inter, sampdoria, torino e fiorentina ok ma solo la fulgor gli
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numero 10 estate 2010 INTER, SAMPDORIA, TORINO E FIORENTINA OK MA SOLO LA FULGOR GLI È RIMASTA NEL CUORE Cara Val Stirone ha incontrato a Vergaio, in Toscana, dove abita, Eugenio Bersellini, una vita sui campi di calcio. Prima come giocatore (“il Suarez della serie B”) e poi come grande allenatore. A renderlo tale anche uno scudetto e una Coppa Italia con una squadra-operaia e tutta italiana, quella nerazzurra. Borgotarese di nascita è però fidentino doc calcisticamente parlando: della Fulgor e dell’A.C. Fidenza le sue prime maglie ufficiali. Del professor Luigi Pratizzoli, suo primo maestro di sport e di vita, dice: «É stato per me un secondo padre» VERGAIO DI PRATO - C’è una differenza tra moda e mito. La prima regala emozioni, poi se ne va. Il mito rimane. E POCO importa se il grande “circo” mediatico, sottraendosi con pervicacia agli isterismi degli straripanti “processi” al dio pallone. Eugenio Bersellini, inutile dirlo. ha tutte le carte in regola per entrare nella leggenda del calcio. Un dignitoso passato sul rettangolo di gioco, ma soprattutto una panchina nobilitata da tre Coppe Italia e uno scudetto con (‘Inter più operaia che si ricordi. rigorosamente made in Italy. D’accordo, “Spillo” Altobelli, Beccalossi e Oriali, ma anche Canuti, Bini, Pancheri, A m b u , A destra Bersellini, sopra la Fulgor Fidenza, anno 1952. Da sinistra il prof. Pratizzoli, Zappieri, Sirelli, Pizzi, Faroldi, Brunetti, Capanni, Costa, Bersellini, Pinardi, Pratizzoli e Concari. Caso, Muraro, Occhipinti e Cipollini. Per il popolo dei calciofili, anche un paio di dettagli non banali: non ha mai fallito un calcio di rigore, nel 1980 ha vinto il “Guerìn d’oro” per la categoria allenatori, insieme ad Agnolin, fra gli arbitri e Luciano Castellini fra i calciatori. Esplosivo talvolta, effervescente da sempre. In qualche modo precursore degli eventi, in quel suo saper essere “speciale” già in tempi calcistici non sospetti ( la discussa “vasca del fango” di cui parleremo). «Mourinho? Un tecnico bravissimo» - ammette. Dieci in diplomazia. Zero entrate a gamba tesa, per dirla alla “Mou”. E d’altronde Eugenio Bersellini ha sem- pre giocato di “fino”. Sui campi della serie cadetta ,col pallone tra i piedi, è stato un intelligente organizzatore di gioco, capace come pochi di inventare l’ultimo passaggio. Gli cucirono addosso un’etichetta che, a quei tempi, suonava come una sorta di laurea ad honorem del pallone: il Suarez della serie B. Glielo ricordo lavorare, lavorare, lavorare. In due parole, anzi in tre, c’è tutta la filosofia di Eugenio Bersellini da Borgotaro, tipo tosto, capace di mettere tutti sull’attenti.In coppia con Armando Onesti, suo fidato preparatore atletico, inflessibile fustigatore di smidollati e “tiratardi” della tavola imbandita. Regole severe, metodi di allenamento ferrei. e sorride: «Anche raggio di luna della B» -aggiunge. Citazione questa riconducibile a Selmosson, svedese della Roma anni sessanta. Per capirci, un altro marchio di qualità. Con la regia nel “dienneà” e un’eccezionale visione di gioco, sembra scontato il passaggio di Bersellini dal c a m p o alla panchina, a soli trentadue anni. Esigente, sanguigno, pragmatico, assertore maniacale delletreelle: Non a caso “ il sergente di ferro”.«Fu Giancarlo Beltrami, Direttore Sportivo del Como, a definirmi così ...». Mi mostra l’indice della mano destra: porta ancora i segni di un impatto devastante. - «Ad Avellino, dopo l’esonero di Vinicio, (8 partite, due punti), ero riuscito a risollevare la squadra. La sconfitta con (‘Inter all’ultima giornata, ci costò la retrocessione. Sfondai la porta dello spogliatoio di San Siro con un pugno...». Il colloquio con Eugenio Bersellini è un tranquillo rituale che si consuma nella saletta, a noi riservata, del Bar Pasticceria “La Vita è Bella”, sulla via Tobbianese, in quel di Vergaio, frazione di Prato. Beh, c’è una spiegazione. Un giorno, a due passi da qui, mise su casa un toscanaccio verace di nome Roberto Benigni. Non uno qualsiasi. «Da tempo non si fa vedere, forse è troppo indaffarato ..» osserva la ragazza del bar, che aggiunge: «Qui abita ancora la sorella...». Poi arrivò Eugenio Bersellini, che col sublime “mostro” del cinema nulla aveva da spartire. Niente villa, ma alloggio dignitoso all’ultimo piano di una palazzina come tante.Esistenza normale, investimenti oculati. Bersellini non ha l’aria di chi avrebbe voluto comprare il Colosseo. Fuori dalla mischia, i toni sono pacati, le parole misurate, il sorriso solare. - «Qui mi trovo benissimo. C’è un bel clima. Da quelle colline, d’estate, arriva un’aria davvero speciale. Poi qui ci conosciamo tutti...». In effetti, per la gente del posto, Eugenio Bersellini accosciato bianconera del Fidenza a destra . Onesti con a la sinistra maglia in piedi è confidenzialmente “il mister”, oggetto della discreta deferenza che si riserva a chi, in qualche modo, ha saputo ritagliarsi un passato illustre. Giusto il tempo dei convenevoli e Bersellini piazza l’assist. E’ una vecchia fotografia ingiallita della Fulgor Fidenza, anno 1952. Lui c’è, reso riconoscibile da una crocetta scritta con la biro. Sorprende che quasi sessant’anni dopo, quel “ reperto “ sia ancora tra le sue mani. «Fidenza mi è rimasta nel cuore...» - -- ammette. Per quelle casualità che a volte segnano il destino di una persona, Mario Spigaroli, fidentino doc in vacanza a Borgotaro, vede giocare questo ragazzino “dal fisico esile ma dai piedi sopraffini”. Parte la segnalazione al prof. Pratizzoli, che lo vuole alla mitica Fulgor Fidenza. Qui comincia la storia, bella, limpida, a lieto fine. «Il professore è stato per me un secondo padre....» -dice-. Ha una breve pausa ; pochi secondi per una sorta di introspezione che gli consente di riordinare le pagine virtuali degli amarcord.«Arrivai all›Oratorio Don Bosco e trovai subito Zappieri, bravissimo al ping pong. Poi tutti gli altri, Capanni, Concari, Primo Pratizzoli, Brunetti. Costa, ... Ricordo il debutto sul campo di Fiorenzuola. Entrai nel secondo tempo, con la squadra che stava perdendo. Il Professore mi affidò il centrocampo. Se va male, pensai, mi prenderanno a giocare a pallacanestro. Vincemmo la,partita». . Torniamo alla Fulgor... «Eravamo una bella squadra di giovani. Dopo aver vinto il nostro campionato ci invitarono a Ferrara, per un›amichevole contro la rappresentativa locale. Giocammo prima della partita tra la Spal e il Milan. Finì 4 a zero per noi». Con Onesti che sfruttò da par suo gli assist di Bersellini e segnò quattro gol... Sorride. «Poi venni a sapere che Nordhal, rivolto al suo compagno di squadra Liedholm, disse: ma hai visto come giocavano quei due?». Dalla Fulgor al Fidenza Calcio, in Quarta Serie... »Due anni di utile esperienza. Ricordo con nostalgia compagni come Lori, Cinel, Pinco-lini, Gatti, Rossi, Fontana, Spigaroli , Laucello e naturalmente Onesti». Fidenza fu in qualche modo il suo il trampolino di lancio. Nel 1956 ,appena ventenne, Eugenio Bersellini si ritrovò a Brescia, in serie B, regista di un reparto di giovani promesse: Sacchella, Favini, Nova, Bersellini, Fraschini, Gasparini. «A Brescia - racconta - cercai di sdebitarmi con Mario Spigaroli che giudicavo un bravo giocatore. Così lo segnalai alla dirigenza. Fu messo alla prova. Ma in partita, forse tradito dall’emozione, non toccò palla...Mi dissero: ma chi ci hai portato? Da allora ho chiuso con le raccomandazioni ...». Mister, noblesse oblige, cominciamo dall’Inter. Giuseppe Bergomi , terzino della nazionale campione del mondo, una volta disse: Bersellini fa parte dei miei ricordi più belli. «Giocatore straordinario, serio, di poche parole, di quelli che piacevano a me. Non mi stancavo mai di ripeterlo: il lavoro paga...». A piedi da Milano a Fontanellato Il suo scudetto con l’Inter: in testa dalla prima all’ultima giornata... Quel riferimento alla pallacanestro non è ca- «E› il mio ricordo più bello. Era una squadra tutta italiana, con ragazzi che arrivavano dalla serie B e suale.... dal settore giovanile. Fui io a suggerire a Beltrami «Ho giocato nella Borgotaro Basket allenata da l›acquisto di Altobelli dal Brescia...». Quarantelli, un’altra persona molto importante per me. Ricordo che una domenica mattina di- Il suo passaggio alla panchina dell’Inter non fu sputai una gara di campionato a Parma. Il po- così scontato; aleggiava un certo clima di sfidumeriggio, scesi in campo col Fidenza calcio, in cia... serie D». «E› vero. Anche il presidente Fraizzoli non era convinto. Ad Appiano Gentile, alla conferenza stampa di presentazione, si alza Piero Sessarego di Tuttosport e mi dice: -Visto che è arrivato all’Inter , ci spiega come farà giocare la squadra? Giocherà a rombo e a romboide, risposi un po’ stizzito. Insomma, un inizio difficile, ma poi capirono con chi avevano a che fare. Quando decisi di lasciare (‘Inter, Fraizzoli mi chiese di rimanere...». A quel tempo, la pagina sportiva del Corriere di Informazione uscì con questo titolo: - Come si rovinano i giocatori dell’ Inter! «Era chiaro il riferimento alla vasca del fango. Avevo fatto arare un pezzo di terra e lo facevo bagnare tutti i giorni. Lì, agli ordini del preparatore atletico Onesti, si facevano sedute molto pesanti per rinforzare la muscolatura dei giocatori. I risultati mi diedero ragione, ma Armando si guadagnò l›appellativo di killer...». Soprattutto da Beccalossi «Era un ottimo giocatore, tecnicamente molto dotato. Ma non rispettava le regole fuori dal campo e, men che meno, a tavola. Andava matto per i pasticcini. La società mi invita a tenerlo a regime e così io lo spedisco per dieci giorni in «clausura» alla Pinetina, affidato alle “cure” di Onesti. Spremuto a dovere, rientrò contro la Juve. Zero a zero al termine del primo tempo. Rientrai nello spogliatoio e dissi feroce: la Juve non ne ha più, adesso la facciamo fuori. E così fu. Beccalossi salta Furino e pennella l’assist per Muraro, che segna. Finisce uno a zero per noi. Entro nello spogliatoio e urlo : visto che avevo ragione io? Poi, rivolto a Beccalossi: sei un asino, hai visto come si fa?». Ovvio,a questo punto, che il discorso scivoli su Armando Onesti, suo ex compagno di squadra nel Fidenza ( 1953 / 1955). Ci può ricordare lo “storico” incontro che segnò l’inizio di una collaborazione durata 11 anni? carmi e spiego: ti devo parlare...Onesti capisce e si precipita in stazione». Dunque, inizia l’avventura nel Como... «Si. La storia poi finì senza alcun litigio. Dopo l›ultima di campionato, a Roma, decisi di lasciare (‹Inter. Informai Onesti. Ma lui preferì rimanere col mio successore, Rino Marchesi». Dal 1982 al 1984 lei siede sulla panchina del Toro... «A Torino ebbi qualche problema. Mi azzopparono Zaccarelli e le cose si complicarono. Eppure eravamo partiti bene. Coi granata, mi tolsi lo sfizio di battere la Juve, in un derby memorabile e spettacolare. Da bambino tifavo per il Toro». Si salta di palo in frasca, seguendo consolidate gerarchie che un secolo di pallone hanno reso inossidabili come l›acciaio. Certo, è esercizio complicato riavvolgere il filo cronologico del vissuto sportivo di un simile personaggio. Il suo curriculum è davvero straordinario: sei squadre da calciatore, 19 da allenatore. Un percorso che spazia dalla Serie C alla serie A, dalla quarta serie alla Nazionale libica. Bersellini, il sergente che piace al Colonnello, titolò nel 2000 II Corriere della Sera. Non senza ragione. L’anno successivo, il mister di Borgotaro vinse il campionato libico sulla panchina dell’ Al- Ittihad di Tripoli, la squadra che schierava tra le sue file il figlio minore del colonnello, Al Sa’Adi Gheddafi. «Venivo da due esperienze in serie B non proprio positive. Anzi,direi che Modena e Bologna furono un mezzo disastro. Senza particolari gratificazioni le esperienze in C1 col Pisa e il Saronno. Ma è stata la mia fortuna. Sono un uomo di fede e credo nella provvidenza. E’ saltata fuori la Libia...Cinque anni - racconta - in cui ho fatto di tutto: l’allenatore, il preparatore atletico e persino il ... dietologo. Andavamo in ritiro a Malta. Clima meraviglioso...». Un po’ come a Lecce... «Dal ‹66 al› 68 due anni da calciatore. Mi chiamò una «Conclusa la prima fase della preparazione pre- mattina il presidente del Lecce, mentre mi allenavo campionato sulla panchina del Como, sto rientrando col Brescia, pur non facendone parte. Il Brescia mi a Borgotaro per qualche giorno di riposo. A Fi- aveva addirittura offerto un posto di lavoro alla denza, in attesa del treno, chiamo Armando: Chiari & Forti, ma io volevo giocare ancora qualche sono Eugenio, sono qui in stazione... Onesti, anno. Accettai l›offerta del Lecce dopo un colloquio. mezzo assonnato, pensa che sia l’amico Eugenio Pugliese, che mi voleva al Foggia, non mi perdonò lo Ghiozzi (a quel tempo, non ancora Gene Gnocchi sgarbo. Quando mi capitava di giocare contro la sua n.d.r.). così mi interrompe: ci sentiamo più tardi. squadra, mi sottoponeva a cure ....speciali». E riattacca. Rifaccio il numero, riesco a qualifi- Lecce rappresentò il suo debutto ufficiale sulla Ci racconti un episodio legato a lui... panchina. «Nel 1988, ad Ascoli, dopo un inizio difficile, arrivò «Dopo oltre due anni, per quanto fossi legatissimo Giordano e la squadra si riprese. Ci salvammo a questa meravigliosa città, avevo deciso ad nell›ultima partita, grazie alla vittoria sul Napoli andarmene. Il Presidente mi voleva invece sulla e ai...buoni uffici di Giordano, che la settimana panchina e insisteva affinché rimanessi. Ne parlai precedente, al matrimonio di Ciro Ferrara, aveva con i miei compagni di squadra. Allora - risposero - chiesto agli ex compagni Careca, Bagni e Renica la dovremo chiamare mister? Dopo quelle parole, di non... giocare proprio alla morte...Tutto però, non potevo più dire di no. Presi in mano la squadra avvenne senza che Diego lo sapesse. Il grande nelle ultime nove gare. Nove vittorie e significativo “Capo” infatti non ci stava mai a perdere...». salto in classifica: dal quart›ultimo posto, al quarto. Edmondo Fabbri disse: il Lecce di Bersellini gioca Chi è oggi il migliore allenatore? benissimo. Davvero un’esperienza indimentica- «Fabio Capello, non c›è dubbio». bile». Marcello Lippi un giorno disse: il migliore alFerzan Ozpetek, regista di “Mine vaganti”, lenatore é Eugenio Bersellini. disse: - «Mi sono perdutamente innamorato di Lecce, dei suoi vicoli profumati di zagare e gel- «Lippi lo ebbi alla Samp come giocatore. Il primo somini...il Salento è una terra dove vivi un’at- anno era un po› troppo lezioso, ma l›anno dopo mosfera irreale, come se il tempo fosse sospe- capii che lui era tagliato per fare l›allenatore. Chiesi so...» di affidargli subito la squadra Primavera. Non mi ero sbagliato...». «E› vero. Dovrò scrivere un libro per raccontare gli anni vissuti in quella città meravigliosa. Considero Un apprezzamento che le ha fatto piacere? Lecce la mia casa». «Le parole di Fulvio Bernardini, quando allenavo il Ma Firenze non è da meno... Cesena. Dopo una partita contro la Juve , disse che sembravamo l›Aiax. A Cesena ho avuto un›altra «Alla Fiorentina non mi sono trovato benissimo, soddisfazione. Fui io a volere Cera, un elemento meglio alla Samp, l›anno prima. Mi volle sulla ritenuto un po› matto. lo però avevo capito che panchina dei viola Pier Cesare Baretti (ex Direttore giocatore fosse. E’ poi diventato il libero del di Tuttosport, perito tragicamente in un inciden- Cagliari di Gigi Riva e della Nazionale. Ma mi te aereo - n.d.r.). A Firenze feci debuttare Berti, gratificarono anche le parole di Souness, ai temma c’era soprattutto Roberto Baggio. Purtrop- pi della Samp. Era un giocatore bravissimo ma po gli infortuni ne limitarono le presenze in tatticamente poco disciplinato. A fatica riuscii campo. Ma giocò proprio contro la Sampdoria. a convincerlo ad occupare una certa zona della Vincemmo con due gol di Diaz, che seppe capi- metà campo. Alla fine mi disse: un allenatore talizzare due splendidi assist di Roberto». come te non l’ho mai visto». Grande giocatore Baggio... «Talento puro. Nato per giocare a calcio. Da avversario, ho sempre ordinato a miei giocatori di non fargli male...». Qualcuno ricorda ancora il famoso raid podistico Bersellini - Onesti, da Milano a Fontanellato... »Dopo lo scudetto con l›Inter, all›inizio dell›estate del 1980, andai in pellegrinaggio al Santuario. Più di E Maradona? 100 km. di camminata. Con me, oltre ad Armando, «Giocatore di un altro pianeta. Una volta, mentre altri due amici: Luigi Negretti e Lamberto Ferrari. scambiavo due parole con lui, mi accorsi che, nel Quest›ultimo aveva il compito di seguirci in auto con frattempo, stava palleggiando col tacco, dietro la i mezzi di sussistenza. All›arrivo, consegnai ai frati schiena, senza neppure guardare. Lo rividi anni dopo domenicani la maglia di Altobelli. Dopo trent›anni, in Libia: grasso e ansimante. Seduto in panchina, credo che sia ancora là». sembrava un re. Gli portavano in continuazione Due parole su Roberto Mancini... aranciate e Coca Cola». «Appena lo vidi giocare dissi: è bravo perché sa anche attaccare il difensore avversario. Aveva un carattere difficile e qualche volta lo lasciavo fuori. Poi c›è stata la storia di quel libro, scritto a quattro mani con Piero Sessarego. Quegli insulti non mi sono andati giù. Ma preferisco lasciar perdere...». Sì, lasciamo perdere. S’è fatto tardi. E intanto squilla il cellulare del mister. Una telefonata. «La solita», ammette. E il tempo di scoprire che, da qualche parte, c’è ancora una panchina che lo reclama. Che sia la nazionale del Marocco, come si sussurra, conta poco. Contano gli scenari, che in fondo sono sempre gli stessi: un pallone che gira e la voglia matta di rimettersi in gioco. Forse a caccia di gloria. O di guai? LA SCHEDA TRICOLORE CON INTER E SAMP CHI È - Eugenio Bersellini nasce a Borgotaro il 10 giugno 1936. E’ allenatore ed è stato un valido centrocampista. CARRIERA - Inizia la carriera da calciatore nella Fulgor Fidenza (1952), a 16 anni. Dal 1953 al 1955 milita nel Fidenza Calcio, in serie D. Passa poi al Brescia (1955/1960) , al Monza (1960 / 1962), in prestito alla Pro Patria (1962/1963), nuovamente al Monza (1963/1966) e chiude la sua carriera nel Lecce (1966/1968). Come allenatore, vanta un lungo elenco di squadre: Lecce (1968/1971), Como (1971/1973), Cesena (1973/1975), Sampdoria ( 1975/1977), Inter (1977/1982), Torino(1982/1984), di nuovo alla Sampdoria ( 1984/1986), Fiorentina (1986/1987), Avellino (1987/1988), Ascoli (1988/1989), Como( 1990/1991), Modena(1991/1992), Bologna (1992/1993), Pisa ( 1993/1994), Saronno (1995/1997). Dal 1998 al 1999 è chiamato alla guida della Nazionale libica, poi nel 2001 allena I’ AlAlhy di Tripoli e, nel 2002, I’ Al-Ittihad, sempre di Tripoli. Nel 2006 gli viene affidato il compito di salvare la Lavagnese, in serie D; missione compiuta: nei play-out contro la Narnese vittoria per 5 a 1, dopo una poco incoraggiante sconfitta all’andata per 3 a O - 2006/2007 Direttore Sportivo del Sestri Levante. In totale, conta 490 panchine in serie A (148 vittorie, 197 pareggi e 145 sconfitte). VITTORIE - Da allenatore conquista un Campionato italiano con l’Inter (1979/1980), tre edizioni della Coppa Italia, due volte con l’Inter (1977/1978 e 1981/1982) e una con la Sampdoria (1984/1985). Nel 2002, con l’AI-Ittihad di Tripoli, vince il Campionato Libico. Achille Concari ha giocato con Bersellini nella Fulgor “MA EUGENIO ERA DI UN’ALTRA CATEGORIA” Achille Concari, per i fidentini “Cilíèn”, classe 1937, un decina di partite in Serie D col Fidenza calcio e un passato sportivo diviso tra pallacanestro, calcio e pallavolo. «Ho scelto il pallone - dice - e le mie prime scarpe da calcio, comprate da Alaimo, costavano 200 lire ed erano usate». Durante una partita di campionato col Fidenza, sul campo della Sarom Ravenna, marcò in modo spietato un certo Marconí, originario di Parma. Questi, alla fine, esasperato sbottò: «Ma sit sempòr chi?». Nella mitica Fulgor del professor Pratìzzoli, Cilièn è stato compagno di squadra di Eugenio Bersellini, quasi sessantanni fa. «Era dotato - ricorda - di un eccezionale senso della posizione. Senza essere spettacolare come lo era stato ad esempio Del Grosso, aveva una innata visione di gioco. II classico uomo squadra. Si capiva già allora che era di un’altra categoria». Concari, che a soli vent’anni decise di chiudere con il calcio: anche da giovane, Eugenio aveva un carattere serio, molto responsabile e posato. «Ricordo che alla fine di una partita giocata a Ferrara con la Fulgor anteprima di Spal - Milan, il presidente Spallino Mazza si interessò a 4 di noi per un provino: io, Onesti, Giublesi e Bersellini. Ma poi non se ne fece niente». Cilièn svela infine una curiosità: «Sono rimasto in contatto con Eugenio. A volte, d’estate, lo andavo a trovare nel ritiro in montagna con la squadra che allenava. Ma quando gli telefonavo rispondeva soltanto se dicevo che la chiamata arrivava da Borgotaro». PENNE ALLA„, BUSSETANA Numerosi i giornalisti di Busseto diventati famosi per il loro talento. Da Giovannino Guareschi a Lino Rizzi (ha diretto Il Giorno, Il Giornale di Sicilia e Avvenire). Da Umberto Brindani (neo direttore di Oggi) a Vittorio Testa (conduttore di Loggione su Canale 5). Senza dimenticare Enrico Giuffredi e Carlo Donati Hanno cambiato città, giornali, tivù e settimanali. Ma più che il destino, la qualità e lo spessore professionale hanno giocato un ruolo determinante. E oggi, non a caso, sono protagonisti di prestigio nell’ampio panorama dei mass media italiani. Umberto Brindani e Vittorio Testa (in ordine alfabetico,please) sono le “ penne” di cui stiamo parlando. Fresco direttore del settimanale “Oggi” il primo, attuale curatore e conduttore di “Loggione”, programma di Canale 5 dedicato alla lirica il secondo, hanno una comune genesi: Busseto. Seimilacinquecento anime, più o meno, e un sigillo di garanzia che il mondo ci invidia: il Maestro Giuseppe Verdi, il genio riconosciuto in grado di fare la differenza. L’accostamento non sembri irriverente, ma prendendo a prestito una fra le tante , lapidarie sentenze che lo strano mondo del calcio sa esprimere, l’illustre roncolese sarebbe il classico fuoriclasse. Troppo grande. Come Pelè, come Maradona. Punto e fine della metafora. Senza offesa (la sua permalosità è proverbiale), se in queste note del Cigno di Busseto non si parlerà più. Subito a ruota viene Giovannino Guareschi, un altro grande. Lui, a differenza di tutti gli altri, rivendica natali a Fontanelle di Roccabianca. Appena dietro l’angolo, è vero, ma sufficiente perché il dialetto assuma inflessioni diverse - “In Via bèssa” direbbero da quelle parti e già questo potrebbe bastare per escluderlo dall’elenco degli aventi diritto al marchio doc. Ma Guareschi è Guareschi, uno che ha amato Busseto, la sua nebbia, i portici e la cartoleria di Secchi, col pavimento di legno che ad ogni passo cigolava come una vecchia carriola e quella “caricatura” un po’ burbera dietro al banco, baffuta e originale almeno quanto lui. Virtuoso della penna e signore come pochi, negli anni ‘66 e ‘67, Guareschi trovò persino il tempo di scrivere due pezzi inediti per il Biscioneide, numero unico di taglio satirico umoristico, entrato in qualche modo nella storia e nelle tradizioni di Busseto, come il grande Corso Mascherato. Uno che, appena gli era possibile, scappava come un missile dai ritmi insopportabili della grande città e si calava nel suo eremo di Roncole, tra cortine di nebbia e vicende di uomini semplici. Un pieno di rimodellare l’espediente narrativo della sua ennesima “ incursione”, a colpi di penna, dalle colonne di “Candido”. Tutto questo per dire che Busseto, patria della grande Musica (con la emme maiuscola), può vantare anche una tradizione giornalistica davvero unica.Non è chiara l’origine di questo singolare dienneà, è certo però che questa sorta di vocazione prende corpo già negli anni Cinquanta col primo della serie: quel Lino Rizzi che approdò al quotidiano milanese La Notte baipassando “l’apprendistato” della Gazzetta di Parma. La Notte andava in edicola nel primo pomeriggio e sparava le ultimissime della notte (appunto), con le colonne che profumavano di inchiostro, come pane appena sfornato. Lino Rizzi, che da quelle pagine inizierà a scalare i vertici del giornalismo scritto, raccontava con aria divertita di quel suo amico che veniva ad aspettarlo in redazione, con l’intento di tirare poi a sera con lui, coi piedi sotto la tavola. Quel signore, per ingannare il tempo , si dilettava a correggere le bozze ma soprattutto rivelava grande talento nel confezionare titoli ad hoc. Una opportunità davvero unica per un quotidiano votato, per sua natura, a cavalcare “la notizia dell’ultima ora”, enfatizzando l’evento. Quell’amico si chiamava Felice Bolzoni ed era, manco a dirlo, un... bussetano. A decenni di distanza , sarà l’aria o chissà che cosa, Busseto ha mantenuto salda la tradizione. Umberto Brindani (il suo ricco curriculum lo leggete a parte), succeduto ad Andrea Monti alla direzione di “Oggi”, rappresenta il classico esempio di chi, per meriti professionali, ha saputo in poco tempo scalare i vertici della carta stampata. Non di meno Vittorio Testa, un ricco passato su testate di prestigio, attuale curatore e conduttore, su Canale 5, di “Loggione”, programma dedicato alla musica lirica che si ripropone ogni sabato mattina, da ben cinque anni. Potete leggere a parte la simpatica “lettera aperta” che il giornalista di Mediaset ha indirizzato a chi scrive queste note. Sono racconti di gioventù, di vecchie amicizie, episodi di vita, curiosità inedite legate alla sua brillante ascesa sul piano professionale. Un flash back brillante e gustoso, indice di una cifra giornalistica di assoluto rilievo. A titolo statistico, mi pare significativa un fatto: Umberto Brindani e Vittorio Testa non vantano trascorsi in “Gazzetta”. Qualche occasionale collaborazione, ma nulla più. Veniva dalla Gazzetta di Parma, invece, Carlo Donati, ventottenne giornalista, scomparso prematuramente allo scadere dell’anno duemila. Laureato in Lettere pres so l’Università Cattolica di Milano, nel 1999 si iscrisse alla Scuola di Giornalismo di Bologna. Carlo Donati è stato per tre anni corrispondente da Busseto della “Gazzetta” e, per alcuni mesi, stagista presso il quotidiano Libertà di Piacenza. La capacità di scrittura e la bona- ria ironia con la quale sapeva accostarsi all’evento o al personaggio, fecero di Carlo Donati una sicura promessa della scarta stampata. La vena mass mediatica di Busseto non si esaurisce qui. A cavallo degli anni Sessanta/ Settanta il bussetano Enrico Giuffredi , per gli amici semplicemente “Enrì”, dal suo ufficio parigino della Rizzoli, affacciato sui Champs Elisées, ci raccontava dalle pagine in bianconero di “Oggi” le storie e il gossip del mondo dello spettacolo, di sovrani in esilio, regine in disarmo e principessine innamorate. A Busseto, le vecchie generazioni ricordano ancora il padre di Enrico, noto per il suo laboratorio fotografico in via Vitali. Le “foto Giuffredi”, di colore marroncino, erano un marchio di garanzia. Chiudo con una breve nota: per tutti i personaggi citati, Busseto è sempre stata, e per qualcuno tuttora rimane, un riferimento imprescindibile della propria esistenza . Perché, come si suole dire, va bene tutto, Milano, Roma, Palermo, Parigi, giornali, televisioni e settimanali. Insomma tutto quel che volete, ma alla fine si trova sempre il pretesto per una veloce rimpatriata dai vecchi amici. Anche questo è un segno che la classe non è acqua. Penne alla...Bussetana. Gustosa lettera del giornalista e conduttore televisivo Vittorio Testa MIA LA PRIMA INTERVISTA A BERLUSCONI, NEO PREMER Per averla lo tampinò giorno e notte per alcune settimane. L’offerta, che non potè accettare, del principe del giornalismo Indro Montanelli perchè si Trasferisse a “Il Giornale” Il giornalista bussetano Vittorio Testa ha inviato all’amico Ascanio Casali, suo concittadino e collaboratore di Cara Val Stirone, una gustosissima lettera nella quale rievoca, fra l’altro, la sua lunga e brillante carriera. Testa paparazzato mentre saluta e bacia Veronica Lario Caro Ascanio, la tua richiesta di notizie Ln autobiografiche mi suscita piacevoli ricordi, fin dai tempi in cui tu avevi formato una squadretta di calcio insieme a Giorgio Cro- sali (sbaglio?): si chiamava la Sant’Agostino, se ben ricordo, e ogni settimana davate vita a furibondissime nonché polverose partite sul campo dell’oratorio (al camp di prett), davanti, tra gli altri, a noi più giovani di due o tre anni (io sono del 49)che ‘sgo’osavamo’ le vostre gesta atletiche che ci sembravano fenomenali. Sempre per restare in tema calcistico, ricordo anche il tuo esordio, diciassettenne, nel Busseto di Adriano Rossi, Seconda categoria. Eravamo venuti tutti alla partita a vedere la grande promessa (`zoega `Scanio, zoega `Scanio!) in maglia giallo-canarino e pantaloncini blu a macinare kilometri a centrocampo: zona strategica nella quale, parecchi anni dopo, ci trovammo a contrasto (un tèkel!) nel corso di un Busseto-Pieveottoville di Terza categoria: tu non più velocissimo regista della squadra più bassaiola, dal punto di vista della latitudine padana (`pasa la bela ad proema!’ ti gridavano i pieveottovillini dalla tribuna lignea del vecchio campo sportivo bussetano); io sfiatato mediano dal ritmo non vertiginoso. Insomma un bel siparietto, degno del famoso calembour: ‘Lenti a contatto’. Ed eccoci al giornalismo, al quale approdai proprio su istigazione di Lino Rizzi, allora direttore de Il Giorno il quale, letti un paio di pezzi per il Biscioneide - dove, caro Ascanio diventammo compagni di penna- mi presentò al mitico Baldassarre Molossi, il totemico direttore della Ga77etta di Parma. Il primo pezzo - tremila e trecento lire il compenso fu sulla Villa Pallavicino di Busseto che, ovviamente, paragonai, c’erano dubbi sulla mia fantasia? a una ‘vecchia signora pur sempre fascinosa’: castronata di luogo comune che per fortuna sfuggì al Molossi, ben impressionato invece dalla successiva immagine... batrocomiocomica con la quale avevo descritto la villa assediata da un lato dalle maleolenti zaffate di allevamenti suini ma felicitata dal lato peschiera dai ‘gracidanti madrigali’ (proprio così! E arrossisco anche ora...) a lei dedicati da migliaia di poetiche rane e raganelle. Poi, caro Ascanio, la mia truffaldina attività letteraria ampliò gli orizzonti: e in pochi anni eccomi a Milano, Palermo, Padova, di nuovo a Milano. Ho fatto il cronista, il capocronista e l’inviato. Ho lavorato al Giornale di Sicilia (1976) al Mattino di Padova (1978), a Repubblica (1980-86 poi 1988-2000) e al Giorno (1986-88). Dal 2000 sono a Mediaset, dapprima come vicedirettore a Milano del TG5, da cinque anni e mezzo come curatore e conduttore di Loggione, programma dedicato alla lirica, il sabato alle 8,50 (guardatelo!). Insomma sono riuscito a raggirare fior di giornalisti, addirittura ‘mostri sacri’, i quali, con mia grande sorpresa, mi hanno fatto lavorare con loro, addirittura affidandomi compiti di responsabilità. L’elenco delle mie vittime illustri è lungo: direttori come Lino Rizzi (al quale - gli sia lieve la terra, come diceva Gianni Brera traducendo dal latino - devo tutto), Giovanni Valentini, Eugenio Scalfari, Ezio Mauro, Enrico Mentana; compagni (?!) di lavoro come Bocca, Pansa, Vergani, Rocca, e tanti altri. Le soddisfazioni più gratificanti? Tre: la prima l’aver lavorato con Lino Rizzi (“Sei bravino”, mi diceva nella sua sconfinata generosità, ripetendomi un consiglio nella nostra lingua madre: “Ma ad ghè da stè tent a fè mia al cujòn!”). La seconda: mi ero dimesso da Repubblica per contrasti con un mio capo, due giorni dopo mi telefonò Indro Montanelli. Credevo fosse Paolo Guzzanti, collega di Repubblica, e imitatore straordinario. Invece era proprio il Mito Montanelli in persona: «Senta - disse a me allochito e incredulo - qui al Giornale abbiamo seguito il suo buon lavoro da capocronista, ma non è per questo che la chiamo: capocronisti se ne trovano. Quello che mi piace è che lei ha dato le dimissioni da Repubblica, il giornale di maggior successo, senza contrattare, senza mercanteggiare. Non ce n’è più di pazzi simili in circolazione: pertanto io vorrei che lei venisse a lavorare al Giornale». Non andò in porto per via di Lino Rizzi, un fratello maggiore, un uomo straordinario, che mi chiamò al Giorno. L’ultima, e poi chiudiamo, amico Ascanio: da inviato a Repubblica, Scalfari mi incaricò di seguire Berlusconi nella famosa discesa in campo e poi nell’avventura politica. Diventato il cavaliere presidente del Consiglio, Scalfari mi convocò e mi disse: «Senti, è un compito difficile: ma proprio perché noi siamo il giornale nemico di Berlusconi dobbiamo avere per primi la sua prima intervista da premier: datti da fare e non deludermi». Furono giorni nei quali sarei scomparso volatilizzato molto volentieri, arrivai ad augurarmi un’influenza perniciosa e paralizzante. Ricordavo ancora il primo tentativo di intervista a Berlusconi nel giorno in cui Scalfari gli aveva dedicato un fondo dal titolo: «Arriva il Ragazzo Coccodè». Ero andato a bussare ad Arcore, il Cavaliere si era affacciato, aveva sgranato gli occhi al sentire la richiesta e poi mi aveva risposto: «Ma come faccio a farla entrare? Non me la sento di umiliarla nel farla accomodare in un ...pollaio!». Bene, facciamola breve: mi butto in maniera maniacale a tempestare di richieste Berlusconi, a seguirlo in ogni dove a qualsiasi ora. Dieci giorni di ‘pressing asfissiante’, durante i quali tormento il premier giorno e notte. Finché una mattina, alle otto, Berlusconi mi vede appostato sotto casa sua in via dell’Anima a Roma, quasi nella stessa posizione in cui l’avevo aspettato la sera prima; e scoppia a ridere fragorosissimamente, aggiungendo: “Senta, io non ne posso più, risolviamo questa faccenda: se lei mi giura di dedicare un po’ più di tempo alla sua famiglia e di non molestare più la mia nonché tutti i miei collaboratori, e giura di non telefonarmi più nelle ore notturne, ebbene facciamo questa benedetta intervista, e poi non si faccia più vedere almeno per una giornata intera” Fu così che, Ah maledetta Vanità!, ebbi l’onore di essere elogiato nel fondo di Scalfari accanto all’intervista a Berlusconi. LA SCHEDA di UMBERTO BRINDANI Nato nel 1958 a Busseto. Laureato a Bologna in Filosofia nel 1982. Prima di essere selezionato dall’Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, nel 1984, collabora con la “Gazzetta di Parma” e pubblica due brevi saggi sul “Mulino”, oltre a tradurre testi di economia, sempre per la casa editrice II Mulino di Bologna. Prima assunzione, nel 1984, al mensile di economia “Espansione” (Mondadori). Successivamente partecipa alla fondazione del quotidiano “ItaliaOggi”. Nel 1987 viene assunto a “Panorama”, dove lavora per 17 anni. Prima alla sezione economia poi come inviato speciale e in seguito come caporedattore dell’Attualità. Nel 1997 diventa vicedirettore (con Giuliano Ferrara) e nel 2000 condirettore (con Carlo Rossella). Nel 2004 è chiamato da Hachette-Rusconi a dirigere il settimanale “Gente”, che ridisegna come “newsmagazine familiare”. Nel giugno 2005 la Mondadori lo chiama per la direzione di “Chi” nel giugno 2005: sotto la sua guida il settimanale raggiunge il massimo storico di diffusione, con circa 540.000 copie. Nell’ottobre 2006 assume la direzione di “Tv Sorrisi e Canzoni” (che nel 2007 ha la seconda migliore performance diffusionale tra i primi dieci settimanali italiani) e, successivamente, anche di “Telepiù”. Nel giugno 2008 lascia la Mondadori. Nel febbraio 2009 entra in Rcs come condirettore del settimanale “Oggi”. Nel febbraio 2010 ne assume la direzione, insieme a quella di “TvOggi” e dell’Europeo. LA SCHEDA di LINO RIZZI (1927 - 2001) Il suo debutto, al quotidiano milanese “La Notte”, risale agli anni Cinquanta. In oltre quarantacinque anni di professione, spesi a vari livelli di impegno e di specializzazione, il giornalista bussetano è stato cronista, inviato speciale, corrispondente estero da Parigi e commentatore politico. Ha partecipato a numerose tribune politiche televisive e ha diretto quotidiani di rilievo nazionale (Il Giorno, Il Giornale di Sicilia e Avvenire). E’ stato redattore di Oggi e di Panorama. Nel 1981 è stato capo redattore del settimanale TVRadiocorriere, della ERI Edizioni Rai e vice direttore vicario del TG1. Il figlio, Filippo Rizzi, sta seguendo le orme del padre: attualmente, è redattore del quotidiano cattolico Avvenire.