Leggi la relazione - Accademia delle Scienze di Torino

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Il clima della Terra
A. Provenzale, ISAC-CNR
LA SPECIFICITA' DEL CLIMA DELLA TERRA NEL SISTEMA SOLARE
Antonello Provenzale
Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima, Consiglio Nazionale delle Ricerche
Corso Fiume 4, 10133 Torino
In questo contributo viene considerato, in modo molto semplificato, il funzionamento del clima
terrestre, discutendo poi come la biosfera del nostro pianeta, e la stessa attività umana, abbiano
influenzato il clima del nostro pianeta.
IL CLIMA DELLA TERRA
Negli ultimi anni, sono state osservate centinaia di pianeti extra-solari, ovvero pianeti che ruotano
intorno a stelle diverse dal Sole. Alcuni (pochi) di questi pianeti non sono troppo dissimili dai
pianeti rocciosi del sistema solare (come la Terra, Marte o Venere) e, forse, posseggono
un'atmosfera. Al momento, non si riesce ancora a misurare la composizione chimica di questa
eventuale atmosfera e a determinare se essa sia in equilibrio termodinamico con la superficie del
pianeta, o se atmosfera e superficie non siano in equilibrio, come avviene nel caso della Terra in
seguito all'attività degli organismi viventi. Come già discusso alcuni decenni fa da Lovelock,
osservare un disequilibrio termodinamico fra la superficie di un pianeta e l'atmosfera soprastante è
uno degli indizi più significativi sulla presenza della vita (Lovelock 1975).
Avere a disposizione dati su molti pianeti diversi (e su grandi satelliti come Europa), sia nel nostro
sistema solare sia altrove, permetterà di sviluppare sempre più la disciplina della climatologia
comparata, cercando di distinguere fra i fattori comuni che regolano il clima di un pianeta e gli
"accidenti" propri di una specifica situazione. Al momento, però, la maggior parte delle
informazioni provengono dal clima della Terra (che, tutto sommato, è quello che ci interessa più da
vicino), qualcosa da Marte e Venere, e già così capire la dinamica del clima non è un'impresa facile.
Il clima di un pianeta è un sistema complesso e complicato, costituito da un enorme numero di
componenti diverse in interazione non lineare fra loro e caratterizzato da meccanismi di retroazione
per cui si possono avere smorzamenti o amplificazioni delle perturbazioni esterne. Comprendere il
funzionamento del clima richiede competenze interdisciplinari e una batteria di strumenti che
includono le osservazioni dal suolo e da satellite, lo sviluppo di modelli concettuali per identificare
i meccanismi all'opera e la realizzazione di modelli numerici in grado di descrivere, seppur in modo
approssimato, la dinamica del clima a scala globale e in specifiche regioni del pianeta.
Il clima è definito dalle condizioni medie di una certa regione, trascurando le fluttuazioni
meteorologiche che si possono avere da un giorno all'altro. La definizione del "clima" di una
regione richiede quindi una media nello spazio (l'estensione della regione considerata) e di una
media nel tempo (su quale periodo temporale vengono mediate le variabili di interesse).
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Tradizionalmente, veniva suggerito di mediare su un periodo di 30 anni, ma oggi si tende a
considerare anche fluttuazioni su periodi più corti, di qualche anno, come un aspetto importante del
clima di una regione. Naturalmente, considerando per esempio la temperatura, non ci interessa solo
la sua media, ma anche la sua fluttuazione stagionale tipica, la variabilità media della temperatura
da un giorno all'altro, e in generale la distribuzione statistica dei valori della temperatura misurata
(o attesa) nella regione considerata. Il clima, insomma, è definito in modo statistico dall'insieme
delle distribuzioni di probabilità delle variabili di interesse - temperatura, precipitazione, vento,
copertura vegetale, e così via. La natura intrinsecamente statistica del clima è un punto importante
che i media tendono a ignorare. Al momento, si ritiene impossibile "prevedere" la temperatura o la
precipitazione su Torino il 31 luglio 2047, mentre si possono ottenere proiezioni statistiche che
forniscono informazioni di tipo probabilistico sulle caratteristiche tipiche della temperatura, della
precipitazione e delle altre variabili climatiche che potranno realizzarsi nel decennio intorno al
2040, in un determinato scenario di emissioni di gas serra, di polveri sottili e di uso del territorio.
Il clima della Terra è affascinante perché ha contemporaneamente due proprietà apparentemente in
contrasto fra loro: non è mai fisso ma le variabili importanti rimangono comunque in un intervallo
limitato.
Il clima del nostro pianeta varia di continuo, anche di molto: ad esempio, circa 60 milioni di anni fa
la temperatura media della superficie terrestre era più alta di - si ritiene - 10 o 15 gradi rispetto ad
oggi. Da allora, la temperatura è diminuita progressivamente, e circa tre milioni di anni fa la Terra è
entrata in un'era glaciale, caratterizzata dall'alternanza di periodi interglaciali (come quello in cui
viviamo ora) e di periodi di massimo glaciale con temperature anche di 5 gradi inferiori rispetto ad
oggi. Allo stesso tempo, però, negli ultimi miliardi di anni la temperatura della Terra è rimasta in un
intervallo di temperature per cui la vita è sempre stata possibile, anche se a volte - almeno così si
pensa - il nostro pianeta ha passato periodi con grandi quantità di ghiacci che ne coprivano la
superficie quasi interamente, negli episodi noti come "Snowball Earth" - Terra a Palla di Neve.
Ma perché il clima varia, e perché non varia troppo? Per capire come funziona il clima planetario,
dobbiamo iniziare una procedura riduzionistica, che permetta di separare i vari processi in gioco.
Come spesso capita, il riduzionismo ci fa perdere qualcosa - e talvolta molto - ma è al momento
l'unico strumento scientifico che abbiamo per affrontare un sistema complesso come il clima.
IL FUNZIONAMENTO DEL CLIMA
Il clima del nostro pianeta è interamente forzato dall'energia che arriva dalla nostra stella - il Sole. I
contributi del calore geotermico e delle maree, seppur responsabili di aspetti anche importanti (per
esempio, parte del riscaldamento degli strati profondi del ghiaccio continentale antartico per il
calore geotermico, o la dissipazione di energia e la creazione di turbolenza oceanica da parte delle
maree), giocano un ruolo sostanzialmente trascurabile nel bilancio energetico del clima terrestre.
E' quindi chiaro che variazioni nella quantità di energia solare in arrivo sulla Terra possono
modificare il clima. Queste variazioni possono essere dovute a cambiamenti nella quantità di
energia emessa dal Sole, a causa della dinamica interna della nostra stella, e a cambiamenti nei
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parametri dell'orbita terrestre, che possono modificare la quantità totale di energia solare che arriva
sul pianeta o la sua distribuzione stagionale e geografica. Ad esempio, si ritiene che le variazioni
orbitali terrestri abbiano giocato un ruolo cruciale nell'alternanza fra periodi glaciali e interglaciali
negli ultimi tre milioni di anni, in quella che viene chiamata la teoria di Milankovitch, dal nome
dello scienziato serbo che l'ha proposta all'inizio del secolo scorso (Milankovitch 1941). E' invece
molto più difficile stimare le variazioni dell'energia emessa dal Sole nelle ultime migliaia di anni.
Misure dirette da satellite sono disponibili solo negli ultimi decenni e hanno mostrato che le
variazioni della luminosità della nostra stella, per esempio da un massimo a un minimo del ciclo
solare di undici anni, sono molto piccole. Su quanto sia successo all'energia emessa dal Sole in
passato è difficile avere informazioni certe, anche perché le informazioni sono sempre "proxy",
ovvero "per procura", basate sulla misura indiretta degli effetti delle variazioni di luminosità solare
(ad esempio misurando la variazione delle concentrazioni di isotopi radioattivi o di altre proprietà
fisiche nei sedimenti marini o nei carotaggi glaciali). Altri effetti, legati per esempio ai raggi
cosmici in arrivo sulla Terra, a volte evocati come la spiegazione ultima della variabilità climatica,
alla prova sperimentale sono risultati, almeno in base ai dati oggi disponibili, trascurabili.
Non tutta l'energia in arrivo sulla Terra viene assorbita. Una parte (circa il 30%) viene riflessa dalle
superfici chiare, come i ghiacci polari e - soprattutto - le nubi. La frazione di energia riflessa, detta
albedo, viene rimandata nello spazio e non contribuisce a riscaldare il nostro pianeta. Variazioni nel
tipo di superficie (pensiamo alla differenza fra le acque scure dell'oceano e una distesa desertica,
oppure fra una foresta e una distesa coperta da neve) possono modificare significativamente
l'albedo, e quindi cambiare la quantità di energia assorbita e la temperatura della superficie. Un
pianeta coperto di foreste assorbirà più energia in arrivo dalla sua stella rispetto a un pianeta
ricoperto di sabbia chiara. Modifiche dell'albedo planetaria, ad esempio per cambiamenti delle
caratteristiche della sua superficie o variazioni nella copertura nuvolosa, possono essere
responsabili di significativi cambiamenti nel clima del pianeta.
La quantità di energia in arrivo è solo metà della storia. Ricevendo energia, il suolo, l'atmosfera e
l'oceano si riscaldano ed emettono a loro volta energia. In prima approssimazione, la superficie
della Terra emette con uno spettro simile a quello di un "corpo nero" (o cavità radiante). La
temperatura della superficie del pianeta è dunque determinata dal bilancio fra energia assorbita
(energia in arrivo al netto dell'albedo) ed energia emessa. Per le condizioni tipiche della superficie
terrestre, l'energia emessa ha la massima intensità nell'infrarosso. Se la Terra non avesse atmosfera,
la radiazione infrarossa lascerebbe liberamente il pianeta, ma l'atmosfera terrestre contiene molte
componenti che sono in grado di assorbire l'infrarosso e riemetterlo, in parte, verso la superficie.
L'effetto netto è di riscaldare la superficie planetaria e di raffreddare gli strati alti dell'atmosfera, in
quello che viene chiamato effetto serra. E' grazie a questo effetto, dovuto a costituenti come
l'anidride carbonica, il metano, l'ozono, il vapor d'acqua e molti altri, che la temperatura superficiale
terrestre è di circa 15 °C e non di -18 °C, come sarebbe se non ci fosse l'atmosfera. Grazie all'effetto
serra, è dunque possibile la vita sulla Terra. Naturalmente, anche le cose buone devono essere prese
in piccole dosi: qualche fetta di torta alla panna sono una delizia, mentre mangiarne cento porzioni
può avere effetti indesiderati. Ma su questo torneremo in seguito.
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Fino ad ora, abbiamo discusso soprattutto gli effetti delle forzanti esterne, e delle loro possibili
variazioni. Tuttavia, associare la variabilità climatica solo ai cambiamenti delle forzanti esterne è un
approccio semplicistico e sostanzialmente sbagliato: un sistema non lineare come il clima è in grado
di manifestare variabilità e cambiamenti anche se le forzanti esterne fossero costanti, a causa delle
dinamiche interne allo stesso sistema climatico. L'esempio forse più noto di un'oscillazione interna
al sistema climatico è il fenomeno di El Nino - Southern Oscillation, ma vi sono molti altri
fenomeni, come le instabilità delle correnti oceaniche e la loro capacità di generare meandri che poi
si richiudono su se stessi originando vortici coerenti oceanici, la cui dinamica è interna al sistema
oceano-atmosfera ed è legata ai processi di retroazione non lineare, positiva e negativa, fra le varie
componenti del sistema.
Un ultimo punto riguarda la distribuzione geografica della radiazione solare: nella zona tropicale, i
raggi solari arrivano in modo quasi perpendicolare alla superficie, mentre spostandosi verso i poli i
raggi arrivano con una inclinazione sempre maggiore. Questo fa sì che le zone equatoriali si
scaldino molto di più di quelle polari e questo disequilibrio è alla base della circolazione generale
degli oceani e dell'atmosfera: il fatto che sulla Terra esistano due fluidi, l'acqua degli oceani e l'aria
atmosferica, liberi di muoversi, permette un efficace trasporto di calore dalle zone equatoriali e
tropicali verso i poli. Possiamo dunque dire che, a parte le maree e alcuni effetti legati all'attività
geotermica, i moti dell'atmosfera e dell'oceano sono generati dalla differenza di riscaldamento fra
equatore e poli. Come risultato, il calore viene ridistribuito e le differenze di temperatura fra tropici
e poli sono molto più limitate di quanto sarebbero in assenza di atmosfera e oceani. Quindi, la
distribuzione delle temperature superficiali di un pianeta o un satellite senza atmosfera (come ad
esempio la Luna) risulta molto diversa rispetto a quella di un pianeta con un'atmosfera dinamica.
Ma in che cosa è diversa la Terra rispetto ad altri pianeti con atmosfera? Vi sono probabilmente
almeno due risposte importanti a questa domanda. In primo luogo, le condizioni tipiche del nostro
pianeta sono prossime a quelle del punto triplo dell'acqua, dove le fasi solida, liquida e vapore
coesistono. Questo permette continui passaggi di fase dell'acqua, con i corrispondenti rilasci e
assorbimenti di grandi quantità di calore latente e la complicata termodinamica che ne consegue.
L'acqua, nelle sue varie forme, circola continuamente attraverso le diverse componenti del Sistema
Terra, generando il ciclo idrologico, un elemento essenziale del clima terrestre che include i
processi di evaporazione e traspirazione, la dinamica delle nubi, la distribuzione delle precipitazioni
e lo scorrimento dell'acqua sulla superficie e nel suolo. Ciclo idrologico e clima sono strettamente
legati e modifiche nell'uno si riflettono immediatamente nella dinamica dell'altro. Oggi, uno dei
temi di ricerca più affascinanti riguarda proprio la dinamica del ciclo dell'acqua e la comprensione
dei suoi cambiamenti in seguito all'aumento delle temperature globali (Levizzani e Provenzale,
2012).
L'altra grande peculiarità della Terra è che è un pianeta popolato di organismi viventi, che ne hanno
cambiato la storia e il clima. Nelle ultime migliaia di anni, inoltre, una particolare specie animale
(che si è auto-definita Homo sapiens) ha preso il sopravvento occupando tutto il pianeta e
sviluppando tecnologie sempre più poderose, che negli ultimi cento anni sono state in grado di
lasciare un segno rilevante sul clima, iniziando un esperimento involontario di climate change che
sta continuando tuttora.
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CLIMA E BIOSFERA
Gli organismi viventi hanno sempre avuto una grande capacità di modificare il clima del nostro
pianeta. Le conoscenze sulla composizione dell’atmosfera primordiale della Terra sono ancora
incerte, ma quello che si sa indica comunque una sostanziale assenza di ossigeno molecolare
nell’atmosfera antica. Lo sviluppo della vita, che si ritiene sia avvenuto appena le condizioni
ambientali lo hanno permesso, subito dopo la fine del bombardamento della superficie da parte di
asteroidi e frammenti protoplanetari, ha portato all’evoluzione di organismi fotosintetici, capaci di
assorbire l'anidride carbonica (biossido di carbonio, CO2) presente in atmosfera e di utilizzare
l’energia solare per produrre nuova materia organica. Come prodotto di scarto di questo processo,
veniva, allora come oggi, rilasciato ossigeno. A lungo andare, l’ossigeno si accumulò in atmosfera,
fornendoci probabilmente il primo esempio noto di inquinamento su grande scala da parte di alcuni
componenti della biosfera. Circa 2,5 miliardi di anni fa, si ritiene che il livello di ossigeno in
atmosfera fosse diventato talmente elevato da innescare un profondo cambiamento ambientale:
molte forme di vita non riuscirono a sopravvivere nell’atmosfera divenuta per loro inadatta, e nuovi
organismi, capaci di utilizzare l’ossigeno mediante la respirazione, vennero generati da un rapido
sviluppo evolutivo.
L’ossigeno è oggi divenuto una componente essenziale dell’atmosfera terrestre. La sua
concentrazione è determinata dall’equilibrio fra la produzione da parte degli organismi fotosintetici,
alghe e piante superiori, dal consumo da parte degli animali e delle stesse piante mediante la
respirazione e dai processi fisico-chimici di ossidazione superficiale. Se sterilizzassimo la Terra,
eliminando tutti gli organismi viventi, l’ossigeno sparirebbe rapidamente dall’atmosfera, a causa
delle reazioni di ossidazione con le rocce superficiali. Nella ricerca della possibile presenza di vita
su altri pianeti, che avverrà essenzialmente attraverso l’analisi “in remoto” delle atmosfere
planetarie, l’indizio più sicuro della vita è il disequilibrio termodinamico fra la composizione
chimica dell’atmosfera e la composizione della superficie del pianeta. Se ci fosse un tale
disequilibrio, vi deve essere un insieme di processi che tiene il sistema lontano dall’equilibrio. Ed è
probabile che tali processi siano associati con la presenza della vita.
Tornando al nostro pianeta, molti sono gli esempi del controllo climatico esercitato dalla
vegetazione (e.g., Adams 2007, Rietkerk et al. 2011). Un esempio classico è il cosiddetto
“meccanismo di Charney”, dal nome del padre fondatore della meteorologia dinamica e delle
previsioni meteorologiche, Jule Charney, che l’ha descritto in un lavoro del 1975. Questo
meccanismo concettuale, molto semplice, si basa sul fatto che nelle zone desertiche l’albedo è
decisamente maggiore per il suolo nudo che per un suolo coperto di piante erbacee ed arbusti.
Supponiamo, allora, che a causa di una diminuzione delle precipitazioni la vegetazione di un’ampia
area semi-desertica diminuisca. L’albedo aumenta di conseguenza e meno energia solare viene
assorbita dal terreno, che diventa più freddo e riscalda meno gli strati bassi dell’atmosfera.
Quest'ultima diventa localmente più stabile e i moti convettivi, generati dal fatto che l’atmosfera è
riscaldata dal basso, diventano più deboli. Le differenze di riscaldamento possono anche generare
cambiamenti a grande scala nella circolazione di tipo monsonico. Ma l’indebolimento della
convezione comporta una diminuzione della precipitazione, amplificando l’effetto della
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perturbazione iniziale e riducendo ulteriormente la vegetazione, che nelle zone aride e semi-aride è
limitata principalmente dalla disponibilità di acqua nel suolo. In questo modo, il disturbo iniziale
può essere amplificato fino a far transire il sistema in uno stato di deserto. A quel punto, il sistema è
nel pieno di un ciclo di isteresi e non è sufficiente un lieve aumento delle precipitazioni per tornare
allo stato iniziale.
Il meccanismo di Charney è un tipico esempio di retroazione (feedback) positiva, in cui il
comportamento non lineare del sistema amplifica un disturbo iniziale. Il risultato è che il sistema
possiede due stati di equilibrio stabile (nel caso specifico, il deserto sabbioso e il semi-deserto con
arbusti) per le stesse condizioni di insolazione e di forzanti esterne, un comportamento noto come
bistabilità. Un disturbo sufficientemente forte può far passare il sistema da uno stato all’altro,
analogamente a quanto accade nella Fisica classica con i sistemi a doppia buca di potenziale.
I deserti del nord Africa sono una regione dove meccanismi di questo tipo possono essere all’opera.
In un periodo compreso fra i 6000 e i 10000 anni fa, tali regioni erano più umide rispetto alle
condizioni attuali e ospitavano vegetazione erbacea o arbustiva (Jolly et al. 1998). Fra i 6000 e i
4000 anni fa, c’è stata una transizione, la cui rapidità è ancora oggetto di discussione (deMenocal
2000, Kropelin 2008, Brovkin e Claussen 2008), a condizioni più aride. Sebbene il meccanismo di
questo cambiamento sia ancora allo studio, un'ipotesi è che queste transizioni possano essere
generate da lievi cambiamenti nella distribuzione dell’insolazione, associati alla variazione lenta dei
parametri orbitali terrestri ed amplificati dalle interazioni non lineari fra atmosfera, precipitazione e
copertura vegetale (Liu et al. 2007), probabilmente con il coinvolgimento di cambiamenti nella
distribuzione delle temperature superficiali oceaniche. Simulazioni con modelli climatici, più o
meno semplificati, hanno mostrato che questo tipo di comportamento può giocare un ruolo anche
nel determinare le condizioni della copertura vegetale nel Sahel, modificando, allo stesso tempo, il
regime dei monsoni che risente della temperatura e della pressione nella zona soggetta a bistabilità
(e.g., Claussen 1997).
Gli effetti legati all’albedo non sono gli unici meccanismi che legano clima, precipitazione e
copertura vegetale e forse, in realtà, non sono neppure i più importanti. Un altro aspetto cruciale
riguarda i flussi di evapotraspirazione fra suolo, vegetazione ed atmosfera (Entekhabi et al 1992):
l’evaporazione nelle zone aride può essere estremamente intensa, ma riguarda solo pochi centimetri
superficiali di suolo e contribuisce quindi in modo limitato all’umidità degli strati bassi
dell’atmosfera. Al contrario, la traspirazione da parte delle piante coinvolge l’acqua assorbita dalle
radici, che possono arrivare anche a molti metri di profondità. Nell’esempio delle zone aride
descritto prima, una diminuzione della vegetazione dovuta alla riduzione della precipitazione
comporta una diminuzione della traspirazione e quindi dell’umidità degli strati atmosferici più bassi
e, di conseguenza, una temperatura potenziale equivalente maggiore e un’atmosfera meno instabile
ai moti convettivi. Ancora una volta, la diminuita convezione comporta una minore condensazione
e in definitiva una minore precipitazione, che a sua volta induce una minore umidità del suolo ed
una ulteriore riduzione della copertura vegetale, in un altro ciclo di retroazioni positive.
L’interazione fra suolo, vegetazione e convezione atmosferica risulta essere importante anche per
l’innesco delle siccità estive alle medie latitudini continentali. L’estate del 2003 in Francia e in
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Italia settentrionale, in particolare, è stata associata con la contemporanea presenza di condizioni
meteorologiche di tipo prevalentemente anticiclonico e con un suolo estremamente secco all’inizio
dell’estate (Schär et al. 2004). Un semplice modello concettuale può aiutarci a capire il possibile
meccanismo di questo fenomeno (D’Andrea et al. 2006). Al flusso di umidità atmosferica in arrivo
dall’Atlantico, a scala continentale si aggiunge anche l’umidità prodotta dall’evapotraspirazione. Se
il suolo è umido, allora l’atmosfera diventa sufficientemente umida da innescare convezione intensa
e riciclo locale della precipitazione: l’umidità evaporata ricade come precipitazione
approssimativamente nella stessa area continentale da cui proviene. Ma se il suolo è troppo secco, la
convezione stenta a innescarsi e l’umidità viene facilmente portata via dalla circolazione
atmosferica a grande scala. Se assumiamo che l’efficienza della convezione (ovvero la capacità dei
moti convettivi nel trasformare, per condensazione, l’umidità atmosferica in precipitazione)
aumenti rapidamente con l’intensità del flusso convettivo, allora troviamo che per le stesse
condizioni di flusso sinottico di vapor d’acqua possiamo avere due stati stabili: uno stato con forte
convezione, riciclo locale della precipitazione, suolo umido, temperature moderate e forte flusso di
calore latente, oppure uno stato siccitoso, con suolo secco, temperature molto alte e flusso di calore
fra suolo ed atmosfera dominato dal flusso di calore sensibile. Simulazioni numeriche con modelli
di circolazione generale che includono anche moduli di interazione suolo-atmosfera confermano
questo tipo di comportamento (Ferranti e Viterbo 2006, Fisher et al. 2007). La presenza della
vegetazione arricchisce lo scenario appena discusso: poiché la pura evaporazione estiva alle medie
latitudini è in genere minore rispetto alla traspirazione delle piante, occorre che la copertura
vegetale sia sufficientemente estesa per avere un flusso di calore latente fra superficie ed atmosfera
in grado di innescare la convezione (Baudena et al. 2008).
Finora, abbiamo discusso esempi di effetti climatici indotti dalla vegetazione terrestre. Anche gli
ecosistemi marini contribuiscono in modo sostanziale alle complesse interazioni e retroazioni fra
clima e biosfera. Citiamo qui il meccanismo, potenzialmente devastante, della retroazione fra
aumento della concentrazione di biossido di carbonio in atmosfera, acidificazione delle acque e
risposta dell’ecosistema marino. I flussi di CO2 fra atmosfera ed oceano sono mediati da diversi
processi chimico-fisici e biologici. In generale, la biosfera oceanica è in grado di catturare un parte
significativa della CO2 presente nelle acque oceaniche e di sottrarla, almeno in parte, all’atmosfera
confinandola nelle profondità marine. Un aumento della pressione parziale di biossido di carbonio
in atmosfera, tuttavia, aumenta la quantità di CO2 disciolta nell’oceano e di conseguenza l’acidità
delle acque. La maggior parte degli organismi marini risente negativamente dell’aumentata acidità,
con il rischio di una diminuzione nella capacità di cattura della CO2 disciolta ed un ulteriore
aumento della concentrazione di questo gas serra in atmosfera (Fabry et al. 2008, IAP Statement on
ocean acidification 2009). Ancora una volta, una retroazione positiva.
Citiamo, infine, un aspetto cruciale, probabilmente essenziale, delle interazioni fra biosfera e clima:
la produzione di sostanze volatili e aerosol di origine biogenica che determinano la composizione e
concentrazione degli aerosol atmosferici. Gli aerosol sono estremamente importanti nel determinare
le caratteristiche della precipitazione e delle nubi, e quindi nel modificare il delicato equilibrio fra
raffreddamento (dovuto all’albedo) e riscaldamento (dovuto a effetto serra) associato con la
presenza delle nubi (e.g., Rosenfeld et al. 2008). Le grandi estensioni di foresta sono in grado di
produrre sia nuclei di condensazione di nube (CCN, Cloud Condensation Nuclei) e nuclei per la
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condensazione del ghiaccio (IN, Ice Nuclei), sia sostanze organiche volatili (VOC, Volatile Organic
Compounds) che possono condensare sulle particelle esistenti, generarne di nuove o modificare le
proprietà chimiche dell’atmosfera e degli aerosol. Analogamente, la biosfera marina è in grado di
produrre grandi quantità di aerosol, con il risultato che una parte significativa dell’aerosol marino è
di origine biogenica (O’Dowd et al. 2004).
DAGLI INGEGNERI DELL’ECOSISTEMA ALLA BIOSFERA PLANETARIA
Alcuni tipi di organismi sono in grado di modificare pesantemente l’ambiente in cui vivono,
adattandolo alle loro esigenze. A parte l’esempio ovvio della specie umana, molte altre specie di
piante e animali possono agire sull’ambiente. L’esempio forse più lampante è fornito dai castori
che, mediante la costruzione di dighe di tronchi, sono in grado di cambiare completamente un
fondovalle trasformandolo in una zona allagata (Morgan 1868, Wright et al. 2002). Le conseguenze
di tali trasformazioni si fanno sentire anche sulle altre specie che vivono nella zona: organismi
prevalentemente terrestri sono danneggiati dalla trasformazione indotta dai castori, mentre specie
acquatiche ne traggono un beneficio.
Un altro esempio viene dall’azione degli arbusti del deserto. Studi di campo e modellistici hanno
mostrato che alcuni di questi cespugli sono in grado di modificare il contenuto d’acqua e nutrienti
nel suolo, portando a un terreno più umido e fertile in prossimità dei cespugli stessi (Callaway and
Walker 1997, Pugnaire e Luque 2006, Gilad et al. 2007). Nelle zone desertiche, l’evaporazione è
estremamente intensa e limita fortemente l’umidità del suolo. L’ombra degli arbusti riduce
l’evaporazione dal suolo in prossimità dei cespugli, creando un’area dove permane più umidità che
nella regione libera da arbusti. In aggiunta, gli arbusti depositano sul terreno uno strato di residui
vegetali, foglie secche e frammenti di corteccia che favoriscono ulteriormente, insieme alla
presenza dell’apparato radicale, l’infiltrazione della poca acqua piovana creando una vera e propria
“isola di fertilità” ricca di nutrienti azotati nella zona occupata dall’arbusto. In questo modo, altre
piante possono trarne vantaggio e crescere più agevolmente grazie all’azione di questi modificatori
dell’ambiente. L’aumento dell’umidità del suolo vicino ai cespugli è tanto più accentuata quanto
più è scarsa la precipitazione e costituisce un esempio di facilitazione fra specie diverse: la
maggiore umidità del suolo in prossimità degli arbusti permette la sopravvivenza di altre essenze
vegetali, che traggono vantaggio dall’azione dell’arbusto. Nello stesso tempo, a causa per esempio
dei meccanismi di evapotraspirazione e albedo discussi in precedenza, le modifiche alla copertura
vegetale indotte da questi arbusti possono comportare modifiche nel regime delle precipitazioni e
nelle condizioni climatiche della regione.
Gli organismi che sono in grado di modificare significativamente l’ambiente fisico sono stati
chiamati, in un lavoro di Jones, Lawton e Shachak del 1994, “ingegneri dell’ecosistema”, anche se,
naturalmente, sarebbe un grave errore associare qualunque forma di finalismo o intenzionalità nei
cambiamenti che questi organismi mettono in atto. Modificando l’ambiente, questi organismi
lasciano in eredità ai loro discendenti, ed ai discendenti delle altre specie che vivono nella zona, un
ambiente diverso. In un certo senso, questi organismi sono in grado di costruire la propria nicchia
ecologica, e dunque di cambiare le pressioni evolutive esercitate dall’ambiente sulle generazioni
successive (e.g., Odling-Smee et al. 2003). Anche se molto è ancora da capire in questo contesto, i
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risultati disponibili suggeriscono la necessità di considerare l’evoluzione congiunta della biosfera e
dell’ambiente fisico e chimico e, nel caso specifico che stiamo considerando, della coevoluzione del
clima e della biosfera.
Il passo successivo conduce ad una visione planetaria del problema e alla domanda se la biosfera
terrestre possa esercitare un ruolo di controllo globale sul clima della Terra. Questa idea fu
esplorata in dettaglio, probabilmente per la prima volta, dal geofisico russo Vladimir Vernadsky nel
libro “Biosfera”, pubblicato nel 1926. Successivamente, l’idea di una biosfera in grado di
controllare il clima del pianeta fu ripresa da Lovelock e Margulis nel 1974 con la cosiddetta “ipotesi
Gaia”, che ha ricevuto una ampia, entusiastica e spesso fuorviante diffusione anche al di fuori della
comunità scientifica. In sostanza, questa ipotesi assume che la biosfera terrestre sia, se considerata
globalmente, caratterizzata da una serie di meccanismi di retroazione negativa (spesso chiamati di
omeostasi, utilizzando un termine di tipo fisiologico) che riescono a smorzare le perturbazioni
esterne mantenendo il pianeta in uno stato adatto alla vita (anche se diverso da quello iniziale o da
quello adatto ad una particolare specie - per esempio, le condizioni adatte alla vita dei dinosauri non
sono necessariamente le migliori per la vita degli esseri umani).
L’ipotesi Gaia ha stimolato lo sviluppo di modelli concettuali per lo studio dell’effetto regolatore
della biosfera sul clima planetario, come il lavoro su Daisyworld di Watson e Lovelock del 1983. In
questo modello, si immagina un ipotetico pianeta che ruota intorno ad una stella simile al Sole e la
cui superficie è coperta di margherite bianche e nere, in competizione fra loro. Le margherite nere
sono favorite a temperature più basse, mentre quelle bianche a temperature più alte. Supponiamo di
iniziare con uno stato in cui la superficie del pianeta sia coperta da entrambe le specie di
margherite. Se dovesse aumentare l’irradiazione della stella, aumenterebbe anche l’energia
assorbita dalla superficie planetaria e quindi la temperatura del pianeta. Ma allora, l’equilibrio si
sposterebbe a favore delle margherite bianche, che occuperebbero più superficie a scapito di quelle
nere. Poiché le margherite bianche riflettono più luce incidente di quelle nere, si avrebbe dunque un
aumento dell’albedo planetaria. Come risultato, minore energia incidente verrebbe assorbita, con
l’effetto netto di una diminuzione della temperatura, o meglio, di una resistenza all’aumento della
temperatura. Otteniamo così un semplice esempio di retroazione negativa, ovvero di un
meccanismo che tende a mantenere il sistema nello stato iniziale smorzando le variazioni delle
forzanti esterne. Una rassegna dei vari aspetti di questo tipo di modelli è disponibile nel lavoro di
Wood et al. (2008).
La vegetazione influenza il clima anche attraverso i processi di traspirazione e i conseguenti flussi
di calore latente. Recentemente, è stato sviluppato un modello semplice di un ipotetico pianeta
sabbioso, senza oceani, in cui l'acqua è contenuta nella sabbia (Cresto Aleina et al 2012). Con
questo modello, si è mostrato che in assenza di vegetazione la sola evaporazione dal terreno nudo,
limitata a pochi centimetri di suolo superficiale, non è sufficiente a innescare un ciclo idrologico e il
pianeta rimane in uno stato desertico con poca o nulla precipitazione. Ma nel caso in cui sia
presente la vegetazione, le radici delle piante sono in grado di utilizzare l'acqua più profonda,
contenuta nel primo metro di suolo, che viene poi rilasciata in atmosfera mediante la traspirazione e
i processi fisiologici delle piante, generando episodi di precipitazione in grado di mantenere viva la
vegetazione, in un esempio ulteriore di retroazione positiva. In questo caso, la presenza degli
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organismi viventi modifica completamente il clima del pianeta. Sebbene pensato come esperimento
concettuale, questo modello può anche fornire informazioni sui processi attivi nelle zone
continentali desertiche dove l'apporto d'acqua dall'esterno è limitato.
La situazione reale è naturalmente molto più complessa, e la biosfera terrestre è assai più
complicata di un mondo a margherite o di ipotetiche piante su un pianeta sabbioso. Le retroazioni
positive e negative si combinano e amplificano in modo estremamente intricato ed è difficile capire
se, nella sua globalità, la biosfera agisca da regolatore del clima o possa invece amplificarne le
instabilità. Il grande merito dell’intuizione di Lovelock e dei lavori successivi è stato di riportare
alla luce l’importanza della biosfera, e di iniziare quella serie di studi sui cicli degli elementi che
prendono parte al gran gioco del clima. Da qui, è iniziato il lavoro sui cicli biogeochimici e il
tentativo di ottenerne una descrizione globale in quella che oggi è chiamata la “scienza del sistema
Terra”, Earth System Science (e.g., Jacobson et al. 2000).
GLI EFFETTI DELLE ATTIVITA' UMANE
Una caratteristica molto speciale del nostro pianeta è che ospita gli esseri umani. Fin dagli albori
della civiltà, gli esseri umani hanno sempre modificato pesantemente l'ambiente in cui vivevano,
per renderlo più sicuro, più comodo e più adatto alle loro esigenze. Ma gli uomini non erano molti,
le tecnologie semplici, e in generale l'impatto delle attività umane rimaneva confinato a scale locali
o al più regionali.
Con la rivoluzione industriale, circa due secoli fa, è iniziato un processo di sviluppo tecnologico
sempre più rapido, che ha permesso agli esseri umani di raggiungere livelli di benessere prima
impensabili (almeno in alcune parti del mondo, e purtroppo anche a scapito di altre parti), ma anche
una capacità di modificare l'ambiente in modo molto più esteso e profondo, che va dall'emissione di
grandi quantità di gas serra alla responsabilità diretta di un enorme aumento del numero di
estinzioni di specie animali e vegetali (Eldredge 2001).
Da un punto di vista climatico, negli ultimi centocinquant'anni la temperatura globale della
superficie terrestre è aumentata di circa 0.7-0.8 °C, e ancora di più ci si aspetta che aumenti nei
prossimi decenni: rimandiamo al volume "Clima, cambiamenti climatici globali e loro impatto sul
territorio nazionale", disponibile al sito www.isac.cnr.it, una discussione più articolata dello stato
delle conoscenze a giugno 2009. Un recentissimo lavoro mostra inoltre che l'aumento di
temperatura atteso per il 2050 ha una probabilità significativa di essere assai più alto di quanto si
pensasse finora (Rowlands et al. 2012). Né ci rassicura dire che sessanta milioni di anni fa la
temperatura era di quasi quindici gradi più alta di oggi: quello non era il mondo degli esseri umani,
e tantomeno era un mondo di infrastrutture fisse e complesse come quello odierno. Questo è, infatti,
il problema principale: non tanto che "il pianeta è in pericolo", quanto piuttosto che un aumento di
temperatura anche di solo due o tre gradi rispetto a oggi può comportare costi molto elevati per la
società, situazioni difficili da gestire, crisi geopolitiche e serie instabilità della nostra struttura
sociale ed economica. Inoltre, non è solo il valore assoluto dell'aumento che preoccupa, ma anche la
sua notevole rapidità se confrontata con il tipico andamento delle fluttuazioni climatiche naturali.
Il clima della Terra
A. Provenzale, ISAC-CNR
Il clima è sempre variato per cause naturali, interne ed esterne, ma negli ultimi due secoli si è
aggiunta l'azione degli esseri umani, responsabile di una parte rilevante del riscaldamento misurato
in questi due secoli. I gas prodotti dalle attività umane, come anidride carbonica e metano,
aggiungono il loro contributo all'effetto serra naturale portando a un aumento della temperatura
superficiale terrestre (IPCC 2007). In seguito all'aumento di temperatura, è possibile una maggior
quantità di vapor d'acqua in atmosfera, con un'ulteriore amplificazione dell'effetto serra (Dessler e
Sherwood 2009). A questi si aggiungono gli effetti delle polveri sottili (aerosol), sia chiare
(solforose) che scure (fuliggine), estremamente rilevanti in alcune parti del mondo e con effetti sul
clima ancora in parte da quantificare (Lau et al. 2008, Ramanathan and Carmichael 2008). Infine, i
cambiamenti nella struttura del territorio (deforestazione, cambiamenti nell'uso, urbanizzazione)
sono anch'essi responsabili di cambiamenti significativi nei flussi di calore e umidità fra superficie e
atmosfera, con conseguenti effetti sul clima.
Gli effetti del riscaldamento globale sono ormai evidenti, dall'aumento del livello del mare alla
diminuzione della copertura nevosa, alla fusione dei ghiacci continentali e marini in Artico, ai
profondi cambiamenti che stanno interessando molti ecosistemi terrestri e marini. In molte regioni,
vi sono anche segni di una tendenza verso un ciclo idrologico più intenso, con periodi siccitosi più
prolungati e precipitazioni più intense (Giorgi et al. 2011). Oltre alle fluttuazioni naturali e alle
variazioni solari e orbitali, le attività umane hanno introdotto un nuovo elemento, iniziando un
esperimento incontrollato di cambiamento climatico le cui conseguenze ultime sono, purtroppo,
ancora da verificare.
CONCLUSIONI
Dal nostro punto di vista, la principale specificità del clima della Terra è che è quello in cui gli
esseri umani vivono.
Sebbene molti aspetti della dinamica del clima siano ancora da comprendere, possiamo certamente
concludere che il nostro pianeta e il suo clima sarebbero molto diversi se non ci fossero gli
organismi viventi. La presenza della vita induce complessi meccanismi di retroazione, positiva e
negativa, che non possono essere ignorati se vogliamo capire e prevedere come cambierà il clima
della Terra sia per cause interne, “naturali”, sia in risposta alle variazioni introdotte dalle attività
umane quali l'aumento della concentrazione di gas serra, l'immissione di aerosol, i cambiamenti
nelle proprietà della superficie terrestre e la frammentazione degli habitat naturali.
La nostra conoscenza dei meccanismi di funzionamento del clima è ancora parziale, e molto lavoro
deve ancora essere completato. I processi sono molti, in interazione fra loro, e piccoli effetti a
piccole scale possono modificare il comportamento globale. Di fronte a questa complessità, occorre
non rinunciare a investire in ricerca e innovazione ed esplorare il problema in tutti i suoi aspetti.
Ma lo studio del clima non è solo un problema accademico e le motivazioni più forti a capirne i
meccanismi vengono sia dalla rilevanza del clima per la vita degli esseri umani sia dalle
implicazioni che i cambiamenti climatici possono avere per intere popolazioni - comprese le genti
che vivono intorno al Mediterraneo. Non a caso, negli ultimi anni molti governi, organismi
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internazionali come WMO, WHO, FAO e UNEP, le banche di sviluppo e le grandi compagnie di
assicurazione hanno attivato interi dipartimenti dedicati allo studio degli impatti della variabilità
climatica, per capire cosa succederà e determinare come affrontare i cambiamenti in corso e in
arrivo, sia nel senso della mitigazione e della riduzione di emissioni di gas serra e polveri sottili, sia
nel senso della definizione delle migliori metodologie di adattamento alle mutate condizioni
climatiche. Tutte le nazioni europee, in particolare, si stanno dotando di strategie nazionali di
adattamento ai cambiamenti climatici, che includono aspetti legati alla stima e alla gestione del
rischio, all'agricoltura, alla gestione delle risorse idriche.
Nonostante le incertezze ancora presenti nella nostra conoscenza del sistema clima, è infine
opportuno ricordare che negli ultimi vent’anni la nostra ignoranza sui meccanismi del clima si è
molto ridotta, portando a un netto miglioramento nella capacità di ottenere proiezioni climatiche a
scale globali e di identificare le cause delle variazioni climatiche in corso. Questa capacità è stata
recentemente evidenziata dal confronto fra proiezioni climatiche ed effettivo comportamento del
clima negli ultimi dieci anni (Rahmstorf et al. 2007, Reichler and Kim 2008), anche se non bisogna
dimenticare le molte incertezze che accompagnano ancora le proiezioni climatiche.
Nel complesso, i risultati delle ricerche sul clima, basate soprattutto sull'analisi dei dati, indicano
che negli ultimi cento anni vi è stato un significativo e rapido aumento della temperatura globale e
che una parte rilevante di questo aumento è quasi certamente dovuto alle attività umane,
responsabili dell’immissione in atmosfera di grandi quantità di gas serra e di aerosol. La
consapevolezza che c’è ancora molto da imparare, cosa di cui ogni ricercatore non si stupisce, non
deve essere utilizzata come alibi per rimandare l’adozione di appropriate strategie di adattamento e
mitigazione dei cambiamenti climatici in corso.
La sfida dei cambiamenti climatici è anche motore di sviluppo sociale ed economico e il nostro
paese sta impegnando molte risorse sui temi della ricerca, dell'adattamento e della mitigazione.
Questo impegno di ricerca sul clima e sugli impatti dei cambiamenti climatici dovrà essere
mantenuto e incrementato nei prossimi anni, per non rischiare di rimanere indietro nelle iniziative di
sviluppo scientifico, sociale ed economico della comunità internazionale.
Parte del materiale presentato in questo contributo è stato pubblicato negli atti del convegno
"Clima, energia, società" dell'Associazione Galileo2001, Roma, 2009.
Il clima della Terra
A. Provenzale, ISAC-CNR
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