Una nuvola nera carica di pioggia
Transcript
Una nuvola nera carica di pioggia
politiche universitarie Una nuvola nera carica di pioggia I Santo Di Nuovo 12 ‘nuovi’ ordinamenti didattici universitari sono stati oggetto di critiche, alcune delle quali forse premature, altre certo legittime e pertinenti. Il sistema del 3+2+x+y+z (dove x può essere il master, y il perfezionamento, z la specializzazione) lascia aperti problemi non indifferenti, quali: - il dilemma nel primo livello di laurea tra formazione trasversale (insegnamenti di base, affini, informatica, lingue, ecc.) e formazione professionalizzante, che finisce con l’essere costretta in due anni effettivi, del tutto insufficienti in certi ambiti per immettere un ‘laureato’ – anche se di primo livello – dignitosamente sul mercato del lavoro; - l’accesso di questi laureati triennalisti alle professioni ‘ordinate’ (ingegnere, avvocato, psicologo, ecc.) in un primo livello del quale non sono definiti confini e caratteristiche precisi, per cui la distinzione dagli iscritti all’albo nel secondo livello diventa sfumata e poco chiara agli iscritti e soprattutto agli utenti; - la previsione dello stesso percorso scandito nel 3+2 per tutte le aree e per tutte le professioni (e quindi per tutte le facoltà) allo stesso modo, senza possibilità di differenziazioni o di aggiustamenti sulla base delle reali esigenze della formazione e degli sbocchi professionali; - la possibilità di stabilire debiti formativi per gli accessi a specifici corsi di laurea, senza poter offrire tempi e modi adeguati per consentire di sanare questi debiti prima dell’iscrizione (e tanto meno dopo), cosa che lascia la porta aperta a due alternative: introdurre un numero chiuso strisciante, irrigidendo i debiti e i modi per verificarne il recupero, oppure non mettere affatto limiti di accesso, rendendo i numeri dei primi anni incompatibili con le strutture e le risorse disponibili; - sul piano dell’organizzazione della didattica, la scarsa compatibilità tra il nuovo sistema e lo stato giuridi- politiche universitarie co dei docenti (specie per quanto riguarda il ruolo dei ricercatori), il cui aggiornamento è costantemente proposto e costantemente rinviato, creando una giungla di soluzioni disparate e spesso al limite della legittimità. Dopo aver atteso segnali di ragionevole modifica, adesso leggo, con una certa angoscia, le modifiche al decreto 509/’99, che il ministro dell’Istruzione ha trasmesso al Cun, alla Crui, al Cnsu e al Comitato nazionale di valutazione, per poi passarle al Consiglio di Stato e alle Commissioni VII di Camera e Senato. Leggo di variazioni puramente nominalistiche: il lavoro dello studente viene ridefinito impegno, la laurea specialistica si chiamerà laurea magistralis, e altre analoghe amenità del tipo: «A coloro che hanno conseguito una laurea, una laurea magistralis e una laurea doctoralis competono rispettivamente le qualifiche accademiche di dottore, dottore magistrale e di dottore di ricerca». Ritrovo persistere anche negli ordinamenti controriformati il sovraffollamento di ambiti disciplinari di base e caratterizzanti, affini o integrativi, «anche con riguardo alle culture di contesto e alla formazione interdisciplinare», «attività formative volte ad acquisire ulteriori conoscenze linguistiche, nonché abilità informatiche e telematiche, relazionali, o comunque utili per l’inserimento nel mondo del lavoro, nonché attività formative volte ad agevolare le scelte professionali, mediante la conoscenza diretta del settore lavorativo cui il titolo di studio può dare accesso, tra cui, in particolare, i tirocini formativi e di orientamento di cui al decreto 25 marzo 1998, n.142, del Ministero del Lavoro». E ancora: «attività formative relative agli stages e ai tirocini formativi presso imprese, amministrazioni pubbliche, enti pubblici o privati ivi compresi quelli del terzo settore, ordini e collegi professionali, sulla base di apposite convenzioni». E la tesi di laurea. E «almeno una lingua straniera oltre l’italiano» (sic!). E attività a scelta dello studente. E chi più ne ha più ne metta, anche nel piccolo recipiente del triennio, che pare il vaso di Pandora dopo la fatale apertura. Non mancano certo novità importanti, ne segnalo alcune: «Le università attivano i corsi di studio nel rispetto dei requisiti minimi strutturali, organizzativi e di qualificazione dei docenti determinati con decreto del Ministro nell’osservanza degli obiettivi e dei criteri della programmazione del sistema universitario nonché la competenza documentata dei docenti proponenti». Giusto principio dei ‘requisiti minimi’. Ma devono valere retroattivamente? E che avverrà dei corsi già istituiti? Come si riportano nella stalla i buoi già scappati, ovvero le centinaia di corsi di laurea sbocciati qua e là in offesa al buon senso e alla ragionevolezza, che nessuno si è preoccupato di fermare quando era il El Greco, Veduta di Toledo (particolare), New York, Metropolitan Museum momento? O si dirà che la carne di questi buoi non è buona, così nessuno li mangerà? E le cavie che si sono iscritte fidandosi della serietà del sistema come saranno garantite? Giusto anche accertare la «competenza documentata dei docenti» del corso. Ma questa competenza come si verificherà? Inviando il curriculum di tutti per una ulteriore valutazione comparativa da parte di una 13 politiche universitarie già avanzata da diversi ordini professionali, ma di cui non c’è traccia in questa o in altra proposta ministeriale. maxicommissione ministeriale? E dove in alcuni degli (obbligati) settori affini o integrativi, o in specialistici settori professionalizzanti, non c’è questa competenza, che si farà? Difficilissimo, se non impossibile, assumere nuovo personale docente; ci sarà spazio adeguato – al di là del tetto del 20% previsto dai criteri ministeriali – per validi docenti a contratto che coprono insegnamenti per i quali non esistono sufficienti risorse all’interno dell’università? «Il corso di laurea ha l’obiettivo di assicurare allo studente o un’adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali, o l’acquisizione di specifiche conoscenze professionali, ferma restando una essenziale base comune di conoscenze e competenze». Qui la proposta di modifica apportata dall’introduzione della forma disgiuntiva non è puramente letteraria, ma sostanziale: mentre nell’ordinamento vigente la padronanza di metodi e contenuti scientifici generali e l’acquisizione di professionalità dovevano andare insieme (creando i problemi di adeguatezza del tempo a disposizione per fare tutto ciò), adesso possono essere separate. È facile prevedere che il rimedio sarebbe peggiore del male: il laureato che acquisisce solo metodi e contenuti generali in quale mercato si inserirà? Non sarà un diplomato di secondo livello, buono per tutte le stagioni, e quindi per nessuna in particolare? E come si concilierebbe questa laurea ‘teorica-metodologica’ con la previsione di tirocini e stages che a quanto pare sono obbligatori per tutti? Stages in quali strutture o aziende? E come la mettiamo con il problema – sopra accennato – dell’accesso agli albi ordinistici già dopo la laurea di primo livello? Paradossalmente, non essendo pensabile far accedere agli albi professionali laureati che hanno appreso solo metodi e contenuti generali, la professionalizzazione resterebbe proprio per quegli ambiti dove essa è improponibile in una laurea di primo livello. A meno di non cambiare anche la normativa ordinistica e prevedere per questi ambiti l’iscrizione all’albo solo dopo un percorso unitario quinquennale di laurea realmente professionalizzante. Proposta 14 «Tutti i corsi di laurea o gruppi affini di essi, afferenti alla medesima classe, condividono le stesse attività didattiche comuni per un minimo di 60 crediti prima della differenziazione dei percorsi formativi, e definiscono i criteri per la prosecuzione degli studi nei diversi percorsi», ciò che è stato definito: primo anno metodologico, o percorso a Y. Un primo anno comune antecedente l’articolazione in curriculi era già possibile, ed è stato già attuato laddove il buon senso lo suggeriva (per es., nel nostro corso di laurea in Scienze e tecniche psicologiche). Dunque niente di nuovo sotto il sole. Ciò che il Miur aggiunge è ancora qualcosa cui siamo ben abituati: la solita prescrittività dell’ordinamento uguale per tutte le facoltà e per tutte le aree. Avremo così una Y obbligatoria, come nei vecchi labirinti che si usavano nei laboratori di ricerca con i topi (torna il tema delle cavie, che nessun riformatore si preoccupa di garantire). Quello che può essere meglio per alcuni corsi di laurea, e non per altri, dovrà essere fatto per tutti, alla faccia della tanto sbandierata ‘autonomia’, che continua a significare ‘autonomia di adeguarsi’. Conclusioni. Ancora una volta, si cala una riforma dall’alto senza dare possibilità di vero dibattito a chi la riforma poi deve applicare e gestire. Si impone lo stesso modello di percorso didattico a tutte le facoltà e a tutte le professioni, senza spazi di manovra o gradi di libertà. Entrambe cose già viste nella precedente – e ancora non del tutto attuata – riforma, che ne hanno determinato la crisi precoce, eppure si ripetono esattamente in questa presunta ‘riforma della riforma’. Salvo forse a riformarla ancora al prossimo cambiamento della compagine ministeriale. Segnalo per ultimo – ma non certo per importanza – un altro infausto elemento di perversa continuità: come sempre quando si parla di riforme nel nostro Paese, non sono previsti finanziamenti per realizzarle seriamente. Anzi, vengono tagliate le risorse e caricate la università di oneri aggiuntivi che le dissangueranno del tutto. Anzi, si persiste nella proibizione di immettere in ruolo vincitori di concorsi banditi per raggiungere quei requisiti minimi, che comunque lo stesso ministero pretende perché i corsi possano essere convalidati! Come preside di una facoltà che fa sacrifici per puntellare una traballante baracca, e vede chi dovrebbe aiutarci fare invece di tutto per renderla ancora più traballante, non posso che essere perplesso e sconcertato. Un’altra modifica passerà sulla nostra testa, come una nuvola nera carica di pioggia, prima che la nuvola precedente sia ancora del tutto passata. Il temporale continua.