quaderni educazione alimentare 04/2014
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QUADERNI DI EDUCAZIONE ALIMENTARE 4° L’informazione alimentare (Parte Quarta) A CURA DELL’UNIONE REGIONALE TOSCANA (U.R.T) DI LEGA ITALIANA PER LA LOTTA CONTRO I TUMORI (LILT) SIENA 2014 L’AGRICOLTURA BIOLOGICA: CHE COSA DEVE SAPERE IL CONSUMATORE Negli ultimi anni si è assistito ad un rapido sviluppo dell’agricoltura biologica, a cui ha contribuito una maggiore consapevolezza dei consumatori dell’importanza della salvaguardia e della sicurezza alimentare. Anche se nel 2000 la superficie dedicata al biologico ha rappresentato solo il 3% circa dell’intera superficie agricola utilizzata dell’Unione Europea, l’agricoltura biologica è diventata di fatto uno dei settori agricoli più dinamici in Europa. Tra il 1993 e il 1998 questo comparto è cresciuto di circa il 25% all’anno e dal 1998 la sua crescita annuale è aumentata del 30%. In Europa le previsioni stimano che il biologico possa rappresentare il 5% della superficie agricola utilizzata (SAU) nel 2005, il 10% nel 2010 e il 20% nel 2020. L’Italia, con il 6% di ettari coltivati a biologico, si pone al primo posto nella graduatoria europea ed al secondo nel mondo, dopo gli Stati Uniti, con oltre un milione di ettari ed oltre 60.000 aziende attive riguardante tutte le filiere produttive. Sempre più spesso il consumatore, al momento dell’acquisto degli alimenti, trova, oggi anche nella grande distribuzione, la possibilità di acquistare una ampia gamma di prodotti alimentari con la dicitura “da agricoltura biologica” dalla orto-frutta ai prodotti derivati dai cereali, quali pane, pasta e prodotti da forno e più recentemente alla carne, latte e prodotti derivati, quali yogurt e formaggi. Il maggior prezzo che, spesso contraddistingue questi prodotti ed una campagna stampa contraddittoria che spesso esalta ed in altri momenti metta sotto accusa questi prodotti impone di fornire al consumatore maggiori certezze e motivazioni, partendo da una maggiore conoscenza di che cosa si intende per agricoltura biologica e di come viene controllato il settore. Che cos’è l’agricoltura biologica? L’agricoltura biologica differisce dagli altri tipi di agricoltura per molti aspetti. Essa favorisce le risorse rinnovabili ed il riciclo, restituendo al suolo i nutrienti presenti nei prodotti di scarto della stessa agricoltura di origine animale e vegetale e non utilizza prodotti di sintesi chimica quali pesticidi, erbicidi, fertilizzanti, ormoni della crescita, antibiotici o manipolazioni genetiche; inoltre rispetta i meccanismi naturali dell’ambiente per il controllo delle malattie e degli insetti nocivi. Nell’allevamento del bestiame, la produzione di carne e pollame è regolata prestando particolare attenzione al benessere degli animali, nel termine di disporre di adeguati spazi e di preferire, per quanto possibile l’allevamento all’aperto a quello in stabulazione. In sintesi, l’agricoltura biologica fa ricorso, al contrario di quanto si possa pensare non alle antiquate tecniche di allevamento e coltivazioni, ma a quelle innovazioni tecnologiche che contribuiscono al mantenimento degli ecosistemi e alla riduzione dell’inquinamento, garantendo una maggiore salvaguardia della salute degli operatori agricoli con la produzione di alimenti caratterizzati dall’assenza di residui di sostanze di sintesi chimica che vengono, a norma di legge, impiegati nell’agricoltura convenzionale. A tal traguardo, finora, scarse sono le informazioni sulle caratteristiche chimiche e nutrizionali degli alimenti provenienti da agricoltura biologica, ovvero se questi abbiano o meno lo stesso valore nutrizionale e siano più sicuri dei prodotti “convenzionali”, tanto che la normativa vigente vieta che sull’etichetta dei prodotti biologici compaiono scritte che evidenziano una migliore qualità rispetto alla produzione convenzionale. La ricerca della qualità e l’Istituto Nazionale di Ricerca per Alimenti e la Nutrizione (INRAN) Al fine di poter fornire risposte certe sulla qualità dei prodotti derivanti dall’agricoltura biologica, l’INRAN, già da alcuni anni, ha intrapreso una indagine con l’obiettivo di individuare, qualora ce ne fossero, indicatori che potessero distinguere la frutta da agricoltura biologica da quella da agricoltura convenzionale. La difficoltà di riprodurre, nell’arco degli anni, le stesse condizioni sperimentali e l’estrema variabilità che contraddistingue le produzioni vegetali hanno indotto a focalizzare l’interesse sui prodotti al momento della raccolta tralasciando quindi tutte le possibili modifiche che possono verificarsi dalla raccolta al momento del consumo: sono stati oggetto dell’indagine prodotti “biologici” e “convenzionali” coltivati sui campi vicini, cioè nelle stesse condizioni di suolo e clima. A tal riguardo, sono state analizzati per tre stagioni successive campioni di susine, pesche, pere fornite dall’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura ed arance dall’Istituto Sperimentale per l’Agrumicoltura. Un dato comune che è stato confermato nelle diverse tipologie di frutta analizzata, in particolare pere, pesche ed arance e nei tre anni di sperimentazione è stata la maggiore concentrazione, nei prodotti biologici, di quelle sostanze ad azione antiossidante che sembrano avere un azione di difesa dalla formazione dei radicali liberi e quindi di prevenzione nell’invecchiamento cellulare, nelle malattie cardiovascolari e nella formazione dei tumori . Una ricerca condotta nel 1999 dall’”Istituto dei Grassi” di Siviglia (Spagna) ha inoltre confermato nell’olio di oliva quanto ottenuto dall’INRAN sulla frutta. L’olio di oliva proveniente da agricoltura biologica è risultato di qualità superiore rispetto a quello ricavato da olive convenzionali, in particolare per la resistenza all’ossidazione e quindi per la stabilità nel tempo e per la maggiore concentrazione di sostanze ad azione antiossidante, quale la vitamina E. Inoltre, sempre dalla ricerca INRAN citata, è emerso come la maggiore presenza di sostanze antiossidanti sembrerebbe avere un’azione di difesa dall’attacco delle muffe per cui la frutta biologica sarebbe meno sensibile all’attacco di muffe e di funghi e meno suscettibile alla contaminazione di microtossine; una fonte come l’Istituto Superiore della Sanità, ente di ricerca che ha effettuato questo tipo di indagine rappresenta una garanzia per l’attendibilità di questa informazione. La normativa europea ed italiana nell’agricoltura biologica Per garantire l’autenticità dei metodi di produzione biologica l’Unione Europea ha adottato diversi regolamenti fino a creare un quadro normativo globale di riferimento che abbraccia tutte le colture e gli allevamenti animali biologici, nonché l’etichettatura, la trasformazione e la commercializzazione di questo tipo di prodotti. Per gli agricoltori che desiderano ottenere il riconoscimetno ufficiale della loro condizione di produttori biologici è fissato un periodo minimo di conservazione dei loro terreni di due anni prima della semina per le colture annuali e di tre anni per le colture perenni. Più recentemente, sono state adottate le norme sulla produzione, l’etichettatura e il controllo delle principali specie animali, prendendo in considerazione il tipo di alimentazione, la profilassi e le cure veterinarie, il benessere degli animali, le pratiche di allevamento e la gestione del letame. Gli organismi modificati geneticamente e i prodotti da essi derivati sono espressamente esclusi dai metodi di produzione biologica. I regolamenti comunitari contemplano anche le importazioni di prodotti biologici da paesi terzi i cui criteri di produzione e i cui sistemi di controllo in materia di agricoltura biologica siano stati riconosciuti dall’Unione Europea. Come riconoscere un prodotto da agricoltura biologica In questi ultimi tempi, sono state spesso segnalate dalla stampa frodi nel settore dei prodotti biologici che hanno messo in dubbio la garanzia e la veridicità dei controlli che vengono condotti nei loro riguardi; è importante quindi fornire al consumatore quegli elementi che lo possono tutelare da eventuali frodi al momento dell’acquisto. Innanzitutto, i regolamenti europei stabiliscono che tutti i produttori che vogliono conformarsi ai metodi biologici debbono essere registrati, dopo numerose ispezioni, presso uno dei nove organismi nazionali di controllo riconosciuti dal Ministero per le Politiche Agricole e Forestali ed accreditati presso l’Unione Europea e dei quali debbono seguire i relativi disciplinari di produzione. Il controllo è esteso a tutte le fasi del processo di produzione, compresi l’immagazzinamento, la trasformazione e l’imballaggio. Almeno una volta all’anno vengono effettuate ispezioni non preannunciate nelle aziende, controlli in loco ed eventualmente analisi sui prodotti. Le sanzioni vanno dalla radiazione immediata dall’albo di quelle aziende biologiche che non hanno rispettato le regole a pene più pesanti nei casi di infrazioni di maggiore gravità. La garanzia che ci si trovi di fronte ad un prodotto biologico è data dall’etichettatura che deve quindi essere attentamente controllata dal consumatore all’atto dell’acquisto. L’etichetta dei prodotti biologici, oltre a quanto previsto per i prodotti convenzionali, deve riportare le seguenti indicazioni: - il nome ed il codice di uno dei nove Organismi di Controllo sopracitati; - il nome ed il codice dell’Azienda controllata; - il numero di data dell’autorizzazione da parte del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali. Per quanto riguarda il nome del prodotto, possono essere etichettati come “biologici” solo quei prodotti che contengono tra il 95% e il 100% di ingredienti “bio” ed il restante 5% deve comunque essere costituito da sostanze permesse dai Disciplinari di produzione del biologico. Nel caso in cui la percentuale sia più bassa (tra il 70% e il 95%), il prodotto non può definirsi “biologico”, però gli ingredienti biologici devono essere riportati comunque sull’etichetta, con la dizione “da agricoltura biologica”. Dal marzo del 2000 la Commissione Europea ha introdotto un logo recante la dicitura “Agricoltura biologica-Regime di controllo CE “ concepito per essere utilizzato su base volontaria dai prodotti i cui metodi di produzione e i cui prodotti sono stati sottoposti a un controllo e sono risultati conformi alle norme UE. L’esigenza da parte dei consumatori di leggere l’etichetta al fine di verificare la veridicità dell’acquisto pone in essere il problema dell’obbligatorietà o meno del confezionamento dei prodotti biologici, soprattutto per quanto riguarda l’ortofrutta che spesso viene posta in vendita sfusa. - Al di là delle polemiche in corso sull’argomento tra alcuni enti di controllo e certificazione e le associazioni dei consumatori, la raccomandazione che si può dare a chi si accinge ad acquistare prodotti biologici è quello di preferire quelli confezionati o di rifornirsi presso i negozi specializzati che vendono esclusivamente prodotti biologici. In definitiva si può affermare che i prodotti da agricoltura biologica sono prodotti riconosciuti dall’Unione Europea e regolamentati da precise normative basate su un controllo che non prende in considerazione sporadiche analisi su pochi campioni e quindi non rappresentativi di tutta la produzione, ma su strumenti come i disciplinari di produzione e la certificazione ed il controllo del processo produttivo che garantiscono il rispetto della qualità di tutta la produzione e tutelano il consumatore da eventuali frodi. Oltre all'agricoltura biologica esiste anche quella integrata. Si tratta di un sistema di produzione alimentare più rispettosa dell'ambiente rispetto a quella che fa uso costante e indiscriminato della chimica. L'agricoltura integrata utilizza sistemi con input chimico sicuramente limitato, ma non ha una certificazione del processo produttivo. Ovvero dal prodotto sulle nostre tavole è impossibile risalire all'appezzamento di terreno dove questo è stato ottenuto. Non ci sono quindi garanzie per il consumatore che il produttore non abbia aggirato le norme. Comunque possiamo considerare l'agricoltura integrata come una strada che consente all'agricoltore di avvicinarsi ai sistemi biologici. Vicino all'agricoltura integrata troviamo i sistemi di coltivazione a lotta guidata. La lotta guidata è riferita ai parassiti che mettono a repentaglio i raccolti e quindi l’esistenza stessa delle aziende agricole. Si effettua mettendo, in determinate stagioni dell'anno, delle trappole per il rilevamento dei parassiti nei campi e, qualora se ne rilevi la presenza, si procede con i trattamenti. La lotta integrata pertanto non elimina i trattamenti chimici coi veleni usati per eliminare i parassiti, ma dovrebbe ridurre gli interventi dell'uomo contro le infestazioni, con risparmio per le aziende e minor impatto sui prodotti. Per assurdo, però, se in una stagione le trappole evidenziano una presenza maggiore del consueto di parassiti, anche i trattamenti saranno maggiori e di conseguenza anche l’impatto. Un discorso a parte andrebbe dedicato all'agricoltura biodinamica, parola apparentemente difficile per indicare sistemi di coltivazione che si rifanno agli antichi metodi di lavorazione degli alimenti. La luna gli astri, influenzano sia le maree che la crescita di piante e animali. Il profano sorride di fronte a tali affermazioni, ma ancora oggi, come migliaia di anni fa, se si vuole del buon legno da lavorare dobbiamo tagliarlo a luna "dura", sempre che non vogliamo ricorrere alla chimica. Quando l'assenza di tecnologia nei metodi di lavorazione e conservazione costringeva ad accorgimenti per conservare gli alimenti, allora si prestava attenzione alle fasi lunari e degli astri dalla semina alla raccolta, dalla macellazione alla lavorazione dei prodotti animali. In base alla luna esistono momenti più favorevoli a certe azioni ed altri meno. E' ciò che intendevano i nostri nonni quando per seminare o raccogliere consultavano i calendari o gli almanacchi. Seguire questi processi non è semplice. Presuppone la conoscenza degli impulsi dominanti degli astri e le regole che determinano gli equilibri tra i vari elementi. L'acqua, l'aria, la terra ed il fuoco - elementi che costituiscono secondo antiche credenze tutto ciò che si trova intorno a noi ed anche noi stessi - indicano rispettivamente la vigorìa, il fiore, il nutrimento ed il frutto. Saper mantenere in equilibrio questi concetti in agricoltura significa quindi rispettare i processi biodinamici della produzione. Per chi è ancora scettico può essere utile riflettere sull'attenzione che le massaie di qualche lustro fa prestavano alla conservazione dei prodotti fin dalla fase di preparazione. La passata di pomodoro, i legumi, il vino, i salumi erano tutti regolati da delicati processi vitali. Per quanto riguarda i sapori, riallacciandoci a quanto dicevamo all'inizio, possiamo affermare che più sano equivale a sapore più buono. Anche se a prima vista il gusto degli alimenti prodotti con sistema biologico può non convincere, perchè non assomigliano a ciò che troviamo negli scaffali dei supermercati, questo dipende esclusivamente dall'assuefazione che abbiamo ai gusti dei prodotti agroindustriali. Un palato non alterato dai sapori imposti dalla grande distribuzione è in grado di riconoscere un pollo che sappia di pollo, un formaggio caprino o pecorino fatti come si deve, un salame saporito e tanti altri gusti dimenticati. Anche le produzioni zootecniche possono essere condotte nel rispetto delle regole che stanno alla base dell’agricoltura biologica. Le aziende agricole che, oltre alle coltivazioni, hanno allevamenti di particolari razze, utilizzando gli alimenti prodotti nelle foraggere o nei boschi in ambiente incontaminato, riescono ad ottenere carni e formaggi di gran pregio. Sia per la salubrità dei sistemi di allevamento che per le insite caratteristiche di queste particolari razze animali (povere di grassi e ricche di sostanze nutritive), sono alimenti sani e quindi tranquillamente utilizzabili per le ricette dietetiche che vi presenteremo. GLI INTEGRATORI ALIMENTARI L'odierno sviluppo della medicina, accanto a tanti effetti positivi, ha comportato una crescente pressione di origine industriale e commerciale sul cittadino per indurlo a consumare i farmaci oltre le proprie reali necessità e a sottoporsi ad analisi frequenti e sempre più costose. Come spiega A.Donati, presidente di una commissione ministeriale per la prevenzione del doping negli studenti, la medicina è entrata in ogni aspetto della vita delle persone: ad esempio, nel controllo del peso corporeo, nella regolazione dell'umore, del sonno, dell'ansia, nell'integrazione dell'alimentazione, nella sfera sessuale, eccetera. Il nostro organismo invece di essere ritenuto fondamentalmente sano e da curare solo nei casi in cui intervenga una malattia, dovrebbe essere considerato fondamentalmente carente o cagionevole. L'intervento della medicina appare di conseguenza indispensabile per riportare e mantenere il proprio organismo ad un livello il più elevato possibile di efficienza e di benessere. Anche una persona che sta perfettamente bene può essere convinta da un medico, intenzionato ad allargare la propria clientela, che "potrebbe stare meglio se…." Questo "se" non si manifesta solo sotto forma di consigli per consentire uno stile sano di vita bensì per convincere il soggetto ad assumere farmaci e a effettuare analisi con una frequenza sempre maggiore. Donati sostiene che l'enorme influsso degli interessi commerciali che ruotano oggi intorno alla medicina si esprime con una modalità di comunicazione ancora più raffinata, capace di adattarsi anche alle esigenze delle persone "che hanno compreso l'importanza di uno stile di vita sano", perciò anche alle persone che praticano un'attività sportiva. Ad esse viene consigliato di assumere sostanze e farmaci che "favoriscano il recupero" , che "evitino il rischio di carenze", che "ottimizzino" le capacità delle performances. Insomma è sufficiente che il soggetto che pratica sport non fumi, non beva alcolici, non si alimenti in modo sbagliato, non rubi ore al sonno, ma occorre che venga anche "sostenuto" nell'allenamento poiché, gli viene rammentato che si tratta di un'attività particolarmente impegnativa". Il fatto che le aziende farmaceutiche ed una miriade di produttori di integratori alimentari abbiano immesso con successo sul mercato quantità enormi di farmaci e di sostanze che "fanno stare meglio" anche quando si sta bene, rappresenta la dimostrazione più eloquente che questo sistema di condizionare i comportamenti delle persone funziona (almeno per i produttori). Ad esempio un ragazzo che pratica sport, specialmente se vince qualche medaglia, deve per forza avere esigenze particolari. Perfino il suo istruttore, la settimana scorsa, ha consigliato di aiutarlo con gli integratori; dichiarando solennemente di essere sempre stato "decisamente contrario al doping " . Ha infatti spiegato ai genitori del ragazzo che gli integratori non c'entrano affatto con quell'elenco di sostanze vietate dalle istituzioni sportive. Né la creatina né gli aminoacidi, infatti, sono compresi in quella lista. Dunque, non sono doping e anzi fanno bene. Un nutrito gruppo di medici direttamente interessati alle vendite di queste sostanze hanno "spiegato" sulle riviste specializzate, nei convegni e nei loro studi privati che esse rappresentano l'alternativa pulita al doping: una sorta di benzina verde, priva di controindicazioni. Sono così comparsi sempre più numerosi e voluminosi, non solo nelle farmacie ma perfino nei negozi di articoli sportivi, i fustini di creatina o di aminoacidi, tipo confezioni di detersivo. Nonostante che nel gennaio 2001, dalla Francia sia giunta la notizia che l'Agenzia nazionale per il controllo sanitario degli alimenti, a conclusione di un approfondito studio sulla creatina ne avesse denunciato addirittura il rischio cancerogeno, tuttavia è stata assimilata in larghi strati di praticanti la convinzione che sia indispensabile "aiutarsi", perlomeno con gli integratori, per fare decentemente dello sport. Anche se le pubbliche istituzioni sanitarie, conclude allarmato Donati, dovessero creare sbarramenti verso l'uso indiscriminato a fini sportivi di questo o quel farmaco, le aziende produttrici sposterebbero la produzione verso nuovi prodotti decantandoli come miracolosi negli effetti ed innocui per la salute. La situazione è grave, perché un'attività come quella sportiva, che è nata come strumento individuale e sociale per divertirsi socializzando con i propri simili, nonché per migliorare il proprio stato di salute sviluppando armonicamente le proprie capacità fisiche e psicologiche, si sta trasformando in una situazione a medio e ad alto rischio. Il settore degli integratori alimentari, rappresenta una fonte di preoccupazione non solo per gli sportivi ma anche per la salute dei consumatori in genere perché nuoce alla loro corretta alimentazione. Schematicamente secondo un gruppo di qualificati docenti delle Università toscane, possiamo distinguere tre categorie di integratori alimentari. 1) Integratori suscettibili di produrre effetti tossici. Citiamo, solo a titolo di esempio: le composizioni contenenti cromo picolinato (Carbo Più; Ultra; Chromium Picolinate) e prodotti contenenti composti del cromo non specificati (Carbo Maxi; Hydro Carbo); i prodotti contenenti carnitina (Carbo Più; Carbo Maxi; Carnitine Force; Ultra Cut) e i prodotti contenenti estratto di yohimbe (Ultra Cut; Thermogen). La composizione commercializzata dalla Società Wassen Italia contenente selenio (Selenium A.C.E.). L'uso improprio di combinazioni contenenti selenio, cromo, yohimbina e carnitina possono esplicare effetti dannosi sulla salute umana. E' accertato ad esempio che il cromo provoca il cancro del polmone. 2) Integratori dotati di proprietà farmacologiche per la presenza di principi d'origine vegetale e suscettibili pertanto di interagire con farmaci assunti dal soggetto e/o di provocare comunque effetti collaterali, specie in presenza di specifiche controindicazioni (ad es., donne in gravidanza o bambini). Ad esempio l'uso cronico dei glucosidi antrochinonici contenuti nel rabarbaro, nella frangula e nell'aloe è sconsigliato in quanto contenenti dantrone, una sostanza eliminata dal commercio perché associata all'insorgenza di tumori epatici e intestinali. L'esempio più eclatante riguarda l'estratto di Hypericum perforatum ("erba di S. Giovanni") dalle proprietà anti-depressive per il quale sono stati accertati effetti collaterali dannosi. 3) Integratori che contengono sostanze integrative della dieta, non tossiche né dotate di proprietà farmacologiche e che quindi non suscitano preoccupazioni per la tutela del consumatore. Per queste tre categorie di integratori, talvolta le case produttrici o i distributori diffondono messaggi pubblicitari di natura ingannevole sia sotto il profilo degli effetti benefici sulle funzioni del soggetto (efficienza, concentrazione, resistenza allo sforzo), sia sotto il profilo della presenza di virtù terapeutiche nei confronti di certe malattie. Secondo la psicologa C. Marselli, in questi anni si è assistito a un proliferare di immagini e messaggi pubblicitari che accompagnano la commercializzazione, sempre più diffusa, degli integratori, che possono essere acquistati da chiunque non solo in farmacia in erboristeria ma anche nei supermercati, nelle palestre, nei negozi sportivi, negli istituti di estetica, e perfino tramite internet e per posta. Manca purtroppo un'informazione scientifica corretta per cui è possibile che una persona, non dotata di strumenti critici di lettura o incapace di utilizzarli per i motivi più diversi, interpreti come informazione quella che in realtà non è altro che pubblicità, che ha subito un'abile opera di maquillage comunicativo. Inoltre certi termini (sostengono D.Giachetti e L. Monti) come "integratore alimentare" e "supplemento dietetico" vengono impiegati senza che il consumatore possa distinguere con chiarezza a che genere di prodotti essi si riferiscano. Il termine "supplemento dietetico"deve essere riservato a prodotti alimentari di particolare impiego nutrizionale. e destinati a persone: - il cui metabolismo è perturbato; - che si trovano in condizioni particolari per cui possono trarre benefici dall'assunzione di talune sostanze contenute negli alimenti; - ai lattanti o ai bambini nella prima infanzia, anche se in buona salute. Gli "integratori alimentari" tempo fa erano stati definiti quei prodotti venduti come fonti concentrate di nutrienti, soli o in combinazione fra loro, con lo scopo di integrare l'assunzione di tali nutrienti, come solitamente avviene per mezzo dei normali alimenti vale a dire in buona sostanza, le vitamine e i sali minerali. Nella realtà attuale, invece, quelli che vengono definiti integratori alimentari non contengono solo vitamine e sali minerali, ma anche altre sostanze quali piante medicinali o i loro estratti, amminoacidi, acidi grassi, ecc. Di conseguenza, per gli integratori occorrerebbe comiare una nuova definizione. Ad esempio, si tratta di preparazioni che includono compresse capsule, polveri, liquidi contenenti nutrienti, micronutrienti ed altre sostanze commestibili, consumate in quantità unitarie in aggiunta ad una dieta normale. Il problema degli integratori alimentari non risiede tanto nell'uso delle vitamine e dei sali minerali, quanto nella presenza delle sostanze vegetali. Infatti, molte piante contenute negli integratori alimentari sono medicinali, sulle quali vengono svolte ricerche farmacologiche che dimostrano come siano dotate di azioni terapeutiche accertate nell'uomo. Le sostanze vegetali che possiedono queste caratteristiche non integrano carenze alimentari dovute al deficit di assunzione di determinati nutrienti attraverso la dieta, ma provocano modificazioni a livello dei processi alterati dalla malattia con gli stessi meccanismi con cui lo fanno i farmaci. In Italia non è possibile, come avviene in Francia, distinguere fra le sostanze vegetali che devono essere considerate veri e propri farmaci e quelle che non lo sono. Nel nostro Paese una sostanza vegetale può costituire il principio attivo di una specialità medicinale soggetta a prescrizione medica, avendo ottenuto la prescritta autorizzazione ministeriale alla commercializzazione, e nello stesso tempo costituire il contenuto di integratori alimentari di libera vendita. Questa ambiguità viene sfruttata commercialmente, poiché, benché gli integratori alimentari non possano essere propagandati e venduti con lo scopo di prevenire o curare le malattie, di fatto lo sono, seppure indirettamente (pubblicità maliziosa). Giachetti e Monti mettono in guardia contro il rischio che gli integratori alimentari possano contenere sostanze farmaceutiche vegetali pericolose per la salute con queste motivazioni: - anche se i dosaggi in principi attivi sono inferiori a quelli dei farmaci non esiste garanzia che gli utenti non facciano un consumo esagerato del prodotto (la somma varia di più dosi minime può anche superare la dose ritenuta sicura); - non è vero che le sostanze vegetali siano innocue, potendo indurre importanti effetti tossici al pari dei farmaci convenzionali, se non vengono impiegate in modo che il rischio tossico non superi il beneficio terapeutico atteso.; - esiste la dimostrazione sperimentale che le sostanze vegetali possono interagire con i farmaci convenzionali assunti contemporaneamente per altre patologie diminuendone l'efficacia o aumentandone la tossicità. A conclusione, riportiamo a titolo esemplificativo i danni che perfino le vitamine, se vengono somministrate erroneamente, possono provocare. Ricordiamo che le vitamine sono sostanze che l'organismo non è in grado di produrre da solo e devono perciò essere introdotte con una dieta appropriata. Quando vengono assunte con una alimentazione equilibrata le vitamine non producono effetti collaterali dannosi e non necessitano di supplementazioni sotto forma di prodotti farmaceutici o di integratori. La supplementazione potrebbe infatti determinare un sovradosaggio con conseguenti disturbi (o effetti collaterali) diversi a seconda del tipo di vitamina. Per esempio una eccessiva introduzione di vitamine può determinare: vit.A → insonnia, disturbi gastrointestinali, gengiviti, reazioni cutanee, perdita di capelli, ecc. Vit.C → >rischio di calcolosi renale, cefalea, disturbi gastrointestinali, ecc. Vit.D → perdita di calcio dalle ossa, danni renali, ipertensione, aritmie, ecc. Vit E → emorragie, alterazioni del sistema immunitario, alterazioni delle funzioni sessuali, ecc. Vit.K → alterazione alle funzioni del fegato. Nei soggetti sani che svolgono un'attività sportiva e che abitualmente seguono una dieta sana ed equilibrata (ricca di frutta e di verdura) non è necessaria alcuna supplementazione vitaminica. I CIBI TRANSGENICI Cosa sono gli organismi modificati geneticamente? Tutte le cellule costituenti un qualsiasi organismo vivente portano in sé una serie di comandi ovvero i geni che vanno a costituire i cromosomi, sede delle informazioni ereditarie. Ogni gene, a sua volta, mediante le proprie molecole di DNA è in grado di ordinare alla cellula di appartenenza di produrre una certa proteina che presiede ad una specifica funzione. L’ingegneria genetica, scienza nata circa venti anni fa dalla genetica e dalla biologia molecolare consente di modificare la composizione genetica di un organismo per conferirgli caratteristiche particolari. Per attuare ciò si deve isolare il frammento di DNA che contiene l’informazione desiderata (gene) e viene inserito nel DNA dell’organismo che si vuole modificare in modo da conferirgli le caratteristiche volute. Se si vuole, ad esempio, che una determinata specie vegetale (pomodoro, patata, cotone) resista all’attacco di un insetto o ad un determinato prodotto chimico (erbicida) si inserisce nel suo DNA il gene della “resistenza” desiderata, si otterrà così una pianta che si autoprotegge e resiste a quel determinato insetto o erbicida. Le tecniche impiegate si basano sulla possibilità di riconoscere e tagliare pezzi di DNA in punti precisi e di reintrodurre il gene modificato nella cellula vegetale o animale; strumenti per tagliare in pezzi il DNA sono particolari enzimi denominati di restrizione prodotti da microrganismi. I possibili benefici dell’applicazione dell’ingegneria genetica L’ingegneria genetica ha avuto in questi ultimi anni notevoli sviluppi nel settore dell’agricoltura e delle medicina. Nel caso della medicina le biotecnologie consentono la produzione di farmaci e vaccini molto efficaci e sicuri nell’uso. Tra i farmaci l’esempio più probante del valore dell’ingegneria genetica è rappresentato dalla produzione di insulina umana da parte di batteri geneticamente modificati; altri esempi sono gli ormoni polipeptidici, quali gli ormoni della crescita e l’eritropoietina, proteine del sangue che ne facilitano o ne riducono la coagulazione, immunomodulatori e antitumorali, quali gli interferoni e l’interleuchina-2 e antibiotici con un efficacia 10.000 volte superiore a quelli tradizionali. Nel campo dell’agricoltura l’applicazione delle biotecnologiche per la modificazione genetica di piante destinate all’alimentazione è stata prevalentemente finalizzata all’ottinemento di varietà di vegetali con specifiche caratteristiche di interesse commerciale, quali la resistenza agli erbicidi (tabacco, mais, soia, colza, cicoria e cotone), ai parassiti (mais, patate, pomodori e cotone), agli stress ambientali (varietà di fragole che resistono al gelo, varietà di cotone e di melone che crescono in ambiente arido e che possono essere irrigati con acque salmastre). Ulteriori finalità che sono state realizzate con l’applicazione della biotecnologia al mondo vegetale è stato l’ottenimento di piante più conservabili, quali pomodori che dopo la maturazione non si deteriorano, di piante autofertilizzanti attraverso l’inserimento di geni batterici che consentono la fissazione dell’azoto e di piante di elevate qualità nutrizionale introducendo i geni che producono proteine ricche di metionina, un aminoacido essenziale per l’uomo. Nel caso degli animali, le biotecnologie permettono di ottenere specie più redditizie oppure di modificare la composizione dei prodotti, carne, latte, uova, attraverso la formazione di sostanze utili o l’eliminazione di sostanze nocive come ad esempio il colesterolo. Potenziali rischi connessi con l’applicazione dell’ingegneria genetica all’agricoltura A fronte di questi aspetti che sembrano particolarmente allettanti, attualmente è in corso un ampio dibattito scientifico sugli effetti a medio e a lungo termine che il trasferimento di geni tra organismi diversi può provocare sull’ecosistema, sull’ambiente e sugli essere viventi, in particolare sull’uomo. Rischi sono stati avanzati per la salute umana, per l’ambiente e per l’economia. Per quanto riguarda l’uomo sono stati ipotizzati pericoli connessi alla resistenza agli antibiotici e ai virus e alla possibilità di una maggiore incidenza della allergie. Qualche anno fa si scoprì che l’immissione di un gene della noce brasiliana nella soia aveva trasferito a quest’ultima anche il potere allergizzante delle noci. Fortunatamente quella soia fu bloccata prima che entrasse sul mercato. Esiste effettivamente la possibilità che gli alimenti con ingredienti geneticamente modificati possano provocare allergie. I dati attualmente a disposizione in merito alle possibili allergie anche se dimostrano che non esiste un aumento del rischio, sono stati però ottenuti su ratti, mucche, polli e pesci alimentati con soia modificata geneticamente per un periodo massimo di dieci settimane; nulla si conosce circa gli effetti a lungo termine. Le tecnologie di ingegneria genetica prevedono la clonazione dei geni nei batteri. Per l’identificazione dei batteri portatori di plasmidi contenente il transgene, vengono impiegate sequenze geniche marcatore. In molti casi il marcatore è un gene portatore della resistenza agli antibiotici, ad esempio il Mais-Bt (Mais geneticamente modificato resistente alla piramide) è stato ottenuto impiegando come marcatore il gene-bla che codifica la proteina Blactamase che conferisce ai batteri la resistenza all’ampicillina (antiobitico). I geni con resistenza agli antibiotici però non si esprimono quando sono inseriti nel genoma della pianta. È aperto il dibattito scientifico relativamente ai rischi di trasmissione dell’antibiotico-resistenza dalla pianta a batteri. Tale processo potrebbe verificarsi sia sul suolo, durante la decomposizione del materiale vegetativo, che all’interno dell’apparato digerente del bestiame e/o dell’uomo. La Commissione Europea, Directorate General III Industry, minimizza i rischi di trasferimento genico orizzontale (dal mais ai batteri) considerando che comunque tali possibili episodi di trasferimento orizzontale non costituiscono un reale pericolo perché l’antibiotico resistenza è comunque già presente in molti batteri, quali l’Acinetobacter calcoaceticus, l’Aspergillus Niger e l’Erwinia Chrysanthemi rispettivamente nei riguardi della Kanamicina dell’Igromicina B e dell’Ampicillina. Considerando però che l’impiego agricolo di piante geneticamente modificate comporta la formazione di grandi masse vegetative contenenti DNA con sequenze genetiche portatrici dell’antibiotico-resistenza ci si chiede se effettivamente l’immissione nell’ambiente di questi prodotti non possa incidere nel tempo in maniera significativa sulla diffusione delle caratteristiche di resistenza, rendendo inutilizzabili gli antibiotici a scopo terapeutico. Il pericolo non sussiste ovviamente se la riproduzione di OGM avviene in ambienti confinati ein quantità limitate come si verifica per la produzione di farmaci. Le piante geneticamente modificate resistenti ai virus vengono ottenute mediante inserimento di geni virali. Alcuni ricercatori sostengono che in piante geneticamente modificate infettate da virus si possono verificare processi di ricombinazione, con trasferimento al virus infettante del codice genetico virale presente nella pianta. Secondo tali tesi l’impiego agricolo di piante OGM contenenti geni virali, potrebbe aumentare la variabilità genetica dei virus, con pericolo di formazione di nuovi e più virulenti agenti patogeni. Il punto critico, anche per questo aspetto, come per l’antibiotico resistenza, è che nell’impiego agricolo si ha una riproduzione di massa del DNA esogeno, e quindi un incremento importantissimo delle probabilità di accadimento di eventi rari. Coltivazioni a pieno campo e prodotti OGM in circolazione Finora l?Unione Europea ha concesso dal 1993 ad oggi l’autorizzazione all’immissione sul mercato soltanto per cinque vegetali modificati geneticamente: mais, soia, colza, radicchio e tabacco. In Italia, mais e soia geneticamente modificati vengono importati in quanto la coltivazione dei vegetali OGM è consentita solo a fini sperimentali e non commerciali. Tra tutti, il mais e la soia interessano maggiormente il settore alimentare in quanto entrambi vengono utilizzati sia direttamente (polenta, cereali per la prima colazione, popcorn, chicchi d mais per insalate…), che come derivati (amido di mais, lecitina di soia, olio di mais e soia) per essere impiegati come additivi in moltissimi prodotti: gelati, budini, biscotti, pasticceria da forno, tortellini, maionese, cioccolata. Il latte di soia per molti neonati sostituisce il latte materno. Inoltre da moltissimo tempo, mais e soia rappresentano il principale mangime degli animali da allevamento. Gli OGM, dunque, attraverso la catena alimentare, potrebbero finire tranquillamente negli alimenti che impiegano come ingredienti mais e soia OGM o loro componenti come l’amido di mais o l’olio di soia. Posizione dell’Unione Europea – Principio della precauzione Il 2 febbraio 2000 la Commissione dell’Unione Europea ha adottato una Comunicazione sul “principio di precauzione” da seguire in tutte le ipotesi in cui le informazioni scientifiche sono insufficienti, non conclusive o incerte e vi sono indicazioni tali da far ritenere che vi possano essere effetti potenzialmente pericolosi per l’ambiente e per la salute umana, incompatibili con livello elevato di protezione scelto dall’Unione Europea. In sostanza, tutte le volte che la scienza non è in grado di fornire una risposta chiara o vi è comunque, sulla base di dati scientifici rigorosi ed affidabili, il pericolo che da un prodotto o da un fenomeno possano derivare effetti potenzialmente negativi all’ambiente o alla salute dei cittadini, si deve applicare il principio di precauzione, adottando, a livello di scelte politiche ed istituzionali, le decisioni e i comportamenti ritenuti più idonei a fronteggiare la situazione. POTENZIALI RISCHI SULL’AMBIENTE FLUSSO GENETICO VERTICALE Si definisce “flusso genetico verticale” il trasferimento sessuale di materiale genetico alla progenie. Le principali colture transgeniche sviluppate (mais, colza, bietole, ecc.) sono anemofilie e fertili e hanno quindi una elevata probabilità di incrociarsi con colture tradizionali o specie selvatiche compatibili sviluppando incroci fertili. La coltura in campo aperto di queste piante comporta quindi rischio di inquinamento genetico delle analoghe colture non geneticamente modificate e delle specie selvatiche geneticamente compatibili. Il livello zero di contaminazione non può essere garantito come messo in evidenza dal caso del polline di Mais OGM T25 che può fecondare colture di mais convenzionale generando piante fertili, sottolineando come, per diffusione anemofila in condizioni di ventilazione minima, lo 0,75 del polline di mais raggiunge i 500 m di distanza dal punto di emissione, ma in condizioni di forte ventilazione i pollini possono diffondersi per decine di chilometri dal punto di emissione. Per contenere una contaminazione genetica delle colture entro la soglia dello 0,3% - 0,7% è necessario una distanza di sicurezza di 5000 metri tra colture di colza e di 2000 metri tra colture di bietole. Da questo discende che, se si vuole evitare un inquinamento per flusso genetico verticale delle colture, occorre effettuare una separazione quantomeno regionale delle colture OGM e OGM.free e riprodurre le sementi OGM-free in aree protette. La diffusione del menoma modificato geneticamente nelle varietà selvatiche costituisce un importante elemento di rischio per l’equilibrio dell’ecosistema. Numerose colture, tra cui la colza,radicchio, bietola, lattuga, sorgo, riso, avena sono sessualmente compatibili con specie infestanti per cui la coltura in campo di OGM di queste comporterebbe il pericolo di trasmissione genetica verticale negli ibridi. In particolare il dibattito agronomico verte sul pericolo di conferire alle piante infestanti resistenza agli erbicidi, rendendo inutilizzabili i prodotti attualmente in uso. L’inserimento del materiale genetico modificato nel genoma delle piante autoctone può avvenire seguendo un processo di “scattering”, ovvero con frammentazione della sequenza genica estranea e inserimento dei frammenti delle sequenze geniche nel genoma della pianta autoctona Lo scattering è un processo evolutivo che può svilupparsi nella riproduzione sessuale all’interno delle specie autoctone geneticamente contaminate, a causa di una presunta instabilità del genoma modificato. Il processo di scattering, può alterare la funzione del gene esogeno ed avere conseguenze importanti sull’evoluzione dell’organismo. FLUSSO GENETICO ORIZZONTALE Si definisce flusso genetico orizzontale il passaggio di informazioni genetiche tra individui di specie diverse, sessualmente non compatibili. I meccanismi che determinano il flusso genetico orizzontale comprendono la trasformazione, la coniugazione, l’endosimbiosi e l’infezione virale e coinvolgono virus, plasmidi e gli elementi trasponibili. La disseminazione di geni entro e tra comunità batteriche nell’ambito naturale è ben nota ed è considerata un importante meccanismo evolutivo. La prima evidenza scientifica di trasferimento orizzontale tra piante superiori fu ottenuta da Hoffman nel 1994. Non si conoscono i meccanismi del processo di trasferimento genetico orizzontale tra piante superiori. Il trasferimento potrebbe essere mediato dal suolo perché in esso si creano condizioni che facilitano la protezione del DNA proveniente dalla decomposizione microbica degli organismi vegetali. La probabilità e l’efficienza dei meccanismi di trasferimento orizzontale in ambienti naturali rimangono tutt’ora indeterminati, né si sa se la potenziale maggiore instabilità genetica degli OGM possa favorire tali processi. Scelta del consumatore ed etichettatura Da indagini condotte nel 2001 dal Directorate General for Press Comunication, Public Opinion Sector sul comportamento del consumatore europeo è emerso chiaramente come le sue scelte sono contrarie agli alimenti geneticamente modificati. Dal sondaggio infatti risulta che il 94,6% dei consumatori europei vuole avere il diritto di scegliere prodotti OGM-free, l’85,9% non ritiene sufficienti le informazioni su questi prodotti e il 70,9% non vuole comunque consumare questo tipo di alimenti, il 59,4% della popolazione è allarmato per i rischi ambientali relativi all’uso agricolo di prodotti OGM. Il consumatore europeo non avverte l’utilità dell’impiego di OGM in agricoltura e non è interessato ad una riduzione del costo dei prodotti agricoli. Dai sondaggi svolti dalla Confederazione Industrie Agroalimentare Europeo, presentati nell’aprile 2002 risulta che la maggioranza dei cittadini europei non consumerebbe un alimento se sapesse che contiene OGM: Il mondo della produzione agroalimentare e della Grande Distribuzione, in risposta a queste esigenze dei consumatori, hanno deciso di stanziare importanti investimenti per valorizzare i propri prodotti come OGM-fre. In alcuni casi i produttori, per andare incontro a “scelte etiche” del consumatore, sono stati costretti ad eliminare dalla formulazione degli alimenti i derivati di soia o di mais, quali la lecitina e l’amido, affrontando rilevanti difficoltà tecnologiche Il consumatore viene informato della eventuale presenza di alimenti OGM o di ingredienti derivati da prodotti OGM dal’etichettatura; infatti il Regolamento CE 1139/98 ha introdotto l’obbligo di indicare nell’etichetta degli alimenti la presenza di prodotti o derivati da prodotti OGM e dall’aprile 2000 quest’obbligo sussiste solo nel caso in cui la percentuale sia superiore all’1%. Più restrittiva è invece la normativa riguardante gli alimenti per la prima infanzia per i quali è fatto divieto di contenere prodotti geneticamente modificati (D.P.R. 74. 1999 n. 128). Il consumatore, quindi, dovrebbe poter riconoscere alimenti OGM o contenenti ingredienti OGM con un contenuto superiore all’1% attraverso la lettura della dicitura in etichetta, ad esempio, tra gli ingredienti di “soia geneticamente modificata” oppure “di mais geneticamente modificato”, numerosi però sono stati i casi in cui, dall’analisi di prodotti presi dal commercio, è stata riscontrata la presenza di OGM, superiore all’1%, senza la conseguente dichiarazione come verificatosi in Francia dove su 103 prodotti alimentari prelevati dal commercio ed analizzati ben 36 contenevano una percentuale di OGM superiore all’1% senza alcuna menzione in etichetta. (continua) BOX MEMORANDA -I frigoriferi a pozzetto utilizzati negli esercizi di vendita hanno un piano di massimo carico dell’apparecchio che non deve essere superato al fine di garantire la corretta temperatura di conservazione. - Le uova di categoria A devono essere mantenute in luoghi freschi, pur non richiedendo la conservazione in frigorifero; - La carne fresca, il pollame, la selvaggina, il latte e la panna pastorizzata, il burro, la ricotta e i formaggi, gli insaccati non stagionati, le paste fresche ripiene, sono alcuni degli alimenti che devono essere sempre conservati in frigorifero a temperature di refrigerazione; - il pesce fresco deve essere sempre mantenuto sotto ghiaccio; - i molluschi bivalvi (cozze, vongole, ecc.) devono essere posti in vendita esclusivamente vivi e vitali, mantenuti al riparo da ogni inquinamento o contatti o manipolazione del pubblico in appositi comparti del banco frigo e nel rispetto delle temperature di refrigerazione; - i prodotti della pesca congelati e surgelati, compresi i molluschi bivalvi, devono essere conservati per la vendita negli appositi banchi frigo alla temperatura di meno 18°C; - i prodotti di gastronomia precotti (pollo arrosto, arrosti di carne) devono essere conservati, in attesa della vendita, in appositi banchi separati dagli alimenti crudi a temperatura superiore a 60°C oppure a temperatura di refrigerazione; - i gelati artigianali devono essere posti in appositi banchi frigo e devono essere serviti con apposite palette distinte per ogni gusto.