GOTTFRIED WILHELM LEIBNIZ (1646-1716) Principi razionali della

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GOTTFRIED WILHELM LEIBNIZ (1646-1716) Principi razionali della
GOTTFRIED WILHELM LEIBNIZ (1646-1716)
Principi razionali della Natura e della Grazia (1714)
Le monadi e la vitalità dell’universo
(1) La Sostanza è un Essere capace di Azione. Essa è semplice o composta. La Sostanza semplice è quella
che non ha parti. Quella composta è l’assemblamento delle sostanze semplici o delle Monadi. Monas è una
parola greca, che significa l’unità o ciò che è uno. Le composte, ossia i corpi, sono delle Molteplicità; le
Sostanze semplici, le Vite, le Anime, gli Spiriti sono delle Unità. Ed è necessario che ci siano sostanze
semplici dappertutto, perché senza le semplici non ci sarebbero affatto le composte. E di conseguenza
tutta la natura è piena di vita.
(2) Poiché le monadi non hanno parti, esse non possono essere né formate né disfatte: non possono
avere, per via naturale, né un inizio né una fine, e durano quindi finché dura l’universo, il quale muterà,
ma non verrà mai distrutto. Esse inoltre non possono avere figura, altrimenti avrebbero delle parti.
Pertanto una monade, sia in se stessa sia in ciascun momento [della sua esistenza], può essere distinta
da un’altra solo per le sue qualità e azioni interne, cioè per le percezioni e le appetizioni. La percezione è la
rappresentazione del Composto nel Semplice, ossia la rappresentazione di ciò che è esterno; l’appetizione
è la tendenza [a passare] da una percezione all’altra, e costituisce il principio del mutamento della
monade. Infatti la semplicità della sostanza non è per nulla di impedimento alla molteplicità di queste
sue modificazioni, le quali anzi devono necessariamente trovarsi esterne nella stessa sostanza semplice,
e devono consistere nella varietà dei rapporti con le cose che le sono esterne. Ciò è paragonabile a un
centro o punto nel quale, per quanto semplice, si trovino un’infinità di angoli formati dalle linee che vi
convergono.
(3) Nella natura tutto è pieno; dappertutto ci sono sostanze semplici, realmente separate le une dalle
altre in virtù delle azioni proprie che modificano continuamente i loro rapporti. Ora, ci sono sostanze
semplici che costituiscono il centro di una sostanza composta (per esempio, di un animale) e il principio
della sua unicità. Ciascuna di tali sostanze, o monadi distinte, è attorniata da una massa, la quale è
composta da un’infinità di altre monadi che formano il corpo proprio di questa monade centrale; ed è in
conformità alle affezioni di questo suo corpo che la monade centrale si rappresenta, come in una sorta
di centro, le cose che le sono esterne. […]. Inoltre, poiché tutto è concatenato a causa della pienezza del
mondo, ciascun corpo agisce su tutti gli altri, e ne subisce la reazione […]. Di conseguenza, ogni
monade è uno specchio vivente, cioè uno specchio dotato di azione interna che rappresenta l’universo
secondo il proprio punto di vista, e che è regolato così come è regolato l’universo stesso. E ancora: le
percezioni nella monade nascono le une dalle altre in forza delle leggi delle appetizioni, ossia per le leggi
delle cause finali del bene e del male […]; parallelamente, i mutamenti dei corpi e i fenomeni esterni nascono
gli uni dagli altri in virtù delle leggi delle cause efficienti […]. C’è quindi una perfetta Armonia tra le
percezioni della monade e i movimenti dei corpi, un’Armonia prestabilita fin dall’inizio tra il sistema delle
cause efficienti e quello delle cause finali: ed è in ciò che consiste l’accordo e l’unione fisica dell’anima e
del corpo […].
(4) Ciascuna monade con un corpo peculiare costituisce una sostanza vivente. Perciò non solo c’è vita
dappertutto […], ma c’è anche un’infinità di gradi nelle monadi […]. Se poi la monade è unita a organi
strutturati in modo tale da ricevere impressioni affinate e distinte, per cui risultano affinate e distinte
anche le percezioni che rappresentano tali impressioni […], allora essa può giungere fino al sentimento,
cioè fino a una percezione accompagnata da memoria […]. Un vivente di questo tipo si chiama animale,
e la sua monade va chiamata anima. E quando un’anima si innalza fino alla ragione, essa è qualcosa di più
sublime e la si annovera tra gli spiriti.
[…]. È dunque opportuno distinguere tra: (a) la percezione, che è lo stato interiore della monade che si
rappresenta le cose esterne, e (b) l’appercezione, che è la coscienza o conoscenza riflessiva di tale stato
interiore […].
(5) Tra le percezioni degli animali c’è un collegamento che ha qualche somiglianza con la ragione, ma è
fondato solo sulla memoria dei fatti, ossia degli effetti, e per nulla sulla conoscenza delle cause. […]. E il
comportamento degli uomini, nella misura in cui agiscono da empirici – il che avviene nei tre quarti
delle loro azioni – è analogo a quello delle bestie. […].
Il ragionamento vero e proprio, invece, dipende dalle verità necessarie o eterne – quali sono quelle della
logica, dell’aritmetica e della geometria – che rendono indubitabile la connessione delle idee e infallibili
le conseguenze. Gli animali che non sono capaci di cogliere tali conseguenze si chiamano bestie; quelli
invece che giungono a conoscere le verità necessarie si chiamano propriamente animali razionali e le loro
anime spiriti. Queste anime sono capaci di compiere degli atti riflessivi e di pensare quel che si chiama
Io, Sostanza, Anima, Spirito, in breve: le cose e le verità immateriali. Ed è questa facoltà che ci rende
suscettibili di scienza, ossia di conoscenza dimostrativa.
Dio e l’armonia prestabilita tra la Natura e la Grazia
(7) Adesso è necessario elevarsi alla metafisica, e perciò ci serviremo del grande principio, in genere poco
impiegato: Niente accade senza ragion sufficiente – vale a dire: Niente avviene senza la possibilità, per chi
conosce abbastanza le cose, di rendere una ragione che sia sufficiente a spiegare perché avviene così e
non altrimenti. Una volta stabilito questo principio, la prima domanda che si ha il diritto di porre sarà:
Perché esiste qualcosa piuttosto che nulla? Il Nulla, infatti, è più semplice e più facile del Qualcosa. In secondo
luogo, ammesso che debbano esistere delle cose, bisogna allora che sia possibile rendere ragione del
perché esse devono esistere così e non altrimenti.
(8) Ora, questa ragion sufficiente dell’esistenza dell’universo non è possibile trovarla nella serie delle
cose contingenti, cioè dei corpi e delle loro rappresentazioni nelle anime. […]. Pertanto, la ragion
sufficiente […] deve essere al di fuori di questa serie di cose contingenti e trovarsi in una Sostanza che ne
sia la causa: e tale Sostanza occorre che sia un Essere necessario recante in sé la ragione della sua
Esistenza. Diversamente, non si avrebbe mai una ragion sufficiente presso cui arrestare la regressione.
Questa ragione ultima delle cose è ciò che chiamiamo Dio.
(10) Ora, dalla Perfezione suprema di Dio segue che, nel creare l’universo, Egli ha scelto il miglior
piano possibile, in cui c’è la massima varietà col massimo ordine, il terreno il luogo e il tempo più
adeguati, la massima quantità di effetti prodotta nei modi più semplici; le creature, inoltre, sono state
dotate del massimo di potenza, di conoscenza, di felicità e di bontà possibili nell’universo. Infatti,
poiché tutti i Possibili pretendono l’Esistenza nell’Intelletto divino in proporzione al loro grado di
perfezione, il risultato di tutte queste pretese non può non essere il mondo attuale come il più perfetto
possibile. […].
(11) La Saggezza suprema di Dio ha fatto sì che Egli scegliesse soprattutto le leggi del movimento più adatte
e più convenienti alle ragioni astratte, cioè metafisiche. […]. Ed è sorprendente che la sola
considerazione delle cause efficienti […] non sia in grado di rendere ragione di queste leggi del movimento
scoperte ai nostri giorni […]. […] è necessario ricorrere anche alle cause finali, e che le leggi del
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movimento – al contrario delle verità logiche, aritmetiche e geometriche – non dipendono affatto dal
principio di necessità, ma dal principio di convenienza, cioè dalla scelta operata dalla Saggezza divina. […].
(13) Tutte le cose sono infatti regolate una volta per tutte, col massimo di ordine e di corrispondenza
possibili, perché la suprema Saggezza e la suprema Bontà possono agire unicamente in perfetta
armonia: il presente è gravido dell’avvenire, il futuro si può leggere nel passato, la cosa lontana è
espressa nella cosa vicina. Se fosse possibile dispiegare tutte le pieghe dell’anima […], si potrebbe
conoscere la bellezza dell’universo in ciascuna anima. Infatti, ogni percezione distinta dell’anima
contiene un’infinità di percezioni confuse che implicano tutto l’universo; […]. Ciascuna anima conosce
dunque l’infinito, conosce tutto, ma confusamente – come quando, passeggiando lungo la riva del mare
e sentendo il gran rumore che fa, sentiamo sì i rumori particolari di ciascuna onda di cui è composto il
rumore totale, ma senza distinguerli […]. Solo Dio ha conoscenza distinta di ogni cosa, perché Egli ne è
la fonte. È stato quindi ben detto che Dio come centro è dappertutto, mentre la sua circonferenza non
è in nessun luogo, poiché tutto gli è presente immediatamente, senza alcuna lontananza da questo
centro.
(14) Per quanto riguarda l’anima razionale o spirito, in esso c’è qualcosa in più delle altre monadi e anche
delle semplici anime. Lo spirito, infatti, non è soltanto uno specchio dell’universo delle creature, ma
anche un’immagine della Divinità: lo spirito non ha semplicemente una percezione delle opere di Dio,
ma è anche capace di produrre qualcosa che rassomigli a esse, sebbene in piccolo. […].
(15) Ed è per questo che tutti gli spiriti (sia degli uomini sia dei Genii), in virtù della ragione e delle
verità eterne, entrano in una specie di società con Dio e sono quindi membri della Città di Dio, cioè
dello Stato più perfetto, costituito e governato dal più grande e dal migliore dei Monarchi. In questo
Stato […] ci sono la massima virtù e la massima felicità possibili. E ciò avviene non già per una
deviazione del corso della Natura […], ma in conformità all’ordine stesso delle cose naturali, in virtù
dell’Armonia prestabilita fin dall’inizio tra il regno della Natura e il regno della Grazia, tra Dio come
Architetto e Dio come Monarca: la Natura stessa conduce così alla Grazia e la Grazia perfeziona la
Natura servendosene.
L’amore puro di Dio e la felicità dell’uomo
(16) Ora, la ragione, sebbene non ci consenta affatto di conoscere il dettaglio del grande avvenire – che è
riservato alla rivelazione – ci assicura tuttavia che le cose sono fatte in modo tale da superare ogni
nostro desiderio. Infatti, poiché Dio è la più perfetta, la più felice e quindi la più amabile delle sostanze,
e poiché il vero amore puro consiste nello stato che fa gioire delle perfezioni e della felicità dell’amato,
allora un tale amore, quando Dio ne è l’oggetto, non può non procurarci il più grande piacere di cui
siamo capaci.
(17) Ed è facile amare Dio come si conviene, se Lo conosciamo nel modo or ora indicato: sebbene non
sia per nulla presente ai nostri sensi esterni, Egli non cessa per questo di essere amabilissimo e di
procurarci un grandissimo piacere […].
Ma ciò che più conta è che gli stessi piaceri dei sensi sono riconducibili a piaceri intellettuali, conosciuti
però confusamente. Per esempio, la musica ci affascina, eppure la sua bellezza consiste soltanto
nell’accordo dei numeri e nel computo dei battiti o vibrazioni dei corpi sonanti che s’incontrano
secondo intervalli determinati: e si tratta di un computo che l’anima non cessa di fare, ma di cui noi non
abbiamo coscienza. […].
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(18) […]. E, oltre a garantire il piacere presente, l’amore di Dio è della massima utilità per l’avvenire,
perché soddisfa anche le nostre speranze e ci guida nel cammino della suprema felicità. Infatti, grazie
all’ordine perfetto stabilito nell’universo, tutto è fatto nel miglior modo possibile, sia per il bene
generale, sia per il maggior bene particolare di coloro che ne sono persuasi e che sono contenti del
governo divino – contentezza che non può mancare in coloro che sanno amare la fonte di ogni bene. È
comunque vero che la suprema felicità (da qualunque visione beatifica, o conoscenza di Dio, sia
accompagnata) non può mai essere piena: perché Dio, che è infinito, non può essere conosciuto
interamente.
Pertanto, la nostra felicità non consisterà mai e non deve affatto consistere in una gioia piena, in cui
non ci sarebbe più nulla da desiderare – e che renderebbe ottuso il nostro spirito – ma in una
progressione continua di nuovi piaceri e nuove perfezioni.
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