preparazione
Mettete i fiori, i limoni tagliati e spremuti e un cucchiaio
di aceto dentro una bacinella. Coprite e lasciate macerare
per 48 ore, dopo di che strizzate bene i limoni. Separate
passandola a colino la parte liquida e mettetela in una
pentola. Aggiungete lo zucchero e cuocete mescolando.
Spegnete non appena in ebollizione. Lo sciroppo è pronto,
col suo classico colore giallo! Imbottigliate e tenetelo in un
luogo fresco e al riparo dal sole: se ben conservato il succo
resiste svariati mesi senza alterare le sue proprietà.
Primavera 2010
“Può venire il giorno in cui tutto l'oro del mondo
non basterà a ridarci l'immagine del tempo svanito."
Arthur Hazelius
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(fondò nel 1891 a Skansen il primo museo all'aperto al mondo)
Le Montagne Divertenti Primavera 2010
Le Montagne Divertenti Ricette
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