La tua tessera - Azione Cattolica Italiana

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La tua tessera - Azione Cattolica Italiana
LA TUA TESSERA
Adesione 2007
E ora?
La cura della persona, caratteristica intrinseca della scelta educativa dell’associazione, chiede in ogni
istante di interrogarci sulla qualità della proposta formativa e delle relazioni. In quest’ottica, anche
questo tempo può essere un’occasione per affrontare, con stile comunitario, alcune attenzioni
specifiche.
I dati delle adesioni, innanzitutto, nella loro “freddezza” offrono alcune indicazioni: le difficoltà
specifiche di una determinata fascia d’età (scarsa conoscenza all’esterno della proposta? Difficoltà di
un educatore in un determinato momento della sua vita? Difficoltà nell’intercettare tempi e modi di
alcune persone?...), la quantità di disdette (chi ci ha lasciato? Perché? Quali esigenze non abbiamo
compreso? Che relazioni hanno vissuto quelle persone?...), i pochi passaggi da un gruppo all’altro (c’è
poco collegamento al nostro interno? Gli educatori dei diversi gruppi hanno buoni e costanti rapporti?
Vivono la loro formazione in un gruppo che gli permette di condividere anche la bellezza del
servizio?...). Insomma, tanti interrogativi che aiutano a leggere dentro la nostra realtà e ad abbozzare
delle risposte che, se ben meditate, possono dare vita a nuove e buone prassi.
Le attenzioni
Il turnover associativo. Questo “capitolo” si può articolare in diversi paragrafi.
Da un lato ci sono coloro che, negli ultimi anni, si sono allontanati dall’Ac. Alle spalle di questa
decisione una gamma molto ampia di motivazioni: crisi vere e profonde di fede, stanchezza e “stress
da associazione”, rottura di una appartenenza vista come “abitudinaria”, percezione di un generale
scadimento della proposta, magari semplici intoppi nelle relazioni con il parroco o gli altri soci. Rientra
nei compiti del Consiglio parrocchiale, di educatori e compagni di strada prendere in esame le singole
questioni personali, e pensare alle modalità di un accompagnamento e di un riavvicinamento. Troppe
volte, con un periodo di allontanamento coincide una sorta di inopportuno “isolamento”.
D’altro canto, gran parte delle disdette si registrano nelle età di passaggio da un gruppo all’altro.
Questa realtà necessita di una forte attività di programmazione, ma anche di una generale
rivalutazione dei momenti unitari dell’associazione e del dialogo tra le persone che condividono il
compito educativo.
I simpatizzanti. L’adesione aperta tutto l’anno ci spinge a rinnovare la nostra proposta di maggior
protagonismo e appartenenza, rivolgendosi a quelle persone che da tempo vivono il cammino
formativo dell’Ac o ne seguono con simpatia il percorso. Si avverte l’esigenza di accentuare la
conoscenza della storia, della struttura e dell’idea di formazione che caratterizza l’Azione Cattolica.
Oltre dunque la curiosità e la sete di svolgere un cammino personale, è necessario rivalutare quegli
elementi portanti in grado di alimentare una “passione”.
Le famiglie dei ragazzi Acr. Troppe volte all’esperienza di bambini e ragazzi non si accompagna un
percorso che coinvolga anche il nucleo familiare. Favorire questa partecipazione, ovviamente, non è
funzionale solo a favorire un maggior numero di adesioni tra i piccoli, ma ci aiuta ad allargare
l’orizzonte di evangelizzazione e a calare nell’ordinario quelle attenzioni alla famiglia che a più livelli
stiamo diffondendo. Va in questa direzione “Formato Famiglia”, il sussidio proposto ad inizio anno
dall’Acr, a cui affiancare una più ampia pratica relazionale.
Il metodo
Questo breve opuscolo propone alcune situazioni concrete relative alle tre attenzioni indicate. Fatto un
veloce profilo, tentiamo di individuare le diverse responsabilità e i diversi sforzi che possono essere
messi in campo dal Presidente parrocchiale, dal Consiglio, dagli educatori e dal gruppo.
In realtà, sappiamo bene che quando si entra nel profondo del vissuto associativo ordinario non
esistono formule precostituite. Esiste piuttosto la concretizzazione di uno stile relazionale che, in modo
“naturale”, ci spinge ad andare verso gli altri, ad indagare amorevolmente le loro motivazioni, ad
argomentare il senso di un percorso di fede vissuto insieme.
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“Non mi tessero più”
1.
La prova andata male
È la situazione del socio tesseratosi come per sfida, convinto magari dall’educatore, ma che dopo un
po’ di tempo non è riuscito a percepirne il valore.
Obiettivo: recuperare contenuti associativi nella programmazione ordinaria.
Il Presidente e il Consiglio: la loro preoccupazione è per i percorsi di preparazione all’adesione
messi in campo dai singoli gruppi, per i valori veicolati, per il livello di conoscenza ed effettivo
convincimento degli stessi educatori. Un’analisi del genere permette l’individuazione dei diversi buchi
che solitamente emergono: scarsa percezione della storia associativa, valore della scelta
democratica, l’utilizzo della quota del socio… Frutto di questa analisi è l’impegno per un nuovo sforzo
formativo su tematiche più strettamente associative. Chiaramente, la parrocchia sa di poter contare su
esperienze formative proposte dalla diocesi.
L’educatore: il suo impegno è perché la non adesione non si trasformi in una non partecipazione alla
vita del gruppo. La proposta è quella di riprendere il cammino di formazione personale, e di integrare
nella programmazione quegli elementi di formazione associativa che non pienamente interiorizzati.
D’altra parte, in tal modo l’educatore mette in gioco nella relazione personale la propria testimonianza
di “socio consapevole”.
Il gruppo: è coinvolto dall’educatore in un rinnovato impegno per dire la propria appartenenza all’Ac.
Il quando, il perché, il come… La motivazione all’adesione delle singole persone può essere infatti un
incentivo per tutti gli altri.
2.
Le difficoltà di relazioni
È la situazione in cui alla base di un abbandono ci sono contrasti interni ai gruppi, o tra responsabili, o
con il parroco, o, più semplicemente, si avverte una carenza relazionale (emarginazione, indifferenza,
snobismo, pregiudizi…).
Obiettivo: ricomporre la frattura, riproporre l’Ac e la comunità parrocchiale come esperienza che
unisce nella fede, anche se può dividere sulle “modalità”. Ricostruire una cultura dell’accoglienza.
Il Presidente e il Consiglio: sono chiamati ad una serena ma concreta analisi della qualità delle
relazioni nell’associazione e, se i casi lo richiedono, nella comunità parrocchiale (ad esempio: i
rapporti con il parroco). Il Presidente, in particolare, è direttamente impegnato in un lavoro che faciliti il
dialogo tra persone entrate in contrasto. Quando poi le problematiche nascono nel gruppo,
sensibilizza l’educatore a non entrare tra le parti in causa, e con l’educatore si assume la
responsabilità delle decisioni. Con il Consiglio, ci si interroga invece sulla reale portata dell’esperienza
di Ac: un’esperienza che unisce nella fede (ed è questa la priorità!), anche quando ci sono diverse
modalità di “pensare” l’associazione.
L’educatore: in questo caso è maggiormente impegnato ad entrare nelle pieghe del disagio,
attraverso la relazione personale. Parimenti, deve predisporre il gruppo a non chiudersi in un “idillio di
pochi”, ma ad affrontare le sfide della diversità e della novità portata da persone che pensano in modo
diverso. All’educatore, inoltre, il compito di far comprendere un’esperienza primaria che accompagna
la vita di gruppo: quel sentirsi accolti che non può essere di pochi, ma che deve essere esteso in
maniera prorompente.
Il gruppo: evita i frazionamenti, le prese di posizione, i pregiudizi. Si lascia guidare dalle persone più
esperte in un lavoro di riappacificazione, evita di accentuare l’isolamento di chi, già da sé, si mette ai
margini. In questa situazione, poi, i gesti di apertura del gruppo possono essere decisivi. Smorzano le
difficoltà del singolo ad entrare in relazione, e agevolano notevolmente il compito dell’educatore.
3.
Le difficoltà nel percorso di fede
È la situazione di chi vive una difficoltà interiore, o una “crisi spirituale”, e non trova nell’Ac le risposte
che vorrebbe.
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Obiettivo: far sentire il calore umano dell’associazione, fornire strumenti complementari al gruppo e
alle modalità tradizionali. Riscoprire percorsi di autoformazione, il valore e l’opportunità di assistenza
spirituale…
Il Presidente e il Consiglio: sono chiamati, innanzitutto, a conoscere la persona, la sua storia e il suo
percorso associativo (un atteggiamento che vale per tutti i casi, ma per questo in particolare). Nel
solco delle esperienze di persone adulte nella fede, vanno individuate risorse e proposte specifiche: il
dialogo con un padre spirituale, un’esperienza forte…
L’educatore: sfrutta tutte le occasioni per far capire la sua disponibilità ad un dialogo. Si offre senza
riserve per l’ascolto, condivide le sue difficoltà, propone percorsi di lettura e di preghiera più
approfonditi. Con discrezioni, e con tatto, indica nel gruppo un luogo di vera condivisione di vita.
Il gruppo: come piccola comunità che condivide un cammino spirituale, si offre come spalla per la
persona in difficoltà. Cercandola, innanzitutto, e invitandola ad aprirsi, specie nel dolore. Si
responsabilizza come comunità della condivisione e della compassione, in cui il vissuto dei singoli non
passa inosservato nelle dinamiche di gruppo.
4.
Stanchi dell’Ac
È la situazione di soci, anche educatori e responsabili (anche a livello diocesano!) che hanno dato
tanto, e che improvvisamente si ritirano…
Obiettivo: costruire percorsi adatti a chi ha vissuto intensamente il servizio, e che ora deve riprendere
fortemente il filo di un cammino personale, nella famiglia associativa.
Presidente e Consiglio: si interrogano, innanzitutto, sulle modalità di vivere il servizio degli educatori.
Danno priorità alla loro crescita? Rischiano, paradossalmente, di inaridirsi in un servizio fine a se
stesso? Nei casi specifici, poi, ci si attiva (anche a livello extraparrocchiale, diocesano) per conoscere
o realizzare strade nuove che possano interessare anche altre fasce che costantemente rischiano di
stancarsi dell’ordinario associativo (i giovani-adulti e gli adulti-giovani, ad esempio).
L’educatore: raccoglie esigenze formative diverse da quelle ordinarie, e cerca di integrarle nella
programmazione di gruppo. Parimenti, nella sua partecipazione responsabile alla vita diocesana,
alimenta percorsi innovativi nei tempi e nei modi.
Il gruppo: si interroga sul proprio entusiasmo, sulla propria passione, sulla propria capacità di
contagiare (anche con modi nuovi ed estroversi). È anche il pozzo da cui emergono nuove esigenze
formative, da sottoporre all’attenzione di tutta l’associazione.
“Quel gruppo non mi piace”
È la situazione di chi ha completato la strada in un gruppo, e ora dovrebbe “passare” in quello
successivo.
Obiettivo: far emergere l’unitarietà dell’associazione e la continuità del progetto formativo.
Presidente e Consiglio: dedicano al tema dei passaggi un incontro specifico in tempi utili (anche con
la presenza di un intervento esterno sulla unitarietà dell’Ac e le implicazioni di questa caratteristica).
Sul piano operativo, indicano l’esigenza di una buona relazionalità tra gli educatori, ma soprattutto la
necessità che chiunque abbia compiti educativi guardi con attenzione alla vita di tutti i gruppi e di tutti i
soci, nello stile della corresponsabilità. Si sollecita inoltre una pronta uscita dall’autoreferenzialità, e
che l’idea di una “famiglia associativa”, fatta di persone di diverse età, passi anche ai singoli soci.
Tocca inoltre al Consiglio dare dignità ai momenti unitari, e organizzare iniziative (di preghiera, di
festa…) che coinvolgano l’intera associazione.
L’educatore: ha il compito di progettare percorsi che favoriscano i passaggi “in entrata” e “in uscita”.
Molti di questi possono partire da cose concrete: i giovanissimi possono illustrare ai ragazzi di III
media i misteri delle scuole superiori… una coppia di adulti può incontrare i giovani sul tema della
famiglia… nell’ordinario, possono trovarsi mille motivi di incontro. Considerando giugno come tempo
dei passaggi, a metà anno associativo “i passanti” potrebbero iniziare un percorso con gli
animatori/educatori del gruppo che li accoglierà in seguito. Questi incontri hanno la finalità di far
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conoscere la modalità formativa del nuovo responsabile e comprendere a cosa si è chiamati nel
nuovo gruppo di appartenenza: cambia la forma, ma la sostanza è la stessa: si è sempre Ac. Al
Consiglio il compito di predisporre questo itinerario di passaggio. Più in generale, l’educatore di Ac
lavora su di sé per nutrire una vera passione non solo per il gruppo che gli è affidato, ma per l’intera
associazione. Il lavoro più duro è, tuttavia, quello di non trattare come “cosa personale” il gruppo
affidatogli, ma acquisire come dato di maturità anche una nuova sfida o l’affidamento in altre mani di
persone a lungo seguite.
Il gruppo: se in odore di passaggio ad un gruppo successivo, deve essere opportunamente motivato
sul valore della formazione continua e sul sentirsi parte della “famiglia associativa”. Se invece il
gruppo sta per accogliere persone più piccole, va responsabilizzato: dalla loro accoglienza dipenderà
in gran parte l’inserimento dei nuovi.
“Mi piace l’Ac, ma non voglio tesserarmi”
È la situazione di chi segue il cammino di Ac, magari a corrente alternata, ma che resta distante
dall’idea di una adesione più forte e sentita.
Obiettivo: chiamare ad un sano protagonismo, passare i contenuti forti e tipicamente laicali dell’Ac.
Il Presidente e il Consiglio: conta molto la conoscenza personale dei casi. Si tratta di pura “pigrizia”
(e allora ci vorrebbe una “scossa”), o di reali dubbi sulla propria adesione all’ideale di Ac? Anche in
questo caso, l’analisi riguarda la presenza, la qualità e la continuità di tematiche associative ed
ecclesiali (si pensi all’idea di laicato del Concilio) nelle programmazioni ordinarie. Tuttavia, si è
chiamati a favorire la scelta della persona in vari modi: attraverso la partecipazione alla vita
diocesana, facendo pervenire per i simpatizzanti copie aggiuntive della stampa associativa…
L’educatore: è chiamato a conoscere i motivi della non adesione dei simpatizzanti. Talvolta
potrebbero esserci motivi puramente economici, facilmente risolvibili con la corresponsabilità
dell’intera associazione. Altre volte ci sono questioni più profonde, che chiamano sia ad
approfondimenti nell’ambito della formazione di gruppo sia a percorsi personali di conoscenza dell’Ac
(lo statuto, il progetto formativo, la storia associativa…). D’altra parte, assicura al simpatizzante il
pieno protagonismo nella vita del gruppo e della comunità.
Il gruppo: partecipa alla scelta del simpatizzante mostrando il volto autentico e contagioso dell’Ac,
testimoniando le motivazione del proprio “si”.
“Dove vai, oggi, in parrocchia?”
Molto spesso acierrini e giovanissimi svolgono il loro cammino di fede senza che i genitori conoscano
il tipo di proposta che ricevono. Come questo interpella l’associazione?
Obiettivo: creare una relazione costante adulti di Ac-famiglie e educatori-famiglie.
Il Presidente e il Consiglio: fanno in modo che l’attenzione alle famiglie dei più piccoli si integri nella
programmazione ordinaria degli adulti. Aiutano educatori ed adulti ad organizzare momenti ad hoc per
genitori. Può essere utile, nel tempo di preparazione al tesseramento, inviare una lettera ai genitori
che anno per anno illustri il senso che l’adesione ha per il proprio figlio: in questo tempo, in questa AC.
Inoltre, attraverso la partecipazione alla vita diocesana si conoscono e si estendono le proposte di
altre parrocchie.
L’educatore: conosce il nucleo familiare, rispetta senza alcuna presunzione il ruolo primario dei
genitori, si attiva direttamente con gli adulti per la realizzazione di momenti formativi.
Il gruppo: si sensibilizza ad essere lievito a partire dal proprio nucleo familiare, aiutando il resto della
famiglia ad entrare o rientrare nella comunità parrocchiale.
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Scheda per un Consiglio parrocchiale dedicato ad una verifica della vita associativa
* Si ribadisce che il dato statistico è utile se non è fine a se stesso. I dati vanno letti ricordando che
dietro ai numeri ci sono delle persone, con un volto, una storia. Persone, e non problemi!
1.
Relazione sui dati
Cosa emerge dall’adesione 2007? Siamo in perdita? Per quali motivi? Quali gli elementi critici? Quali i
punti di forza?
2.
L’attenzione ai disdetti
Chi sono coloro che non si sono tesserati quest’anno? Quali i motivi? Ne siamo a conoscenza? Hanno
ancora legami con il gruppo e la comunità? Chi, e come, può avvicinarli?
3.
I passaggi
I ragazzi e i giovani che dovevano passare l’hanno fatto? Con quali percentuali? Quali le difficoltà
(conoscenza dell’altro gruppo, diffidenza verso i nuovi educatori…). Quali strade adottare?
4. Le new entry
Conosciamo i nuovi soci? Attraverso quali modalità si sono inseriti nella vita associativa? Ci sono
persone che sono ancora sulla soglia? Chi sono? Come portarli dentro?
5.
Presentare l’Ac alle famiglie
L’adesione dei nostri soci fa avvicinare altre persone dello stesso nucleo familiare? I genitori
conoscono le caratteristiche della formazione associativa? L’adesione crea problemi ad alcuni nuclei?
Di che tipo (diffidenza, difficoltà economiche…)? Come ovviare?
6.
Sintesi
Come abbiamo preparato l’adesione quest’anno? Abbiamo valorizzato la festa dell’adesione?
Possiamo ancora sfruttare la possibilità di far aderire nuove persone? Quali idee e attenzioni ci
proponiamo già ora per il nuovo anno associativo?